Editoriale: Perché questo giornale
Questo bimestrale nasce da un’idea mia, Fabio
Tolomelli, e della mia amica, Cristina Cavicchi. Lo scopo è di far
emergere i problemi di chi soffre di patologie che inevitabilmente si
ripercuotono sulla psiche sia a casa che in ospedale, per la strada
come in famiglia e nel tempo libero come sul lavoro, nella scuola come
nell’università. Il giornale sarà formato dagli articoli che gli utenti
della sanità, ma non solo, scriveranno secondo il canale espressivo da
loro preferito: racconti, vissuti, poesie, foto, disegni sculture. Ogni
bimestre, inoltre, verrà proposto un tema su cui lettori potranno
orientare ii loro lavoro. Il tema di questo numero è sull’AMICIZIA.
A tutto questo si aggiungeranno le risposte dei professionisti della
sanità, delle strutture sanitarie e associative, la parola della
chiesa, e interviste a chi soffre e a chi cura. In questo modo il
giornale sarà come un vero faro, punto di riferimento per chi la
tempesta della vita e le sue vicissitudini lo ha fatto perdere nel mare
della sofferenza. Grazie a questo strumento potrà vedersi e sentirsi
meno solo.
La redazione si impegnerà a trovare e creare momenti di festa in cui il
materiale prodotto verrà esposto. I partecipanti potranno dare vita a
nuove amicizie e spazio alla loro creatività con canti e balli fino a
tarda sera.
IL MATERIALE si può spedire a fabio.
tolomelli@libero.it. 0 depositarlo nelle accettazioni dei servizi
sanitari che provvederanno a spedirlo al C.S.M. San. Camillo.
(f.t.)
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Qualcosa di nuovo
Intervento del Dott. Michele Filippi
Vorrei dire che cosa suscita in me l’idea del Faro.
Mi presento. Faccio lo psichiatra nel Centro di Salute Mentale di
S.Lazzaro. Per me questo lavoro e importante, ho desiderato farlo fin
dalla adolescenza. Quello che ho sperato si è in parte realizzato. È un
lavoro infatti che coincide con la possibilita di essere in contatto
con altre persone, in un contatto che, non sempre ma spesso, può essere
molto profondo. È una occasione di scambio di pensieri, di affetti, di
tratti di vita.
Penso che lo scambio di qualcosa di sé tra le persone sia forse la cosa
piu bella che si possa vivere. È comunque fra le piu importanti. Senza
di essa non si riesce a vivere bene. È con questo scambio che il nostro
animo e la nostra mente si arricchiscono e si trasformano
continuamente. E questo vuol dire essere “vivi”. Quando siamo
abbastanza fortunati e la vita quotidiana che ce ne offre la
possibilità. Un “lavoro” come il mio (che e un “lavoro”, ma ci vogliono
anche le virgolette) e una delle possibilità in più che si puo avere
quando il contatto con gli altri attraversa un periodo di difficoltà. O
lo attraversa il contatto con se stessi.
Ma sono in parte anche scontento del lavoro che faccio. Si svolge
dentro ad uno schema piuttosto rigido. Secondo questo schema, di
massima, lo psichiatra, o l’operatore in genere, e quello che sa,
quello che puo fare, quello che dà, quello che ha la responsabilità. Il
paziente, e chi gli sta vicino, e quello che sta male, che chiede
aiuto, che riceve, che non sa fare. Certo, le cose devono poter essere
anche così. L’operatore deve essere competente e responsabile. Il
problema e che la rigidità dello schema riduce molto quella possibilità
meravigliosa, e utilissima, che è lo scambio di esperienze e di saperi.
Utilissima per tutti. È quello che anche a Bologna cominciamo a
chiamare, con una espressione un poco riduttiva, l’esperienza del “fare
insieme”.
È in questo senso che "II faro" rappresenta qualcosa di nuovo. È nuovo
che l’iniziativa sia soprattutto di persone che vivono un disagio
mentale (ma chi non vive un disagio mentale?). È nuovo che si voglia
parlare di esperienze vere, con autenticità, senza eludere il tema del
disagio psichico. È nuovo che si cerchi di coinvolgere in questo
scambio di pensieri persone che sono seguite dai servizi di salute
mentale, loro familiari, operatori e chiunque sia interessato. È nuovo
ed e molto bello che tutto questo lo si vuole fare non per esibirsi, ma
per incontrarsi. E magari divertirsi.
Penso che questo giornale potrà diventare una cosa “seria” e importante
per molti. Credo che potrà essere appassionante lavorarci. Spero che
noi operatori lo potremo vedere come una buona occasione, per noi.
Michele Filippi
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Voltaire: il contratto fra due
persone
Scrive Voltaire a metà del ‘700:
“L’amicizia è un contratto tacito fra due persone sensibili e virtuose.
Dico sensibili, perché un monaco,un solitario possono
non essere malvagi e vivere senza conoscere l’amicizia. Dico virtuosi,
perché i malvagi hanno solo complici i voluttuosi
compagni di bagordi, gli interessati hanno dei soci, i politici
radunano dei faziosi, il basso ceto degli oziosi ha degli
intrighi, i principi dei cortigiani. Solo gli uomini virtuosi hanno
degli amici.”
Continua: “...che cos’è la virtù? Carità verso il prossimo. Posso
chiamare virtù altra cosa di ciò che mi fa del bene.
[...] lo sono in pericolo, tu corri in aiuto; mi ingannano, tu dici la
verità; mi trascurano, mi consoli; sono ignorante, tu
mi istruisci”.
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L'importanza dei rapporti umani
In questo momento della mia vita avere delle amiche è
molto importante, mi aiuta a superare il senso di solitudine che
provo da quando il mio ragazzo mi ha lasciata. Ma non è stata sempre
così, in passato non ho dato il giusto valore
all’amicizia. Ho avuto, per causa mia, degli screzi con quelle che
erano le mie migliori amiche e, anche se in seguito mi
hanno perdonata, i nostri rapporti si sono un po’ raffreddati. Le cose
sono ulteriormente peggiorate quando mi sono
ammalata. Ho chiuso con tutte le amiche, ho cercato un lavoro dove non
dovessi parlare con nessuno dalla mattina alla
sera e sono andata ad abitare da sola. Insomma uno stato di isolamento
totale che mi è servito a rivalutare
l’importanza dei rapporti umani compresi quelli dell'amicizìa. Ora sto
meglio e sono molto orgogliosa delle mie nuove
amiche, alla veneranda età di trentanove anni, che non fossero compagne
di classe.
Nikki
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Amicizia in poesia
Adorare la vita con umiltà
grazia e spontaneità.
Aprire il cuore con leggerezza
candida purezza.
Volare verso spazi infiniti.
Innalzare l'anima alla speranza
alla gioia di accogliere uomini e donne
essenza di amore eterno.
A un amico
La vita è un mistero.
Fa conoscere la sfortuna
anche a chi dona amore vero.
Tu ci insegni a lottare,
cantare
giocare contro il dolore.
Con la tua umile
e spontanea umanità,
dai forza al nostro cuore.
Alessandro Rizzo
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Angeli con la chitarra
Il Dott. Costa ha organizzato un gruppo di giovani
amici
che una volta al mese si impegnano a rallegrare
l’umore dei nostri anziani con canti e balli. Anch’io,
pur non essendo molto intonata, faccio parte di questo
gruppo da qualche anno. Operiamo su tre Case di riposo
diverse a Casalecchio: villa Milla, villa Letizia,
villa Iris. Ci aiutano anche i bambini del catechismo
della Parrocchia di San Giovanni.
Questa attività che viene svolta di sabato è molto divertente
e mi piace molto perché mi sento importante
e faccio sentire meno soli, anche se solo per poche ore,
persone alle quali tengo molto e che potrebbero essere
i miei nonni.
Il nostro repertorio di canzoni è molto originale perché
sono tutte canzoni di epoca che piacciono agli anziani;
la cosa pur non essendo il mio genere mi arricchisce di
affetto, semplicità e saggezza
Cristina Cavicchi
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Lettera aperta agli amici di San
Patrignano
Carissimi amici di San Patrignano,
volevo ringraziarvi per quello che mi avete dato umanamente durante il
corso tenuto aH’intemo della vostra struttura.
Quando sono venuto la prima volta un’impatto organizzativo ottimo. Poi
ho cominciato a conoscervi, un po’ della vostra
storia, le vostre esperienze, i vostri progetti.
Al contrario di quello che è lo stereotipo del tossicodipendente ho
trovato facce pulite, e mani laboriose in un contesto
ambientale forse un po’ fuori dalla realtà urbana (ma probabilmente è
giusto così).
Il tempo sembra essersi fermato, i giorni vengono scanditi dal ritmo
naturale della vita. Non c’è il cartellino da timbrare,
né il traffico delle ore di punta; ma solo un sano lavoro che anche se
faticoso rende onore a chi lo pratica.
L’amicizia, il rispetto, la correttezza sono cose che si sentono vive e
palpitanti.
Quando si entra a San Patrignano ci si sente uomini con la propria
personalità in mezzo ad altri uomini e donne con la
propria identità che si aiutano l’un l’altro ad essere sé stessi e
crescere con la semplice presenza umana.
Per questo vi ringrazio e mi piacerebbe rendervi la gioia che mi avete
dato.
Zorro
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Amicizia, veicolo di speranza
L’amicizia è in noi un atteggiamento che traduce
concretamente uno degli aspetti dell’amore, realtà
iridescente che svela una molteplicità di colori, dei quali essa è il
più semplice, comune e universale. Il
suo contenuto - che coinvolge intelligenza, volontà, sensibilità - ha
come sorgente il cuore, sede dei
sentimenti umani e si rivolge in duplice direzione: verso Dio e verso
il fratello.
Nel primo caso essa è “risposta” ad un amore che, scaturendo dal Padre
- attraverso Cristo e nello
Spirito Santo rigeneratore - guarisce in noi le ferite della solitudine
provocata dall'egoismo proprio ed
altrui, ci rende capaci di accogliere il dono di Dio e di
“contraccambiare", dando così un senso alla vita;
nella dimensione orizzontale si rivolge al prossimo, ritenuto
meritevole di attenzione: perché utile
e/o dotato di qualità particolari o - elevando spiritualmente il
rapporto amicale e assicurandogli merito,
durevolezza e fecondità - come attuazione della parola di Gesù,
presente in ogni persona che ci
sta accanto ed è nel bisogno, (cfr Mt 25,31 ss.).
Un proverbio dice: “Chi trova un amico trova un tesoro’’. L’espressione
ha sapore biblico - sapienziale
(cfr. Eccles. 6,5-16) e diventa veicolo di autentica speranza.
Percorrere un tratto di strada con
l’amico sincero dimezza la fatica del tragitto e fa tendere con
sicurezza alla meta, perché lui si fa carico
dei nostri pesi... ma al contempo ci impegna ad agire allo stesso modo
nei suoi confronti, consapevoli
che l’autentico amore non consiste tanto nel ricevere, ma nel “darsi”
all’altro... e, ad imitazione
di Cristo, evangelicamente coincide col “sacrificio della vita” per
lui. (cfr Gv. 15,13).
Questo realizza pienamente la nostra esistenza nella “oblatività” pura,
in una carità che trova ragion
d’essere e appagamento nel donarsi gratuitamente. Ci aiuta ad entrare
in tale ottica la preghiera di
san Francesco: Signore, fa di me uno strumento della tua pace... dov’è
odio io porti l’amore... dov’è
offesa io porti il perdono... dov’è discordia io porti l’unione...dov’è
dubbio io porti la fede...dov’è
errore io porti la verità... dov’è disperazione io porti la speranza...
dov’è tristezza io porti la gioia...
dove sono le tenebre io porti la luce... Maestro, fa che io non cerchi
tanto di essere consolato, quanto
di consolare... di essere compreso quanto di comprendere... di essere
amato quanto di amare...
poiché dando si riceve, perdonando si è perdonati, morendo si risuscita
a vita eterna.
Padre Ermanno Serafini
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La gioia è un battito d'ali
Lei entrò nella stanza nella sua vestita migliore,
il che la rendeva più sicura e attraente al
tempo stesso. In chi la vedeva si sprigionava
una gioia interiore intensissima, illuminante.
Non si poteva fare a meno di guardarla e
chiedersi che cosa si nascondeva dietro quelle
vesti militareggianti. Quella sera Gloria aveva
curato particolarmente il suo viso d’angelo per
l’incontro con Paolo. Si erano conosciuti il
giorno prima in un pub. Studente impegnato e
capace al primo anno di medicina lui; allieva
all’accademia di belle arti creative e audace in
tutte le forme espressive lei.
L’appuntamento era per le dieci all’irish pub.
Dieci meno cinque. Lei lo attendeva, quando
una folata di vento fece si che la porta si
schiuse dipanando il fumo di tabacco che
regnava in quell’ambiente lasciando vedere i
tratti somatici maschili ben definiti del giovane
studente. Gloria si guardava attorno smarrita; i
due si videro si vennero incontro con il con il
cuore in gola e non appena si sfiorarono le
mani un esplosione di gioia in un battito d’ali;
ma subito dopo come serpeggiar sul fondo una
funesta ala li avvolse per metà e dalla quale si
fletteva come un abbraccio che li voleva
insieme e chissà che non fosse il braccio della
morte.
Si sedettero al tavolo. “Come stai”, disse lui.
“Benissimo”, rispose lei, senza riuscire
nascondere l'emozione di gioia attraverso un
luminoso sorriso. Sebbene si fossero da poco
conosciuti Paolo sentiva una fortissima
attrazione di abbracciare e baciare quel
sensualissimo corpo e quelle morbidissime
labbra. Si ingorgavano pensieri del tipo: è
troppo bella, la conosco da poco tempo, è
molto giovane; non voglio farmi conoscere per
quello che ho, ma per quello che sono.
Appena potè interruppe i suoi pensieri disse: “il
tuo profumo è tanto fragrante e delicato che
inebria e si sposa armoniosamente con il tuo
viso”. Anche se in realtà i suoi pensieri erano
ben più passionali. Lei trovò banale e
rindondante la frase; ma era certa che dietro
quelle sembianze classiche e ordinarie si
nascondeva un puro sangue da corsa. Così gli
propose: facciamo una gara a birra e
salsiccia". Paolo rimase letteralmente
spiazzato, la mimica facciale si congelò. “Si,
perchè no”. Rispose. "Ma mettiamo in palio
qualcosa, chi perde va sul palco del piano bar
e canta l’inno d’Italia”.
Mangiarono e bevvero “l’impossibile”, misero
ridendo a nudo le reciproche personalità. Lo
stesso oste si meravigliò di quanto risero i due
e di quanto ebbero ingurgitato. Siccome
finirono pari cantarono a scuarciagola l’inno,
ma già alla seconda strofa tutto il pub
accompagnava in coro i versi della canzone
nazionale. Dopo il fragoroso applauso finale i
due salutarono e uscirono dal locale per
andare in auto verso casa che distava ad una
cinquantina di kilometri di strada normale.
Paolo era stanchissimo, la mente era
annebbiata dall’alcool , le emozioni fortissime
lo facevano sognare e quindi distrarre dalla
guida. La strada era dritta, ma gli occhi si
chiudevano. Per cercare di stare sveglio si
accese una sigaretta che ebbe l’effetto
contrario. Non vide il semaforo rosso. Prima un
colpo a destra, poi uno a sinistra. Sentirono
dalla fronte scendere un liquido caldo.
Guardarono in alto cos’era. Non cera più la
cappotta; ma un freddo cielo pieno di stelle. Le
teste si abbassarono sotto il peso della gravità;
gli occhi si incrociarono per l’ultima volta e fu in
quel momento che i due capirono che nel
firmamento ci sarebbero state due nuove
stelle.
Alessia e Fabio
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Come è facile ammalarsi e che
fatica curarsi
Un vecchio signore mi disse: ”i mali arrivano
in carrozza e se ne vanno a piedi”.
E così, di punto in bianco, mi sono trovato
ammalato.
Dapprima problemi di attenzione, poi pensieri
strani mi hanno portato via, via, a isolarmi
sempre più. Non mi fidavo più di nessuno,
avevo continuamente la sensazione di essere
controllato ed ero a disagio in tutti i contesti:
in particolar modo nello studio e nel lavoro.
In famiglia non hanno compreso la mia
malattia non sapevano come aiutarmi così
hanno preso vita divergenze di opinioni.
La ragazza che avevo si mise contro i miei
genitori: pensava che la causa dei mali fossero
loro. Mi trovai tra due forze opposte: i miei
genitori e la mia ex.
Di amici della mia età non ne avevo: per
studiare e lavorare li avevo persi tutti.
I compagni di studio che avevo non mi hanno
capito e io non avevo capito loro: di qui
ancora più smarrimento, solitudine e paura del
futuro.
Sul lavoro mi hanno spostato da un reparto di
maggior responsabilità ad uno minore che non
mi permetteva di esprimere quanto avevo
appreso dallo studio. "Come se non bastasse
ebbi dei battibecchi con i colleghi. La morsa
si faceva sempre più restringente. Mille e più
paure di aver traumatizzato una bambina per
non averla redarguita adeguatamente durante
il tirocinio nei “nidi”.
Ma ciò non bastava: mi rubarono la macchina
comprata a rate. Ritrovata l’auto un camion
mi tampona e non ne voleva sapere di darmi
ragione. Pazienza.
Alla “dieci colli”, 130 Km di gara in
bicicletta, finisco stremato e in ritardo rispetto
a quelle che erano le mie aspettative. Ero
veramente a terra, non riuscivo più ad
orientare lo sguardo, la depressione mi
portava guardare verso il basso. Questo mio
atteggiamento corporeo mi fece temere di
perdere il posto a scuola e sui lavoro perché
inadatto alla professione. Scuola in cui avevo
investito tutto: me medesimo, i pochi soldi
che avevo, tutto il tempo libero, tutto l’amore
per la professione.
L’ infarto a mio padre. Scoppio sul lavoro.
Piangevo e alcuni colleghi ridevano della mia
condizione. Cosa fare, a chi chiedere aiuto,
non sapevo che fare, non potevo gridare. Dio
mio! Per fortuna un medico che di li passava
mi diede due numeri telefonici di psicologi.
Li cominciava la mia terapia: era il settembre
del 1996.
Zorro
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Vivere, credere, sperare nella
recovery
Per recovery si intende un percorso elaborato da Ron
Coleman attraverso il quale il malato mentale,
ma non solo, prende coscienza di se stesso e dei propri sogni e va
verso un quadro di benessere superiore
(guarigione), cancellando le stigmate e la classificazione di malato
cronico irrecuperabile.
Sono giunto alla conoscenza di questo metodo grazie al Dr. Filippi che
mi ha detto dell’esistenza di
un corso alla recovery che si sarebbe tenuto a Torino per la durata di
quattro giorni dalle 9.30 del
mattino fino alle 18.30. Insieme al dottore siamo partiti in treno
verso il capoluogo piemontese. Il
tempo è volato. Durante il viaggio ho parlato a lungo della mia vita e
mi sono sentito capito. Cosa
non piccola! Pure il dottore si è aperto; ha avuto fiducia in me. E’
nata così una relazione d’amicizia
molto onesta e sincera, per quanto singolare. L’albergo in cui si
teneva il corso era una ex dimora
estiva per una famiglia possidente di Torino. Tramite una donazione ora
è proprietà dell’università
Cattolica di Torino. Qui ci hanno ospitato con molta gentilezza anche
se era un po’ freddo. Nei
quattro giorni il tempo è volato via rapidissimamente. Nel viaggio di
ritorno si è aggregata Giulia
con la quale si è parlato di tante cose interessanti, soprattutto
progetti e problemi professionali.
Tornando alla definizione molto personale della recovery, la cosa più
importante che ho capito consiste
nel fatto che la coscienza esatta, precisa e immodificabile di me
stesso è impossibile; quello
che sono ora è qualcosa di diverso da quello che ero dieci minuti fa.
Per cui quello che è stato il mio
ostinarmi in una angosciosa continua ricerca solitaria di me stesso è
stata un’impresa ardua, poco
produttiva e a volte nociva. Ho scoperto invece che è molto più
nutriente, rassicurante e produttivo
seguire il processo della recovery. Essa metodologicamente permette di
dettagliare come siamo in
quel momento, quelli che sono i nostri sogni e quelli che sono gli
incubi o problemi che ci frenano o
impediscono nella realizzazione o avvicinamento alle nostre mete. Per
cui una volta delineati, descritti
e compresi si può iniziare il percorso di guarigione attraverso una
serie di strategie che permettono
di avvicinarsi al sogno contenendo e limitando l’effetto negativo
dell’incubo. E così che
durante il corso ho capito che soddisfando i miei sogni e superando le
mie paure ottenevo una migliore
definizione di me stesso e dei miei bisogni reali. Per capire me stesso
e il contesto socioambientale
in cui vivo è stato determinante il disegno che raffigurava me stesso
richiesto da Ron
Coleman. Attraverso il disegno, la definizione più precisa della realtà
in cui vivo, l’immagine più
dettagliata della mia personalità e dei miei obiettivi ha fatto si che
la visione del mio futuro diventasse
meno utopistica e al tempo stesso meno pessimista e negativista.
Il seguire la metodica mi ha fatto sentire più sicuro, meno solo e con
una direzione certa che mi
permette di superare dubbi insolubili e paure. La recovery è un
processo molto ampio, a misura
d’uomo; sperando di non fare cosa sgradita a Ron sintetizzo le tappe
della recovery, così come le ho
capite: 1. cosa fare qui, proprio adesso; 2. chi mi aiuta; 3. devo
essere forte (quali sono le mie risorse);
4. si questo è il mio primo passo; 5. azioni per i prossimi passi.
***
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La recovery non è solo questo, ma
molto di più
Le emozioni che ho vissuto durante il corso rimarranno
scolpite nella memoria, la loro portata è stata
enorme per il fatto che erano il frutto di esperienze dirette vissute
li, durante il corso e non il frutto
di una pedante serie di lezioni.
Durante una delle attività di disegno ero in coppia con Michele. Con
lui abbiamo disegnato reciprocamente
i sogni e le paure reciproche. Così ho visto per la prima volta la
raffigurazione di questi aspetti
fuori da me e mi sono sentito rassicurato per il fatto che erano stati
interpretati per come li vivo
senza critiche e negazioni; ma con una forte carica di realizzabilità.
E’ stato poi molto gratificante
il fatto che anche Michele abbia condiviso le mie stesse emozioni. Un
altro momento topico si è
verificato in apertura al corso, quando Ron, guardandomi negli occhi mi
ha detto senza mezzi termini:
“tu stai recitando”. Questo mi ha fatto capire diverse cose. La prima è
che i problemi non
vanno negati né raggirati in modo inconcludente; ma quando è possibile
affrontati in modo sereno e
tranquillo, cercando di superare le paure di quello che si è. Un’altra
conseguenza dell’occhiata è stata
la comprensione di essere, quando il contesto lo permette, più schietti
e diretti nella relazione con
altre persone senza troppe angosce di fare del male, essere frainteso,
o generare fastidio nell’altro.
Meraviglioso è stato il legame instaurato tra i partecipanti al corso
che ha dato vita ad un gruppo
molto unito e costruttivo. Il prodotto è stato ottenuto dalla sincerità
e trasparenza con cui ognuno ha
rappresentato sé stesso e il sotto gruppo formato durante le attività
del corso.
Poca docenza ridondante; ma tante esperienze. Importantissima è stata
la scoperta mediante materiale
bibliografico che esistono psicologi, anche docenti e molto importanti,
affetti da schizofrenia.
Per me è stato un respiro ristoratore che mi ha restituito la speranza
di uno stato maggiore di salute
che mi permetta di fare il lavoro che ho scoperto di sognare e che mi
sono dovuto negare per la malattia:
lavorare in un team di medicina psicosomatica.
Concludo affermando che stata una esperienza che cambia la vita;
cambiare si può, stare meglio anche.
Zorro
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Chi sono i “Diavoli Rossi” e cosa
fanno
Sono angeli caduti dal cielo sotto il peso di un senso
di colpa troppo grande per la loro sensibilità.
Arrivati a terra non sapevano cosa fare, ma, per fortuna, sante persone
(operatori del D.S.M.) ci
hanno trovato e aiutato a togliere la maglia di malato per indossare
quella di diavoli rossi.
Così vestiti ci troviamo a giocare a pallone e scopriamo la bellezza di
stare in compagnia.
Muovendoci sciogliamo i muscoli dalle tensioni interne e percepiamo
meglio il nostro corpo.
Respiriamo e ci asteniamo dalle sigarette dando tregua ai polmoni che
ossigenano meglio il cervello
permettendo una mente più lucida. Grazie allo stare insieme conosciamo
persone con problemi
analoghi che spontaneamente si aiutano a risolverli con la semplice e
spontanea presenza umana.
CHI, COME, DOVE, QUANDO, PERCHE’.
I diavoli rossi - ideati da diversi operatori - si incontrano tutti i
mercoledì mattina per fere allenamento
(nel centro sportivo di Casalecchio di Reno dalle 10.00 alle 13.00).
L’allenamento prevede
una serie di esercizi di ginnastica e riscaldamento seguiti poi da una
divertente partitella. Al termine
ci ritrova insieme per mangiare una pizza. Durante l’anno si partecipa
a tornei di calcio e pallavolo
a carattere nazionale dove ci si integra con persone provenienti da
altre località e tradizioni riscoprendo
il piacere dello stare insieme.
***
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Tutto ciò che non sapete sui
Diavoli Rossi
Per quanto riguarda la sportività e l’organizzazione
dei tornei c’è stata la partecipazione
di tutti o quasi.
Orvieto mi ha insegnato una cosa: che ognuno di noi ha delle qualità e
dei problemi,
ma dobbiamo provare ad accettarci l’uno con l’altro, fare gruppo. Siamo
un gruppo
da anni e tutto ciò grazie al faticoso lavoro costante dei nostri
operatori, infermieri ed
educatori. Il loro compito è sicuramente stressante, difficile. Devono
mettere insieme
tanti pezzetti come se fossimo un mosaico. Fare convergere verso il
centro tante parti
diverse che da sole sono isole alla deriva. Basta pensare come è
complicato formare il
gruppo che prima di scendere in campo deve essere organizzato. Lo scopo
è di fare
giocare tutti sia chi è bravo, sia chi non ha la tecnica o le
condizioni fisiche per giocare
un tempo (anche solo dieci minuti). Siamo molto diversi. Chi non passa
la palla,
chi prende la gara come una competizione o agonismo eccessivo. Non è
facile per
Mino o per Giorgio fare i cambi e avere una squadra ben bilanciata, pur
sempre competitiva.
Siamo diversi con i nostri problemi e cercare di andare d’accordo anche
se
non sempre è facile andare d’accordo. Allora mi direte che facciamo?
Gliela diamo
su? No!!!
Non intendo trovare una soluzione ai tanti problemi che sorgono in
campo, sia a calcio
sia nella pallavolo. Considero che finora le esperienze fatte con
l’U.S.L. siano state
efficaci per stare meglio per la nostra salute mentale. Sia per me, sia
per altre persone.
Credo che ogni gita, ogni torneo può essere un aiuto a stare meglio con
se stessi,
ma anche con chiunque ci sta vicino. Certo le incomprensioni possono
nascere anche
in una famiglia, ma dopo una burrasca c’è sempre il sereno. Elisa mi ha
fatto capire
durante un breve discorso con me che era uno spettacolo gioioso vedere
tanti ragazzi
(c’era qualche ragazza che correva dietro un pallone) giocare insieme.
Tutti che sorridevano contenti di indossare una maglia con le scarpette
sull’erba di un
prato meraviglioso. Da credente (ma se uno non crede avrebbe la stessa
sensazione)
Elisa mi ha detto: “Non vedi come è meraviglioso tutto ciò” guardando i
giocatori
mentre una luce chiara e immensa aveva preso il posto nel cielo
notturno, e i fari dello
stadio si erano accesi. Credo che in questo scenario tutti abbiano
sognato almeno
un attimo di essere veri giocatori di calcio, e fossero felici.
Stefano
|
In che cosa consiste l'esperienza
dei Diavoli Rossi
IN COSA CONSISTE L’ESPERIENZA DEI DIAVOLI ROSSI?
Di primo acchito ci viene da rispondere: “ la
voglia di ritrovarci di settimana in settimana,
di volta in volta, di situazione in situazione”.
Esserci, dunque, nella maniera di testimoniare
la nostra presenza che sia nel modo ludico,
dell’entusiasmo, o anche dell’angoscia o della
comprensione reciproca.
Ma al di là di ciò che è in gioco ci domandiamo
anche quale bisogno si manifesta in questa
esperienza, che è forse comune a tutte le esperienze
relazionali, e cioè un bisogno di scambio.
Se tutto ciò sussiste noi lo testimoniamo in
una dialettica di dare-avere, nella quale ogni
individuo, nell’ambito definito e nella maniera
che più gli è propria e consona, sia invitato
a cercare quelli che sono i propri bisogni e gli
strumenti più idonei a esprimerli.
Anche un problema di linguaggi, dunque.
Se questa sembra la ragione d’essere dei Diavoli
Rossi il motore trainante è quello dello
stare insieme.
Ma lo stare insieme può essere sterile se alla
base non c’è una volontà che lo informi.
* * *
E allora chiediamoci cosa vuol dire stare insieme.
Come abbiamo detto può voler dire
molte cose diverse tra di loro che differiscono
sostanzialmente le une dalle altre. Il nostro
stare insieme vuol dire essere uniti nella diversità.
Ognuno di noi è portatore di una esperienza
forse irriducibile ma nel contempo “dicibile”,
cioè scambiabile con l’altro. Vale a dire che
lo scambio può essere allora la condizione per
cui la tua situazione può essere anche la mia e
viceversa, cosicché relazionandomi mi arricchisco
e arricchisco.
* * *
Questi valori che riteniamo essere in gioco
non corrispondono, a differenza di quanto avviene
ormai a ogni livello di realtà, a logiche
mercantili in cui tutto ciò che interviene in un
processo viene quantificato in termini di entrate-
uscite. A fronte di questi valori quantitativamente
determinati noi proponiamo e affermiamo
il valore aggiunto dell’amicizia e
del ludico, con cui possiamo esprimere pulsioni
non distruttive ma di associazione e di
integrazione con l’altro, finalizzate anche ad
un accrescimento personale contro l’aspetto di
“ortopedia sociale” di certa psichiatria.
* * *
Noi proponiamo una frattura, attraverso la nostra
esperienza, con una cultura che vede il
malato come una unità nosologica che introduce
in una determinata categoria o casella
medico-psichiatrica ottenuta attraverso una
proposizione di razionalità oggettivante chiamata
a porre a priori il limite fra normalità e
patologia, fra salute e malattia dove, nello
scenario di ciò che cade fuori da questo ambito
di volontà oggettivante il “residuo”, ciò che
manca, è portatore di patologia.
* * *
Ma dove si colloca la patologia? Nel non poter
essere soggetto a pieno titolo, o forse
nell’essere portatori di bisogni diversi? Rispetto
al concetto di un soggetto pieno, quasi
tautologico, noi proponiamo l’idea di soggetto
contraddistinto dalla mancanza, come certa
psicoanalisi sa bene, insieme alla realtà di diversi
bisogni capaci di integrare a pieno titolo
ogni pluralità, la molteplicità stessa
dell’esperienza, in vista di una razionalità
nuova che sia anche esperienza del diverso.
* * *
Attraverso una molteplicità integrata e nuova
l’esperire diventa il tratto distintivo di questa
nuova soggettività aperta a conoscere e integrare
nuove identità dalle quali non sentirsi
minacciati bensì stimolati ad allargare la razionalità
stessa.
Nuove identità, nuovi bisogni, nuovi soggetti,
in una nuova esperienza del mondo.
Giuseppe Degli Esposti
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Grazie ai Diavoli, meglio del
cellulare
In tema di amicizia, che cosa ne penso dei vari
percorsi che ho compiuto con i Diavoli Rossi? Le
mie esperienze di vita con questo gruppo sono veramente molto buone,
perché grazie a loro ho potuto
imparare molte cose importanti per poter stare sempre meglio, e per
orizzonti più vivi sia nella
vita che nello sport.
Mi rendo conto che l’amicizia di questi tempi toma molto difficile, per
noi e per chi vediamo. E’
sempre più difficile parlare, scambiarsi buone parole di felicità,
proporre su cosa fare, dove andare
o accettare le parole per poter migliorare le proprie abitudini
quotidiane. Ma si è sempre pronti a dire,
quello ha fatto...., in sostanza tutti seguono il branco, senza
rendersi conto di cosa è giusto o
sbagliato, si pensa sempre che il branco fa la forza senza saper
valutare che cosa è giusto o sbagliato,
si vede come va il seguito di tutte le giornate, si vive di cose sempre
più sconcertanti senza avere
la propria dignità di vita.
Mi appare, quando si cammina o si passeggia, che la gente che si
conosce fin da quando si era piccoli,
non sanno più salutare, tutto questo per essere rivali migliori;
comunque sia a me non fanno né
caldo né freddo. L’importante è credere sempre nelle proprie risorse di
vita, per me sono le cose più
importanti, quelle che rafforzano il proprio carattere, ma bisogna fame
oro, perché possono svanire
in fretta, la gente è sempre pronta ad approfittarne, sia moralmente e
anche per poter rubare appena
l’oro toma facile.
Ricordo all’età di 16 fino all’età di 25 anni i ragazzi erano molto più
disponibili nel formare una
buona compagnia, il bello era che ci si trovava tutti alla tale ora, ci
si scambiava varie opinioni, cosa
hai fatto di bello al lavoro, ricordare le serate trascorse tra noi ó
qualsiasi cosa che ci faceva ridere,
le ragazzate che si facevano per poter migliorare le nostre giornate.
Mi ricordo che si era sempre in
10 o più ragazzi, si sapeva sempre cosa fare, mentre adesso siamo
muniti della grande invenzione,
“il cellulare”, per me è la più grande stupidità che c’è.
Per adesso mi fermo qui, grazie infinite ai Diavoli Rossi.
Bisogna sempre tenere per il nostro meglio.
Andrea Tonelli
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Diavoli Rossi in versi
Giocatori
Contro le difficoltà della vita,
danno calci ad un pallone
tondo,
come il mondo
ogni giorno in salita.
Sono i Diavoli rossi
Uniti con dedizione
forza
e coraggio
per fare goal all'indifferenza
allo stigma e al pregiudizio
e concedere all’avversario
una sconfitta
o un pareggio
Alessandro Rizzo
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Il programma 2007 dei Diavoli
Rossi
Gli operatori del Gruppo Sportivo “Diavoli Rossi” in
collaborazione
con l’Azienda Usi di Bologna e l’UlSP (Unione
Italiana Sport per tutti) hanno già stilato parte del
programma di eventi per l’anno in corso. In complesso il
totale delle ore previste per le manifestazioni assomma
a 250 ore.
Dal 22 al 26 gennaio a Serramazzoni, nel Modenese, ha
avuto luogo un soggiorno invernale.
Dall’ 1 all’8 giugno è previsto un soggiorno
estivo a Palinuro (Salerno).
Ancora da stabilire luogo e data delle manifestazioni in
calendario per ottobre-novembre e fine anno.
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Libero di andare in bicicletta
Premesso che credo nell’efficacia dei farmaci.
Qualche tempo fa nonostante che la terapia mi
fosse stata ridotta, lottavo minuto su minuto di
veglia contro gli effetti collaterali dei farmaci. Sì
perché depressione, angoscia e ossessione erano
state in larga parte debellate. Rimaneva un ardua
fatica contro attacchi di collera, perdita di equilibrio
statico, perdite di forze, xchi che mi si sbarravano
e mi impedivano di pensare e muscoli che si
indurivano. Lo psichiatra mi rassicurava dicendo che
sarebbero passati.
La bicicletta e la lettura erano le sole attività che mi
permettevano di attenuare in piccola parte i
fastidiosi effetti legati ai farmaci.
Purtroppo mi sono dovuto arrendere ai dispettosi
effetti collaterali e ho richiesto il ricovero
all’ospedale ARCIPELAGO dove curano a livello di
assoluta eccellenza.
Ora i sintomi psicologici sono ben compensati; ma
i disturbi fisici -sopra descritti-che accompagnano
le medicine per quanto diminuiti si fanno ancora
sentire. Attualmente mi sento al 60% delle mie
possibilità. Questo mi crea grande frustrazione
perché vorrei scaricare tutta la tensione, la forza e
l’energia sui pedali della bicicletta. Invece mi trovo
ad impiegare queste energie nel cercare di
mantenere l’equilibrio, il respirare e il cercare di
andare avanti. La caparbietà che mi ha sempre
distinto nello sport mi porta a cercare di vincere le
manifestazioni secondarie alle medicine e di
vedere un giorno diminuite le dosi che mi
affliggono anima e corpo.
Il mio sogno è di tornare a competere nel
campionato amatori. Siccome non sono un
fenomeno mi basterebbe fare il gregario per una
squadra che è innanzi tutto un gruppo di amici che
vede nel piazzamento di una individualità il frutto di
un lavoro d’insieme. A me piace andare in
bicicletta perché sento dialogare il microcosmo
interiore (corpo e mente) con il macrocosmo
esteriore (ambiente e il gruppo).
E’ un concetto un po' difficile da spiegare ma ora ci
provo. Il macrocosmo con l’ambiente (il vento, le salite e
le discese, la pioggia e sotto il sole) e con il gruppo
(formato da compagni e avversari) con scatti e
“controscatti” e ricuciture richiede un adeguamento
costante del microcosmo: ossia il lavoro muscolare
che deve essere compensato da una attività
cardio-respiratoria.
Perché -come canta Ligabue- “quando hai dato
troppo devi lasciare e dare posto”.
Quando la condizione psicofisica è adeguata è un
grande piacere modulare lo sforzo in funzione di
quelle che sono le esigenze dell’attività ciclistica.
Uscire in gruppo è bello perché si ride e si
scherza; ma quando si dice davvero si
raggiungono velocità molto elevate (50 Km/h)
ricavandone emozioni molto forti. Il paesaggio
cambia velocemente. E’ come vivere in un sogno,
le immagini volano veloci senza controllo. I
polmoni si gonfiano, i muscoli si contraggono, il
cuore scalpita; perbacco sono vivo!
Quando sono solo, con la mia bicicletta, in mancanza della
compagnia tendo ad alternare due pensieri un po’
frustranti: la mia prestazione che vivo sempre
inferiore alle mie aspettative, e le mie
disavvenuture personali. Per fortuna interviene il
paesaggio a rimettere armonia nel mio mondo
interiore.
Anche se devo denunciare che l’opera
dell’uomo riduce di giorno in giorno gli spazi a flora
e fauna, che tanto importanti sono per me e per
tutto il sistema ecologico.
Per questo sto bene in bicicletta: vivo, sento e
sogno di essere libero.
f.t.
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Il coraggio di fare
Agli operatori del Poliambulatorio del Servizio Salute
Mentale di Castiglione dei Pepoii, Vado e del G.S. Diavoli Rossi.
Sono Paolo Facchinetti, 46 anni di esperienza
giornalistica alle spalle. I ragazzi mi hanno voluto appioppare la
pomposa qualifica di “caporedattore” di questo giornalino e l’ho
accettata volentieri.
Caporedattore significa che coordino il lavoro di chi collabora al “Il
Faro”, magari suggerendo anche il
modo migliore per impostere gli articoli e impaginarli e proponendo
idee. Ho accettato
l’impegno dopo alcuni incontri con Fabio Tolomelli (la vera anima del
giornale) e i suoi amici.
In questi incontri ho scoperto un universo che mi ha arricchito;
persone sensibilissime e desiderose di fare, anime ricchissime e pronte
a dare. Ragazzi con “problemi”,
si definiscono. Ragazzi che hanno bisogno di cure, dicono. Sì, ragazzi,
persone, come quasi tutti.
Tutti hanno problemi, evidenti o taciuti. Io ho i miei. Pochi però
hanno il coraggio di denunciare i propri
disagi e di affrontarli come fanno loro. Basta leggere un giornale e ti
accorgi di quanta gente oggi abbia bisogno
di aiuto e non avendo il coraggio di chiederlo, implodono.
Oggi il coraggio è merce rarissima ed è per questo che ho apprezzato
questi amici.
Che si sono avvicinati con entusiasmo all’idea di un loro giornalino e
poi con euforia a quella di realizzarlo.
Non badate alla forma degli scritti, volutamente sono stati lasciati
errori, qui non
c’è alcun letterato. Conta la sostanza, la spontaneità, la volontà di
dire cose utili e
sentite. E di quella ce n’è tanta.
A questi amici regalo esperienza, solidarietà e amicizia.
Spero di essere all’altezza della loro fiducia.
Paolo Facchinetti
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