L'ottavo mese
Molti di voi sono già stati in vacanza, tanti altri
stanno per partire. Agosto è per eccellenza il mese delle ferie:
chiudono le fabbriche e i negozi, si riempiono i luoghi di
villeggiatura, i treni, gli aerei.
Mese fortunato quasi per tutti: chi resta in città non deve litigare
per un parcheggio, chi va via si gode quantomeno il cambio di ambiente.
Mese non fortunato per chi è solo, per chi non sta bene. E allora, pur
godendoci la nostra vacanza o la nostra libertà, pensiamo anche a loro,
aiutiamoli per quanto ci è possibile con un piccolo gesto
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Ecco da dove deriva questa parola
La parola vacanza deriva dal latino vacans, participio
presente del verbo vacare: cioè essere vacuo, sgombro, libero, senza
occupazione. Il prossimo numero de Il Faro sarà dedicato alle
esperienze vacanziere.
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Ricordo di un'estate: il Lido di
Casalecchio
Estate! Stagione di sole, di caldo, di vacanze. Al
tempo in cui ero una bambina non si andava tutti in vacanza come oggi.
Per me era già vacanza essere a casa da scuola. Per i bambini bisognosi
di aria di mare o di montagna c’erano le colonie. Ci andai una volta,
ma questa è un’altra storia.
Per molti bolognesi il “mare” era il Lido di Casalecchio. Anch’io
andavo con i miei fratelli più grandi e i loro amici. Il lunedì era il
giorno fisso perché nella compagnia c’erano una parrucchiera ed un
barbiere e allora come oggi era la loro giornata di riposo (però
lavoravano alla domenica).
Partivamo il mattino di buon’ora con il pranzo al sacco (ora si dice
pic-nic). Avevamo costruito una capanna con canne e frasche al margine
del fiume. All’interno la sabbia era fine e asciutta, e la frescura
piacevole, “una goduria”.
L’acqua del Reno scorreva limpida, si vedevano i sassi sul fondo e con
questi costruivamo argini a piccole insenature dove riporre al fresco
bottiglie e cocomeri. Bagni, giochi e scherzi di ogni genere
allietavano la giornata che scorreva troppo in fretta.
Un giorno i ragazzi fecero una piramide umana e mi issarono in cima.
L’evento fu immortalato in una piccola fotografia in bianco e nero
con il margine frastagliato. Chissà dov’è finita!
Le giornate d’estate per noi bambini erano una festa continua. Facevamo
tanti giochi: palla prigioniera, ruba bandiera, la lima, nascondino
etc. ed io inventavo spettacoli di burattini. In cortile preparavo
delle seggiole per i piccoli spettatori rivolte verso la mia finestra
(al piano rialzato) che fungeva da teatrino e all’interno manovravo i
burattini cambiando voce secondo i personaggi.
La sera la combriccola si ingrossava. Con i più grandi andavamo a
spasso verso la periferia. Al Meloncello, in piazza della Pace, c’era
una giostra con i seggiolini volanti. Più veloce girava più in alto si
saliva. Una esperienza da brivido.
Invece in via Timavo c’era un cinema all’aperto, ma nonostante fosse
recintato, riuscivamo a vedere e sentire lo spettacolo anche stando
fuori.
Il limite delle nostre passeggiate erano i campi di Caprara, dove ore
c’è l’Ospedale Maggiore. Attorno era tutta campagna e la mancanza di
case permetteva, nell’oscurità, di vedere bene il cielo stellato. Si
sentiva il cri - cri dei grilli e una miriade di lucciole, con le loro
lucine a intermittenza, danzavano nell’aria come spiritelli. Mi chiedo
se in campagna si vedono ancora.
Spesso andavamo alla baracchina dei gelati a comprare, con pochi soldi,
il ghiaccio tritato. Portavamo una grande terrina da riempire e al
ritorno a casa giocavamo “al bar”. Mio fratello era il barista e ci
serviva le granite con gli sciroppi che in casa non mancavano mai:
menta, amarena, orzata, tamarindo.
Qualche sera i genitori organizzavano una cocomerata. In cortile
allestivamo lunghe tavole illuminate da lampadine appese qua e là.
Erano serate speciali, con i vicini e gli amici, tutti indaffarati, fra
chiacchiere e risate, a gustare grosse fette di cocomero. Noi ragazzi
lasciavamo un po’ di polpa rossa attaccata alla buccia e con questa ci
rincorrevamo cercando di impastricciare di cocomero la faccia degli
altri. Allegria assicurata.
In seguito ho saputo che questo frutto è un ottimo detergente e così,
senza saperlo, facevamo un trattamento di bellezza.
La casa dove sono nata è stata demolita. Ora c’è un palazzo moderno, ma
se chiudo gli occhi rivedo il marciapiede del cortile dove i ragazzi
segnavano con il gesso una pista per far correre, con la spinta delle
dita, i coperchietti a corona delle bibite, come fossero macchinine.
Rivedo il piccolo giardino con i filari di rose che si intrecciano a
volta a delimitare i sentierini. Quanti ricordi evocano queste
immagini. Un po’ di nostalgia vela i miei occhi, è tempo di fermarmi.
Quanto ho scritto può sembrare banale ed è vero che ci divertivamo con
poco, ma quel poco, fatto in compagnia era speciale ed è rimasto
indimenticabile, perché il FARE INSIEME rende speciali, più divertenti
e indimenticabili anche le piccole cose.
un familiare del Gruppo Speranza
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Notti africane: I Masai e i 5
leoni
Le notti africane sono per lo più usate per scrivere
pensieri o libri su persone a loro volta africane, che hanno ancor oggi
usanze, riti e modi di un tempo lontano, quasi vicino alla creazione
della Terra, riti mai cambiati come mai sono cambiate la luna e il sole.
Mio padre è africano e quindi la mia fantasia decade e inizia su di lui
e il suo pezzo d’Africa dove è nato ma del quale non ho saputo mai
niente.
Una volta ho saputo che in Africa vivevano dei leoni chiamati diavoli,
in quanto si cibavano solo di umani. Questi 5 leoni andavano a cacciare
dove l’uomo viveva di più, per esempio dove costruivano linee
ferroviarie o ospedali dove la puzza del sangue li faceva impazzire,
attaccando e sbranando molte ma molte persone, così li chiamavano
diavoli.
Mio padre mi disse che questa storia era vera solo per chi ci crede e
non perché non fosse vera, ma perché si sa che i leoni sono brutte
bestie, ma io non capivo bene perché sapendo fin da piccolo che i leoni
vivevano solo nel deserto, ero un po’ confuso.
Ma la storia, inventata o meno, continua così. Nascono così squadre di
cacciatori, trappole e finte strade per appunto incastrare questi 5
leoni e così le trappole non funzionarono ma gli spari del fucile li
allontanarono e li spaventarono a morte. Notte dopo notte, attacco dopo
attacco la popolazione si dimezzava così da rimanere qualche dozzina
per lo più spaventata.
Non so se questa storia mi fu detta per aumentare la stima verso mio
padre ma qualcosa verso di lui cambiò, forse, lo stato di appartenenza.
La storia fini concludendo che questi leoni erano veramente 5 diavoli
ma che furono uccisi da un villaggio di Masai accorso in aiuto che li
uccise tutti e 5, così i Masai furono decretati come degli eroi e il
popolo ormai decimato si ricompose.
Allora io penso che ne vale la pena passare delle notti in Africa!
Maurizio Gulizzi (Arte Insieme)
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La casa della nonna
Immersa da molte, troppe settimane in un caldo afoso
degno dei paesi lontani del sud-est asiatico, il pensiero corre veloce
alle vacanze della mia adolescenza, quelle a cui il mio ricordo ed il
mio cuore hanno sempre dato un valore molto speciale.
La scuola finiva a metà giugno e riprendeva solo ai primi di ottobre.
Il sospiro di sollievo che mi usciva dalla bocca era tanto forte che mi
sollevava da terra di almeno mezzo metro.
Studiare non è mai stato un problema: il vero problema erano le
“regole”, in gran parte assurde (a distanza di tanti anni lo penso
ancora!) che gli insegnanti e la famiglia numerosa nella quale sono
cresciuta tentavano di impormi con risultati molto scarsi, vista la mia
propensione a non collaborare.
La meta delle mie vacanze era la casa della nonna. Per arrivarci era
necessario fare un lungo viaggio in treno e poi circa venti chilometri
di corriera. Di questo viaggio ho ancora vivo il ricordo dell’odore che
lasciava addosso il treno. Rimaneva nel naso per molte ore e sugli
abiti e sulla pelle fino al primo bagno e cambio d’abito.
Ricordo ancora l’emozione che mi prendeva la gola quando la corriera
infilava la grande strada fiancheggiata da alti alberi con il tronco
segnato da una riga bianca che serviva ai pochi automobilisti che la
percorrevano di notte a non abbracciarli con tutta la macchina. Grande
era il senso di LIBERTA’ che si impadroniva di me. Grande era la gioia
di ritrovare le cose a me più care: la vallata, il fiume, le quattro
querce davanti la casa della nonna e le case dei contadini.
Luoghi magici in cui avrei trascorso tre mesi lontana da tutto quello
che mi provocava una sofferenza profonda perché, nonostante i
tentativi, non riuscivo a diventare ipocrita quel tanto che sarebbe
bastato per essere accettata e benvoluta dal micro-cosmo nel quale
vivevo.
Un meraviglioso senso di appartenenza a qualcosa di unico e speciale lo
ritrovavo spesso al mattino presto nell ’aspettare il sorgere del sole
dal punto più alto della casa: l’aria era ferma e chiara, pulita e
trasparente, quasi sospesa nell’attesa che il sole vincesse la
quotidiana battaglia con la notte.
Le operaie che dopo un lungo cammino a piedi si dirigevano alla
fornace, mi salutavano con allegria e mi consigliavano di tornare a
dormire, io che lo potevo fare. La mia risposta era sempre la stessa.
Come avrei potuto dormire? Come avrei potuto perdere tutto quello che
avevo davanti ai miei occhi?
Nella vita, ormai vissuta quasi per intero, ho avuto tante altre
occasioni di vacanza. Ho visto luoghi bellissimi il cui ricordo riempie
ancora le mie giornate ma quella sensazione speciale di libertà e di
appartenenza a qualcosa di unico non l'ho provata mai più. Che sia
perché, nel frattempo, sono cresciuta?
Teresa
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Egitto, paese di faraoni e di
misteri
Due anni fa con una mia cara amica abbiamo organizzato
un viaggio con destinazione Mar Salam sul Mar Rosso. Questa esperienza
rimarrà viva dentro di me per tutta la vita; dal momento che è stata la
prima volta che sono stato all’estero ed è stata la prima esperienza in
aereo.
Il villaggio nel quale siamo stati era bellissimo, quasi in riva al
mare; quello che ho notato è che tutti i dipendenti erano uomini e gli
ospiti tutti turisti per lo più europei.
Le cose che però mi sono rimaste impresse riempiendomi di piacere e di
gioia sono state 1) l’escursione nel deserto del Sahara in groppa ai
cammelli in costume locale al riparo delle palme di un’oasi dove
abbiamo partecipato ai vari rituali dei Beduini: la preparazione e la
consumazione del cous-cous e del the e fumato il narghilè.
Ancora mi si mozza il fiato se ripenso all’universo che mi si è aperto
nel fare lo snorkeling, i colori e le forme dei pesci e della
vegetazione che letteralmente adornavano lo scenario del fondale marino
erano di una tale bellezza che nessun aggettivo gli renderebbe
giustizia.
Gabri e Concy
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Una settimana a Rimini
Dal 9 al 14 giugno sono andata in vacanza con gli
operatori e i colleghi della Coop. Martin Pescatore, destinazione
Rimini.
L’albergo Sabrina che ci ha ospitati era a circa 800 metri dal mare. La
cucina è stata ottima ed abbondante, il personale gentile e la
struttura era molto accogliente.
La mattina e il pomeriggio li abbiamo trascorsi in spiaggia dove si
poteva giocare, muoversi, fare il bagno, passeggiare e riposare. Io ho
scelto quest’ultima opzione.
La sera ci siamo cimentati in svaghi diversi: il cinema, visite nel
centro storico e in altre località limitrofe, spuntino a mezza giornata.
Visto che siamo stati molto bene avrei gradito prolungare la vacanza di
un’altra settimana.
La mia compagna di stanza è stata la Lorellina, che è una carissima
amica oltre che collega di lavoro.
Cristicchi
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A Palinuro tutto Sottosopra per
una settimana
Dal 31 Maggio al 7 Giugno si è svolta a Palinuro la
manifestazione dell’A.N.P.I.S. chiamata SOTTOSOPRA, a cui hanno aderito
1600 partecipanti provenienti da tutta Italia.
L’A.N.P.I.S. (Associazione Nazionale Polisportive per l’Integrazione
Sociale) è nata ufficialmente nel 2000 e si propone come strumento di
promozione sociale e lotta alla marginalità nei diversi settori dello
svantaggio psicosociale attraverso un incontro annuale.
Personalmente ho vissuto in questa ultima manifestazione a Palinuro
esperienze vive e palpitanti e per alcuni aspetti diverse da una comune
vacanza in famiglia o in coppia, a cominciare dal viaggio. Pur essendo
sempre stimolante uscire da Bologna con le sue monotonie e routine
lavorative e del tempo libero, il furgone su cui eravamo alloggiati era
stracarico di persone e bagagli, e il viaggio si è rivelato più lungo,
stressante e snervante del previsto. Le 12 ore di viaggio, il caldo e
il traffico hanno messo a dura prova la nostra resistenza psico-fisica.
Tanto è che uno di noi per scherzo ha detto: “Cos’è questo viaggio!
Siamo uomini o bestie!”.
Tuttavia memorabile, perché il viaggio mi ha permesso di conoscere
meglio: gli operatori Rita, Gessica, Giuliano; gli amici Gino, Marco e
Giovanni; e la mia ragazza Cristina Spisni. Anche il paesaggio è stato
emozionante e degno di nota: l’Appennino tosco-emiliano con le sue
nubi; le dolci colline toscane, laziali e campane; il Vesuvio e il
maestoso Sorrentino per finire con il bucolico Cilento hanno consolato
in parte il gruppo.
Il secondo elemento caratterizzante questa manifestazione è la
compagnia. Stare con gli amici Diavoli Rossi con i quali ho partecipato
a tante partite e condiviso viaggi in più parti dell’Italia è
rassicurante.
Questo anno in più c’è stata la mia ragazza che ha reso più dolce ed
emozionante i vari momenti della manifestazione. L’anno precedente era
stato un continuo scambiarsi di messaggi da me a Palinuro e lei a casa
a Bologna
Il terzo elemento, è la conoscenza più approfondita dei compagni
Diavoli rossi: e per compagni intendo non solo quelli di gioco; ma
anche gli operatori, i volontari e i famigliari (in particolare Franca
e Floriano). Conoscenza o se vogliamo essere più scientifici
socializzazione con nuove persone esterne ai Diavoli Rossi è avvenuta:
nel torneo di calcetto; nei diversi punti di incontro del villaggio gli
Ulivi di Palinuro dove eravamo alloggiati (ristorante, bar, piscina) e
attraverso il team di animazione del villaggio.
Ricordo con particolare affetto il dialogo al bar del Villaggio con la
dottoressa Matilde, pozzo di umanità e scienza e segretaria
dell’A.N.P.I.S., sui mali che affliggono il mondo. Dopo aver parlato
con lei mi sono sentito più saggio e attivo nel mondo in cui viviamo.
Il quarto elemento è lo scambio di esperienze umane e professionali tra
operatori e utenti provenienti da varie parti di Italia e anche
dell’estero. Questo avviene attraverso riunioni e assemblee dove
professionisti e pazienti si raccontano in modo profondo e sincero
dando vita ad un passaggio di informazioni e conoscenze più rapido e
nutriente di un qualsiasi manuale di psichiatria.
Ma il periodo è anche vacanza. E mi viene da dire rilassamento: in
spiaggia dove ho preso il sole e fatto bagni in acqua cristallina con
fondali meravigliosi, dove pesci di diverse specie nuotano tranquilli
non impauriti dalla mia presenza. Vacanza è stata anche passeggiate
serene con la mia ragazza e a volte con il gruppo dei Diavoli Rossi a
Palinuro e nei paesi limitrofi del Cilento.
Per poi non parlare del cibo. Divino! Sette giorni su sette pranzo e
cena ho sempre mangiato pesce sublime. E nonostante tutto ho perso tre
chili in una settimana.
A contribuire al calo ponderale hanno contribuito le energie impiegate
nel torneo di calcetto. Qui abbiamo vinto 4 partite e pareggiata 1
riconfermandoci testa di serie del girone.
Vacanza è anche rientro a casa: agli affetti della famiglia, al calore
di casa mia, all'importanza del lavoro, al mio sport preferito, il
ciclismo, agli amici di sempre, allo spazio amicizia dove si
chiacchiera, balla e si fa karaoke con nuovi amici.
La vita è quindi bellissima perché è varia e l'A.N.P.I.S. con le sue
iniziative permette esperienze di una ricchezza umana che le vacanze
“normali” dei cosiddetti “normali” non hanno. Per cui viva
l'A.N.P.I.S.! Viva i SOTTOSOPRA!
Fabio Tolomelli
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I Diavoli Rossi vincono ancora
nella bolgia di Palinuro
Per il secondo anno consecutivo i Diavoli Rossi tornano
a Palinuro per il torneo di Calcetto organizzato dall’ANPIS. Vincendo
quattro partite e pareggiandone una si sono riconfermati testa di
serie. Nonostante lo scopo sia puramente amichevole: nel senso che si
gioca per stare assieme e divertirsi, c’è stata soddisfazione nel
gruppo per i risultati ottenuti.
Nonostante mancassero i due attaccanti di razza come Luca e Frenk;
Giovanni, Giuseppe, Floriano, Marco e Gino a rotazione sono riusciti a
mettere a ferro e fuoco le difese avversarie, scardinando i catenacci
più duri.
A centro campo Filippo, Mino, Marchino e Gregorio hanno sviluppato un
enorme mole di gioco fornendo assist alle punte e frenando la discesa
avversaria.
La difesa è stata a livello degli altri reparti, eccezionale! Andrea,
Giuliano, Stefano oltre a baluardo hanno saputo fare fraseggio
permettendo alle punte di liberarsi. I tre portieri Matteo, Piero ed io
ci siamo alternati facendo saracinesca contro l’artiglieria avversaria,
permettendo in qualche occasione di salvare il risultato.
Finito il torneo e la vacanza si riprende con gli allenamenti il
mercoledì mattina a Casalecchio di Reno. Chi è interessato può chiedere
informazioni a Mino al 051 6224260.
f.t.
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I Mondiali Antirazzisti a
Casalecchio
Dal momento che negli ultimi tempi si sono moltiplicati
episodi preoccupanti, tanti politici, giornalisti e rondisti
volenterosi vogliono farci credere che il problema non siano la povertà
e la guerra che regnano in buona parte del pianeta, ma le persone che
scappano da queste miserie! In realtà non esiste statistica che possa
provare la famosa percentuale di criminalità fra immigrati. Quindi si
inventa il reato di clandestinità e il risultato desiderato finalmente
arriva!
Nella storia italiana non esiste un nomade condannato per sequestro di
persona, ma istigati da pregiudizi medievali si mobilitano gruppi per
incendiare roulotte e baracche. Il problema reale sono i razzisti
bianchi, neri, gialli che siano. Il problema sono i violenti e i
prepotenti europei, arabi, americani etc.
Il progetto “Ultrà” promosso dalla UISP si propone di difendere valori
legati alla cultura popolare del tifo e di limitare i componenti
intolleranti e xenofobi presenti dentro e fuori gli stadi di calcio,
attraverso un lavoro di carattere sociale portato avanti insieme ai
tifosi.
La UISP è il più grande ente di promozione sportiva, il cui scopo
principale è quello di promuovere i valori dello sport, di organizzare
attività per combattere la discriminazione e l’esclusione sociale e di
partecipare ad azioni di cooperazione internazionale.
Dal 9 al 13 luglio 2008 hanno avuto luogo a Casalecchio i Mondiali
Antirazzisti a cui hanno preso parte squadre in rappresentanza dei 5
continenti.
Pensate un po’, ci siamo stati anche noi, noi chi? Ma i Diavoli Rossi.
Abbiamo disputato 4 incontri: vinti 2, pareggiati 1, persi 1.
Al di là però dei risultati e del fatto che la nostra presenza dava
voce alla condanna di ogni forma di razzismo, abbiamo centrato un altro
obiettivo: creare nuove opportunità; abbiamo fatto la conoscenza di
persone provenienti dal Canton Ticino che in autunno ci hanno invitato
a giocare a calcetto da loro.
c.p.
204 squadre, 28 paesi
I 'Mondiali antirazzisti' sono stati organizzati
dall’Unione italiana sport per tutti (Uisp) dell'Emilia-Romagna,
Progetto Ultrà e da Istoreco in collaborazione con la Rete Fare
(Football Against Racism in Europe) e il Comune di Casalecchio di Reno.
Giunti alla dodicesima edizione si sono confermati come un consolidato
appuntamento sportivo. "Ma si tratta soprattutto di una festa
multiculturale
dove viene sperimentata la coabitazione, dove è possibile conoscere
persone da ogni parte del mondo parlando la lingua comune dell'agonismo
e della cultura" - affermano i promotori dell'iniziativa.
Alla competizione sportiva hanno partecipato 204 squadre di calcio,
provenienti da 28 nazioni e formate da 50 comunità diverse, comprese
due squadre di profughi afgani, 8 di rom e scinti e molte
rappresentative femminili.
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Megalomania
Da tempo oramai si era reso conto di essere un piccolo,
povero essere che sarebbe passato senza lasciare traccia alcuna.
Non che da adolescente, e poi ancora giovane uomo, non avesse nutrito
una qualche speranza sul proprio avvenire, non si fosse crogiolato in
qualche fantasia di grandezza. Ma in fondo era sempre stato il primo a
non credere fino in fondo a questa possibilità. Non si trattava, ben lo
sapeva, che di un innocuo, consolatorio trastullo.
E così, quando il passare degli anni aveva reso chiaro che il suo nome
non sarebbe stato tramandato negli “Annali della Storia”, si era
adattato a questa prospettiva senza eccessive recriminazioni. Si era
fatto semmai ancor più piccolo, in modo da non costituire ostacolo
all’incedere della vita. Si era posto a un lato del sentiero, seduto ai
suoi bordi, ad osservare gli altri che procedevano con incedere
spedito, quasi timoroso di disturbare, di essere di troppo.
Eppure si era dovuto ben presto rendere conto, prima in maniera
estremamente confusa e, via via, sempre più distintamente, che questi
propositi apparentemente così modesti avevano ben poche possibilità di
giungere in porto.
No, la Vita non pareva davvero avere alcuna intenzione di procedere
oltre mentre lui restava accovacciato ai suoi bordi. Se si fermava,
ecco che la Vita si fermava accanto a lui, se procedeva, eccola
seguirlo fedelmente come un cagnolino.
Certo, in un primo momento aveva pensato che non si trattasse che di
curiose coincidenze. E anche quando queste “coincidenze” ,
accumulandosi le une sulle altre, avevano formato un cumulo enorme,
impossibile da ignorarsi, anche allora non se ne era dato per inteso e
aveva preferito volgere altrove lo sguardo. Non voleva e non poteva
gravarsi le spalle di un simile carico. Che la Vita andasse dove meglio
credeva, ma senza di lui.
Purtroppo il nostro eroe soffriva fin dall’infanzia di una fastidiosa
forma di onestà intellettuale, e, per quanti sforzi facesse, gli
risultava impossibile nascondersi troppo a lungo alla verità. E così,
pian piano, con slittamenti progressivi quasi inavvertibili, si era
trovato faccia a faccia con l'atroce verità: l’Universo non avrebbe
mosso un passo senza di lui.
“Chissà -si era illuso una volta- forse quanto mi accade, accade a ogni
uomo. Forse pare ad ognuno che l’Universo ruoti attorno a lui, ai suoi
problemi, alle sue aspettative.” Ma anche questa teoria aveva avuto
vita breve. No, non era ad altri che la Vita stava alle calcagna, ma
proprio a lui e a
lui solo.
E più il tempo passava, più la consapevolezza della sua centralità
assumeva contorni preoccupanti: non solo lo sviluppo presente
dell’Universo sembrava interessarsi alla sua persona e agli accadimenti
anche minimi che per avventura gli andavano capitando. L’intero
sviluppo dell’Universo pareva avere di mira la sua vita presente:
miriadi e miriadi di eoni sembravano spietatamente convergere sulla sua
esistenza, concentrare il loro punto focale sulla sua infima,
insignificante persona.
Una simile consapevolezza avrebbe annientato uomini ben più robusti di
lui, eppure il nostro eroe riusciva ad opporre una sia pur risentita
resistenza. “Se l’intero Spazio e l’intero volgere dei Secoli non trova
nulla di meglio che concentrarsi su una nullità assoluta, si accomodi!
Non sarò certo io a darmene pensiero”. Ma come ognun comprende, un tale
proponimento era ben difficile da mettere in atto.
Quando si ha la certezza che la vita di intere generazioni converge
implacabilmente sul respiro che abbiamo appena emesso, quando si teme
addirittura che l’intero svolgersi dell’Universo non abbia avuto altro
fine che quello di consentirci di emettere quel respiro, beh, si
respira a fatica!
E così il pover'uomo, che a dire il vero non aveva mai brillato per
particolare religiosità, condotto dalla disperazione cominciò a
rivolgere suppliche alla Divinità, affinché gli desse lumi
sull’insostenibile e incomprensibile situazione. E insisti oggi,
insisti domani, infine riuscì a scovare uno squarcio attraverso cui
interrogare la Divinità.
“E dunque, abba, a che tutto ciò? Illuminami sul significato
dell’Universo, e del perché mai io sia pedinato passo passo dal creato.”
“E che diavolo vuoi che ne sappia? Tu ti lamenti, e che dovrei dire
allora io che sono stato tratto dal placido Nulla all’Essere, al solo
scopo di creare un Universo che come unico fulcro attorno a cui ruotare
avesse la più squallida esistenza che fosse dato di trovare?”.
Antonio Marco Serra
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L'erba del vicino è sempre più
verde
Erano le otto del mattino domenicali. Era una bella
giornata di sole in uno dei quartieri più ricchi di Los Angeles. Qui
abitavo in una delle case più modeste della zona. Il mio vicino no.
Famoso regista holliwoodiano, era il più ricco del posto. Aveva appena
comprato una Ferrari e pensò di lavarla personalmente non fidandosi
degli autolavaggi. Aprì con soddisfazione e irruenza il rubinetto
dell’acqua per preparare l’insaponatura; ma il rubinetto a cui era
collegato il tubo che terminava con la lancia si sganciò a livello
della lancia stessa cosi che la conduttura cominciò a piroettare come
un serpente impazzito all’interno del garage infradiciando la Mercedes
cabrio che vi era parcheggiata, le pareti e tutti gli oggetti che vi
erano contenuti.
Una volta ripreso il controllo dell’acqua cominciò il lavoro di
insaponatura, felice nel vedere il suo gioiello tutto schiumato e
profumato impiegò grande vigore nell’operazione. Salvo poi scoprire che
alcuni granellini presenti nella spugna avevano procurato piccoli
graffi sulla carrozzeria. Gli vennero brividi freddi. Poi un calo di
pressione. Respirò a lungo per riprendersi e ragionò: in garage ho
della pasta lucidante, pensò. Riprese animo. Spalmò il prodotto su
tutta la carrozzeria. Prese di gran carriera il trapano lucidatore. Una
grande scossa elettrica lo attraversò poiché il trapano era ancora
bagnato. Per fortuna il “salvavita” scattò. Ma il nostro Jones, questo
è il nome del regista, cominciò ad essere fortemente provato.
Prese allora degli stracci e con “olio di gomito” strofinò tutta la
carrozzeria. Quando finì si tolse gli occhiali da sole e si passò la
mano sulla fronte. Rimase agghiacciato. Non riusciva a respirare.
Voleva prendersela con qualcuno. Non c’era nessuno eccetto io che lo
guardavo mentre lavavo la mia Ford. La Ferrari da rossa fiammante era
diventata ad aloni rosa confetto. Dalla fretta aveva scambiato la pasta
lucidante con quella abrasiva.
Sconsolato pensò di andare in piscina a rilassarsi un po’. Qui trovò la
bellissima fotomodella conosciuta la sera prima assieme al domestico di
colore. Furente dalla rabbia sradicò il piccolo pesco in fiore e li
rincorse per tutto il giardino cercando di bastonarli ma non vi riuscì.
I due erano troppo veloci e snelli in confronto ai cento chili per un
metro e sessanta del regista.
Cercò allora di consolarsi col cibo, mangiò in gran misura ostriche e
cozze crude al limone con champagne. L’insieme fu deleterio, dopo
un’ora un attacco di colite lo costrinse a stare al bagno tra
“scariche” e dolori addominali fino quasi sera.
Cessati i sintomi decise di prendere il trattorino tosa-erba. Con gran
furore partì e si alzò un gran polverone misto di erba e sabbia. Jones
non se ne accorse, aveva lo sguardo fisso in avanti come un pilota di
formula uno. Solo dopo aver fatto un giro completo intorno alla piscina
capì cosa aveva combinato. Il polverone e l’erba spinti dal vento erano
finiti dentro la piscina ostruendo i tubi di depurazione dell’acqua.
Non sapendo come chiudere le condutture che portavano acqua alla
piscina questa straripò e lo costrinse a chiamare l’idraulico che
arrivò solo a serata inoltrata. I litri d’acqua andati persi erano
tantissimi. Il peggio fu che l’acqua invase tutto il pian terreno della
villa che stava a valle della piscina rovinando inesorabilmente il
parquet. Chiamò allora i pompieri, ma questi non si spostarono non
credendo che fosse veramente il regista a chiamarli.
Decise all’ora di abbandonare tutti i misfatti che aveva combinato
andandosene a letto per non pensarci più. Si accese una sigaretta con
lo sguardo perso e dopo alcuni tiri si accorse che la cenere aveva
perforato la coperta di cashmir e le lenzuola di seta. Buttò con rabbia
la sigaretta dalla finestra che cadde sul gazebo prendendo fuoco.
Quando mi accorsi del fatto corsi con il mio estintore presso la villa.
Come mi vide, Jones, aprì il cancello e dopo pochi istanti spegnemmo il
fuoco.
Avendo visto le peripezie che gli erano accadute lo invitai a cena.
Mangiò senza aprir bocca. Quando finimmo gli chiesi se voleva rimanere
a dormire in casa mia anche se avevo posto solo sul divano. Accettò.
Pensai in questo modo non combina altri guai. Verso mezza notte scesi
in sala per bere un po’ di acqua e lo vidi ancora con gli ochi sbarrati
e pensai: povero diavolo! Era rigido e immobile come un cadavere non
faceva altro che pensare ai suoi guai e il peggio è che erano tutti per
avere un erba sempre più verde.
Fabio Tolomelli
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I 30 anni della legge Basaglia
Oggi 30 maggio tutti a Bologna in Piazza Maggiore
perché quest’anno ricorre il trentennale della legge Basaglia. Numerose
sono le persone che come me partecipano a questa grande manifestazione
promossa dai C.S.M.
A chi come me avesse poca conoscenza di questo argomento cercherò di
spiegare cos’è la legge Basaglia, la cosiddetta legge 180. Nel 1978 il
dott. Franco Basaglia noto psichiatra, mise in vigore una legge che
decretava la chiusura dei manicomi. Se oggi partecipo a questa
manifestazione è proprio per ricordare questo evento.
Ritengo questa legge giusta ma soprattutto utile, quindi sento di
porgere al dott. Basaglia un sentito ringraziamento. Il riconoscimento
maggiore però va a tutti quelli che da questa legge hanno tratto
provvedimenti importanti ed efficaci per le persone che soffrono di
disturbi psichiatrici.
Questa legge ha permesso che nascessero strutture psichiatriche con
frequenza giornaliera, come ad esempio “I Centri Diurni”. Non più
luoghi con sbarre alle finestre e catenacci alle porte, ma strutture
accoglienti e adatte a rendere migliore la vita delle persone che le
frequentano.
Io personalmente ho provato l’esperienza del “Centro diurno di
Casalecchio di Reno”. Devo dire di averne tratto un grande giovamento
perché ora mi sento una persona guarita, anche se non devo trascurare
la somministrazione degli psicofarmaci. Quello che più importa è quello
che sento di essere, non più pericolosa e da evitare, oppure da tenere
poco in considerazione perché non in grado di capire!
Sono felice di avere raggiunto questo obiettivo, ma non sarei riuscita
in questo senza avvalermi degli strumenti che il Centro mi offriva!
Oggi siamo qui alla manifestazione anche per mostrare alla società che
l’integrazione per noi è stata una grande conquista anche se spesso
richiede tempo ed impegno. Vogliamo far conoscere agli altri che
persone con disagio mentale possono mostrare ed esprimere potenzialità
e risorse che altrimenti rinchiusi non potrebbero nemmeno pensare di
poter sviluppare.
Oggi ho anche il piacere di cantare nel nostro coro noto come “I
cantori del Lido” e diretto dalla nostra insegnante di canto Giulia
Mattioli (detta Mimma). Gli ascoltatori non sono moltissimi, ma
abbastanza per ritenere questa manifestazione importante anche con
l’espressione canora che è stata molto apprezzata, ma che soprattutto
mi ha fatto provare un’emozione intensa e speciale.
La mia partecipazione alla manifestazione è stata anche di tipo
pratico, visto che ho realizzato con degli scampoli che avevo in casa,
un telo a quattro tasche all’interno delle quali abbiamo posto poesie
scritte da operatori utenti e volontari da regalare a chiunque
mostrasse interesse.
La mia conclusione: “Benvenuta legge Basaglia”.
Mariangela
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Non dire amore
Non dire amore se non sei pazzo abbastanza.
Ascolta il tuo cuore
riprenditi anima mia
il tuo rosso colore.
Non piangere se rubano la dolcezza
ad ogni donna che la abbia.
Raddrizza la testa e vola...
Ave Manservisi
Il mio amore
Il mio amore è un uccellino
porta piume sul collare e poi, verso sera,
canta al sole il suo morire.
Il mio amore non ha nome
se non quello di giullare
che vola di fiore in fiore
con ali di farfalla benedice il mondo intero.
Il mio amore è come il sangue rosso e rutilante,
spruzza e macchia, ma non fa male.
Scende e sale
a cavallo di turbini e tuoni.
Ave Manservisi
Rondine
Sarò una rondine
oppure un’onda.......
Ci ameremo e giocheremo sulla sabbia,
come fanciulli o due innamorati del cielo!
Non ti bramo, ma ti desidero...
dolce amore dolce miele
acqua che toglie la sete per sempre
albero dai mille fogliami
torre d’avorio rara e nascosta da un velo di pudicizia.
Ave Manservisi
La rosa
Se io fossi l’alba chiamerei le nuvole
se io fossi fuoco, ti brucerei.
Ma il tempo fa appassire tutte le rose
così che ci rimangono solo le spine.
Lei era una rosa profumata,
ma tutto passa e si scorda,
tutto finisce.
Son rimasta sola ed infelice.
Ave Manservisi
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L'amore!
L’amore?
Colui che fa girare insieme Terra ed Universo e che per primo ha amato.
L’amore?
Quello di una madre, che nel dolore ti dà la vita, che nulla vuole in
cambio e che fino alla sua morte dura!
L’amore?
Un dolce alito che riscalda il cuore di un innamorato, oppure un
ardente fiamma che brucia nel fuoco della passione e ti sconvolge.
L’amore?
Quello di un malato, uno di quelli come me che il mondo di fuori chiama
matti, ma che a volte è soltanto un po’ sperduto, che ha bisogno di una
mano, di un abbraccio, oppur soltanto di uno sguardo per andare avanti,
ma che più di tutti ama.
Mariangela
Via Venezia n° 5
Né sbarre alle finestre, né catenacci alle tue porte.
Fuori un grande salice piangente ogni giorno fedelmente aspetta il tuo
ritorno!
Il tuo nome è un po’ triste, come un po’ triste è l’effige al tuo
cancello, ma le tue stanze son dimora di affetti e di speranze.
Dai vetri di variopinte tende agghindati scorgi un grande parco che
tutt’intomo ti sorride e dietro ai grandi alberi, silenziosamente
scorre un fiume.
Tutto questo può essere terapia ma per me è diventata anche casa mia!
Se a volte sei un po’ triste o di sofferenze prigioniero, non ti
dimenticar di via Venezia, perché è lì che puoi sorridere per
continuare a vivere!
Forse per me diventerai dimora passeggera, ma di te il ricordo rimarrà
per sempre come marchio di fuoco nella mia pelle impresso, che
cancellar nessuno al mondo mai potrà.
Mariangela
La libertà
C’è una fanciulla sulla collina,
con le sue mani intreccia corolle
e a piedi nudi fende le zolle.
Si è fatta donna può scendere a valle
ma indossa sempre la stessa gonna, lo stesso scialle!
Con sguardi fugaci cerca l’amore, ma trova soltanto un traditore!
Pensava di diventare una regina, ma ora è schiava la poverina!
Piange si strugge la giovane donna e nel suo cuore cresce il dolore.
Di lì per caso passa un signore che le domanda:
“Perché tanta infelicità?”
“Mi hanno rubato la libertà”
“Vieni con me ti saprò amare e sarai libera pur di volare”
”tu sei davvero un gran signore, ma ho tre
fanciulli ancor da cullare e non li voglio abbandonare”
E’ un gran tesoro la libertà ma sol se ti reca la felicità.
Mariangela
Abbracci e sorrisi
Ghirlande di splendidi fiori intrecciati
sono gli abbracci gli affetti e i sorrisi.
Rose purpuree son le passioni e gli amori profondi
che a volte però qualche spina nascondon.
Una di loro mi punse e ancora la ferita ne porto,
quasi a ricordar che non vi è più dolore che perdere un figlio.
Ma quando ti accorgi che sul tuo viso c’è una ruga che non c’era
e pensi che non ri torni più primavera?
E’ proprio allora che vedi sbocciare i candidi gigli:
“I figli dei tuoi figli!”
Così che mi vien da gridare:
“Che bella aiuola fiorita è la famiglia riunita”
Mariangela
Lo sciatore
Sulle innevate e candide cime, va’ lo sciatore in volo
sublime.
Rocce e burroni sulla sua strada e la valanga si accosta bastarda,
ma lo sciatore con passo leggero
non perde di vista il sicuro sentiero!
Danza leggiadro su soffice neve che dal sole baciata ti sembra
argentata.
E’ un cuore intrepido e pieno d’ardore, ma mentre discende la grande
vallata,
pensa soltanto alla sua amata che non potrebbe mai più rivedere!
Tutto intorno è silenzio e puro candore ma il cuore dello sciatore
grida all’amore!
Mariangela
La felicità
Felicità è tenere per mano un bambino che vedere non sa.
Felicità è amare al presente al futuro e gioir della vita che Dio ti dà.
Felicità è non udir la menzogna, non guardar la vergogna ma carpire la
gioia che la vita ti dà.
Felicità è accudire un malato che speranze non ha.
Felicità è cullare un bel sogno e volare col pensiero e ascoltare le
emozioni che il cuore ti dà.
Felicità può voler dire possedere ricchezza, ma ancora più grande e la
felicità se doni te stesso a chi ricchezza non ha!
Mariangela
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