Cannabis e psicosi: un viaggio da
evitare
Tra le affezioni Anoressia Nervosa:
La cannabis è nota da circa 4000 anni per i profondi effetti sulla
mente. Il più antico testo cinese sulle piante medicinali, il Pen T’sao
Ching, che si fa
tradizionalmente risalire al mitico imperatore Shen Nung (2737 a.C.),
la raccomanda per “disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria,
stipsi e debolezza mentale”, ma, aggiunge, si tratta di una medicina da
usare con cautela: come avverte il compilatore, una dose eccessiva “fa
vedere demoni”. E sono ormai secoli che l’uomo la utilizza sopratutto
in vista dei suoi effetti psicologici. Il viaggio, lo sballo, il trip
sono solo alcuni degli epiteti metaforici con cui nel linguaggio comune
si indicano gli effetti psicologici derivanti dall’uso di sostanze
psicoattive. Lasciamo agli studiosi del
comportamento umano e delle scienze sociali l’interessante ricerca
delle spiegazioni per cui molti, quasi un quarto degli adulti nel corso
della vita, decidono di percorrere queste vie per allontanarsi dalla
quotidianità e sperimentare nuove sensazioni.
Ci avviciniamo a questo tema da medici, psichiatri, a causa della
frequenza dell’uso di cannabis nei nostri pazienti, soprattutto nei
nostri giovani pazienti all’esordio di un disturbo psicotico; e ce ne
preoccupiamo a causa delle nostra esperienza clinica di come sia
peggiore il decorso e più complicata la guarigione psicologica e
sociale nei nostri pazienti che usano la cannabis.
Il legame tra uso di cannabis e sviluppo di schizofrenia dovrebbe
essere considerato di estrema importanza per la salute pubblica, perché
la cannabis e la terza sostanza più utilizzata al mondo dopo alcool e
tabacco (Murray et al., 2007). Recenti progressi nel comprendere il
meccanismo del sistema cannabinoide umano, studi epidemiologici,
clinici e sperimentali sull'effetto della cannabis ci permettono oggi
di capire meglio i suoi effetti. Se da un lato medicinali a base di
cannabis sembrano essere utili nel trattamento del dolore cronico come
anche nei malati di sclerosi multipla nel controllarne la spasticità
(Pacher et al., 2006), d’altro canto sempre maggiori evidenze
scientifiche tendono ad evidenziare come il suo eccessivo utilizzo
accresca il rischio di malattie psicotiche, come la schizofrenia, e ne
aggravi il decorso (Moore et al., 2007; Arseneault et al., 2004;
Fergusson et al., 2006; Barnett et al., 2007; Green et al., 2005).
Quali sono gli effetti della
cannabis nell’uomo?
Secondo la definizione dell’O.M.S., dal punto di vista
farmacologico, si definiscono "droghe" tutte le sostanze che modificano
la psicologia o l'attività
mentale. Anche se molte persone non guardano la cannabis come una
sostanza dannosa e il suo uso a scopi ricreazionali sembra oggi
paragonabile a
quello che se ne fa dell'alcool, della nicotina e della caffeina, una
scelta di vita cioè culturalmente accettabile (Murray et al., 2007),
l’effetto psicoattivo della cannabis e appunto quello di una droga.
Moreau JJ, il primo psichiatra del XX secolo interessato alla
psicofarmacologia, descrisse dettagliatamente la sua esperienza con la
cannabis (Moureau, 1973). Prese lui stesso la cannabis invitando i suoi
studenti a seguire il suo esempio. Inoltre ne somministrò anche ai suoi
pazienti. Per gli standard moderni la dose utilizzata era
esageratamente elevata. L`effetto su uno dei suoi assistenti, che
ingoiò circa 16g di cannabis, presumibilmente contenente centinaia di
mg di THC (che oggi sappiamo esserne il principale costituente
psicotropo della cannabis) fu di intensa agitazione, incoerenza,
delirio e allucinazioni. Sulla base di numerosi altri esperimenti
simili Moreau dichiaro che :“non c’è una singola, elementare
manifestazione di malattia mentale che non possa essere trovata nel
cambiamento mentale causato dall’utilizzo di hashish, dal semplice
eccitamento maniacale al franco delirio, dal più debole degli impulsi,
a più semplice fissazione, il minimo danno al senso, alla pulsione più
irrefrenabile, il delirio più selvaggio, la maggior varietà di
disordini del comportamento” (Moureau, 1973).
Le basi fisiologiche e biochimiche che sottendono la relazione tra
consumo di cannabis e malattie mentali sono ancora oggetto di
discussione e di studio (Mechoulam e Hanus, 2004).
Una intossicazione acuta da cannabis può essere determinata anche da
una singola dose, e si manifesta con effetti sia fisici che psichici.
Tra gli effetti fisici ricordiamo: diminuita salivazione, secchezza
delle fauci, arrossamento congiuntivale, accelerazione del polso,
ipotensione in ortostatismo, riduzione della pressione intraoculare,
riduzione delle capacita motorie e della concentrazione, stimolazione
dell’appetito e in dosaggio acuto tachicardia. Gli effetti psicologici
secondo Anonynous (1969) e Tari (1971) sono riconducibili ai seguenti
aspetti:
1) Percezioni sensoriali. La cannabis non causa di norma allucinazioni
(cioè percezioni in mancanza di oggetto), ma intensifica le percezioni.
In particolare, le percezioni visive risultano essere più acute nei
contorni, nei colori e nella profondità delle immagini. Uno degli
effetti più tipici della cannabis è quello sulla percezione sonora: i
consumatori percepiscono in misura più marcata la separazione spaziale
delle fonti sonore; i suoni possono evocare immagini e colori. Alcuni
soggetti riferiscono sinestesie, ovvero i suoni assumono qualita visive
e cromatiche. Anche le percezioni tattili, gustative e olfattive
vengono incrementate rispetto allo stato normale.
2) Riferimenti spazio-temporali. Le distanze come anche la percezione
del trascorrere del tempo vengono spesso interpretate in maniera
differente, potendo apparire più lunghe o più corte del normale.
3) Processi mentali ed emozioni. La cannabis ha un effetto
intrinsecamente positivo sull'umore, determina infatti rilassamento,
serenità, tendenza al ridere. Inoltre i consumatori riferiscono una
maggiore recettività al lato comico delle situazioni, significati
diversi e profondi in situazioni ordinarie e familiari (jamais vu),
tendenza all'introspezione, pensieri vaganti, associazioni vivaci e
spontanee, sensazione di aumento dell'immaginazione e della creatività,
leggera tendenza alla disinibizione. Le emozioni però possono essere
amplificate anche in senso negativo. Ciò può provocare reazioni di una
certa gravità quali stati di ansia, panico, paranoia, disforia,
depressione, apatia e sintomi psicotici come allucinazioni uditive e
visive o idee persecutorie. I cannabinoidi assunti in dosi elevate
possono dare origine a “bad trip”, effetti spiacevoli o esperienze
negative, del tutto simili a quelle riscontrate durante l’assunzione di
allucinogeni. Si può parlare di delirium in soggetti in cui, a distanza
di ore o giorni dall’assunzione, compare un’alterazione della coscienza
con ridotte capacità attentive, modificazioni cognitive come deficit di
memoria, disorientamento ed alterazioni di linguaggio o presenza di
disturbi percettivi con fluttuazioni giornaliere. Generalmente tale
quadro si risolve con la risoluzione dell’intossicazione stessa o in un
arco variabile da ore a giorni (Pancheri et al., 1999).
4) Effetti comportamentali. La cannabis determina un’alterazione della
capacità di guida. Si ha infatti decremento nella risposta immediata,
nel recupero dell’abbagliamento, nella coordinazione motoria, nella
percezione della profondità, nel senso del tempo e nella visione
periferica. Sono poi danneggiati il tempo di reazione e la durata
dell’attenzione, insieme a incoordinazione motoria, deficit nella
memoria a breve termine, difficoltà di concentrazione (Iversen, 2003).
Il peggioramento delle capacità essenziali della guida permane per
almeno dieci ore dopo aver fumato.
Gli effetti cronici derivano dall'uso prolungato della sostanza e
incidono sullo stato psico-fisico dei consumatori anche al di fuori
dello stato di intossicazione. Abbiamo effetti sulla memoria: le
cellule nervose situate nell’ippocampo sono essenziali per
l’apprendimento e la sensazione di sintonia con le proprie emozioni.
Alcuni dati di studi sperimentali su animali suggeriscono che, quando
vengono usate di frequente e per un lungo periodo di tempo alte dosi di
marijuana potrebbero verificarsi una riduzione a lungo termine o anche
permanente di alcune funzioni mentali, in particolare la perdita
precoce di memoria (Pancheri et al., 1999). Nell’uso cronico si può
sviluppare anche un amotivational syndrome, caratterizzata da un
progressivo distacco affettivo dalla realtà. Secondo Schwartz (1987)
essa è costituita da sette componenti:
1. Perdita di interesse nelle attività e nelle cose in generale,
associata ad apatia, abulia e passività
2. Perdita della voglia di lavorare e indifferenza nei confronti dei
propri successi e/o insuccessi lavorativi
3. Perdita di energia, astenia, facile affaticabilità
4. Malinconia e irritabilità
5. Ridotta concentrazione
6. Trascuratezza nell’aspetto e nell’igiene personali
7. Uno stile di vita che dà la priorità a come procurarsi e consumare
cannabis.
Il quadro è analogo a quello riscontrato in soggetti abusatori di
tranquillanti. Altri effetti a lungo termine in abusatori cronici sono
caratterizzati dalla diminuzione delle performance scolastiche,
lavorative, di processazione delle informazioni anche in assenza di
intossicazione in atto (Ashton, 2001) e dall’insorgenza di sintomi
depressivi. Studi a riguardo hanno evidenziato che l’uso protratto
della stessa aumenta di 4 volte il rischio di sviluppare una
depressione maggiore (Bovasso, 2001).
In ultimo, alcuni studi hanno mostrato che può esistere una dipendenza
dai cannabinoidi di ordine psicologico, che comporta anche leggeri
sintomi dovuti all'astinenza. L'interruzione improvvisa dell'assunzione
di cannabis dopo un periodo di utilizzo cronico e ad alti dosaggi può
portare infatti in alcuni casi a craving, insonnia, agitazione, perdita
dell'appetito, irritabilità, rabbia, ed un aumento dell'attività
muscolare e dell'aggressività: una sorta di sindrome d’astinenza
(Budney et al., 2001).
Come agisce la cannabis sul
cervello?
Una forma temporanea di psicosi droga-indotta può
essere presente in alcuni consumatori di cannabis. In letteratura
psichiatrica alcuni la definiscono come "Psicosi da Cannabis" o
"Psicosi da Marijuana". Questa condizione sembra essere dovuta ad una
massiccia assunzione di cannabis, inalata o ingerita, e sembra
persistere finché il K9-THC (K9-Tetraidrocannabinolo) non è
completamente metabolizzato (Thomas, 1993 ; Hall, 2000 ; Johns, 2001).
Dunque il THC sembra essere da solo il responsabile degli effetti della
cannabis, confermato da esperimenti recenti su volontari in perfetta
salute
(Watchel et al., 2002) che mostrano come questo, da solo o
somministrato con i maggiori fitocannabinoidi, causi gli stessi
identici effetti.
La psicosi tossica acuta causata da cannabis può rappresentare un
quadro abbastanza serio da condurre il paziente al ricovero ospedaliero
e la diagnosi iniziale può erroneamente essere quella di schizofrenia,
dal momento che sono presenti molti sintomi tipici della schizofrenia,
tra cui deliri di persecuzione, di influenzamento e di grandezza,
inserzione del pensiero, allucinazioni uditive, alterazioni percettive
e appiattimento affettivo.
Queste evidenze hanno contribuito a formulare una "ipotesi cannabinoide
della schizofrenia", suggerendo che i sintomi del disturbo
schizofrenico potrebbero essere causati da un’anomala iperattività del
meccanismo degli endocannabinoidi (cannabinoidi cioè prodotti
dall’uomo) a livello cerebrale (Emrich et al., 1997). I cannabinoidi si
legano a specifici recettori nel sistema cannabinergico. Sono stati
caratterizzati finora due tipi di recettori per il K9-THC e i suoi
derivati sintetici: il recettore CB1, prevalentemente espresso nel
sistema nervoso ed in alcuni tessuti periferici, scoperto nel 1990
(Matsuda et al., 1990), e il recettore CB2, identificato finora solo in
cellule del sistema immunitario dei mammiferi, individuato per la prima
volta nel 1993 (Munro et al., 1993). A tali recettori si legano
normalmente i così detti cannabinoidi endogeni o endocannabinoidi. I
recettori dei cannabinoidi hanno una localizzazione presinaptica e ciò
suggerisce il ruolo dei cannabinoidi nella modulazione del rilascio di
numerosi neurotrasmettitori dagli assoni terminali. I
neurotrasmettitori coinvolti includono: L-glutamato, acido
γ-amminobutirrico (GABA), noradrenalina (norepinefrina), dopamina,
5-idrossitriptamina (5-HT o serotonina) e acetilcolina.
Poco si sa invece sul ruolo fisiologico del recettore CB2, di più
recente scoperta; esso sembra comunque coinvolto nella funzione di
modulazione del sistema immunitario (Iversen, 2003).
Il THC provoca la liberazione del messaggero chimico dopamina in
determinate regioni del cervello, come la regione mesolimbica (Pertwee,
1991); come noto, un eccessivo rilascio di tale neurotrasmettitore e
connesso alla genesi dei sintomi positivi della schizofrenia, quali
allucinazioni e deliri. Inoltre, gli effetti dei cannabinoidi sulla
neurotrasmissione dopaminergica nella corteccia prefrontale (CPF)
possono spiegare alcuni dei sintomi cognitivi provocati da alcuni
composti della marijuana.
La cannabis può causare la
psicosi?
Vari studi epidemiologici hanno cercato di stabilire un
nesso di causalità tra il consumo di cannabis e psicosi.
Nel 1987 Andreasson pubblicò uno studio sul Lancet (Andreasson et al.,
1987), oggi una pietra miliare, che portava una prova credibile di tale
legame. Nei quindici anni che seguirono, il peso della varietà di
investigazioni cliniche, epidemiologiche, e scientifiche in generale
divenne tale che agli inizi del 2000 sia la comunità scientifica che
l’opinione pubblica hanno cominciato a rendersi conto del significato
potenziale dell’utilizzo di cannabis. Cinque grandi studi longitudinali
( Zammit et al., 2002; Weiser et al., 2002; Arsenault et al., 2002;
Fergusson et al., 2003; Van Os et al., 2002) hanno messo in maggior
luce il legame che intercorre tra l’uso di cannabis e l’insorgenza
della schizofrenia. Tuttavia la precisa natura della relazione che
intercorre tra uso di cannabis e psicosi resta ancora da chiarire.
Alcuni studiosi hanno sostenuto, ad esempio, che non sia la cannabis a
facilitare l’esordio delle psicosi, ma le psicosi che facilitano l’uso
di cannabis, inducendo nelle persone che soffrono di schizofrenia o
disturbi correlati una sorta di automedicazione. Per cercar di trovare
sollievo dai sintomi negativi come l’intensa depressione che derivano
appunto da questa, i soggetti potrebbero ricorrere all’uso di cannabis,
come anche per ovviare agli effetti avversi degli antipsicotici. Alcuni
studi hanno infatti messo in luce come la cannabis riduca l’ansia, la
depressione e tenda ad aumentare la calma nei soggetti fruitori (Dixon
et al., 1990). Inoltre giacché molti individui che fumano cannabis
potrebbero anche fare uso o abuso di altre droghe potenzialmente
psicotogeniche come LSD, amfetamine e fenilciclidina, e impresa non
semplice capire a quale droga la psicopatologia si correli causalmente.
Una recente metanalisi di studi di associazione tra cannabis e
schizofrenia ha evidenziato che chi utilizza cannabis ha una
possibilita del 40% più alta rispetto a chi non ne fa uso di soffrire
di schizofrenia; inoltre la percentuale aumenta se aumenta la quantità
di cannabis consumata (Moore et al., 2007). Oggi l’ipotesi più
accreditata è che la cannabis rappresenti un fattore di rischio per la
schizofrenia in soggetti vulnerabili (DiForti et al., 2007).
Chi è vulnerabile a sviluppare
psicosi se usa cannabis?
Non tutti coloro che fumano cannabis sviluppano poi una
psicosi. Secondo stime recenti l’incidenza di sintomi psicotici nei
consumatori di cannabis e pari al 4,7% tra coloro che hanno cominciato
a 18 anni, e al 10,3% nei soggetti che hanno cominciato a 15 anni
(Arseneault et al., 2002). E comunque la media è stimata intorno al 3%
di coloro che sono consumatori abituali (Murray et al., 2007).
Perché quindi solo una piccola parte delle persone che fanno uso di
cannabis, anche in gran quantità, sviluppa psicosi? Caspi e colleghi
ipotizzarono che a spiegazione di questa vulnerabilità ci sia una base
genetica: in particolare, suggerirono che tra i fumatori di cannabis
fossero più esposti al rischio di sviluppare psicosi le persone
portatrici della variabile val/val del gene COMT, un gene preposto al
metabolismo delle catecolamine e quindi della dopamina. In individui
geneticamente vulnerabili, inoltre, l’uso di cannabis in adolescenza
sembra aumentarne ancora di più il rischio di schizofrenia (Arsenault
et al., 2002). Gli adolescenti sembrano più facilmente vulnerabili sia
per aspetti psicologici connessi con l’età, sia per fattori
neurobiologici. Infatti il sistema nervoso centrale degli adolescenti e
un sistema in maturazione ed è dunque più vulnerabile a effetti
stressanti (come la cannabis) di un sistema già maturo (Van Nimwegen et
al., 2005).
Di conseguenza è stato ipotizzato che i portatori dell’allele Val siano
quelli col più alto rischio di subire gli effetti psicogeni a lungo
termine dalla cannabis. Senza ovviamente mai ignorare gli altri fattori
ambientali e non come traumi subiti durante il parto, grado di
urbanizzazione, etnia, abusi sessuali in età infantile, relazione
conflittuale con la madre, fattori socio-economici (Murray et al.,
2007).
Infine, gli effetti “psicotizzanti” della cannabis sono favoriti, oltre
che dalla giovane età di inizio dell’abitudine al fumo, anche dalla
quantità di cannabis fumata, in particolare dalla quantità di THC. I
dati farmacologici danno informazioni non geografica. In più, è
difficile stimare una dose di THC dal numero di joints fumati o dal
numero di volte in cui un soggetto ha esaurienti sulla relazione
dose-risposta. La marijuana ad esempio contiene più di 60
fitocannabinoidi capaci di modulare l’azione del principale costituente
della cannabis, il delta-9-THC. Inoltre, oggi sappiamo che il contenuto
di THC nella cannabis è cambiato rispetto ad alcuni decenni fa, anche
grazie a migliori tecniche di coltivazione e che varia a seconda della
provenienza fatto uso di cannabis (Bakers, 1981): fattori come la
profondità con cui si fuma, la capacità vitale e lo spazio morto aereo
rendono difficile stimare la reale quantità di THC che raggiunge i
recettori CB.
Che effetto ha la cannabis sui
pazienti affetti da psicosi?
Regier e colleghi in uno studio del 1990 evidenziarono
come l’uso di sostanze sia 4.6 volte più alto nei pazienti psicotici
rispetto alla popolazione generale, con la cannabis al primo posto tra
le sostanze illecite d’abuso, circa 41% (Mueser et al., 1990). Si è
visto che l’uso di cannabis può rendere meno efficace il trattamento
antipsicotico e più problematica la remissione della sintomatologia
psicotica. In generale l’uso di cannabis è correlato con un maggior
tasso di ricadute e maggior numero di ricoveri ospedalieri, in
probabile associazione alla minore aderenza alla terapia (Hafner et
al., 2004; Caspari et al., 1999). In aggiunta, tali pazienti presentano
un peggior esito in termini lavorativi-sociali (Caspari et al., 1999;
Hambrecht et al., 2000; Grech et al., 2005) e un più difficoltoso
reinserimento sociale: la frequenza di disoccupazione è doppia negli
schizofrenici con abuso rispetto ai non abusatori (Pencer et al.,
2005).
In una nostra casistica di pazienti in trattamento per primo episodio
psicotico presso il Centro di Salute Mentale Ovest, circa un terzo dei
pazienti presentava anche abuso di sostanze, che in un caso su tre è la
cannabis utilizzata da sola e in circa tre quarti dei casi insieme ad
altre sostanze. Nel confronto tra i pazienti abusers e gli altri (non
abusers) sono emerse alcune interessanti differenze, valutate al
momento della presa in carico: in primo luogo, sono più frequentemente
uomini nativi e sono più giovani all’età di esordio; inoltre sono anche
più spesso single e conviventi con la famiglia di origine. Come già
emerso in numerosi lavori internazionali, (Sevy et al., 2001; Buhler et
al.,2002; Linszen et al., 1994), anche il nostro campione di pazienti
con psicosi e abuso di cannabis presenta un primo episodio precocemente
rispetto ai non abusers. Pare inoltre confermato anche nella nostra
realtà metropolitana che l’esordio della psicosi determini, poi, un
arresto nello sviluppo delle abilità sociali, con conseguenti
ripercussioni negative sul livello di funzionamento del paziente.
Nel confronto tra i pazienti abuser e gli altri (che definiremo non
abuser) emergono alcune interessanti differenze, valutate al momento
della presa in carico e del conseguente inserimento nello studio. In
primo luogo, l'età di esordio è precoce negli abuser, con una media di
22.6 anni, rispetto ai non abusers, che presentano un’eta media di
esordio di 23.8 anni. Per quanto riguarda le modalità di invio al
servizio, possiamo notare come gli abusers arrivino più frequentemente
in seguito a un ricovero in SPDC o altre vie quali il SerT o le Forze
dell’Ordine. Infine, chi abusa di sostanze più raramente ha
un’occupazione rispetto a chi non fa uso di sostanze che lavora o
studia nel 40% dei casi.
Andando a valutare il decorso della psicosi, abbiamo riscontrato una
maggiore frequenza di ricoveri ospedalieri negli abusers rispetto a non
abusers, sia al momento dell’ esordio, che successivamente al follow up
a 3 mesi e 12 mesi. Inoltre, mentre i 2/3 dei pazienti all’esordio
riprendono un’attività lavorativa o di studio entro un anno, meno della
metà dei pazienti abusers ritorna ad essere attivo a un anno
dall’esordio.
Conclusioni
Nella nostra esperienza, la cannabis è risultata essere
la sostanza più frequentemente utilizzata dai pazienti all’esordio
psicotico afferenti ai Centri di Salute Mentale. I nostri dati sembrano
confermare una precocità di esordio tra gli abusatori di cannabis. Gli
abusers mostrano un peggiore decorso sia da un punto di vista clinico,
che sociale: tali pazienti, infatti, presentano una maggiore necessità
di trattamenti in regime ospedaliero e un funzionamento sociale, in
particolare lavorativo, maggiormente compromesso, sia all’esordio che
nel follow-up. Pare inoltre confermato anche nella nostra realtà
metropolitana che l’esordio della psicosi, soprattutto se accompagnato
dall’uso di cannabis, determini un arresto nello sviluppo delle abilità
sociali, con conseguenti ripercussioni negative sul livello di
funzionamento del soggetto.
E’ oggi, dunque, prioritario sviluppare programmi di intervento attenti
ai bisogni specifici dei pazienti abusers in particolare stabilendo un
forte collegamento con i servizi SerT di cura per le tossicodipendenze,
in modo da garantire interventi duplici che tengano conto delle
necessità di pazienti al primo esordio psicotico con associato abuso di
sostanze.
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risk factor for schizophrenia in Swedish conscripts of 1969: historical
cohort
study. BMJ 2002; 325:1199-1212.
Ilaria Tarricone, Alessandra Paparelli, Fabio Allegri e
Domenico Berardi
(Istituto di Psichiatria, Università di Bologna)
Chi fosse interessato a un
contatto può scrivere a ilaria.tarricone@unibo.it
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