Editoriale: Perché questo giornale


Questo bimestrale nasce da un’idea mia, Fabio Tolomelli, e della mia amica, Cristina Cavicchi. Lo scopo è di far emergere i problemi di chi soffre di patologie che inevitabilmente si ripercuotono sulla psiche sia a casa che in ospedale, per la strada come in famiglia e nel tempo libero come sul lavoro. Il giornale sarà formato dagli articoli che gli utenti della sanità, ma non solo, scriveranno secondo il canale espressivo da loro preferito: racconti, vissuti, reportages di viaggi, poesie, musiche, barzellette, foto, disegni sculture. Ogni bimestre, inoltre, verrà proposto un tema su cui lettori potranno orientare il loro lavoro. Il primo tema sarà sull’AMICIZIA
A tutto questo si aggiungeranno le risposte dei professionisti della sanità, delle strutture sanitarie e associative, la parola della chiesa, e interviste a chi soffre e a chi cura. In questo modo il giornale sarà come un vero faro che ci farà vedere, sentire e comprendere meno soli. .
La redazione si impegnerà a trovare e creare momenti di festa in cui il materiale prodotto verrà esposto. I partecipanti potranno dare vita a nuove amicizie e spazio alla loro creatività con canti e balli fino a tarda sera.



IL MATERIALE si può spedire a fabio.tolomelli@libero.it. 0 depositarlo nelle accettazioni dei servizi sanitari che provvederanno a spedirlo al C.S.M. San. Camillo.


(f.t.)


Chi sono i “diavoli rossi” e cosa fanno



Sono angeli caduti dal cielo sotto il peso di un senso di colpa troppo grande per la loro sensibilità. Arrivati a terra non sapevano cosa fare, ma, per fortuna, sante persone (operatori del D.S.M.) ci hanno trovato e aiutato a togliere la maglia di malato per indossare quella di diavoli rossi. Così vestiti ci troviamo a giocare a pallone e scopriamo la bellezza di stare in compagnia. Muovendoci sciogliamo i muscoli dalle tensioni interne e percepiamo meglio il nostro corpo. Respiriamo e ci asteniamo dalle sigarette dando tregua ai polmoni che ossigenano meglio il cervello permettendo una mente più lucida. Grazie allo stare insieme conosciamo persone con problemi analoghi che spontaneamente si aiutano a risolverli con la semplice e spontanea presenza umana. CHI, COME, DOVE, QUANDO, PERCHE’. I diavoli rossi - ideati da diversi operatori - si incontrano tutti i mercoledì mattina per fare allenamento (nel centro sportivo di Casalecchio di Reno dalle 10.00 alle 13.00). L’allenamento prevede una serie di esercizi di ginnastica e riscaldamento seguiti poi da una divertente partitella. Al termine ci ritrova insieme per mangiare una pizza. Durante l’anno si partecipa a tornei di calcio e pallavolo a carattere nazionale dove ci si integra con persone provenienti da altre località e tradizioni riscoprendo il piacere dello stare insieme.



A VOI I DIAVOLI ROSSI:



- Giuliano (l’ideatore);
- Filippo (il tecnico in campo);
- Mino (il folletto magico, stupefacente);
- Giorgio (il grande appassionato e organizzatore di calcio);
- Cristina (l’aquila dell’area di rigore);
- Fabio (il jolly);
- Stefano (il teoretico del calcio);
- Gianni (la locomotiva umana, a confronto Vieri è un fuscello);
- Luca (fondamentali da serie A);
- Andrea (solo una parola, fenomeno);
- Il portiere (l’esperienza di Zoff);
- Albi (meglio di Signori, Mancini e Vialli ai tempi d’oro);
- Giuseppe (l’attaccante più buono del mondo);
- Giovanni (Grande cultura non che mascotte dei diavoli rossi);
- Giovanni (Calciatore senza tempo, per l’età è meglio di Pelè);
- Gigi (Grandi gol, grandi azioni: ma sempre ermetico come un pesce);
- Frank (the boss , l’originale, il verace, l’inimitabile);
- Cristina, Concetta, Rita, Denisa (i fiori che ingentiliscono le partite).

P.S. Questo articolo è stato scritto nel mese di marzo di quest’anno per cui potrebbero mancare i nomi di alcuni amici calciatori; per questo chiedo umilmente scusa.


Zorro


Tutto ciò che non sapete sui diavoli rossi


Per quanto riguarda la sportività e l’organizzazione dei tornei c’è stata la partecipazione di tutti o quasi.
Orvieto mi ha insegnato una cosa: che ognuno di noi ha delle qualità e dei problemi, ma dobbiamo provare ad accettarci l’uno con l’altro, fare gruppo. Siamo un gruppo da anni e tutto ciò grazie al faticoso lavoro costante dei nostri operatori, infermieri ed educatori. Il loro compito è sicuramente stressante, difficile. Devono mettere insieme tanti pezzetti come se fossimo un mosaico. Fare convergere verso il centro tante parti diverse che da sole sono isole alla deriva. Basta pensare come è complicato formare il gruppo che prima di scendere in campo deve essere organizzato. Lo scopo è di fare giocare tutti sia chi è bravo, sia chi non ha la tecnica o le condizioni fisiche per giocare un tempo (anche solo dieci minuti). Siamo molto diversi. Chi non passa la palla, chi prende la gara come una competizione o agonismo eccessivo. Non è facile per Mino o per Giorgio fare i cambi e avere una squadra ben bilanciata, pur sempre competitiva. Siamo diversi con i nostri problemi e cercare di andare d’accordo anche se non sempre è facile andare d’accordo. Allora mi direte che facciamo? Gliela diamo su? No!!!
Non intendo trovare una soluzione ai tanti problemi che sorgono in campo, sia a calcio sia nella pallavolo. Considero che finora le esperienze fatte con l’U.S.L. siano state efficaci per stare meglio per la nostra salute mentale. Sia per me, sia per altre persone. Credo che ogni gita, ogni torneo può essere un aiuto a stare meglio con se stessi, ma anche con chiunque ci sta vicino. Certo le incomprensioni possono nascere anche in una famiglia, ma dopo una burrasca c’è sempre il sereno. Elisa mi ha fatto capire durante un breve discorso con me che era uno spettacolo gioioso vedere tanti ragazzi (c’era qualche ragazza che correva dietro un pallone) giocare insieme. Tutti che sorridevano contenti di indossare una maglia con le scarpette sull’erba di un prato meraviglioso. Da credente (ma se uno non crede avrebbe la stessa sensazione) Elisa mi ha detto: “Non vedi come è meraviglioso tutto ciò” guardando i giocatori mentre una luce chiara e immensa aveva preso il posto nel cielo notturno, e i fari dello stadio si erano accesi. Credo che in questo scenario tutti abbiano sognato almeno un attimo di essere veri giocatori di calcio, e fossero felici.


Stefano


Torneo Nazionale di calcio a otto


Stadio comunale di Orvieto.
Come è andata l’esperienza di calcio a otto ad Orvieto. Per quello che ho potuto notare, ci siamo divertiti e siamo stati bene in compagnia.
Sul campo di gioco abbiamo disputato buon gioco nonostante le circostanze dei nostri giocatori, da qualcuno mi aspettavo qualche giocata; con un po’ più di determinazione e concentrazione, sia come qualità. Anche meno timorosi. Come siano andate le cose siamo arrivati secondi e miglior gioco in campo.
Orvieto mi è piaciuta moltissimo, sia come città sia come persone; mi è parsa una città molto tranquilla e ospitale. Il centro è pieno di monumenti. Volevo anche ricordare che abbiamo giocato al torneo di pallavolo nel quale mi sono divertito molto con i miei compagni di squadra e altri gruppi. Anche se siamo arrivati ultimi abbiamo fatto buone e belle azioni; comunque l’importante è giocare per divertirci del nostro meglio. Così come è sembrato il patrocino per l’integrazione e inserimento nel mondo dello sport, lavorativo, nella vita quotidiana e soprattutto nelle proprie qualità di vita.
Questi convegni dovrebbero servire per stare in compagnia, ma non solo nello sport si come oltre tutto mi pare che vengono presentati discorsi, che non servono nel mondo dell’integrazione sociale, perché c’è troppo egoismo sociale. E tutto questo può comportare che i convegni che vengono eseguiti ritornano utili, comunque l’importante è saper valutare le cose.
In albergo ho provato a dialogare con altri gruppi ma mi è parso di parlare con persone adulte con grandi problemi dello stare insieme, bisogna trattarli come bambini non è bello dirlo ma questa è la realtà. Io purtroppo non so cosa fanno queste persone nella vita quotidiana, siccome non esiste solo lo sport, mi sembrerebbe anche giusto parlare di altre cose come il mondo del lavoro, studiato su quello che uno pensa, bisogna tenere presente che devono affrontare la vita con passi molto piccoli.
Una cosa che ritengo giusta che dobbiamo continuare a giocare tutti, perché nessuno in campo è più bravo dell’altro, siamo una squadra, dove ognuno di noi gioca per quello che sa fare.


Andrea


Come è facile ammalarsi e che fatica curarsi


Un vecchio signore mi disse: ”i mali arrivano in carrozza e se ne vanno a piedi”. E così, di punto in bianco, mi sono trovato ammalato.
Dapprima problemi di attenzione, poi pensieri strani mi hanno portato via, via, a isolarmi sempre più. Non mi fidavo più di nessuno, avevo continuamente la sensazione di essere controllato ed ero a disagio in tutti i contesti: in particolar modo nello studio e nel lavoro.
In famiglia non hanno compreso la mia malattia non sapevano come aiutarmi così hanno preso vita divergenze di opinioni.
La ragazza che avevo si mise contro i miei genitori: pensava che la causa dei mali fossero loro. Mi trovai tra due forze opposte: i miei genitori e la mia ex. Di amici della mia età non ne avevo: per studiare e lavorare li avevo persi tutti. I compagni di studio che avevo non mi hanno capito e io non avevo capito loro: di qui ancora più smarrimento, solitudine e paura del futuro.
Sul lavoro mi hanno spostato da un reparto di maggior responsabilità ad uno minore che non mi permetteva di esprimere quanto avevo appreso dallo studio. Come se non bastasse ebbi dei battibecchi con i colleghi. La morsa si faceva sempre più restringente.
Mille e più paure di aver traumatizzato una bambina per non averla redarguita adeguatamente durante il tirocinio nei “nidi”.
Ma ciò non bastava: mi rubarono la macchina comprata a rate.
Pazienza.Ritrovata l’auto un camion mi tampona e non ne voleva sapere di darmi ragione. Pazienza.
Alla “dieci colli”, 130 Km di gara in bicicletta, finisco stremato e in ritardo rispetto a quelle che erano le mie aspettative.
Ero veramente a terra, non riuscivo più ad orientare lo sguardo, la depressione mi portava guardare verso il basso. Questo mio atteggiamento corporeo mi fece temere di perdere il posto a scuola e sul lavoro perché inadatto alla professione. Scuola in cui avevo investito tutto: me medesimo, i pochi soldi che avevo, tutto il tempo libero, tutto l’amore per la professione.
L’ infarto a mio padre. Scoppio sul lavoro. Piangevo e alcuni colleghi ridevano della mia condizione. Cosa fare, a chi chiedere aiuto, non sapevo che fare, non potevo gridare. Dio mio!
Per fortuna un medico che di li passava mi diede due numeri telefonici di psicologi. Li cominciava la mia terapia: era il settembre del 1996.


Zorro


LA REDAZIONE


Facchinetti Paolo (caporedattore)
Tolomelli Fabio, Cristina Cavicchi, Tonelli Andrea,
Stefano Spisni, Roberto Finotello
e tutti quelli che si vogliono aggiungere


La gioia è un battito d'ali


Lei entrò nella stanza nella sua vestita migliore, il che la rendeva più sicura e attraente al tempo stesso. In chi la vedeva si sprigionava una gioia interiore intensissima. illuminante. Non si poteva fare a meno di guardarla e chiedersi che cosa si nascondeva dietro quelle vesti militareggianti. Quella sera Gloria aveva curato particolarmente il suo viso d’angelo per l’incontro con Paolo. Si erano conosciuti il giorno prima in un pub. Studente impegnato e capace al primo anno di medicina lui; allieva all’accademia di belle arti creative e audace in tutte le forme espressive lei.
L’appuntamento era per le dieci all’irish pub. Dieci meno cinque. Lei lo attendeva, quando una folata di vento fece si che la porta si schiuse dipanando il fumo di tabacco che regnava in quell’ambiente lasciando vedere i tratti somatici maschili ben definiti del giovane medico. Gloria si guardava attorno smarrita; i due si videro si vennero incontro con il con il cuore in gola e non appena si sfiorarono le mani un esplosione di gioia in un battito d’ali; ma subito dopo come serpeggiar sul fondo una funesta ala li avvolse per metà e dalla quale si fletteva come un abbraccio che li voleva insieme e chissà che non fosse il braccio della morte.
Si sedettero al tavolo. “Come stai”, disse lui. “Benissimo”, rispose lei, senza riuscire nascondere l’emozione di gioia attraverso un luminoso sorriso.
Sebbene si fossero da poco conosciuti Paolo sentiva una fortissima attrazione di abbracciare e baciare quel sensualissimo corpo e quelle morbidissime labbra. Si ingorgavano pensieri del tipo: è troppo bella, la conosco da poco tempo, è molto giovane; non voglio farmi conoscere per quello che ho, ma per quello che sono. Appena potè interruppe i suoi pensieri disse: “il tuo profumo è tanto fragrante e delicato che inebria e si sposa armoniosamente con il tuo viso”. Anche se in realtà i suoi pensieri erano ben più passionali.
Lei trovò banale e rindondante la frase; ma era certa che dietro quelle sembianze classiche e ordinarie si nascondeva un puro sangue da corsa. Così gli propose: facciamo una gara a birra e salsiccia”. Paolo rimase letteralmente spiazzato, la mimica facciale si congelò. “Si, perchè no”. Rispose. “Ma mettiamo in palio qualcosa, chi perde va sul palco del piano bar e canta l’inno d’Italia”.
Mangiarono e bevvero “l’impossibile”, misero ridendo a nudo le reciproche personalità. Lo stesso oste si meravigliò di quanto risero i due e di quanto ebbero ingurgitato. Siccome finirono pari cantarono a scuarciagola l’inno, ma già alla seconda strofa tutto il pub accompagnava in coro i versi della canzone nazionale.
Dopo il fragoroso applauso finale i due salutarono e uscirono dal locale per andare in auto verso casa che distava ad una cinquantina di kilometri di strada normale. Paolo era stanchissimo, la mente era annebbiata dall’alcool , le emozioni fortissime lo facevano sognare e quindi distrarre dalla guida.
La strada era dritta, ma gli occhi si chiudevano. Per cercare di stare sveglio si accese una sigaretta che ebbe l’effetto contrario. Non vide il semaforo rosso. Prima un colpo a destra, poi uno a sinistra. Sentirono dalla fronte scendere un liquido caldo. Guardarono in alto cos’era. Non cera più la cappotta; ma un freddo cielo pieno di stelle. Le teste si abbassarono sotto il peso della gravità; gli occhi si incrociarono per l’ultima volta e fu in quel momento che i due capirono che nel firmamento ci sarebbero state due nuove stelle.


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