giugno-luglio 2007 - anno I  n. 3 - La famiglia

sommario

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Questo numero (Editoriale)

Concetta, Chiara Canali

la famiglia (vignetta)

Parlano le mamme:
due storie di amore e dolore

 

      Mamy di Silvia     La mia famiglia è mia figlia
      Adriana     Adesso voglio trasmettere fiducia agli altri

***

Ecco di cosa stiamo parlando

***

Ma i "Di.Co." cosa sono

Alessandra Aceresi

E poi ci sono anche altre famiglie (disegni)

f.t.

Riflessioni generiche ma utili sul tema

Ave

Un importante punto di riferimento

Stefano Mantovani

Costumi più aperti - Valori contaminati

una paziente

Frustrazioni

Alessandro & Balanzone

Dal punto di vista di un figlio che vive con la mamma malata

***

La “Farofesta” di Casalecchio, che sballo!

autori varii

Due domande, tante storie di vita vissuta

Erika

Un arcobaleno di sentimenti: rabbia, dolore, amore

Lucio

Famiglia

Gabriella

Baleno di Maggio (poesia)

Ari

I figli guardano (poesia)

Silvia

Padre (poesia)

Arianna

La vita nei gruppi appartamento

Lisa Bassi

Ecco perché voglio diventare educatrice

Eugenio Barbieri

Gli alieni (vignette)

***

Da sei mesi tutti pazzi per la Psicoradio

***

“Formazione alla Recovery” con Ron Coleman e Karen Taylor

Daniela Pelaghi

Un sibilo quella notte (poesia)

Denisa Gaba

Dedicato a te (poesia)

Denisa Gaba

Sei parte di me (poesia)

Giovanna Giusti

A mia madre (poesia)

Massimiliano Boico

La vita (poesia)

Gruppo Arte Insieme

Affetti e abbracci (poesia)

Guido Rossi

Poesie

Don Paolo

Riflessioni di un giovane parroco

Eugenio Barbieri

Gli alieni (vignette)

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Quel treno speciale per Pechino

Giorgia Busti (a cura di)

Il laboratorio di musica “Musicanto”

Fabio Tolomelli

Una luce nella favela di Rio de Janeiro

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Fiorenzo, un uomo che non dimenticheremo

 

Questo numero


Nella vignetta qui sotto, ispirata da Concetta e realizzata da Chiara Canali, è sintetizzato il tema di questo numero de Il Faro: la famiglia.
Nella società occidentale, per tradizione, la famiglia è costituita da moglie, marito, figli. In altre società un uomo può avere più mogli e in altre ancora una donna può avere più mariti. Oggi si vuole che venga considerata, “famiglia" anche un nucleo costituito da persone conviventi: si parla tanto dei DI.CO., sigla che fa riferimento ad un disegno di legge oggi ancora in corso.
È un tema molto complesso sul quale il Faro ha fatto riflessioni.


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pagina 1

soggetto: Concetta; realizzazione grafica: Chiara Canali


La mia famiglia è mia figlia


Mamma mia che cosa seria! Che dire fra tutte le innumerevoli parole importanti che mi affollano la mente?! Fin da ragazzina, ora ho cinquantacinque anni, pensavo con profonda curiosità ed emozione alla mia futura famiglia: un compagno (marito) da amare e da cui essere amata, almeno tre figli (come nella mia famiglia d'origine), una grande casa accogliente nel verde e con molti animali, cani, gatti, una scimmietta, un maialino nano e niente uccellini in gabbia, un orto per vedere crescere le piante ed IO a prendermi cura di tutti con amore ed allegria. (Grande sognatrice!).
Tirando le somme: marito solo per ventitré anni poi matrimonio fallito perciò il "per sempre" perso nel mio passato ormai da undici anni ma nonostante ciò sento con calore nel profondo del cuore che una famiglia mi è rimasta ed è la mia unica figlia amatissima, la persona che mi ha sempre amata per come sono, nelle mie scelte giuste o sbagliate.
Figlia desiderata e riempita d'amore dal primo momento che ho saputo del suo arrivo; la vita, i problemi, i lutti, le perdite e le separazioni laceranti: tutto condiviso, e se da qualche anno non viviamo più insieme per far sì che divise fisicamente ci permettessimo di scoprire le nostre risorse individuali al di là del fatto di essere madre e figlia, ogni volta che stiamo insieme stiamo bene e l'antico feeling di quando era cucciola è sempre forte e presente e se tante soddisfazioni personali ho tratto dai miei tanti interessi, il ruolo che sento più appagante è quello di madre; e ogni volta che ti penso sono felice che ci sei, figlia mia, e sei TU il mio amore "per sempre", quello che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni. Sono felice di aver contribuito ad un nuovo fiore sbocciato nel mio corpo, a farla diventare una Buona e Brava Persona. Questa è per me, la mia famiglia!


Mamy di Silvia


Adesso voglio trasmettere fiducia agli altri


Sono madre di un ragazzo, ormai uomo, che dopo aver vissuto in modo "normale" o forse pretendendo troppo da sé per quasi trent'anni, ha perduto la fiducia in se stesso e anche nel prossimo, compreso chi gli voleva bene.
Come madre mi sono sentita impotente e incapace di aiutarlo. Mi sono chiesta perché dopo essersi sacrificato per anni, lavorando e studiando, giunto al momento di cogliere i frutti, la sua autostima si fosse ridotta a meno di zero e rinunciasse a lottare.
Per sua fortuna, si è rivolto al centro di salute mentale dove a trovato medici e infermieri che lo hanno saputo curare sia farmacologicamente; ma soprattutto orientandolo a chi lo ha aiutato a riavere fiducia in sé. Da qui la speranza in un futuro più sereno si è riaccesa sia in lui che nella famiglia.

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Faccio parte del gruppo di mutuo aiuto "Armonia" e forte dell'esperienza positiva di mio figlio, cerco di trasmettere fiducia nella guarigione anche agli altri familiari.


Adriana


Ecco di che cosa stiamo parlando


La famiglia tradizionale è un gruppo di persone legate dai vincoli di matrimonio, di parentela, di affinità. Nel 1975 è stato riformato il Codie civile in armonia con i principi della Costituzione, stabilendo la parità dei diritti e doveri tra marito e moglie, sia tra di loro, che rispetto ai figli, nonché l’eguaglianza tra i figli legittimi che quelli naturali”.
La famiglia di fatto è la famiglia non fondata sul matrimonio, ma sulla convivenza stabile di più persone legate da vincoli affettivi, che si comportano come se fossero legate da vincoli giuridici. Non è equiparata dalla legge alla famiglia legale, anche se per alcuni aspetti (per es. la successione nel rapporto di locazione) ha riconoscimento giuridico. Entrata da tempo nel costume sociale (anche la forma di convivenza tra omosessuali), ha rilievo ai fini anagrafici.
Tra i reati contro l’assistenza famigliare sono: l’abbandono del domicilio domestico, l’abuso dei mezzi di correzione, i maltrattamenti.


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Ma i "Di.Co." cosa sono?


I “Dico” di cui tanto si parla oggi non sono altro che una sigla. Significa: “Diritti e doveri delle persone Conviventi” e viene riferita comunemente al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri l'8 febbraio 2007 e finalizzato al riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano di taluni diritti e doveri discendenti dai rapporti di convivenza registrati. L'iter legislativo è in corso.
II disegno di legge: per “conviventi” intende: “due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da eciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela’’.


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E poi ci sono anche altre famiglie


pagina 1


Alessandra Aceresi


Riflessioni generiche ma utili sul tema


Vittoria è una collega nel centro sociale “A. Tonelli”. Molto schiettamente, come è nel suo carattere, quando gli ho chiesto di parlare di famiglia sì è ricollegata al tema del numero precedente: l’ecologia.
Per lei la famiglia è il nucleo dove avviene la prima formazione ed educazione. Queste devono essere improntate innanzi tutto al rispetto di sé e dei familiari, poi per necessaria conseguenza al resto della società nonché dell'ambiente. A questo aggiungo che ogni famiglia è una piccola cellula che permette al macro-organismo socio-ambientale di vivere in armonia. Dove per armonia si intende la possibilità per l’individuo di manifestare la propria personalità ed idee (politiche, culturali, religiose) senza danneggiare o limitare le idee di altri, o l’ambiente. Guerre, sopraffazioni e reati di ogni genere saranno eliminati.
Se questi pensieri non resteranno solo parole scritte ma utilizzate ed apprese, saranno una vittoria per tutti.


(f.t.)


Un importante punto di riferimento


La famiglia è il nucleo alla base di una struttura organica chiamata “società”. Più famiglie costituiscono un clan. Un uomo ed una donna sono già una famiglia: quell’essere completo che ha in un figlio l’apoteosi dell’amore. Ciò che tiene unita una famiglia è l’amore, il rispetto, la tenerezza, l’affetto.
È un punto di riferimento importante, la famiglia, e serve a consolarsi quando sei solo e triste e ti è andata male, non perché il mondo è cattivo, ma perché di affetto ed amore c’è necessità in tutti.
La famiglia trasmette, inoltre, la cultura, l’educazione e la religione di generazione in generazione (di padre in figlio e di madre in figlia).
Per un bambino è importante che nella sua famiglia ci siano esempi di persone positive.


Ave


Costumi più aperti - Valori contaminati


Quella della famiglia moderna è una delle questioni principali della nostra società. Oggi abbiamo bisogni, problemi, attività lavorative ed abbiamo storie che fanno in modo che la maggior parte delle persone preferiscano una convivenza prolungata tra amici o tra amiche, piuttosto che il matrimonio. È un grave problema per il nostro tempo!
Non è più come una volta, quando il matrimonio era la logica conseguenza del fidanzamento di due persone ed era quasi “una legge” imposta dalla società, ora è il tempo della convivenza e della coppia libera. Forse a generare tutto ciò è stato lo sviluppo tecnologico che ha allargato gli orizzonti delle persone di qualsiasi classe sociale e prodotto una mentalità nuova dove non esiste il problema della procreazione, infatti gli italiani ormai non fanno più figli ed il nostro è diventato un paese molto vecchio.
Gli antichi valori sono stati contaminati da un costume più aperto, ci vorrebbe una soluzione perché è importante che si facciano più figli e che la nuova generazione cresca in una famiglia serena e stabile come una volta.


Stefano Mantovani


Frustrazioni


La famiglia è come un contenitore di risorse e potenzialità e non solo punto di tensioni e conflitti. Purtroppo dalle storie dei vari pazienti dell’Ottonello, compresa me stessa, risaltano per tutti queste tensioni e conflitti; creando un divario molto forte tra genitori è figli e conseguenti problemi comportamentali.
Nel mio caso in particolare, ho subito parecchie frustrazioni, botte da orbi da parte di mio padre dall'età di 11 anni, che allora era molto violento; l'unico aiuto che avevo era mio fratello che mi voleva molto bene e io l'ho emulato in tutto, anche nell’assumere sostanze stupefacenti, negando il ruolo educativo della mia famiglia per me sbagliatissimo che mi portava a fare tutto l’opposto di quel che mi veniva richiesto.
Non mi hanno fatto conseguire gli studi da me prefissati, facendo scatenare il dispetto che dovevo fare alle loro richieste, cioè l’opposto per quanto riguarda l'assunzione di stupefacenti e cioè l'eroina dopo e servita a calmare quell'ansia e quel vuoto che avevo dentro.
Adesso mio fratello non c'è più.
Insomma ritengo che, pur volendogli molto bene la mia famiglia mi abbia rovinato la vita fino ad adesso, anche se il conflitto ora è molto più pacato.


una paziente


Dal punto di vista di un figlio che vive con la mamma malata


Cari genitori, chi scrive questo articolo è figlio di una donna affetta da schizofrenia. Non è stato facile accettare la malattia della mia mamma, il suo essere tormentata dalle voci e le sue manie di persecuzione. Ancora adesso non è semplice vederla per molte ore della giornata distesa su una poltrona, come se la vita la stesse consumando, anziché rallegrarla di essere madre.
I vostri figli invece, hanno la fortuna di avere genitori che desiderano capire e toccare con mano il loro disagio. Nel corso di questi anni, in cui ho dovuto prendere consapevolezza della presenza nella mia casa di una persona malata di mente, mi sono attivato per cercare delle strade che mi portassero a vivere al meglio questa condizione di disagio familiare.
E’ nata da qui I idea di far parte di un gruppo di auto mutuo aiuto, un’oasi di parole ed esperienze, da cui ho trovato linfa per respirare meglio, provando ad eliminare lo stato di soffocamento che vivevo in me stesso. Ora dopo più di tre anni e mezzo di frequentazione, a distanza di un mese dall’abbandono respiro bene lo stesso.
Le persone che fanno parte del gruppo siete voi cari genitori, che troppo spesso mi facevate sentire figlio. Ma prima di essere figli e genitori siamo persone: partendo da questo presupposto credo sia importante, prima di tutto cercare di trovare equilibrio con se stessi e poi col proprio familiare. Una delle cose che troppo spesso vengono fuori nel gruppo è il senso di colpa di voi genitori, io cercavo di farvelo superare, non considerando la mia visone di figlio.
Questo è stato il motivo trainante che mi ha indotto a lasciare il gruppo: la mancanza di sincerità verso me stesso, io volevo solamente proteggere il gruppo, ma io sono figlio e come tale, come tale, non posso non dare delle colpe ai miei genitori, dai quali anch’io, come i vostri figli, non ho avuto comprensione quando ho voluto indirizzarmi verso delle scelte anziché delle altre. lo non sono diverso dai vostri figli, sono cresciuto tra le insicurezze e le incomprensioni.
Questa similitudine mi spinge a voler frequentare loro piuttosto che voi, per capire meglio me stesso e dare loro una mano a cercare un contatto migliore con la vita.


Alessandro & Balanzone


La “Farofesta” di Casalecchio, che sballo!


La prima festa del Faro si è svolta nel pomeriggio di domenica 27 maggio 2007 presso la sala EX-TIRO di Casalecchio di Reno. L'evento è iniziato con la declamazione di poesie accompagnate da musica balcanica della bravissima Annalisa. Poi è stato presentato rapidamente il giornale, Quindi è stata la volta di Guido con le sue bellissime poesie, molto toccanti su sua moglie e la sua famiglia. Dopo ci si è scatenati in sfrenati balli di musica anni ’70 fino alle 19.00 ora in cui c 'è stato il rinfresco. Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno portato contributi mangerecci e bibite varie. La serata si è conclusa con canti corali al karaoke che hanno avuto un effetto inebriante collettivo maggiore di quello dello champagne.
Sebbene il pomeriggio sia stato fresco il calore umano della festa è stato veramente grande. Vi aspettiamo alle serate estive del venerdì sera presso il centro Annalena Tonelli di S. Lazzaro (vedi programma in altra parte del giornale) e anche alle nuove Farofesta che ripartiranno verso settembre-ottobre.


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Due domande, tante storie di vita vissuta


1 - Aspetti buoni e meno buoni della tua esperienza di famiglia?



Lucio: Con i miei fratelli vado molto d’accordo come d’altronde con mia madre e mio padre. In passato c’erano dei diverbi in famiglia. Ora va come una “manna “ e i rapporti sono cambiati o sono cambiato io in rapporto a loro.

Arianna: Aspetti postivi : protezione ed affetto . Negativi: aspettative che i genitori si fanno deluse e c’è delusione ed amarezza. Anche i genitori possono deludere i figli.

Erika : Certe cose con mia madre sono migliorate. C’è voluto un po’ di tempo per capire che la mia malattia mi faceva fare cose strane, ad esempio urlare. Però ci sono ancora dei dissensi e lei non si rende ancora conto del male che mi ha fatto. Il mio passato è, stato un inferno perché per esempio l’istruttore di guida mi ha sgridato e mia madre anche invece di confortarmi e comprendermi. Non hanno provato compassione per me e come se mi avessero voluto fare del male. Mio padre non mi comprende neanche adesso.

M. Angela: Della mia famiglia d’origine preferisco non parlare. Penso di non aver avuto una famiglia. Quella che considero famiglia è la mia, creata con il matrimonio. Ho vissuto la fortuna nel gustare la maternità avendo avuto tre figli. Un aspetto negativo la perdita di mia figlia a trent’anni. L'altro è stato volontario, l’abbandono poi il divorzio da mio marito. La mia famiglia anche se si è frammentata sussiste ancora perché mi sono rimasti due figli che però sono in buoni rapporti con me e quindi ho riacquistato la famiglia che pensavo di aver perso.




2 - La tua esperienza in una famiglia sostitutiva (centri diurni, gruppi famiglia, case di riposo)?



Lucio: Qui in “semirè” mi sento un re o anche a detta di Arianna “scemiresidenza” o anche da Mariangela “semi” nel senso di residenza dei semi, luogo dove si seminano e nascono fiori. Mi son trovato bene perché non mi è mai capitato di trovare al mio fianco una persona che sia negativa. Mi fa bene come adesso il contatto con le psicologhe perché mi aiutano con le terapie ( arte e danza terapia, Arte insieme). Quando l’altro giorno non stavo molto bene mi sono stati tutti vicini, nessuno rideva di te. Il gruppo appartamento dove vivo in parte della mia giornata lo sento vicino.

Erika : In semiresidenza sono riuscita a trovare delle persone che mi danno quella comprensione che la mia famiglia non mia ha dato.

Arianna: Ho avuto due esperienze di gruppo appartamento. Nel primo non mi trovavo assolutamente bene non lo sentivo famiglia. In quello attuale invece mi trovo molto bene. Perché ha alcuni vantaggi e non gli svantaggi della famiglia. I vantaggi sono: l’indipendenza , l’autonomia , l’affetto, e l’amicizia degli altri ragazzi. In questo gruppo appartamento ho conosciuto due ragazze che sento come sorelle.

Gabriella: Devo dire che il bene che mi ha voluto mia madre l’ho capito subito e quello che mi ha voluto mio padre lo capisco solo adesso. Mi dispiace vorrei potergli dire adesso tutte le cose non ho saputo dirgli prima. Nel rapporto con la Rossella c’è stato un momento in cui lei sostituiva la mia famiglia. Adesso abbiamo un rapporto più adulto e più maturo. Non dipendo sempre come prima del tutto da lei. Per quello che riguarda le persone della casa di riposo, specialmente con due persone, Maria e Liliana, sono veramente amica. Meno buoni, invece, seppur migliorati, il rapporto con il personale e non credo che sia soltanto colpa mia. Per una settimana sono stata senza terapia e sono stata molto male e pensavo di andare via. L’infermiera che mi segue da vent’anni mi aveva consigliato di andarmene solo che ho sentito dire che altre case di riposo sono meno belle.

M. Angela: Anche se la mia famiglia tuttora è unita la frequenza al centro è stata molto utile per la mia vita personale. All’inizio parlavo poco anche se ascoltavo, ero apatica al 100% e questo era il mio handicap e pensavo di non poterlo superare. Invece sono riuscita a superare questo ostacolo con l’aiuto delle operatrici e dell’attività. Oltre questo ho avuto la gioia di avere nuovi rapporti di amicizia che non avevo mai avuto. Anche se lo frequento solo di giorno è diventata casa mia.


Un arcobaleno di sentimenti: rabbia, dolore, amore


L 'argomento famiglia è un argomento bruttissimo perché certi momenti non ho avuto dalla famiglia ciò che era fondamentale, cioè la gentilezza ed il conforto. Per esempio, ricordo quando a 14 anni stavo malissimo dentro, ero sempre demoralizzata, vedendo tutto nero, ma tutti si arrabbiavano e non mi capivano. In modo particolare sprofondavo quando qualcuno alzava la voce con me. Ora dopo tanto tempo mi chiedo: cos'ho fatto per meritare questo?
Ricordo anche quando io mi arrabbiai con mio padre, perché lui alzava sempre la voce, allora per questo io gli dissi tranquillamente di non alzare la voce con me. Non l’avessi mai detto!!! Cominciò ad urlare come un pazzo. Ma che razza di genitori ho avuto io?
Sempre sola come un cane mi hanno lasciata, anche nelle situazioni più disperate! Mai una parola di conforto, quanto ho sofferto! Quando mi veniva da urlare mi sgridavano perché si vergognavano delle critiche della gente, ma della mìa sofferenza, non ne hanno mai tenuto conto.


Erika


Famiglia


La famiglia dà strada alla vita perché è anche felicità immensa e imperfetta che porta allegria e futuro. Purtroppo ci sono i lati positivi e i lati negativi. Uno dei quali è che il figlio lascerà la famiglia. O perché non si va d’accordo oppure per guadagnarsi della libertà.
Questa separazione è facile ma l’impatto con gli altri è un po' difficile all’inizio. Ed è doloroso andarsene. Ed è doloroso lasciar andare un figlio.


Lucio


Baleno di Maggio


-Verdi
Si sono formate
veloci,
le chiome
-nei campi, il rosso dei papaveri è scoppiato,
e nei ricordi,
dove fiammeggiano sul marmo della tavola, e,
in un barattolo di vetro,
allietano l’infanzia


Gabriella


I figli guardano


Famiglia divisa, famiglia uccisa.
Papà lontano, la mamma triste
e i figli vedono cose mai viste,
famiglia passata, famiglia perduta
vita che sembra non vissuta.
Famiglia rimasta, famiglia ferita
la rabbia non ancora sopita.
Famiglia sola, famiglia a brandelli
ma ci sono ancora momenti belli
momenti in cui sembra che passi il dolore
e quello che resta è solo l’amore,
l’odio svanisce, la rabbia si cheta
la gioia diventa consueta.
Famiglia confusa e piena di guai
so che tu non mi lascerai mai.
Sei la mia mamma, sei mio fratello
sei quanto ancora ho di più bello


Ari


Padre


Ho un ricordo d’infanzia
nel quale tu non ci sei.
Mi stringono due braccia forti
ed io sono felice
perché mi pare di sentire ancora
nel mio piccolo cuore di allora
un senso di sicurezza infinita.
Non riesco a perdonarti padre
perché hai stravolto in me
Il significato di famiglia.

Silvia


La vita nei Gruppi Appartamento


Agli operatori del Poliambulatorio del Servizio Salute Mentale di Castiglione dei Pepoii, Vado e del G.S. Diavoli Rossi.


Sono una paziente psichiatrica che ha sofferto di anoressia per più di quindici anni e che da tre anni e mezzo vive in gruppi appartamento dell'A.S.L.
Vi racconto la mia esperienza. Per due anni e mezzo ho vissuto in GAP di proprietà di un’associazione ad alta protezione con altri cinque pazienti; erano presenti due educatori per tutto il giorno e uno di notte. Ero ancora molto malata (pesavo 31 Kg) e non potevo fare quasi nulla perché non ne avevo la forza.
Nel GAP c’era una domestica che si occupava delle pulizie, di lavare e di stirare; gli educatori facevano la spesa e cucinavano e noi pazienti avevamo tanto tempo vuoto per cui io mi annoiavo e sentivo molto la solitudine. Anche gli altri pazienti avevano problemi molto seri e non era facile stabilire una relazione di amicizia.
Quando sono giunta nel GAP provenivo da una famiglia dove ero al centro dell'attenzione; ogni mio desiderio veniva se possibile soddisfatto subito e miei genitori cercavano di accontentarmi in tutto. Eppure io percepivo in loro un’ostilità inesistente ed ero aggressiva e capricciosa, specialmente nei confronti di mia madre a cui attribuivo la colpa della mia sofferenza e di ogni problema.
Nel GAP gli educatori avevano cura che ciascuno avesse il suo spazio ma non invadesse gli spazi altrui e così ho imparato che i miei diritti non vengono prima di quelli degli altri e ho capito che si possono avere opinioni diverse continuando a volersi bene. Col tempo ho ricominciato ad apprezzare i miei genitori, a sentire che mi amano e che anche io li amo e ho ritrovato con loro un buon rapporto.
Quando ho cominciato a migliorare ho avuto progressivamente più libertà di uscire e di fare qualche attività finché sono stata trasferita in un GAP dell’A.S.L. a bassa protezione dove sono tuttora.
Qui siamo cinque ragazze e ognuna ha la sua stanza; ci sono quattro bagni, una cucina e un grande soggiorno. Le cose sono assai diverse, anzitutto perché io sono migliorata sia fisicamente (peso quasi 40 Kg), sia psicologicamente e poi perché l’organizzazione del GAP lascia spazio all’autonomia individuale.
L’educatore è presente tre ore al mattino e dalle 15.30 alle 22.30 e noi ragazze abbiamo molti impegni per quanto riguarda la gestione della casa. Due volte alla settimana ci rechiamo al supermercato a fare la spesa in base a un menù deciso da noi, una giornata è dedicata a pulire a fondo la casa e ogni giorno si riordinano camere, bagni e cucina. Ognuna a turno prepara la cena per tutte e ciascuna a cura di lavare e stirare la propria biancheria. Questo permette di riprendere delle abilità che erano state perdute a causa della malattia e di responsabilizzarsi nei confronti della propria persona e della casa.
Il mercoledì facciamo la “Riunione di Famiglia” con gli educatori e la coordinatrice; durante la riunione si parla di come è andata la settimana, dei rapporti con altre ragazze e degli eventuali problemi che si incontrano nella convivenza.
In questo GAP ho fatto amicizia con le altre ospiti e mi sento meno sola. Ho un rapporto più maturo anche con gli educatori; ho ritrovato la capacità di divertirmi e soffro di meno. In questa condizione si è sviluppata in me e nelle altre ragazze la capacità di risolvere gli eventuali contrasti in modo più sereno e maturo, di condividere i momenti belli e scherzare bonariamente sui nostri difetti e di fare un percorso che ci aiuta a crescere insieme.
Adesso ho anche capito quanto mi abbiano insegnato gli educatori, tanto che vado spesso a trovare quelli del primo GAP con sincero affetto e gratitudine. Spero di migliorare ancora per potere andare a vivere da sola come prevede il mio progetto terapeutico, ma credo che l’esperienza di vita nel GAP sia stata per me e sia ancora importantissima e molto formativa.


Arianna


Ecco perché voglio diventare educatrice


Sono una studentessa della facoltà di scienze della formazione e ho appena terminato di svolgere un periodo di tirocinio di 125 ore presso il centro di salute mentale di San Lazzaro. Scrivo questo articolo per soddisfare la curiosità di chi come la persona che mi ha dato questa occasione, si chiede quali siano le motivazioni che inducono un individuo a voler diventare un operatore.
Frequentavo il secondo anno delle scuole superiori, quando alla mia nonna materna fu diagnosticato il morbo di Alzheimer; con la leggerezza di tutti o quasi gli adolescenti, perseverai con la noncuranza di quanto stava accadendo alla mia famiglia per i successivi tre anni. Ottenevo il titolo di studio di “Perito Capotecnico” (sono diplomata in elettronica e telecomunicazioni) quando il neurologo che aveva in cura mia nonna consigliò a mia madre e alle mie zie di farle frequentare un centro diurno per anziani a Castenaso. Era estate e così mi offrii di accompagnare la nonna al centro: le prime volte dovetti rimanere con lei per tutto il tempo che vi trascorreva per evitare di farla sentire sola. Questa esperienza, durò poco per le sue caratteristiche provocò un crollo delle sue condizioni mentali della nonna. Oltre che estate erano anche i mesi durante i quali decidevo la la strada da intraprendere dopo il diploma: realizzare il dispiacere di dover interrompere quella piccola routine bisettimanale mi fece comprendere che il lavoro che cercavo avrebbe dovuto soddisfarmi sul piano personale ed umano. In quei giorni un'altra ragazza come me oggi, stava terminando il suo periodo di tirocinio presso l’ ente del quale vi ho parlato: sulla facoltà alla quale sono attualmente iscritta.
Questi sono i primi passi che ho mosso verso la comprensione, l’educazione e l’empatia. Ho ancora moltissimo da camminare per diventare un’educatrice “sufficientemente buona“, ma sono sulla giusta strada.


Lisa Bassi - III anno scuola della formazione


pagina 1

Da sei mesi tutti pazzi per la Psicoradio


Io come voi sono stata sorpresa
mentre rubavo la vita,
buttata fuori dal mio desiderio d'amore...

io come voi ho pianto,
ho riso e ho sperato...

Ma io come voi sono tornata alla scienza
del dolore dell'uomo, che è la scienza mia.



Con questi versi di Alda Merini abbiamo iniziato la prima puntata di Psicoradio il 7 Dicembre 2006.
Noi redattori di Psicoradio proveniamo da esperienze di disagio mentale, tutti più o meno siamo stati in cura presso le strutture dei Centri di Salute Mentale e vogliamo informare, discutere, divertire, trovare nuove parole per parlare di psiche.
Andiamo in onda su Radio Città dei Capo (frequenze: 96.25 e 94.7 ) il giovedì alle 11:30, in replica la domenica alle 14:00, o sul nostro sito www.psicoradio.it
Psicoradio è un corso che forma operatori radiofonici e contemporaneamente produce programmi.
Abbiamo ospitato in redazione psicologi e psichiatri, ma anche esperti d'arte, intellettuali, personaggi dello spettacolo. Tutti ci parlano, dai loro punti di vista, di temi della psiche e con loro riflettiamo sulle tante sfaccettature con cui la mente, sana o meno, si esprime nella cultura e nella società.
Per esempio, abbiamo una rubrica, "Una domanda paziente", in cui si invertono i ruoli e siamo noi pazienti ad intervistare i nostri psichiatri. Stiamo preparando "Sentire le voci", una grande inchiesta che parla con più voci e da più punti di vista di questo tema. E anche una serie di programmi sull'etnopsichiatria, e cioè sulla psichiatria che si occupa delle persone di altre culture.
Leggiamo poesie, parliamo degli artisti che hanno attraversato momenti di disagio psichico, da Carracci a Van Gogh fino ai contemporanei, La nostra musica è sempre scelta con cura: in redazione abbiamo molte persone appassionate e alcuni musicisti.
Ci piacerebbe molto ricevere proposte, suggerimenti, anche critiche (poche, speriamo!). Psicoradio è una occasione da non perdere. Scriveteci! psicoradio@amail.com



(Psicoradio è una delle iniziative di Arte e Salute onlus e del Dipartimento di Salute Mentale dell.'AUSL di Bologna).


“Formazione alla Recovery” con Ron Coleman e Karen Taylor


Cos'è la Recovery

Recovery è un termine inglese che non è traducibile semplicemente con "guarigione". Esso significa piuttosto riaversi, riappropiarsi, riprendere in mano il filo della propria vita. Più che un punto di arrivo è un processo. È decidere di uscire dalla passività, in cui ci si sente in balia dei propri disturbi, delle cure, del giudizio o del disinteresse degli altri. Ha a che fare con la speranza, con la riapertura di un futuro, con la ripresa di valore, con il ritrovare scopi nella vita. Non puù che partire da una scelta personale, ed è la persona che ne deve guidare lo sviluppo. Ugualmente ha bisogno di aiuto, della presenza e della fiducia degli operatori e famgliari. È quindi soprattutto un cambiamento interno, che però ha effetti sugli altri.



Obiettivi del corso

- Capire il processo di recovery e cosa lo ostacola
- Migliorare la capacità di sviluppare progetti centrati sulla persona
- Prendere più confidenza con i propri punti di forza e di debolezza in ordine ad un impegno in progetti di recovery
- Consentire ad utenti, famigliari e operatori di adoperarsi nel proprio servizio per programmi orientati al cambiamento



Le date

A Casalecchio di Reno l'8 ottobre; a S.Lazzaro di Savena il 9-10-11 ottobre


Un sibilo nella notte


Quando viene la sera,
come questa tarda Primavera,
si rivolge
la testa al sole.
Mamma...
In una notte stellata,
ti ho udito
fischiare nel bosco.


Daniela Pelaghi


Dedicato a te


Il cielo si apre e pronuncia il tuo nome
il cuore dentro nasconde te.
Sei tu vicino a me quando ne ho bisogno
sei tu che mi riempi di gioia.
Mamma, un nome scritto con cinque lettere,
ma che vuol dire tanto.
Non scorderò mai i tuoi capelli lunghi
la tua bocca rossa con cui parlavi.
Sei sempre vicino a me anche nei miei sogni,
mi manchi mamma...
Se davvero esiste un aldilà ti voglio rivedere,
voglio rivedere dì nuovo il tuo sorriso.


Denisa Gaba


Sei parte di me


Qualcuno mi ha detto che ha visto te
e io non ci ho creduto.
Chiudo gli occhi e penso a te.
Un usignolo mi dice di ascoltarlo.
La musica come delle onde sussurra
nelle mie orecchie,
sembra di sentire il mare in una conchiglia.
La musica segue il ritmo alto e basso e poi alto
e di nuovo basso.
Mi fa capire che è vicino a me e che mi ascolta
ascolta le mie grida.
E lei è la mia sorella
aldilà del mare ma vicino al mio cuore.
Non so se ascolti il mio urlo
il mio grido per te.


Denisa Gaba


A mia madre


Avanzi lentamente laboriosa,
intenta alle incombenze della famiglia.
Le tue gambe sono ribelli, ma tu non t’arrendi.
Non riesci ad amarmi come voglio,
ma ti desidero ed ho perdonato
tutte le tue mancanze.


Giovanna Giusti


La vita


Che bella la Vita!
Nell'ammirare la volta del cielo stellato.
Contemplare il volto dei proprio bimbo,
che con il suo sguardo
ti ha già parlato del futuro.
Camminare sulla spiaggia
con la donna della propria vita.
Sentire il ruggito del mare
che con le proprie onde
cancella le impronte lasciate
sulla sabbia.
E la fine, lo splendido
tramonto
che con i suoi colori
riempe e sazia
il piacere dei giorni avvenire.


Massimiliano Boico


Affetti e abbracci


Ghirlande di splendidi fiori intrecciati
sono gli affetti e gli abbracci.
Rose purpuree sono le passioni
e gli amori profondi, che a volte però
qualche spina nascondon.
Una di loro mi punse, e ancor ferita ne porto,
quasi a ricordare che non vi è più dolor
nella vita, che quello di perdere un figlio.
Ma quando ti accorgi che sui tuo viso
c’è una ruga che non c’era, e pensi che
non ritorni più primavera: è proprio allora
che vedi sbocciare i candidi gigli:
“i figli dei tuoi figli” così che mi vien
da gridare “che bella aiuola fiorita è la
famiglia riunita”.


Gruppo Arte Insieme


Poesie di Guido Rossi


Donna Atonia

Non ho occhi per vedere
né orecchie per sentire
se tu non sei qui accanto a me.
Non ho voglia di mangiare
né acqua mi può dissetare
se tu non sei qui accanto a me.
Non c’è profumo che mi possa inebriare
né petalo di rosa che mi possa sfiorare
se tu non sei qui accanto a me.
Non ali per volare se
tu non sei qui accanto a me.
Perché fra tutti i sensi di cui io ora son padrone
il più importante me lo hai insegnato tu
è il senso dell’amore.



Il tempo

Chi ha tempo non aspetti tempo.
C’è un tempo mangiare ed uno per dormire.
C’è un tempo per brindare ed uno per pregare.
C’è un tempo per piangere ed uno per scherzare.
Un tempo per dipingere ed uno per sognare.
Chi ha tempo non aspetti tempo
Ma non dimenticare:
ci deve essere un tempo per darsi tempo.



La famiglia

È come la sabbia del mare che scivola fra le dita
non la puoi stringere,
devi raccoglierla a mani giunte con lo stesso rispetto che metti in una preghiera.
È il soffio fresco del vento a primavera che ti passa sulla pelle
non lo puoi fermare,
devi farti investire con la stessa speranza con cui ti addormenti la sera. È come l’oro strabocca dal tuo forziere
non puoi nasconderlo,
devi guardarlo alla luce del sole con lo stesso stupore che ti da un fiore.
La puoi cercare ma non la puoi catturare,
la puoi sognare ma non bramare,
la puoi godere ma non usare.
Se ci sai credere
può essere un miracolo da vivere.



I figli

I figli sono come il sale che dà sapore al pane.
Sono l’odore del lievito che lo fa fermentare.
Sono i petali che volano nel vento caldo della sera.
L’odore del gelsomino nelle notti d’estate.
I figli sono i fabbri che ti temprano il cuore
per avere più coraggio
per non aver paura
per te e per loro.
I figli sono i nostri occhi nella casa del futuro,
guardare con i loro occhi ti permette di vedere lontano
e ti impedisce di non sperare ancora.
E per quante parole tu possa dire loro
una sola grande verità ti è data
i figli insegnano a non dimenticare.



Cos'è l'amore

L’amore è quello che conta.
Non esistono gesti o parole
non ci sono numeri
che lo possano contare.
L'amore è vita.
E poiché non basta annusare per sentire
né guardare è suffciente a vedere,
così non basta ascoltare per udire.
Il soffio di vento che ti accarezza la pelle
è il ricordò della mano che ti sfiora
e ti regala un sogno, una speranza.
L’amore non lo si può provare.
L’amore è sentire amore.




Guido Rossi


Famiglia e libertà: riflessioni di un giovane parroco


No, non preoccupatevi, non parlerò di DICO o cose simili. Anzi, parto da lontano, da una cosa che sembra totalmente slegata, da che cosa è un idolo. Un idolo è un falso dio, creato dagli uomini per prostrarvisi davanti ed essere interiormente certi che si sarà esauditi, che tutto andrà bene. Ci sono tanti tipi di idoli ma, in quanto prete, a me viene in mente la bibbia, e uno degli idoli più famosi della bibbia è sicuramente il vitello d’oro, costruito dal popolo d’Israele mentre è nel deserto, in fuga dall’Egitto, perché, a differenza del Dio di Mosè, il vitello è visibile, toccabile, gestibile.
Ma non è roba solo della storia sacra: anche noi abbiamo idoli. Per esempio, abbiamo fatto della libertà un idolo. Cosa sacrosanta la libertà, ma se significa che se una cosa non è libera sicuramente non è buona e non ci sto neanche a guardare, e se invece una cosa è libera è automaticamente buona, senza dubbio e senza verifica, se succede così allora la libertà diventa un idolo. Ora, lungi da me l’idea che la costrizione sia meglio della libertà, che ad obbligare si riesca meglio che a lasciar liberi, ma il rischio di fare dei danni con questo “vitellone dorato” della libertà-idolo non è sottovalutabile. L’esempio più chiaro è l’educazione; l’educazione è e-ducere, tirar fuori per far crescere, è coltivazione e cioè è altro dalla costrizione ma parimenti è altro dal lasciare liberi, nel senso di lasciare una crescita spontanea.
Ma poi, se ci penso bene, non sono poche le cose importanti di me che io non ho scelto perché me le sono trovate fatte: il mio aspetto fisico, la mia cittadinanza, la mia cultura, buona parte delle cose che mi sono capitate, buona parte del mio carattere, buona parte della mia fede, buona parte delle mie relazioni, insomma buona parte della mia vita me la son ritrovata, non l’ho scelta. Ah, mi dimenticavo, anche la mia famiglia.
Anzi, a ben pensarci alla famiglia sono legate molte di quelle cose che io non ho scelto ma che sono, nel bene e nel male, la mia vita, anzi, più precisamente, di quelle cose che sono me. Non so se sono troppo complicato e arzigogolato, ma sto solo cercando di dire che il rapporto con la famiglia, così come essa è, nel bene e nel male, è la concretizzazione di quel grande interrogativo che ciascuno di noi si fa sulla propria storia personale: perché sono quel che sono e perché mi accade quel che mi accade? Esempio banale. Proprio oggi, parlando con mia madre, ad un certo punto le ho detto: “Ah, e poi ti dovevo ringraziare, mamma”. “Perché?”. “Perché noi non siamo ricchi e, più vado avanti e conosco, per il mio ministero di prete, delle persone ricche, penso che il non esserlo ci abbia semplificato di molto la vita” (tra parentesi: nessuna precomprensione ideologica e nessuna cosa contro i miei fratelli e sorelle che hanno dei soldi, è solo che spesso li vedo complicarsi la vita e vivere meno felici...). “Ah, guarda che noi non l’abbiamo mica scelto di non essere ricchi...”. A questo punto a me, che, grazie al Cielo, sono riuscito a conservare un po’ di quella fede che il Signore mi ha regalato e che cerco di leggere la mia storia come suo disegno, non è venuto altro da pensare che: “Grazie Signore!”. Ma non è sempre così: se anziché essere la mia famiglia un elemento positivo della mia vita fosse stato negativo, cosa avrei fatto? Se anziché dover ringraziare la mia famiglia per come è perché mi ha aiutato a impostarmi, come persona in un certo modo, avessi dovuto maledire la mia famiglia, per come è, perchè mi ha indirizzato ad essere, come persona, in un modo che non mi piace, cosa avrei dovuto dire?
Non lo so cosa avrei dovuto dire. Perché la nostra storia rimane un mistero; con chi vuole e con chi ha un po’ di fede si può provare ad entrare in questo mistero e magari trovarci un senso e scoprirci dentro anche una qualche traccia dell’amore con cui Dio da sempre ci ha amati.
Per tutti mi viene da suggerire che comunque il nostro rapporto con la famiglia da cui veniamo è l’immagine esatta del rapporto che abbiamo con quel mistero che è la nostra vita, la nostra storia. Provare ad amare la propria famiglia, così come è, è provare ad amare la propria storia, così com’è. Non è facile, non è scontato, ma è importante. E per questa volta la Libertà non sarà possibilità di scegliere qualcosa di diverso, men che meno sarà idolatria possibilità di manipolare o gestire la nostra storia, sarà invece capacità di accogliere il mistero.


Don Paolo (Parroco di San Lorenzo del Farneto)


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Quel treno speciale per Pechino


Il movimento de LE PAROLE RITROVATE e l'A.N.P.I.S. Associazione Nazionale delle Polisportive per l’Integrazione Sociale, con il patrocinio e la collaborazione del Ministero della Salute, stanno facendo partire una grande avventura! Dall’8 al 28 agosto 180 persone legate ai mondi dei gruppi di automutuo aiuto, dello sport praticato per piacere e stare assieme e interagire, di promozione dell’inclusione sociale condivideranno un lungo viaggio in treno lungo la TRANSIBERIANA fino a raggiungere Pechino.

Perché un’impresa così ardita, così straordinaria? Il TRENO vuole farsi conoscere da un numero molto elevato di cittadini italiani e suscitare un coinvolgimento positivo, sia sul piano cognitivo che emozionale, verso i suoi protagonisti cioè verso il mondo della salute mentale. Così oltre a condividere la quotidianità del viaggio i protagonisti saranno chiamati a farsi portatori di saperi ed esperienze lungo le tappe nelle città ove sarà possibile scambiare conoscenze con le comunità locali, ma soprattutto nel prima e nel dopo il viaggio in ogni evento mediatico attuato per dare grande diffusione e risonanza all’evento.
Fareassieme questa grande avventura è un’esperienza basata sui principi per cui ciascuno è portatore di un sapere riconosciuto, sia professionale che esperienziale, ciascuno può e deve esprimere responsabilità, ciascuno ha nella sua vita non solo problemi ma anche risorse e quindi ciascuno ha, nei suoi percorsi di vita, la possibilità del cambiamento.
Il ritorno mediatico di questa grande impresa è garantito a tutt'oggi dall’adesione al progetto da parte di una troupe della RAI con Patrizio Roversi e di Giovanni Pipemo regista/documentarista di fama intemazionale che ha già cominciato a raccogliere interviste ed informazioni presso alcune realtà che saranno protagoniste del viaggio. Un giornalista di un quotidiano nazionale garantisce inoltre la coperture sulla stampa.

Il punto cruciale dell’organizzazione di questa grande avventura, oltre all’aspetto organizzativo e di raccolta di adesioni, è l’aspetto finanziario. Il gruppo di partecipanti della nostra regione è composto da 25 persone: 11 di Parma, 8 di Imola e 6 di Bologna. Ogni partecipante contribuisce con almeno 500 euro. Il restante costo del viaggio (che si aggira attorno a 3700 euro prò capite) sarà coperto da sponsor sia nazionali che locali. Enti locali, fondazioni bancarie, ditte e privati cittadini che aderiscono a questa grande iniziativa sono chiamati a dare un contributo che raccogliamo presso il conto corrente bancario n. 111673 ABI 05018 CAB02400 presso Banca Etica filiale di Bologna intestato a ANPIS coordinamento Regionale. Aiutateci a realizzare questo grande evento storico!


Il laboratorio di musica “Musicanto”


Il nostro laboratorio si divide in due momenti: musica attiva e musica recettiva.
Nei momenti settimanali di musica recettiva, ascoltiamo brani musicali selezionati, di volta in volta, con un obiettivo specifico di lavoro e, mentre ascoltiamo o subito dopo un ascolto, possiamo esprimerci liberamente disegnando, scrivendo o verbalizzando le nostre impressioni. Durante il pomeriggio, abbiamo affrontato il tema natura con tutti gli effetti acustici che la contraddistinguono; abbiamo quindi ascoltato la sequenza di suoni naturali e discusso sulla loro familiarità e sulle immagini che essi provocano in noi. E’ stato sorprendente notare come le stesse situazioni climatiche ed atmosferiche suscitano in ciascuno sentimenti diametralmente differenti a seconda che siano legati o meno a delle immagini della nostra vita in cui eravamo felici o in difficoltà e come, il confronto tra i nostri pensieri, abbia portato ad una conversazione eterogenea, ricca di significati, storie e condivisione di stati d’animo, palesati mentre si ode il frastuono di un acquazzone o il dolce e lento infrangersi di piccole onde sugli scogli. Dal momento che l’argomentazione ha suscitato interesse e dialogo intenso, abbiamo parlato inoltre di come alcuni musicisti nella storia abbiano rappresentato con le note i suoni naturali e le stagioni dell’anno, pertanto è stato interessante ascoltare parte de Le quattro stagioni di Vivaldi ed II dialogo tra il mare ed il vento di Debussy.
Questo genere d’ascolto e quello della musica d’ambiente, ci ha permesso di creare un collegamento, un ponte enorme, tra noi stessi ed il mondo che ci circonda, soffermandoci su rumori e melodie che fanno da sfondo alla nostra esistenza e delle quali, spesso non siamo consapevoli; ci ha insegnato inoltre a prestare attenzione all’altro ed a esprimere/condividere pensieri, emozioni vissuti. Abbiamo utilizzato le note come mediatore tra pensiero e parole e mezzo stimolante di relazione.
Ecco il risultato di un momento di scrittura collettiva:

Profondità del suono,
melodia naturale e ricordo costante.
Diluvio, atmosfera angosciante...
Cascata e forza dell'acqua che batte su una superficie dura,
inquietudine arrivo di un cataclisma... Inverno.
Isola deserta, spiaggia bellissima,
Sole che ti bacìa la pelle, naturalezza.
Folla, ombrelloni, gelati gustosi
Giallo, oro, profumi intensi: Estate.
Ruscello senza argini, volo di rondini, è primavera:
distesa serena interrotta da qualche ruga di brezza
occhi felici profumo di fresco, bambini che corrono nei prati.
Giallo, marrone, rosso... il bosco
Caldarroste, venditori in strada...
Foglie strappate dal vento
Sibilo forte ed intenso...
Autunno dalla finestra di casa mia.


(a cura di Giorgia Busti , Casa Mantovani, Coop. Soc. Nazareno, Bologna)


Una luce nella favela di Rio de Janeiro


Due occhi neri così intensi proprio non li aveva mai visti. Fulvio, pilota di aerei di linea, aveva girato il mondo, conosciuto donne bellissime, tante avventure; ma una bellezza così mediterranea l’aveva solo sognata.
La vide per la prima volta durante un volo intercontinentale. Lei viaggiava in business class. Vestiva un tailleur grigio di cotone, calze di nailon nere come la tinta delle scarpe. Era la rappresentante di punta di una famosa casa di cosmesi francese. Aveva modi di fare estremamente femminili e non c’era uomo che potesse staccargli gli occhi di dosso.
I due si rividero nel free shop dell’aeroporto di Rio de Janeiro, Brasile. Mentre lei osservava la disposizione degli oggetti nel negozio, lui si teneva in disparte e seguiva con lo sguardo e in modo discreto i suoi spostamenti. Vi fu subito grande attrazione tra i due. I fatti si svolsero così: Fulvio aveva trovato un taxi e quando la vide in attesa le propose di condividere il mezzo. Lei non perse tempo e salì sulla vettura. Al giovane pilota non parve vero. In entrambi la corporeità emanava una forte emozione: lei aveva una colonna molto dritta e tesa; a lui mancava il fiato e gli tremavano le mani. Si presentò: “Mi chiamo Fulvio e sto andando verso l’albergo XY nel centro della città”. Lei rispose: “Mi chiamo Deborah e vado nello stesso albergo”.
“Che fortuna!”, esclamò il pilota. Si inserì il taxista. “La fortuna è tutta mia”. I due si guardarono negli occhi ma non capirono. Il perché fu fulminante. Due uomini sulla cinquantina, vestiti logori, salirono sul taxi con pistole spianate. Ai due giovani si gelò il sangue. Fulvio prese la mano di Deborah, era l’unica cosa che poteva fare. Poi pensò, questa è una rapina, e disse: “Vi do tutto quello che posseggo, ma lasciateci stare, soprattutto non fate male alla ragazza”.
“Non avete capito nulla ed è meglio così” rispose uno degli uomini mentre un altro gli bendava gli occhi.
Intanto l’auto usciva dal centro della città e si avviava rumorosa verso la periferia accostando case sempre più povere e maltenute, fino a raggiungere una baraccopoli. Erano le Favelas.
Fecero scendere i due dall’auto e li trascinarono dentro una baracca. Qui li legarono e gli tolsero le bende. Quello che videro era una stanza senza finestre con due lettini ricavati da grandi sacchi riempiti di paglia. Da fuori arrivava lo schiamazzo allegro di bambini che giocavano. I malviventi gli portarono subito frutta da mangiare e acqua minerale da bere. I due si ristorarono e si sentirono subito meglio. Qualche minuto dopo venne il taxista e disse con un inglese stentato: "State calmi e non tentate di scappare e vedrete che non vi accadrà nulla. Vi abbiamo rapito per avere un riscatto dalla ditta di cosmesi. Ottenuto il denaro vi lasceremo liberi e noi scompariremo”. Ai sequestrati le parole del taxista sembrarono sincere e guardandosi capirono che erano entrati in una realtà completamente avulsa rispetto a quella che avevano vissuto fino a quel momento. La sensazione si concretizzò alla sera. Quello che videro proprio non se lo sarebbero mai immaginato . Era la cena.
I bambini si erano riaccasati all’intemo della baracca. I rapiti attraverso la tenda spostata dal vento videro bambini magri dalla pelle olivastra e capelli neri che si erano seduti in attesa della cena. I rapitori diedero da mangiare umili cose agli ostaggi. Quello che rimase venne dato ai bambini, mentre i sequestratori si divisero una piccola pagnotta di pane con il latte della capra che aveva dimora all’esterno “dell’abitazione”. Terminato il pasto serale, arrivarono diverse persone con strumenti musicali. E subito iniziarono a suonare, cantare e ballare a ritmo di samba.
Paradossalmente era diventato tutto magico: musica, odori, persone di tutte le età che danzano sprigionando un’infinita energia, luci povere ma tante stelle in cielo, gli ottoni che brillano, i sensi che vibravano, In una frase: passione vorticosa per la vita.
I due sequestrati, quasi divertiti dalla singolarità della situazione, seppur legati, iniziarono a ballare nella piccola stanza. Poi fu più forte di loro: si baciarono, si carezzarono con il capo. Si coricarono su uno dei giacigli per dare la possibilità ai due corpi di venire a contatto e dare pace a parti del corpo sempre più intime.
La casa di cosmetici non tardò un istante a pagare il riscatto. L’abilità di Deborah nel redigere contratti faceva sì che la ditta aveva un bisogno vitale di lei. Ma lei capì che non aveva più bisogno della ditta e di quel mondo falso, fatto solo di apparenza. Si era innamorata di Fulvio e Fulvio di lei.
Avevano capito il significato della vita: amare ed essere amati per dare vita alla famiglia. Famiglia intesa come cellula fondamentale e parte attiva della società. I due si sposarono e diedero vita ad un modesto aeroporto per piccoli velivoli da turismo. Ebbero tre figli che chiamarono con i nomi dei rapitori che gli avevano liberato la vita.
E i rapitori? I rapitori aprirono una comunità agricola con una scuola nel Nord del Brasile dove venivano ospitati bambini orfani o provenienti dalla strada ed educati al rispetto e alla gioia di vivere.


Fabio Tolomelli


Fiorenzo, un uomo che non dimenticheremo


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Il 10 maggio 2007 ci ha lasciato un amico: Fiorenzo Malpensa, un uomo che non dimenticheremo così facilmente, per la sua dolcezza, la sua caparbietà, il suo modo gentile di aiutare gli altri.
In ogni riunione dove si parlava di volontariato c’era lui, chi l’ha incontrato solo poche volte non può non ricordarlo, con quel suo modo di fare da uomo presente con il cuore, lasciava il segno, accompagnato dai colori della pace egli sapeva donare solarità e voglia di vivere.
Non rifiutava mai le richieste di aiuto, era attento ai problemi delle persone, a partire dai giovani che soffrivano di un disagio psichico fino ad arrivare agli anziani, ha contribuito a portare avanti seppur con la difficoltà della mancanza di un luogo di ritrovo, il gruppo di auto mutuo aiuto Spazio Amicizia; ogni settimana telefonava a ciascun componente ricordando che il venerdì sera ci si ritrovava, non faceva alcuna fatica, anzi il suo affetto e la sua voglia di stare insieme al gruppo lo gratificavano e lo arricchivano di nuove esperienze.
Egli si impegnava affinché ogni persona del gruppo potesse ritrovare la serenità, aveva il dono dell’ascolto e riusciva al momento giusto a darti la possibilità di ritrovare le potenzialità o comunque a svilupparle invitandoti a incontri che sapeva potevano essere utili alla tua conoscenza.
Era molto più di un semplice amico, per alcuni un padre, per altri un fratello, una persona umile che lottava contro ogni forma di ingiustizia; non gli piaceva essere elogiato, ma solo volere essere creduto che costruire un mondo di pace era ancora possibile, non solo la pace intesa come assenza di armi ma anche quella interiore, si faceva in quattro per chi aveva l’anima offuscata dalla depressione, non dormendo la notte, perché chi l’ha conosciuto poteva contare su di lui ad ogni minuto del giorno e della notte.
Io sono stato fortunato a conoscere un uomo che porta il nome di Fiorenzo Malpensa, da lui ho imparato a essere più diplomatico, a lottare per i miei ideali, ad essere semplice e a non vantarmi se gli altri ti considerano un grande uomo, perché non è attraverso l’immagine che siamo grandi uomini ma è nell’agire, e lui che amava la politica: l’ho visto poche volte a sedere su una poltrona.