Laboratorio bolognese editoriale
de “Il Faro”
II laboratorio editoriale bolognese della rivista "II
Faro" nasce dopo un incontro di quelli importanti che aprono orizzonti
e fanno vedere una nuova luce: l'incontro con Fabio, Cristina, Concetta
e tanti altri ancora che da alcuni anni, con il loro lavoro, hanno
acceso e continuano a far brillare "Il Faro".
II laboratorio è prima di tutto uno spazio di condivisione dove nascono
idee e pensieri che assumono diverse forme creative.
Ogni contributo rappresenta un'elaborazione personale, sviluppata in
gruppo, delle tematiche suggerite dalla redazione centrale di San
Lazzaro.
Ci si ritrova tutti insieme, a solcare il mare tempestoso della
sofferenza, stando un po' come su una barca con le vele issate verso
una rotta che diviene più sicura se navigata con una forte chiglia e
rischiarata dalla luce del faro. Su questa nave da oggi è salita anche
UmanaMente.
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Infinite grazie Paolo
Purtroppo Paolo Facchinetti per motivi personali non
può più aiutarci nella redazione del giornale. Così mentre il giornale
compie il terzo anno mi sembra quantomeno opportuno ringraziarlo per
tutto quello che ha fatto per noi membri della redazione non che per
tutti i nostri lettori.
Quindi.
Grazie per tutto il tempo che ci hai dedicato nelle riunioni di
redazione.
Grazie per averci autorevolmente insegnato come si organizza e vive un
giornale.
Grazie per l’impegno e la capacità che ci hai trasmesso per costruire
un articolo.
Grazie per aver impaginato e curato la veste grafica de “Il faro” in
modo da amplificare il contenuto e il messaggio dei nostri scritti.
Infine grazie per l’affetto caloroso e la simpatia che ci hai regalato
nelle varie sedute di redazione del giornale.
Concetta, Fabio, Cristina, Luigi, Roberto,
Gabriele, Maria Angela, Laura,
Roberta e tutti gli altri
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La sabbia nella clessidra del
tempo
La sabbia
nella clessidra del tempo
corre più veloce.
La luce del giorno
scalda sempre di meno.
Il futuro
non consente di guardare
troppo avanti.
Il cuore
scaldato dai ricordi
è l'unico
che ancora non si arrende
Teresa
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Peter Pan
Peter Pan rappresenta l'eterna giovinezza, è una
favola ma può diventare anche una sindrome. Un
anziano che si guarda allo specchio si vede brutto e vecchio e desidera
tornare giovane. Vorrebbe, come
Robin Williams, fare una magia e tornare bambino e giocare con i
folletti del bosco.
C'è sempre un Capitano Uncino, però, che ricorda, con il ticchettio
del suo orologio, il
tempo che passa e un coccodrilloche ti morde le chiappe.
Stefano Gardini
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La mia nonna
I nonni giocano un ruolo determinante nella società
poiché aiutano spesso i figli a crescere i propri
bambini. Così il mio pensiero sulla terza età va al ricordo della mia
nonna, al suo sorriso e al suo
avermi cresciuto ed essermi stata vicino.
Gli anziani stando con i nipoti tornano bambini e così si chiude il
ciclo della vita.
Diego
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La terza età
Quante primavera son passate...
una speciale ne ricordo, quando
fanciullina, nell'aia correvo gioiosa,
giocando a nascondino, per poi
rincorrere le lucciole che solevo
nascondere nel palmo della mano
come fosser piccole stelle dal ciel cadute!
Puntualmente è giunta anche
l'estate ed i suoi gustosi frutti
mi ha portato: confetti bianchi
due coccarde azzurre ed una rosa
Per coronare il sogno mio d'esser
È giunto finalmente anche
l'autunno, ma non è ancora inverno!
Anch'esso ricco di ricordi dolci e amari,
ma che non han guasto la mia vita
ma ancor più ricca è diventata
da quando la gioia d'esser mamma
mi han donato!
Forse le forze sono affievolite un poco
ed i capelli un po' ingrigiti, ma
restan sempre corona di saggezza
e di bellezza.
A questo punto mi sovviene
un brano: son parole di un mortale
ma anche di un poeta, che parlando
della terza età così si esprime:
"Nemmeno il tempo la beltà cancella,
mia madre ha sessant'anni, ma
più la guardo e più mi sembra bella."
Mariangela
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La terza età
Per sapere di più sulla terza età un mercoledì
pomeriggio il gruppo del laboratorio ha deciso di contattare un Centro
Anziani per fare delle interviste a tema. Abbiamo contattato il Centro
Sociale Anziani “G. Costa” di Via Azzo Gardino frequentato da arzilli
“umarein” e” dunneine” e armati di fogli e penne siamo entrati allo
scoperta del loro mondo.
Ci siamo disposti in cerchio e dopo una breve chiacchierata di
presentazione, abbiamo posto le nostre domande. L’intervista era stata
preparata durante i laboratori precedenti e le domande volevano
indagare gli aspetti positivi e negativi della terza età, ci
incuriosiva sapere come gli anziani trascorrono le giornate, cosa fanno
nel tempo libero e quali sono i loro vissuti e le loro emozioni.
Le risposte sono state varie, anche perché i nostri intervistati sono
persone che vivono la quotidianità e la loro età in modo diverso;
alcuni di loro ci hanno sorpreso particolarmente raccontandoci che
praticano hobbies come la pittura, frequentano corsi di ballo, corsi
per la memoria, che noi non ci aspettavamo per nulla.
Nello stesso tempo, nonostante la loro diversità ci siamo resi conto
che nei loro racconti, la Terza età in qualche modo li unisce perché li
porta a vivere determinate esperienze insieme. Ad esempio ogni mattina
alcuni di loro vanno a fare colazione al bar, con cappuccino e brioche,
si incontrano al centro sociale per leggere i quotidiani, giocare a
carte e raccontarsi “marachelle” della loro giovinezza strappandosi a
volte una lacrima a volte un sorriso. Si divertono a confrontarsi sulla
cucina, sui film visti e sui posti da visitare.
Gli abbiamo inoltre chiesto (dato che ci incuriosiva in particolar
modo) se a quell'età si può essere ancora innamorati e ci hanno
sorpreso rispondendoci con una grassa risata che “il cuore non
invecchia mai!”
Ovviamente dopo averci fatto sorridere e riflettere, ci hanno voluto
sottolineare il fatto che a quella età bisogna anche fare i conti con i
problemi di salute, con i primi acciacchi e con altri aspetti negativi
come: la paura di rimanere da soli, di non aver nessuno che li possa
aiutare nel momenti in cui stanno male e hanno bisogno di aiuto, di
dover dipendere dagli altri anche nelle situazioni più semplici che
prima riuscivano ad affrontare da soli. Al termine della lunga
chiacchierata dopo aver riempito i nostri fogli di risposte, siamo
ritornati in laboratorio per esaminare e riflettere tutti insieme sui
molteplici e variopinti aspetti della terza età.
Durante la discussione ci è sembrato opportuno rivolgere, in un
articolo sulla terza età, un pensiero ai tanti anziani che vivono soli
senza nessuno, a quelli che vivono in case di cura, in case protette
senza la possibilità di uscire e vivere la quotidianità come i loro
coetanei prima descritti.
Infine vogliamo concludere con una riflessione nata da Paolo e
condivisa con il gruppo dopo questo lavoro: l'essere anziano è uno
stato sia fisico che mentale in cui si può arrivare alla migliore
consapevolezza di se stesso, in cui il risultato finale è rappresentato
dall'esperienza che hai sviluppato nella vita. Il bagaglio di
conoscenza di se stesso è tanto più ricco quanto più ricche sono state
le relazioni con gli altri.
Laboratorio UmanaMente
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Associazione UmanaMente
Siamo un gruppo di volontari che hanno a cuore il tema
della salute mentale; alcuni di noi hanno vissuto e vivono in prima
persona il disagio psichico, altri sono amici e familiari, certi
lavorano come operatori nella psichiatria altri ancora sono semplici
cittadini. Tutti noi crediamo che la salute mentale sia un diritto
umano e che il benessere psichico passi attraverso la socializzazione,
l’ascolto e la condivisione della sofferenza.
In un mondo che corre sempre più veloce e in cui non c’è spazio per chi
rimane indietro o non corre nella stessa direzione, in una società che
emargina il diverso e continua a riservargli spazi chiusi e separati,
noi ci proponiamo come una voce che conforta, un orecchio che ascolta e
una mano che sorregge e accompagna.
L’associazione “Umanamente” opera sul territorio bolognese (è iscritta
regolarmente nell’elenco delle libere forme associative del comune di
Bologna) con iniziative di sensibilizzazione al problema del disagio
psichico, con corsi di formazione e attività di socializzazione
finalizzate alla costruzione di una rete sociale di supporto e al
superamento del pregiudizio.
Riteniamo che la fattiva collaborazione tra le istituzioni e le
associazioni di volontariato rappresenti la migliore risposta ai
molteplici bisogni che si trova a vivere la persona con problemi
psichici e che un progetto di cura vada nella direzione della
valorizzazione delle risorse personali e delle potenzialità individuali
all’interno di una rete sociale di supporto.
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La mia esperienza a casa Sant'Anna
In questo tempo che ho perso della mia vita vivendo
presso la casa di riposo S. Anna a Bologna l’affetto materno ed il
ricordo di qualche amore mi hanno tenuto in vita. Quotidianamente vedo
anziani amati e curati dai propri familiari, altri abbandonati. Tutti
attendono la fine eppure sanno ancora amare.
Per quanto riguarda la terza età di mia madre devo dire che non vedo
una gran decadenza sia nel fisico che nella mente, ho fiducia in lei in
quanto so che mi ama e non mi farebbe mai del male volontariamente.
Mia madre spera di tornare a vivere a casa nostra e di poter vivere
tranquillamente la sua vecchiaia con me, lo desidero anch’io e se
trovassi una compagna per me sarei l’uomo più felice del mondo.
Vivere in una casa di riposo mi ha permesso di capire che la vecchiaia
non è solo decadenza, ma può essere caratterizzata anche da una grande
forza spirituale.
Non credo che ci sia un modo ideale di vivere la vecchiaia, penso sia
importante poter vivere nella propria casa fino alla fine circondati
dagli affetti più cari.
Ho imparato che nella vita niente è stabile (mai avrei pensato di poter
vivere in una casa di riposo) e tutto può cambiare velocemente.
Dagli anziani ho imparato che arriva un tempo in cui ci si rassegna
alla morte senza perdere la capacità e la gioia di sorridere.
Bassi Augusto Antonio
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Due differenti anziani
Ci avete mai fatto caso?
La nostra piccola città ha qualcosa in comune con tutte le più
importanti e celebrate capitali europee: è tagliata a metà da
un fiume. È grazie a questa intuizione che le mie passeggiate
quotidiane anziché essere un monotono dovere a tutto
vantaggio della salute si sono trasformate in un piacevole volo di
fantasia.
È stato durante una di queste mini-maratone che mi sono imbattuta in
due persone che stavano vivendo la loro terza età
in maniera diametralmente opposta.
Il mio amico Cleto
Seduto su un muricciolo, alto anche se seduto, due
occhi azzurri
appena velati dall’età, stava un giovanotto di novantacinque
anni.
Non so perché, forse grazie a una di quelle alchimie che non si
possono spiegare razionalmente, mi ha fatto subito simpatia.
Esauriti i convenevoli che per educazione e per rispetto per l’età
erano indispensabili, abbiamo cominciato a chiacchierare; lui in
dialetto con qualche parola di italiano, io in italiano con qualche
parola di dialetto. Quando si è stabilito un rapporto cordiale gli
ho fatto la domanda più ovvia e banale che gli potessi fare: “Mi
dica qual è la ricetta per arrivare alla sua età?”
Con un sorriso lento e dolce mi ha svelato il suo segreto:
“Sgnòura, incù la zànt la và trop in fùria” (tradotto, per gli
oriundi, suona più o meno così: “Signora, oggi le persone
vivono sempre di corsa”). E questo non va bene, mi dicevano i
suoi occhi, si perde di vista il valore delle cose, delle persone e
degli avvenimenti.
In altri incontri successivi che non prolungavo mai troppo a
lungo per non essere pressante o invadente, mi parlava delle
due guerre vissute, della miseria che avevo conosciuto da
bambino e che era comune a molti a quei tempi, del fatto che
una volta si era ferito seriamente ad una gamba e suo padre, che
non aveva il denaro per un mezzo di trasporto, lo aveva portato
all’ospedale in una carriola da muratore avuta in prestito.
Era diventata una piacevole abitudine scambiare quattro
chiacchiere, ma un mattino non l’ho più visto ed è stato così
ancora per molte mattine fino a quando mi sono dovuta
arrendere all’evidenza: non l’avrei mai visto più.
Cleto, ovunque tu sia ora, grazie per avermi parlato di te e per
avermi dato un poco del tuo tempo e della tua saggezza.
Il nonnetto bilioso
Uscendo da un negozio, un mattino dell’estate scorsa,
ho sentito
un gran vociare: insulti urlati a pieni polmoni da un signore (si
fa per dire) dai capelli bianchi che inveiva contro un ragazzo
del sud che gli parlava quasi bisbigliando. Dovevo comprare il
mio quotidiano e non avrei mai rinunciato solo perché questi
due stavano litigando davanti all’edicola.
“Torna al tuo paese, non ti vogliamo qui, sì, io sono razzista e
me ne vanto” urlava l’anziano. Il ragazzo con calma apparente
replicava: “Ma mi vuole dire che cosa le ho fatto, in che cosa
l’ho offesa?”
Anziché rispondergli, il nonnetto continuava ad urlare a pieni
polmoni, quasi violaceo in volto per la rabbia e lo sforzo.
“Accidenti a Garibaldi che non ha unificato l’Italia ma ha diviso
in due l’Africa”.
A questo ennesimo insulto il ragazzo lo ha sollevato di peso da
terra tenendolo per le ascelle e lo ha deposto delicatamente sulle
riviste esposte. Con tutta calma se ne è andato, incurante delle
offese che continuavano a piovergli addosso.
È stato a questo punto che, dopo un leggero tremolio, al
nonnetto bilioso è caduta la dentiera. Neanche questo lo ha
fermato. Dopo un rapido assestamento della protesi, ha
ricominciato ad urlare finché non è salito in macchina ed è
partito sgommando, incurante di tutto.
Non sono riuscita a trattenere una risata liberatoria che ho
condiviso con l’edicolante dopo un rapido sguardo d’intesa.
A voi le riflessioni che vorrete fare se avete avuto la pazienza di
leggermi fino a qui.
A me lasciatene una sola: Cleto è arrivato sino a novatacinque
anni, il nonnetto bilioso dubito che ci possa arrivare!
Teresa
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Memoria di un amore
Mi chiamo Eraldo Rossi ed ho 82 anni. Attualmente vivo
alla casa di riposo “Lydia Borelli” per artisti drammatici e non solo.
Vivono accanto a me i medici e gli infermieri dell’istituto e altri
quattro ospiti più o meno della mia stessa età. La mia occupazione di
oggi è molto diversa dal lavoro che facevo in gioventù; io sono stato
un caratterista del cinema italiano e adesso mi piace molto dipingere e
disegnare. Passo le mie giornate leggendo e guardando vecchi film non
amando molto la televisione attuale. Mi descriverei sia fisicamente che
caratterialmente con l’immagine che mi vede alzare le braccia al cielo
e con rigore esclamare: “Ecco ci siamo!” Perché non c’è cosa più bella
che aprire gli occhi la mattina e potersi permettere di appoggiare lo
sguardo su una cosa bella che dia il senso della vita che passa.
La mia vita è iniziata in grandissima povertà. Ci si doveva veramente
inventare tutto e la mia famiglia, pur essendo senza mezzi, era molto
unita. Alla mattina la mamma mi portava alla corriera perché andassi a
scuola. Quando tornavo a casa il mio posto abituale era vicino al
caminetto acceso in compagnia dei miei due gatti.
I miei amici ed i miei nemici sono pochi. Durante tutta una vita si
incontrano molte persone, ma la cosa più cara che ho avuto è stata
Emma, la donna che ho amato più di tutte.
Il mio desiderio riguarda proprio lei, cioè il poter pensare di
rivederci ancora una volta e in qualcosa che sia un po’ più reale dei
miei sogni notturni. Forse non ho amato abbastanza quello che ho avuto.
Il problema di una persona anziana è proprio questo: se non ho amato
abbastanza avrò il tempo e la capacità di amare ancora?
Il mio paese si chiama Bastianello e si trova a metà strada tra il lago
e le colline che degradano fino ai monti Sibillini. Qui vivono più o
meno 500 persone che tra loro si conoscono tutte, si dice infatti che
non si può tenere un segreto per più di tre giorni senza che la Signora
Maria di Bastianello non lo venga a sapere.
Purtroppo la signora Maria era la mia vicina di casa ed io seppi che
lei era a conoscenza di qualcosa di nuovo dal modo in cui mi salutò.
Quando a 19 anni cominciai a frequentare la mia adorata Emma, la cosa
non fu presa molto bene dalle cinque comari che reggono le fila del
nostro paese.
É proprio Emma la ragazza della foto che ho tra le mani nel giorno in
cui andò a discutere la propria tesi di laurea. Io ero con lei ed era
l’inizio della nostra vita insieme.
Quel momento è uno dei tanti ricordi che mi accompagnano ogni giorno.
Silvia Rindello
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La vera vita rinizia a
settant'anni
Carlo, appena pensionato, viaggiava in una carrozza di
prima classe verso Santa Maria di Leuca dove era nato. Partito da
Bologna alle 5.35 dalla stazione di Bologna guardava fuori dal
finestrino disinteressandosi delle persone che occupavano i posti
adiacenti al suo. I suoi pensieri erano rivolti al passato. Molto era
cambiato da quando cinquantadue anni prima aveva compiuto per la prima
volta il viaggio. Ma in senso inverso. Allora aveva solo diciotto anni.
Aveva conseguito la maturità classica e aveva scelto la facoltà di
giurisprudenza di Bologna per un profondo senso dello Stato e della
legalità che aveva respirato fin dalla nascita. Il padre era
carabiniere e la madre maestra elementare. Nel 1956 il treno impiegava
circa 15 ore per raggiungere Bologna. Il viaggio era lungo e faticoso.
Spesso lo si doveva percorrere in piedi. Dai finestrini entrava la
fuliggine della locomotiva a vapore. Ma Carlo che usciva per la prima
volta dalla regione nativa come era suo solito era isolato nei
pensieri. Sognava di fare il magistrato; ma non aveva la più pallida
idea di cosa era il percorso per diventarlo e di che cosa sarebbe stato
materialmente il lavoro stesso. Aveva in tasca pochi soldi e un
indirizzo di una famiglia pugliese residente a Bologna la quale lo
avrebbe ospitato per una modica somma.
Appena uscito dalla stazione del capoluogo emiliano fu colpito dalla
frenesia della gente che si spostava in bicicletta e su tramvie. Cerano
anche alcune autovetture e motocicli. Il cuore gli esplose di gioia
pensò: questa è la modernità. Ora si trattava di chiedere dove fosse
l’indirizzo dell’abitazione che lo avrebbe ospitato. Scelse un ragazzo
sulla trentina, dall’aria simpatica, che aveva un biroccio trainato da
un cavallo e chiese:”dov’è via del Pratello”. Questo si mise a ridere.
Allora Carlo pensò che fosse per il suo forte accento pugliese e si
adirò. Il bolognese capì di essere frainteso e gli spiegò che era la
via più malfamata di Bologna, dove c’era anche il carcere minorile.
Colto da simpatia si offrì di accompagnarlo al domicilio.
Durante il percorso aveva “l’adrenalina” alle stelle nel vedere la luce
serale di fine settembre che illuminava i verdi viali e poi la ariosa
via dei Mille. Quando il mezzo girò a destra in via del Pratello venne
meno la luminosità solare e prese contatto per la prima volta con i
portici di Bologna. Qui la gente era molto più povera e capì che c’era
un'altra faccia di Bologna. Ma il suo pensiero era quello di portare
giustizia e questo gli dava una forte energia che gli permetteva di
superare l’effetto deprimente della zona.
Arrivati al numero civico Carlo offri alcune lire al birocciaio; ma
questi non volle nulla e lo aiutò a portare su la pesante valigia nella
stretta scala. Si salutarono stringendosi la mano, poi prese fiato e
busso alla porta. Venne ad aprirlo un uomo sulla cinquantina. Portava
una coppola in testa; camicia, pantaloni e gilet ben stirati. Lo
accolse e lo abbracciò. Presero a parlare in pugliese. L’ospite volle
sapere tutto di Santa Maria di Leuca e non lasciò lo spazio a Carlo di
chiedere una sola cosa sulla realtà bolognese.
Venne ora di cena: si raccolsero attorno a un tavolo rettangolare:
Gino, il capo famiglia; Giulia, la moglie; ed i tre figli: Emilia,
Franco ed Alberto. Carlo fu fatto accomodare nel posto a capo tavola di
fronte a Gino. Mangiarono pasta al pomodoro, cipolla e mele. Era una
cena speciale. Di solito si cenava con pane e latte poi a letto per non
sentire la fame. Quella sera invece Gino raccontò la sua vita e di come
era diventato operaio alla Minganti. Verso le undici andarono a letto.
Carlo prima di sdraiarsi disfò la pesante valigia e strinse i suoi
vestiti nell’armadio dei tre fratelli con
cui divideva anche la stanza. Fece fatica a prendere sonno nonostante
la stanchezza. Alla mente gli tornava la quiete famigliare: il padre,
la madre e le due sorelle. Poi gli tornava alla mente la sua ragazza,
Giovanna, dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri che aveva
lasciato con la promessa di tornare una volta laureato. Si addormentò
ripensando al lungo viaggio e alle persone che aveva conosciuto.
L’indomani mattina si alzò di buon ora ed andò alla Stazione dei
Carabinieri di Bologna per contattare il padre a quella di Santa Maria
di Leuca. Fu estremamente sintetico per non recare disturbo. Tuttavia
sentì la voce del padre rotta dall’emozione. Questo lo fece sentire
importante e orgoglioso di sé stesso, nonché motivato nel suo percorso
di studi. Andò poi a piedi alla segreteria della facoltà di
giurisprudenza che si trovava in via Zamboni e qui si iscrisse. Annotò
nella sua agenda gli orari delle lezioni che sarebbero iniziate ad
ottobre. I soldi erano pochi e bastavano malapena a garantirne il
soggiorno. Così iniziate le lezioni, in cui non perdeva una parola e
annotava tutto su un taccuino, andava a studiare nella biblioteca della
facoltà. Qui i libri e tranquillità non mancavano e si perdeva in un
profondo e proficuo studio.
Una sera di dicembre, mentre Bologna si preparava al Natale, rientrando
verso casa incontrò una ragazza che aveva forato la ruota della
bicicletta. Carlo con i suoi capelli neri e occhiali scuri, avvolto in
un cappotto dello stesso colore, si offri di aiutarla. Lei era molto
bella: castana dagli occhi verdi, il piccolo naso e le labbra sottili,
magra e un po’ piccolina. Prima di accettare la proposta di Carlo gli
tolse gli occhiali, lo guardò negli occhi e capì che era sincero. Così
presero la bicicletta ognuno da un lato del manubrio e andarono in
piazza Santo Stefano dove cera un meccanico di biciclette. Durante il
percorso parlò quasi unicamente lei: si chiamava Simona, era di origini
calabresi, e i suoi genitori erano proprietari terreni. Studiava
lettere e filosofia e il suo sogno era di diventare professoressa in un
liceo. Riparata la bicicletta Carlo le propose di rivederla domenica
alla Messa del mattino nella chiesa di San Francesco a Bologna. Lei
accettò.
I due giovani si frequentarono per qualche mese poi si fidanzarono. Le
due vite scorrevano parallele. Entrambi passavano la giornata nelle
reciproche facoltà tra lezioni e studio; poi si vedevano la sera per
raccontarsi la giornata. Sebbene lei avesse un appartamento tutto per
lei i due non dormivano assieme per motivi religiosi anche se durante
le fredde serate bolognesi i due trovavano riparo in casa di lei. Nello
studio erano due rulli compressori e nel tempo previsto dagli studi i
due si laurearono con il massimo dei voti.
Convinte le rispettive famiglie si sposarono a Reggio Calabria con
grande sfarzo e dopo il viaggio di nozze a San Remo si trasferirono a
Bologna per vivere e lavorare.
Lei in breve riuscì a lavorare al liceo classico Minghetti; mentre
Carlo cominciò a far carriera in polizia dove divenne ispettore capo.
Il lavoro lo assorbiva sempre di più e Simona si lamentava di questo.
Nonostante il lavoro fosse stressante lo faceva con grande passione.
Sotto la sua guida riuscì a sgominare la peggiore malvivenza bolognese.
Ma appena sgominata una se ne presentava un’altra ancora più pericolosa
e potente. Simona stanca di vederlo poco e sempre stanco lo lasciò e
chiese il divorzio. Lui cercò di dissuaderla ma non vi riuscì e riprese
il suo lavoro con ancor più determinazione. Fece il concorso da
magistrato e lo vinse. Fù per lui una grande gioia da festeggiare con
sé stesso e qualche collega. Nel lavoro i successi si ripetevano ma il
tempo passava e l’ora della pensione era arrivata.
Siamo ad oggi. Carlo esce dal suo ricordo e guarda fuori dal finestrino
il paesaggio profondamente cambiato nella natura e negli edifici.
Arrivato a Santa Maria di Leuca si reca presso la casa che era dei suoi
genitori. È la fine di luglio e fa veramente molto caldo. In più è
stanco e stressato dal viaggio. Il pensiero di essere in pensione lo fa
sentire depresso come se la vita fosse finita. Per cui pensa che un
pomeriggio al mare possa non fargli che bene. Prima di raggiungere la
scogliera si ferma in un negozio di articoli sportivi a comprare il
costume da bagno, le pinne e la maschera subacquea. Erano passati
cinquantadue anni dall’ultima immersione. Appena immerso tutti i suoi
recettori esplosero. Il paesaggio sottomarino era fantastico: i pesci,
i fondali era bellissimo. Il suo corpo traeva dall’acqua un senso di
libertà infinito. Era come se gli anni non fossero mai passati. Si
sentiva benissimo. Una grande gioia lo pervadeva.
Ma quando emerse dall’acqua è successo qualcosa di immenso, non credeva
ai suoi occhi. Si tolse la maschera e vide una siluette a lui nota. Si
sfregò gli occhi per vedere più in dettaglio e vide lei: Giovanna.
Anche se erano passati una cinquantina d’anni le sue forme non erano
cambiate molto. Solo i capelli erano ingrigiti. Ad ogni braccia che
l’avvicinava a lei era come se un anno di vita gli si levava di dosso.
Fino a quando gli si fece di fronte sulla battigia. Senza dirsi nulla
si baciarono e Carlo capì che la sua vera vita iniziava ora.
Fabio
|
Senza titolo
Un mistero, una rinuncia, Profonda, Radicata, triste.
Ti aspetterò, verrò da te in qualche modo. Tu sei lassù e mi guardi,
spero in te, credo in te. Quando vedo il tramonto, quando vedo il tuo
talento (il mio talento negli altri) mi viene da piangere.
Così come i nostri sogni assomigliano a gioielli, come cavalieri
cavalcanti spumose onde nell’erba dei mari lontani, dei mari del nord e
noi stessi siamo lontani, mantenendo la stessa distanza della
costrizione e la nostra reciprocità va oltre i gradini della ricerca di
qualcosa che è invisibile. Per approvazione o cecità dell’intuito, così
come noi vediamo la nostra ombra proiettata sul muro, lei vede noi e la
nostra natura nuda e cruda della gestazione e della genesi, e come noi
cerchiamo di sondare le profondità dell’anima, e scartare i caratteri
che troppo ci somigliano o come stiamo e ci sfuggono quando siamo così
diversi. Così non ci accorgiamo dell’altro e ci chiudiamo in una gabbia
d’oro per non sentire le gioie dell’altro e al tempo stesso la nostra
infelicità, e i giorni passano strani, senza motivo di vivere, perché
esistere è così leggero e vivere è così pesante.
G.B.
|
A mia madre
Madre
Limpida acqua
Pascolo d’Aprile
Dolce fiore mosso da una brezza leggera
Desiderosa di portare a nuova vita i fiori
Preghi le stesse righe sui libretti che trasudano
amore
Non venga
Mai
Il giorno che io non possa più stringerti forte a me.
Mamma ti amo!
Bassi Augusto Antonio
|
Pensiero sul Natale
Arrivò a Gerusalemme, scalzo,
il vero senso del Natale.
…e adesso che siamo alle porte
bussiamo…
G.B.
|
Intirizzito tra il due dicembre e
il nove dicembre
In questi giorni godiamo dello splendido alternarsi dei
cieli che vanno dal plumbeo di ieri, al piovoso
intenso del giorno prima, al bianco doloroso di oggi, con intermessi di
lame di luce che feriscono le nuvole
e verso il tramonto sono commoventi. Nell’orto si smontano le serre
facendo attenzione a non calpestare
daini, lepri e fagiani che sembrano gradire i nostri prodotti.
In vivaio le piante più fragili sono ormai al calduccio in serra dove
abbiamo acceso il riscaldamento. Tra i
rami spogli si ripresentano puntuali i nostri amici dell’inverno: i
pettirossi piccoli, ma tenaci.
Antonio Pancaldi
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Senza titolo
Beccheggia la gondola e il vento
la dondola. Creste nella laguna
muovono le cose che sembrano
tumultuose. Il vento.
Il centauro
Se cavalchi la strada
ostacoli non ne hai “O Centauro!”
Perché tu oltre agli zoccoli hai
anche un cervello fino.
Arriva dunque alla meta
con il giusto discernimento.
Senza titolo
Se accarezzo lentamente la tua spalla,
è perché mi sento a te così vicina,
come fossi una placida farfalla
che stringi nel tuo cuore piccolina.
Se poi di un bacio mi fai dono,
le tue labbra fan tremar la bocca mia,
io mi lascio in un gesto di abbandono
e le tue mani fan volar la fantasia.
Campo di grano
Occhi azzurri come il vento
sul grano biondo come i tuoi
capelli, e tu sei maturo come
il grano duro di maggio.
Luisa Paolucci delle Roncole
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Viale Leopardi
Passeggiavo nel viale
col nonno.
Sfuma la sua fisicità,
mentre ballano di vento
i suoi fili d’argento
nello sguardo chiaro
e il coraggio vero
di stringermi la mano
piccola piccola.
Non sarei rimasta
in eterno bambina.
La fanciullezza
svanisce.
Dove sono nonno
le farfalle gaie
raccontate in riva al mare
mentre la burrasca
inghiottiva il lupo cattivo?
Tratta da “DIPINTO D’OMBRA”
Di Lorena Bianchi, Rimini, Panozzo Editore
www.oltrelamaschera.it
[La finzione]
La finzione,
se per consolarsi d’amore,
impolvera.
Del fingere resta la verità
nell’eco mai detta di quel “Ti amo”
immerso nell’ululare
ormai sperso del vento.
[Ogni madre]
Ogni madre dà ciò di cui è capace,
ogni figlio vive ciò che sente.
La voglia di coccole è secolare, è in ognuno,
è d’istinto, ma è tanto complicato dirselo.
Tratte da “LE NOSTRE PAROLE D’AMORE”
Di Lorena Bianchi Rimini, Panozzo Editore, 2007
www.oltrelamaschera.it
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Verrà la luce
1.
E adesso che
ho combattuto
mi chiedo se
mi è poi servito.
Il tempo è ormai
passato
e non so più
se avrò un futuro
e non so più
se è stato un bene
tirare avanti
fino alla fine.
2.
Ed ora,
cosa dire?
Che cosa
devo pensare?
Che cosa, poi,
sperare?
Io neanche so
se devo uscire,
parlare o no
con la gente
di quel che ormai
non conta niente.
3.
Ma
verrà la luce,
sì,
dovrà venire.
E verrà
… più avanti
però verrà,
presto o tardi…
sì, verrà,
però… quando?!
… se adesso già
io sto morendo?
Melancony
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Un carro armato a pedali
C’era una volta un carro armato a pedali che si
chiamava Eugenio. Era molto infelice perché si sentiva inutile.
Nessuno, infatti, anche spingendo con tutta la forza che aveva, era mai
riuscito a smuoverlo anche solo di un millimetro. Tutti i suoi amici
capivano il suo dramma, ma non sapevano come aiutarlo. Certo, gli
offrivano la loro amicizia, cercando di consolarlo, ma non vi
riuscivano, perché erano troppo diversi da lui.
La storia di Eugenio, infatti, era molto, molto particolare. Qualche
tempo prima, Eugenio era stato progettato da un ottimo ingegnere su
incarico di un’importante ditta costruttrice, che sperava di poter
lanciare sul mercato un carro armato così bello e così potente da
superare qualsiasi altro carro armato che era stato costruito fino a
quel momento. Purtroppo, l’ingegnere che lo aveva progettato, pur
essendo universalmente apprezzato per la sua bravura, era, a volte, un
po’ troppo distratto. Quando l’ingegnere si presentò presso la ditta
per illustrare il progetto che gli era stato commissionato, qualcuno
gli fece notare che il carro armato era effettivamente molto bello a
vedersi, ma aveva un grave problema: lui, l’ingegnere, aveva
dimenticato di dotarlo di uno spazio destinato ad accogliere il motore,
senza il quale nessun carro armato può muoversi. D’altra parte, la
ditta costruttrice aveva ormai abbondantemente pubblicizzato il carro
armato di prossima costruzione, e avrebbe fatto una pessima figura, di
fronte all’opinione pubblica e alla concorrenza, se avesse
successivamente rinunciato a lanciarlo sul mercato. La ditta disse
allora all’ingegnere di essere stata danneggiata dalla sua sbadataggine
e che, di conseguenza, avrebbe chiesto un adeguato risarcimento.
L’ingegnere, tuttavia, rispose che aveva altri progetti in corso che
gli impedivano di rimediare all’errore commesso, e che era quindi
preferibile per lui provvedere a questo risarcimento, piuttosto che
dover risarcire tutte le altre ditte che gli avevano commissionato i
progetti a cui doveva adesso lavorare. Infatti, nonostante la
sbadataggine commessa, l’ingegnere aveva impiegato molto tempo a
progettare il nuovo carro armato, e ora, per dotarlo di un motore
proporzionato alla sua grandezza, avrebbe dovuto, in pratica,
riprogettarlo daccapo. Disse allora ai dirigenti della ditta
costruttrice che avrebbe fatto il possibile per correggere l’errore
compiuto, ma il suo tentativo sarebbe potuto consistere soltanto nel
mettere un piccolo motore in un qualsiasi punto dove avesse trovato uno
spazio sufficiente. La ditta accettò questo compromesso e si impegnò
con l’ingegnere, nel caso in cui avesse potuto comunque lanciare sul
mercato il nuovo carro armato, a chiedergli un risarcimento di minore
entità.
In realtà, l’ingegnere non riuscì a fare di meglio che mettere un paio
di pedali al posto di guida, facendo in questo modo del suo progetto un
qualcosa che non era mai esistito prima, cioè un carro armato a
trazione umana. La ditta capì subito che un carro armato a trazione
umana non avrebbe mai potuto essere competitivo sul mercato: chiunque
fosse stato interessato, infatti, all’acquisto di un carro armato ne
avrebbe certamente scelto un modello più tradizionale e collaudato.
All’interno della ditta, molti dicevano che sarebbe stato meglio non
produrre affatto un carro armato a pedali. Tuttavia, per non deludere
troppo quanti, in seguito alla martellante pubblicità promossa dalla
ditta stessa, attendevano il lancio del nuovo carro armato, la ditta
decise di non produrlo in serie ma di costruirne un esemplare unico, il
quale, sempre in seguito alla pubblicità che era stata fatta, si
sarebbe dovuto chiamare Eugenio. E così avvenne.
Quando incontrava qualcuno dei suoi amici, Eugenio ironizzava
amaramente sul proprio nome, che significa “nato bene”. E diceva che
quel nome avrebbe potuto portarlo chiunque altro, ma non lui. Lo diceva
sempre alla sua amica Anna, quando, inutilmente, lei cercava di
consolarlo dicendogli che avevano qualcosa in comune. Anna era un
bicicletta, quindi ciò che avevano in comune erano, appunto, i pedali.
Ma, ancora prima che fosse Eugenio a spiegarglielo, Anna si rendeva
conto da sola che i pedali vanno bene per una bicicletta, ma non per un
carro armato.
Anche il suo amico Ottavio sperava di poter fare qualcosa per lui. Un
giorno in cui lo era andato a trovare, gli aveva detto che, quando
avrebbe raggiunto, di lì a poco, l’età della pensione, avrebbe potuto
dargli il suo motore di trattore. Ma, ancora prima che glie lo
spiegasse Eugenio, comprese da solo che per il suo motore non c’era
abbastanza spazio.
Oltre alla bicicletta Anna e al trattore Ottavio, fra gli amici di
Eugenio c’era anche un’auto sportiva, di nome Rossana. Rossana sapeva
di avere, rispetto ad altri, il privilegio di esercitare un mestiere,
correre, che le piaceva e la gratificava. A differenza di Ottavio, non
aveva alcuna intenzione di andarsene in pensione, ed era, rispetto ad
Anna, molto, molto più ammirata. Tuttavia era sinceramente affezionata
ad Eugenio e, quando andava da lui, avrebbe sempre voluto dirgli che
anche lui, nella sua categoria di carro armato, era molto bello.
Avrebbe anche voluto dirgli di consolarsi pensando che altre auto
sportive, sue colleghe, invece di correre come lei, se ne stavano
sempre ferme in esposizione. Ma sapeva che questo discorso non avrebbe
consolato Eugenio, perché c’era un’importante differenza fra lui e
queste auto sportive da esposizione: anche se non correvano, queste
auto erano almeno gratificate dagli sguardi ammirati di coloro che
venivano a visitare i saloni da esposizione, mentre, nel breve periodo
in cui fu esposto in un salone dalla sua ditta costruttrice, Eugenio
veniva soltanto deriso.
Per quanto fossero sinceri e gli volessero bene, gli amici di Eugenio
erano sempre più imbarazzati quando andavano a fargli visita, perché
non sapevano più cosa dire. Più precisamente, una cosa da dire ce
l’avevano, ma non volevano dirla, anche se Eugenio la immaginava
perfettamente, e più volte li aveva invitati a dirla, tanto era una
cosa che lui sapeva anche meglio di loro. Le visite a Eugenio
continuarono ancora, ma sia lui che i suoi amici erano sempre più
amareggiati, e continuarono fino a un giorno in cui avvenne qualcosa
che nessuno aveva previsto e che nessuno, in seguito, poté spiegarsi.
Eugenio era scomparso. Si videro tracce di cingolati partire dal punto
dove Eugenio stava sempre, e gli amici, increduli e preoccupati,
decisero subito di seguirle. Le tracce li portarono in cima a un monte,
dove in prossimità della cima c’era un cartello che avvisava della
presenza di un precipizio. Ma le tracce andavano oltre quel cartello e
proseguivano fino al precipizio. Gli amici di Eugenio si sporsero fino
a scorgere un ammasso di materiali che, capirono subito, non potevano
essere altro che ciò che restava di Eugenio.
Non si seppe mai come Eugenio avesse potuto raggiungere il bordo del
precipizio per poi lasciarvisi cadere, né si seppe mai se qualcuno lo
avesse aiutato e come. Cercando di non perdere del tutto la speranza,
gli amici imboccarono un sentiero che portava a valle del precipizio,
ma, quando furono arrivati, capirono subito che Eugenio li aveva
lasciati per sempre.
Poco dopo arrivarono delle persone che periodicamente passavano di lì
per cercare dei materiali che si potessero riciclare. Gli amici di
Eugenio pensarono allora che l’amico scomparso avrebbe potuto
continuare a vivere sotto altre forme, ma questo pensiero non li
consolò un granché.
Se la storia di Eugenio è stata narrata fino ad arrivare a noi, forse è
perché qualcuno ha visto rispecchiata la propria storia nella sua.
Forse è per questo che i suoi amici cercarono, ma anche qui senza
riuscirvi un granché, di convincersi che forse in ognuno, nascosto da
qualche parte, ci sia un carro armato a pedali chiamato Eugenio.
Melanchony
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Il mestiere dell'educatore
Mi rendo anche conto
che se dicessi -vivo in trasparenza-
attorno mi si disegnerebbe
il cerchio dell'assenza
allora devo, senza mentire,
arrabbiarmi piano, sorridere
a chi continua a finire
a raddrizzarmi con poca voglia
per ascoltare sciocchezze,
quante, di chi redige verbali
pieni zeppi di segreti professionali
fingere di crederci, non smentire
in silenzio subire la logorrea
di tanta gente che ha capito
quasi niente. Basta Poco
appena mezz'ora dopo, gli zainetti
lanciati per la sala, i passi di corsa
su per la scala, la musica accesa
e un'altra attesa di cose meno
vane: la nuova cicatrice sul ginocchio,
la nota sul registro, la stessa
faccia vera di Pinocchio, anche
quella -in trasparenza- bambino
burattino nel cerchio della presenza.
G. Sissa
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Un'amica con la A maiuscola
La mia amica del cuore è la Cristicchi, ci siamo
conosciute durante la frequenza del laboratorio di
danza-terapia presso il Centro diurno di via Venezia una decina di anni
fa. Ci siamo poi ritrovate a
Calderino dove si trova la Coop “Martin Pescatore”, qui per alcuni anni
abbiamo lavorato nel
laboratorio per il restauro mobili; da un po’ di tempo prestiamo
servizio presso una scuola dove ci
occupiamo della pulizia e del riordino dei locali mensa.
Amo molto stare in sua compagnia perché è sincera, mite e molto
affettuosa, ci ritroviamo anche
fuori del lavoro, nel senso che usciamo e l’una frequenta la casa
dell’altra. Quando ci incontriamo
parliamo delle nostre cose, guardiamo alcuni programmi in TV o
ascoltiamo la musica e le canzoni
di Vasco Rossi e della Pausini in particolare, visto che sono i suoi
beniamini. Ci è dispiaciuto di non
essere riuscite ad andare al concerto che Vasco ha fatto allo stadio
qui a Bologna.
A giorni lei parte per l’Argentina con la sua operatrice Rita, sarebbe
piaciuto anche a me andare con
loro, spero in una prossima occasione.
Il viaggio è stato organizzato per tutte le persone che sono coinvolte
nell’attività del calcio e
Cristina fa parte del gruppo dei “Diavoli Rossi”. Immagino che
l’Argentina sia un paese molto
bello, in questo periodo poi fa anche piuttosto caldo: quando da noi è
inverno là è estate.
Sentirò molto la sua mancanza, anche se il viaggio durerà soltanto 12
giorni; mi ha promesso che se
le sarà possibile mi telefonerà. Le auguro sinceramente una bellissima
vacanza.
Tutti dovrebbero avere una persona cara come lei, sono stata veramente
fortunata.
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In gita con i colleghi e non
solo...
Mercoledì 8 ottobre con tutti i colleghi della Coop.
Sociale “Martin Pescatore” sono andata in
gita a Sirmione sul lago di Garda. Abbiamo viaggiato in pullman, per
fortuna abbiamo scelto
una giornata bellissima anche dal punto di vista climatico.
Ci siamo veramente divertiti, per l’intero viaggio abbiamo improvvisato
un coro, le canzoni più
gettonate sono state quelle di Raffaella Carrà.
A Sirmione e nei centri sul lago mi hanno colpito i tantissimi gabbiani
e le oche. Per il pranzo
abbiamo scelto di mangiare in una elegante pizzeria, qui la qualità
delle pizze è stata veramente
alta, abbiamo concluso il pranzo con un mega-gelato artigianale.
Al pomeriggio abbiamo visitato Sirmione, il luogo che mi ha più colpito
sono state le Terme
dove abbiamo potuto ammirare giardini meravigliosi, curati con grande
professionalità.
L’intera gita è stata documentata con foto e riprese con la telecamera.
Poiché credo che queste esperienze arricchiscano molto, sarò ben lieta
di partecipare alle
prossime gite. Ringrazio con tutto il cuore Francesca e tutti gli
operatori, promotori di molte
iniziative.
Colgo l’occasione per dire che mi piacerebbe molto fare un viaggio con
i miei genitori che però
non amano molto spostarsi. Il mio sogno sarebbe quello di fare un
viaggio in aereo, visto che è
un mezzo di trasporto che non ho mai preso, per andare a visitare
Barcellona, o altre località
come Vienna, New York, Londra o Amsterdam, è un sogno che terrò nel
cassetto; prima o poi
mi auguro che si realizzi, se non in compagnia dei miei, insieme a
qualche operatore e con
amici.
Lorella Poggioli
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Mettiti in gioco: Tornei di
pallavolo, calcetto...
Un torneo di pallavolo e uno di calcetto in modo da
iniziare
a conoscersi sul campo. E’ l’iniziativa “Mettiti in Gioco”,
percorso di sensibilizzazione e coinvolgimento di cittadini e
studenti di Bologna sulle tematiche del disagio, che si terrà
venerdì 5 dicembre.
L’iniziativa è organizzata dal Dipartimento di Salute
Mentale dell’Azienda USL di Bologna in collaborazione
con la Polisportiva ANPIS (Associazione Nazionale
Polisportive per l’Integrazione Sociale) il Quartiere San
Donato e la UISP Provinciale. Dalle 9 alle 12 di venerdì 5
dicembre, si svolgeranno i tornei di Pallavolo presso
l’Istituto Manfredi-Tanari, Via Felsina 40 e i tornei di
calcetto nel Palazzetto dello Sport del Pilastro, via
Pirandello 17. Le squadre che scenderanno in campo sono
formate da studenti degli Istituti Superiori: Fermi,
Minghetti, Tecnico Agrario Serpieri, Manfredi-Tanari,
Majorana, dalle Polisportive ANPIS del territorio
bolognese, e dai dream teams: Special Boys, Diavoli Rossi,
T.N.T, USSI Disabili Adulti, Eppur si Muove.
“Mettiti in Gioco” vuole far conoscere, a partire dagli
studenti degli istituti superiori, le attività del Dipartimento
di Salute Mentale dell’Azienda USL di Bologna e di
associazioni, come l’ANPIS, che promuovono, attraverso
l’attività sportiva, la salute mentale e l’inclusione sociale di coloro
che normalmente restano ai margini. Lo scopo è
quello di stimolare un’alleanza e creare una rete tra cittadini ed
operatori dei servizi, istituzioni, familiari e risorse
territoriali per l’abbattimento dello stigma verso chi soffre.
“Mettiti in Gioco” continua nel pomeriggio con una tavola rotonda
Mettersi in gioco contro ogni esclusione sociale per
la Salute Mentale, dalle 14.30 alle 16.30 presso il centro Sociale
Culturale e Ricreativo Pilastro, via Dino Campana 4.
Interverranno: Luigi Tagliabue, direttore del Dipartimento di Salute
Mentale dell’azienda USL di Bologna, Riccardo
Malagoli, presidente del Quartiere San Donato, Andrea Panizzi,
presidente Regionale ANPIS, Fabio Casadio,
presidente UISP provinciale, Ivana Summa, dirigente scolastico Liceo
Minghetti, Don Giovanni Nicolini.
fonte: AUSL Bologna
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Il mio disagio
Incontro con la scolaresca del Liceo Scientifico E.
Fermi
di Bologna; una delle scuole che abbiamo in seno alla
manifestazione “Mettiti in gioco”.
Il medico che mi segue mi ha detto che sono affetto da un
disturbo bipolare; ci sono momenti che sono molto triste,
in altri estremamente euforico, maniacale, sono una
persona molto ordinata, a volte in maniera veramente
esagerata. Guardo una cosa cento volte per problemi di
ansia. Le origini: non solo io ma anche il mio psichiatra è
riuscito a risalire alle cause del mio disturbo, con il quale
sto imparando a convivere. Quando il mio esaurimento è
scoppiato come un palloncino, frequentavo questo liceo,
sono riuscito con grande sforzo e grazie all’aiuto dei miei
insegnanti a dare la maturità. Credo che nessuno al mondo
riesca a spiegare che cosa ha provocato la mia condizione.
Credo, dopo aver riflettuto a fondo, che forse le cause
siano molteplici, una potrebbe essere l’eccessivo impegno
nello studio durante tutto il percorso scolastico; la grande
ansia che mi si scatenava di fronte a certi professori e di
fronte alle prove nel corso dei 5 anni di liceo.
Ero e sono molto sensibile e la maturità ha provocato in
me una grande paura, prima delle prove ho addirittura
studiato per 5 notti senza dormire.
Voglio invitare, in virtù della mia esperienza, tutti i
ragazzi a non esagerare perché come nel mio caso il
prezzo da pagare è troppo alto. Un altro motivo che
ritengo abbia inciso sul mio esaurimento, è stato il
sentimento provato nei confronti di una ragazza, non
corrisposto.
Post maturità: dopo la maturità ho avuto nel 1994 un
ricovero e una ricaduta; poi un nuovo ricovero nel 1997.
Ho avuto sino a qualche tempo fa momenti di rabbia,
ansia e depressione, oggi posso dire finalmente di stare
meglio, assumo psicofarmaci, vado dal mio psichiatra una
volta al mese, gioco a calcetto con i “Diavoli Rossi”,
lavoro due mattine a settimana come giardiniere presso la
Coop. sociale Agriverde.
Concludo invitando tutti a non avere paura e pregiudizi
nei confronti del disagio mentale in qualunque forma si
manifesti, tutti possiamo ammalarci, ciascun essere umano
ha dei doni da regalare agli altri.
S.Spisni
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Il mio incontro con i ragazzi dell'Istituto Scientifico
“Enrico Fermi”
Mercoledì 19 novembre 2008. Ho compiuto quaranta anni
da una settimana. La mattinata è grigia e mentre mi reco al
liceo scientifico “Fermi” di Bologna sento molta fame.
Parcheggio la moto a settecento metri dalla scuola dove
farò l’esposizione su come mi sono ammalato. Lasciata la
moto, mi dirigo verso l’istituto e incrociando un bar, mi
fermo a fare colazione. La mattinata è molto fredda e la
pasta e il cappuccino caldo mi ristorano e mi mettono di
buon umore. Uscito dal bar di buon passo ultimo la strada
che manca all’istituto. Di fronte all’edificio mi pervade un
pensiero: “di qui sono passati, passano e passeranno gran
parte delle migliori giovani intelligenze di Bologna.”
Sfumata l’idea torno alla realtà. Con lo sguardo faccio una
panoramica della struttura della scuola: è un palazzo di
colore grigio con molte finestre alla cui base c’è una
piazzetta con pochi alberi ai lati. L’atrio della scuola
presenta tante porte a vetri chiuse. Per entrare è necessario
suonare un campanello collegato alla guardiola del
bidello. Suono. Lui mi apre. Mi avvicino. E’ un tipo
vestito strano, porta un orecchino; ma è molto simpatico.
Gli chiedo dove avverrà l’incontro con gli studenti e lui mi
risponde che non lo sa ma riesce a mettermi in contatto
con la professoressa Viola responsabile dell’evento che
mi dice che l’incontro sarà intorno alle undici. “Mamma
mia!”, penso. Mancano ancora due ore. E mi torna in
mente Rita che al telefono mi aveva dato l’ora esatta un
paio di settimane prima.
Così ne approfitto per fare un giro in moto per i negozi di
biciclette di Bologna. Per me un vero sollazzo. Il tempo
vola. E quando torno al “Fermi” ci sono già il resto dei
diavoli rossi. In comitiva entriamo nell’istituto e ci
dirigiamo verso l’aula magna. Ci sono un centinaio di
posti a sedere che lentamente si riempiono. E’ il momento
di raccontarci: prima Giovanni poi Andrea, Stefano ed io
raccontiamo come abbiamo fatto ad ammalarci. Cosa aiuta
il recupero e cosa significano le “stigmate”.
Mentre espongo la mia esperienza il cuore batte forte in petto,
respiro a fatica, non riesco a mantenere la calma.
L’emozione è enorme. Per fortuna ho scritto tutto e avere
la possibilità di leggere mi aiuta a trasmettere la
devastante portata della malattia mentale e l’importanza
del fare assieme. Perché fare assieme non è solo aiutarsi
tra pazienti, operatori, famigliari e volontari; ma è anche
questo: sensibilizzare i ragazzi e quindi la futura società su
come prevenire la malattia mentale e al tempo stesso come
favorire un inserimento nelle varie sfaccettature della
società (famiglia, lavoro e tempo libero).
I ragazzi del “Fermi” moderati da Ennio, uno psicologo di Imola, ci
hanno ascoltato con attenzione e intelligenza, non hanno
avuto un atteggiamento commiserevole, ma critico: hanno
posto domande precise e dato altrettante risposte quando
interrogati. E’ stato bello, ma soprattutto incoraggiante
non solo per l’applauso che ci hanno regalato; bensì per
aver capito quali sono le nostre difficoltà, la portata del
disagio psichico e la grande importanza del fare assieme.
Fabio
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LABORATORIO MUSICANTO
Scrittura Creativa
“Ciascuno di noi non cessa mai di girare nel labirinto
di sé stesso
per esprimere di volta in volta la rappresentazione di sé.”
U. Galimberti
Quest’anno il laboratorio di Musica- sezione Ascolto-
accogliendo varie richieste, ha scelto di dedicare un
momento strutturato alla scrittura creativa per permettere agli ospiti
di Casa Mantovani di poter esprimere con le
parole emozioni, vissuti ed esperienze avendo la possibilità poi di
vederle pubblicate sul giornalino “Il Faro”.
Abbiamo fatto delle prove per capire se tale proposta poteva
interessare e le adesioni sono state davvero molte!
Gli incontri sono avvenuti principalmente durante il periodo natalizio
e, da gennaio 2009, si svolgeranno una volta
al mese il venerdì pomeriggio.
Per avviare tale attività, sono stati scelti dei brani di opere
classiche che, in qualche modo, risultano “sonore” e
“visive” e si è lavorato molto sulla bellezza dell’arte letteraria come
connubio tra varie forme espressive(pittura,
musica e scrittura).; l’obiettivo che ci siamo dati per i prossimi sei
mesi è quello di riuscire a realizzare dei prodotti
usando tutte e tre queste attività e coinvolgendo, quindi, anche il
laboratorio di pittura della Residenza.
Durante una lezione abbiamo imparato quali sono le regole base per
realizzare un articolo giornalistico e ci siamo
sperimentati in questo genere di scrittura seguendo il tema di questo
numero, la terza età, e in particolare, facendo
riferimento ad un’esperienza bellissima fatta al Centro Socio
Ricreativo Stella per anziani del Quartiere Santo
Stefano.
Negli incontri successivi abbiamo letto e commentato due poesie
bellissimi che sono inserite nel programma di
questo nuovo semestre:
1. E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato;
2. G. Pascoli, La mia Sera
Giorgia Busti
Riflessioni sulla poesia di
Pascoli: “La mia sera”
Malinconia
La poesia è intrisa di malinconia, l’ambiente è bucolico.. tutta
la natura sembra sovrastata dalla potenza di Dio. Sembra che
la sera sia la terza età del poeta nel tentativo di descrivere
quello che sarà. Della sua vita una volta in là con gli anni…
Oriano Conti
Ricordi
C’è stato un temporale fortissimo durante il giorno e le foglie
dei pioppi fischiavano molto…poi è arrivata la sera e le stelle
hanno portato tranquillità, le rane sono diventate allegre con
il loro “gre gre”… la nube del giorno portava malessere, ma
la sera placa tutto e nel silenzio il poeta ricorda quando era
bambino.
Carlo Alberto Malaguti
Tra Quadri e sinfonie
Questa poesia può definirsi al contempo una sinfonia ed un
quadro. Dico questo perché è piena di onomatopee (gre gre di
renelle – don don delle campane- rivo canoro etc.)e di
immagini e colori (nuvole rosa- cirri di porpora e d’oro
etc..)che aiutano il lettore ha creare nel proprio immaginario
un quadro preciso della sera. Il Pascoli non vuole descrivere
una sera comunque, ma la sua e la contrappone al giorno in
continuazione perché a differenza di quest’ultimo, è molto
più tranquilla e meno dinamica. Le giornate per lui sono un
temporale dove tutto è nero, la sera è la pace e tutto gli
sembra possibile. Nella poesia Pascoli umanizza la natura nel
“singhiozza monotono un rivo” come ha fatto Montale
quando ha parlato di “rivo strozzato che gorgoglia”. E’ ricca
di suggestioni ed emozioni questa sera estiva dopo il
temporale, ed è placida come la sua vita in quel momento;
nella sera lui ritorna bambino, ma si proietta anche verso la
fine della sua esistenza. A me è piaciuta moltissimo!
P.P.
Quiete e Tempesta
In questa poesia il Pascoli contrappone il giorno tempestoso
alla quieta e silenziosa sera.
Per riuscire a darci tale immagine. Utilizza numerose parole
onomatopeiche (es “gre gre di renelle”) e mi sembra che
richiami la poesia di Leopardi “La quiete dopo la tempesta”
soprattutto nella prima parte.
La sequenza che preferisco però è l’ultima, quando sembra
ascoltare il don don delle campane che lo fa ritornare
bambino, perché per un attimo anche io ho pensato alla mia
infanzia.
Loretta
Riflessioni sulla poesia di
Montale: “Spesso il male di vivere...”
Sono quasi cinque anni che passo da una comunità
psichiatrica all’altra e non so quando questo incubo finirà
perché non riesco ad essere indifferente al malessere che
provo nel stare lontano da casa mia. Gli operatori e gli ospiti
sono tutti molto carini, ma io spero di riuscire a tornare alle
mie cose, al mio pianoforte ed alle mie abitudini… solo allora
troverò una soluzione al mio male di vivere e mi spiace che
quella di Montale (Divina Indifferenza) a me non serva….
Anonima
Mi sento la nuvola della poesia di Montale che prende
forma
dal rivo, dal cavallo e che infine si trasforma in falco levato
nel cielo… volare al disopra di tutto senza farsi travolgere
dalle piccole gioie e dolori è la mia speranza di vita
migliore…
Loretta
Io il male di vivere ho iniziato ad incontrarlo negli
ospedali e
in tutti i posti dove c’è gente triste perché è visibile agli occhi
di tutti la sofferenza… non so se c’è una soluzione o un
rimedio…
Angelo Syrio
Per Montale il male è così radicato che non lo
contrappone al
bene, ma alla “Divina Indifferenza” .
Però parla anche di una nuvola che può offuscare tutto e di un
falco simbolo di libertà… Spesso, quindi, il confine tra male
e bene è più sottile di quanto non pensiamo…L’indifferenza
diventa per il poeta un rifugio, una via di fuga… Insomma
penso che il “male di vivere” rimanga, ma come fatto
naturale dal quale però si può sempre fuggire perché è nella
natura dell’essere umano.
Pierfrancesco
Questa poesia è ricca di metafore, vi è una descrizione
geniale del proprio stato interiore e si divide in due parti.
Nella prima c’è la descrizione del malessere tramite
immagini della natura a tutti familiari; nella seconda la sua
esperienza di benessere utilizzando sempre metafore relative
ad immagini che tutti possono rielaborare nella propria mente
.Il male di vivere lo incontro giornalmente ed è la mancanza
di risorse ed il timore di un futuro tragico…
Provo tanta rabbia per non riuscire a superare questa
condizione…
Andrea
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Giacomo Puccini: Vita e Opere per il 150° anniversario
dalla morte
Centro Socio- Ricreativo Stella - Docente:Fausta
Molinari
Puccini è stato uno dei più grandi musicisti e
compositori di musica lirica del novecento.
Noi di Casa Mantovani siamo andati varie volte presso il Centro Stella
accompagnati dalla nostra educatrice
Giorgia, responsabile del laboratorio di Musica.
Grazie all’ottima presentazione di un’insegnante, abbiamo letto vari
articoli su Puccini ed abbiamo scoperto tante
cose nuove che sono meno famose sulla sua vita. Abbiamo visto le opere
“Boheme”, “Madame Butterfly” e
“Tosca” ed avuto modo di avere a nostra disposizione qualcuno che ci
raccontava la trama e ci faceva notare la
bellezza di alcune arie.
Nel Centro Stella c’erano parecchie persone anziane, molto dinamiche,
gentili e buone. Prima che la lezione
iniziasse, prendevamo un caffè che a me personalmente aiutava molto per
vincere la sonnolenza dopo il pranzo.
Ogni lezione durava due ore e alla fine di ogni incontro c’era
un’ottima merenda con bibite e dolciumi.
Spesso siamo rientrati in comunità a piedi e, al ritorno, ci è toccato
anche pulire la nostra camera, ma a me non è
pesato molto grazie ad una doccia stupenda che alleggeriva tutte le
fatiche!
Riflessione finale:Ho scoperto che questi centri per anziani sono pieni
di vita ed aiutano le persone a sentirsi meno
sole.
D.S.
Puccini era un genio, un uomo speciale e, come tutti
gli uomini, pieno
di contraddizioni, che portava anche sulla scena teatrale-lirica.
Le sue opere vanno a toccare anche le nostre corde emotive(Madama
Butterfly, Tosca, Boheme, Turandot… che meraviglia!) … l’epilogo
spesso è tragico, ma al tempo stesso regala momenti di passione
intensa. I suoi personaggi sfiorano la nostra anima di spettatori
riuscendo qualche volta a mettere in discussione le proprie
convinzioni.
Corso formativo stupendo anche grazie alla bravura dell’insegnante…
Ambiente accogliente e vitale.
Tom
Ho partecipato a delle lezioni su Puccini presso il
Centro Stella del
nostro Quartiere. E’stata un’esperienza decisamente positiva; ho
incontrato persone molto affabili con cui ho parlato in maniera
piacevole e mi sono reso conto che la differenza di età non è stata
una barriera nella conversazione, anzi ho avuto modo d’imparare
tante cose da chi ha più esperienze accumulate nella vita. Abbiamo
anche partecipato ad una polentata domenicale e ci siamo divertiti
molto… Questi momenti sono davvero belli, ci si relaziona con gioia
e si scopre che si ha la possibilità di cambiare opinione sulle cose:
io sugli anziani ero molto prevenuto, oggi non più e penso di
frequentare ancora altre iniziative del Centro Stella.
Roy
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Un passo nel vuoto o uno nel
sentiero
della crescita?
Ora che Paolo per motivi personali non può
più curare la stesura del giornale si apre
per noi un grande vuoto. Dovremo quindi
tirare fuori il meglio di noi per sopperire a
questa mancanza. L’imperativo è non
perdersi d’animo. Cosa faremo? Attraverso
l’impegno del Dottor Michele Filippi
(responsabile del CSM di San Lazzaro di
Savena) forse otterremo la possibilità di
stampare il giornale presso il centro stampa
dell’Azienda USL di Bologna. Questo
significherebbe poter stampare su più vasta
scala e non dover più gravare Concetta del
lavoro di distribuzione, permettendoci di
dedicare più tempo alla redazione vera e
propria del giornale. Attraverso il fare
assieme e la ricerca di nuove risorse umane
speriamo di non fare un passo nel vuoto,
bensì un passo nel sentiero della crescita
del giornale.
Fabio Tolomelli
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Associazione Progetto Spazio e
Amicizia
Associazione Progetto Spazio e Amicizia è un gruppo di
amici e di cittadini, entusiasti
rappresentanti del condividere nuovi stili di vita, che si rapportano
in una dinamica positiva sia tra loro,
che tra le organizzazioni in rete del volontariato territoriale.
L'associazione, voluta dall'Asl di S.Lazzaro,
e fondata prima degli anni 90, da un ristrettissimo "team" di
intelligenti e capaci personaggi che
operavano nelle strutture, e soprattutto per la caparbietà di Fiorenzo
Malpensa, volontario sanlazzarese,
che ha agito da catalizzatore per una sintesi d'intenti
coll'amministrazione comunale d'allora. Oltre che
primo presidente associativo era pro tempore, un consigliere comunale
molto attento alla vitalità
comunitaria. L'associazione, che è diventata pure Onlus, attualmente è
formata da cittadini che
attraverso relazioni interpersonali si propongono d'intervenire per
abbattere i muri metaforici della
solitudine, e per facilitare il mutuo aiuto. Quest'anno, siamo stati
inserirci in qualità di partner col centro
sociale e culturale intitolato ad Annalena Tonelli, volontaria in
Africa, deceduta in Somalia. Operiamo
quotidianamente come altrettante formichine laboriose, radicandoci
meglio attraverso il nostro agire
all'interno di questo luogo unico e per noi favorevole, sviluppando per
la prima volta una rassegna
interna al programma delle attività 2008-2009. Questa nostra presenza
inedita, compare degnamente in
un opuscolo stampato a cura dello stesso centro, a cui siamo grati. Il
Centro ha al suo interno, una
cucina moderna, che stiamo utilizzando da tempo, ottimizzandola per
poter gestire le nostre cene sociali
del venerdì. Dalle ore 19,00 in poi con pasti a costo davvero
contenuto. Invitiamo oltre alle persone del
gruppo, amici e cittadini che condividono le nostre iniziative e scopi
non lucrosi. Le proposte della nostra
associazione per la rassegna Conversando e Cantando, comprende ben otto
incontri a cadenza mensile.
Sono altrettante serate a tema con ritrovi di festa ludica, con musica,
ballo, o caraoche, ed altre serate
a tema specifico di conoscenza culturale; gastronomico; salutare;
etnico-storico; artistico o d'interesse
turistico, finalizzate a gite a musei o ad agriturismi regionali.
Giuseppe Pedrini (Presidente di Spazio e Amicizia)
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