novembre-dicembre 2010 - anno IV  n. 4 - Il viaggio

INSERTO


 

Cannabis e psicosi: un viaggio da evitare


Tra le affezioni Anoressia Nervosa: La cannabis è nota da circa 4000 anni per i profondi effetti sulla mente. Il più antico testo cinese sulle piante medicinali, il Pen T’sao Ching, che si fa tradizionalmente risalire al mitico imperatore Shen Nung (2737 a.C.), la raccomanda per “disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale”, ma, aggiunge, si tratta di una medicina da usare con cautela: come avverte il compilatore, una dose eccessiva “fa vedere demoni”. E sono ormai secoli che l’uomo la utilizza sopratutto in vista dei suoi effetti psicologici. Il viaggio, lo sballo, il trip sono solo alcuni degli epiteti metaforici con cui nel linguaggio comune si indicano gli effetti psicologici derivanti dall’uso di sostanze psicoattive. Lasciamo agli studiosi del comportamento umano e delle scienze sociali l’interessante ricerca delle spiegazioni per cui molti, quasi un quarto degli adulti nel corso della vita, decidono di percorrere queste vie per allontanarsi dalla quotidianità e sperimentare nuove sensazioni. Ci avviciniamo a questo tema da medici, psichiatri, a causa della frequenza dell’uso di cannabis nei nostri pazienti, soprattutto nei nostri giovani pazienti all’esordio di un disturbo psicotico; e ce ne preoccupiamo a causa delle nostra esperienza clinica di come sia peggiore il decorso e più complicata la guarigione psicologica e sociale nei nostri pazienti che usano la cannabis. Il legame tra uso di cannabis e sviluppo di schizofrenia dovrebbe essere considerato di estrema importanza per la salute pubblica, perché la cannabis e la terza sostanza più utilizzata al mondo dopo alcool e tabacco (Murray et al., 2007). Recenti progressi nel comprendere il meccanismo del sistema cannabinoide umano, studi epidemiologici, clinici e sperimentali sull'effetto della cannabis ci permettono oggi di capire meglio i suoi effetti. Se da un lato medicinali a base di cannabis sembrano essere utili nel trattamento del dolore cronico come anche nei malati di sclerosi multipla nel controllarne la spasticità (Pacher et al., 2006), d’altro canto sempre maggiori evidenze scientifiche tendono ad evidenziare come il suo eccessivo utilizzo accresca il rischio di malattie psicotiche, come la schizofrenia, e ne aggravi il decorso (Moore et al., 2007; Arseneault et al., 2004; Fergusson et al., 2006; Barnett et al., 2007; Green et al., 2005).




Quali sono gli effetti della cannabis nell’uomo?



Secondo la definizione dell’O.M.S., dal punto di vista farmacologico, si definiscono "droghe" tutte le sostanze che modificano la psicologia o l'attività mentale. Anche se molte persone non guardano la cannabis come una sostanza dannosa e il suo uso a scopi ricreazionali sembra oggi paragonabile a quello che se ne fa dell'alcool, della nicotina e della caffeina, una scelta di vita cioè culturalmente accettabile (Murray et al., 2007), l’effetto psicoattivo della cannabis e appunto quello di una droga. Moreau JJ, il primo psichiatra del XX secolo interessato alla psicofarmacologia, descrisse dettagliatamente la sua esperienza con la cannabis (Moureau, 1973). Prese lui stesso la cannabis invitando i suoi studenti a seguire il suo esempio. Inoltre ne somministrò anche ai suoi pazienti. Per gli standard moderni la dose utilizzata era esageratamente elevata. L`effetto su uno dei suoi assistenti, che ingoiò circa 16g di cannabis, presumibilmente contenente centinaia di mg di THC (che oggi sappiamo esserne il principale costituente psicotropo della cannabis) fu di intensa agitazione, incoerenza, delirio e allucinazioni. Sulla base di numerosi altri esperimenti simili Moreau dichiaro che :“non c’è una singola, elementare manifestazione di malattia mentale che non possa essere trovata nel cambiamento mentale causato dall’utilizzo di hashish, dal semplice eccitamento maniacale al franco delirio, dal più debole degli impulsi, a più semplice fissazione, il minimo danno al senso, alla pulsione più irrefrenabile, il delirio più selvaggio, la maggior varietà di disordini del comportamento” (Moureau, 1973). Le basi fisiologiche e biochimiche che sottendono la relazione tra consumo di cannabis e malattie mentali sono ancora oggetto di discussione e di studio (Mechoulam e Hanus, 2004). Una intossicazione acuta da cannabis può essere determinata anche da una singola dose, e si manifesta con effetti sia fisici che psichici. Tra gli effetti fisici ricordiamo: diminuita salivazione, secchezza delle fauci, arrossamento congiuntivale, accelerazione del polso, ipotensione in ortostatismo, riduzione della pressione intraoculare, riduzione delle capacita motorie e della concentrazione, stimolazione dell’appetito e in dosaggio acuto tachicardia. Gli effetti psicologici secondo Anonynous (1969) e Tari (1971) sono riconducibili ai seguenti aspetti: 1) Percezioni sensoriali. La cannabis non causa di norma allucinazioni (cioè percezioni in mancanza di oggetto), ma intensifica le percezioni. In particolare, le percezioni visive risultano essere più acute nei contorni, nei colori e nella profondità delle immagini. Uno degli effetti più tipici della cannabis è quello sulla percezione sonora: i consumatori percepiscono in misura più marcata la separazione spaziale delle fonti sonore; i suoni possono evocare immagini e colori. Alcuni soggetti riferiscono sinestesie, ovvero i suoni assumono qualita visive e cromatiche. Anche le percezioni tattili, gustative e olfattive vengono incrementate rispetto allo stato normale. 2) Riferimenti spazio-temporali. Le distanze come anche la percezione del trascorrere del tempo vengono spesso interpretate in maniera differente, potendo apparire più lunghe o più corte del normale. 3) Processi mentali ed emozioni. La cannabis ha un effetto intrinsecamente positivo sull'umore, determina infatti rilassamento, serenità, tendenza al ridere. Inoltre i consumatori riferiscono una maggiore recettività al lato comico delle situazioni, significati diversi e profondi in situazioni ordinarie e familiari (jamais vu), tendenza all'introspezione, pensieri vaganti, associazioni vivaci e spontanee, sensazione di aumento dell'immaginazione e della creatività, leggera tendenza alla disinibizione. Le emozioni però possono essere amplificate anche in senso negativo. Ciò può provocare reazioni di una certa gravità quali stati di ansia, panico, paranoia, disforia, depressione, apatia e sintomi psicotici come allucinazioni uditive e visive o idee persecutorie. I cannabinoidi assunti in dosi elevate possono dare origine a “bad trip”, effetti spiacevoli o esperienze negative, del tutto simili a quelle riscontrate durante l’assunzione di allucinogeni. Si può parlare di delirium in soggetti in cui, a distanza di ore o giorni dall’assunzione, compare un’alterazione della coscienza con ridotte capacità attentive, modificazioni cognitive come deficit di memoria, disorientamento ed alterazioni di linguaggio o presenza di disturbi percettivi con fluttuazioni giornaliere. Generalmente tale quadro si risolve con la risoluzione dell’intossicazione stessa o in un arco variabile da ore a giorni (Pancheri et al., 1999). 4) Effetti comportamentali. La cannabis determina un’alterazione della capacità di guida. Si ha infatti decremento nella risposta immediata, nel recupero dell’abbagliamento, nella coordinazione motoria, nella percezione della profondità, nel senso del tempo e nella visione periferica. Sono poi danneggiati il tempo di reazione e la durata dell’attenzione, insieme a incoordinazione motoria, deficit nella memoria a breve termine, difficoltà di concentrazione (Iversen, 2003). Il peggioramento delle capacità essenziali della guida permane per almeno dieci ore dopo aver fumato. Gli effetti cronici derivano dall'uso prolungato della sostanza e incidono sullo stato psico-fisico dei consumatori anche al di fuori dello stato di intossicazione. Abbiamo effetti sulla memoria: le cellule nervose situate nell’ippocampo sono essenziali per l’apprendimento e la sensazione di sintonia con le proprie emozioni. Alcuni dati di studi sperimentali su animali suggeriscono che, quando vengono usate di frequente e per un lungo periodo di tempo alte dosi di marijuana potrebbero verificarsi una riduzione a lungo termine o anche permanente di alcune funzioni mentali, in particolare la perdita precoce di memoria (Pancheri et al., 1999). Nell’uso cronico si può sviluppare anche un amotivational syndrome, caratterizzata da un progressivo distacco affettivo dalla realtà. Secondo Schwartz (1987) essa è costituita da sette componenti: 1. Perdita di interesse nelle attività e nelle cose in generale, associata ad apatia, abulia e passività 2. Perdita della voglia di lavorare e indifferenza nei confronti dei propri successi e/o insuccessi lavorativi 3. Perdita di energia, astenia, facile affaticabilità 4. Malinconia e irritabilità 5. Ridotta concentrazione 6. Trascuratezza nell’aspetto e nell’igiene personali 7. Uno stile di vita che dà la priorità a come procurarsi e consumare cannabis. Il quadro è analogo a quello riscontrato in soggetti abusatori di tranquillanti. Altri effetti a lungo termine in abusatori cronici sono caratterizzati dalla diminuzione delle performance scolastiche, lavorative, di processazione delle informazioni anche in assenza di intossicazione in atto (Ashton, 2001) e dall’insorgenza di sintomi depressivi. Studi a riguardo hanno evidenziato che l’uso protratto della stessa aumenta di 4 volte il rischio di sviluppare una depressione maggiore (Bovasso, 2001). In ultimo, alcuni studi hanno mostrato che può esistere una dipendenza dai cannabinoidi di ordine psicologico, che comporta anche leggeri sintomi dovuti all'astinenza. L'interruzione improvvisa dell'assunzione di cannabis dopo un periodo di utilizzo cronico e ad alti dosaggi può portare infatti in alcuni casi a craving, insonnia, agitazione, perdita dell'appetito, irritabilità, rabbia, ed un aumento dell'attività muscolare e dell'aggressività: una sorta di sindrome d’astinenza (Budney et al., 2001).




Come agisce la cannabis sul cervello?



Una forma temporanea di psicosi droga-indotta può essere presente in alcuni consumatori di cannabis. In letteratura psichiatrica alcuni la definiscono come "Psicosi da Cannabis" o "Psicosi da Marijuana". Questa condizione sembra essere dovuta ad una massiccia assunzione di cannabis, inalata o ingerita, e sembra persistere finché il K9-THC (K9-Tetraidrocannabinolo) non è completamente metabolizzato (Thomas, 1993 ; Hall, 2000 ; Johns, 2001). Dunque il THC sembra essere da solo il responsabile degli effetti della cannabis, confermato da esperimenti recenti su volontari in perfetta salute (Watchel et al., 2002) che mostrano come questo, da solo o somministrato con i maggiori fitocannabinoidi, causi gli stessi identici effetti. La psicosi tossica acuta causata da cannabis può rappresentare un quadro abbastanza serio da condurre il paziente al ricovero ospedaliero e la diagnosi iniziale può erroneamente essere quella di schizofrenia, dal momento che sono presenti molti sintomi tipici della schizofrenia, tra cui deliri di persecuzione, di influenzamento e di grandezza, inserzione del pensiero, allucinazioni uditive, alterazioni percettive e appiattimento affettivo. Queste evidenze hanno contribuito a formulare una "ipotesi cannabinoide della schizofrenia", suggerendo che i sintomi del disturbo schizofrenico potrebbero essere causati da un’anomala iperattività del meccanismo degli endocannabinoidi (cannabinoidi cioè prodotti dall’uomo) a livello cerebrale (Emrich et al., 1997). I cannabinoidi si legano a specifici recettori nel sistema cannabinergico. Sono stati caratterizzati finora due tipi di recettori per il K9-THC e i suoi derivati sintetici: il recettore CB1, prevalentemente espresso nel sistema nervoso ed in alcuni tessuti periferici, scoperto nel 1990 (Matsuda et al., 1990), e il recettore CB2, identificato finora solo in cellule del sistema immunitario dei mammiferi, individuato per la prima volta nel 1993 (Munro et al., 1993). A tali recettori si legano normalmente i così detti cannabinoidi endogeni o endocannabinoidi. I recettori dei cannabinoidi hanno una localizzazione presinaptica e ciò suggerisce il ruolo dei cannabinoidi nella modulazione del rilascio di numerosi neurotrasmettitori dagli assoni terminali. I neurotrasmettitori coinvolti includono: L-glutamato, acido γ-amminobutirrico (GABA), noradrenalina (norepinefrina), dopamina, 5-idrossitriptamina (5-HT o serotonina) e acetilcolina. Poco si sa invece sul ruolo fisiologico del recettore CB2, di più recente scoperta; esso sembra comunque coinvolto nella funzione di modulazione del sistema immunitario (Iversen, 2003). Il THC provoca la liberazione del messaggero chimico dopamina in determinate regioni del cervello, come la regione mesolimbica (Pertwee, 1991); come noto, un eccessivo rilascio di tale neurotrasmettitore e connesso alla genesi dei sintomi positivi della schizofrenia, quali allucinazioni e deliri. Inoltre, gli effetti dei cannabinoidi sulla neurotrasmissione dopaminergica nella corteccia prefrontale (CPF) possono spiegare alcuni dei sintomi cognitivi provocati da alcuni composti della marijuana.




La cannabis può causare la psicosi?



Vari studi epidemiologici hanno cercato di stabilire un nesso di causalità tra il consumo di cannabis e psicosi. Nel 1987 Andreasson pubblicò uno studio sul Lancet (Andreasson et al., 1987), oggi una pietra miliare, che portava una prova credibile di tale legame. Nei quindici anni che seguirono, il peso della varietà di investigazioni cliniche, epidemiologiche, e scientifiche in generale divenne tale che agli inizi del 2000 sia la comunità scientifica che l’opinione pubblica hanno cominciato a rendersi conto del significato potenziale dell’utilizzo di cannabis. Cinque grandi studi longitudinali ( Zammit et al., 2002; Weiser et al., 2002; Arsenault et al., 2002; Fergusson et al., 2003; Van Os et al., 2002) hanno messo in maggior luce il legame che intercorre tra l’uso di cannabis e l’insorgenza della schizofrenia. Tuttavia la precisa natura della relazione che intercorre tra uso di cannabis e psicosi resta ancora da chiarire. Alcuni studiosi hanno sostenuto, ad esempio, che non sia la cannabis a facilitare l’esordio delle psicosi, ma le psicosi che facilitano l’uso di cannabis, inducendo nelle persone che soffrono di schizofrenia o disturbi correlati una sorta di automedicazione. Per cercar di trovare sollievo dai sintomi negativi come l’intensa depressione che derivano appunto da questa, i soggetti potrebbero ricorrere all’uso di cannabis, come anche per ovviare agli effetti avversi degli antipsicotici. Alcuni studi hanno infatti messo in luce come la cannabis riduca l’ansia, la depressione e tenda ad aumentare la calma nei soggetti fruitori (Dixon et al., 1990). Inoltre giacché molti individui che fumano cannabis potrebbero anche fare uso o abuso di altre droghe potenzialmente psicotogeniche come LSD, amfetamine e fenilciclidina, e impresa non semplice capire a quale droga la psicopatologia si correli causalmente. Una recente metanalisi di studi di associazione tra cannabis e schizofrenia ha evidenziato che chi utilizza cannabis ha una possibilita del 40% più alta rispetto a chi non ne fa uso di soffrire di schizofrenia; inoltre la percentuale aumenta se aumenta la quantità di cannabis consumata (Moore et al., 2007). Oggi l’ipotesi più accreditata è che la cannabis rappresenti un fattore di rischio per la schizofrenia in soggetti vulnerabili (DiForti et al., 2007).




Chi è vulnerabile a sviluppare psicosi se usa cannabis?



Non tutti coloro che fumano cannabis sviluppano poi una psicosi. Secondo stime recenti l’incidenza di sintomi psicotici nei consumatori di cannabis e pari al 4,7% tra coloro che hanno cominciato a 18 anni, e al 10,3% nei soggetti che hanno cominciato a 15 anni (Arseneault et al., 2002). E comunque la media è stimata intorno al 3% di coloro che sono consumatori abituali (Murray et al., 2007). Perché quindi solo una piccola parte delle persone che fanno uso di cannabis, anche in gran quantità, sviluppa psicosi? Caspi e colleghi ipotizzarono che a spiegazione di questa vulnerabilità ci sia una base genetica: in particolare, suggerirono che tra i fumatori di cannabis fossero più esposti al rischio di sviluppare psicosi le persone portatrici della variabile val/val del gene COMT, un gene preposto al metabolismo delle catecolamine e quindi della dopamina. In individui geneticamente vulnerabili, inoltre, l’uso di cannabis in adolescenza sembra aumentarne ancora di più il rischio di schizofrenia (Arsenault et al., 2002). Gli adolescenti sembrano più facilmente vulnerabili sia per aspetti psicologici connessi con l’età, sia per fattori neurobiologici. Infatti il sistema nervoso centrale degli adolescenti e un sistema in maturazione ed è dunque più vulnerabile a effetti stressanti (come la cannabis) di un sistema già maturo (Van Nimwegen et al., 2005). Di conseguenza è stato ipotizzato che i portatori dell’allele Val siano quelli col più alto rischio di subire gli effetti psicogeni a lungo termine dalla cannabis. Senza ovviamente mai ignorare gli altri fattori ambientali e non come traumi subiti durante il parto, grado di urbanizzazione, etnia, abusi sessuali in età infantile, relazione conflittuale con la madre, fattori socio-economici (Murray et al., 2007). Infine, gli effetti “psicotizzanti” della cannabis sono favoriti, oltre che dalla giovane età di inizio dell’abitudine al fumo, anche dalla quantità di cannabis fumata, in particolare dalla quantità di THC. I dati farmacologici danno informazioni non geografica. In più, è difficile stimare una dose di THC dal numero di joints fumati o dal numero di volte in cui un soggetto ha esaurienti sulla relazione dose-risposta. La marijuana ad esempio contiene più di 60 fitocannabinoidi capaci di modulare l’azione del principale costituente della cannabis, il delta-9-THC. Inoltre, oggi sappiamo che il contenuto di THC nella cannabis è cambiato rispetto ad alcuni decenni fa, anche grazie a migliori tecniche di coltivazione e che varia a seconda della provenienza fatto uso di cannabis (Bakers, 1981): fattori come la profondità con cui si fuma, la capacità vitale e lo spazio morto aereo rendono difficile stimare la reale quantità di THC che raggiunge i recettori CB.




Che effetto ha la cannabis sui pazienti affetti da psicosi?



Regier e colleghi in uno studio del 1990 evidenziarono come l’uso di sostanze sia 4.6 volte più alto nei pazienti psicotici rispetto alla popolazione generale, con la cannabis al primo posto tra le sostanze illecite d’abuso, circa 41% (Mueser et al., 1990). Si è visto che l’uso di cannabis può rendere meno efficace il trattamento antipsicotico e più problematica la remissione della sintomatologia psicotica. In generale l’uso di cannabis è correlato con un maggior tasso di ricadute e maggior numero di ricoveri ospedalieri, in probabile associazione alla minore aderenza alla terapia (Hafner et al., 2004; Caspari et al., 1999). In aggiunta, tali pazienti presentano un peggior esito in termini lavorativi-sociali (Caspari et al., 1999; Hambrecht et al., 2000; Grech et al., 2005) e un più difficoltoso reinserimento sociale: la frequenza di disoccupazione è doppia negli schizofrenici con abuso rispetto ai non abusatori (Pencer et al., 2005). In una nostra casistica di pazienti in trattamento per primo episodio psicotico presso il Centro di Salute Mentale Ovest, circa un terzo dei pazienti presentava anche abuso di sostanze, che in un caso su tre è la cannabis utilizzata da sola e in circa tre quarti dei casi insieme ad altre sostanze. Nel confronto tra i pazienti abusers e gli altri (non abusers) sono emerse alcune interessanti differenze, valutate al momento della presa in carico: in primo luogo, sono più frequentemente uomini nativi e sono più giovani all’età di esordio; inoltre sono anche più spesso single e conviventi con la famiglia di origine. Come già emerso in numerosi lavori internazionali, (Sevy et al., 2001; Buhler et al.,2002; Linszen et al., 1994), anche il nostro campione di pazienti con psicosi e abuso di cannabis presenta un primo episodio precocemente rispetto ai non abusers. Pare inoltre confermato anche nella nostra realtà metropolitana che l’esordio della psicosi determini, poi, un arresto nello sviluppo delle abilità sociali, con conseguenti ripercussioni negative sul livello di funzionamento del paziente. Nel confronto tra i pazienti abuser e gli altri (che definiremo non abuser) emergono alcune interessanti differenze, valutate al momento della presa in carico e del conseguente inserimento nello studio. In primo luogo, l'età di esordio è precoce negli abuser, con una media di 22.6 anni, rispetto ai non abusers, che presentano un’eta media di esordio di 23.8 anni. Per quanto riguarda le modalità di invio al servizio, possiamo notare come gli abusers arrivino più frequentemente in seguito a un ricovero in SPDC o altre vie quali il SerT o le Forze dell’Ordine. Infine, chi abusa di sostanze più raramente ha un’occupazione rispetto a chi non fa uso di sostanze che lavora o studia nel 40% dei casi. Andando a valutare il decorso della psicosi, abbiamo riscontrato una maggiore frequenza di ricoveri ospedalieri negli abusers rispetto a non abusers, sia al momento dell’ esordio, che successivamente al follow up a 3 mesi e 12 mesi. Inoltre, mentre i 2/3 dei pazienti all’esordio riprendono un’attività lavorativa o di studio entro un anno, meno della metà dei pazienti abusers ritorna ad essere attivo a un anno dall’esordio.




Conclusioni



Nella nostra esperienza, la cannabis è risultata essere la sostanza più frequentemente utilizzata dai pazienti all’esordio psicotico afferenti ai Centri di Salute Mentale. I nostri dati sembrano confermare una precocità di esordio tra gli abusatori di cannabis. Gli abusers mostrano un peggiore decorso sia da un punto di vista clinico, che sociale: tali pazienti, infatti, presentano una maggiore necessità di trattamenti in regime ospedaliero e un funzionamento sociale, in particolare lavorativo, maggiormente compromesso, sia all’esordio che nel follow-up. Pare inoltre confermato anche nella nostra realtà metropolitana che l’esordio della psicosi, soprattutto se accompagnato dall’uso di cannabis, determini un arresto nello sviluppo delle abilità sociali, con conseguenti ripercussioni negative sul livello di funzionamento del soggetto. E’ oggi, dunque, prioritario sviluppare programmi di intervento attenti ai bisogni specifici dei pazienti abusers in particolare stabilendo un forte collegamento con i servizi SerT di cura per le tossicodipendenze, in modo da garantire interventi duplici che tengano conto delle necessità di pazienti al primo esordio psicotico con associato abuso di sostanze.




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Ilaria Tarricone, Alessandra Paparelli, Fabio Allegri e Domenico Berardi
(Istituto di Psichiatria, Università di Bologna)




Chi fosse interessato a un contatto può scrivere a ilaria.tarricone@unibo.it