Gli aspetti terapeutici del gioco


È da tutti conosciuta e condivisa dalle discipline psicologiche e pedagogiche l’importanza del gioco nello sviluppo cognitivo ed evolutivo in generale del bambino. Piaget ne studiò l’importanza all’interno delle tappe evolutive, in particolare come forma simbolica in cui il bambino si sperimenta come attivo e agente all’interno della realtà oggettuale. Il contributo di Winnicott dato al gioco è da tanti riconosciuto nella funzione di oggetto mediatore all’interno non solamente delle realtà oggettuali ma soprattutto relazionali, fondamentali per lo sviluppo psicologico del sé.
Parlare del gioco significa parlare di un immenso apporto dato al tema, ma che parte soprattutto dall’interesse verso il mondo dell’infanzia e in una prospettiva evolutiva su quali siano le condizioni favorevoli allo sviluppo “sano” del bambino.
Nella moltitudine dei giochi esistenti, in particolare il gioco di gruppo, può svolgersi nel cortile sotto casa o in una palestra sportiva. In particolare parlare della funzione terapeutica del gioco significa guardare in una prospettiva di “salutogenesi”, a tutto ciò che il gioco offre come ben-essere alla persona, intesa non solamente come stare bene mente corpo in un approccio olistico, ma guardare allo stare con sé, con il mondo avendo come unico veicolo il nostro essere.
Il gioco quindi ci cura nel vero senso del termine, dandoci non solo un altro rapporto con il nostro essere psico-fisico, ma ci fa stare con gli altri, ci unisce con leggerezza e fantasia all’altro da me, alla differenza che ciascuno di noi ha dentro la sua individualità. E lo fa attraverso le sue caratteristiche e qualità, che vanno dal tipo di gioco alle sue regole.
Giocare nel cortile da bambina a palla avvelenata mi dava la possibilità di stare con gli altri, di misurarmi con le mie potenzialità sviluppandone di nuove, alleggeriva dalle prestazioni cognitive della scuola e allo stesso tempo stabiliva modalità educative, culturali e sociali di stare insieme all’altro. La qualità dei giochi di cortile esenti dall’etica della vittoria e delle prestazioni, dava lo spazio a ciascuno di noi di “essere”, esprimerci con le nostre risorse e potenzialità ma senza il bisogno per forza di primeggiare, avendo come privilegio il puro divertirsi nello stare insieme.
Credo che sia molto importante recuperare questo aspetto del gioco, inteso certo come misurarsi con se stessi e con l’altro ma in cui l’importanza non è la vittoria ma il come, il modo in cui si è giocato insieme, all’interno della squadra, sentendosi parte di essa, anche perché non sempre la vittoria è sinonimo di gioco educato.
Misurarmi con la potenzialità del mio corpo, la mia resistenza alla frustrazione, il mio rapporto con l’attesa dei tempi dell’altro, il mio rispetto e accettazione delle regole interne indicano mappe “simboliche” con cui ciascuno di noi si muove con gli altri e con il suo stare al mondo offrendo nel contempo consapevolezza e conoscenza di noi stessi. Il nostro coinvolgimento partecipato, l’accettazione e la responsabilità che sentiamo quando stiamo all’interno del gioco in gruppo ci offrono un modo di essere attivi all’interno della nostra esistenza misurandoci su aspetti di noi che altrimenti non potremo “esprimere” in altri contesti.
Ecco allora il nutrimento che ci offre il gioco: la consapevolezza di sé nei confronti di se stessi e nel confronto dell’altro. Perché come dice De Gregori “ un giocare lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.


dott. Assunta Pischedda (psicopedagogista e counselor)


Tombola… Anziani mettetevi in gioco!!!


Non sono poche le volte in cui si sente dire che quando si diventa anziani, si torna ad essere bambini. Che cosa ci può far cadere in questo luogo comune così ricorrente? Un simile pensiero non è altro che un effetto dell’immaginazione. Dopotutto tra anziani e bambini ci sono delle differenze evidenti. Basta un’osservazione neanche troppo approfondita, per affermare che mentre nei bimbi c’è un’energia che si accende, nell’anziano essa pian piano si spegne; inoltre, tra l’inizio della vita e l’anzianità son passati tanti anni, pieni di esperienze, come quelle che riguardano l’infanzia dell’anziano che probabilmente avrà smesso di giocare da decenni (se mai ha avuto l’occasione di farlo in pieno diritto!). Poi, sappiamo che tra l’infanzia d’oggi e quella d’una volta c’è un abisso ma lascio al lettore, la riflessione sul paragone.
Di certo, gran parte degli Ospiti che troviamo nelle Case Residenza, ha avuto più a che fare con i giochi dei figli, se non dei nipoti, che con quelli propri. Sono loro, in prima persona, a raccontare le sventure che fin da piccoli li avrebbero spinti a lavorare in campagna, o a fare il servizio nelle case di altre famiglie dove i bimbi forse avevano più opportunità per giocare.
Ho notato che spesso molti anziani reagiscono male, poco convinti, persino infastiditi quando qualcuno gli dice “Vai a fare i giochi con l’Animatore” o peggio ancora, “…dei giochini!”. Infatti, si sentono trattati come bambini, ma loro sanno meglio di noi più giovani, che l’infanzia è rimasta molto lontano.
A questo punto bisogna dire che eseguire processi di coinvolgimento adeguati è quasi un’arte, un’abilità che s’impara. Le tecniche di coinvolgimento non sono in assoluto conoscenze immediate, bensì il risultato dell’allenamento durante una pratica professionale che include l’osservazione e la riflessione. Infine il coinvolgimento degli anziani, è più complesso di quanto possa sembrare e va fatto con molta cura.
Troviamo senz’altro delle generazioni sofferenti sul piano dell’infanzia ma che in qualche maniera, esperienze di gioco ne avranno fatte; anche con pochi materiali, quello che c’era…, con più di fantasia e di quella componente preziosa: la relazione… che ormai inizia a scarseggiare troppo.
Tra le risposte possibili alla domanda su quale cosa spinge ad associare l’anziano al bambino, avrei due ipotesi.
Riprendo l’idea dell’energia che si spegne, e aggiungo contemporaneamente al processo, la perdita delle funzioni d’autonomia ovvero, dell’Autosufficienza. Si diventa quindi, più dipendenti e bisognosi d’attenzioni. È risaputo che il “cucciolo” umano impiega anni prima di rendersi autonomo. Se lo sviluppo trascorre nella norma, diventa autosufficiente. Si tratta di un lungo e progressivo processo durante il quale si perde la condizione di dipendenza. Nell’anzianità s’innesca il processo inverso, cioè, il ritrovo della condizione di dipendenza; in teoria ciò accade in modo progressivo, sebbene questo cambiamento possa capitare anche in maniera precipitosa. È su questo fenomeno che si fonda la prima delle mie ipotesi: il fattore della dipendenza come condizione condivisa da bimbi e anziani, che ci può portare a confonderli o meglio, confonderci!
La seconda delle ipotesi, è che viene più facile associare il gioco all’infanzia, che ad altri periodi della vita, come se il gioco negli adulti, fosse cosa da gente immatura. Naturalmente lasciamo a parte i casi patologici di dipendenza al gioco per far riferimento invece alla funzione più salutare delle attività ludiche.
Adesso vorrei orientare l’argomentazione sui vantaggi che porta nella vita dell’anziano, l’inclusione di questo genere di attività nelle programmazioni di Animazione all’interno delle case residenza e centri diurni. Da notare che nel ruolo deve esserci un professionista competente. Il ruolo dell’Animatore Sociale non va improvvisato, bensì richiede formazione adeguata e a volte non basta neanche. Bisogna che sia anche una persona sensibile e che sappia o impari a lavorare con “Intelligenza Emotiva”(1). Allora ci saranno più garanzie per promuovere il Benessere nella vita degli anziani.
La scelta del gioco avviene dopo l’osservazione accurata o di un buon monitoraggio da parte di un professionista che è in grado di poter prevedere e capire se l’anziano ha le capacità sufficienti per portare a buon fine il gioco, evitando eventuali emozioni di frustrazione e conflitto. I giochi devono avere un certo livello di difficoltà, perché così diventano più emozionanti, e appaiono come sfide da affrontare. In questo modo si mantengono in esercizio e si allenano capacità cognitive, motorie e funzioni percettive; ma il gioco non deve assolutamente perdere il suo carattere ludico né diventare un problema. Quando colui che guida il gioco, riesce a creare un’atmosfera che non assomiglia alla scuola, si genera un clima socio-ricreativo; capita spesso che i partecipanti dimentichino le proprie inibizioni socializzando con più spontaneità lungo lo sviluppo dell’attività. Di conseguenza mentre ci si diverte, si alleggerisce lo spirito appesantito, inteso come l’insieme di tristezze, paure, preoccupazioni, pensieri specie sulla morte, la solitudine e l’abbandono. Si riducono l’isolamento, gli stati di noia e i momenti d’ozio. Il tutto abbonda maggiormente, nei luoghi in cui non è compresa l’Animazione nella carta dei servizi per l’Anziano, ora Ospite delle Case Residenza, ora Utente dei Centri Diurni.
Ci sono una varietà infinita di giochi possibili e interessanti che si possono fare con le persone anziane. Possiamo adattarli, modificarli, inventarli con pochi elementi, con regole semplici, create perfino insieme a loro. Ai fini di semplificare la comprensione e arrivare a una conclusione dell’articolo, prenderò come esempio “La Tombola” nota da tutti e molto allettante per gli anziani, soprattutto quando si consegnano anche dei premi. Attraverso lo sviluppo della Tombola, si esercitano le facoltà percettive o sensoriali: l’udito nel sentire i numeri chiamati con ogni estrazione; la vista nel ricercare i numeri nelle proprie schede; il tatto e le funzioni motorie nel appoggiare gli elementi che servono a coprire i numeri nominati.
C’è l’aspetto dell’orientamento spazio-tempo. Da un lato, l’organizzazione spaziale che corrisponde all’ordine dei numeri all’interno delle schede e quindi si deve posare l’elemento in un punto preciso, esattamente dove si trova il numero chiamato. D’altra parte c’è anche una temporalità, una scansione nella sequenza di numeri che si estraggono il che dona al gioco un ritmo che si deve cercare di seguire, agire all’interno di un tempo per non rimanere indietro. Si creano spesso dinamiche di solidarietà, c’e chi tende ad aiutare coloro che trovano maggior difficoltà, tante volte a scapito di seguire il proprio gioco e così nascono affinità e prendono più confidenza tra di loro.
I premi sono sempre uno stimolo che “tira fuori” lo spirito competitivo, rappresenta un compenso per la “bravura” nell’eseguire il gioco e contribuisce a innalzare l’autostima. La vincita può generare effetti positivi sul self, o sé stessi, aumentando la fiducia nelle proprie capacità. Infine nel giocare, la persona può avere l’impressione di essere sé stessa a mettersi in gioco.
Naturalmente, con il passar degli anni le funzioni cognitive diventano fragili. Una “semplice” Tombola esige il rendimento di funzioni tali come: attenzione, concentrazione, comprensione, memoria. Per questo motivo, lo svolgimento di questo genere d’attività richiede spazi e ambienti adeguati, lontano dalla confusione, perché l’anziano nel suo impegno per seguire il gioco, sta facendo grandi sforzi, anche se solo in apparenza può sembrare di passarsi il tempo!

(1) Per coloro che vogliano approfondire l’argomento, si consiglia la lettura dei libri di Daniel Goleman su “Intelligenza Emotiva”.


dott. Mariana Parera (psicologa e animatore sociale)


Quando il gioco diventa un problema


Il gioco è una costante del comportamento culturale dell’essere umano; esso accompagna l’uomo lungo tutta la sua esistenza; esso stimola l’intelligenza e la creatività. Il bambino,infatti, attraverso il gioco realizza una costante e progressiva esplorazione di sé e del mondo e una pratica dei ruoli che in quest’ultimo è possibile assumere. Nell’uomo il gioco assume, quindi, infinite forme e funzioni: prepara ai diversi compiti esistenziali (biologici, sociali, relazionali, culturali), serve ad appagare i bisogni fondamentali di competere e misurarsi, di autoaffermarsi. Serve anche a concedersi svago, sollievo.
I problemi nascono quando l’aspetto ludico diventa secondario rispetto all’impulso dì giocare, al bisogno di rischiare, continuare a tentare la fortuna anche di fronte a perdite devastanti. Questo si configura come “Gambling”, un comportamento compulsivo la cui dinamica, pur in assenza di sostanze è assimilabile ad altre forme di dipendenza patologica quali la tossicodipendenza da sostanze o l’alcolismo. Il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) è un vero e proprio disturbo psicopatologico, una forma di dipendenza che induce la persona alla necessità imperante di giocare. Il desiderio di rifarsi, o di vincere non è più il richiamo principale per scegliere il gioco, ma il gioco in sé accompagnato alle emozioni e alle sensazioni che riesce a suscitare. Il desiderio ossessivo di recuperare il denaro perduto può portare il giocatore a perdere completamente la percezione del tempo che dedica al gioco e della quantità di soldi che sta scommettendo. Il gioco prevale su tutti gli altri interessi, affetti, hobby.
Giocare il denaro, diventa, quindi, il centro di interesse, la preoccupazione centrale della propria esistenza. Niente può fermare il giocatore e questa attività conduce presto o tardi alla disorganizzazione della sua vita sociale, familiare, lavorativa e alla totale mancanza di controllo sulla gestione del denaro. La caratteristica essenziale del giocatore compulsivo è, quindi, l’incapacità di resistere all’impulso di giocare (praticamente ha perso il controllo su di esso).
In presenza di queste manifestazioni il gioco non esiste più; vengono a mancare le premesse indispensabili perché sia un gioco: manca la libertà del soggetto, ormai schiavo della compulsione; manca la possibilità di uscire dal gioco quando lo si desidera. Siamo di fronte ormai alla malattia.
Il giocatore patologico è pieno di ottimismo e non impara dagli errori: La sua convinzione in una finale vittoria non è scalfita dalle perdite finanziarie, anche se ingenti. Egli “avrà infine la ricompensa, in funzione della propria perseveranza”. Continuerà a giocare anche in caso di vincita, poiché il suo “contratto con il destino gli garantisce che sarà permanentemente un vincitore”.
Queste convinzioni irrealistiche permettono al giocatore di continuare a giocare. Durante il gioco viene percepita una sensazione di piacevole tensione che nello stesso momento è dolorosa e gratificante, questa particolare sensazione frequentemente sovrasta il desiderio di vincere.
Le ragioni che sostengono il GAP sono, quindi, la ricerca di emozioni, l’illusione di fare soldi e l’inseguimento delle perdite (rifarsi, tentare il colpaccio).
Ogni persona può soffrire di questa patologia, frequentemente nella storia personale del giocatore patologico c'è un familiare che a sua volta aveva lo stesso problema, come per altre dipendenze c'è una "vulnerabilità” personale sulla quale si instaura la dipendenza dal gioco. Concorrono allo sviluppo della malattia, quindi, diversi fattori: biologici, psicologici e sociali.
Il rischio, tuttavia, diventa elevato soprattutto nelle aree ad alta concentrazione di giochi legalizzati. Il gioco talvolta può rappresentare un’evasione e un modo per esorcizzare le proprie paure. In più, giocare è facile, “basta andare nel bar sotto casa”. Infatti se fino a qualche tempo fa esisteva gente che si rovinava con il gioco illegale, oggi questo è praticamente sconosciuto.
Da diversi anni si osserva un aumento del gioco d’azzardo fra gli adulti, ma anche tra i giovani; sembra aumentato il desiderio o l’attrazione verso la sfida col destino, ma anche in tempi di crisi economica, talvolta aumenta l’illusione che una vincita possa essere la strada per “risolvere ogni problema”; da qui, un moltiplicarsi di possibilità di giocare d’azzardo, attraverso lotto, superenalotto, gratta e vinci, scommesse e slot-machine, ormai onnipresenti nei bar ma anche in altri locali, su Internet. In Emilia Romagna i numeri sul gioco d’azzardo sono quasi sconosciuti. Mancano dati relativi al gioco clandestino, mentre i pochi disponibili su quello legale già da sé sono sufficienti a dare ragione dell’ampiezza del fenomeno. Oltre 2 miliardi di euro all’anno vengono spesi, tra lotterie, scommesse e slot machine, con un’incidenza di 488 euro pro capite e 1.140 euro annui per famiglia.
Si vuole sottolineare, quindi, come la storia del gioco d’azzardo (le cui caratteristiche principali comprendono che la posta in gioco sia sempre il denaro e che la vincita sia legata al caso e non ad abilità personali) è strettamente legata alla storia dell’uomo, tanto che le prime notizie risalgono all’incirca al 3000 a.C. Nell’antico Egitto, ma anche in India, Cina, Giappone. La parola “azzardo”, dal francese hasard, trova la sua più antica origine nella lingua araba, dove con il termine zahr si designava l’oggetto ludico a noi comunemente noto come “dado”.
Nel gioco d’azzardo l’uomo, mette in gioco i propri averi e con essi se stesso e la propria vita (lavorativa, familiare, sociale).
Non possiamo però dimenticare che una delle caratteristiche fondamentali del gioco e quindi anche del gioco d’azzardo, è il divertimento, ovvero ciò che contribuisce a sollevare l’animo dalle preoccupazioni quotidiane, dalle fatiche del lavoro e che è in grado di fornire gratificazione. Il fenomeno del gioco non sarebbe assolutamente comprensibile, né potrebbe esistere al di fuori di una risposta gratificante. Questa valenza psicologica, fa si che possa talvolta diventare “patologico”.
La dipendenza è una malattia cronica, non si guarisce, ma si può curare. L'obiettivo terapeutico è la sospensione del gioco patologico, tale remissione viene considerata parte integrante del processo di cura (che può contemplare anche le ricadute).
Poiché il giocatore coinvolge nelle perdite l’intero sistema familiare (con conseguenti problematiche economiche, relazionali e sociali), l’analisi e l’obiettivo del cambiamento non sono rivolti al solo “giocatore” ma a tutto il nucleo familiare.
L’Unità Operativa Ser.T Bologna Ovest, Edificio A Ospedale Maggiore, di cui faccio parte a cui possono accedere i residenti e/o domiciliati nei territori: Borgo Panigale-Reno, Porto Saragozza, ha un’équipe di professionisti (educatori, assistenti sociali, psicologi e medici), che può accompagnare il giocatore che voglia "disintossicarsi" in un percorso di cura, che prevede sia interventi individuali e familiari di sostegno psicologico e psicoterapico, sia supporti psicofarmacologici e l’invio ai gruppi di Autoaiuto.


dott. Maria Grazia Masci
(Psicologa-Psicoterapeuta Unità Operativa Ser.T Bologna - Ospedale Maggiore)




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Attività Gioco d'Azzardo Patologico Il Servizio Dipendenze Patologiche, Ser.T (Servizio Tossicodipendenze) Bologna Ovest, si occupa, all'interno della sua attività rivolta alla prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi da uso di sostanze, di problematiche legate al Gioco d'Azzardo Patologico (GAP).
E' presente una equipe multiprofessionale composta da operatori che si occupano di GAP a tempo parziale e rappresentano le professionalità presenti nel nostro servizio: psicologo, medico, educatore professionale, operatore sociale e infermiere professionale.
La referente è la Dott.ssa Maria Grazia Masci.

Attività svolte:
Consulenza a familiari e persone che vogliono avere informazioni sulle problematiche legate al Gioco d'Azzardo Patologico.
Diagnosi.
Trattamento: counselling, psicoterapia individuale, farmacoterapia.
Sostegno psicologico e socioeducativo a familiari e giocatori.
Invio ai gruppi di AutoAiuto.

Giocatori in carico e in consulenza al Ser.T . Bologna Ovest nel 2012:
Totale 25 giocatori, di cui: M 19 (72%); F 6 (28%). Età Media 49, 32%.
Fascia Sociale di appartenenza: Prevalentemente medio-alta (impiegati e professionisti, pochissimi tra operai e pensionati.

Come si accede:
L'accesso al servizio è libero, non occorre la richiesta del medico di base, sono garantiti anonimato e privacy. Per appuntamenti e informazioni si può telefonare durante l'orario di apertura al pubblico.
Sede: Ser.T Bologna Ovest, Largo Nigrisoli, 2 Bologna – Edificio A Ospedale Maggiore
Telefono: 051 3172011; fax : 051 3172117; e-mail: sert.ovest@ausl.bologna.it Orari: Il servizio è aperto nei seguenti orari:
Da lunedì a venerdì dalle 9 alle 14 - martedì e giovedì dalle 9 alle 14 e dalle 15 alle 19.
Al Ser.T afferiscono i cittadini residenti e/o domiciliati nei quartieri : Borgo Panigale, Reno, Porto e Saragozza.

Gruppi di AutoAiuto: sul territorio bolognese sono presenti tre gruppi di auto aiuto, due rivolto ai giocatori (GA: Giocatori Anonimi), l'altro rivolto alle famiglie e amici di giocatori (GAM-ANON).

Il gruppo GA “Dickens” si riunisce attualmente presso la parrocchia di San Pio X, Via C. Dickens,3 con i seguenti orari:
Tutti i giovedi dalle ore 21.00 alle ore 23.00; cell. 345 4790037
e-mail: ga.bologna@yahoo.it
Sito www.giocatorianonimi.org

GA, Gruppo Bologna, presso la parrocchia SS Annunziata, via San Mamolo,2 con i seguenti orari
Tutti i martedì dalle ore 21.00 alle ore 23.00; cell. 340 3381317.
e-mail:info@giocatorianonimi.bo.it

GAM-ANON (familiari giocatori anonimi) “Gruppo Dickens”, presso la parrocchia San Pio X Via Dickens, 3. con i seguenti orari :
Tutti i giovedi dalle ore 21.00 alle ore 23.00; cell 334 2373723 ; e-mail:gamanonbo@libero.it
Sito wwwgamanonitalia.org