Editoriale: Perché questo giornale


Questo bimestrale nasce da un’idea mia, Fabio Tolomelli, e della mia amica, Cristina Cavicchi. Lo scopo è di far emergere i problemi di chi soffre di patologie che inevitabilmente si ripercuotono sulla psiche sia a casa che in ospedale, per la strada come in famiglia e nel tempo libero come sul lavoro, nella scuola come nell’università. Il giornale sarà formato dagli articoli che gli utenti della sanità, ma non solo, scriveranno secondo il canale espressivo da loro preferito: racconti, vissuti, poesie, foto, disegni sculture. Ogni bimestre, inoltre, verrà proposto un tema su cui lettori potranno orientare ii loro lavoro. Il tema di questo numero è sull’AMICIZIA.
A tutto questo si aggiungeranno le risposte dei professionisti della sanità, delle strutture sanitarie e associative, la parola della chiesa, e interviste a chi soffre e a chi cura. In questo modo il giornale sarà come un vero faro, punto di riferimento per chi la tempesta della vita e le sue vicissitudini lo ha fatto perdere nel mare della sofferenza. Grazie a questo strumento potrà vedersi e sentirsi meno solo.
La redazione si impegnerà a trovare e creare momenti di festa in cui il materiale prodotto verrà esposto. I partecipanti potranno dare vita a nuove amicizie e spazio alla loro creatività con canti e balli fino a tarda sera.



IL MATERIALE si può spedire a fabio. tolomelli@libero.it. 0 depositarlo nelle accettazioni dei servizi sanitari che provvederanno a spedirlo al C.S.M. San. Camillo.


(f.t.)


Qualcosa di nuovo

Intervento del Dott. Michele Filippi



Vorrei dire che cosa suscita in me l’idea del Faro.
Mi presento. Faccio lo psichiatra nel Centro di Salute Mentale di S.Lazzaro. Per me questo lavoro e importante, ho desiderato farlo fin dalla adolescenza. Quello che ho sperato si è in parte realizzato. È un lavoro infatti che coincide con la possibilita di essere in contatto con altre persone, in un contatto che, non sempre ma spesso, può essere molto profondo. È una occasione di scambio di pensieri, di affetti, di tratti di vita.
Penso che lo scambio di qualcosa di sé tra le persone sia forse la cosa piu bella che si possa vivere. È comunque fra le piu importanti. Senza di essa non si riesce a vivere bene. È con questo scambio che il nostro animo e la nostra mente si arricchiscono e si trasformano continuamente. E questo vuol dire essere “vivi”. Quando siamo abbastanza fortunati e la vita quotidiana che ce ne offre la possibilità. Un “lavoro” come il mio (che e un “lavoro”, ma ci vogliono anche le virgolette) e una delle possibilità in più che si puo avere quando il contatto con gli altri attraversa un periodo di difficoltà. O lo attraversa il contatto con se stessi.
Ma sono in parte anche scontento del lavoro che faccio. Si svolge dentro ad uno schema piuttosto rigido. Secondo questo schema, di massima, lo psichiatra, o l’operatore in genere, e quello che sa, quello che puo fare, quello che dà, quello che ha la responsabilità. Il paziente, e chi gli sta vicino, e quello che sta male, che chiede aiuto, che riceve, che non sa fare. Certo, le cose devono poter essere anche così. L’operatore deve essere competente e responsabile. Il problema e che la rigidità dello schema riduce molto quella possibilità meravigliosa, e utilissima, che è lo scambio di esperienze e di saperi. Utilissima per tutti. È quello che anche a Bologna cominciamo a chiamare, con una espressione un poco riduttiva, l’esperienza del “fare insieme”.
È in questo senso che "II faro" rappresenta qualcosa di nuovo. È nuovo che l’iniziativa sia soprattutto di persone che vivono un disagio mentale (ma chi non vive un disagio mentale?). È nuovo che si voglia parlare di esperienze vere, con autenticità, senza eludere il tema del disagio psichico. È nuovo che si cerchi di coinvolgere in questo scambio di pensieri persone che sono seguite dai servizi di salute mentale, loro familiari, operatori e chiunque sia interessato. È nuovo ed e molto bello che tutto questo lo si vuole fare non per esibirsi, ma per incontrarsi. E magari divertirsi.
Penso che questo giornale potrà diventare una cosa “seria” e importante per molti. Credo che potrà essere appassionante lavorarci. Spero che noi operatori lo potremo vedere come una buona occasione, per noi.


Michele Filippi


Voltaire: il contratto fra due persone


Scrive Voltaire a metà del ‘700:
“L’amicizia è un contratto tacito fra due persone sensibili e virtuose. Dico sensibili, perché un monaco,un solitario possono non essere malvagi e vivere senza conoscere l’amicizia. Dico virtuosi, perché i malvagi hanno solo complici i voluttuosi compagni di bagordi, gli interessati hanno dei soci, i politici radunano dei faziosi, il basso ceto degli oziosi ha degli intrighi, i principi dei cortigiani. Solo gli uomini virtuosi hanno degli amici.” Continua: “...che cos’è la virtù? Carità verso il prossimo. Posso chiamare virtù altra cosa di ciò che mi fa del bene. [...] lo sono in pericolo, tu corri in aiuto; mi ingannano, tu dici la verità; mi trascurano, mi consoli; sono ignorante, tu mi istruisci”.


***


L'importanza dei rapporti umani


In questo momento della mia vita avere delle amiche è molto importante, mi aiuta a superare il senso di solitudine che provo da quando il mio ragazzo mi ha lasciata. Ma non è stata sempre così, in passato non ho dato il giusto valore all’amicizia. Ho avuto, per causa mia, degli screzi con quelle che erano le mie migliori amiche e, anche se in seguito mi hanno perdonata, i nostri rapporti si sono un po’ raffreddati. Le cose sono ulteriormente peggiorate quando mi sono ammalata. Ho chiuso con tutte le amiche, ho cercato un lavoro dove non dovessi parlare con nessuno dalla mattina alla sera e sono andata ad abitare da sola. Insomma uno stato di isolamento totale che mi è servito a rivalutare l’importanza dei rapporti umani compresi quelli dell'amicizìa. Ora sto meglio e sono molto orgogliosa delle mie nuove amiche, alla veneranda età di trentanove anni, che non fossero compagne di classe.


Nikki


Amicizia in poesia


Adorare la vita con umiltà
grazia e spontaneità.
Aprire il cuore con leggerezza
candida purezza.

Volare verso spazi infiniti.
Innalzare l'anima alla speranza
alla gioia di accogliere uomini e donne
essenza di amore eterno.


A un amico


La vita è un mistero.
Fa conoscere la sfortuna
anche a chi dona amore vero.
Tu ci insegni a lottare,
cantare
giocare contro il dolore.
Con la tua umile
e spontanea umanità,
dai forza al nostro cuore.


Alessandro Rizzo


Angeli con la chitarra


Il Dott. Costa ha organizzato un gruppo di giovani amici che una volta al mese si impegnano a rallegrare l’umore dei nostri anziani con canti e balli. Anch’io, pur non essendo molto intonata, faccio parte di questo gruppo da qualche anno. Operiamo su tre Case di riposo diverse a Casalecchio: villa Milla, villa Letizia, villa Iris. Ci aiutano anche i bambini del catechismo della Parrocchia di San Giovanni.
Questa attività che viene svolta di sabato è molto divertente e mi piace molto perché mi sento importante e faccio sentire meno soli, anche se solo per poche ore, persone alle quali tengo molto e che potrebbero essere i miei nonni.
Il nostro repertorio di canzoni è molto originale perché sono tutte canzoni di epoca che piacciono agli anziani; la cosa pur non essendo il mio genere mi arricchisce di affetto, semplicità e saggezza


Cristina Cavicchi


Lettera aperta agli amici di San Patrignano


Carissimi amici di San Patrignano,
volevo ringraziarvi per quello che mi avete dato umanamente durante il corso tenuto aH’intemo della vostra struttura. Quando sono venuto la prima volta un’impatto organizzativo ottimo. Poi ho cominciato a conoscervi, un po’ della vostra storia, le vostre esperienze, i vostri progetti.
Al contrario di quello che è lo stereotipo del tossicodipendente ho trovato facce pulite, e mani laboriose in un contesto ambientale forse un po’ fuori dalla realtà urbana (ma probabilmente è giusto così).
Il tempo sembra essersi fermato, i giorni vengono scanditi dal ritmo naturale della vita. Non c’è il cartellino da timbrare, né il traffico delle ore di punta; ma solo un sano lavoro che anche se faticoso rende onore a chi lo pratica. L’amicizia, il rispetto, la correttezza sono cose che si sentono vive e palpitanti.
Quando si entra a San Patrignano ci si sente uomini con la propria personalità in mezzo ad altri uomini e donne con la propria identità che si aiutano l’un l’altro ad essere sé stessi e crescere con la semplice presenza umana.
Per questo vi ringrazio e mi piacerebbe rendervi la gioia che mi avete dato.


Zorro


Amicizia, veicolo di speranza


L’amicizia è in noi un atteggiamento che traduce concretamente uno degli aspetti dell’amore, realtà iridescente che svela una molteplicità di colori, dei quali essa è il più semplice, comune e universale. Il suo contenuto - che coinvolge intelligenza, volontà, sensibilità - ha come sorgente il cuore, sede dei sentimenti umani e si rivolge in duplice direzione: verso Dio e verso il fratello.
Nel primo caso essa è “risposta” ad un amore che, scaturendo dal Padre - attraverso Cristo e nello Spirito Santo rigeneratore - guarisce in noi le ferite della solitudine provocata dall'egoismo proprio ed altrui, ci rende capaci di accogliere il dono di Dio e di “contraccambiare", dando così un senso alla vita; nella dimensione orizzontale si rivolge al prossimo, ritenuto meritevole di attenzione: perché utile e/o dotato di qualità particolari o - elevando spiritualmente il rapporto amicale e assicurandogli merito, durevolezza e fecondità - come attuazione della parola di Gesù, presente in ogni persona che ci sta accanto ed è nel bisogno, (cfr Mt 25,31 ss.).
Un proverbio dice: “Chi trova un amico trova un tesoro’’. L’espressione ha sapore biblico - sapienziale (cfr. Eccles. 6,5-16) e diventa veicolo di autentica speranza. Percorrere un tratto di strada con l’amico sincero dimezza la fatica del tragitto e fa tendere con sicurezza alla meta, perché lui si fa carico dei nostri pesi... ma al contempo ci impegna ad agire allo stesso modo nei suoi confronti, consapevoli che l’autentico amore non consiste tanto nel ricevere, ma nel “darsi” all’altro... e, ad imitazione di Cristo, evangelicamente coincide col “sacrificio della vita” per lui. (cfr Gv. 15,13).
Questo realizza pienamente la nostra esistenza nella “oblatività” pura, in una carità che trova ragion d’essere e appagamento nel donarsi gratuitamente. Ci aiuta ad entrare in tale ottica la preghiera di san Francesco: Signore, fa di me uno strumento della tua pace... dov’è odio io porti l’amore... dov’è offesa io porti il perdono... dov’è discordia io porti l’unione...dov’è dubbio io porti la fede...dov’è errore io porti la verità... dov’è disperazione io porti la speranza... dov’è tristezza io porti la gioia... dove sono le tenebre io porti la luce... Maestro, fa che io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare... di essere compreso quanto di comprendere... di essere amato quanto di amare... poiché dando si riceve, perdonando si è perdonati, morendo si risuscita a vita eterna.


Padre Ermanno Serafini


La gioia è un battito d'ali


Lei entrò nella stanza nella sua vestita migliore, il che la rendeva più sicura e attraente al tempo stesso. In chi la vedeva si sprigionava una gioia interiore intensissima, illuminante. Non si poteva fare a meno di guardarla e chiedersi che cosa si nascondeva dietro quelle vesti militareggianti. Quella sera Gloria aveva curato particolarmente il suo viso d’angelo per l’incontro con Paolo. Si erano conosciuti il giorno prima in un pub. Studente impegnato e capace al primo anno di medicina lui; allieva all’accademia di belle arti creative e audace in tutte le forme espressive lei.
L’appuntamento era per le dieci all’irish pub. Dieci meno cinque. Lei lo attendeva, quando una folata di vento fece si che la porta si schiuse dipanando il fumo di tabacco che regnava in quell’ambiente lasciando vedere i tratti somatici maschili ben definiti del giovane studente. Gloria si guardava attorno smarrita; i due si videro si vennero incontro con il con il cuore in gola e non appena si sfiorarono le mani un esplosione di gioia in un battito d’ali; ma subito dopo come serpeggiar sul fondo una funesta ala li avvolse per metà e dalla quale si fletteva come un abbraccio che li voleva insieme e chissà che non fosse il braccio della morte.
Si sedettero al tavolo. “Come stai”, disse lui. “Benissimo”, rispose lei, senza riuscire nascondere l'emozione di gioia attraverso un luminoso sorriso. Sebbene si fossero da poco conosciuti Paolo sentiva una fortissima attrazione di abbracciare e baciare quel sensualissimo corpo e quelle morbidissime labbra. Si ingorgavano pensieri del tipo: è troppo bella, la conosco da poco tempo, è molto giovane; non voglio farmi conoscere per quello che ho, ma per quello che sono.
Appena potè interruppe i suoi pensieri disse: “il tuo profumo è tanto fragrante e delicato che inebria e si sposa armoniosamente con il tuo viso”. Anche se in realtà i suoi pensieri erano ben più passionali. Lei trovò banale e rindondante la frase; ma era certa che dietro quelle sembianze classiche e ordinarie si nascondeva un puro sangue da corsa. Così gli propose: facciamo una gara a birra e salsiccia". Paolo rimase letteralmente spiazzato, la mimica facciale si congelò. “Si, perchè no”. Rispose. "Ma mettiamo in palio qualcosa, chi perde va sul palco del piano bar e canta l’inno d’Italia”.
Mangiarono e bevvero “l’impossibile”, misero ridendo a nudo le reciproche personalità. Lo stesso oste si meravigliò di quanto risero i due e di quanto ebbero ingurgitato. Siccome finirono pari cantarono a scuarciagola l’inno, ma già alla seconda strofa tutto il pub accompagnava in coro i versi della canzone nazionale. Dopo il fragoroso applauso finale i due salutarono e uscirono dal locale per andare in auto verso casa che distava ad una cinquantina di kilometri di strada normale.
Paolo era stanchissimo, la mente era annebbiata dall’alcool , le emozioni fortissime lo facevano sognare e quindi distrarre dalla guida. La strada era dritta, ma gli occhi si chiudevano. Per cercare di stare sveglio si accese una sigaretta che ebbe l’effetto contrario. Non vide il semaforo rosso. Prima un colpo a destra, poi uno a sinistra. Sentirono dalla fronte scendere un liquido caldo.
Guardarono in alto cos’era. Non cera più la cappotta; ma un freddo cielo pieno di stelle. Le teste si abbassarono sotto il peso della gravità; gli occhi si incrociarono per l’ultima volta e fu in quel momento che i due capirono che nel firmamento ci sarebbero state due nuove stelle.


Alessia e Fabio


Come è facile ammalarsi e che fatica curarsi


Un vecchio signore mi disse: ”i mali arrivano in carrozza e se ne vanno a piedi”.
E così, di punto in bianco, mi sono trovato ammalato.
Dapprima problemi di attenzione, poi pensieri strani mi hanno portato via, via, a isolarmi sempre più. Non mi fidavo più di nessuno, avevo continuamente la sensazione di essere controllato ed ero a disagio in tutti i contesti: in particolar modo nello studio e nel lavoro.
In famiglia non hanno compreso la mia malattia non sapevano come aiutarmi così hanno preso vita divergenze di opinioni.
La ragazza che avevo si mise contro i miei genitori: pensava che la causa dei mali fossero loro. Mi trovai tra due forze opposte: i miei genitori e la mia ex.
Di amici della mia età non ne avevo: per studiare e lavorare li avevo persi tutti.
I compagni di studio che avevo non mi hanno capito e io non avevo capito loro: di qui ancora più smarrimento, solitudine e paura del futuro.
Sul lavoro mi hanno spostato da un reparto di maggior responsabilità ad uno minore che non mi permetteva di esprimere quanto avevo appreso dallo studio. "Come se non bastasse ebbi dei battibecchi con i colleghi. La morsa si faceva sempre più restringente. Mille e più paure di aver traumatizzato una bambina per non averla redarguita adeguatamente durante il tirocinio nei “nidi”.
Ma ciò non bastava: mi rubarono la macchina comprata a rate. Ritrovata l’auto un camion mi tampona e non ne voleva sapere di darmi ragione. Pazienza.
Alla “dieci colli”, 130 Km di gara in bicicletta, finisco stremato e in ritardo rispetto a quelle che erano le mie aspettative. Ero veramente a terra, non riuscivo più ad orientare lo sguardo, la depressione mi portava guardare verso il basso. Questo mio atteggiamento corporeo mi fece temere di perdere il posto a scuola e sui lavoro perché inadatto alla professione. Scuola in cui avevo investito tutto: me medesimo, i pochi soldi che avevo, tutto il tempo libero, tutto l’amore per la professione.
L’ infarto a mio padre. Scoppio sul lavoro. Piangevo e alcuni colleghi ridevano della mia condizione. Cosa fare, a chi chiedere aiuto, non sapevo che fare, non potevo gridare. Dio mio! Per fortuna un medico che di li passava mi diede due numeri telefonici di psicologi. Li cominciava la mia terapia: era il settembre del 1996.


Zorro


Vivere, credere, sperare nella recovery


Per recovery si intende un percorso elaborato da Ron Coleman attraverso il quale il malato mentale, ma non solo, prende coscienza di se stesso e dei propri sogni e va verso un quadro di benessere superiore (guarigione), cancellando le stigmate e la classificazione di malato cronico irrecuperabile.
Sono giunto alla conoscenza di questo metodo grazie al Dr. Filippi che mi ha detto dell’esistenza di un corso alla recovery che si sarebbe tenuto a Torino per la durata di quattro giorni dalle 9.30 del mattino fino alle 18.30. Insieme al dottore siamo partiti in treno verso il capoluogo piemontese. Il tempo è volato. Durante il viaggio ho parlato a lungo della mia vita e mi sono sentito capito. Cosa non piccola! Pure il dottore si è aperto; ha avuto fiducia in me. E’ nata così una relazione d’amicizia molto onesta e sincera, per quanto singolare. L’albergo in cui si teneva il corso era una ex dimora estiva per una famiglia possidente di Torino. Tramite una donazione ora è proprietà dell’università Cattolica di Torino. Qui ci hanno ospitato con molta gentilezza anche se era un po’ freddo. Nei quattro giorni il tempo è volato via rapidissimamente. Nel viaggio di ritorno si è aggregata Giulia con la quale si è parlato di tante cose interessanti, soprattutto progetti e problemi professionali.
Tornando alla definizione molto personale della recovery, la cosa più importante che ho capito consiste nel fatto che la coscienza esatta, precisa e immodificabile di me stesso è impossibile; quello che sono ora è qualcosa di diverso da quello che ero dieci minuti fa. Per cui quello che è stato il mio ostinarmi in una angosciosa continua ricerca solitaria di me stesso è stata un’impresa ardua, poco produttiva e a volte nociva. Ho scoperto invece che è molto più nutriente, rassicurante e produttivo seguire il processo della recovery. Essa metodologicamente permette di dettagliare come siamo in quel momento, quelli che sono i nostri sogni e quelli che sono gli incubi o problemi che ci frenano o impediscono nella realizzazione o avvicinamento alle nostre mete. Per cui una volta delineati, descritti e compresi si può iniziare il percorso di guarigione attraverso una serie di strategie che permettono di avvicinarsi al sogno contenendo e limitando l’effetto negativo dell’incubo. E così che durante il corso ho capito che soddisfando i miei sogni e superando le mie paure ottenevo una migliore definizione di me stesso e dei miei bisogni reali. Per capire me stesso e il contesto socioambientale in cui vivo è stato determinante il disegno che raffigurava me stesso richiesto da Ron Coleman. Attraverso il disegno, la definizione più precisa della realtà in cui vivo, l’immagine più dettagliata della mia personalità e dei miei obiettivi ha fatto si che la visione del mio futuro diventasse meno utopistica e al tempo stesso meno pessimista e negativista.
Il seguire la metodica mi ha fatto sentire più sicuro, meno solo e con una direzione certa che mi permette di superare dubbi insolubili e paure. La recovery è un processo molto ampio, a misura d’uomo; sperando di non fare cosa sgradita a Ron sintetizzo le tappe della recovery, così come le ho capite: 1. cosa fare qui, proprio adesso; 2. chi mi aiuta; 3. devo essere forte (quali sono le mie risorse); 4. si questo è il mio primo passo; 5. azioni per i prossimi passi.


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La recovery non è solo questo, ma molto di più


Le emozioni che ho vissuto durante il corso rimarranno scolpite nella memoria, la loro portata è stata enorme per il fatto che erano il frutto di esperienze dirette vissute li, durante il corso e non il frutto di una pedante serie di lezioni.
Durante una delle attività di disegno ero in coppia con Michele. Con lui abbiamo disegnato reciprocamente i sogni e le paure reciproche. Così ho visto per la prima volta la raffigurazione di questi aspetti fuori da me e mi sono sentito rassicurato per il fatto che erano stati interpretati per come li vivo senza critiche e negazioni; ma con una forte carica di realizzabilità. E’ stato poi molto gratificante il fatto che anche Michele abbia condiviso le mie stesse emozioni. Un altro momento topico si è verificato in apertura al corso, quando Ron, guardandomi negli occhi mi ha detto senza mezzi termini: “tu stai recitando”. Questo mi ha fatto capire diverse cose. La prima è che i problemi non vanno negati né raggirati in modo inconcludente; ma quando è possibile affrontati in modo sereno e tranquillo, cercando di superare le paure di quello che si è. Un’altra conseguenza dell’occhiata è stata la comprensione di essere, quando il contesto lo permette, più schietti e diretti nella relazione con altre persone senza troppe angosce di fare del male, essere frainteso, o generare fastidio nell’altro.
Meraviglioso è stato il legame instaurato tra i partecipanti al corso che ha dato vita ad un gruppo molto unito e costruttivo. Il prodotto è stato ottenuto dalla sincerità e trasparenza con cui ognuno ha rappresentato sé stesso e il sotto gruppo formato durante le attività del corso.
Poca docenza ridondante; ma tante esperienze. Importantissima è stata la scoperta mediante materiale bibliografico che esistono psicologi, anche docenti e molto importanti, affetti da schizofrenia. Per me è stato un respiro ristoratore che mi ha restituito la speranza di uno stato maggiore di salute che mi permetta di fare il lavoro che ho scoperto di sognare e che mi sono dovuto negare per la malattia: lavorare in un team di medicina psicosomatica.
Concludo affermando che stata una esperienza che cambia la vita; cambiare si può, stare meglio anche.


Zorro


Chi sono i “Diavoli Rossi” e cosa fanno


Sono angeli caduti dal cielo sotto il peso di un senso di colpa troppo grande per la loro sensibilità. Arrivati a terra non sapevano cosa fare, ma, per fortuna, sante persone (operatori del D.S.M.) ci hanno trovato e aiutato a togliere la maglia di malato per indossare quella di diavoli rossi.
Così vestiti ci troviamo a giocare a pallone e scopriamo la bellezza di stare in compagnia. Muovendoci sciogliamo i muscoli dalle tensioni interne e percepiamo meglio il nostro corpo. Respiriamo e ci asteniamo dalle sigarette dando tregua ai polmoni che ossigenano meglio il cervello permettendo una mente più lucida. Grazie allo stare insieme conosciamo persone con problemi analoghi che spontaneamente si aiutano a risolverli con la semplice e spontanea presenza umana. CHI, COME, DOVE, QUANDO, PERCHE’.
I diavoli rossi - ideati da diversi operatori - si incontrano tutti i mercoledì mattina per fere allenamento (nel centro sportivo di Casalecchio di Reno dalle 10.00 alle 13.00). L’allenamento prevede una serie di esercizi di ginnastica e riscaldamento seguiti poi da una divertente partitella. Al termine ci ritrova insieme per mangiare una pizza. Durante l’anno si partecipa a tornei di calcio e pallavolo a carattere nazionale dove ci si integra con persone provenienti da altre località e tradizioni riscoprendo il piacere dello stare insieme.


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Tutto ciò che non sapete sui Diavoli Rossi


Per quanto riguarda la sportività e l’organizzazione dei tornei c’è stata la partecipazione di tutti o quasi.
Orvieto mi ha insegnato una cosa: che ognuno di noi ha delle qualità e dei problemi, ma dobbiamo provare ad accettarci l’uno con l’altro, fare gruppo. Siamo un gruppo da anni e tutto ciò grazie al faticoso lavoro costante dei nostri operatori, infermieri ed educatori. Il loro compito è sicuramente stressante, difficile. Devono mettere insieme tanti pezzetti come se fossimo un mosaico. Fare convergere verso il centro tante parti diverse che da sole sono isole alla deriva. Basta pensare come è complicato formare il gruppo che prima di scendere in campo deve essere organizzato. Lo scopo è di fare giocare tutti sia chi è bravo, sia chi non ha la tecnica o le condizioni fisiche per giocare un tempo (anche solo dieci minuti). Siamo molto diversi. Chi non passa la palla, chi prende la gara come una competizione o agonismo eccessivo. Non è facile per Mino o per Giorgio fare i cambi e avere una squadra ben bilanciata, pur sempre competitiva. Siamo diversi con i nostri problemi e cercare di andare d’accordo anche se non sempre è facile andare d’accordo. Allora mi direte che facciamo? Gliela diamo su? No!!!
Non intendo trovare una soluzione ai tanti problemi che sorgono in campo, sia a calcio sia nella pallavolo. Considero che finora le esperienze fatte con l’U.S.L. siano state efficaci per stare meglio per la nostra salute mentale. Sia per me, sia per altre persone. Credo che ogni gita, ogni torneo può essere un aiuto a stare meglio con se stessi, ma anche con chiunque ci sta vicino. Certo le incomprensioni possono nascere anche in una famiglia, ma dopo una burrasca c’è sempre il sereno. Elisa mi ha fatto capire durante un breve discorso con me che era uno spettacolo gioioso vedere tanti ragazzi (c’era qualche ragazza che correva dietro un pallone) giocare insieme.
Tutti che sorridevano contenti di indossare una maglia con le scarpette sull’erba di un prato meraviglioso. Da credente (ma se uno non crede avrebbe la stessa sensazione) Elisa mi ha detto: “Non vedi come è meraviglioso tutto ciò” guardando i giocatori mentre una luce chiara e immensa aveva preso il posto nel cielo notturno, e i fari dello stadio si erano accesi. Credo che in questo scenario tutti abbiano sognato almeno un attimo di essere veri giocatori di calcio, e fossero felici.


Stefano


In che cosa consiste l'esperienza dei Diavoli Rossi


IN COSA CONSISTE L’ESPERIENZA DEI DIAVOLI ROSSI? Di primo acchito ci viene da rispondere: “ la voglia di ritrovarci di settimana in settimana, di volta in volta, di situazione in situazione”.
Esserci, dunque, nella maniera di testimoniare la nostra presenza che sia nel modo ludico, dell’entusiasmo, o anche dell’angoscia o della comprensione reciproca.
Ma al di là di ciò che è in gioco ci domandiamo anche quale bisogno si manifesta in questa esperienza, che è forse comune a tutte le esperienze relazionali, e cioè un bisogno di scambio.
Se tutto ciò sussiste noi lo testimoniamo in una dialettica di dare-avere, nella quale ogni individuo, nell’ambito definito e nella maniera che più gli è propria e consona, sia invitato a cercare quelli che sono i propri bisogni e gli strumenti più idonei a esprimerli.
Anche un problema di linguaggi, dunque. Se questa sembra la ragione d’essere dei Diavoli Rossi il motore trainante è quello dello stare insieme.
Ma lo stare insieme può essere sterile se alla base non c’è una volontà che lo informi.


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E allora chiediamoci cosa vuol dire stare insieme. Come abbiamo detto può voler dire molte cose diverse tra di loro che differiscono sostanzialmente le une dalle altre. Il nostro stare insieme vuol dire essere uniti nella diversità.
Ognuno di noi è portatore di una esperienza forse irriducibile ma nel contempo “dicibile”, cioè scambiabile con l’altro. Vale a dire che lo scambio può essere allora la condizione per cui la tua situazione può essere anche la mia e viceversa, cosicché relazionandomi mi arricchisco e arricchisco.


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Questi valori che riteniamo essere in gioco non corrispondono, a differenza di quanto avviene ormai a ogni livello di realtà, a logiche mercantili in cui tutto ciò che interviene in un processo viene quantificato in termini di entrate- uscite. A fronte di questi valori quantitativamente determinati noi proponiamo e affermiamo il valore aggiunto dell’amicizia e del ludico, con cui possiamo esprimere pulsioni non distruttive ma di associazione e di integrazione con l’altro, finalizzate anche ad un accrescimento personale contro l’aspetto di “ortopedia sociale” di certa psichiatria.


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Noi proponiamo una frattura, attraverso la nostra esperienza, con una cultura che vede il malato come una unità nosologica che introduce in una determinata categoria o casella medico-psichiatrica ottenuta attraverso una proposizione di razionalità oggettivante chiamata a porre a priori il limite fra normalità e patologia, fra salute e malattia dove, nello scenario di ciò che cade fuori da questo ambito di volontà oggettivante il “residuo”, ciò che manca, è portatore di patologia.


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Ma dove si colloca la patologia? Nel non poter essere soggetto a pieno titolo, o forse nell’essere portatori di bisogni diversi? Rispetto al concetto di un soggetto pieno, quasi tautologico, noi proponiamo l’idea di soggetto contraddistinto dalla mancanza, come certa psicoanalisi sa bene, insieme alla realtà di diversi bisogni capaci di integrare a pieno titolo ogni pluralità, la molteplicità stessa dell’esperienza, in vista di una razionalità nuova che sia anche esperienza del diverso.


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Attraverso una molteplicità integrata e nuova l’esperire diventa il tratto distintivo di questa nuova soggettività aperta a conoscere e integrare nuove identità dalle quali non sentirsi minacciati bensì stimolati ad allargare la razionalità stessa.
Nuove identità, nuovi bisogni, nuovi soggetti, in una nuova esperienza del mondo.


Giuseppe Degli Esposti


Grazie ai Diavoli, meglio del cellulare


In tema di amicizia, che cosa ne penso dei vari percorsi che ho compiuto con i Diavoli Rossi? Le mie esperienze di vita con questo gruppo sono veramente molto buone, perché grazie a loro ho potuto imparare molte cose importanti per poter stare sempre meglio, e per orizzonti più vivi sia nella vita che nello sport.
Mi rendo conto che l’amicizia di questi tempi toma molto difficile, per noi e per chi vediamo. E’ sempre più difficile parlare, scambiarsi buone parole di felicità, proporre su cosa fare, dove andare o accettare le parole per poter migliorare le proprie abitudini quotidiane. Ma si è sempre pronti a dire, quello ha fatto...., in sostanza tutti seguono il branco, senza rendersi conto di cosa è giusto o sbagliato, si pensa sempre che il branco fa la forza senza saper valutare che cosa è giusto o sbagliato, si vede come va il seguito di tutte le giornate, si vive di cose sempre più sconcertanti senza avere la propria dignità di vita.
Mi appare, quando si cammina o si passeggia, che la gente che si conosce fin da quando si era piccoli, non sanno più salutare, tutto questo per essere rivali migliori; comunque sia a me non fanno né caldo né freddo. L’importante è credere sempre nelle proprie risorse di vita, per me sono le cose più importanti, quelle che rafforzano il proprio carattere, ma bisogna fame oro, perché possono svanire in fretta, la gente è sempre pronta ad approfittarne, sia moralmente e anche per poter rubare appena l’oro toma facile.
Ricordo all’età di 16 fino all’età di 25 anni i ragazzi erano molto più disponibili nel formare una buona compagnia, il bello era che ci si trovava tutti alla tale ora, ci si scambiava varie opinioni, cosa hai fatto di bello al lavoro, ricordare le serate trascorse tra noi ó qualsiasi cosa che ci faceva ridere, le ragazzate che si facevano per poter migliorare le nostre giornate. Mi ricordo che si era sempre in 10 o più ragazzi, si sapeva sempre cosa fare, mentre adesso siamo muniti della grande invenzione, “il cellulare”, per me è la più grande stupidità che c’è.
Per adesso mi fermo qui, grazie infinite ai Diavoli Rossi. Bisogna sempre tenere per il nostro meglio.


Andrea Tonelli


Diavoli Rossi in versi


Giocatori
Contro le difficoltà della vita,
danno calci ad un pallone
tondo,
come il mondo
ogni giorno in salita.
Sono i Diavoli rossi
Uniti con dedizione
forza
e coraggio
per fare goal all'indifferenza
allo stigma e al pregiudizio
e concedere all’avversario
una sconfitta
o un pareggio


Alessandro Rizzo


Il programma 2007 dei Diavoli Rossi


Gli operatori del Gruppo Sportivo “Diavoli Rossi” in collaborazione con l’Azienda Usi di Bologna e l’UlSP (Unione Italiana Sport per tutti) hanno già stilato parte del programma di eventi per l’anno in corso. In complesso il totale delle ore previste per le manifestazioni assomma a 250 ore.
Dal 22 al 26 gennaio a Serramazzoni, nel Modenese, ha avuto luogo un soggiorno invernale.
Dall’ 1 all’8 giugno è previsto un soggiorno estivo a Palinuro (Salerno).
Ancora da stabilire luogo e data delle manifestazioni in calendario per ottobre-novembre e fine anno.


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Libero di andare in bicicletta


Premesso che credo nell’efficacia dei farmaci. Qualche tempo fa nonostante che la terapia mi fosse stata ridotta, lottavo minuto su minuto di veglia contro gli effetti collaterali dei farmaci. Sì perché depressione, angoscia e ossessione erano state in larga parte debellate. Rimaneva un ardua fatica contro attacchi di collera, perdita di equilibrio statico, perdite di forze, xchi che mi si sbarravano e mi impedivano di pensare e muscoli che si indurivano. Lo psichiatra mi rassicurava dicendo che sarebbero passati.
La bicicletta e la lettura erano le sole attività che mi permettevano di attenuare in piccola parte i fastidiosi effetti legati ai farmaci.
Purtroppo mi sono dovuto arrendere ai dispettosi effetti collaterali e ho richiesto il ricovero all’ospedale ARCIPELAGO dove curano a livello di assoluta eccellenza.
Ora i sintomi psicologici sono ben compensati; ma i disturbi fisici -sopra descritti-che accompagnano le medicine per quanto diminuiti si fanno ancora sentire. Attualmente mi sento al 60% delle mie possibilità. Questo mi crea grande frustrazione perché vorrei scaricare tutta la tensione, la forza e l’energia sui pedali della bicicletta. Invece mi trovo ad impiegare queste energie nel cercare di mantenere l’equilibrio, il respirare e il cercare di andare avanti. La caparbietà che mi ha sempre distinto nello sport mi porta a cercare di vincere le manifestazioni secondarie alle medicine e di vedere un giorno diminuite le dosi che mi affliggono anima e corpo.
Il mio sogno è di tornare a competere nel campionato amatori. Siccome non sono un fenomeno mi basterebbe fare il gregario per una squadra che è innanzi tutto un gruppo di amici che vede nel piazzamento di una individualità il frutto di un lavoro d’insieme. A me piace andare in bicicletta perché sento dialogare il microcosmo interiore (corpo e mente) con il macrocosmo esteriore (ambiente e il gruppo).
E’ un concetto un po' difficile da spiegare ma ora ci provo. Il macrocosmo con l’ambiente (il vento, le salite e le discese, la pioggia e sotto il sole) e con il gruppo (formato da compagni e avversari) con scatti e “controscatti” e ricuciture richiede un adeguamento costante del microcosmo: ossia il lavoro muscolare che deve essere compensato da una attività cardio-respiratoria.
Perché -come canta Ligabue- “quando hai dato troppo devi lasciare e dare posto”.
Quando la condizione psicofisica è adeguata è un grande piacere modulare lo sforzo in funzione di quelle che sono le esigenze dell’attività ciclistica. Uscire in gruppo è bello perché si ride e si scherza; ma quando si dice davvero si raggiungono velocità molto elevate (50 Km/h) ricavandone emozioni molto forti. Il paesaggio cambia velocemente. E’ come vivere in un sogno, le immagini volano veloci senza controllo. I polmoni si gonfiano, i muscoli si contraggono, il cuore scalpita; perbacco sono vivo!
Quando sono solo, con la mia bicicletta, in mancanza della compagnia tendo ad alternare due pensieri un po’ frustranti: la mia prestazione che vivo sempre inferiore alle mie aspettative, e le mie disavvenuture personali. Per fortuna interviene il paesaggio a rimettere armonia nel mio mondo interiore.
Anche se devo denunciare che l’opera dell’uomo riduce di giorno in giorno gli spazi a flora e fauna, che tanto importanti sono per me e per tutto il sistema ecologico.
Per questo sto bene in bicicletta: vivo, sento e sogno di essere libero.


f.t.


Il coraggio di fare


Agli operatori del Poliambulatorio del Servizio Salute Mentale di Castiglione dei Pepoii, Vado e del G.S. Diavoli Rossi.


Sono Paolo Facchinetti, 46 anni di esperienza giornalistica alle spalle. I ragazzi mi hanno voluto appioppare la pomposa qualifica di “caporedattore” di questo giornalino e l’ho accettata volentieri.
Caporedattore significa che coordino il lavoro di chi collabora al “Il Faro”, magari suggerendo anche il modo migliore per impostere gli articoli e impaginarli e proponendo idee. Ho accettato l’impegno dopo alcuni incontri con Fabio Tolomelli (la vera anima del giornale) e i suoi amici.
In questi incontri ho scoperto un universo che mi ha arricchito; persone sensibilissime e desiderose di fare, anime ricchissime e pronte a dare. Ragazzi con “problemi”, si definiscono. Ragazzi che hanno bisogno di cure, dicono. Sì, ragazzi, persone, come quasi tutti.
Tutti hanno problemi, evidenti o taciuti. Io ho i miei. Pochi però hanno il coraggio di denunciare i propri disagi e di affrontarli come fanno loro. Basta leggere un giornale e ti accorgi di quanta gente oggi abbia bisogno di aiuto e non avendo il coraggio di chiederlo, implodono.
Oggi il coraggio è merce rarissima ed è per questo che ho apprezzato questi amici. Che si sono avvicinati con entusiasmo all’idea di un loro giornalino e poi con euforia a quella di realizzarlo.
Non badate alla forma degli scritti, volutamente sono stati lasciati errori, qui non c’è alcun letterato. Conta la sostanza, la spontaneità, la volontà di dire cose utili e sentite. E di quella ce n’è tanta.
A questi amici regalo esperienza, solidarietà e amicizia.
Spero di essere all’altezza della loro fiducia.


Paolo Facchinetti