Editoriale
Sogno o son desto? Alcune volte, nel sonno, mi capita
di fare dei sogni talmente veri da sembrare reali; altre volte, molto
spesso, mi capita di sognare ad occhi aperti.
La linea che divide il sogno dalla realtà è molto sottile. Ed è
importante che sia così. Perché a mio modo di vedere è una importante
valvola di sfogo.
Quando ad esempio ci troviamo in una varietà di contesti, il sogno ci
viene in aiuto, proviamo a pensare quando ci troviamo di fronte a una
situazione estremamente noiosa, il sogno ci porta immediatamente in
luoghi e tempi lontani. Quando siamo a lezione e non riusciamo a tenere
il passo del docente lentamente scivoliamo nei nostri sogni più
idilliaci e vacanzieri.
Proviamo a pensare a quando siamo innamorati: la nostra attenzione è
calamitata sempre verso la persona amata. E non basta essere in mezzo
alla gente, fare sport, guidare un veicolo o essere di fronte ad un bel
piatto di pasta.
La mente cerca sempre di stare bene e che c'è di più bello per la mente
del sogno? Il suo realizzarsi.
Il sogno è quindi, oltre ad una valvola di sfogo, un modo della mente
di allenarsi alla realtà.
Eh già, i sogni: sia ad occhi aperti che chiusi possono essere brutti o
anche molto brutti. In questo caso si chiamano incubi. Talvolta sono
così emotivamente intensi che ci tolgono il sonno. Altre volte è più un
pensiero di paura che non un vero proprio sogno; ma il timore che possa
avverarsi un incidente stradale si può amplificare al punto di generare
una crisi di panico.
Un altro sogno da cui bisogna tenere le distanze è l'invaghimento per
una persona che non ricambia: oltre ad essere improduttivo non permette
di avere altre esperienze magari più belle.
Il sogno lo possiamo paragonare ad una potente medicina. Non dobbiamo
abusarne né farne a meno perché, ripeto, non c'è niente di più bello
che il realizzarsi di un sogno. Buon giorno e sogni d'oro.
Fabio Tolomelli
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Angelo Morbelli: ‘Sogno e realtà’
1905 (trittico ad olio)
Rivedendo questo dipinto, mi vengono a mente, i versi dei “Canti
Pisani” di Ezra Pound: “per costruire la città di Dioce / che ha
terrazze color delle stelle”… (Pound può di certo aver visto questa
opera pittorica )* ; ed anche mi viene da pensare ad un’astronave,
puntata verso l’infinito, i motori della quale, sono i due vecchi con i
loro dolori, coi loro affanni e tristezze.
Il trittico venne esposto in occasione della Biennale Veneziana del
1905 assieme al quadro “Le Parche”. Morbelli, nel dipinto, contrappone
alla malinconia degli anziani, partecipata affettuosamente,
l’evocazione onirica di un suggestivo idillio notturno.
La dialettica morte-vita è evidenziata dall’inserto, tra i due vecchi
collocati nei pannelli laterali, della raffigurazione di una giovane
coppia abbracciata affettuosamente al chiaror delle stelle. I due
anziani rivedono, in una sorta di flash-back, il loro passato felice,
che si contrappone alla condizione di degrado del presente.
Implicitamente è la sottolineatura della continuità della vita, del suo
perenne fluire.
In ciò il trittico mostra un esplicito spessore simbolico,
fortunatamente non troppo elaborato ed ermetico.
Piergiorgio Fanti
* La “città di Dioce”, è la
città ideale che Pound cita più volte nelle sue poesie, riferendosi ad
Ecbatana, fondata dal primo sovrano dei Medi, il leggendario Deioce. In
base alla descrizione di Erodoto, essa veniva rappresentata con sette
terrazze gradonate che corrispondevano ai sette pianeti e
rispecchiavano sulla Terra la gerarchia celeste della luce. (n.d.r.)
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I sogni
I sogni rappresentano le nostre paure e i nostri
desideri più nascosti. Raramente i sogni seguono quelle regole
razionali che caratterizzano la nostra vita da svegli.
E' vero: ci son sogni che ci trasmettono negatività, ma accanto ad essi
vi sono sogni che danno festosità all'individuo: per me vi sono sogni
così belli che fanno passare di gioia in gioia attraverso la
“nigritudine” di questa vita. Purtroppo abitualmente dopo poco tempo i
sogni si scordano.
Il sogno non è che illusione deformata di ciò che c'è dentro la nostra
psiche, è come un sasso che cade in un lago e non torna più a galla.
Secondo il primo moderno indagatore dei sogni, Sigmund Freud, padre
della psicoanalisi, il sogno sarebbe la realizzazione di un desiderio
inappagato, per lo più di natura sessuale, della nostra vita cosciente,
anche se il suo contenuto manifesto vela il suo autentico contenuto
latente, e spetta allo psicoanalista scoprire quest'ultimo.
Per Carl Gustav Jung, invece, il sogno è una sorta di auto-terapia, che
serva a ricostruire, durante il sogno, il nostro equilibrio
psicologico; inoltre pur avendo caratteristiche individuali, per Jung i
sogni legano il sognatore a quell'inconscio collettivo che è comune a
tutti gli uomini.
Ave Manservisi
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Considerazioni sul sogno
Da dove comincia il sogno? Da un desiderio, o magari da
un conflitto con la realtà. Animi divisi, diversi. Desiderio di
staccarsi dalla banalità e normalità della vita, intesa come forma e
non come contenuto vivo in sé. Il sogno ci conduce, sia attraverso un
processo onirico, sia attraverso le proiezioni immaginarie della
fantasia nella veglia, ad un’aberrazione della realtà, vissuta in
questo modo senza limiti di spazio e di tempo.
Cognizioni, regole e persone, nel sogno onirico si mescolano dando vita
a vere e proprie rappresentazioni, a volte meglio di un vero film
diretto da qualche celebre regista (ad esempio i film di Fellini ci
riportano spesso ad immagini e rappresentazioni oniriche, in quasi
tutte le sue opere cinematografiche: “Otto e mezzo”, “La voce della
Luna”, ”Le strane tentazioni del prof. Antonio”…)
Nei primi anni del Novecento si occupò egregiamente e approfonditamente
di questo argomento il celeberrimo dottore (nonché, secondo me,
filosofo) Sigmund Freud. Nella sua opera imperitura “L’interpretazione
dei sogni” tradotta in numerose lingue, egli si occupa del sogno in
tutte le sue forme, puntando più che altro sul significato dei sogni,
visti come simboli. Egli introduce l’argomento partendo da teorie
antiche. Per esempio i Greci credevano in un significato divino dei
sogni, gli Egiziani li definivano proiezioni dell’aldilà, gli Ebrei
rivelazioni.
Nell’Antico Testamento vi erano alcune persone, “i profeti” che erano
chiamati a questo compito di interpretare, cioè “divinare” (da qui il
termine “divinazione”) i sogni dei re, a volte anche dei Faraoni.
Notissimo l’episodio di Giuseppe, che interpretò per il Faraone un
sogno dove sette vacche magre mangiavano sette vacche grasse. Il
faraone fu molto turbato da questa rivelazione, che altro non era che
l’annuncio di un’imminente carestia che avrebbe colpito l’intero Egitto
e parte della Mesopotamia, ma utilizzando la propria saggezza e la dote
divinatoria del profeta, riuscì a mettere
da parte una consistente quantità di grano per far fronte alla carestia.
A parte queste considerazioni, legate all’aspetto reale dell’esistenza,
si può immaginare, attingendo ad altre fonti, la vera natura, quella
più spirituale, soave ed irreale del sogno. Il sogno visto non come
metafora delle vicissitudini della realtà quotidiana, vissuta in modo
passivo e materiale: relazioni umane precarie, false, costrette,
banali, scontate, impoverite dell’amore e dell’amicizia, dalle quali
peraltro dovrebbero nascere… Il sogno ci porta fuori da tutto questo e
dentro di noi.
Perché il sogno nasce libero, il sogno nasce dalla speranza, e dal puro
essere divini. Il sogno va contro le ipocrisie e le costrizioni della
vita quotidiana. Partendo dal presupposto che l’essere umano è stato
creato libero e divino ed è creatore al tempo stesso della propria
natura umana, da cui, insieme al dna e alle doti ereditarie, derivano
il carattere, la personalità, le esperienze…
Personalmente come sogno onirico ho sempre preferito, fin dalla prima
infanzia, il sogno di volare. Quante ansie e paure scaturiscono da un
mondo imperfetto, superficiale e frenetico come è quello di oggi, con
tanto consumismo che ci rende schiavi della realtà e della finzione
(intesa come finto benessere, o far finta di star bene) e ci impedisce
di volare.
Volare è aprire le ali dell’anima su boschi antichi e profondi, o su
nuovi orizzonti, mondi sconosciuti, lasciando che i sentimenti si
uniscano…
I sogni ad occhi aperti sono quelli della musica, della danza,
dell’unione delle anime, del Paradiso. Qualcosa di immaginario, che va
oltre il normale senso dell’immaginario. È dentro di noi, come scritto
in un libro. E a noi il compito di illustrarlo, di inscenarlo, di
musicarlo, per interpretarlo, ma soprattutto di sognarlo (Esempio: il
teatro dionisiaco). Solo così diventa vero.
Il mondo dei sogni esiste, così come il Paradiso e i suoi angeli.
Spaziare da ogni parte. I sogni notturni sono luoghi popolati da
immagini, ricordi, suoni, sensazioni, persone. Quelli ad occhi aperti
sono luoghi veri. Anche gli antenati e i defunti ci parlano attraverso
i sogni, quelli notturni. “Ognuno l’ha / nella tomba sta, ognuno l’ha /
nella culla sta” …(da S. Freud, “L’interpretazione dei sogni”)
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I sogni sono spazi aperti dove l’anima respira a pieni
polmoni, come boschi e foreste.
Nel sogno c’è anche il senso della contraddizione e dell’assurdo.
Giorgia Bolognini
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Dove si parla di sogno
Tutti i grandi uomini sono dei
sognatori.
Vedono cose nella leggera foschia primaverile,
o nel fuoco rosso della sera d’un lungo inverno...
Alcuni di noi lasciano morire questi grandi sogni,
ma altri li nutrono e li proteggono;
abbiatene cura nei giorni brutti
affinché portino il sole e la luce che viene sempre
a chi spera col cuore che i propri sogni si avverino.
Woodrow Wilson
Durante il corso di Scienze, si è provato ad affrontare il tema Sogno
dal punto di vista scientifico.
Si riportano di seguito le osservazioni di gruppo:
Il sogno, ricordare il sogno, sognare ad occhi aperti, il sogno figlio
di una mente oziosa… neppure la stessa esistenza ha mai interessato
quanto il 'processo onirico'.
Se biologicamente il sogno può essere ridotto come conseguenza di un
atto finale di complesse reazioni chimiche a livello cerebrale, solo
attraverso l'emozione e la poesia il sogno assume caratteristiche più
seducenti.
Si è cercato, attraverso la lettura e il commento di un breve testo nel
quale si descriveva la fisiologia del sonno e, per conseguenza, del
sogno, di esprimere le proprie sensazioni attorno ad una esperienza
comune.
Non è semplice parlare di qualcosa che investe la propria intimità, se
non accennando genericamente ad essa, come ad esempio il discutere
della difficoltà di ricordare il sogno, parlare del sogno ricorrente,
del bel sogno, letteralmente così, che può addolcire una giornata
difficile appena trascorsa e del rammarico, al risveglio, di non
poterlo più rivivere.
Il personale sentimento del pudore ha invece allontanato la descrizione
dei propri incubi e dei desideri che il sogno esalta rendendoli
manifesti e che rappresentano, a volte, pulsioni difficilmente
confessabili.
E' stato invece abbastanza semplice raccontare dell'assurdità di certe
situazioni che il sogno spesso impone.
Se il sogno poi diventa materia di narrazione letteraria o
cinematografica esso può divenire argomento di una ulteriore
divagazione, proprio come il sogno che non ha in fondo una logica così
ragionevole, passando da una immagine all'altra, da un disegno
coloratissimo ad uno scarabocchio appunto.
Pietro Busi
Corso Scienze - Casa Mantovani, giugno 2011
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Sognare fa bene alla salute
SONNO E VEGLIA
Gli esseri umani hanno al loro interno una sorta di orologio biologico
che influenza alcuni processi fisiologici e che condiziona le ore di
veglia e quelle di sonno.
Il funzionamento di questo orologio corrisponde al ciclo circadiano
(dal latino circa diem = circa un giorno), il quale regola attraverso
l'azione di messaggeri chimici e nervosi i processi organici che
avvengono ogni giorno nel nostro corpo.
FASI DEL SONNO
Gli studiosi hanno evidenziato che il sonno non è uguale per tutta la
sua durata ma è caratterizzato dalla presenza di 2 fasi principali:
1) la fase non-REM (sonno ortodosso)
2) la fase REM (sonno paradosso)
Il termine REM deriva dal fatto che durante tale fase gli occhi si
muovono con movimenti ritmici rapidi (dall'inglese rapid eye movements
= movimenti oculari veloci). In questa fase, che si verifica
normalmente 4 o 5 volte per notte, si fanno sogni molto intensi.
Il termine sonno paradosso deriva dal fatto che l'elevata attività
celebrale e i rapidi movimenti oculari che caratterizzano questa fase
sono in contrasto con il grado di generale rilassamento muscolare.
Durante la notte si verificano diversi cicli del sonno della durata di
90-100 minuti caratterizzati dal passaggio attraverso vari stadi del
sonno e la fase REM.
Stadio 1
L'attività celebrale rallenta e le onde alfa
dell'elettroencefalogramma, che sono tipiche dello stato di veglia in
rilassamento ad occhi chiusi, vengono sostituite da ondulazioni
abbastanza regolari.
Stadio 2 - "SONNO LEGGERO"
In questo stadio prevalgono le onde con brevi esplosioni di attività
celebrale, "fusi del sonno".
Stadio 3 - "SONNO PROFONDO"
Le onde cerebrali diventano lente e grandi. E' il primo sonno vero e
dura circa la metà del tempo totale del sonno.
Stadio 4 - "SONNO PROFONDO EFFETTIVO"
E' quello del sonno più profondo, quando il nostro organismo si
rigenera. Le onde corrispondenti all'attività cerebrale di questo
momento sono piuttosto lente.
Le fasi di sonno REM, della durata di circa 15 minuti, sono
caratterizzate da sogni intensi e da movimenti oculari ritmici e
rapidi. Nel corso della notte
diminuiscono progressivamente le fasi di sonno profondo e aumentano di
durata e di intensità le fasi REM. Un giovane adulto arriva al sonno
REM più o meno 90 minuti dopo l'addormentamento; questa fase, che si
ripete all'incirca ogni 2 ore, dura sempre un po' di più fino ad
arrivare al momento più lungo che precede il risveglio.
I vari studi fatti sul sonno concordano nell'affermare che sia il sonno
REM che quello non-REM sono necessari per essere in buona salute, ma
ancora non si conosce bene il ruolo specifico di ognuno.
Sappiamo che durante il sonno non-REM si ha una produzione elevata
dell'ormone della crescita che è vitale per la salute fisica, mentre
nel sonno REM aumenta il flusso sanguigno verso il cervello e questo è
utile per la salute mentale. Se una persona è disturbata in fase REM o
nel momento di sonno profondo, facilmente presenta sintomi di stress e
di nervosismo.
Dal sito www.benessere.com
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Lettera sul sogno e lo Zen
Se siamo addormentati possiamo fare tre tipi di sogni:
sogni proiettivi, sogni onirici, sogni premonitori…
Se invece siamo svegli e pensiamo sogni e desideri… e ci poniamo nel
tempo immaginario della vita, le cose cambiano drasticamente.
Perché se ci si trova ad essere vivi e sentiamo, con una percezione
segreta e sottile, che dobbiamo vivere ancora tre giorni, allora siamo
costretti a pensare che nulla si può più trattenere sensualmente…
Allora la vita è stata un sogno, poiché non è più reale, e pensiamo
solo di entrare nel sogno della morte.
Se invece ci troviamo nel tempo immaginario di ciascuna decade di vita
- e chiamare ciascuna decade “sogno 1, sogno 2, sogno 3… eccetera”,
allora avremo due opportunità: o scegliere e conquistare, o non poter
scegliere né conquistare.
Chi può scegliere e conquistare consuma o trasforma il sogno in realtà,
però ogni realtà è una trappola e quindi chi può farlo consuma il sogno
o passa di trappola in trappola.
Secondo caso: non poter scegliere né conquistare. Allora si lascia
tutto così com’è, o si lascia che sia tutto un sogno.
Luigi Zen
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Un sogno ad occhi aperti, un
sogno ricorrente, un sogno pauroso
Contributi dall’Ottonello
È l’istante preciso in cui tocco l’acqua, in cui mi
apro un varco con le mani, dopo essermi lanciato da una roccia a picco
sul mare. Sento il corpo aderire perfettamente al liquido, senza spazi
vuoti, come un sacco amniotico in cui sguazzare. Ma dura solo un attimo.
Quando apro gli occhi mi trovo nella mia cameretta di quando ero
bambino, tutto è esattamente come allora. C’è il letto contro la parete
di legno, la scrivania di fianco alla finestra e gli scaffali con i
libri sopra. Ci sono giocattoli sparsi sul pavimento, le piste con le
macchinine elettriche, alcuni fogli di carta sulla scrivania accanto
alla matita e alla gomma. Su uno di questi fogli è disegnato un angelo,
reclinato carponi con le braccia intorno alle ginocchia. Le ali
scendono dalle spalle fino a toccare i piedi, la testa è appoggiata
sulle gambe.
Guardandomi intorno, la sensazione è quella di essere un estraneo, o
meglio, di riconoscere tutto, di affondare nel ricordo, ma di essere
comunque un adulto che si guarda intorno nella sua vecchia cameretta.
Quando apro la finestra i fogli cominciano a svolazzare, si sollevano
dalla scrivania e roteano nell’aria senza mai fermarsi. Poi diventano
fili lunghi, lunghissimi, che si innalzano fuori dalla finestra. Mi
appoggio ad essi e vengo portato via, attraverso l’acqua trasparente.
Trattengo il respiro, chiudo gli occhi e scivolo lontano.
Quando torno ad emergere dall’acqua capisco che è un aquilone a
sollevarmi. A portarmi lontano, nel cielo, nell’azzurro, tra le nuvole.
Soltanto che è tutto alla rovescia. Volo e vedo sopra di me il mondo, i
tetti delle case, le strade, la città deserta. Volo, volo, niente
sembra potermi fermare.
Attraverso città e paesaggi. Vedo l’acqua sopra di me, i monti, la
neve, le cime delle torri, i fili dell’alta tensione. Improvvisamente
una mano gigante afferra l’aquilone e mi trascina a terra. È come
essere dentro una di quelle palle natalizie che le giri e le rigiri per
far scendere la neve. Quando mi appoggia per terra mi sento strano.
Sento che fatico a restare con i piedi appoggiati, non c’è gravità.
Oppure è la leggerezza quella gravità.
Ora sono io l’angelo, ho le ali, sono uguale a quello che era disegnato
sul foglio, nella mia cameretta. Non sto reclinato carponi con la testa
sulle ginocchia, ma ho le catene alle caviglie. Chiedo al gigante:
“Perché ho le catene?” Ma il gigante scompare, e con lui anche le
catene.
Anonimo
Sogno sempre il mio passato in Brasile ( San Paolo),
quando ero piccolo.
Quando mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi vedo davanti a me una
scena che ricorderò per sempre: quando abitavo nelle “Favelas”, e vidi
questa onda distruggere il mio quartiere, e i miei vicini morire
annegati nell’alluvione.
C’era un totale caos, fra urla e macerie. Quel giorno è stato veramente
un inferno.
Anonimo
Durante la notte faccio molti sogni. Quando la giornata
è stata piena di stress, oppure ho avuto dei dispiaceri o altri fattori
che mi hanno disturbato, ecco che nella mia psiche entra in funzione il
sogno pauroso. Sogno di essere rapinato da persone balorde, di essere
accoltellato…
E tutto questo accade perché prima di coricarmi a letto ho visto alla
televisione programmi sulla Shoah, o film horror, eccetera.
L’unica soluzione per evitare queste paure è leggere libri di diverso
argomento, tipo fiabe, libri di teologia, storia greco-romana… e non
guardare alla televisione cose che turbino psicologicamente.
È meglio leggere un buon fumetto di “Braccio di Ferro” o “Topolino”,
per avere una vita tranquilla senza sogni paurosi.
Anonimo
Questo è un sogno particolare, o meglio un incubo,
anzi, la realtà… che prosegue da anni, come se per la gente gli anni
fossero semplicemente ore o al massimo giorni.
La causa di ciò: un amore finito (F-I-N-I-T-O), verso una povera donna,
con la quale tutti vorrebbero che io mi mettessi assieme per forza,
confondendo, nel migliore dei casi, le loro aspettative con i miei del
tutto inconsiderati desideri.
Eh, sì, perché sono dieci anni (D-I-E-C-I anni!) che il mio sentimento
per questa persona è finito, morto, e non tornerà più…
Nonostante ciò a tutt’oggi devo ancora subire costanti condizionamenti
da persone che vogliono, pretendono di farsi bellamente i fatti miei,
senza conoscerli neppure lontanamente.
Mi chiedo e vi chiedo: a quando la fine di questo terribile “sogno” e
il ritorno alla quiete ed all’essere finalmente dimenticato?
M.B.
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Il sogno ricorrente
I miei sogni ricorrenti sono
tutti legati al periodo scolastico e rappresentano tutte le mie ansie
di quel periodo. Nel mio sogno più ricorrente mi trovo durante l’ultimo
giorno di scuola e aspetto con molta ansia i quadri che informano le
persone della loro promozione o della loro bocciatura . È un giorno
importante per il mio destino perché in quel giorno si decide molto del
mio futuro.
Nel sogno la voce di un compagno dice che nella scuola sono stati tutti
promossi tranne una persona; il nome di questa persona verrà stampato
in qualche modo in sovraimpressione su uno schermo.
La tensione aumenta sempre di più; le mani sono sudate; le gambe
tremano. Alla fine viene fuori il nome: SONO IO!
Scoppio in lacrime, sto veramente male, provo molta vergogna… Ma per
fortuna mi sveglio nella tranquillità della mia camera. Sono felice che
sia stato solo un brutto sogno, e ancora più felice di non andare più a
scuola.
Cristicchi
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Aforisma
C’è chi sa sognare per sé stesso e cerca di
interpretare il proprio sogno.
E c’è chi non sa sognare: se qualcuno fa un sogno che lo riguarda è
perché lui gli ha appaltato il sogno.
Luigi Zen
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“I sogni”: verità a occhi aperti?
I miei sogni hanno una doppia valenza: da una parte
faccio incubi catastrofici, mentre dall'altra ho sempre sogni pieni di
idee, soprattutto per il fumetto de “I Supreme Angels” (vi ricordo il
sito internet, che avrei desiderio visitaste:
http://dariosupremeangels.blogspot.com, dove trovate sia il libro che
il fumetto: è in continuo aggiornamento).
A volte mi pare che “il mio stesso vivere” sia un sogno e, più
precisamente, uno strano incubo:
― si possono incontrare persone “deficienti”, le quali hanno il cuore
duro come la pietra e si comportano, di conseguenza, in maniera tale
che:
a) per loro il prossimo non esiste;
b) hanno voglia solamente di far soldi;
c) sono semplicemente degli ignoranti;
― mi pare che le parolacce siano diventate una moda per chi vuole farsi
grande ma, come dice la mitica Mia Martini, nella sua canzone “Gli
uomini”, se prendi queste personalità una alla volta, sono solo degli
imbecillotti senza alcun potere;
― le ragazze moderne, “si pigliano” i ragazzi, solo perché pensano che
siano delle loro banche personali da utilizzare a loro comodo (e qui mi
viene da pensare: dove sono finiti i sentimenti ???);
― quando vado in giro per la città vedo ripetuti, come in un gigantesco
labirinto, gli stessi identici negozi (ottiche - in zona di Via
Indipendenza ne avrò contate una dozzina !!! - , abbigliamento, scarpe,
bar, tabacchi, gioiellerie, gelaterie, parrucchieri) e, a malincuore,
noto che solo ogni tanto sbuca finalmente qualche negozio carino
(giocattoli, chincaglieria, mercatini dell'usato, eccetera...
eccetera...);
― inoltre, vedo tanta “tristezza” per le strade in quanto, a mio
parere, si è persa l'idea di amicizia; saranno forse i TG che
influenzano la mente della gente ??? E sarà anche questa crisi che,
toccando il portafoglio, mette la gente in una forma di difesa, tanto
poi da evitare i rapporti reciproci ???
Tutto questo mi porta ad una grave depressione e quindi mi pare che
anche quando mi sveglio, nel vero senso della parola, cioè dal dormire
passo alla veglia, spero che la giornata in arrivo sia un buon sogno.
Attualmente, grazie a mio zio Francesco, al mio amico Massimiliano e ai
consigli delle mie due nonne, ho ridotto di molto questa sensazione di
“incubo a occhi aperti”.
Dario Baietti
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Bologna venerdì 9.04.04
Oggi è Venerdì Santo
(voglio andare a San Francesco: il Sepolcro di Cristo è bellissimo).
Ho sognato una tigre.
Forte, ma non aggressiva.
Era sola, ma tranquilla.
Era a casa, nel suo Mondo e in Pace.
Tina
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Si spegne la notte
Comprimo con forza
quest’ombra al muro gelido
cristallo di rocca
coppa rinascimentale
e oro zecchino
una bianca! una luce!
E riappare all’aria sminuzzata
il sentore d’un tempo:
eravamo e ridevamo, ricordi?
Ma rifiutavo il glissare
molle, troppo facile
sibilando, sfrecciando intoccabile
seimila metri più alto.
Sordido tonfo
la sferza sul volto soffia
di fronte un suono (free?!)
disintegra nel metallico;
E vengono spuma e sangue alla luna
dissimulati filamenti di luce.
Diverranno drammatici
(drammatico spasimo)
l’inganno trascinerà tre mesi
tre mesi di morte;
Ma una notte
come riflesso in specchio
degli Arnolfini di Bruggia
improvviso riavevo.
E ora? Vuoto, senza più credere
a sperare, a ricordare
a cercare di non
ricordare (il ruolo è il mio conflitto).
Ritorna lo swing, ritorna
(lingue d’ombra dissolvono
in contorni sfilacciati)
la notte d’oro zecchino
coppa rinascimentale
e gelido cristallo di rocca
si spegne in un sogno finito.
Si spegne.
Piergiorgio Fanti
(dalla raccolta “Cristallo di rocca”)
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Esaudire i desideri
Quanti desideri hai?
Ti aspetti forse troppo?
E’ possibile che molto
di quello che ti aspetti
non si riesca ad avverare…
Comunque tu non perdere mai
la voglia che hai di progettare,
questa ti rende la vita
sicuramente più piacevole,
ti dà continui stimoli,
e motivazioni per andare avanti.
Cerca sempre
di pensare a cose che siano
alla tua portata,
senza perdere il contatto
con la realtà!
Cerca di fare delle piccole azioni
che concretamente
ti possano avvicinare
a ciò che brami.
Impiega tutto il tuo tempo libero
cercando di rendere
concreto quello che fai.
Sviluppa il tuo istinto
che ti condurrà
a riuscire a domare il destriero…
Non essere indolente,
abbandona la pigrizia,
cerca d’essere soddisfatto
a fine giornata per tutto.
Segui il tuo carattere
senza però farti travolgere,
ma cercando di realizzare i desideri
senza relegarli a sogni.
Che possa rimanere sempre
in te accesa la capacità
di desiderare...
Loopa Sonivree
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La solitudine
Albero privo di rami e foglie
Solo il tronco dritto punta il sole
Ma è senza occhi
Non avverti né luce né calore
Mute sono le tue labbra
Il buio la sua compagna
Respiri piano senza rumore
Così, l’alba giunge,
Assopito tra veglia e sonno
Il tempo inesorabile
Volta le pagine della tua vita
Tu solingo passi le notti
Mentre giovinezza se ne va
Come petali del biancospino
Si disperde nel nulla
Anonimo, da “Il Bosco” gruppo Euforia centro Tasso
(1993-2008)
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Pensiero a Dio
Prima di addormentarsi
a DIO bisogna pensare,
che abbiamo visto il sole
e ringraziare, e dopo aver dormito,
grazie DIO che ci siamo svegliati
e la notte felici ci siamo
addormentati.
Lucio Polazzi
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Ombre
Ho sognato che dormivo
Sotto i rami di una grande quercia,
Proprio quella situata in quel grande
Prato verde che circonda casa mia.
Era notte e c’era un lugubre sentore
Di dolore e di morte, che pareva essere la mia sorte.
Ma quando ho aperto gli occhi per mirare il grande cielo,
Non ho visto più le stelle, ma soltanto ombre bianche,
Che nel cielo si aggiravan come fossero fantasmi.
Io ho teso la mia mano per toccar ciò che vedevo
Ma da una d’esse è sgorgato sangue
Che a flutti usciva e che più non si fermava.
“Voi non siete solo ombre, ma persone vive e vere”
Ho esclamato! “Sì, noi siamo quelli che in terra
Sol provavano dolore, e ci hanno abbandonato
E nessun ci ha più cercato”
Io non posso aiutarvi perché son men che nulla
Ma Colui che tutto puote, può donarvi un po’ d’amore.
Non è poi così lontano!
Se guardate un poco in alto e tendete a Lui le braccia
Son sicura che ristoro troverete e pace, gioia e amore proverete.
Anonimo (C.D. San Biagio)
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Un bacio da sogno
Le tue labbra,
una piuma rosa
in cui il sogno riposa.
Il tuo bacio:
un dolce svago,
un sogno in cui mi appago.
Piergiorgio Fanti
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Un istante di poesia
Era un momento di profondo silenzio,
rotto solo dallo sciabordio del Mare.
Il tuo cuore mi parlava,
la mia anima ti rispondeva.
Tina (Treno per Bologna,18 agosto 1988, ore 6)
|
Il sogno di una vita
Il cammino è lungo
eppur di te
non perdo
ogni foglio che cade
e poi ricresce.
Il sogno di una vita
è incontrarti
amore e poi amicizia,
affetto, dedizione,
ma tutto è precario
come la notte che svanisce
insieme ai sogni.
Il sogno di una vita sei tu,
vienimi a cercare
come un alito di vento
fa che il sogno soffiando
divenga realtà,
ho bisogno di credere
che quel soffio sia vitale,
vitale benessere.
Il sogno di una vita
d'amore
è quello che nulla
possa offuscarlo,
che nulla sia secco e spento
se non per pochi attimi
e che abbia colori fantastici
per abbronzarmi
su di uno scoglio d'argento.
Non lasciarmi solo cadere
ma innalzami
e poi sognarti non basta.
Vivere la vita è amarti.
Marcella Colaci
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Un dipinto di Marcella Colaci
"sogno" di Marcella Colaci
Seguendo la teoria del “sublime”, che pretende che “il cor si spauri”,
ma nello stesso tempo provi un profondo piacere, il pittore ci dà la
visione fantastica e surreale di un qualcosa che si può paragonare a un
fondale marino e che a me piace pensare come un possibile luogo
dell’anima.
Nella parte alta del dipinto due angeli si librano leggeri a
proteggerci, mentre un polpo ci scruta in profondità.
L’artista riesce a rendere la scena affascinante, nelle sue forme
sinuose, e forse quell’occhio del polpo non è altro che la nostra
coscienza, o almeno il nostro super-ego.
Il quadro è assai ben proporzionato, nella sua astrattezza, e ci invita
a sentimenti di bontà e di amore verso lanatura.
Piergiorgio Fanti
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Un amico dall’altra parte del
mondo
Vi racconto un sogno che ho fatto alcuni anni orsono,
ma che mi si è proprio piantato (è il caso di dire) nel cuore.
Sognai che qualcuno mi aveva regalato il germoglio di una pianta. Non
sapevo di che pianta si trattasse, né conoscevo colui che me la regalò.
Compresi tuttavia che avevo un compito: avrei dovuto piantare il
germoglio in un luogo preciso, preoccuparmi di scegliere il luogo più
adatto, prendermi cura di quel getto.
Dopo aver girovagato per un po’, trovai una casa colonica davanti alla
quale si estendeva, verde e tranquillo, un bel campo. Ecco, avevo
trovato il luogo
adatto per il mio germoglio! Incominciai a scavare e deposi la
piantolina nella piccola buca che avevo ottenuto. Appena tutto fu
pronto la pianta cominciò a crescere come un’esplosione e si slanciava
verso il cielo con larghe e lunghe foglie verdi attaccate ai rami e al
tronco.
Quando mi svegliai mi sentivo come pervasa da un’energia vitale
dirompente. Avevo bisogno di raccontare questo sogno a tutti quelli che
incontravo e più passava il tempo più l’energia cresceva, tanto che non
mi è stato più possibile dimenticare quel sogno.
Alcuni mi dissero che le piante hanno bisogno di cure e di molta
pazienza per crescere e che non esistono piante che crescono a quella
velocità, quindi c’era qualcosa di poco naturale e bizzarro in
quell’evento. Ma proprio non riuscivo a dimenticare il sogno fino a
quando, mentre stavo facendo una ricerca di immagini con il mio pc,
vengo colpita dalla foto di una pianta che non avevo mai visto prima e
che corrispondeva alla pianta del mio sogno: era un albero di cacao. Io
adoro la cioccolata, mi piace e mi consola profondamente in certi
momenti.
Allora compresi che il germoglio mi era stato regalato da un
discendente dei Maya, popolo conosciuto per le grandi coltivazioni di
cacao, ma anche ricordato per le atroci sofferenze subite durante tutto
il periodo coloniale, purtroppo.
Ho sempre pensato che i nostri antenati avessero provocato una rabbia
così profonda in tutte le generazioni successive a quei massacri, che
sarebbe stato molto difficile chiedere e ottenere perdono. Tuttavia il
sogno mi indicava una strada diversa, mi diceva che, ancora prima di
pensare al perdono, c’era la possibilità di lavorare insieme per far
crescere la vita e la speranza.
Nel gesto che mi donava una pianta così preziosa e ricca di
potenzialità si nascondeva un progetto di pace che mi coinvolgeva e che
coinvolgeva tutti in effetti. L’idea che proprio un dono proveniente da
quella terra potesse crescere pieno di vitalità e energico anche grazie
alla mia cura era il segno che l’attenzione per le cose piccole può
produrre frutti buoni ed energetici e unire il mondo in uno stesso
progetto di salvaguardia per la vita. Ringrazio quel signore che mi ha
regalato quella pianta, non lo scorderò mai perché mi ha permesso di
scorgere qualcosa di profondo, mi permette di sentire il sapore della
gioia per la vita che riprende vigore e mi coinvolge nei suoi progetti
grandiosi e bizzarri, ma che parte sempre dalle cose minuscole.
Costanza Tuor
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Il sogno ad occhi aperti
Spesso, quando ho un po’ di tempo per me, mi capita di
sognare ad occhi aperti tutto quello che desidererei fare.
Racconto uno di questi momenti capitatomi anni fa, dopo aver seguito
una fiction televisiva a puntate: “Belfagor e il fantasma del Louvre”,
che oltre ad avermi appassionato moltissimo per la suspence ed i colpi
di scena ha fatto esplodere in me un desiderio irrefrenabile: conoscere
le bellezze naturali ed artistiche di Parigi, dove era ambientata la
succitata fiction.
Poiché ero abbastanza giovane, non disponendo di soldi miei, ho deciso
di visitare quei luoghi con l’immaginazione.
La prima caratteristica di Parigi che è balzata ai miei occhi e non
solo è stata la nebbiolina della stagione autunnale, che conferisce
alla città un’atmosfera romantica e nostalgica al tempo stesso. Un
altro elemento climatico tipico dell’autunno, presente nel mio sogno ,
è la pioggerellina fine fine, in un paesaggio rarefatto, ovattato,
privo di rumori, fatta eccezione per il rumore degli zoccoli di un
cavallo che trasportava su di una carrozza una coppia di sposini in
viaggio di nozze.
Sulla Senna scivolavano i bateau-mouche (battelli-mosca), carichi di
turisti, che dietro i vetri consumavano, dialogando, calde bevande
ristoratrici: tè, caffè, cioccolata calda, punch, eccetera.
Purtroppo… le urla di mia madre, che aveva bisogno del mio aiuto, mi
riportarono alla realtà.
Gabriele e Concetta
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In treno
In treno osservai con attenzione ed interesse la
ragazza bionda al mio fianco e con una scusa incominciai a conversare
con lei.
Mentre mi parlava, la ragazza mi fissava dritto, senza distogliere lo
sguardo, che mi sembrò alquanto freddo: ne ebbi paura.
Feci caso all’accento, che era straniero e “strano”. Capii che era
slava.
Ascoltai allora questa donna graziosa e ben vestita che mi parlava un
po’ con foga e sempre con quell’espressione fredda che accentuò la mia
ansia.
Le chiesi il nome: si chiamava Arianna. Lei attese un po’ e mi chiese a
sua volta: “E tu?”. “M-A-T-T-E-O”, le risposi, scandendo bene le
lettere perché lei le ricordasse.
Le chiesi da dove veniva e mi disse che era di Kiev, con un sorriso
stavolta dolce e sincero, che mi restituì la calma perduta.
Mi venne sonno e prima di addormentarmi sussurrai: “ты красивая!” (“sei
carina!”).
Il dondolare dolce dello scompartimento accentuò la profondità del mio
sonno. Quasi subito sognai di essere in un vasto prato alpino, che si
estendeva sotto una tetra montagna. Ai piedi di questa riconobbi, con
sorpresa, Arianna, che si sbracciava e mi gridava parole per me
incomprensibili.
Le urlai: “Amore, amore” e ne ricevetti identica risposta, mentre la
ragazza continuava a farmi gesti strani con le braccia e con le mani.
Sospettai però presto che le parole udite fossero causate dall’eco
della montagna… O la ragazza mi amava veramente?
Mi svegliai di soprassalto, madido di sudore ed un po’ eccitato, mentre
Arianna, al mio fianco, dormiva serenamente.
Matteo Bosinelli
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Pensieri
Il sogno
A chi piacque l’Odissea, od il Purgatorio, o a chi il Paradiso, nella
vita, a me piacesti tu, ineffabile giungla di pensieri amori e tesori.
Per il perdono di esservi nata dentro, credetti alle sue gioie e ai
suoi dolori, così crebbe sempre più la voglia di riagganciarla a giochi
nuovi.
Non si chiama voglia di esistere, ma voglia di vivere, si condona alla
vita il suo sogno, cioè quello di esserci.
* * * * *
Per nulla al mondo avrei dato la
mano a te, ad una fanciulla che crebbe sola e solamente si condusse
all’altare della poesia.
Per nulla ti ho dato cura, per nulla ti amai impura: ma una cosa ti
chiamai, arte.
* * * * *
Sconsolata me ne andai da quel
momento: era amore e lo riconoscevo, non volli perdonarti e mi pentii
davvero. In quel mattino… un bisogno, un fiore, di nuovo il tuo amore,
fu un sogno, no, fu un prestito nuovo.
* * * * *
Era sera e le tue mani circondavano
i miei pensieri soavemente, con demenza, forse, sì, un po’, con
clemenza, eutanasia di quelle ore, eufemia, di quei minuti: eppure che
sia un sogno, che sia davvero un sogno ancora vivere.
Paola Scatola
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Così parlò la vita
Sua madre l’aveva voluto. Ma non era stata una buona
idea. Suo marito le sembrava depresso e sperava che la nascita di
quell’ultimo figlio l’avrebbe fatto riprendere. Avrebbe potuto pensare
che avevano già tre figli e un solo stipendio di maestro elementare con
cui vivevano in cinque. La gravidanza procedeva male e, secondo le
previsioni degli specialisti, quel bambino probabilmente non sarebbe
nato. Ma lei, con grande determinazione, fece tutte le cure possibili
per portare a termine con successo la gravidanza.
Se quella donna avesse prestato ascolto a ciò che le diceva la vita,
non avrebbe mai concepito quel bambino. Non solo. Se avesse ascoltato
la vita, non avrebbe nemmeno sposato il marito. O almeno, sempre
ascoltando la vita, avrebbe prima verificato, convivendo con
quell’uomo, se fosse consigliabile legarsi definitivamente a lui. La
vita le avrebbe detto di separarsi da lui ancora prima che nascessero i
primi figli. Ma come tante altre persone, anche quella donna ascoltava
sempre certe voci che la portavano immancabilmente a sbagliare, benché
queste voci pretendessero d’essere infallibili, almeno in certi casi. E
anche in queste circostanze, come in tutte le altre, lei ascoltò sempre
queste voci. La vita, così, le parlò sempre invano.
Comprensibilmente, non venendo mai ascoltata, la vita ogni tanto si
indispettiva. E quando ciò si ripeteva per l’ennesima volta, cominciava
a maturare un desiderio di vendetta. Così accadde anche in quella
circostanza.
Forse la vita non rifletté sul fatto che si sarebbe vendicata su un
innocente, il bambino che stava per nascere. O forse vi rifletté, ma
concludendo di non poter agire diversamente. O forse, ancora, pensò
che, anche quando la vittima è un innocente, non si può rinunciare a
gustare quell’inebriante sapore.
Così quel bambino venne al mondo. E, come tanti altri bambini, anche
lui sorrise alla vita. Ma la vita non lo ricambiò. Anzi, non volle
aspettare molto per andare a parlargli, così chiaramente come forse non
aveva mai fatto. Assunte le sembianze della madre del piccolo, gli
apparve in sogno e gli disse:
“Io non ti voglio! Hai capito? Non ti voglio!”.
Quella notte, a quel bambino, durante quel sogno, così parlò la vita.
Il sogno si confuse poi con tutti gli altri di quella notte. E il
ricordo, già molto vago al risveglio, si dileguò completamente dalla
memoria quando il piccolo cominciò la sua giornata. Però restò nascosto
dentro di lui e continuò a fargli compagnia sempre, anche quando da
bambino diventò ragazzo, poi giovane, poi adulto. E lui lo sentiva
dentro di sé solo confusamente, ma lo sentiva. Senza riuscirci, cercava
di afferrarlo, forse per guardarlo bene. O forse avrebbe voluto anche
mostrarlo agli altri bambini, come se fosse stato un giocattolo che
aveva solo lui. Invece restò sempre il suo segreto, e così segreto che
lui stesso non lo conosceva.
Il piccolo crebbe e divenne un adolescente. Il suo segreto cominciava
ad agitarsi dentro di lui. Come a tante altre persone, anche a lui
giungeva notizia di certe tristissime storie; ma nella sua memoria
restavano scolpite così profondamente come se lui stesso ne fosse stato
il protagonista. Quando poi fu un adulto, si sorprese di aver mantenuto
di questi eventi e delle loro vittime un così vivo ricordo a distanza
di anni e poi anche di decenni. Anche a queste persone, evidentemente,
la vita non aveva sorriso, e in questo gli somigliavano. Ma forse non a
tutti loro la vita aveva espresso così esplicitamente e così
precocemente il suo rifiuto.
Quel ragazzo crebbe e divenne un giovane. Si potrebbe dire che avesse
più amici fra i morti che fra i vivi. Aveva una specie di album di
famiglia. Ma le immagini contenute in quell’album non ritraevano
persone vive; erano lapidi con incisi i nomi, le foto, le date e
qualche altra breve annotazione. Erano sempre loro, i protagonisti di
quelle tristi vicende. Ebbe sempre molta cura del suo album: sapeva
bene che lì dentro c’erano i suoi cari, sebbene non avesse potuto
conoscerli finché erano ancora in vita.
Quel giovane divenne un uomo. Durante tutti quegli anni, la vita
continuò a ricordarsi di lui e di come gli aveva parlato. Forse si
sarebbe comportata diversamente, se fosse potuta tornare indietro.
Aveva perfino pensato di tornare a parlare a quell’uomo, per dirgli
cose diverse da quelle che gli aveva detto quand’era bambino. Ma sapeva
bene che sarebbe stato inutile. Quando decideva di farsi largo fra le
altre voci e parlava, la vita parlava così forte e chiaro, che le sue
parole erano come macigni, così pesanti che lei stessa, anche volendo,
non avrebbe più potuto spostarli.
Cosa poteva fare, ormai, la vita per quell’uomo? Non ebbe mai il
coraggio di fare l’unica cosa che poteva fare, l’unica cosa che avrebbe
dovuto fare. Soprattutto per quell’uomo avrebbe dovuto farla. Si
trattava, certo, di sporcarsi un po’ le mani. Ma, in fondo, faceva
quella cosa per tanti altri, senza che ciò le costasse troppi rimorsi.
Ma per lui no, continuò a non farlo, quasi come se volesse fingere di
ignorare la situazione. E continuò a ignorarla, la situazione, senza
nemmeno accorgersi che lei stessa aveva contribuito a crearla: se non
avesse rinunciato mai a prendere posizione contro quelle altre voci,
quelle che inducevano tante persone a sbagliare, forse almeno alcune di
queste persone l’avrebbero ascoltata, e tante situazioni negative non
si sarebbero nemmeno create.
Così, quell’uomo continuò a trascinarsi avanti, avendo sempre cura del
suo album di famiglia, l’unica cosa davvero importante che aveva.
Finché era stato giovane, si era considerato più fortunato rispetto ai
suoi cari, perché era vivo e non aveva del tutto perso la speranza che
la vita potesse ancora
sorridergli. Al contrario, col progredire dell’età, cominciò a pensare
che i suoi cari avevano avuto maggior fortuna: certo, anche molti di
loro avevano
dovuto affrontare una agonia, a volte breve, a volte più lunga, ma che
aveva poi comunque avuto fine. Era la sua che non finiva mai.
Forse non giunse mai il momento in cui quell’uomo abbia potuto
ricordarsi del sogno fatto quand’era bambino. Se avesse potuto
ricordare la vita mentre gli parlava sotto le sembianze di sua madre,
avrebbe potuto spiegarsi perché sua madre gli fosse sempre apparsa così
seria, anche quando rideva. Forse avrebbe potuto spiegarsi perché
qualsiasi cosa, anche buona, per lui avesse sempre avuto il sapore del
veleno.
È probabile che non abbia mai saputo come la vita gli aveva parlato, né
che poi se n’era quasi pentita. E chissà se questo lo avrebbe
consolato. Di certo c’è che venne il momento in cui morì, in lui, anche
l’ultima speranza di uscire dalla sua agonia. E di lì a poco venne
anche il momento in cui non poté più sopportarla. Quello che la vita
non volle mai fare per lui fu lui stesso a doverlo fare. E sperò, nel
farlo, di esser raggiunto da una qualche forma di
consolazione. Invece, un ultimo pensiero venne a fargli visita. Adesso
che il suo stesso nome stava per esservi scritto, chi mai avrebbe
potuto aver cura del suo album di famiglia?
Benché stesse ormai per perdere conoscenza, l’uomo era ancora lacerato
dal dolore e dall’amarezza; solo quando la situazione fu giunta a
questo punto, la vita si accorse che poteva ancora fare qualcosa per
quell'uomo. Improvvisamente, l’uomo si sentì chiamare per nome: “Chi…
mi chiama?”.
“Sono Giacomo, amico mio, Giacomo! Guardami, mi riconosci?”. “Giacomo…
ma… ma sei vivo?”. “Sì, amico mio, vivo in un luogo dove nessuno più
può farmi male. E sono venuto per portarti con me. Sono venuto io, ma
ci sono anche tutti gli altri nostri amici che ti aspettano. Non
preoccuparti del tuo album, il nostro album. Qualcuno lo troverà e ne
avrà cura. E noi potremo restare insieme per sempre. Ora io resterò qui
ad aspettarti, poi ci incammineremo insieme”.
E così, grazie a questa estrema, pietosa bugia raccontatagli dalla
vita, l’uomo poté chiudere gli occhi, abbandonandosi serenamente al
proprio sonno senza fine.
Mel Ancony
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A te dirò le cose che ho visto e
sentito…
Il sole sta per tramontare, ed io ho smarrito la via
del ritorno. Stupida Alice del ventunesimo secolo, ho inseguito il
bianco unicorno, e ora che ho smarrito anche lui mi ritrovo sola,
nell'abbraccio di questo castagneto, dove mio padre giocò bambino.
Nel cielo la notte già scopre i suoi seni, immensi, avvolgenti e tutto
piano si trasforma. Alla luce della tenebra tutti diveniamo un unico
corpo senza forma, fatto di suoni, odori, sensazioni. La sposa di
Morfeo non si è adornata i seni coi ciondoli di luna e di stelle,
lasciandoli nudi e freddi. La voce del rivo monotona e amara, echeggia
come un canto funebre. È inverno, e Demetra cerca disperata l'amata
Proserpina. La sento gemere tra i rami neri, nel brontolio cupo degli
uccelli notturni, in tutta la natura su cui ella ha gettato il suo
sudario di dolore. Annaspo, nuotando nell'ignoto, sento la paura
gelarmi le mascelle che non riesco a chiudere totalmente, se qualcuno
vedesse la mia faccia ora penserebbe di essere entrato, per magia, in
un quadro di Munch.
Eppure poco lontano c'è lui, lo sento, come quand'ero bambina e
seguivo, con gli occhi chiusi, la sua voce, fino ad arrivargli addosso
e abbracciarlo stretto stretto, per rigenerarmi della sua immensa forza
vitale. "Eccoti, sei tu, ti riconosco sussurro, tastando palmo a palmo
la sua corteccia. Poi le mie mani gelate arrivano al grande squarcio
che divide il grande castagno in due, dalle radici fino a metà tronco -
Sììì, la porta magica! - esclamo – Ciao, amico è bello rivederti".
“Ciao, ti sei persa di nuovo” risuona la sua voce calda, come il fuoco
buono del focolare. “Entra e riparati tra le mie braccia. Ti proteggerò
dal pianto di ghiaccio della Dea. Nevicherà, questa notte”.
Entro come facevo da bambina, con la mia gemellina, quante risate!
Eravamo ignare che il dolore a cui nostra madre ci sottoponeva ci
avrebbe allontanate l’una dall’altra, rendendoci due estranee. Mi
accovaccio dentro a quel corpo secolare e mi stringo nel mio lungo
cappotto nero.
“Ascoltami ora – continua con la sua voce saggia – noi trascorriamo
veloci nel tempo, ed io sono al traguardo, tu, noto con piacere che mi
puoi ancora udire e quindi a te dirò le cose che ho visto e sentito,
parlane, ti prego, affinché tutta questa mia vita non sia stata vana.
Ho visto amanti giurarsi amore eterno, ho visto uomini uccidere altri
uomini. Al più grosso dei miei rami impiccarono una ragazzetta,
dicevano che aiutava la resistenza, che portava messaggi al nemico. I
suoi assassini indossavano camicie nere e avevano sguardi duri, ma io
sentivo i loro cuori e ti assicuro che non erano minimamente
all’altezza di quello della poverina che spirò, coraggiosa, tra le mie
braccia. Ultimamente è ritornata, piange e geme, vagando nei boschi,
anima in pena, in cerca di qualcuno che ascolti, dice: “Stanno
uccidendo la Nostra Libertà , e noi, che per essa morimmo non riposiamo
più in pace.”
Tutti i giorni sento la Terra ansimare di dolore sotto i colpi mortali
degli uomini, grida” figli uccidendomi ucciderete i vostri figli”. Ma
sono urla mute a orecchi sordi. Voi umani temete il buio della notte,
genitrice dei sogni, sorella della morte, ma immensamente di più
dovreste temere il buio dell’ignoranza, genitrice delle ingiustizie,
sorella della violenza. Imparate a conoscere, a capire. Avvicinate il
lupo, che vi pare ostile e nemico e capirete che è solo un essere
vivente tra altri viventi e che, come voi vuole solo vivere… Ti stai
addormentando, sei stanca. I seni della notte stillano morfina a
allattano il giorno che verrà… Dormi – mi culla la sua voce di padre
premuroso – dormi bambina mia, l’alba è vicina.”
Al mio risveglio l’aurora, sposa virginale e pudica, aveva vestito i
seni della notte e le forme della terra d’un manto bianco innocenza:
nevicava. Ero al caldo del mio piumone, circondata dalla mia famiglia,
due cani e una gatta. Il forte papà di legno che mi parlava quand’ero
bambina è stato abbattuto in autunno, era vecchio e malato. Al suo
posto pianteranno alberi giovani e sani. Pochi mesi dopo, i primi di
gennaio, anche mio padre, antico castagno di carne, è morto. Era
vecchio e malato. E nel suo ultimo respiro i vagiti di altre creature
intonavano l’eterno canto della Vita.
Morena di Psicoradio
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Molta solitudine l’aveva assalita
quella notte
Ersilia si avviò stancamente verso casa, aspettava suo
marito per cena, da poco era stata in cantina a prendere due fiaschi di
vino, che avrebbe collocato al centro della tavola imbandita. Era molto
ansiosa. Duilio, questo era il nome di suo marito, quel giorno doveva
aver avuto un colloquio di lavoro e questo era di vitale importanza,
perché la famiglia Albani in quel momento versava in gravi difficoltà
economiche.
La donna amava profondamente suo marito, che l’aveva accettata malgrado
i suoi disturbi di memoria. La sua grande risorsa era il cucinare,
quella sera aveva preparato una grigliata, che avrebbe cotto sulle
braci del camino. Ersilia entrò in casa. Era preoccupata: suo marito
quella notte non era rientrato. La donna era abituata a queste
situazioni, sapeva che Duilio spesso perdeva il senso del tempo e dello
spazio, a lei non restava altro che pregare. Aveva una fede immensa che
l’aveva sorretta in circa trent’anni di matrimonio. Molta solitudine
l’aveva assalita quella notte. Era stata sveglia e inquieta.
All’alba, verso le sei del mattino, si era alzata, aveva preparato il
caffè con molta cura. Quando fu pronto lo versò nella tazzina di
porcellana e lo sorseggiò lentamente, poi ripose le stoviglie nel
secchiaio e si avviò nel freddo del mattino verso la chiesetta rupestre
che si ergeva sulla collina. Le ore passavano, erano ormai le otto, la
messa iniziava alle otto e trenta. La donna entrò in chiesa, si
accomodò e iniziò le sue orazioni. Le parole del parroco l’aiutavano a
superare la sua angoscia. Pregava, pregava incessantemente, chiedeva a
Dio di poter raggiungere una serenità familiare…
I suoi figli erano oramai grandi e avevano accettato le problematiche
della famiglia. Giulio e Michele, questi erano i nomi dei figli,
avevano mantenuto un comportamento esemplare, avevano studiato con
sussidi statali e raggiunto la laurea. Erano rimasti molto attaccati
alla famiglia e se così si può dire facevano da genitori ai propri
genitori, segnati dalla malattia.
Ersilia tornò a casa verso le dieci del mattino. Giulio e Michele erano
fuori per lavoro, purtroppo precario, ma impegnativo. Verso mezzogiorno
rientrarono e abbracciarono la mamma e cominciarono ad aiutarla ad
imbandire la tavola. Si muovevano lentamente ma con coordinazione. In
breve tempo la tavola fu pronta. Sedettero, si scambiarono sorrisi ed
assaporarono il cibo.
Michele esordì: “Papà si merita un applauso per il suo coraggio e la
sua determinazione…”. Pochi istanti dopo suonarono alla porta: era
Duilio. I figli gli andarono incontro, lo abbracciarono e lo
accompagnarono in camera, lo aiutarono a svestirsi. Duilio non aveva
fame, si accoccolò sul letto e in breve cadde in un sonno profondo.
Verso l’ora di cena andarono a chiamarlo, sedettero tutti e quattro a
tavola, bevvero un sorso di vino, si scambiarono sguardi d’intesa,
erano felici. Questo forse era il vero valore della famiglia.
Chiara Reitani
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E già riusciva a tirarlo e gloria
infinita acquistava
Ersilia quella notte aveva fatto come al solito un
sogno strano, le era apparso un uomo di una certa età che pronunciava
queste parole: “E già riusciva a tirarlo e gloria infinita acquistava”.
La donna era angosciata, pensava a Duilio, suo marito, alla facilità
con cui riusciva a tirarlo nelle problematiche della famiglia e, anche
se questo potrebbe sembrare azzardato, alla gloria che ne sarebbe
derivata.
Come già detto in precedenza, la famiglia Albani aveva attraversato
periodi scuri, legati alle difficoltà quotidiane, alla lotta per
trovare un lavoro che potesse dare una certa soddisfazione. Ora Duilio
lavorava in una falegnameria e i figli avevano lavori di una certa
rilevanza, legati alle problematiche sociali e morali. La donna aveva
attraversato molti momenti difficili, ma ne era uscita sempre vincente.
Ricordava con amarezza i ricoveri a cui era stata sottoposta. Ora
questo era solo un ricordo lontano, aveva acquisito molta forza, la sua
famiglia, come già detto in precedenza, era un simbolo per la comunità.
Da quel momento in avanti avrebbero proceduto sempre con più forza e
tenacia. Ersilia era una donna spezzata dalla malattia, ma combatteva
quotidianamente per uscirne. Duilio le era vicino, come i suoi figli.
Il futuro per loro ora si prospettava finalmente in una luce positiva.
Chiara Reitani
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I calanchi di Montecalderaro
Il calanco grida di notte e io l’ho sentito gridare.
L’ho visto anche di giorno, e per lunghi giorni.
Di giorno sembra imbronciato, molto pensieroso. Lo assillano i
pensieri, e sembra che li segua borbottando una qualche sua canzone. Ma
di notte il calanco fa paura, dopo che il cielo si è chiuso o abbassato
con il rumore di una serranda arrugginita e il gran lenzuolo copre le
cose del mondo dove il calanco risiede. Anch’io ho avuto questa paura.
Davanti al calanco sono stato seduto per ore, per intere giornate, nel
corso degli anni da quando ero ragazzo, qui a Montecalderaro, in cima
alla punta del colle, dove resistono ancora i ruderi di una vecchia
costruzione bombardata e distrutta nei primi mesi dell’45. Lì passavo
l’estate, in pieno sole, in pieno vento, in piena nebbia quando
arrivava improvvisa gonfiandosi con grandi colpi d’ali, e proprio
sull’orlo dei precipitosi calanchi arruffati e distesi sotto i nostri
piedi.
Durante il giorno, in questa solitudine e in quel silenzio, era una
grande emozione visitarli, sfiorarli, provocarli un poco tentandoli con
cautela. Sul bordo e anche dentro i calanchi, a grandi cespi, delle
pallide, cupe, meravigliose, sgomente ginestre sembravano deposte sopra
tombe di antichi Re ormai dimenticati. Era bello allora sollevare gli
occhi e guardare in alto il volo degli stormi. Il calanco raccoglieva
il sole e poi l’ombra del sole e poi l’ombra quieta e celeste del
vespro e poi il cupo fragore della notte. Sempre in bilico su qualche
precipizio, e con il timore che potesse prima o poi aprirsi e
precipitare franando.
Non sapevo ancora che il calanco è, sulla terra, come la ruga profonda
sulla fronte del vecchio marinaio o del vecchio contadino. Segna la
fatica della terra, il suo lungo errare prima del suo momentaneo
assestamento. Essendo una ruga millenaria e profonda, sembra il simbolo
di una faticosa antica saggezza.
Giovanni Gruppioni
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Oggi, ho fatto un sogno…
Sono una madre che, per molti anni, si è confrontata
con la sofferenza psichica straziante e difficilmente comprensibile del
proprio figlio, sofferenza che ha travolto anche noi genitori. Sono una
madre che ha cercato testardamente aiuto presso tante realtà, anche
presso i Servizi di Salute Mentale, e si è confrontata con numerose
altre situazioni simili nell’ambito dei gruppi di auto mutuo aiuto.In
questi anni, ho incontrato molte brave persone, tra psichiatri,
personale dei CSM, pazienti, genitori, che stanno sviluppando modalità
positive di relazioni e di collaborazione all’interno dei servizi
pubblici. Ma ci sono ancora tante realtà critiche che potrebbero essere
migliorate con la semplice buona volontà, senza fare ricorso a
finanziamenti impegnativi o a riforme del sistema.
Oggi, ho fatto un bellissimo sogno…
Ho sognato che, avendo bisogno di capire che cosa ci stesse succedendo,
avevo trovato nel mio medico di base un medico attento che mi ha
spiegato di che cosa si poteva probabilmente trattare, e mi ha
indirizzata rapidamente verso uno psichiatra bravo in grado di prendere
in cura mio figlio.
Ho sognato che, non sapendo dove rivolgermi in urgenza all’emergere
delle prime crisi acute, aprendo l’elenco telefonico o facendo
un’interrogazione su internet, avevo trovato facilmente un numero di
telefono o un indirizzo al quale rivolgermi, per un colloquio con una
persona esperta in grado di consigliarmi sul da farsi e sugli errori da
non commettere, per non buttare benzina sul fuoco, rischiando di fare
degenerare la situazione.
Ho sognato di avere trovato uno psichiatra bravo, umano, competente,
aperto, umile, che ha saputo convincere mio figlio a iniziare una
terapia farmacologica senza ricorrere alla forza, alle minacce, al TSO;
uno che ha saputo convincerlo a proseguire tale terapia nonostante i
danni degli effetti collaterali; uno psichiatra che ha mantenuto con
tatto i contatti con noi famigliari spiegando che cosa succedeva, senza
lasciarci disarmati sull’uscio; uno psichiatra che si è preoccupato
subito quando mio figlio non si è presentato al suo appuntamento, lo ha
chiamato al telefono, e quando si è negato o ha inventato qualche
storia, è venuto a trovarlo a casa per una visita domiciliare.
Ho sognato che quando si deve fare ricorso per forza ad un TSO perché
tutte le altre strade sono state provate senza successo, il TSO veniva
eseguito in modo umano: senza sirene spiegate e senza allarmare tutto
il vicinato; senza sfondamento di porte; con la presenza di un medico
preparato dal punto di vista psicologico o di uno psicologo; senza
l’umiliazione della contenzione…
Ho sognato che il TSO poteva diventare una occasione per ascoltare e
per parlare con mio figlio, per allacciare con lui un nuovo tipo di
rapporto terapeutico; ho sognato che durante il TSO si preparava già
l’uscita, coinvolgendo anche la famiglia e lo psichiatra dei servizi
territoriali che lo avrebbe seguito dopo, in un progetto terapeutico
individuale concertato. Dopotutto, là dentro il tempo non mancava,
l’unica preoccupazione era capire che cosa sarebbe successo all’uscita…
Ho sognato che il TSO non era un periodo vuoto e desolato, popolato
solo di stordimento, sigarette e televisione; ho sognato che era
diventato un periodo di terapia intensiva, con colloqui individuali,
incontri di gruppo, qualche momento in palestra e qualche uscita
all’aria aperta, almeno come viene proposto di solito ai giovani
detenuti…
Ho sognato, durante il TSO, di potere parlare con un medico
responsabile, che sappia dirmi quale era la diagnosi per mio figlio, e
non solo di parlare con tirocinanti o medici di passaggio ignari
dell’accaduto, che hanno solo l’incarico di badare all’ordine pubblico
senza sapere nulla dei casi specifici.
Ho sognato che il medico incaricato di formulare la cartella clinica
del TSO lo faceva con una particolare attenzione e delicatezza, senza
brutalizzare la realtà e senza fraintendere quanto detto dai familiari.
Tale medico teneva conto del fatto che, quando sarà uscito, il paziente
potrà andare a chiedere copia della propria cartella clinica, e
chiederà spiegazioni su tutto quanto è scritto sopra.
Ho sognato che era possibile scegliere il proprio psichiatra, come si
può scegliere il proprio medico di base, perché se non esiste un
rapporto di fiducia reciproca, diventa quasi impossibile non giocare al
gatto e al topo, rovinando tutte le possibilità di cure successive.
Ho sognato che gli psichiatri erano persone ragionevoli, di ampie
vedute, aperti, professionali, senza mire di potere sui propri
assistiti, senza gelosie, consapevoli dei pregi e dei limiti delle
terapie farmacologiche. Ho sognato che erano attenti e disponibili a
informarsi e a capire gli altri approcci “integrativi” di tipo
psicologico, psicogenealogico, corpo/mente, olistico, omeopatico,
pranoterapeutico, spirituale o altro, approcci ai quali si ricorre
sempre più spesso per prevenire e curare vari tipi di disagi, ivi
compresi i disagi mentali. Ho sognato che gli psichiatri non mettevano
i propri pazienti e le loro famiglie nella condizione di nascondersi
quando ricorrono a tali terapie. Ho sognato addirittura che gli
psichiatri erano disponibili a collaborare con tutto ciò che i propri
pazienti portavano come cure per loro benefiche, e che erano
disponibili ad entrare a fare parte di una vera e propria “comunità
terapeutica” attorno a ciascuno dei propri pazienti…
Ho sognato che i CSM si preoccupavano di dare sostegno psicologico ai
familiari, ai congiunti, ai genitori, ai fratelli o alle sorelle che
sono spesso smarriti, abbandonati, si sentono perfino indegni o
colpevoli di quanto capita a un loro caro, si chiudono, si nascondono,
il mondo gli crolla addosso… Ho sognato che i CSM consigliavano
letture, proponevano incontri di informazione, conferenze, gruppi di
ascolto, informavano le famiglie sull’esistenza dei gruppi di
auto-mutuo-aiuto, facevano campagne di informazione presso i medici di
base e sulla stampa generale, facevano conoscere i casi positivi di
guarigione e di ripresa di una vita normale.
Ho sognato che esistono sul territorio vari luoghi di ritrovo con
attività che aiutano a “passare la giornata”, soprattutto per i più
giovani che hanno perso gli amici e che non sono inseriti in
un’attività lavorativa: angolo bar, giochi di società, musica, attività
sportive, corsi di yoga, d’informatica, modellismo o altro, punto di
partenza per andare in piccoli gruppi in piscina, in pizzeria, in
discoteca, per fare delle gite.
Ho sognato che questi luoghi di ritrovo sono aperti a orari fissi, ma
che sono ad accesso libero, senza obbligo di frequenza. Sono luoghi ove
potere incontrare altri che hanno vissuto o che stanno vivendo
esperienze simili, ove potere parlare senza sentirsi giudicati o senza
“essere guardati di traverso”.
Ho sognato che questi luoghi sono gestiti direttamente dai pazienti,
che viene affidato loro un budget pubblico per potere organizzare le
attività. Scelgono loro a chi affidare la conduzione dei corsi che li
interessano, scelgono loro a quali volontari chiedere un aiuto o
chiedere di accompagnarli nelle attività esterne quando è necessario o
quando lo desiderano.
Ho sognato che questo era un modo giusto per dare responsabilità a chi
ha sofferto molto e ora sta meglio. Ho sognato che questi luoghi non
rappresentavano un ghetto, ma che potevano diventare una “base di
lancio” per ritrovare amici, autostima, iniziativa, che sono luoghi
protetti di “convalescenza” prima di potere ritornare a frequentare la
società detta normale, con tutto il suo carico di tensioni, di
competitività, di conflitti e di pregiudizi. Sono luoghi dove comunque
si sta bene quando uno si sente ancora fragile.
Ho sognato che esistono in Italia varie comunità di vita, pubbliche e
private, rivolte specificatamente ai pazienti medio-gravi della salute
mentale, comunità facili da reperire su internet o presso gli infopoint
dei CSM. Ho sognato che queste comunità erano gestite democraticamente,
in un clima allegro, con grande rispetto per le persone, e proponevano
a ciascuno un percorso di attività, di consapevolezza e di sviluppo
personale, oltre alle terapie prescritte dal proprio psichiatra. Ho
sognato che a tali comunità si poteva accedere senza dovere fare una
fila di attesa di più di un anno, e senza impegnarsi in partenza per un
soggiorno lungo almeno un anno… Ho sognato che queste comunità potevano
accogliere persone anche per un solo
mese, per consentire a chi vive in famiglia di staccarsi ogni tanto,
per sperimentare se stessi e anche per dare un po’ di ossigeno ai
propri familiari. Ho sognato che i prezzi di tali comunità erano
accessibili anche a chi non può usufruire di un finanziamento pubblico.
Ho sognato che il personale dei CSM si preoccupa anche delle condizioni
materiali nelle quali vivono i propri assistiti, che si rende conto che
l’estrema povertà e la mancanza di risorse contribuisce alla perdita
della propria dignità e al rafforzamento della dipendenza. Ho sognato
che il personale delle Ausl fanno loro il primo passo per informare i
pazienti e le famiglie sui propri diritti relativi alla casa, al
lavoro, agli assegni o alla pensione, e che fanno questo prima che
siano scaduti i termini, prima che la situazione sia precipitata. Ho
sognato che accompagnavano i propri pazienti presso gli altri sportelli
comunali o Inps, senza mandarli da soli allo sbaraglio a confrontarsi
nella giungla delle commissioni di valutazione o nelle graduatorie
burocratiche dalle quali si esce sentendosi meno di niente…
Ho fatto questo bellissimo sogno, e poi ho dovuto svegliarmi.
Quanto è difficile svegliarsi…
Mi sono guardata attorno e ho pensato che la realtà era ancora lontano
dal mio sogno. Eppure, servirebbe spesso poco per migliorare di molto
certe situazioni…
Mi sono svegliata e ho pensato che sono stata molto fortunata perché in
questi lunghi anni, ho incrociato alcune realtà che assomigliavano in
parte al sogno. Grazie anche a quello, abbiamo potuto evolvere e dare
un significato a quanto ci è successo, mio figlio sta meglio ed anche
noi genitori stiamo meglio.
Ma quanti familiari s’imbattono ancora in situazioni di deserto, di
vuoto di relazioni e di difficoltà di comprensione con i Servizi di
Salute Mentale? In situazioni di presunzione di autosufficienza da
parte dei medici o degli operatori, di disprezzo per i familiari che
sono quasi accusati di preoccuparsi per la sofferenza dei propri figli?
A me, sembra impossibile vivere in casa 24 ore su 24 con un figlio che
soffre le pene dell’inferno, e non preoccuparsi perché “ci penserà il
CSM”, che tuttavia non prende in mano la situazione…
Vorrei continuare a sognare, ma devo svegliarmi.
Non voglio svegliarmi per lamentarmi o per pretendere che le cose siano
diverse da come sono. Devo svegliarmi per raggiungere la rete delle
persone di buona volontà (tra personale delle ausl, utenti, familiari,
cittadini) che si stanno impegnando qua e là per accendere i riflettori
sulla salute mentale, per fare crescere l’attenzione e il rispetto nei
confronti di chi soffre, per sperimentare laddove è possibile nuove
modalità di colloquio e di collaborazione tra Servizi, pazienti e
famiglie, per ribadire che i familiari sono parte integrante del
processo di guarigione e che emarginarli non porta da nessuna parte.
Questo richiederà molto tatto e molta attenzione, per rispettare
comunque la sfera di competenza e di privacy di ciascuno.
Quanto è bello questo sogno…
Come scriveva un giorno mio figlio: “ C’è chi non riesce a smettere di
rubare, chi di lavorare, chi di uccidere, ecc… Io non smetterò mai di
sognare…”.
Marie Françoise Delatour
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Preghiera della serenità
"O Signore, concedici la serenità di accettare le cose
che non possiamo cambiare, il coraggio di cambiare ciò che possiamo, la
saggezza di conoscere e capire la differenza."
Questa preghiera me l’ha fatta conoscere il dott.
Scardovi.
Mi è subito sembrata bellissima e gli ho chiesto di ripeterla per
farmela imparare.
In seguito ho saputo che la recitano gli alcolisti anonimi (e anche i
mangiatori compulsivi) in apertura dei gruppi di auto mutuo aiuto.
Nei momenti di grande tristezza l’ho recitata anche più volte al
giorno, aggiungendo:
"Signore, sia fatta la Tua volontà.
Signore, dacci la gioia di vivere.
Amen."
Credo che questa preghiera mi abbia aiutata molto.
Tina
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La follia insegnata agli studenti
Quando se ne parla? Quando si ha l’occasione di parlare
dei matti? O meglio: quando se ne ha il coraggio? Nessuno è davvero
competente sull’argomento; solo i medici e gli assistenti sociali e
sanitari hanno la possibilità di stare con queste persone, che il
pensiero comune definisce “malate”, imprevedibili, violente…
Siamo la classe quarta F del Liceo “Laura Bassi” di Bologna e solamente
ora, a 18 anni (quasi) compiuti, siamo riusciti a distruggere
l’etichetta stampata addosso agli utenti psichiatrici, grazie ad un
percorso scolastico (sul “disagio mentale”) che ci ha consentito di
conoscere realtà prima inesplorate.
Il 28 marzo 2011, presso la sede della nostra scuola, abbiamo
incontrato la dott.ssa Erica Pirazzini, responsabile Promozione alla
Salute D.S.M-D.P dell’AUSL di Bologna, e la dott.ssa Ivonne Donegani,
psichiatra, le quali ci hanno illustrato il percorso di stage che si
sarebbe svolto nelle due settimane successive.
La classe è stata suddivisa in piccoli gruppi, ognuno dei quali avrebbe
dovuto recarsi quotidianamente in determinate sedi di Cooperative
sociali che si occupano dell’inserimento lavorativo di utenti
psichiatrici, o gruppi appartamento.
In questo modo, ognuno di noi è riuscito a percepire l’eterogeneità che
caratterizza il campo dell’inserimento psichiatrico e, compilando
giornalmente una griglia d’osservazione consegnataci dall’insegnante di
Scienze Sociali, ha potuto valutarlo sulla base delle proprie
conoscenze scolastiche.
Oltre a svolgere un lavoro osservativo di tipo oggettivo, abbiamo
trascritto le nostre impressioni in un diario di bordo. In quelle
pagine abbiamo avuto modo di liberarci dalle nostre tensioni, di
esprimere le nostre emozioni, di raccontare le gioie che abbiamo
provato e gli incontri che abbiamo fatto: l’interesse, la libertà e la
creatività hanno reso il lavoro qualcosa di personale.
Durante il periodo di stage, abbiamo anche partecipato ad incontri con
alcune associazioni, tra cui possiamo citare l’ANPIS, l’ ACAT ed infine
il gruppo di Fareinsieme e AMA. Quest’ultimo ci ha permesso non solo di
pubblicare questo articolo all’interno del giornalino “Il Faro”, ma
anche di ascoltare profonde testimonianze e di conoscere diversi punti
di vista sul disagio mentale (mamme che hanno un figlio in cura
psichiatrica e utenti stessi) e sull’Auto Mutuo Aiuto (persone che
hanno riportato la loro esperienza).
Al termine dello stage, l’8 aprile 2011, ci siamo confrontati sulle
esperienze vissute e abbiamo riscontrato una soddisfazione comune,
accompagnata anche da un’enorme stanchezza fisica!
Ringraziamo il nostro insegnante e tutti i referenti ed i vari i
responsabili che si sono occupati di questo nostro prezioso percorso di
formazione.
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Posta
Gentili redattori de "Il Faro",
Mi chiamo P. R. e frequento il gruppo di auto aiuto "Per un linguaggio
comune ". Ho cominciato a frequentare il gruppo a causa dei problemi di
mia sorella, che da tanti anni soffre di depressione e fobia sociale.
Sentivo il bisogno del consiglio e del supporto di persone che
sapessero cosa significasse provare disagi di questo tipo.
Non nascondo che inizialmente era un po' scettica ma, frequentando il
gruppo, ho conosciuto presone stupende capaci di ascoltare e di
consigliare. Mi sono così molto interessata ai problemi di salute
mentale. Come nascono? Hanno un'origine biologica o ereditaria? Che
impatto il sociale e la medicalizzazione, a volte forse eccessiva, di
questi problemi hanno sulle persone? Come prendersi cura della
sofferenza? Ho quindi deciso di scrivere la mia tesi di laurea
magistrale in Antropologia Medica proprio su questi temi.
Vi scrivo perché ho avuto la possibilità di conoscere il vostro
giornale e la trovo un'iniziativa estremamente utile e interessante. Mi
piacerebbe riportare sulla mia tesi l'esperienza diretta di persone che
soffrono di questi disagi o che ne hanno avuto esperienza. Sarei molto
felice di potere parlare con qualcuno che ha ideato o che scrive sul
giornale per potere conoscere i vostri punti di vista sul tema del
disturbo mentale.
Vi ringrazio per la cortese attenzione.
Un caro saluto,
Lettera firmata (7 giugno 2011)
Mi chiamo Montesi Luca e vivo ad Ancona, ho partecipato
al''incontro ANPIS con persone con problemi di tutta Italia, ho letto
per caso il vostro giornalino e mi piace. Già faccio volontariato e
scrivo su altri. Vorrei parlare del buonismo, perché anch'io ho molto
sofferto, per carattere e poi per situazione che mi sono creato, e la
emarginazione unita al dolore è veramente brutta. Per questo ho deciso
di scrivere e dire che quando ti vengono a dire parole dolci, tra
l'altro dopo averti emarginato, fa veramente male. Poi ho travato delle
strutture con persone vere, capace di capire il problema ed ora non
posso certo lamentarmi anzi se posso fare qualcosa lo faccio sempre.
Complimenti per la vostra attività!
Montesi Luca (24 giugno 2011)
Il sogno ha avuto per me un'importanza essenziale, sia
dal punto di vista, si direbbe, psicoanalitico, cioè come punto di
chiarezza di quali erano i disturbi, le voglie che portavano confusione
nella giornata. Quindi un aiuto di auto conoscenza di sé. Poi c'è un
fatto che non so se tutti lo vogliono accettare, ma solo grazie al
sogno sono riuscito a riprendere diversi cammini in cui mi ero arenato,
come staccarmi da una situazione in cui l'alcool si era impossessato di
me e la donna con cui stavo mi tratteneva in questo precipizio, e solo
un sogno di una donna dai capelli neri, e di una città detta degli 11
ha fatto sì che una mattina mi svegliai con uno spirito alto, positivo
e con la forze di lasciare quella situazione e ritornare da mio padre.
P.S. se volete leggere le mie poesie http://lukilukui.blogspot.com
"ombresenzalucesenzaombre".
Ciao a tutti e ricordate che l'unione fa la forza! Complimenti per
l'iniziativa del giornale
Montesi Luca (25 giugno 2011)
In risposta al "male come
inquilino" di Ave
Il malessere psicofisico, ma anche il male come entità
morale fa parte della vita dell'universo. E' come la legge della
giungla, bisogna farci i conti, io che soffre di grossi dolori dello
spirito che quando si unisce alla depressione, diventa disperazione,
dico che anche questo ha una valenza positiva , nel senso di vita. Io
lo chiamo creatività dello spirito, è un suo modo di forgiarsi. Certo ,
finché ci siamo dentro non lo vogliamo, neanch'io, ma appena c'è uno
spiraglio di luce, e mi guardo indietro, sento quei momenti di dolore
più positivi di un anno di benessere, che scivola via senza lasciare
niente. non è il mio un inno alla malattia, ma solo che vedo questa
come un viatico della conoscenza e della perfezione umana.
Montesi Luca (9 luglio 2011)
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Stuzzichino
La chiusura lampo fu inventata per evitare che qualcuno
stesse… dalla parte dei bottoni!
Luigi Zen
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Errata Corrige
Nell’articolo di Tina a pag. 18 e 19 del numero scorso,
sono purtroppo sfuggiti due errori:
1) la terapia in acqua di cui si parla si chiama “watsu” e non “warm”.
2) la nutrizionista Valeria sostiene l’utilità del tè verde da
vent’anni e non da due!
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