Questo numero
Nella vignetta qui sotto, ispirata da Concetta e
realizzata da Chiara Canali, è sintetizzato il tema di questo numero de
Il Faro: la famiglia.
Nella società occidentale, per tradizione, la famiglia è costituita da
moglie, marito, figli. In altre società un uomo può avere più mogli e
in altre ancora una donna può avere più mariti. Oggi si vuole che venga
considerata, “famiglia" anche un nucleo costituito da persone
conviventi: si parla tanto dei DI.CO., sigla che fa riferimento ad un
disegno di legge oggi ancora in corso.
È un tema molto complesso sul quale il Faro ha fatto riflessioni.
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soggetto: Concetta; realizzazione grafica: Chiara Canali
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La mia famiglia è mia figlia
Mamma mia che cosa seria! Che dire fra tutte le
innumerevoli parole importanti che mi affollano la mente?! Fin da
ragazzina, ora ho cinquantacinque anni, pensavo con profonda curiosità
ed emozione alla mia futura famiglia: un compagno (marito) da amare e
da cui essere amata, almeno tre figli (come nella mia famiglia
d'origine), una grande casa accogliente nel verde e con molti animali,
cani, gatti, una scimmietta, un maialino nano e niente uccellini in
gabbia, un orto per vedere crescere le piante ed IO a prendermi cura di
tutti con amore ed allegria. (Grande sognatrice!).
Tirando le somme: marito solo per ventitré anni poi matrimonio fallito
perciò il "per sempre" perso nel mio passato ormai da undici anni ma
nonostante ciò sento con calore nel profondo del cuore che una famiglia
mi è rimasta ed è la mia unica figlia amatissima, la persona che mi ha
sempre amata per come sono, nelle mie scelte giuste o sbagliate.
Figlia desiderata e riempita d'amore dal primo momento che ho saputo
del suo arrivo; la vita, i problemi, i lutti, le perdite e le
separazioni laceranti: tutto condiviso, e se da qualche anno non
viviamo più insieme per far sì che divise fisicamente ci permettessimo
di scoprire le nostre risorse individuali al di là del fatto di essere
madre e figlia, ogni volta che stiamo insieme stiamo bene e l'antico
feeling di quando era cucciola è sempre forte e presente e se tante
soddisfazioni personali ho tratto dai miei tanti interessi, il ruolo
che sento più appagante è quello di madre; e ogni volta che ti penso
sono felice che ci sei, figlia mia, e sei TU il mio amore "per sempre",
quello che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni. Sono felice
di aver contribuito ad un nuovo fiore sbocciato nel mio corpo, a farla
diventare una Buona e Brava Persona. Questa è per me, la mia famiglia!
Mamy di Silvia
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Adesso voglio trasmettere fiducia
agli altri
Sono madre di un ragazzo, ormai uomo, che dopo aver
vissuto in modo "normale" o forse pretendendo troppo da sé per quasi
trent'anni, ha perduto la fiducia in se stesso e anche nel prossimo,
compreso chi gli voleva bene.
Come madre mi sono sentita impotente e incapace di aiutarlo. Mi sono
chiesta perché dopo essersi sacrificato per anni, lavorando e
studiando, giunto al momento di cogliere i frutti, la sua autostima si
fosse ridotta a meno di zero e rinunciasse a lottare.
Per sua fortuna, si è rivolto al centro di salute mentale dove a
trovato medici e infermieri che lo hanno saputo curare sia
farmacologicamente; ma soprattutto orientandolo a chi lo ha aiutato a
riavere fiducia in sé.
Da qui la speranza in un futuro più sereno si è riaccesa sia in lui che
nella famiglia.
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Faccio parte del gruppo di mutuo aiuto "Armonia" e
forte dell'esperienza positiva di mio figlio, cerco di trasmettere
fiducia nella guarigione anche agli altri familiari.
Adriana
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Ecco di che cosa stiamo parlando
La famiglia tradizionale è un gruppo di persone legate
dai vincoli di matrimonio, di parentela, di affinità. Nel 1975 è stato
riformato il Codie civile in armonia con i principi della Costituzione,
stabilendo la parità dei diritti e doveri tra marito e moglie, sia tra
di loro, che rispetto ai figli, nonché l’eguaglianza tra i figli
legittimi che quelli naturali”.
La famiglia di fatto è la famiglia non fondata sul matrimonio, ma sulla
convivenza stabile di più persone legate da vincoli affettivi, che si
comportano come se fossero legate da vincoli giuridici. Non è
equiparata dalla legge alla famiglia legale, anche se per alcuni
aspetti (per es. la successione nel rapporto di locazione) ha
riconoscimento giuridico. Entrata da tempo nel costume sociale (anche
la forma di convivenza tra omosessuali), ha rilievo ai fini anagrafici.
Tra i reati contro l’assistenza famigliare sono: l’abbandono del
domicilio domestico, l’abuso dei mezzi di correzione, i maltrattamenti.
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Ma i "Di.Co." cosa sono?
I “Dico” di cui tanto si parla oggi non sono altro che
una sigla. Significa: “Diritti e doveri delle persone Conviventi” e
viene riferita comunemente al disegno di legge varato dal Consiglio dei
Ministri l'8 febbraio 2007 e finalizzato al riconoscimento
nell’ordinamento giuridico italiano di taluni diritti e doveri
discendenti dai rapporti di convivenza registrati. L'iter legislativo è
in corso.
II disegno di legge: per “conviventi” intende: “due persone
maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da eciproci vincoli
affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e
solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio,
parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela’’.
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E poi ci sono anche altre famiglie
Alessandra Aceresi
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Riflessioni generiche ma utili
sul tema
Vittoria è una collega nel centro sociale “A. Tonelli”.
Molto schiettamente, come è nel suo carattere, quando gli ho chiesto di
parlare di famiglia sì è ricollegata al tema del numero precedente:
l’ecologia.
Per lei la famiglia è il nucleo dove avviene la prima formazione ed
educazione. Queste devono essere improntate innanzi tutto al rispetto
di sé e dei familiari, poi per necessaria conseguenza al resto della
società nonché dell'ambiente. A questo aggiungo che ogni famiglia è una
piccola cellula che permette al macro-organismo socio-ambientale di
vivere in armonia. Dove per armonia si intende la possibilità per
l’individuo di manifestare la propria personalità ed idee (politiche,
culturali, religiose) senza danneggiare o limitare le idee di altri, o
l’ambiente. Guerre, sopraffazioni e reati di ogni genere saranno
eliminati.
Se questi pensieri non resteranno solo parole scritte ma utilizzate ed
apprese, saranno una vittoria per tutti.
(f.t.)
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Un importante punto di riferimento
La famiglia è il nucleo alla base di una struttura
organica chiamata “società”. Più famiglie costituiscono un clan. Un
uomo ed una donna sono già una famiglia: quell’essere completo che ha
in un figlio l’apoteosi dell’amore.
Ciò che tiene unita una famiglia è l’amore, il rispetto, la tenerezza,
l’affetto.
È un punto di riferimento importante, la famiglia, e serve a consolarsi
quando sei solo e triste e ti è andata male, non perché il mondo è
cattivo, ma perché di affetto ed amore c’è necessità in tutti.
La famiglia trasmette, inoltre, la cultura, l’educazione e la religione
di generazione in generazione (di padre in figlio e di madre in figlia).
Per un bambino è importante che nella sua famiglia ci siano esempi di
persone positive.
Ave
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Costumi più aperti - Valori
contaminati
Quella della famiglia moderna è una delle questioni
principali della nostra società. Oggi abbiamo bisogni, problemi,
attività lavorative ed abbiamo storie che fanno in modo che la maggior
parte delle persone preferiscano una convivenza prolungata tra amici o
tra amiche, piuttosto che il matrimonio. È un grave problema per il
nostro tempo!
Non è più come una volta, quando il matrimonio era la logica
conseguenza del fidanzamento di due persone ed era quasi “una legge”
imposta dalla società, ora è il tempo della convivenza e della coppia
libera.
Forse a generare tutto ciò è stato lo sviluppo tecnologico che ha
allargato gli orizzonti delle persone di qualsiasi classe sociale e
prodotto una mentalità nuova dove non esiste il problema della
procreazione, infatti gli italiani ormai non fanno più figli ed il
nostro è diventato un paese molto vecchio.
Gli antichi valori sono stati contaminati da un costume più aperto, ci
vorrebbe una soluzione perché è importante che si facciano più figli e
che la nuova generazione cresca in una famiglia serena e stabile come
una volta.
Stefano Mantovani
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Frustrazioni
La famiglia è come un contenitore di risorse e
potenzialità e non solo punto di tensioni e conflitti. Purtroppo dalle
storie dei vari pazienti dell’Ottonello, compresa me stessa, risaltano
per tutti queste tensioni e conflitti; creando un divario molto forte
tra genitori è figli e conseguenti problemi comportamentali.
Nel mio caso in particolare, ho subito parecchie frustrazioni, botte da
orbi da parte di mio padre dall'età di 11 anni, che allora era molto
violento; l'unico aiuto che avevo era mio fratello che mi voleva molto
bene e io l'ho emulato in tutto, anche nell’assumere sostanze
stupefacenti, negando il ruolo educativo della mia famiglia per me
sbagliatissimo che mi portava a fare tutto l’opposto di quel che mi
veniva richiesto.
Non mi hanno fatto conseguire gli studi da me prefissati, facendo
scatenare il dispetto che dovevo fare alle loro richieste, cioè
l’opposto per quanto riguarda l'assunzione di stupefacenti e cioè
l'eroina dopo e servita a calmare quell'ansia e quel vuoto che avevo
dentro.
Adesso mio fratello non c'è più.
Insomma ritengo che, pur volendogli molto bene la mia famiglia mi abbia
rovinato la vita fino ad adesso, anche se il conflitto ora è molto più
pacato.
una paziente
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Dal punto di vista di un figlio che vive con la mamma
malata
Cari genitori, chi scrive questo articolo è figlio di
una donna affetta da schizofrenia. Non è stato facile accettare
la malattia della mia mamma, il suo essere tormentata dalle voci e le
sue manie di persecuzione. Ancora
adesso non è semplice vederla per molte ore della giornata distesa su
una poltrona, come se la vita la
stesse consumando, anziché rallegrarla di essere madre.
I vostri figli invece, hanno la fortuna di avere genitori che
desiderano capire e toccare con mano il loro disagio.
Nel corso di questi anni, in cui ho dovuto prendere consapevolezza
della presenza nella mia casa di una
persona malata di mente, mi sono attivato per cercare delle strade che
mi portassero a vivere al meglio questa condizione di disagio familiare.
E’ nata da qui I idea di far parte di un gruppo di auto mutuo aiuto,
un’oasi di parole ed esperienze, da cui ho
trovato linfa per respirare meglio, provando ad eliminare lo stato di
soffocamento che vivevo in me stesso.
Ora dopo più di tre anni e mezzo di frequentazione, a distanza di un
mese dall’abbandono respiro bene lo
stesso.
Le persone che fanno parte del gruppo siete voi cari genitori, che
troppo spesso mi facevate sentire figlio.
Ma prima di essere figli e genitori siamo persone: partendo da questo
presupposto credo sia importante,
prima di tutto cercare di trovare equilibrio con se stessi e poi col
proprio familiare.
Una delle cose che troppo spesso vengono fuori nel gruppo è il senso di
colpa di voi genitori, io cercavo di
farvelo superare, non considerando la mia visone di figlio.
Questo è stato il motivo trainante che mi ha indotto a lasciare il
gruppo: la mancanza di sincerità verso me
stesso, io volevo solamente proteggere il gruppo, ma io sono figlio e
come tale, come tale, non posso non
dare delle colpe ai miei genitori, dai quali anch’io, come i vostri
figli, non ho avuto comprensione quando ho
voluto indirizzarmi verso delle scelte anziché delle altre. lo non sono
diverso dai vostri figli, sono cresciuto tra le insicurezze e le
incomprensioni.
Questa similitudine mi spinge a voler frequentare loro piuttosto che
voi, per capire meglio me stesso e dare
loro una mano a cercare un contatto migliore con la vita.
Alessandro & Balanzone
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La “Farofesta” di Casalecchio,
che sballo!
La prima festa del Faro si è svolta nel pomeriggio di
domenica 27 maggio 2007 presso la sala EX-TIRO di Casalecchio di Reno.
L'evento è iniziato con la declamazione di poesie accompagnate da
musica balcanica della bravissima Annalisa. Poi è stato presentato
rapidamente il giornale, Quindi è stata la volta di Guido con le sue
bellissime poesie, molto toccanti su sua moglie e la sua famiglia. Dopo
ci si è scatenati in sfrenati balli di musica anni ’70 fino alle 19.00
ora in cui c 'è stato il rinfresco. Un ringraziamento va a tutti coloro
che hanno portato contributi mangerecci e bibite varie. La serata si è
conclusa con canti corali al karaoke che hanno avuto un effetto
inebriante collettivo maggiore di quello dello champagne.
Sebbene il pomeriggio sia stato fresco il calore umano della festa è
stato veramente grande. Vi aspettiamo alle serate estive del venerdì
sera presso il centro Annalena Tonelli di S. Lazzaro (vedi programma in
altra parte del giornale) e anche alle nuove Farofesta che ripartiranno
verso settembre-ottobre.
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Due domande, tante storie di vita
vissuta
1 - Aspetti buoni e meno buoni della tua esperienza di
famiglia?
Lucio: Con i miei fratelli vado molto d’accordo come
d’altronde con mia
madre e mio padre. In passato c’erano dei diverbi in famiglia. Ora va
come una “manna “ e i rapporti sono cambiati o sono cambiato io in
rapporto a loro.
Arianna: Aspetti postivi : protezione ed affetto . Negativi:
aspettative che i genitori si fanno deluse e c’è delusione ed amarezza.
Anche i genitori possono deludere i figli.
Erika : Certe cose con mia madre sono migliorate. C’è voluto un po’ di
tempo per capire che la mia malattia mi faceva fare cose strane, ad
esempio urlare. Però ci sono ancora dei dissensi e lei non si rende
ancora conto del male che mi ha fatto. Il mio passato è, stato un
inferno perché per esempio l’istruttore di guida mi ha sgridato e mia
madre anche invece di confortarmi e comprendermi. Non hanno provato
compassione per me e come se mi avessero voluto fare del male. Mio
padre non mi comprende neanche adesso.
M. Angela: Della mia famiglia d’origine preferisco non parlare. Penso
di non aver avuto una famiglia. Quella che considero famiglia è la mia,
creata con il matrimonio. Ho vissuto la fortuna nel gustare la
maternità avendo avuto tre figli. Un aspetto negativo la perdita di mia
figlia a trent’anni. L'altro è stato volontario, l’abbandono poi il
divorzio da mio marito. La mia famiglia anche se si è frammentata
sussiste ancora perché mi sono rimasti due figli che però sono in buoni
rapporti con me e quindi ho riacquistato la famiglia che pensavo di
aver perso.
2 - La tua esperienza in una famiglia sostitutiva
(centri diurni,
gruppi famiglia, case di riposo)?
Lucio: Qui in “semirè” mi sento un re o anche a detta
di Arianna
“scemiresidenza” o anche da Mariangela “semi” nel senso di residenza
dei semi, luogo dove si seminano e nascono fiori. Mi son trovato bene
perché non mi è mai capitato di trovare al mio fianco una persona che
sia negativa. Mi fa bene come adesso il contatto con le psicologhe
perché mi aiutano con le terapie ( arte e danza terapia, Arte insieme).
Quando l’altro giorno non stavo molto bene mi sono stati tutti vicini,
nessuno rideva di te. Il gruppo appartamento dove vivo in parte della
mia giornata lo sento vicino.
Erika : In semiresidenza sono riuscita a trovare delle persone che mi
danno quella comprensione che la mia famiglia non mia ha dato.
Arianna: Ho avuto due esperienze di gruppo appartamento. Nel primo non
mi trovavo assolutamente bene non lo sentivo famiglia. In quello
attuale invece mi trovo molto bene. Perché ha alcuni vantaggi e non gli
svantaggi della famiglia. I vantaggi sono: l’indipendenza , l’autonomia
, l’affetto, e l’amicizia degli altri ragazzi. In questo gruppo
appartamento ho conosciuto due ragazze che sento come sorelle.
Gabriella: Devo dire che il bene che mi ha voluto mia madre l’ho capito
subito e quello che mi ha voluto mio padre lo capisco solo adesso. Mi
dispiace vorrei potergli dire adesso tutte le cose non ho saputo dirgli
prima. Nel rapporto con la Rossella c’è stato un momento in cui lei
sostituiva la mia famiglia. Adesso abbiamo un rapporto più adulto e più
maturo. Non dipendo sempre come prima del tutto da lei. Per quello che
riguarda le persone della casa di riposo, specialmente con due persone,
Maria e Liliana, sono veramente amica. Meno buoni, invece, seppur
migliorati, il rapporto con il personale e non credo che sia soltanto
colpa mia. Per una settimana sono stata senza terapia e sono stata
molto male e pensavo di andare via. L’infermiera che mi segue da
vent’anni mi aveva consigliato di andarmene solo che ho sentito dire
che altre case di riposo sono meno belle.
M. Angela: Anche se la mia famiglia tuttora è unita la frequenza al
centro è stata molto utile per la mia vita personale. All’inizio
parlavo poco anche se ascoltavo, ero apatica al 100% e questo era il
mio handicap e pensavo di non poterlo superare. Invece sono riuscita a
superare questo ostacolo con l’aiuto delle operatrici e dell’attività.
Oltre questo ho avuto la gioia di avere nuovi rapporti di amicizia che
non avevo mai avuto. Anche se lo frequento solo di giorno è diventata
casa mia.
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Un arcobaleno di sentimenti:
rabbia, dolore, amore
L 'argomento famiglia è un argomento bruttissimo perché
certi momenti non ho avuto dalla famiglia ciò che era fondamentale,
cioè la gentilezza ed il conforto. Per esempio, ricordo quando a 14
anni stavo malissimo dentro, ero sempre demoralizzata, vedendo tutto
nero, ma tutti si arrabbiavano e non mi capivano. In modo particolare
sprofondavo quando qualcuno alzava la voce con me. Ora dopo tanto tempo
mi chiedo: cos'ho fatto per meritare questo?
Ricordo anche quando io mi arrabbiai con mio padre, perché lui alzava
sempre la voce, allora per questo io gli dissi tranquillamente di non
alzare la voce con me. Non l’avessi mai detto!!! Cominciò ad urlare
come un pazzo. Ma che razza di genitori ho avuto io?
Sempre sola come un cane mi hanno lasciata, anche nelle situazioni più
disperate! Mai una parola di conforto, quanto ho sofferto! Quando mi
veniva da urlare mi sgridavano perché si vergognavano delle critiche
della gente, ma della mìa sofferenza, non ne hanno mai tenuto conto.
Erika
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Famiglia
La famiglia dà strada alla vita perché è anche felicità
immensa e imperfetta che porta allegria e futuro.
Purtroppo ci sono i lati positivi e i lati negativi. Uno dei quali è
che il figlio lascerà la famiglia. O perché non si va d’accordo oppure
per guadagnarsi della libertà.
Questa separazione è facile ma l’impatto con gli altri è un po'
difficile all’inizio. Ed è doloroso andarsene. Ed è doloroso lasciar
andare un figlio.
Lucio
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Baleno di Maggio
-Verdi
Si sono formate
veloci,
le chiome
-nei campi, il rosso dei papaveri è scoppiato,
e nei ricordi,
dove fiammeggiano sul marmo della tavola, e,
in un barattolo di vetro,
allietano l’infanzia
Gabriella
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I figli guardano
Famiglia divisa, famiglia uccisa.
Papà lontano, la mamma triste
e i figli vedono cose mai viste,
famiglia passata, famiglia perduta
vita che sembra non vissuta.
Famiglia rimasta, famiglia ferita
la rabbia non ancora sopita.
Famiglia sola, famiglia a brandelli
ma ci sono ancora momenti belli
momenti in cui sembra che passi il dolore
e quello che resta è solo l’amore,
l’odio svanisce, la rabbia si cheta
la gioia diventa consueta.
Famiglia confusa e piena di guai
so che tu non mi lascerai mai.
Sei la mia mamma, sei mio fratello
sei quanto ancora ho di più bello
Ari
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Padre
Ho un ricordo d’infanzia
nel quale tu non ci sei.
Mi stringono due braccia forti
ed io sono felice
perché mi pare di sentire ancora
nel mio piccolo cuore di allora
un senso di sicurezza infinita.
Non riesco a perdonarti padre
perché hai stravolto in me
Il significato di famiglia.
Silvia
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La vita nei Gruppi Appartamento
Agli operatori del Poliambulatorio del Servizio Salute
Mentale di Castiglione dei Pepoii, Vado e del G.S. Diavoli Rossi.
Sono una paziente psichiatrica che ha sofferto di
anoressia per più di quindici anni e che da tre anni e mezzo vive in
gruppi appartamento dell'A.S.L.
Vi racconto la mia esperienza. Per due anni e mezzo ho vissuto in GAP
di proprietà di un’associazione ad alta protezione con altri cinque
pazienti; erano presenti due educatori per tutto il giorno e uno di
notte. Ero ancora molto malata (pesavo 31 Kg) e non potevo fare quasi
nulla perché non ne avevo la forza.
Nel GAP c’era una domestica che si occupava delle pulizie, di lavare e
di stirare; gli educatori facevano la spesa e cucinavano e noi pazienti
avevamo tanto tempo vuoto per cui io mi annoiavo e sentivo molto la
solitudine. Anche gli altri pazienti avevano problemi molto seri e non
era facile stabilire una relazione di amicizia.
Quando sono giunta nel GAP provenivo da una famiglia dove ero al centro
dell'attenzione; ogni mio desiderio veniva se possibile soddisfatto
subito e miei genitori cercavano di accontentarmi in tutto. Eppure io
percepivo in loro un’ostilità inesistente ed ero aggressiva e
capricciosa, specialmente nei confronti di mia madre a cui attribuivo
la colpa della mia sofferenza e di ogni problema.
Nel GAP gli educatori avevano cura che ciascuno avesse il suo spazio ma
non invadesse gli spazi altrui e così ho imparato che i miei diritti
non vengono prima di quelli degli altri e ho capito che si possono
avere opinioni diverse continuando a volersi bene. Col tempo ho
ricominciato ad apprezzare i miei genitori, a sentire che mi amano e
che anche io li amo e ho ritrovato con loro un buon rapporto.
Quando ho cominciato a migliorare ho avuto progressivamente più libertà
di uscire e di fare qualche attività finché sono stata trasferita in un
GAP dell’A.S.L. a bassa protezione dove sono tuttora.
Qui siamo cinque ragazze e ognuna ha la sua stanza; ci sono quattro
bagni, una cucina e un grande soggiorno. Le cose sono assai diverse,
anzitutto perché io sono migliorata sia fisicamente (peso quasi 40 Kg),
sia psicologicamente e poi perché l’organizzazione del GAP lascia
spazio all’autonomia individuale.
L’educatore è presente tre ore al mattino e dalle 15.30 alle 22.30 e
noi ragazze abbiamo molti impegni per quanto riguarda la gestione della
casa. Due volte alla settimana ci rechiamo al supermercato a fare la
spesa in base a un menù deciso da noi, una giornata è dedicata a pulire
a fondo la casa e ogni giorno si riordinano camere, bagni e cucina.
Ognuna a turno prepara la cena per tutte e ciascuna a cura di lavare e
stirare la propria biancheria. Questo permette di riprendere delle
abilità che erano state perdute a causa della malattia e di
responsabilizzarsi nei confronti della propria persona e della casa.
Il mercoledì facciamo la “Riunione di Famiglia” con gli educatori e la
coordinatrice; durante la riunione si parla di come è andata la
settimana, dei rapporti con altre ragazze e degli eventuali problemi
che si incontrano nella convivenza.
In questo GAP ho fatto amicizia con le altre ospiti e mi sento meno
sola. Ho un rapporto più maturo anche con gli educatori; ho ritrovato
la capacità di divertirmi e soffro di meno. In questa condizione si è
sviluppata in me e nelle altre ragazze la capacità di risolvere gli
eventuali contrasti in modo più sereno e maturo, di condividere i
momenti belli e scherzare bonariamente sui nostri difetti e di fare un
percorso che ci aiuta a crescere insieme.
Adesso ho anche capito quanto mi abbiano insegnato gli educatori, tanto
che vado spesso a trovare quelli del primo GAP con sincero affetto e
gratitudine. Spero di migliorare ancora per potere andare a vivere da
sola come prevede il mio progetto terapeutico, ma credo che
l’esperienza di vita nel GAP sia stata per me e sia ancora
importantissima e molto formativa.
Arianna
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Ecco perché voglio diventare
educatrice
Sono una studentessa della facoltà di scienze della
formazione e ho appena terminato di svolgere un
periodo di tirocinio di 125 ore presso il centro di salute mentale di
San Lazzaro. Scrivo questo articolo per soddisfare la curiosità di chi
come la persona che mi ha dato questa occasione, si chiede quali siano
le motivazioni che inducono un individuo a voler diventare un operatore.
Frequentavo il secondo anno delle scuole superiori, quando alla mia
nonna materna fu diagnosticato il morbo di Alzheimer; con la leggerezza
di tutti o quasi gli adolescenti, perseverai con la noncuranza di
quanto stava accadendo alla mia famiglia per i successivi tre anni.
Ottenevo il titolo di studio di “Perito Capotecnico” (sono diplomata in
elettronica e telecomunicazioni) quando il neurologo che aveva in cura
mia nonna consigliò a mia madre e alle mie zie di farle frequentare un
centro diurno per anziani a Castenaso. Era estate e così mi offrii di
accompagnare la nonna al centro: le prime volte dovetti rimanere con
lei per tutto il tempo che vi trascorreva per evitare di farla sentire
sola. Questa esperienza, durò poco per le sue caratteristiche provocò
un crollo delle sue condizioni mentali della nonna. Oltre che estate
erano anche i mesi durante i quali decidevo la la strada da
intraprendere dopo il diploma: realizzare il dispiacere di dover
interrompere quella piccola routine bisettimanale mi fece comprendere
che il lavoro che cercavo avrebbe dovuto soddisfarmi sul piano
personale ed umano. In quei giorni un'altra ragazza come me oggi, stava
terminando il suo periodo di tirocinio presso l’ ente del quale vi ho
parlato: sulla facoltà alla quale sono attualmente iscritta.
Questi sono i primi passi che ho mosso verso la comprensione,
l’educazione e l’empatia. Ho ancora moltissimo da camminare per
diventare un’educatrice “sufficientemente buona“, ma sono sulla giusta
strada.
Lisa Bassi - III anno scuola della formazione
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Da sei mesi tutti pazzi per la
Psicoradio
Io come voi sono stata sorpresa
mentre rubavo la vita,
buttata fuori dal mio desiderio d'amore...
io come voi ho pianto,
ho riso e ho sperato...
Ma io come voi sono tornata alla scienza
del dolore dell'uomo, che è la scienza mia.
Con questi versi di Alda Merini abbiamo iniziato la
prima puntata di Psicoradio il 7 Dicembre 2006.
Noi redattori di Psicoradio proveniamo da esperienze di disagio
mentale, tutti più o meno siamo stati in cura presso le strutture dei
Centri di Salute Mentale e vogliamo informare, discutere, divertire,
trovare nuove parole per parlare di psiche.
Andiamo in onda su Radio Città dei Capo (frequenze: 96.25 e 94.7 ) il
giovedì alle 11:30, in replica la domenica alle 14:00, o sul nostro
sito www.psicoradio.it
Psicoradio è un corso che forma operatori radiofonici e
contemporaneamente produce programmi.
Abbiamo ospitato in redazione psicologi e psichiatri, ma anche esperti
d'arte, intellettuali, personaggi dello spettacolo. Tutti ci parlano,
dai loro punti di vista, di temi della psiche e con loro riflettiamo
sulle tante sfaccettature con cui la mente, sana o meno, si esprime
nella cultura e nella società.
Per esempio, abbiamo una rubrica, "Una domanda paziente", in cui si
invertono i ruoli e siamo noi pazienti ad intervistare i nostri
psichiatri.
Stiamo preparando "Sentire le voci", una grande inchiesta che parla con
più voci e da più punti di vista di questo tema. E anche una serie di
programmi sull'etnopsichiatria, e cioè sulla psichiatria che si occupa
delle persone di altre culture.
Leggiamo poesie, parliamo degli artisti che hanno attraversato momenti
di disagio psichico, da Carracci a Van Gogh fino ai contemporanei, La
nostra musica è sempre scelta con cura: in redazione abbiamo molte
persone appassionate e alcuni musicisti.
Ci piacerebbe molto ricevere proposte, suggerimenti, anche critiche
(poche, speriamo!). Psicoradio è una occasione da non perdere.
Scriveteci! psicoradio@amail.com
(Psicoradio è una delle iniziative di Arte e Salute
onlus e del Dipartimento di Salute Mentale dell.'AUSL di Bologna).
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“Formazione alla Recovery” con Ron Coleman e Karen
Taylor
Cos'è la Recovery
Recovery è un termine inglese che non è traducibile
semplicemente con "guarigione". Esso significa piuttosto riaversi,
riappropiarsi, riprendere in mano il filo della propria vita. Più che
un punto di arrivo è un processo. È decidere di uscire dalla passività,
in cui ci si sente in balia dei propri disturbi, delle cure, del
giudizio o del disinteresse degli altri. Ha a che fare con la speranza,
con la riapertura di un futuro, con la ripresa di valore, con il
ritrovare scopi nella vita. Non puù che partire da una scelta
personale, ed è la persona che ne deve guidare lo sviluppo. Ugualmente
ha bisogno di aiuto, della presenza e della fiducia degli operatori e
famgliari. È quindi soprattutto un cambiamento interno, che però ha
effetti sugli altri.
Obiettivi del corso
- Capire il processo di recovery e cosa lo ostacola
- Migliorare la capacità di sviluppare progetti centrati sulla persona
- Prendere più confidenza con i propri punti di forza e di debolezza in
ordine ad un impegno in progetti di recovery
- Consentire ad utenti, famigliari e operatori di adoperarsi nel
proprio servizio per programmi orientati al cambiamento
Le date
A Casalecchio di Reno l'8 ottobre; a S.Lazzaro di
Savena il 9-10-11 ottobre
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Un sibilo nella notte
Quando viene la sera,
come questa tarda Primavera,
si rivolge
la testa al sole.
Mamma...
In una notte stellata,
ti ho udito
fischiare nel bosco.
Daniela Pelaghi
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Dedicato a te
Il cielo si apre e pronuncia il tuo nome
il cuore dentro nasconde te.
Sei tu vicino a me quando ne ho bisogno
sei tu che mi riempi di gioia.
Mamma, un nome scritto con cinque lettere,
ma che vuol dire tanto.
Non scorderò mai i tuoi capelli lunghi
la tua bocca rossa con cui parlavi.
Sei sempre vicino a me anche nei miei sogni,
mi manchi mamma...
Se davvero esiste un aldilà ti voglio rivedere,
voglio rivedere dì nuovo il tuo sorriso.
Denisa Gaba
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Sei parte di me
Qualcuno mi ha detto che ha visto te
e io non ci ho creduto.
Chiudo gli occhi e penso a te.
Un usignolo mi dice di ascoltarlo.
La musica come delle onde sussurra
nelle mie orecchie,
sembra di sentire il mare in una conchiglia.
La musica segue il ritmo alto e basso e poi alto
e di nuovo basso.
Mi fa capire che è vicino a me e che mi ascolta
ascolta le mie grida.
E lei è la mia sorella
aldilà del mare ma vicino al mio cuore.
Non so se ascolti il mio urlo
il mio grido per te.
Denisa Gaba
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A mia madre
Avanzi lentamente laboriosa,
intenta alle incombenze della famiglia.
Le tue gambe sono ribelli, ma tu non t’arrendi.
Non riesci ad amarmi come voglio,
ma ti desidero ed ho perdonato
tutte le tue mancanze.
Giovanna Giusti
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La vita
Che bella la Vita!
Nell'ammirare la volta del cielo stellato.
Contemplare il volto dei proprio bimbo,
che con il suo sguardo
ti ha già parlato del futuro.
Camminare sulla spiaggia
con la donna della propria vita.
Sentire il ruggito del mare
che con le proprie onde
cancella le impronte lasciate
sulla sabbia.
E la fine, lo splendido
tramonto
che con i suoi colori
riempe e sazia
il piacere dei giorni avvenire.
Massimiliano Boico
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Affetti e abbracci
Ghirlande di splendidi fiori intrecciati
sono gli affetti e gli abbracci.
Rose purpuree sono le passioni
e gli amori profondi, che a volte però
qualche spina nascondon.
Una di loro mi punse, e ancor ferita ne porto,
quasi a ricordare che non vi è più dolor
nella vita, che quello di perdere un figlio.
Ma quando ti accorgi che sui tuo viso
c’è una ruga che non c’era, e pensi che
non ritorni più primavera: è proprio allora
che vedi sbocciare i candidi gigli:
“i figli dei tuoi figli” così che mi vien
da gridare “che bella aiuola fiorita è la
famiglia riunita”.
Gruppo Arte Insieme
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Poesie di Guido Rossi
Donna Atonia
Non ho occhi per vedere
né orecchie per sentire
se tu non sei qui accanto a me.
Non ho voglia di mangiare
né acqua mi può dissetare
se tu non sei qui accanto a me.
Non c’è profumo che mi possa inebriare
né petalo di rosa che mi possa sfiorare
se tu non sei qui accanto a me.
Non ali per volare se
tu non sei qui accanto a me.
Perché fra tutti i sensi di cui io ora son padrone
il più importante me lo hai insegnato tu
è il senso dell’amore.
Il tempo
Chi ha tempo non aspetti tempo.
C’è un tempo mangiare ed uno per dormire.
C’è un tempo per brindare ed uno per pregare.
C’è un tempo per piangere ed uno per scherzare.
Un tempo per dipingere ed uno per sognare.
Chi ha tempo non aspetti tempo
Ma non dimenticare:
ci deve essere un tempo per darsi tempo.
La famiglia
È come la sabbia del mare che scivola fra le dita
non la puoi stringere,
devi raccoglierla a mani giunte con lo stesso rispetto che metti in una
preghiera.
È il soffio fresco del vento a primavera che ti passa sulla pelle
non lo puoi fermare,
devi farti investire con la stessa speranza con cui ti addormenti la
sera.
È come l’oro strabocca dal tuo forziere
non puoi nasconderlo,
devi guardarlo alla luce del sole con lo stesso stupore che ti da un
fiore.
La puoi cercare ma non la puoi catturare,
la puoi sognare ma non bramare,
la puoi godere ma non usare.
Se ci sai credere
può essere un miracolo da vivere.
I figli
I figli sono come il sale che dà sapore al pane.
Sono l’odore del lievito che lo fa fermentare.
Sono i petali che volano nel vento caldo della sera.
L’odore del gelsomino nelle notti d’estate.
I figli sono i fabbri che ti temprano il cuore
per avere più coraggio
per non aver paura
per te e per loro.
I figli sono i nostri occhi nella casa del futuro,
guardare con i loro occhi ti permette di vedere lontano
e ti impedisce di non sperare ancora.
E per quante parole tu possa dire loro
una sola grande verità ti è data
i figli insegnano a non dimenticare.
Cos'è l'amore
L’amore è quello che conta.
Non esistono gesti o parole
non ci sono numeri
che lo possano contare.
L'amore è vita.
E poiché non basta annusare per sentire
né guardare è suffciente a vedere,
così non basta ascoltare per udire.
Il soffio di vento che ti accarezza la pelle
è il ricordò della mano che ti sfiora
e ti regala un sogno, una speranza.
L’amore non lo si può provare.
L’amore è sentire amore.
Guido Rossi
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Famiglia e libertà: riflessioni
di un giovane parroco
No, non preoccupatevi, non parlerò di DICO o cose
simili. Anzi, parto da lontano, da una cosa che sembra totalmente
slegata, da che cosa è un idolo. Un idolo è un falso dio, creato dagli
uomini per prostrarvisi davanti ed essere interiormente certi che si
sarà esauditi, che tutto andrà bene. Ci sono tanti tipi di idoli ma, in
quanto prete, a me viene in mente la bibbia, e uno degli idoli più
famosi della bibbia è sicuramente il vitello d’oro, costruito dal
popolo d’Israele mentre è nel deserto, in fuga dall’Egitto, perché, a
differenza del Dio di Mosè, il vitello è visibile, toccabile, gestibile.
Ma non è roba solo della storia sacra: anche noi abbiamo idoli. Per
esempio, abbiamo fatto della libertà un idolo. Cosa sacrosanta la
libertà, ma se significa che se una cosa non è libera sicuramente non è
buona e non ci sto neanche a guardare, e se invece una cosa è libera è
automaticamente buona, senza dubbio e senza verifica, se succede così
allora la libertà diventa un idolo. Ora, lungi da me l’idea che la
costrizione sia meglio della libertà, che ad obbligare si riesca meglio
che a lasciar liberi, ma il rischio di fare dei danni con questo
“vitellone dorato” della libertà-idolo non è sottovalutabile. L’esempio
più chiaro è l’educazione; l’educazione è e-ducere, tirar fuori per far
crescere, è coltivazione e cioè è altro dalla costrizione ma parimenti
è altro dal lasciare liberi, nel senso di lasciare una crescita
spontanea.
Ma poi, se ci penso bene, non sono poche le cose importanti di me che
io non ho scelto perché me le sono trovate fatte: il mio aspetto
fisico, la mia cittadinanza, la mia cultura, buona parte delle cose che
mi sono capitate, buona parte del mio carattere, buona parte della mia
fede, buona parte delle mie relazioni, insomma buona parte della mia
vita me la son ritrovata, non l’ho scelta. Ah, mi dimenticavo, anche la
mia famiglia.
Anzi, a ben pensarci alla famiglia sono legate molte di quelle cose che
io non ho scelto ma che sono, nel bene e nel male, la mia vita, anzi,
più precisamente, di quelle cose che sono me. Non so se sono troppo
complicato e arzigogolato, ma sto solo cercando di dire che il rapporto
con la famiglia, così come essa è, nel bene e nel male, è la
concretizzazione di quel grande interrogativo che ciascuno di noi si fa
sulla propria storia personale: perché sono quel che sono e perché mi
accade quel che mi accade? Esempio banale. Proprio oggi, parlando con
mia madre, ad un certo punto le ho detto: “Ah, e poi ti dovevo
ringraziare, mamma”. “Perché?”. “Perché noi non siamo ricchi e, più
vado avanti e conosco, per il mio ministero di prete, delle persone
ricche, penso che il non esserlo ci abbia semplificato di molto la
vita” (tra parentesi: nessuna precomprensione ideologica e nessuna cosa
contro i miei fratelli e sorelle che hanno dei soldi, è solo che spesso
li vedo complicarsi la vita e vivere meno felici...). “Ah, guarda che
noi non l’abbiamo mica scelto di non essere ricchi...”. A questo punto
a me, che, grazie al Cielo, sono riuscito a conservare un po’ di quella
fede che il Signore mi ha regalato e che cerco di leggere la mia storia
come suo disegno, non è venuto altro da pensare che: “Grazie Signore!”.
Ma non è sempre così: se anziché essere la mia famiglia un elemento
positivo della mia vita fosse stato negativo, cosa avrei fatto? Se
anziché dover ringraziare la mia famiglia per come è perché mi ha
aiutato a impostarmi, come persona in un certo modo, avessi dovuto
maledire la mia famiglia, per come è, perchè mi ha indirizzato ad
essere, come persona, in un modo che non mi piace, cosa avrei dovuto
dire?
Non lo so cosa avrei dovuto dire. Perché la nostra storia rimane un
mistero; con chi vuole e con chi ha un po’ di fede si può provare ad
entrare in questo mistero e magari trovarci un senso e scoprirci dentro
anche una qualche traccia dell’amore con cui Dio da sempre ci ha amati.
Per tutti mi viene da suggerire che comunque il nostro rapporto con la
famiglia da cui veniamo è l’immagine esatta del rapporto che abbiamo
con quel mistero che è la nostra vita, la nostra storia. Provare ad
amare la propria famiglia, così come è, è provare ad amare la propria
storia, così com’è. Non è facile, non è scontato, ma è importante. E
per questa volta la Libertà non sarà possibilità di scegliere qualcosa
di diverso, men che meno sarà idolatria possibilità di manipolare o
gestire la nostra storia, sarà invece capacità di accogliere il
mistero.
Don Paolo (Parroco di San Lorenzo del Farneto)
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Quel treno speciale per Pechino
Il movimento de LE PAROLE RITROVATE e l'A.N.P.I.S.
Associazione Nazionale delle Polisportive per l’Integrazione Sociale,
con il patrocinio e la collaborazione del Ministero della Salute,
stanno facendo partire una grande avventura! Dall’8 al 28 agosto 180
persone legate ai mondi dei gruppi di automutuo aiuto, dello sport
praticato per piacere e stare assieme e interagire, di promozione
dell’inclusione sociale condivideranno un lungo viaggio in treno lungo
la TRANSIBERIANA fino a raggiungere Pechino.
Perché un’impresa così ardita, così straordinaria? Il TRENO vuole farsi
conoscere da un numero molto elevato di cittadini italiani e suscitare
un coinvolgimento positivo, sia sul piano cognitivo che emozionale,
verso i suoi protagonisti cioè verso il mondo della salute mentale.
Così oltre a condividere la quotidianità del viaggio i protagonisti
saranno chiamati a farsi portatori di saperi ed esperienze lungo le
tappe nelle città ove sarà possibile scambiare conoscenze con le
comunità locali, ma soprattutto nel prima e nel dopo il viaggio in ogni
evento mediatico attuato per dare grande diffusione e risonanza
all’evento.
Fareassieme questa grande avventura è
un’esperienza basata sui
principi per cui ciascuno è portatore di un sapere riconosciuto, sia
professionale che esperienziale, ciascuno può e deve esprimere
responsabilità, ciascuno ha nella sua vita non solo problemi ma anche
risorse e quindi ciascuno ha, nei suoi percorsi di vita, la possibilità
del cambiamento.
Il ritorno mediatico di questa grande impresa è garantito a tutt'oggi
dall’adesione al progetto da parte di una troupe della RAI con Patrizio
Roversi e di Giovanni Pipemo regista/documentarista di fama
intemazionale che ha già cominciato a raccogliere interviste ed
informazioni presso alcune realtà che saranno protagoniste del viaggio.
Un giornalista di un quotidiano nazionale garantisce inoltre la
coperture sulla stampa.
Il punto cruciale dell’organizzazione di questa grande avventura, oltre
all’aspetto organizzativo e di raccolta di adesioni, è l’aspetto
finanziario. Il gruppo di partecipanti della nostra regione è composto
da 25 persone: 11 di Parma, 8 di Imola e 6 di Bologna. Ogni
partecipante contribuisce con almeno 500 euro. Il restante costo del
viaggio (che si aggira attorno a 3700 euro prò capite) sarà coperto da
sponsor sia nazionali che locali. Enti locali, fondazioni bancarie,
ditte e privati cittadini che aderiscono a questa grande iniziativa
sono chiamati a dare un contributo che raccogliamo presso il conto
corrente bancario n. 111673 ABI 05018 CAB02400 presso Banca Etica
filiale di Bologna intestato a ANPIS coordinamento Regionale. Aiutateci
a realizzare questo grande evento storico!
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Il laboratorio di musica
“Musicanto”
Il nostro laboratorio si divide in due momenti: musica
attiva e musica recettiva.
Nei momenti settimanali di musica recettiva, ascoltiamo brani musicali
selezionati, di volta in volta, con un obiettivo specifico di lavoro e,
mentre ascoltiamo o subito dopo un ascolto, possiamo esprimerci
liberamente disegnando, scrivendo o verbalizzando le nostre
impressioni. Durante il pomeriggio, abbiamo affrontato il tema natura
con tutti gli effetti acustici che la contraddistinguono; abbiamo
quindi ascoltato la sequenza di suoni naturali e discusso sulla loro
familiarità e sulle immagini che essi provocano in noi. E’ stato
sorprendente notare come le stesse situazioni climatiche ed
atmosferiche suscitano in ciascuno sentimenti diametralmente differenti
a seconda che siano legati o meno a delle immagini della nostra vita in
cui eravamo felici o in difficoltà e come, il confronto tra i nostri
pensieri, abbia portato ad una conversazione eterogenea, ricca di
significati, storie e condivisione di stati d’animo, palesati mentre si
ode il frastuono di un acquazzone o il dolce e lento infrangersi di
piccole onde sugli scogli. Dal momento che l’argomentazione ha
suscitato interesse e dialogo intenso, abbiamo parlato inoltre di come
alcuni musicisti nella storia abbiano rappresentato con le note i suoni
naturali e le stagioni dell’anno, pertanto è stato interessante
ascoltare parte de Le quattro stagioni di Vivaldi ed II dialogo tra il
mare ed il vento di Debussy.
Questo genere d’ascolto e quello della musica d’ambiente, ci ha
permesso di creare un collegamento, un ponte enorme, tra noi stessi ed
il mondo che ci circonda, soffermandoci su rumori e melodie che fanno
da sfondo alla nostra esistenza e delle quali, spesso non siamo
consapevoli; ci ha insegnato inoltre a prestare attenzione all’altro ed
a esprimere/condividere pensieri, emozioni vissuti. Abbiamo utilizzato
le note come mediatore tra pensiero e parole e mezzo stimolante di
relazione.
Ecco il risultato di un momento di scrittura collettiva:
Profondità del suono,
melodia naturale e ricordo costante.
Diluvio, atmosfera angosciante...
Cascata e forza dell'acqua che batte su una superficie dura,
inquietudine arrivo di un cataclisma... Inverno.
Isola deserta, spiaggia bellissima,
Sole che ti bacìa la pelle, naturalezza.
Folla, ombrelloni, gelati gustosi
Giallo, oro, profumi intensi: Estate.
Ruscello senza argini, volo di rondini, è primavera:
distesa serena interrotta da qualche ruga di brezza
occhi felici profumo di fresco, bambini che corrono nei prati.
Giallo, marrone, rosso... il bosco
Caldarroste, venditori in strada...
Foglie strappate dal vento
Sibilo forte ed intenso...
Autunno dalla finestra di casa mia.
(a cura di Giorgia Busti , Casa Mantovani, Coop. Soc.
Nazareno, Bologna)
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Una luce nella favela di Rio de
Janeiro
Due occhi neri così intensi proprio non li aveva mai
visti. Fulvio, pilota di aerei di linea, aveva girato il mondo,
conosciuto donne bellissime, tante avventure; ma una bellezza così
mediterranea l’aveva solo sognata.
La vide per la prima volta durante un volo intercontinentale. Lei
viaggiava in business class. Vestiva un tailleur grigio di cotone,
calze di nailon nere come la tinta delle scarpe. Era la rappresentante
di punta di una famosa casa di cosmesi francese. Aveva modi di fare
estremamente femminili e non c’era uomo che potesse staccargli gli
occhi di dosso.
I due si rividero nel free shop dell’aeroporto di Rio de Janeiro,
Brasile. Mentre lei osservava la disposizione degli oggetti nel
negozio, lui si teneva in disparte e seguiva con lo sguardo e in modo
discreto i suoi spostamenti. Vi fu subito grande attrazione tra i due.
I fatti si svolsero così: Fulvio aveva trovato un taxi e quando la vide
in attesa le propose di condividere il mezzo. Lei non perse tempo e
salì sulla vettura. Al giovane pilota non parve vero. In entrambi la
corporeità emanava una forte emozione: lei aveva una colonna molto
dritta e tesa; a lui mancava il fiato e gli tremavano le mani. Si
presentò: “Mi chiamo Fulvio e sto andando verso l’albergo XY nel centro
della città”. Lei rispose: “Mi chiamo Deborah e vado nello stesso
albergo”.
“Che fortuna!”, esclamò il pilota. Si inserì il taxista. “La fortuna è
tutta mia”. I due si guardarono negli occhi ma non capirono. Il perché
fu fulminante. Due uomini sulla cinquantina, vestiti logori, salirono
sul taxi con pistole spianate. Ai due giovani si gelò il sangue. Fulvio
prese la mano di Deborah, era l’unica cosa che poteva fare. Poi pensò,
questa è una rapina, e disse: “Vi do tutto quello che posseggo, ma
lasciateci stare, soprattutto non fate male alla ragazza”.
“Non avete capito nulla ed è meglio così” rispose uno degli uomini
mentre un altro gli bendava gli occhi.
Intanto l’auto usciva dal centro della città e si avviava rumorosa
verso la periferia accostando case sempre più povere e maltenute, fino
a raggiungere una baraccopoli. Erano le Favelas.
Fecero scendere i due dall’auto e li trascinarono dentro una baracca.
Qui li legarono e gli tolsero le bende. Quello che videro era una
stanza senza finestre con due lettini ricavati da grandi sacchi
riempiti di paglia. Da fuori arrivava lo schiamazzo allegro di bambini
che giocavano. I malviventi gli portarono subito frutta da mangiare e
acqua minerale da bere. I due si ristorarono e si sentirono subito
meglio. Qualche minuto dopo venne il taxista e disse con un inglese
stentato: "State calmi e non tentate di scappare e vedrete che non vi
accadrà nulla. Vi abbiamo rapito per avere un riscatto dalla ditta di
cosmesi. Ottenuto il denaro vi lasceremo liberi e noi scompariremo”. Ai
sequestrati le parole del taxista sembrarono sincere e guardandosi
capirono che erano entrati in una realtà completamente avulsa rispetto
a quella che avevano vissuto fino a quel momento. La sensazione si
concretizzò alla sera. Quello che videro proprio non se lo sarebbero
mai immaginato . Era la cena.
I bambini si erano riaccasati all’intemo della baracca. I rapiti
attraverso la tenda spostata dal vento videro bambini magri dalla pelle
olivastra e capelli neri che si erano seduti in attesa della cena. I
rapitori diedero da mangiare umili cose agli ostaggi. Quello che rimase
venne dato ai bambini, mentre i sequestratori si divisero una piccola
pagnotta di pane con il latte della capra che aveva dimora all’esterno
“dell’abitazione”. Terminato il pasto serale, arrivarono diverse
persone con strumenti musicali. E subito iniziarono a suonare, cantare
e ballare a ritmo di samba.
Paradossalmente era diventato tutto magico: musica, odori, persone di
tutte le età che danzano sprigionando un’infinita energia, luci povere
ma tante stelle in cielo, gli ottoni che brillano, i sensi che
vibravano, In una frase: passione vorticosa per la vita.
I due sequestrati, quasi divertiti dalla singolarità della situazione,
seppur legati, iniziarono a ballare nella piccola stanza. Poi fu più
forte di loro: si baciarono, si carezzarono con il capo. Si coricarono
su uno dei giacigli per dare la possibilità ai due corpi di venire a
contatto e dare pace a parti del corpo sempre più intime.
La casa di cosmetici non tardò un istante a pagare il riscatto.
L’abilità di Deborah nel redigere contratti faceva sì che la ditta
aveva un bisogno vitale di lei. Ma lei capì che non aveva più bisogno
della ditta e di quel mondo falso, fatto solo di apparenza. Si era
innamorata di Fulvio e Fulvio di lei.
Avevano capito il significato della vita: amare ed essere amati per
dare vita alla famiglia. Famiglia intesa come cellula fondamentale e
parte attiva della società. I due si sposarono e diedero vita ad un
modesto aeroporto per piccoli velivoli da turismo. Ebbero tre figli che
chiamarono con i nomi dei rapitori che gli avevano liberato la vita.
E i rapitori? I rapitori aprirono una comunità agricola con una scuola
nel Nord del Brasile dove venivano ospitati bambini orfani o
provenienti dalla strada ed educati al rispetto e alla gioia di vivere.
Fabio Tolomelli
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Fiorenzo, un uomo che non
dimenticheremo
Il 10 maggio 2007 ci ha lasciato un amico: Fiorenzo
Malpensa, un uomo che non dimenticheremo così facilmente, per la sua
dolcezza, la sua caparbietà, il suo modo gentile di aiutare gli altri.
In ogni riunione dove si parlava di volontariato c’era lui, chi l’ha
incontrato solo poche volte non può non ricordarlo, con quel suo modo
di fare da uomo presente con il cuore, lasciava il segno, accompagnato
dai colori della pace egli sapeva donare solarità e voglia di vivere.
Non rifiutava mai le richieste di aiuto, era attento ai problemi delle
persone, a partire dai giovani che soffrivano di un disagio psichico
fino ad arrivare agli anziani, ha contribuito a portare avanti seppur
con la difficoltà della mancanza di un luogo di ritrovo, il gruppo di
auto mutuo aiuto Spazio Amicizia; ogni settimana telefonava a ciascun
componente ricordando che il venerdì sera ci si ritrovava, non faceva
alcuna fatica, anzi il suo affetto e la sua voglia di stare insieme al
gruppo lo gratificavano e lo arricchivano di nuove esperienze.
Egli si impegnava affinché ogni persona del gruppo potesse ritrovare la
serenità, aveva il dono dell’ascolto e riusciva al momento giusto a
darti la possibilità di ritrovare le potenzialità o comunque a
svilupparle invitandoti a incontri che sapeva potevano essere utili
alla tua conoscenza.
Era molto più di un semplice amico, per alcuni un padre, per altri un
fratello, una persona umile che lottava contro ogni forma di
ingiustizia; non gli piaceva essere elogiato, ma solo volere essere
creduto che costruire un mondo di pace era ancora possibile, non solo
la pace intesa come assenza di armi ma anche quella interiore, si
faceva in quattro per chi aveva l’anima offuscata dalla depressione,
non dormendo la notte, perché chi l’ha conosciuto poteva contare su di
lui ad ogni minuto del giorno e della notte.
Io sono stato fortunato a conoscere un uomo che porta il nome di
Fiorenzo Malpensa, da lui ho imparato a essere più diplomatico, a
lottare per i miei ideali, ad essere semplice e a non vantarmi se gli
altri ti considerano un grande uomo, perché non è attraverso l’immagine
che siamo grandi uomini ma è nell’agire, e lui che amava la politica:
l’ho visto poche volte a sedere su una poltrona.
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