Laboratorio bolognese editoriale de “Il Faro”


II laboratorio editoriale bolognese della rivista "II Faro" nasce dopo un incontro di quelli importanti che aprono orizzonti e fanno vedere una nuova luce: l'incontro con Fabio, Cristina, Concetta e tanti altri ancora che da alcuni anni, con il loro lavoro, hanno acceso e continuano a far brillare "Il Faro".
II laboratorio è prima di tutto uno spazio di condivisione dove nascono idee e pensieri che assumono diverse forme creative.
Ogni contributo rappresenta un'elaborazione personale, sviluppata in gruppo, delle tematiche suggerite dalla redazione centrale di San Lazzaro.
Ci si ritrova tutti insieme, a solcare il mare tempestoso della sofferenza, stando un po' come su una barca con le vele issate verso una rotta che diviene più sicura se navigata con una forte chiglia e rischiarata dalla luce del faro. Su questa nave da oggi è salita anche UmanaMente.


***


Infinite grazie Paolo


Purtroppo Paolo Facchinetti per motivi personali non può più aiutarci nella redazione del giornale. Così mentre il giornale compie il terzo anno mi sembra quantomeno opportuno ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per noi membri della redazione non che per tutti i nostri lettori. Quindi.
Grazie per tutto il tempo che ci hai dedicato nelle riunioni di redazione.
Grazie per averci autorevolmente insegnato come si organizza e vive un giornale.
Grazie per l’impegno e la capacità che ci hai trasmesso per costruire un articolo.
Grazie per aver impaginato e curato la veste grafica de “Il faro” in modo da amplificare il contenuto e il messaggio dei nostri scritti.
Infine grazie per l’affetto caloroso e la simpatia che ci hai regalato nelle varie sedute di redazione del giornale.


Concetta, Fabio, Cristina, Luigi, Roberto,
Gabriele, Maria Angela, Laura, Roberta e tutti gli altri


La sabbia nella clessidra del tempo


La sabbia
nella clessidra del tempo
corre più veloce.
La luce del giorno
scalda sempre di meno.
Il futuro
non consente di guardare
troppo avanti.
Il cuore
scaldato dai ricordi
è l'unico
che ancora non si arrende


Teresa


Peter Pan


Peter Pan rappresenta l'eterna giovinezza, è una favola ma può diventare anche una sindrome. Un anziano che si guarda allo specchio si vede brutto e vecchio e desidera tornare giovane. Vorrebbe, come Robin Williams, fare una magia e tornare bambino e giocare con i folletti del bosco.
C�'è sempre un Capitano Uncino, però, che ricorda, con il ticchettio del suo orologio, il tempo che passa e un coccodrilloche ti morde le chiappe.


Stefano Gardini


La mia nonna


I nonni giocano un ruolo determinante nella società poiché aiutano spesso i figli a crescere i propri bambini. Così il mio pensiero sulla terza età va al ricordo della mia nonna, al suo sorriso e al suo avermi cresciuto ed essermi stata vicino.
Gli anziani stando con i nipoti tornano bambini e così si chiude il ciclo della vita.


Diego


La terza età


Quante primavera son passate...
una speciale ne ricordo, quando
fanciullina, nell�'aia correvo gioiosa,
giocando a nascondino, per poi
rincorrere le lucciole che solevo
nascondere nel palmo della mano
come fosser piccole stelle dal ciel cadute!
Puntualmente è giunta anche
l'estate ed i suoi gustosi frutti
mi ha portato: confetti bianchi
due coccarde azzurre ed una rosa
Per coronare il sogno mio d'esser

È giunto finalmente anche
l'autunno, ma non è ancora inverno!
Anch'esso ricco di ricordi dolci e amari,
ma che non han guasto la mia vita
ma ancor più ricca è diventata
da quando la gioia d'esser mamma
mi han donato!
Forse le forze sono affievolite un poco
ed i capelli un po' ingrigiti, ma
restan sempre corona di saggezza
e di bellezza.
A questo punto mi sovviene
un brano: son parole di un mortale
ma anche di un poeta, che parlando
della terza età così si esprime:
"Nemmeno il tempo la beltà cancella,
mia madre ha sessant'anni, ma
più la guardo e più mi sembra bella."


Mariangela


La terza età


Per sapere di più sulla terza età un mercoledì pomeriggio il gruppo del laboratorio ha deciso di contattare un Centro Anziani per fare delle interviste a tema. Abbiamo contattato il Centro Sociale Anziani “G. Costa” di Via Azzo Gardino frequentato da arzilli “umarein” e” dunneine” e armati di fogli e penne siamo entrati allo scoperta del loro mondo.
Ci siamo disposti in cerchio e dopo una breve chiacchierata di presentazione, abbiamo posto le nostre domande. L’intervista era stata preparata durante i laboratori precedenti e le domande volevano indagare gli aspetti positivi e negativi della terza età, ci incuriosiva sapere come gli anziani trascorrono le giornate, cosa fanno nel tempo libero e quali sono i loro vissuti e le loro emozioni.
Le risposte sono state varie, anche perché i nostri intervistati sono persone che vivono la quotidianità e la loro età in modo diverso; alcuni di loro ci hanno sorpreso particolarmente raccontandoci che praticano hobbies come la pittura, frequentano corsi di ballo, corsi per la memoria, che noi non ci aspettavamo per nulla.
Nello stesso tempo, nonostante la loro diversità ci siamo resi conto che nei loro racconti, la Terza età in qualche modo li unisce perché li porta a vivere determinate esperienze insieme. Ad esempio ogni mattina alcuni di loro vanno a fare colazione al bar, con cappuccino e brioche, si incontrano al centro sociale per leggere i quotidiani, giocare a carte e raccontarsi “marachelle” della loro giovinezza strappandosi a volte una lacrima a volte un sorriso. Si divertono a confrontarsi sulla cucina, sui film visti e sui posti da visitare.
Gli abbiamo inoltre chiesto (dato che ci incuriosiva in particolar modo) se a quell'età si può essere ancora innamorati e ci hanno sorpreso rispondendoci con una grassa risata che “il cuore non invecchia mai!”
Ovviamente dopo averci fatto sorridere e riflettere, ci hanno voluto sottolineare il fatto che a quella età bisogna anche fare i conti con i problemi di salute, con i primi acciacchi e con altri aspetti negativi come: la paura di rimanere da soli, di non aver nessuno che li possa aiutare nel momenti in cui stanno male e hanno bisogno di aiuto, di dover dipendere dagli altri anche nelle situazioni più semplici che prima riuscivano ad affrontare da soli. Al termine della lunga chiacchierata dopo aver riempito i nostri fogli di risposte, siamo ritornati in laboratorio per esaminare e riflettere tutti insieme sui molteplici e variopinti aspetti della terza età.
Durante la discussione ci è sembrato opportuno rivolgere, in un articolo sulla terza età, un pensiero ai tanti anziani che vivono soli senza nessuno, a quelli che vivono in case di cura, in case protette senza la possibilità di uscire e vivere la quotidianità come i loro coetanei prima descritti.
Infine vogliamo concludere con una riflessione nata da Paolo e condivisa con il gruppo dopo questo lavoro: l'essere anziano è uno stato sia fisico che mentale in cui si può arrivare alla migliore consapevolezza di se stesso, in cui il risultato finale è rappresentato dall'esperienza che hai sviluppato nella vita. Il bagaglio di conoscenza di se stesso è tanto più ricco quanto più ricche sono state le relazioni con gli altri.


Laboratorio UmanaMente


Associazione UmanaMente


Siamo un gruppo di volontari che hanno a cuore il tema della salute mentale; alcuni di noi hanno vissuto e vivono in prima persona il disagio psichico, altri sono amici e familiari, certi lavorano come operatori nella psichiatria altri ancora sono semplici cittadini. Tutti noi crediamo che la salute mentale sia un diritto umano e che il benessere psichico passi attraverso la socializzazione, l’ascolto e la condivisione della sofferenza.
In un mondo che corre sempre più veloce e in cui non c’è spazio per chi rimane indietro o non corre nella stessa direzione, in una società che emargina il diverso e continua a riservargli spazi chiusi e separati, noi ci proponiamo come una voce che conforta, un orecchio che ascolta e una mano che sorregge e accompagna.
L’associazione “Umanamente” opera sul territorio bolognese (è iscritta regolarmente nell’elenco delle libere forme associative del comune di Bologna) con iniziative di sensibilizzazione al problema del disagio psichico, con corsi di formazione e attività di socializzazione finalizzate alla costruzione di una rete sociale di supporto e al superamento del pregiudizio.
Riteniamo che la fattiva collaborazione tra le istituzioni e le associazioni di volontariato rappresenti la migliore risposta ai molteplici bisogni che si trova a vivere la persona con problemi psichici e che un progetto di cura vada nella direzione della valorizzazione delle risorse personali e delle potenzialità individuali all’interno di una rete sociale di supporto.


La mia esperienza a casa Sant'Anna


In questo tempo che ho perso della mia vita vivendo presso la casa di riposo S. Anna a Bologna l’affetto materno ed il ricordo di qualche amore mi hanno tenuto in vita. Quotidianamente vedo anziani amati e curati dai propri familiari, altri abbandonati. Tutti attendono la fine eppure sanno ancora amare.
Per quanto riguarda la terza età di mia madre devo dire che non vedo una gran decadenza sia nel fisico che nella mente, ho fiducia in lei in quanto so che mi ama e non mi farebbe mai del male volontariamente.
Mia madre spera di tornare a vivere a casa nostra e di poter vivere tranquillamente la sua vecchiaia con me, lo desidero anch’io e se trovassi una compagna per me sarei l’uomo più felice del mondo. Vivere in una casa di riposo mi ha permesso di capire che la vecchiaia non è solo decadenza, ma può essere caratterizzata anche da una grande forza spirituale.
Non credo che ci sia un modo ideale di vivere la vecchiaia, penso sia importante poter vivere nella propria casa fino alla fine circondati dagli affetti più cari.
Ho imparato che nella vita niente è stabile (mai avrei pensato di poter vivere in una casa di riposo) e tutto può cambiare velocemente.
Dagli anziani ho imparato che arriva un tempo in cui ci si rassegna alla morte senza perdere la capacità e la gioia di sorridere.


Bassi Augusto Antonio


Due differenti anziani


Ci avete mai fatto caso? La nostra piccola città ha qualcosa in comune con tutte le più importanti e celebrate capitali europee: è tagliata a metà da un fiume. È grazie a questa intuizione che le mie passeggiate quotidiane anziché essere un monotono dovere a tutto vantaggio della salute si sono trasformate in un piacevole volo di fantasia.
È stato durante una di queste mini-maratone che mi sono imbattuta in due persone che stavano vivendo la loro terza età in maniera diametralmente opposta.

Il mio amico Cleto


Seduto su un muricciolo, alto anche se seduto, due occhi azzurri appena velati dall’età, stava un giovanotto di novantacinque anni.
Non so perché, forse grazie a una di quelle alchimie che non si possono spiegare razionalmente, mi ha fatto subito simpatia.
Esauriti i convenevoli che per educazione e per rispetto per l’età erano indispensabili, abbiamo cominciato a chiacchierare; lui in dialetto con qualche parola di italiano, io in italiano con qualche parola di dialetto. Quando si è stabilito un rapporto cordiale gli ho fatto la domanda più ovvia e banale che gli potessi fare: “Mi dica qual è la ricetta per arrivare alla sua età?”
Con un sorriso lento e dolce mi ha svelato il suo segreto: “Sgnòura, incù la zànt la và trop in fùria” (tradotto, per gli oriundi, suona più o meno così: “Signora, oggi le persone vivono sempre di corsa”). E questo non va bene, mi dicevano i suoi occhi, si perde di vista il valore delle cose, delle persone e degli avvenimenti.
In altri incontri successivi che non prolungavo mai troppo a lungo per non essere pressante o invadente, mi parlava delle due guerre vissute, della miseria che avevo conosciuto da bambino e che era comune a molti a quei tempi, del fatto che una volta si era ferito seriamente ad una gamba e suo padre, che non aveva il denaro per un mezzo di trasporto, lo aveva portato all’ospedale in una carriola da muratore avuta in prestito.
Era diventata una piacevole abitudine scambiare quattro chiacchiere, ma un mattino non l’ho più visto ed è stato così ancora per molte mattine fino a quando mi sono dovuta arrendere all’evidenza: non l’avrei mai visto più.
Cleto, ovunque tu sia ora, grazie per avermi parlato di te e per avermi dato un poco del tuo tempo e della tua saggezza.

Il nonnetto bilioso


Uscendo da un negozio, un mattino dell’estate scorsa, ho sentito un gran vociare: insulti urlati a pieni polmoni da un signore (si fa per dire) dai capelli bianchi che inveiva contro un ragazzo del sud che gli parlava quasi bisbigliando. Dovevo comprare il mio quotidiano e non avrei mai rinunciato solo perché questi due stavano litigando davanti all’edicola.
“Torna al tuo paese, non ti vogliamo qui, sì, io sono razzista e me ne vanto” urlava l’anziano. Il ragazzo con calma apparente replicava: “Ma mi vuole dire che cosa le ho fatto, in che cosa l’ho offesa?”
Anziché rispondergli, il nonnetto continuava ad urlare a pieni polmoni, quasi violaceo in volto per la rabbia e lo sforzo. “Accidenti a Garibaldi che non ha unificato l’Italia ma ha diviso in due l’Africa”.
A questo ennesimo insulto il ragazzo lo ha sollevato di peso da terra tenendolo per le ascelle e lo ha deposto delicatamente sulle riviste esposte. Con tutta calma se ne è andato, incurante delle offese che continuavano a piovergli addosso.
È stato a questo punto che, dopo un leggero tremolio, al nonnetto bilioso è caduta la dentiera. Neanche questo lo ha fermato. Dopo un rapido assestamento della protesi, ha ricominciato ad urlare finché non è salito in macchina ed è partito sgommando, incurante di tutto.
Non sono riuscita a trattenere una risata liberatoria che ho condiviso con l’edicolante dopo un rapido sguardo d’intesa. A voi le riflessioni che vorrete fare se avete avuto la pazienza di leggermi fino a qui.
A me lasciatene una sola: Cleto è arrivato sino a novatacinque anni, il nonnetto bilioso dubito che ci possa arrivare!


Teresa


Memoria di un amore


Mi chiamo Eraldo Rossi ed ho 82 anni. Attualmente vivo alla casa di riposo “Lydia Borelli” per artisti drammatici e non solo. Vivono accanto a me i medici e gli infermieri dell’istituto e altri quattro ospiti più o meno della mia stessa età. La mia occupazione di oggi è molto diversa dal lavoro che facevo in gioventù; io sono stato un caratterista del cinema italiano e adesso mi piace molto dipingere e disegnare. Passo le mie giornate leggendo e guardando vecchi film non amando molto la televisione attuale. Mi descriverei sia fisicamente che caratterialmente con l’immagine che mi vede alzare le braccia al cielo e con rigore esclamare: “Ecco ci siamo!” Perché non c’è cosa più bella che aprire gli occhi la mattina e potersi permettere di appoggiare lo sguardo su una cosa bella che dia il senso della vita che passa.
La mia vita è iniziata in grandissima povertà. Ci si doveva veramente inventare tutto e la mia famiglia, pur essendo senza mezzi, era molto unita. Alla mattina la mamma mi portava alla corriera perché andassi a scuola. Quando tornavo a casa il mio posto abituale era vicino al caminetto acceso in compagnia dei miei due gatti.
I miei amici ed i miei nemici sono pochi. Durante tutta una vita si incontrano molte persone, ma la cosa più cara che ho avuto è stata Emma, la donna che ho amato più di tutte.
Il mio desiderio riguarda proprio lei, cioè il poter pensare di rivederci ancora una volta e in qualcosa che sia un po’ più reale dei miei sogni notturni. Forse non ho amato abbastanza quello che ho avuto. Il problema di una persona anziana è proprio questo: se non ho amato abbastanza avrò il tempo e la capacità di amare ancora?
Il mio paese si chiama Bastianello e si trova a metà strada tra il lago e le colline che degradano fino ai monti Sibillini. Qui vivono più o meno 500 persone che tra loro si conoscono tutte, si dice infatti che non si può tenere un segreto per più di tre giorni senza che la Signora Maria di Bastianello non lo venga a sapere.
Purtroppo la signora Maria era la mia vicina di casa ed io seppi che lei era a conoscenza di qualcosa di nuovo dal modo in cui mi salutò. Quando a 19 anni cominciai a frequentare la mia adorata Emma, la cosa non fu presa molto bene dalle cinque comari che reggono le fila del nostro paese.
É proprio Emma la ragazza della foto che ho tra le mani nel giorno in cui andò a discutere la propria tesi di laurea. Io ero con lei ed era l’inizio della nostra vita insieme.
Quel momento è uno dei tanti ricordi che mi accompagnano ogni giorno.


Silvia Rindello


La vera vita rinizia a settant'anni


Carlo, appena pensionato, viaggiava in una carrozza di prima classe verso Santa Maria di Leuca dove era nato. Partito da Bologna alle 5.35 dalla stazione di Bologna guardava fuori dal finestrino disinteressandosi delle persone che occupavano i posti adiacenti al suo. I suoi pensieri erano rivolti al passato. Molto era cambiato da quando cinquantadue anni prima aveva compiuto per la prima volta il viaggio. Ma in senso inverso. Allora aveva solo diciotto anni. Aveva conseguito la maturità classica e aveva scelto la facoltà di giurisprudenza di Bologna per un profondo senso dello Stato e della legalità che aveva respirato fin dalla nascita. Il padre era carabiniere e la madre maestra elementare. Nel 1956 il treno impiegava circa 15 ore per raggiungere Bologna. Il viaggio era lungo e faticoso. Spesso lo si doveva percorrere in piedi. Dai finestrini entrava la fuliggine della locomotiva a vapore. Ma Carlo che usciva per la prima volta dalla regione nativa come era suo solito era isolato nei pensieri. Sognava di fare il magistrato; ma non aveva la più pallida idea di cosa era il percorso per diventarlo e di che cosa sarebbe stato materialmente il lavoro stesso. Aveva in tasca pochi soldi e un indirizzo di una famiglia pugliese residente a Bologna la quale lo avrebbe ospitato per una modica somma.
Appena uscito dalla stazione del capoluogo emiliano fu colpito dalla frenesia della gente che si spostava in bicicletta e su tramvie. Cerano anche alcune autovetture e motocicli. Il cuore gli esplose di gioia pensò: questa è la modernità. Ora si trattava di chiedere dove fosse l’indirizzo dell’abitazione che lo avrebbe ospitato. Scelse un ragazzo sulla trentina, dall’aria simpatica, che aveva un biroccio trainato da un cavallo e chiese:”dov’è via del Pratello”. Questo si mise a ridere. Allora Carlo pensò che fosse per il suo forte accento pugliese e si adirò. Il bolognese capì di essere frainteso e gli spiegò che era la via più malfamata di Bologna, dove c’era anche il carcere minorile. Colto da simpatia si offrì di accompagnarlo al domicilio.
Durante il percorso aveva “l’adrenalina” alle stelle nel vedere la luce serale di fine settembre che illuminava i verdi viali e poi la ariosa via dei Mille. Quando il mezzo girò a destra in via del Pratello venne meno la luminosità solare e prese contatto per la prima volta con i portici di Bologna. Qui la gente era molto più povera e capì che c’era un'altra faccia di Bologna. Ma il suo pensiero era quello di portare giustizia e questo gli dava una forte energia che gli permetteva di superare l’effetto deprimente della zona.
Arrivati al numero civico Carlo offri alcune lire al birocciaio; ma questi non volle nulla e lo aiutò a portare su la pesante valigia nella stretta scala. Si salutarono stringendosi la mano, poi prese fiato e busso alla porta. Venne ad aprirlo un uomo sulla cinquantina. Portava una coppola in testa; camicia, pantaloni e gilet ben stirati. Lo accolse e lo abbracciò. Presero a parlare in pugliese. L’ospite volle sapere tutto di Santa Maria di Leuca e non lasciò lo spazio a Carlo di chiedere una sola cosa sulla realtà bolognese.
Venne ora di cena: si raccolsero attorno a un tavolo rettangolare: Gino, il capo famiglia; Giulia, la moglie; ed i tre figli: Emilia, Franco ed Alberto. Carlo fu fatto accomodare nel posto a capo tavola di fronte a Gino. Mangiarono pasta al pomodoro, cipolla e mele. Era una cena speciale. Di solito si cenava con pane e latte poi a letto per non sentire la fame. Quella sera invece Gino raccontò la sua vita e di come era diventato operaio alla Minganti. Verso le undici andarono a letto.
Carlo prima di sdraiarsi disfò la pesante valigia e strinse i suoi vestiti nell’armadio dei tre fratelli con cui divideva anche la stanza. Fece fatica a prendere sonno nonostante la stanchezza. Alla mente gli tornava la quiete famigliare: il padre, la madre e le due sorelle. Poi gli tornava alla mente la sua ragazza, Giovanna, dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri che aveva lasciato con la promessa di tornare una volta laureato. Si addormentò ripensando al lungo viaggio e alle persone che aveva conosciuto.
L’indomani mattina si alzò di buon ora ed andò alla Stazione dei Carabinieri di Bologna per contattare il padre a quella di Santa Maria di Leuca. Fu estremamente sintetico per non recare disturbo. Tuttavia sentì la voce del padre rotta dall’emozione. Questo lo fece sentire importante e orgoglioso di sé stesso, nonché motivato nel suo percorso di studi. Andò poi a piedi alla segreteria della facoltà di giurisprudenza che si trovava in via Zamboni e qui si iscrisse. Annotò nella sua agenda gli orari delle lezioni che sarebbero iniziate ad ottobre. I soldi erano pochi e bastavano malapena a garantirne il soggiorno. Così iniziate le lezioni, in cui non perdeva una parola e annotava tutto su un taccuino, andava a studiare nella biblioteca della facoltà. Qui i libri e tranquillità non mancavano e si perdeva in un profondo e proficuo studio.
Una sera di dicembre, mentre Bologna si preparava al Natale, rientrando verso casa incontrò una ragazza che aveva forato la ruota della bicicletta. Carlo con i suoi capelli neri e occhiali scuri, avvolto in un cappotto dello stesso colore, si offri di aiutarla. Lei era molto bella: castana dagli occhi verdi, il piccolo naso e le labbra sottili, magra e un po’ piccolina. Prima di accettare la proposta di Carlo gli tolse gli occhiali, lo guardò negli occhi e capì che era sincero. Così presero la bicicletta ognuno da un lato del manubrio e andarono in piazza Santo Stefano dove cera un meccanico di biciclette. Durante il percorso parlò quasi unicamente lei: si chiamava Simona, era di origini calabresi, e i suoi genitori erano proprietari terreni. Studiava lettere e filosofia e il suo sogno era di diventare professoressa in un liceo. Riparata la bicicletta Carlo le propose di rivederla domenica alla Messa del mattino nella chiesa di San Francesco a Bologna. Lei accettò.
I due giovani si frequentarono per qualche mese poi si fidanzarono. Le due vite scorrevano parallele. Entrambi passavano la giornata nelle reciproche facoltà tra lezioni e studio; poi si vedevano la sera per raccontarsi la giornata. Sebbene lei avesse un appartamento tutto per lei i due non dormivano assieme per motivi religiosi anche se durante le fredde serate bolognesi i due trovavano riparo in casa di lei. Nello studio erano due rulli compressori e nel tempo previsto dagli studi i due si laurearono con il massimo dei voti.
Convinte le rispettive famiglie si sposarono a Reggio Calabria con grande sfarzo e dopo il viaggio di nozze a San Remo si trasferirono a Bologna per vivere e lavorare.
Lei in breve riuscì a lavorare al liceo classico Minghetti; mentre Carlo cominciò a far carriera in polizia dove divenne ispettore capo. Il lavoro lo assorbiva sempre di più e Simona si lamentava di questo. Nonostante il lavoro fosse stressante lo faceva con grande passione. Sotto la sua guida riuscì a sgominare la peggiore malvivenza bolognese. Ma appena sgominata una se ne presentava un’altra ancora più pericolosa e potente. Simona stanca di vederlo poco e sempre stanco lo lasciò e chiese il divorzio. Lui cercò di dissuaderla ma non vi riuscì e riprese il suo lavoro con ancor più determinazione. Fece il concorso da magistrato e lo vinse. Fù per lui una grande gioia da festeggiare con sé stesso e qualche collega. Nel lavoro i successi si ripetevano ma il tempo passava e l’ora della pensione era arrivata.
Siamo ad oggi. Carlo esce dal suo ricordo e guarda fuori dal finestrino il paesaggio profondamente cambiato nella natura e negli edifici. Arrivato a Santa Maria di Leuca si reca presso la casa che era dei suoi genitori. È la fine di luglio e fa veramente molto caldo. In più è stanco e stressato dal viaggio. Il pensiero di essere in pensione lo fa sentire depresso come se la vita fosse finita. Per cui pensa che un pomeriggio al mare possa non fargli che bene. Prima di raggiungere la scogliera si ferma in un negozio di articoli sportivi a comprare il costume da bagno, le pinne e la maschera subacquea. Erano passati cinquantadue anni dall’ultima immersione. Appena immerso tutti i suoi recettori esplosero. Il paesaggio sottomarino era fantastico: i pesci, i fondali era bellissimo. Il suo corpo traeva dall’acqua un senso di libertà infinito. Era come se gli anni non fossero mai passati. Si sentiva benissimo. Una grande gioia lo pervadeva.
Ma quando emerse dall’acqua è successo qualcosa di immenso, non credeva ai suoi occhi. Si tolse la maschera e vide una siluette a lui nota. Si sfregò gli occhi per vedere più in dettaglio e vide lei: Giovanna. Anche se erano passati una cinquantina d’anni le sue forme non erano cambiate molto. Solo i capelli erano ingrigiti. Ad ogni braccia che l’avvicinava a lei era come se un anno di vita gli si levava di dosso. Fino a quando gli si fece di fronte sulla battigia. Senza dirsi nulla si baciarono e Carlo capì che la sua vera vita iniziava ora.


Fabio


Senza titolo


Un mistero, una rinuncia, Profonda, Radicata, triste. Ti aspetterò, verrò da te in qualche modo. Tu sei lassù e mi guardi, spero in te, credo in te. Quando vedo il tramonto, quando vedo il tuo talento (il mio talento negli altri) mi viene da piangere.
Così come i nostri sogni assomigliano a gioielli, come cavalieri cavalcanti spumose onde nell’erba dei mari lontani, dei mari del nord e noi stessi siamo lontani, mantenendo la stessa distanza della costrizione e la nostra reciprocità va oltre i gradini della ricerca di qualcosa che è invisibile. Per approvazione o cecità dell’intuito, così come noi vediamo la nostra ombra proiettata sul muro, lei vede noi e la nostra natura nuda e cruda della gestazione e della genesi, e come noi cerchiamo di sondare le profondità dell’anima, e scartare i caratteri che troppo ci somigliano o come stiamo e ci sfuggono quando siamo così diversi. Così non ci accorgiamo dell’altro e ci chiudiamo in una gabbia d’oro per non sentire le gioie dell’altro e al tempo stesso la nostra infelicità, e i giorni passano strani, senza motivo di vivere, perché esistere è così leggero e vivere è così pesante.


G.B.


A mia madre


Madre
Limpida acqua
Pascolo d’Aprile
Dolce fiore mosso da una brezza leggera
Desiderosa di portare a nuova vita i fiori
Preghi le stesse righe sui libretti che trasudano
amore
Non venga
Mai
Il giorno che io non possa più stringerti forte a me.
Mamma ti amo!


Bassi Augusto Antonio


Pensiero sul Natale


Arrivò a Gerusalemme, scalzo,
il vero senso del Natale.
…e adesso che siamo alle porte
bussiamo…


G.B.


Intirizzito tra il due dicembre e il nove dicembre


In questi giorni godiamo dello splendido alternarsi dei cieli che vanno dal plumbeo di ieri, al piovoso intenso del giorno prima, al bianco doloroso di oggi, con intermessi di lame di luce che feriscono le nuvole e verso il tramonto sono commoventi. Nell’orto si smontano le serre facendo attenzione a non calpestare daini, lepri e fagiani che sembrano gradire i nostri prodotti.
In vivaio le piante più fragili sono ormai al calduccio in serra dove abbiamo acceso il riscaldamento. Tra i rami spogli si ripresentano puntuali i nostri amici dell’inverno: i pettirossi piccoli, ma tenaci.


Antonio Pancaldi


Senza titolo


Beccheggia la gondola e il vento
la dondola. Creste nella laguna
muovono le cose che sembrano
tumultuose. Il vento.




Il centauro




Se cavalchi la strada
ostacoli non ne hai “O Centauro!”
Perché tu oltre agli zoccoli hai
anche un cervello fino.
Arriva dunque alla meta
con il giusto discernimento.


Senza titolo


Se accarezzo lentamente la tua spalla,
è perché mi sento a te così vicina,
come fossi una placida farfalla
che stringi nel tuo cuore piccolina.
Se poi di un bacio mi fai dono,
le tue labbra fan tremar la bocca mia,
io mi lascio in un gesto di abbandono
e le tue mani fan volar la fantasia.




Campo di grano


Occhi azzurri come il vento
sul grano biondo come i tuoi
capelli, e tu sei maturo come
il grano duro di maggio.


Luisa Paolucci delle Roncole


Viale Leopardi


Passeggiavo nel viale
col nonno.
Sfuma la sua fisicità,
mentre ballano di vento
i suoi fili d’argento
nello sguardo chiaro
e il coraggio vero
di stringermi la mano
piccola piccola.
Non sarei rimasta
in eterno bambina.
La fanciullezza
svanisce.
Dove sono nonno
le farfalle gaie
raccontate in riva al mare
mentre la burrasca
inghiottiva il lupo cattivo?

Tratta da “DIPINTO D’OMBRA”
Di Lorena Bianchi, Rimini, Panozzo Editore
www.oltrelamaschera.it




[La finzione]


La finzione,
se per consolarsi d’amore,
impolvera.
Del fingere resta la verità
nell’eco mai detta di quel “Ti amo”
immerso nell’ululare
ormai sperso del vento.



[Ogni madre]


Ogni madre dà ciò di cui è capace,
ogni figlio vive ciò che sente.
La voglia di coccole è secolare, è in ognuno,
è d’istinto, ma è tanto complicato dirselo.


Tratte da “LE NOSTRE PAROLE D’AMORE”
Di Lorena Bianchi Rimini, Panozzo Editore, 2007
www.oltrelamaschera.it


Verrà la luce


1.
E adesso che
ho combattuto
mi chiedo se
mi è poi servito.
Il tempo è ormai
passato
e non so più
se avrò un futuro
e non so più
se è stato un bene
tirare avanti
fino alla fine.

2.
Ed ora,
cosa dire?
Che cosa
devo pensare?
Che cosa, poi,
sperare?
Io neanche so
se devo uscire,
parlare o no
con la gente
di quel che ormai
non conta niente.

3.
Ma
verrà la luce,
sì,
dovrà venire.
E verrà
… più avanti
però verrà,
presto o tardi…
sì, verrà,
però… quando?!
… se adesso già
io sto morendo?


Melancony


Un carro armato a pedali


C’era una volta un carro armato a pedali che si chiamava Eugenio. Era molto infelice perché si sentiva inutile. Nessuno, infatti, anche spingendo con tutta la forza che aveva, era mai riuscito a smuoverlo anche solo di un millimetro. Tutti i suoi amici capivano il suo dramma, ma non sapevano come aiutarlo. Certo, gli offrivano la loro amicizia, cercando di consolarlo, ma non vi riuscivano, perché erano troppo diversi da lui.
La storia di Eugenio, infatti, era molto, molto particolare. Qualche tempo prima, Eugenio era stato progettato da un ottimo ingegnere su incarico di un’importante ditta costruttrice, che sperava di poter lanciare sul mercato un carro armato così bello e così potente da superare qualsiasi altro carro armato che era stato costruito fino a quel momento. Purtroppo, l’ingegnere che lo aveva progettato, pur essendo universalmente apprezzato per la sua bravura, era, a volte, un po’ troppo distratto. Quando l’ingegnere si presentò presso la ditta per illustrare il progetto che gli era stato commissionato, qualcuno gli fece notare che il carro armato era effettivamente molto bello a vedersi, ma aveva un grave problema: lui, l’ingegnere, aveva dimenticato di dotarlo di uno spazio destinato ad accogliere il motore, senza il quale nessun carro armato può muoversi. D’altra parte, la ditta costruttrice aveva ormai abbondantemente pubblicizzato il carro armato di prossima costruzione, e avrebbe fatto una pessima figura, di fronte all’opinione pubblica e alla concorrenza, se avesse successivamente rinunciato a lanciarlo sul mercato. La ditta disse allora all’ingegnere di essere stata danneggiata dalla sua sbadataggine e che, di conseguenza, avrebbe chiesto un adeguato risarcimento. L’ingegnere, tuttavia, rispose che aveva altri progetti in corso che gli impedivano di rimediare all’errore commesso, e che era quindi preferibile per lui provvedere a questo risarcimento, piuttosto che dover risarcire tutte le altre ditte che gli avevano commissionato i progetti a cui doveva adesso lavorare. Infatti, nonostante la sbadataggine commessa, l’ingegnere aveva impiegato molto tempo a progettare il nuovo carro armato, e ora, per dotarlo di un motore proporzionato alla sua grandezza, avrebbe dovuto, in pratica, riprogettarlo daccapo. Disse allora ai dirigenti della ditta costruttrice che avrebbe fatto il possibile per correggere l’errore compiuto, ma il suo tentativo sarebbe potuto consistere soltanto nel mettere un piccolo motore in un qualsiasi punto dove avesse trovato uno spazio sufficiente. La ditta accettò questo compromesso e si impegnò con l’ingegnere, nel caso in cui avesse potuto comunque lanciare sul mercato il nuovo carro armato, a chiedergli un risarcimento di minore entità.
In realtà, l’ingegnere non riuscì a fare di meglio che mettere un paio di pedali al posto di guida, facendo in questo modo del suo progetto un qualcosa che non era mai esistito prima, cioè un carro armato a trazione umana. La ditta capì subito che un carro armato a trazione umana non avrebbe mai potuto essere competitivo sul mercato: chiunque fosse stato interessato, infatti, all’acquisto di un carro armato ne avrebbe certamente scelto un modello più tradizionale e collaudato. All’interno della ditta, molti dicevano che sarebbe stato meglio non produrre affatto un carro armato a pedali. Tuttavia, per non deludere troppo quanti, in seguito alla martellante pubblicità promossa dalla ditta stessa, attendevano il lancio del nuovo carro armato, la ditta decise di non produrlo in serie ma di costruirne un esemplare unico, il quale, sempre in seguito alla pubblicità che era stata fatta, si sarebbe dovuto chiamare Eugenio. E così avvenne.
Quando incontrava qualcuno dei suoi amici, Eugenio ironizzava amaramente sul proprio nome, che significa “nato bene”. E diceva che quel nome avrebbe potuto portarlo chiunque altro, ma non lui. Lo diceva sempre alla sua amica Anna, quando, inutilmente, lei cercava di consolarlo dicendogli che avevano qualcosa in comune. Anna era un bicicletta, quindi ciò che avevano in comune erano, appunto, i pedali. Ma, ancora prima che fosse Eugenio a spiegarglielo, Anna si rendeva conto da sola che i pedali vanno bene per una bicicletta, ma non per un carro armato.
Anche il suo amico Ottavio sperava di poter fare qualcosa per lui. Un giorno in cui lo era andato a trovare, gli aveva detto che, quando avrebbe raggiunto, di lì a poco, l’età della pensione, avrebbe potuto dargli il suo motore di trattore. Ma, ancora prima che glie lo spiegasse Eugenio, comprese da solo che per il suo motore non c’era abbastanza spazio.
Oltre alla bicicletta Anna e al trattore Ottavio, fra gli amici di Eugenio c’era anche un’auto sportiva, di nome Rossana. Rossana sapeva di avere, rispetto ad altri, il privilegio di esercitare un mestiere, correre, che le piaceva e la gratificava. A differenza di Ottavio, non aveva alcuna intenzione di andarsene in pensione, ed era, rispetto ad Anna, molto, molto più ammirata. Tuttavia era sinceramente affezionata ad Eugenio e, quando andava da lui, avrebbe sempre voluto dirgli che anche lui, nella sua categoria di carro armato, era molto bello. Avrebbe anche voluto dirgli di consolarsi pensando che altre auto sportive, sue colleghe, invece di correre come lei, se ne stavano sempre ferme in esposizione. Ma sapeva che questo discorso non avrebbe consolato Eugenio, perché c’era un’importante differenza fra lui e queste auto sportive da esposizione: anche se non correvano, queste auto erano almeno gratificate dagli sguardi ammirati di coloro che venivano a visitare i saloni da esposizione, mentre, nel breve periodo in cui fu esposto in un salone dalla sua ditta costruttrice, Eugenio veniva soltanto deriso.
Per quanto fossero sinceri e gli volessero bene, gli amici di Eugenio erano sempre più imbarazzati quando andavano a fargli visita, perché non sapevano più cosa dire. Più precisamente, una cosa da dire ce l’avevano, ma non volevano dirla, anche se Eugenio la immaginava perfettamente, e più volte li aveva invitati a dirla, tanto era una cosa che lui sapeva anche meglio di loro. Le visite a Eugenio continuarono ancora, ma sia lui che i suoi amici erano sempre più amareggiati, e continuarono fino a un giorno in cui avvenne qualcosa che nessuno aveva previsto e che nessuno, in seguito, poté spiegarsi. Eugenio era scomparso. Si videro tracce di cingolati partire dal punto dove Eugenio stava sempre, e gli amici, increduli e preoccupati, decisero subito di seguirle. Le tracce li portarono in cima a un monte, dove in prossimità della cima c’era un cartello che avvisava della presenza di un precipizio. Ma le tracce andavano oltre quel cartello e proseguivano fino al precipizio. Gli amici di Eugenio si sporsero fino a scorgere un ammasso di materiali che, capirono subito, non potevano essere altro che ciò che restava di Eugenio.
Non si seppe mai come Eugenio avesse potuto raggiungere il bordo del precipizio per poi lasciarvisi cadere, né si seppe mai se qualcuno lo avesse aiutato e come. Cercando di non perdere del tutto la speranza, gli amici imboccarono un sentiero che portava a valle del precipizio, ma, quando furono arrivati, capirono subito che Eugenio li aveva lasciati per sempre.
Poco dopo arrivarono delle persone che periodicamente passavano di lì per cercare dei materiali che si potessero riciclare. Gli amici di Eugenio pensarono allora che l’amico scomparso avrebbe potuto continuare a vivere sotto altre forme, ma questo pensiero non li consolò un granché.
Se la storia di Eugenio è stata narrata fino ad arrivare a noi, forse è perché qualcuno ha visto rispecchiata la propria storia nella sua. Forse è per questo che i suoi amici cercarono, ma anche qui senza riuscirvi un granché, di convincersi che forse in ognuno, nascosto da qualche parte, ci sia un carro armato a pedali chiamato Eugenio.


Melanchony


Il mestiere dell'educatore


Mi rendo anche conto
che se dicessi -vivo in trasparenza- attorno mi si disegnerebbe
il cerchio dell'assenza
allora devo, senza mentire,
arrabbiarmi piano, sorridere
a chi continua a finire
a raddrizzarmi con poca voglia
per ascoltare sciocchezze,
quante, di chi redige verbali
pieni zeppi di segreti professionali
fingere di crederci, non smentire
in silenzio subire la logorrea
di tanta gente che ha capito
quasi niente. Basta Poco
appena mezz'ora dopo, gli zainetti
lanciati per la sala, i passi di corsa
su per la scala, la musica accesa
e un'altra attesa di cose meno
vane: la nuova cicatrice sul ginocchio,
la nota sul registro, la stessa
faccia vera di Pinocchio, anche
quella -in trasparenza- bambino
burattino nel cerchio della presenza.


G. Sissa


Un'amica con la A maiuscola


La mia amica del cuore è la Cristicchi, ci siamo conosciute durante la frequenza del laboratorio di danza-terapia presso il Centro diurno di via Venezia una decina di anni fa. Ci siamo poi ritrovate a Calderino dove si trova la Coop “Martin Pescatore”, qui per alcuni anni abbiamo lavorato nel laboratorio per il restauro mobili; da un po’ di tempo prestiamo servizio presso una scuola dove ci occupiamo della pulizia e del riordino dei locali mensa.
Amo molto stare in sua compagnia perché è sincera, mite e molto affettuosa, ci ritroviamo anche fuori del lavoro, nel senso che usciamo e l’una frequenta la casa dell’altra. Quando ci incontriamo parliamo delle nostre cose, guardiamo alcuni programmi in TV o ascoltiamo la musica e le canzoni di Vasco Rossi e della Pausini in particolare, visto che sono i suoi beniamini. Ci è dispiaciuto di non essere riuscite ad andare al concerto che Vasco ha fatto allo stadio qui a Bologna.
A giorni lei parte per l’Argentina con la sua operatrice Rita, sarebbe piaciuto anche a me andare con loro, spero in una prossima occasione.
Il viaggio è stato organizzato per tutte le persone che sono coinvolte nell’attività del calcio e Cristina fa parte del gruppo dei “Diavoli Rossi”. Immagino che l’Argentina sia un paese molto bello, in questo periodo poi fa anche piuttosto caldo: quando da noi è inverno là è estate.
Sentirò molto la sua mancanza, anche se il viaggio durerà soltanto 12 giorni; mi ha promesso che se le sarà possibile mi telefonerà. Le auguro sinceramente una bellissima vacanza. Tutti dovrebbero avere una persona cara come lei, sono stata veramente fortunata.



In gita con i colleghi e non solo...


Mercoledì 8 ottobre con tutti i colleghi della Coop. Sociale “Martin Pescatore” sono andata in gita a Sirmione sul lago di Garda. Abbiamo viaggiato in pullman, per fortuna abbiamo scelto una giornata bellissima anche dal punto di vista climatico.
Ci siamo veramente divertiti, per l’intero viaggio abbiamo improvvisato un coro, le canzoni più gettonate sono state quelle di Raffaella Carrà.
A Sirmione e nei centri sul lago mi hanno colpito i tantissimi gabbiani e le oche. Per il pranzo abbiamo scelto di mangiare in una elegante pizzeria, qui la qualità delle pizze è stata veramente alta, abbiamo concluso il pranzo con un mega-gelato artigianale.
Al pomeriggio abbiamo visitato Sirmione, il luogo che mi ha più colpito sono state le Terme dove abbiamo potuto ammirare giardini meravigliosi, curati con grande professionalità. L’intera gita è stata documentata con foto e riprese con la telecamera.
Poiché credo che queste esperienze arricchiscano molto, sarò ben lieta di partecipare alle prossime gite. Ringrazio con tutto il cuore Francesca e tutti gli operatori, promotori di molte iniziative.
Colgo l’occasione per dire che mi piacerebbe molto fare un viaggio con i miei genitori che però non amano molto spostarsi. Il mio sogno sarebbe quello di fare un viaggio in aereo, visto che è un mezzo di trasporto che non ho mai preso, per andare a visitare Barcellona, o altre località come Vienna, New York, Londra o Amsterdam, è un sogno che terrò nel cassetto; prima o poi mi auguro che si realizzi, se non in compagnia dei miei, insieme a qualche operatore e con amici.


Lorella Poggioli


Mettiti in gioco: Tornei di pallavolo, calcetto...


Un torneo di pallavolo e uno di calcetto in modo da iniziare a conoscersi sul campo. E’ l’iniziativa “Mettiti in Gioco”, percorso di sensibilizzazione e coinvolgimento di cittadini e studenti di Bologna sulle tematiche del disagio, che si terrà venerdì 5 dicembre.
L’iniziativa è organizzata dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL di Bologna in collaborazione con la Polisportiva ANPIS (Associazione Nazionale Polisportive per l’Integrazione Sociale) il Quartiere San Donato e la UISP Provinciale. Dalle 9 alle 12 di venerdì 5 dicembre, si svolgeranno i tornei di Pallavolo presso l’Istituto Manfredi-Tanari, Via Felsina 40 e i tornei di calcetto nel Palazzetto dello Sport del Pilastro, via Pirandello 17. Le squadre che scenderanno in campo sono formate da studenti degli Istituti Superiori: Fermi, Minghetti, Tecnico Agrario Serpieri, Manfredi-Tanari, Majorana, dalle Polisportive ANPIS del territorio bolognese, e dai dream teams: Special Boys, Diavoli Rossi, T.N.T, USSI Disabili Adulti, Eppur si Muove.
“Mettiti in Gioco” vuole far conoscere, a partire dagli studenti degli istituti superiori, le attività del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL di Bologna e di associazioni, come l’ANPIS, che promuovono, attraverso l’attività sportiva, la salute mentale e l’inclusione sociale di coloro che normalmente restano ai margini. Lo scopo è quello di stimolare un’alleanza e creare una rete tra cittadini ed operatori dei servizi, istituzioni, familiari e risorse territoriali per l’abbattimento dello stigma verso chi soffre.
“Mettiti in Gioco” continua nel pomeriggio con una tavola rotonda Mettersi in gioco contro ogni esclusione sociale per la Salute Mentale, dalle 14.30 alle 16.30 presso il centro Sociale Culturale e Ricreativo Pilastro, via Dino Campana 4.
Interverranno: Luigi Tagliabue, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’azienda USL di Bologna, Riccardo Malagoli, presidente del Quartiere San Donato, Andrea Panizzi, presidente Regionale ANPIS, Fabio Casadio, presidente UISP provinciale, Ivana Summa, dirigente scolastico Liceo Minghetti, Don Giovanni Nicolini.


fonte: AUSL Bologna


Il mio disagio


Incontro con la scolaresca del Liceo Scientifico E. Fermi di Bologna; una delle scuole che abbiamo in seno alla manifestazione “Mettiti in gioco”.
Il medico che mi segue mi ha detto che sono affetto da un disturbo bipolare; ci sono momenti che sono molto triste, in altri estremamente euforico, maniacale, sono una persona molto ordinata, a volte in maniera veramente esagerata. Guardo una cosa cento volte per problemi di ansia. Le origini: non solo io ma anche il mio psichiatra è riuscito a risalire alle cause del mio disturbo, con il quale sto imparando a convivere. Quando il mio esaurimento è scoppiato come un palloncino, frequentavo questo liceo, sono riuscito con grande sforzo e grazie all’aiuto dei miei insegnanti a dare la maturità. Credo che nessuno al mondo riesca a spiegare che cosa ha provocato la mia condizione.
Credo, dopo aver riflettuto a fondo, che forse le cause siano molteplici, una potrebbe essere l’eccessivo impegno nello studio durante tutto il percorso scolastico; la grande ansia che mi si scatenava di fronte a certi professori e di fronte alle prove nel corso dei 5 anni di liceo.
Ero e sono molto sensibile e la maturità ha provocato in me una grande paura, prima delle prove ho addirittura studiato per 5 notti senza dormire.
Voglio invitare, in virtù della mia esperienza, tutti i ragazzi a non esagerare perché come nel mio caso il prezzo da pagare è troppo alto. Un altro motivo che ritengo abbia inciso sul mio esaurimento, è stato il sentimento provato nei confronti di una ragazza, non corrisposto.
Post maturità: dopo la maturità ho avuto nel 1994 un ricovero e una ricaduta; poi un nuovo ricovero nel 1997. Ho avuto sino a qualche tempo fa momenti di rabbia, ansia e depressione, oggi posso dire finalmente di stare meglio, assumo psicofarmaci, vado dal mio psichiatra una volta al mese, gioco a calcetto con i “Diavoli Rossi”, lavoro due mattine a settimana come giardiniere presso la Coop. sociale Agriverde.
Concludo invitando tutti a non avere paura e pregiudizi nei confronti del disagio mentale in qualunque forma si manifesti, tutti possiamo ammalarci, ciascun essere umano ha dei doni da regalare agli altri.


S.Spisni


Il mio incontro con i ragazzi dell'Istituto Scientifico “Enrico Fermi”


Mercoledì 19 novembre 2008. Ho compiuto quaranta anni da una settimana. La mattinata è grigia e mentre mi reco al liceo scientifico “Fermi” di Bologna sento molta fame.
Parcheggio la moto a settecento metri dalla scuola dove farò l’esposizione su come mi sono ammalato. Lasciata la moto, mi dirigo verso l’istituto e incrociando un bar, mi fermo a fare colazione. La mattinata è molto fredda e la pasta e il cappuccino caldo mi ristorano e mi mettono di buon umore. Uscito dal bar di buon passo ultimo la strada che manca all’istituto. Di fronte all’edificio mi pervade un pensiero: “di qui sono passati, passano e passeranno gran parte delle migliori giovani intelligenze di Bologna.”
Sfumata l’idea torno alla realtà. Con lo sguardo faccio una panoramica della struttura della scuola: è un palazzo di colore grigio con molte finestre alla cui base c’è una piazzetta con pochi alberi ai lati. L’atrio della scuola presenta tante porte a vetri chiuse. Per entrare è necessario suonare un campanello collegato alla guardiola del bidello. Suono. Lui mi apre. Mi avvicino. E’ un tipo vestito strano, porta un orecchino; ma è molto simpatico. Gli chiedo dove avverrà l’incontro con gli studenti e lui mi risponde che non lo sa ma riesce a mettermi in contatto con la professoressa Viola responsabile dell’evento che mi dice che l’incontro sarà intorno alle undici. “Mamma mia!”, penso. Mancano ancora due ore. E mi torna in mente Rita che al telefono mi aveva dato l’ora esatta un paio di settimane prima.
Così ne approfitto per fare un giro in moto per i negozi di biciclette di Bologna. Per me un vero sollazzo. Il tempo vola. E quando torno al “Fermi” ci sono già il resto dei diavoli rossi. In comitiva entriamo nell’istituto e ci dirigiamo verso l’aula magna. Ci sono un centinaio di posti a sedere che lentamente si riempiono. E’ il momento di raccontarci: prima Giovanni poi Andrea, Stefano ed io raccontiamo come abbiamo fatto ad ammalarci. Cosa aiuta il recupero e cosa significano le “stigmate”.
Mentre espongo la mia esperienza il cuore batte forte in petto, respiro a fatica, non riesco a mantenere la calma. L’emozione è enorme. Per fortuna ho scritto tutto e avere la possibilità di leggere mi aiuta a trasmettere la devastante portata della malattia mentale e l’importanza del fare assieme. Perché fare assieme non è solo aiutarsi tra pazienti, operatori, famigliari e volontari; ma è anche questo: sensibilizzare i ragazzi e quindi la futura società su come prevenire la malattia mentale e al tempo stesso come favorire un inserimento nelle varie sfaccettature della società (famiglia, lavoro e tempo libero).
I ragazzi del “Fermi” moderati da Ennio, uno psicologo di Imola, ci hanno ascoltato con attenzione e intelligenza, non hanno avuto un atteggiamento commiserevole, ma critico: hanno posto domande precise e dato altrettante risposte quando interrogati. E’ stato bello, ma soprattutto incoraggiante non solo per l’applauso che ci hanno regalato; bensì per aver capito quali sono le nostre difficoltà, la portata del disagio psichico e la grande importanza del fare assieme.


Fabio



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LABORATORIO MUSICANTO
Scrittura Creativa


“Ciascuno di noi non cessa mai di girare nel labirinto di sé stesso
per esprimere di volta in volta la rappresentazione di sé.”
U. Galimberti


Quest’anno il laboratorio di Musica- sezione Ascolto- accogliendo varie richieste, ha scelto di dedicare un momento strutturato alla scrittura creativa per permettere agli ospiti di Casa Mantovani di poter esprimere con le parole emozioni, vissuti ed esperienze avendo la possibilità poi di vederle pubblicate sul giornalino “Il Faro”.
Abbiamo fatto delle prove per capire se tale proposta poteva interessare e le adesioni sono state davvero molte! Gli incontri sono avvenuti principalmente durante il periodo natalizio e, da gennaio 2009, si svolgeranno una volta al mese il venerdì pomeriggio.
Per avviare tale attività, sono stati scelti dei brani di opere classiche che, in qualche modo, risultano “sonore” e “visive” e si è lavorato molto sulla bellezza dell’arte letteraria come connubio tra varie forme espressive(pittura, musica e scrittura).; l’obiettivo che ci siamo dati per i prossimi sei mesi è quello di riuscire a realizzare dei prodotti usando tutte e tre queste attività e coinvolgendo, quindi, anche il laboratorio di pittura della Residenza.
Durante una lezione abbiamo imparato quali sono le regole base per realizzare un articolo giornalistico e ci siamo sperimentati in questo genere di scrittura seguendo il tema di questo numero, la terza età, e in particolare, facendo riferimento ad un’esperienza bellissima fatta al Centro Socio Ricreativo Stella per anziani del Quartiere Santo Stefano.
Negli incontri successivi abbiamo letto e commentato due poesie bellissimi che sono inserite nel programma di questo nuovo semestre:
1. E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato;
2. G. Pascoli, La mia Sera


Giorgia Busti




Riflessioni sulla poesia di Pascoli: “La mia sera”


Malinconia
La poesia è intrisa di malinconia, l’ambiente è bucolico.. tutta la natura sembra sovrastata dalla potenza di Dio. Sembra che la sera sia la terza età del poeta nel tentativo di descrivere quello che sarà. Della sua vita una volta in là con gli anni…


Oriano Conti



Ricordi
C’è stato un temporale fortissimo durante il giorno e le foglie dei pioppi fischiavano molto…poi è arrivata la sera e le stelle hanno portato tranquillità, le rane sono diventate allegre con il loro “gre gre”… la nube del giorno portava malessere, ma la sera placa tutto e nel silenzio il poeta ricorda quando era bambino.


Carlo Alberto Malaguti



Tra Quadri e sinfonie
Questa poesia può definirsi al contempo una sinfonia ed un quadro. Dico questo perché è piena di onomatopee (gre gre di renelle – don don delle campane- rivo canoro etc.)e di immagini e colori (nuvole rosa- cirri di porpora e d’oro etc..)che aiutano il lettore ha creare nel proprio immaginario un quadro preciso della sera. Il Pascoli non vuole descrivere una sera comunque, ma la sua e la contrappone al giorno in continuazione perché a differenza di quest’ultimo, è molto più tranquilla e meno dinamica. Le giornate per lui sono un temporale dove tutto è nero, la sera è la pace e tutto gli sembra possibile. Nella poesia Pascoli umanizza la natura nel “singhiozza monotono un rivo” come ha fatto Montale quando ha parlato di “rivo strozzato che gorgoglia”. E’ ricca di suggestioni ed emozioni questa sera estiva dopo il temporale, ed è placida come la sua vita in quel momento; nella sera lui ritorna bambino, ma si proietta anche verso la fine della sua esistenza. A me è piaciuta moltissimo!


P.P.



Quiete e Tempesta
In questa poesia il Pascoli contrappone il giorno tempestoso alla quieta e silenziosa sera. Per riuscire a darci tale immagine. Utilizza numerose parole onomatopeiche (es “gre gre di renelle”) e mi sembra che richiami la poesia di Leopardi “La quiete dopo la tempesta” soprattutto nella prima parte. La sequenza che preferisco però è l’ultima, quando sembra ascoltare il don don delle campane che lo fa ritornare bambino, perché per un attimo anche io ho pensato alla mia infanzia.


Loretta




Riflessioni sulla poesia di Montale: “Spesso il male di vivere...”


Sono quasi cinque anni che passo da una comunità psichiatrica all’altra e non so quando questo incubo finirà perché non riesco ad essere indifferente al malessere che provo nel stare lontano da casa mia. Gli operatori e gli ospiti sono tutti molto carini, ma io spero di riuscire a tornare alle mie cose, al mio pianoforte ed alle mie abitudini… solo allora troverò una soluzione al mio male di vivere e mi spiace che quella di Montale (Divina Indifferenza) a me non serva….


Anonima



Mi sento la nuvola della poesia di Montale che prende forma dal rivo, dal cavallo e che infine si trasforma in falco levato nel cielo… volare al disopra di tutto senza farsi travolgere dalle piccole gioie e dolori è la mia speranza di vita migliore…


Loretta



Io il male di vivere ho iniziato ad incontrarlo negli ospedali e in tutti i posti dove c’è gente triste perché è visibile agli occhi di tutti la sofferenza… non so se c’è una soluzione o un rimedio…


Angelo Syrio



Per Montale il male è così radicato che non lo contrappone al bene, ma alla “Divina Indifferenza” . Però parla anche di una nuvola che può offuscare tutto e di un falco simbolo di libertà… Spesso, quindi, il confine tra male e bene è più sottile di quanto non pensiamo…L’indifferenza diventa per il poeta un rifugio, una via di fuga… Insomma penso che il “male di vivere” rimanga, ma come fatto naturale dal quale però si può sempre fuggire perché è nella natura dell’essere umano.


Pierfrancesco



Questa poesia è ricca di metafore, vi è una descrizione geniale del proprio stato interiore e si divide in due parti. Nella prima c’è la descrizione del malessere tramite immagini della natura a tutti familiari; nella seconda la sua esperienza di benessere utilizzando sempre metafore relative ad immagini che tutti possono rielaborare nella propria mente .Il male di vivere lo incontro giornalmente ed è la mancanza di risorse ed il timore di un futuro tragico… Provo tanta rabbia per non riuscire a superare questa condizione…


Andrea


Giacomo Puccini: Vita e Opere per il 150° anniversario dalla morte


Centro Socio- Ricreativo Stella - Docente:Fausta Molinari



Puccini è stato uno dei più grandi musicisti e compositori di musica lirica del novecento. Noi di Casa Mantovani siamo andati varie volte presso il Centro Stella accompagnati dalla nostra educatrice Giorgia, responsabile del laboratorio di Musica. Grazie all’ottima presentazione di un’insegnante, abbiamo letto vari articoli su Puccini ed abbiamo scoperto tante cose nuove che sono meno famose sulla sua vita. Abbiamo visto le opere “Boheme”, “Madame Butterfly” e “Tosca” ed avuto modo di avere a nostra disposizione qualcuno che ci raccontava la trama e ci faceva notare la bellezza di alcune arie. Nel Centro Stella c’erano parecchie persone anziane, molto dinamiche, gentili e buone. Prima che la lezione iniziasse, prendevamo un caffè che a me personalmente aiutava molto per vincere la sonnolenza dopo il pranzo. Ogni lezione durava due ore e alla fine di ogni incontro c’era un’ottima merenda con bibite e dolciumi. Spesso siamo rientrati in comunità a piedi e, al ritorno, ci è toccato anche pulire la nostra camera, ma a me non è pesato molto grazie ad una doccia stupenda che alleggeriva tutte le fatiche! Riflessione finale:Ho scoperto che questi centri per anziani sono pieni di vita ed aiutano le persone a sentirsi meno sole.


D.S.




Puccini era un genio, un uomo speciale e, come tutti gli uomini, pieno di contraddizioni, che portava anche sulla scena teatrale-lirica. Le sue opere vanno a toccare anche le nostre corde emotive(Madama Butterfly, Tosca, Boheme, Turandot… che meraviglia!) … l’epilogo spesso è tragico, ma al tempo stesso regala momenti di passione intensa. I suoi personaggi sfiorano la nostra anima di spettatori riuscendo qualche volta a mettere in discussione le proprie convinzioni.
Corso formativo stupendo anche grazie alla bravura dell’insegnante… Ambiente accogliente e vitale.


Tom




Ho partecipato a delle lezioni su Puccini presso il Centro Stella del nostro Quartiere. E’stata un’esperienza decisamente positiva; ho incontrato persone molto affabili con cui ho parlato in maniera piacevole e mi sono reso conto che la differenza di età non è stata una barriera nella conversazione, anzi ho avuto modo d’imparare tante cose da chi ha più esperienze accumulate nella vita. Abbiamo anche partecipato ad una polentata domenicale e ci siamo divertiti molto… Questi momenti sono davvero belli, ci si relaziona con gioia e si scopre che si ha la possibilità di cambiare opinione sulle cose: io sugli anziani ero molto prevenuto, oggi non più e penso di frequentare ancora altre iniziative del Centro Stella.


Roy


Un passo nel vuoto o uno nel sentiero della crescita?


Ora che Paolo per motivi personali non può più curare la stesura del giornale si apre per noi un grande vuoto. Dovremo quindi tirare fuori il meglio di noi per sopperire a questa mancanza. L’imperativo è non perdersi d’animo. Cosa faremo? Attraverso l’impegno del Dottor Michele Filippi (responsabile del CSM di San Lazzaro di Savena) forse otterremo la possibilità di stampare il giornale presso il centro stampa dell’Azienda USL di Bologna. Questo significherebbe poter stampare su più vasta scala e non dover più gravare Concetta del lavoro di distribuzione, permettendoci di dedicare più tempo alla redazione vera e propria del giornale. Attraverso il fare assieme e la ricerca di nuove risorse umane speriamo di non fare un passo nel vuoto, bensì un passo nel sentiero della crescita del giornale.


Fabio Tolomelli


Associazione Progetto Spazio e Amicizia


Associazione Progetto Spazio e Amicizia è un gruppo di amici e di cittadini, entusiasti rappresentanti del condividere nuovi stili di vita, che si rapportano in una dinamica positiva sia tra loro, che tra le organizzazioni in rete del volontariato territoriale. L'associazione, voluta dall'Asl di S.Lazzaro, e fondata prima degli anni 90, da un ristrettissimo "team" di intelligenti e capaci personaggi che operavano nelle strutture, e soprattutto per la caparbietà di Fiorenzo Malpensa, volontario sanlazzarese, che ha agito da catalizzatore per una sintesi d'intenti coll'amministrazione comunale d'allora. Oltre che primo presidente associativo era pro tempore, un consigliere comunale molto attento alla vitalità comunitaria. L'associazione, che è diventata pure Onlus, attualmente è formata da cittadini che attraverso relazioni interpersonali si propongono d'intervenire per abbattere i muri metaforici della solitudine, e per facilitare il mutuo aiuto. Quest'anno, siamo stati inserirci in qualità di partner col centro sociale e culturale intitolato ad Annalena Tonelli, volontaria in Africa, deceduta in Somalia. Operiamo quotidianamente come altrettante formichine laboriose, radicandoci meglio attraverso il nostro agire all'interno di questo luogo unico e per noi favorevole, sviluppando per la prima volta una rassegna interna al programma delle attività 2008-2009. Questa nostra presenza inedita, compare degnamente in un opuscolo stampato a cura dello stesso centro, a cui siamo grati. Il Centro ha al suo interno, una cucina moderna, che stiamo utilizzando da tempo, ottimizzandola per poter gestire le nostre cene sociali del venerdì. Dalle ore 19,00 in poi con pasti a costo davvero contenuto. Invitiamo oltre alle persone del gruppo, amici e cittadini che condividono le nostre iniziative e scopi non lucrosi. Le proposte della nostra associazione per la rassegna Conversando e Cantando, comprende ben otto incontri a cadenza mensile. Sono altrettante serate a tema con ritrovi di festa ludica, con musica, ballo, o caraoche, ed altre serate a tema specifico di conoscenza culturale; gastronomico; salutare; etnico-storico; artistico o d'interesse turistico, finalizzate a gite a musei o ad agriturismi regionali.


Giuseppe Pedrini (Presidente di Spazio e Amicizia)