giugno-luglio 2012 - anno VI  n. 3 - Il conflitto

sommario

Fabio Tolomelli

Editoriale

Piergiorgio Fanti

Umberto Boccioni: ‘Rissa in galleria’

Giorgia Bolognini

Il conflitto

UmanaMente

Brain storming sul tema: “Il conflitto”

RTP Casa Mantovani

Laboratorio espressivo di narrativa
e scrittura creativa

Max Trentini

C’è conflitto e conflitto

Ave

Il conflitto

Antonio Marco Serra

Conflitto ed empatia

Mariangela

Conflitto interiore

Tina Gualandi

Il mio conflitto

Andrea Castellino

La mia solitudine

Giovanna Bassi

Per me nessun amore

Lucia Monaco

Due lettere d’amore (poesie)

Luigi Zen

Il cacciatore e la volpe

Marco Benedettini

La seconda guerra mondiale (intervista di Fabio)

***

6 e 9 agosto 1945

Giovanna Giusti

Basta guerre

Giovanna Giusti

Vite violente

Matteo Bosinelli

Ode alla Sicilia (e ai suoi conflitti)

Darietto

Il conflitto “tecnologico-sociale”

C.D. di Casalecchio

Conflitto di interessi

Ospiti di Villa Bianconi

Il conflitto

Luigi Zen

Lettera Zen: Il conflitto

Dedicato ad Arianna
Lo spazio della poesia

 

      Giovanna Giusti     Conflitti
      Ave Manservisi     Io non so parlare
      Paola Scatola     Il conflitto
      Marcella Colaci     Poesie
      Opola Resonive     La colomba bianca
      Piergiorgio Fanti     S'attende...
      Annarita Baratti     Il faro
      Mariangela     Guerra!!!
      Paola Scatola     Il Conflitto

Concetta

Gestione dei conflitti: tanta fatica ma anche...

Mariana Parera

Come a casa… nostra

Trilussa

Natale de guerra

L.L.

Guerra, pazzia e paradossi

Ave

Poco.So.Ave (rubrica)

Roberta Finco

Tecnologia: meglio conoscerla che combatterla

Cristicchi

Cristicchi ha letto anche per te (rubrica)

Maria Chiara Reitani

I sogni della famiglia Albani

Roberto Ramosi

Pensieri (poesie)

G.

La psichiatria di ieri, di oggi e di domani

Luigi Zen

Indovinello / Barzelletta

***

Posta

 

Editoriale


Il termine conflitto deriva dal latino conflictus che significa: cozzare, urtarsi. Nella mia vita quante volte mi è capitato di cozzare o urtare con me stesso o con chi mi sta vicino. Nel linguaggio odierno il termine prende tuttavia altri significati come: scontro armato, conflitto di interessi, conflitto giuridico.
Ma tornando ai miei conflitti, il primo che viene alla mente è quello con il mio povero padre. Caratteri diversi, ma testoni allo stesso livello. Non trovavamo una sola cosa su cui essere d’accordo, forse un pochino sulla politica, ma niente di più.
Poi ci sono tutti i miei conflitti interiori che sono talmente tanti che ci sarebbe materiale per scrivere un trattato. Il più forte è tra quello che sono e quello che vorrei essere.
Ne faccio un esempio: a ventisette anni studiavo molto e non avevo tempo per allenarmi in bicicletta, pur avendo discrete doti fisiche. Poi la malattia, i farmaci, hanno fatto sì che andare in bicicletta non era più un divertimento, ma un enorme sforzo psicofisico. Facevo fatica a mantenere l’equilibrio, il cercare di tenere una frequenza di pedalata alta mi faceva venire il nervoso, non per frustrazione, ma per una strana alchimia nel cervello: mi si generava una specie di fumo che mi toglieva tutte le forze unito a una forte rabbia, perché non potevo realizzarmi in quello che era ed è il mio sport preferito.
Un conflitto esteriore che ha segnato la mia vita è avvenuto quando avevo sedici anni. Uno dei miei docenti pretendeva da me più di quanto io potessi dare e se non riuscivo a superare l’esame mi induceva a ritirarmi perché inadatto alla scuola. In effetti i miei limiti erano evidenti, ma il mio impegno era il massimo che riuscivo a dare. Se fosse stato per me mi sarei ritirato, non avevo più energie psicofisiche, avevo bisogno di divertirmi, mentre invece mi veniva richiesto di studiare di più. Anche quando secondo altri docenti avevo raggiunto la sufficienza, lui faceva di tutto per toglierla. Forse perché aveva anche lui un conflitto interiore, per cui i suoi allievi dovevano essere i migliori ecc. ecc. Oppure perché aveva un conflitto con mio padre per quanto riguarda la carriera professionale. Ma è stato mio padre a insistere perché io continuassi gli studi in quella che era anche la sua professione: alla fine ce l’ho fatta. Ma in tutta la mia carriera mi sono dovuto scontrare con i colleghi non per quello che ero, con tutti i miei limiti, ma come figlio di mio padre.
Scusate se l’editoriale è scivolato parecchio nel personale. Non era mia intenzione, ma è venuto così.
Ne Il Faro si parlerà di conflitti psicologici, sociali, tecnologici, armati, di interessi e giuridici. Buona lettura.


Fabio Tolomelli


Umberto Boccioni "Rissa in galleria" - 1910 (olio)


pagina 1



“Rissa in galleria” viene concepito in una fase della ricerca bocconiana già idealmente futurista, di un futurismo legato agli stati d’animo e percorso da una spinta vitale, dinamica, privo però degli sviluppi che porterà il confronto con le avanguardie parigine. Il soggetto è una rissa tra due donne, davanti a un caffè della galleria Vittorio Emanuele II, nel pieno centro di Milano.
Sotto la luce dei nuovi lampioni elettrici ad arco, una folla, anch’essa - si direbbe - elettrizzata, si raduna attorno alla scena. Quell’energia elettrica che, anche grazie alle invenzioni di Alessandro Volta e in seguito di Antonio Pacinotti, rivoluzionò il modo di vivere nelle grandi città già all’inizio del XX secolo.
La tecnica coloristica risponde ai requisiti del divisionismo italiano, tecnica pittorica che dominerà le tele dei futuristi, a volte anche dopo l’apprendimento della scomposizione cubista. Divisionismo che Boccioni aveva appreso da due importanti artisti come Gaetano Previati e Giacomo Balla. Il movimento e il dinamismo del dipinto non sono disgiunti da una vivace attenzione al dato reale, propria della tradizione italiana ottocentesca.
Qui il “conflitto” esplode nel cuore della città: è tutto un pullulare di figure guizzanti e pulsanti; è la vita contemporanea che sembra scorrere frenetica, non più contenibile dalle vecchie architetture (non a caso un altro quadro di Boccioni, eseguito poco dopo, si intitolerà “La città che sale”.)
“Rissa in galleria” è infine un’acuta testimonianza storica di cosa dovesse essere la vita nella metropoli milanese in quegli anni di profondo cambiamento e crescita urbanistica.


Piergiorgio Fanti


Il conflitto


“Essere o non essere: questo è il dilemma”…Se non il problema, per non dire il conflitto. “Il bianco e il nero”, “la botte piena e la moglie ubriaca” sono tutti contrasti per definire due concetti che si sovrappongono (nel migliore dei casi), o si trovano in antitesi (nel peggiore dei casi), si fanno guerra.
Il conflitto mondiale, la pace, la guerra, la dittatura, l’anarchia. Ma qual è il conflitto più grande? Sicuramente l’odio e l’amore.
Tutto nasce dall’“Essere o non essere”, cioè conflitto interiore, conflitto personale.
Quando due persone hanno un conflitto, si dice che non vanno d’accordo, litigano.
Quando i genitori hanno un conflitto, davanti ai figli infanti non litigano, ma discutono. “Sono cose da grandi” dicono loro, come per scusarsi o togliersi il senso di colpa che deriva da questo “cattivo esempio”. Ma anche i bambini litigano: “C’ero prima io”, “No, tu non lo sai fare”, “Questo gioco è mio” etc..
Il conflitto è dentro di noi, fin dalla nascita, è insito nell’uomo, nell’essere umano. Sembra che non ci si possa fare nulla.
Nella nostra religione (cattolica), si parla soprattutto di bene e male. La scelta, la differenza, la responsabilità. Dal peccato originale l’uomo diventa colpevole (dalla nascita), quasi malato di un peccato universale, da cui non può e non riesce a redimersi. Dal peccato originale vengono le malattie, i perigli, la fatica e la morte, la fame, la guerra. Nei giorni nostri si pensa di più al conflitto politico che al conflitto fra nazioni. Visto che oggi la politica è diventata l’ordine del giorno, anzi il nostro pane quotidiano. <
L’individuo di adesso (può essere sposato, single, separato, che vive solo d’avventure) pensa: “Se non trovo l’ambiente e le persone che mi piacciono, non posso amare.” Questa affermazione è vera, sta alla base e all’origine di ogni conflitto. Se l’individuo, inteso come persona, non è un genio, perché non trova quello che cerca, e spesso cerca qualcosa che non c’è, è sempre insoddisfatto, freddo, infelice, distaccato, non può e non riesce ad amare, perché l’amore spesso, nell’ordine delle priorità, viene inesorabilmente all’ultimo posto. Se cerco uno spazio, deve essere mio, se cerco un amico deve essere tutto per me (la proprietà come fonte di conflitto e pregiudizio), e quando sono solo deve farmi compagnia, e addirittura quando ho torto deve darmi ragione, se ho un problema me lo deve risolvere. Più o meno è questo il tipo di amicizia che cerca l’individuo “medio” di oggi.
Spesso la psichiatria o la psicologia creano nuovi labirinti con la falsa promessa di restituire a chi sta male per questi o vari motivi, di riprendere la propria vita, o addirittura di guarire (quasi si trattasse di una malattia, come comunque “il mal di vivere” lo è, ma insito nell’essere umano, e come cura basterebbe la filosofia) in modo che la persona sviluppa una vera e propria dipendenza. E forse il conflitto rimane irrisolto e irrisolvibile. Una volta c’erano i manicomi o le case di cura. Adesso ci sono gli psicologi, le slot-machine.
Anche la proprietà (intesa nel suo aspetto più subordinato) è fonte di conflitto. La borghesia è un assetto sociale fondato sulla proprietà di beni materiali e finanziari (capitale), a partire dal denaro, ad arrivare a case, macchine, banche, uffici, stabili, fabbriche, società, imprese etc. Si può risalire (andando indietro nel tempo) ai primi beni. Quelli di prima necessità. Come si scambiavano i beni prima che ci fosse il denaro? Col baratto. Un contadino o un pastore potevano scambiarsi pecore e formaggi o frutti e verdure, stabilendo loro stessi il valore dei beni scambiati. Tutto era in armonia con la natura e difficilmente vi erano dei litigi perché il bene ricevuto non era di sufficiente valore di quello dato.
Parlando di economia arriviamo… alla politica. La destra e la sinistra, il conflitto d’interessi, il conflitto mondiale, cioè la guerra. Tutti oggi si definiscono pacifisti per paura di affrontare certe tematiche, ma ancor di più per paura della guerra. La guerra per come ci è stata raccontata dai nostri avi (nonni, zii, partigiani) e da come l’abbiamo vista raffigurata in molti film, è stata (soprattutto quella del ’15-’18 e quella del ’40-’45) vissuta come la peggiore delle catastrofi mondiali, seguita in ordine dalla peste, malattie, fame, terremoti e alluvioni.
La politica di oggi, fino a poco tempo fa, è stata gestita male, da persone che non erano politici ma imprenditori, che erano sia di destra che di sinistra.
Conflitto mondiale → guerra → fine.
Conflitto interiore: uno con se stesso, uno con un altro, uno con altri, uno contro tutti, tutti contro uno.
Conflitto con se stessi: dissociazione mentale.
Fine dell’inizio, inizio della fine, fine della fine, inizio dell’inizio.
Italia redenta, risorgeremo!


Giorgia Bolognini


Associazione UmanaMente
Brain storming dei partecipanti sul tema: “Il conflitto”


I partecipanti al Laboratorio di scrittura di UmanaMente hanno convenuto di preparare un articolo sul tema del conflitto, che è l'argomento del mese per la rivista "Il Faro".
Come è consuetudine, i lavori sono iniziati da una sorta di brain storming, durante il quale ogni partecipante ha potuto proporre una definizione di conflitto o raccontare un'esperienza diconflitto.




Il conflitto esterno

Le forme di conflitto inizialmente individuate sono state di conflitto esterno. Contrapposto al conflitto interno, che emergerà successivamente, il conflitto esterno è quello che si crea fra soggetti o enti distinti, quali possono essere:
-  due persone;
-  una persona e un gruppo umano, la cui ampiezza può variare dal piccolo o piccolissimo gruppo fino alla società intera;
-  gruppi umani o enti o istituzioni, che possono essere tanto piccoli quanto molto grandi, come interi Stati in conflitto fra loro.

    A: “Non è facile dare una definizione di conflitto, mi vengono però degli esempi di conflitto: il conflitto tra marito e moglie e tra stati in guerra.”

    Ms: “Il conflitto può sorgere anche tra amici per idee e opinioni diverse ed allora nascono delle discussioni che possono essere più o meno accese e che a volte portano a dover subire dei veri e propri torti.” (conflitto interpersonale)

    S: “Il conflitto si può anche vivere all’interno della famiglia, con un genitore o i fratelli.”

    F: “Conflitti aperti sono poi quelli con la tecnologia che è continuamente in evoluzione e che si fatica starci dietro.”
Un caso particolare di conflitto esterno: il conflitto con le norme.

    M: “Il conflitto è anche tra bene comune ed interesse del singolo, anche quando questo interesse è legittimo.”

    E: “In questo caso mi sembra possa riguardare la dimensione dei diritti del singolo e della tutela dei propri interessiall’interno di una dimensione più ampia, come potrebbe essere quella del gruppo o dell’intera società. Regole e norme possono aiutare a superare la conflittualità o al contrario intensificarla. Le regole servono per dare spazio e libertà alle persone.”

    Sg: “Gli psicofarmaci pongono dei conflitti sul fronte del dovere, ma anche della realtà. A volte succede che non li voglio prendere eppure devo prenderli e se non li prendo c’è qualcuno che mi obbliga a farlo. Non prendere più i farmaci può significare andare ricoverato con la forza.”


Il conflitto interno



Emerge ora il tema del conflitto interno, ossia quel conflitto che si crea:
-  non fra persone diverse o fra una persona o un gruppo umano o istituzione,
-  bensì all'interno di una persona.


  M: “Forse il conflitto più intenso è quello che si vive all’interno e che riguarda i nostri bisogni. Un esempio è quello di non voler andare dalla psicologa o dallo psichiatria, ma di riconoscere di non poterne fare a meno. Più che essere un conflitto con lo psichiatria e lo psicologo è un conflitto interno.”

  E: “Credo che tutti noi possiamo dire di aver vissuto un conflitto con noi stessi rispetto a come vorremmo essere e come di fatto siamo ed anche a volte per voler essere qualcun altro. Il conflitto che io sento sempre in modo più intenso è quello tra il dovere e il piacere, tra quello cioè che vorrei fare e che invece devo fare. Credo che accompagni molte delle mie giornate. Il lavoro che ho scelto però è quello che mi piaceva e che volevo fare. Così, nemmeno un giorno della mia vita mi sembra un giorno di lavoro. Credo che questa sia una grande fortuna.”


UmanaMente


Laboratorio espressivo di narratura e scrittura creativa
Il conflitto


“Narra un antico testo persiano che quando Giuseppe fu messo in vendita dai suoi fratelli si presentarono molti compratori, tra cui una vecchia che stringeva alcuni gomitoli di lana. "Anima semplice" le disse il sensale "come puoi comprare un simile gioiello di schiavo con i tuoi gomitoli?" "Lo so che non potrà comprarlo" rispose la vecchia "mi sono messa in fila perché amici e nemici possano dire: anche lei ci ha provato". (L. Muraro)



La lettura è uno strumento potentissimo attraverso il quale possiamo accedere al desiderio. Le vicende narrate, i personaggi che s’incontrano ci proiettano nel nostro mondo interno fatto di sogni e fantasie permettendoci così, di comprendere che le cose possono accadere se le desideriamo davvero.
Il nostro gruppo si è dato questo obiettivo: riscoprire noi stessi, i nostri desideri proiettandoci nel futuro e liberandoci dal vincolo dell’hic et nunc che affligge la nostra quotidianità, specchio di una società che, molto spesso, rinuncia a modificare il proprio mondo sottraendosi così all’ineluttabilità degli eventi.
In quest’ottica abbiamo letto diversi testi di narrativa l’ultimo dei quali, “Il Richiamo della Foresta” di Jack London, ci ha insegnato quanto sia importante la libertà intesa come ricchezza, come risposta alla nostra coscienza e “compimento totale dell’io” nel rispetto di tutto ciò che ci circonda. La trama di questo libro si snoda essenzialmente sulle vicende di Buck alle prese con padroni a cui interessa solamente vincere la corsa all'oro in Alaska incuranti delle condizioni dei poveri cani da slitta. Alla morte dell'ultimo suo padrone con cui ha un rapporto diverso e più umano, Buck non riesce a resistere al richiamo della foresta, un richiamo di libertà molto forte impossibile da ignorare che lo porterà a scoprire la sua vera natura.
Abbiamo ragionato pertanto, sull’importanza della libertà e sull’incapacità nel dosarla da parte di molti, che ha generato, nella storia, conflitti di ogni genere. Ci siam detti che esistono diversi tipi di conflitto a seconda che lo si legga sul piano sociologico o psicologico e, per saperne di più, abbiamo svolto una ricerca sull’opinione che grandi pensatori e politici hanno sull’argomento.
Di seguito verranno elencate alcune delle frasi lette insieme che sono state commentate dai partecipanti del nostro gruppo:



“Abbiamo finalmente capito che Internet non è una rete di Computer ma un intreccio infinito di persone, uomini e donne a tutte le latitudini, che si connettono fra loro, attraverso la più grande piattaforma di relazioni che l'umanità abbia mai visto. La cultura digitale ha creato le fondamenta per una nuova civiltà e questa nuova civiltà sta costruendo dialettica, confronto e solidarietà attraverso la comunicazione, perché da sempre la democrazia germoglia dove c'è accoglienza, ascolto, scambio e condivisione e da sempre l'incontro con l'altro è l'antidoto più efficace all'odio e al conflitto. Ecco perché Internet è un formidabile strumento di pace, ecco perché ciascuno di noi in Rete, può essere un seme di non violenza. Ecco perché la Rete merita il prossimo Premio Nobel per la Pace e sarà, se conferito, un Nobel dato a ciascuno di noi.”

(Gianfranco Fini)



Non sono d’accordo con Fini! La rete non prenderà mai il Nobel, poiché come tutte le grandi invenzioni, è a doppio taglio… perché un’arma in mano a criminali e quindi, fonte di conflitti ulteriori!

Gianluigi Mondini

Non sono affatto d’accordo con Fini. La rete internet ha portato tante cose belle, è vero, ma ne ha procurate anche altrettante spaventose… soprattutto alle persone ingenue e fiduciose nei confronti del prossimo… pertanto non è un antidoto al conflitto… non si può accedere alla pace con internet, si rinuncerebbe alla relazione tra gli uomini!

Anonima



“Il mondo è tenuto insieme da vincoli d'amore e dedizione. La storia non registra i quotidiani episodi d'amore e dedizione. Registra solo quelli di conflitto e guerra. Gli atti d'amore e generosità sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute.”

(Mohandas K. Gandhi)



Tutto ciò sarebbe molto bello… ma se mi guardo intorno non vedo una realtà così positiva…il mondo sembra una foresta abitata da animali feroci che devono lottare per la sopravvivenza… lo si sente dire tutti i giorni nei giornali e nelle TV da persone molto più importanti di me… ma, come ci diciamo sempre, non bisogna rassegnarsi ed accettare le cose come sono, anche se sperare è davvero difficile...

Anonima

Penso che sia vero che gli atti d’amore siano più frequenti dei conflitti… o per lo meno mi sento più felice quando non sento parlare dei conflitti se non in chiave fantastica, lontano dalla mia realtà… forse perché credo che sia una cosa per persone forti, che sono all’altezza di vivere il conflitto...

Anonima



“Rinchiudersi e isolarsi all'interno di un ideale non libera dal conflitto”.

(Jiddu Krishnamurti)



Gli ideali a volte cozzano con la realtà e andrebbero rivisti, ma non si può rinunciare ai propri sogni e bisogna perseguirli. (Silvio Bolognesi)
Mi sembra un pensiero nichilista… esiste il senso della possibilità, certo bisogna sempre tener presente ciò che ci circonda, ma non per questo pensare che tutti i nostri ideali possano far guerra alla realtà!

Anonimo



L'uomo deve elaborare per ogni conflitto umano un metodo che rifiuti la vendetta, l'aggressione e la rappresaglia. Il fondamento d'un tale metodo è l'amore.

(Martin Luther King)



Non sono d’accordo neanche con Martin Luther King… non è così semplice eliminare questo genere di conflitto, perché non sempre è facile amare chi ci ha fatto del male, bisognerebbe imparare a perdonare… ardua impresa!

Gianluigi Mondini

Non è esatto dire che l’unico metodo per superare il conflitto è l’amore… occorre anche la convivenza pacifica: "Neminem laedere" ovvero: non offendere nessuno!

Rossella Randazzo



La vera soluzione al conflitto e al disaccordo sta nello spirito di riconciliazione. Non esiste vincitore al cento per cento così come non esiste perdente al cento per cento: c'è solo mezzo e mezzo. Questa è la via pratica, l'unica via.

(Tenzin Gyatso)



Senza dubbio quando due popoli si riconciliano, sono entrambi in intesa e comunque credo che nei conflitti ci sia sempre un sobillatore con scopi disonesti, purtroppo…

Rossella Randazzo

Se due persone hanno opinioni diverse devono andarsi incontro per riconciliarsi: è l’unico modo.

Silvio Bolognesi

Sono d’accordo anche io! Non esiste solo il bianco e nero: ci sono anche le sfumature… Se c’è un conflitto bisogna venirsi incontro, perché nessuna delle due parti ha sempre totalmente ragione.

Anonima



“Il processo di una scoperta scientifica è un continuo conflitto di meraviglie.”

(Albert Einstein)



Inteso così il conflitto suona in maniera armonica e diversa dall’immaginario collettivo… del resto Einstein era geniale e... molto romantico!

Anonimo



“Ricordiamoci sempre che il nostro interesse è nella concordia, non nel conflitto, e che la nostra vera eminenza riposa nelle vittorie della pace, non in quelle della guerra.”

(William McKinley)



Sacrosanto! Dio non ha certo creato il mondo perché le sue creature s’ammazzassero a vicenda, bensì affidò il compito ad Adamo ed Eva di coltivare il Giardino dell’Eden per vivere in amore e in pace!

Rossella Randazzo

Quest’affermazione suona come utopia… La storia insegna che in nessuna società c’era una rapporto perfetto tra gli uomini … questo ci fa capire quanto sia frammentato il mondo e lontano da Dio… bisognerebbe fare un passo in avanti per migliorare l’umanità e dare ai posteri un futuro migliore!

Gianluigi Mondini




Pensieri liberi sul conflitto:

Il conflitto può essere utile quando le parti protagoniste non hanno da temere, quando solo a determinate condizioni hanno una loro utilità. Se queste condizioni mancano c’è il rischio che le parti tra le quali il conflitto ha luogo ne escano danneggiate. Qualunque relazione può risultare pericolosa se non si è all’altezza. (Anonimo)
A costo di essere scontata, credo che la vita sia un grande conflitto e che si debba lottare sempre… nella speranza di trovare talvolta situazioni favorevoli (Anonima)
Io ho un conflitto interiore nel mio inconscio che vorrei riuscire a risolvere con l’aiuto delle persone che si prendono cura di me come la famiglia e gli psichiatri. (Rossella Randazzo)


R.T.P. Casa Mantovani


C'è conflitto e conflitto


Le specie animali sono più di due milioni. NESSUNA si combatte fra sé... eccetto l'uomo. Le formiche combattono altre formiche, ma MAI della stessa specie. L'uomo combatte e uccide gli altri uomini, che sono in tutto e per tutto uguali a lui.
Perché questo? È forse l'intelligenza superiore alle altre specie la causa scatenante?
I conflitti tra gli uomini sono molti, ma il principale è per la terra (leggi: Patria, Paese, Nazione). È logico che se gente di un'altra nazione mi invade, io devo difendermi. Oltre alle lingue e alle (cosiddette) razze che hanno fatto la fortuna di popoli e la sfortuna di altre, gli usi e i costumi delle diverse etnie sono molto differenti e sarebbe un'utopia pensare di convivere tutti insieme senza confini.
Ma... se esseri alieni guardassero la Terra da lontano e vedessero stragi di bambini, donne e vecchi per una stupida linea di confine o peggio per una religione che non ti permette di vedere il tuo Dio (e sì che nessuna religione predica la guerra e l'assassinio) cosa mai si direbbero?
Ma i conflitti possono essere anche positivi. Io sono nato alla fine degli anni '50. Tra la mia generazione e quella dei miei genitori correva una distanza larga quanto il Rio delle Amazzoni.
Noi, più o meno sessantottini, abbiamo abbattuto ogni futilità che loro, in assoluta buona fede, tengo a precisarlo, spacciavano come "valori". L'amor di Patria (leggi: andare in guerra a farti ammazzare mentre quelli che ci guadagnavano se ne stavano a casa a piedi caldi), la verginità prematrimoniale (ah, ah, ah), la posizione subalterna della donna (leggi: lavorare come negri per mantenere mogli e figli e non poter goderti la vita o semplicemente scegliere la tua vita, mentre la donna era costretta in casa mortificando le sue ambizioni)... questi conflitti, alcuni vinti, altri no, hanno fatto e cambiato la Storia.
Se mia figlia (genitori non sposati) fosse nata vent'anni prima, non sarebbe stata ammessa a scuola, alle funzioni religiose, servita nei negozi... non avrei nemmeno potuto darle il mio cognome… per tacere degli epiteti che sarebbero stati dati a me e a sua madre.
Quindi i conflitti ideologici sono necessari... i giovani hanno le idee più fresche delle nostre perché hanno il cervello più sgombro.
Buona vita.


Max Trentini


Il conflitto


Il conflitto è una lotta interna o esterna a qualcosa o qualcuno. Il conflitto può essere esteriore o interiore, dentro di noi o con altri.
Il “Super-Io (le istituzioni) controlla l’“Io” (noi); ma l’“Es” (l’istinto) e l’“Id” (evoluzione escatologica) mandano all’Io messaggi inconsci, visibili come pesci sott’acqua (!!!...)
Quando un messaggio dell’Es si fa incosciente, passa –diciamo- la barriera della coscienza, andando così in conflitto con il Super-Io (istituzioni), creando una ribellione o un moto sociale. Scoppia la guerra: ecco il conflitto, che da ogni microcosmo personale, diventa dilagante nel macrocosmo.


Ave


Conflitto ed empatia

Il conflitto è padre di tutte le cose, e di tutte è re
(Eraclito)



Uscendo fuori da tali cose per gli enti avviene la nascita e tornando verso le stesse cose avviene la dissoluzione, secondo necessità. Gli esseri donano infatti l'un l'altro giustizia e ammenda, a causa dell'ingiustizia secondo l'ordinamento del Tempo. (Anassimandro)
Quella appena citata è generalmente considerata la prima testimonianza tramandataci, dell'intero pensiero occidentale.
Qui viene descritto un processo cosmogonico: gli enti (letteralmente "le cose che sono") provenendo da "tali cose" (che forse coincidono con ciò che altrove e chiamato l'illimitato, il famoso apeiron) generano l'universo come lo conosciamo, qui gli enti confliggono l'uno con l'altro "pagandosi reciprocamente ammenda", ma poi torneranno là donde sono venuti.
Molti commentatori posteriori hanno pensato che questa "ingiustizia" degli enti, fosse quella di voler esistere, di contrapporre tracotantemente la propria individualità a una supposta unità originaria (il Molteplice che si contrappone all'Uno, l'Ente che si estrania dall'Essere) e hanno scorto nelle "cose che sono" una mera apparenza di una realtà "vera" ad esse soggiacente (fenomeno di un sottostante noumeno). Ma nulla, nelle parole di Anassimandro, sembra autorizzare simili interpretazioni (e sarebbe davvero curioso che per riferirsi all'Uno, con la U maiuscola, Anassimandro non abbia trovato di meglio che usare un plurale: "tali cose").
Più che un fondo originario l'apeiron a me sembra un grande e indefinito serbatoio ("eterno e insenescente") da cui "le cose che sono", in maniera del tutto naturale (grazie a "una certa natura dell'apeiron"), incessantemente emanano e ritornano. Le cose che sono hanno scaturigine, non già giustificazione, da quell'inesauribile serbatoio.
A me pare che in realtà Anassimandro sia molto più interessato al cosmo, così come ci si presenta, che al suo processo generativo-dissolutivo. E ciò che desume dall'osservazione del cosmo è proprio questo continuo confliggere di un ente con l'altro: il caldo si oppone al freddo, il giorno alla notte e così via. Non è nel venire o nel tornare che "le cose che sono" pagano pegno le une alle altre, ma nel risiedere qui: in maniera naturale gli enti si generano e si dissolvono, ma è la necessità che regola il modo in cui essi qui stanno. E lo star qui delle cose che sono, è - per Anassimandro - un naturale confliggere, o meglio: gli enti sono in virtù del loro reciproco confliggere (che senso avrebbe il caldo se non vi fosse il freddo?); o ancor più drasticamente: gli enti sono il loro reciproco confliggere. E dunque è destituito di senso, per gli enti, sottrarsi al conflitto.
Ma, mi domando allora io, dove termina un ente ne inizia un altro, col quale confliggere? Qual è il confine, il limes, tra un ente e l'altro? Io potrei essere un ente e il mio vicino di casa, col quale entrare in conflitto, un altro. Ma che dire se il mio emisfero cerebrale sinistro entra in conflitto, come a volte accade, con l'emisfero destro? E che succede se invece di trovarci da un lato o dall'altro del limite, ci troviamo esattamente sul limite stesso? E se invece di dare retta ai ragionevoli consigli di chi ci invita a scegliere: o da una parte o dall'altra, ci intestardiamo a dimorare in questa situazione liminale?
E che succede – infine - se il conflitto sorge proprio tra chi cerca di descrivere questi limiti e la descrizione stessa che ostinatamente si rifiuta di adeguarsi alle forme mentali del descrittore?
Mi piace allora immaginare Anassimandro, ente tra gli altri enti, e dunque limite per essi, porsi su questo limite stesso, e constatare come esso non sia affatto definito una volta per tutte, e comprendere come ogni confine, ogni limite, sia anche soglia. Perché non esiste limite che non sia, sotto particolari condizioni, permeabile.
Anassimandro penso lo ignorasse, ma noi oggi sappiamo, ad esempio, che un bambino di pochi mesi, che ancora non ha sviluppato il senso del sé, quando vede un altro bambino piangere si mette anche lui a piangere, come se la sofferenza altrui fosse la propria. Questo fenomeno definito di "contagio emotivo", potremmo descriverlo come la caduta del limite tra contagiante e contagiato. E sarebbe davvero arduo sostenere che questi due enti confliggano tra loro.
I recenti studi sulla prima infanzia hanno mostrato come sia presente nell'uomo, come anche in altri esseri viventi, fin dalla nascita, una predisposizione innata ed originaria, che consente di conoscere, in maniera non mediata, le emozioni altrui, annullando il limite tra il sé (ancora in via di definizione) e l'altro da sé, con una completa condivisione - o forse dovremmo dire "percezione" - delle sue emozioni. I neonati hanno già la capacità di sintonizzarsi con le altre menti (si parla infatti anche di "sintonizzazione emotiva").
Ciò non risponde esattamente alla definizione di empatia, che alla comprensione dei portati emozionali altrui, accompagna la consapevolezza che si tratta comunque di emozioni di qualcuno diverso da noi, tuttavia penso che il contagio emotivo, oltre a stare alla base dei processi empatici che si svilupperanno successivamente nel bambino, ne costituisca anche la parte più essenziale. Non è la parte cognitiva, mediata, dell'empatia a costituirne la sua specificità più rilevante, che anzi potrebbe impastoiarla, deformandone gli autentici contorni, ma è quella parte originaria che ci consente di percepire le emozioni, nostre e altrui, prima ancora di aver posto e noi e gli altri. Detto in termini forti: l'essenza dell'empatia non sta nella capacità di riconoscere e condividere le emozioni di un altro, ma nella capacità di percepire quelle emozioni come cosa che ci appartiene.
Diceva Simone Weil: "Sapere che quell'uomo, che ha fame e freddo, esiste veramente quanto me, e ha veramente fame e freddo, questo è sufficiente, il resto viene da sé". Io direi addirittura: "sapere che quella fame e quel freddo esistono veramente, questo è sufficiente, il resto viene da sé."
Oggi una simile condizione (di confusione tra sé e gli altri), se esperita da un adulto, viene classificata come una condizione manifestamente patologica. Ma siamo certi che l'attuale sviluppo mentale dell'uomo sia l'unico possibile, l'unico compatibile col suo corredo genetico?
Nel suo libro "Il crollo della mente bicamerale" Julian Jaynes sostiene che la "coscienza" umana, almeno come oggi la intendiamo, sia un portato relativamente recente nella storia della nostra specie e addirittura che quella descritta nell'Iliade sia una società dove la coscienza individuale non è ancora sorta. Se la tesi Jaynesiana, nella sua specifica formulazione, mi pare francamente inaccettabile, l'assunto di base dalla quale parte, e cioè che alcune strutturazioni mentali solitamente considerate connaturate alla nostra specie (nel caso specifico la coscienza, ma se ne potrebbero citare altre, non meno importanti, e che non sono al centro dell'attenzione, solo perché il pensiero umano non vi ha riflettuto per migliaia di anni, come invece è avvenuto per la coscienza), siano invece un portato di un particolare sviluppo storico, mi pare non solo plausibile ma addirittura assai probabile.
Il fatto è che nello sviluppo evoluzionistico della specie a cui apparteniamo è avvenuto qualcosa di particolare, a una modestissima variazione del corredo genetico è corrisposta una variazione dello sviluppo cerebrale decisamente più rilevante. Il nostro corredo genetico differisce solo dell'1,6 % rispetto a quello di uno scimpanzé, ma mi pare evidente che lo sviluppo dell'apparato cerebrale differisca di una percentuale assai più consistente.
E allora a me sembra quasi impossibile che quei geni, così simili a quelli di uno scimpanzé, siano in grado di gestire in maniera univoca, quell'ingombrante materia neurale. Con una battuta potremmo dire che il fenotipo è sfuggito di mano al genotipo, o - più propriamente - che il primo ha acquisito un maggior numero di gradi di libertà rispetto al secondo.
E allora, e qui concludo con una parola di speranza per la specie di cui faccio parte, è possibile che in un futuro remoto, sotto condizioni al contorno particolari, possano generarsi nuove strutturazioni mentali, e dunque - di fatto - una nuova tipologia di uomini, nei quali l’empatia abbia molto maggior posto rispetto alla conflittualità.


Antonio Marco Serra



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Conflitto interiore


Il piccolo Leonardo, benché in famiglia fosse considerato un prodigio di bellezza fisica e di intelligenza, era temuto. C’erano il padre, la madre, il nonno e la nonna e tutti vivevano sotto l’incubo dei suoi capricci, ma nessuno osava confessarlo perché, benché avesse solo otto anni, era un rampollo di buona famiglia, anzi di più: era erede al trono! E come tutti i ragazzi di una famiglia del genere, ogni pretesto era buono per soddisfare i suoi capricci.
“Oggi dovete mangiare gli spinaci, signorino”, dice la sua istitutrice. Ma Leonardo come al solito risponde: “Come volete, Madame”. Riempie la bocca di spinaci ma prontamente li sputa in faccia alla povera Madame, che inorridita esclama: “Vi farò punire per quello che avete fatto”. “Come volete, Madame. Tanto chi comanda sono io”. Risponde Leonardo spregevolmente.
Il suo comportamento indisciplinato era noto a tutti i familiari. Suo padre e sua madre lo scusavano dicendo: “È solamente un ragazzo, studia con profitto, un’infrazione al protocollo può essere concessa, ma l’ignoranza non può essere tollerata, e nemmeno la bellezza può essere sottovalutata. Quella non guasta mai!”
Suo nonno e sua nonna erano di parere contrario ma avevano poca voce in capitolo, non sapevano dire altro che: “Se continua così avremo un successore ignobile.”
L’unico che realmente capiva il terribile comportamento del piccolo Leonardo era lo zio Max che non abitava al castello ma in una tenuta poco distante. Quando veniva al castello, invitava Leonardo a cavalcare. Leonardo così si sentiva capito perché era l’unica persona che si preoccupava di ciò che Leonardo desiderava. I suoi capricci non erano altro che un modo di avere l’attenzione su di sé, cosa che a causa degli impegni cosiddetti regali, i suoi familiari gli negavano!
“Zio Max, torna anche domani! Cavalcare è la cosa che preferisco, voglio diventare un bravo cavallerizzo come te. Ti prometto che se mi aiuterai in questo, non solo mangerò gli spinaci, ma smetterò di cavare gli occhi ai pulcini e risparmierò qualche soldo per i bambini poveri, che non possono permettersi il lusso di avere uno zio come il mio”, disse.
Questo semplice racconto mostra come sia evidente il conflitto interiore che dimora nell’animo di questo ragazzo. Il piccolo Leonardo, dall’alto dei suoi otto anni, si erge come despota solo per essere ascoltato. Un messaggio allarmante, questo comportamento, che noi adulti dobbiamo saper cogliere onde evitare che problemi che inizialmente ci sembrano insignificanti, si trasformino col tempo in problemi più gravi.
Una giusta valutazione ci permetterà di agire in modo corretto per ottenere una convivenza pacifica ed una migliore qualità della vita.


Mariangela


Il mio conflitto


Ci sono purtroppo conflitti di ogni genere, per motivi ideologici, religiosi, eccetera, a volte anche futili, come quelli tra vicini di casa.
Abbiamo avuto due conflitti mondiali che oltre a coinvolgere nazioni diverse sono durati anni e hanno causato problemi durante e dopo. Il dramma dei conflitti è che si sa quando iniziano, ma non quando finiranno e quanto costeranno (l’Italia è ancora indebitata per essere entrata in guerra con la Germania).
Il mio conflitto personale con mio padre è durato cinquant’anni e sono arrivata a capire come e quando è iniziato solo di recente. Ero tornata da scuola, a sette anni, con un voto che non era piaciuto a mio padre e lui mi aveva sgridato in maniera esagerata. In un solo momento quel babbo che io avevo tanto amato era diventato un nemico, una persona da temere, che se solo mi guardava mi terrorizzava. Mia madre sculacciava, se serviva, lui “guardava” e io a volte mi facevo la pipì addosso. Se mio padre e mia madre litigavano, mia sorella (più grande di me di sei anni) interveniva, io mi mettevo in un angolo a piangere, impotente.
La mia paura di lui è terminata alla morte di mia madre, causata, in primis, per colpa sua: lo odiavo, gli ho detto cose tremende e un giorno che mi aveva chiesto cosa volevo da lui gli ho urlato “voglio che tu muoia!”. Il mio babbo è morto cinque anni dopo mia madre e quando è morto era già in coma; io ero accanto a lui e il dolore che provavo era per la morte di un uomo, non di mio padre, e la sua morte mi liberava da catene che avevo sentito intorno a me per anni.
Certe emozioni che provavo per lui non ero riuscita a raccontarle nemmeno al dott. Scardovi, il mio terapeuta, che durante la mia prima seduta, dopo che gli avevo parlato di altri problemi, mi aveva detto: “E ora mi parli di suo padre”. Avevo sentito una specie di BUM dentro, come se una freccia mi avesse colpito dritta al cuore. Cosa potevo dire di mio padre a uno sconosciuto, io che avevo pensato solo cattiverie di quell’uomo… Quell’omone grande e grosso, che si emozionava davanti alla TV se guardava un film romantico, che teneva in braccio il mio nipotino senza mai stancarsi, che accarezzava la mia micina che gli correva sulle ginocchia se mia madre la sgridava, quell’omone dal cuore di burro al quale (frase dei miei parenti) “io avrei potuto anche togliere le mutande” ! Già, perché io sapevo che da piccola gli volevo un mondo di bene e lui mi adorava, ma quella sgridata esagerata aveva cancellato tutto.
Quest’anno, poco tempo fa, ho trovato una mia foto di quando ero in seconda elementare e avevo sette anni e… mi sono tornate alla mente cose che nemmeno in terapia erano uscite. Io avevo messo un muro tra me e il mio babbo, un muro di vetro: io lo vedevo, ma lo temevo e non riuscivo più ad avvicinarmi a lui e lui…non sapeva come riavvicinarmi.
Ricordo che una volta mia madre mi aveva detto: “Dovete parlarvi!” ed io: “Come faccio a parlare con un muro?”. Un’altra volta mia madre mi aveva quasi supplicato: “Tina, rassegnati, non possiamo ucciderlo!”. E poi era morta lei ed io avevo iniziato a odiarlo apertamente. Anche dopo la sua morte lo ricordavo come un nemico e solo da poco tempo, dopo cinquant’anni di conflitto, lo considero e lo ricordo in modo diverso. È vero che lui ora non c’è più, ma ora penso a lui e lo ricordo come il mio babbo e non come un nemico, da cui mi ero allontanata e liberata con la sua morte.
Questo brutto periodo mi ha fatto capire che non bisogna “covare” rancore e odio, ma bisogna parlarsi, chiarirsi, e volersi bene, perché nessuno è perfetto e i difetti non sono da un parte sola, ma da entrambe. A sette anni molte cose non si possono né capire né analizzare, ma a cinquantasette sì, anche perché facendo due periodi di psicoterapia e leggendo tante cose in modo diverso da prima, qualcosa l’ho capita.
Ora la mia vita è molto più serena e positiva di prima: cerco di evitare i litigi, soprattutto con mia sorella, che è molto diversa da me, ho imparato a non “sputare sentenze”, come ho fatto a volte in passato e a non “mandar giù rospi”, perché i rospi che si mandano giù o fanno ingrassare o fanno avvelenare (frase di uno psichiatra a una mia amica).
Prima di parlare a sproposito conto fino a dieci, perché se mi arrabbio con qualcuno, poi sto male anch’io.
Ho imparato che vivere in pace con il prossimo è la cosa migliore e che occorre fare “buon viso a cattivo gioco”, anche se non è sempre facile.
E… se proprio voglio arrabbiarmi, devo prima ricordarmi una frase di Freud: “Con il sorriso e l’ironia possiamo dire al nostro prossimo anche la verità” e - aggiungo io - “anche mandarlo in quel posto”.
E poi… “Errare è umano, perseverare è diabolico, perdonare è divino”.
E ancora: “La prima si perdona, la seconda si bastona, alla terza si abbandona”.


Tina Gualandi


La mia solitudine


Quando sono in un mercato pieno zeppo di gente, mi capita ogni volta, di sentirmi solo, spaesato; il mio cuore inizia a battere all’impazzata come se dovesse impazzire lui; poi incomincio a sudare, il fiato diventa corto e affannato, comincio a vedere in bianco e nero, la testa mi gira come una trottola… devo andar via!
Se sono solo in casa, dapprima sudo freddo e poi tremo fisicamente come una foglia: ho paura! Allora accendo la tv e guardo un film, o uso il computer, metto la musica ad alto volume, e scrivo, leggo le e-mail, leggo scritti di altri, e scrivo di nuovo, è uno sfogo per me trasferire i miei pensieri, le mie emozioni sullo schermo; scribacchio anche novelle di fantasia, e sto meglio, anche se sovente rimangono nell’archivio per sempre.
Se faccio una passeggiata o vado in bici, talvolta, pure in strade non battute da automobili, ho una paura nera e mi sento solo. Mi spiego meglio: il solo pensiero di uscire di casa mi terrorizza e mi faccio violenza se riesco nell’intento. Se prendo la macchina sovente ho paura di tutto e di tutti e quindi rispetto il codice della strada alla lettera. Per me guidare è una passione. Sono rilassato in auto, soprattutto se, paradossalmente, sono solo o se a fianco a me c’è qualcuno che si fida della mia guida e non commenta.
Se lavoro o recito a teatro spendo molta energia psico-fisica: svolgere al meglio il compito che mi hanno assegnato è una fatica immane; per me anche il più insignificante dei ruoli è fondamentale per “una squadra di lavoro”. Allora iniziano le paure: sarò in grado, sono troppo lento, non sono all’altezza, forse è meglio che me ne vada e li lasci lavorare, sono d’intralcio?
Sono solo anche se sono in una discoteca, piena zeppa di amici, e sono lì per divertirmi; la mia mente inizia a divagare e mi isolo mentalmente; recito quello che non ha paura; in realtà vorrei essere a casa, nel mio letto.
Mi sento solo in questa “guerra” con la malattia mentale, che mi fa fuggire da tutti e da tutto e sovente per paura, mi rifugio nel mio mondo.
Com’è il mio mondo?
È fantastico veramente, non ho più paura di nulla, svolgo tutto con molta calma e vado molto lentamente, mi gusto quel momento di benessere e come un attore recito la parte del duro. Poi però torno alla triste realtà e quell’attimo era solo un sogno. Sono di nuovo nella vita frenetica, e devo tenere il passo… per non restare solo.


Andrea Castellino
(da MenteInPace febbraio 2011)


Per me nessun amore


Una lacrima trasparente segna la mia guancia. Un fardello pesante mi impone di dimenticarti come è successo ancora. Mi manca il cuore? No, mi manca la possibilità di amare!


Giovanna Bassi


Due lettere d’amore


Suocera e nuora… un conflitto che si dà quasi scontato.
Eppure c’è chi ci testimonia tutt’altro sentimento, come fa Lucia rivolgendosi alla suocera, Cesarina.




Per la mia cara mamma



Cara mamma,
il tuo ricordo mi
riaffiora il mio
sorriso, il mio
pensiero su un
triste percorso
senza ormai più
rivederti mi ci
si annebbia la vista.







Per la mia Cesarina



Il tuo turbolento
carattere mi confonde
la mente il tuo modo
di amarmi mi gioisce
il mio cuore e la voglia
di amarti sempre
di più e di dirti
grazie Cesarina
di essere nella
mia vita.


Lucia Monaco


Il cacciatore e la volpe


Un tale va a caccia di volpi.
Entrato nel bosco ne intravede una, imbraccia il fucile e le spara.
E lei: zip zap via.
Il cacciatore si inoltra nel bosco e dopo un po’ la intravede ancora, torna a imbracciare il fucile e di nuovo le spara.
E quella: zip zap via. Niente.
Allora il cacciatore sbotta: “Quando fa così, l’ammazzerei!”


Luigi Zen


La seconda guerra mondiale


Intervista di Fabio a MarcoBenedettini


Quando si può dire che è iniziata e finita la seconda guerra mondiale?

1939-1945



Chi sono stati i personaggi principali?

Hitler, Stalin, Churchill …



Quali sono state le armi a disposizione degli eserciti?

MG (mitragliatrice)...
Gli Americani erano i più forniti tecnologicamente.



Come si è combattuto in Italia?

Divisa a metà: Nord e Sud. I partigiani hanno avuto un ruolo determinante.



Perché si è arrivati a questo conflitto?

La colpa deve essere attribuita alla Germania.



Una tua opinione sulla guerra?

Brutta, sofferente. Ci hanno rimesso tutti.


6 e 9 agosto 1945


Il mattino del 6 agosto 1945 alle 8.16, un aereo dell’aeronautica militare statunitense lanciò sulla città giapponese di Hiroshima la bomba atomica "Little Boy". Tre giorni dopo "Fat Man" colpiva Nagasaki.
Il numero di vittime, quasi esclusivamente civili, è stimato da 100.000 a 200.000.
Per la gravità dei danni diretti ed indiretti causati dagli ordigni, per le implicazioni etiche comportate dall'utilizzo di un'arma di distruzione di massa e per il fatto che si è trattato del primo e unico utilizzo in guerra di tali armi, i due attacchi atomici vengono considerati fra gli episodi bellici più significativi dell'intera storia dell'umanità.


dati tratti da Wikipedia


Basta Guerre


Varchi il confine proibito, con addosso la divisa da soldato, ed è lì che il tuo paese ti ha mandato. Vuoi sconfiggere i terroristi aggiungendo altro terrore e spargendo altro sangue?
Non so se è la via migliore. Violenza chiama violenza...
Forse con diplomazia e buon senso non rischierai l'anima ed il cuore.
Le medaglie lasciale agli atleti che sudano per un motivo migliore!


Giovanna Giusti




Commento di Max Trentini: pienamente d'accordo!


Vite violente


Un cecchino, strisciando nel terreno arido come lui, sta in agguato per ucciderti. Tu che sei in un Paese straniero, con la vana speranza di portare la pace, perderai inutilmente la vita. Tornerai in Patria con una stupida medaglia.
Uomini, perché... perché? Non capite l'assurdità di queste guerre infinite?


Giovanna Giusti


Ode alla Sicilia (e ai suoi conflitti)


Amo l'ospitalità siciliana, gli spaghetti alla Norma, il pesce spada, la cassata e il marzapane. Mi avvincono le storie di Cosa Nostra, dei maxiprocessi di mafia e di Buscetta, il gran pentito.
E i Pupi, il sole, il mare, le ragazze more, piccoline, dai begli occhi neri e scintillanti.
Ammiro i siciliani "buoni", che non fanno "cosca", non stringono alleanze. Introversi e di poche parole, diffidenti e permalosi, solitari e schivi, anarchici e ribelli, anche " irredentisti ".
Anche io mi sento un po’ siciliano: evviva la Sicilia ed i suoi abitanti, anche con i loro eccessi.
E, con un velo di pietà, anche quelli - ahimè - sempre in guerra fra di loro... e non solo.


Matteo Bosinelli


Il conflitto “tecnologico-sociale”


L’umanità dovrebbe imparare dagli errori che commette e anche la storia le dovrebbe aver insegnato qualcosa. Invece che fa ? Continua ad accumulare gravissimi errori che vanno a colpire l’ambiente, la salute e la tecnologia.
Un esempio abbastanza semplice di questo conflitto viene dai T-DAYS: qui a Bologna, avendo chiuso il centro tra via Ugo Bassi, via Rizzoli e via Indipendenza, pensano di aver risolto il problema dell’inquinamento; invece, hanno infastidito gli abitanti delle zone che stanno intorno (soprattutto nella zona di Piazza Cavour), i commercianti che sono su tutte le furie e la categoria dei disabili; per non parlar degli anziani che, senza panchine in zona, mi chiedo come possano riposare dalle lunghe camminate dentro il cuore della città; altra cosa che mi chiedo, la più importante su tutte su questa vicenda, è: “Con tutta la tecnologia che l’umanità ha a disposizione, creare mezzi che non inquinino, nooooo ???”.
Comunque ci sono altri più gravi conflitti che affliggono l’umanità, ad esempio le tecnologie più avanzate possono salvare tante vite (intendo per esempio le apparecchiature degli ospedali), ma poi, grazie ai tagli fatti dal nostro governo, si limitano gli investimenti e si elimina del personale, così le macchine restano in disuso, rischiando che la salute delle persone venga messa a repentaglio.
Ultimamente sto elaborando una specie di giornalino on-line sui conflitti in genere: si può vedere sul mio sito internet http://dariosupremeangels.blogspot.it e s’intitola molto simpaticamente “Il confluttorio”.
Questo titolo l’ho ideato prendendo spunto da un telefilm intitolato Doc, il cui protagonista è un medico di nome Clint Cassidy. Tippy, la sua segretaria, ha ideato questa formula di linguaggio, mescolando due parole e riunendole in modo estremamente simpatico, come ad esempio, “divertente” ed “interessante”, diventa diverteressante; carino, vero ? Quindi il titolo del mio giornalino, deriva da “conflitto” e “collutorio”. Il collutorio infatti è molto utile: “fatti un gargarismo e sputa via il menefreghismo”!
Spero che vi piaccia e che abbiate notizie da inviarmi.


Darietto


Conflitto di interessi


Spread (inglesismo) = differenziale. Differenza di prezzo tra due valori.
Qualcosa che va molto di moda in questo periodo. Un vestito che tutti hanno senza saperlo. Tuttavia sembrerebbe che non vada bene a nessuno. Tipo un giubbotto di pelle in piena estate. Fa sudare. Te lo senti appiccicato addosso, ma non puoi toglierlo nemmeno se lo vuoi. Sembra che qualcuno voglia farcelo indossare sebbene faccia caldo. Sembra che qualcuno voglia a tutti i costi farci stare male.
Potrebbe esistere uno spread che non riguardi soltanto l’economia. Potrebbe esistere un differenziale, una differenza fra due (o più) valori anche dentro ognuno di noi nella nostra quotidianità. Qualcosa che ci fa caldo e ci fa sudare. Che ci fa stare male.
Il primo appuntamento con una persona alla quale siamo fortemente interessati. Un colloquio per un’assunzione. Un esame medico. Una sfida. Una visita a una persona dalla quale non vorremmo assolutamente andare. Una situazione difficile che non vorremmo mai affrontare. Ma anche la semplice vista di qualcosa che ci interessa (e che forse non potremmo mai avere): un vestito, un gioiello, un cibo proibito, un viaggio.
Mani sudate. Unghie rosicchiate allo stremo. Farfalle allo stomaco. Lacrime a fiumi. Tremarella alle gambe. Pesantezza alla testa. Difficoltà di concentrazione. Incapacità improvvisa di parlare. Anche un semplice saluto. Cervello in tilt. Cuore matto. Tachicardia. Alta e bassa pressione. Vertigini. E chi più ne ha, più ne metta (basta leggere il bugiardino di un farmaco sotto la voce “effetti collaterali”).
Chi, almeno una volta nella vita, non ha provato una o più di queste sensazioni? Potremmo rispondere, con assoluta certezza, “nessuno”.
Quindi il differenziale, ovvero la differenza fra le situazioni che si vengono a creare e le reazioni fisiche, potrebbe essere una o più delle seguenti sensazioni.
Ansia. Paura. Timidezza. Coinvolgimento incontrollato. Disagio. Sorpresa. Curiosità. Ribrezzo. Attrazione fatale. Inclinazione a reagire in maniera insensata. Omofobia. Sessuofobia. Impotenza. Ipopotenza. Prepotenza.
Don Chisciotte della Mancha (e non della minchia) combatteva contro i mulini a vento. Invisibili nemici che però gli provocavano un forte conflitto. Un disagio incontrollabile fra la realtà e l’immaginazione. Un mondo tutto suo, che nessuno poteva vedere e dove nessuno poteva entrare.
Cyrano de Bergerac aveva un piccolo difettuccio. Un enorme naso. Si nascondeva per questo. Mandava avanti altri al posto suo. Finché Rossana riuscì a coinvolgerlo emotivamente, a tal punto da fargli superare questo enorme condizionamento. Il conflitto fra la sua imbarazzante fisicità e il suo elegante eloquio.
Anche Gregor Samsa, in “La metamorfosi” di Franz Kafka, una mattina si risveglia scarafaggio. Vogliamo credere che non abbia subito un disagio? Dalle sue descrizioni e dalle altrettante sensazioni si desume che tutti potremmo viverlo o averlo già vissuto.
In ogni caso, fra conflitti, disagi ed esperienze straordinarie (intese come fuori dalla norma), e a prescindere da come decidiamo di affrontarli, non dimentichiamoci che la vita VA AVANTI!!!


Il gruppo di Rassegna Stampa del Centro Diurno di Casalecchio di Reno


Il conflitto

articoli degli ospiti di Villa Bianconi


ANDREA A.
Sono entrato in carcere a 22 anni e ne sono uscito a 27 e mi sono accorto che in questi 5 anni non ho vissuto la mia vita, come se avessi un buco nel quale non c’è nulla. Ora, invece, è l’undicesimo anno di comunità ed ho paura che anche questo periodo si sommi a riempire il vuoto. È come se mi avessero ucciso e in questi 16 anni mi sento prigioniero, in continuo conflitto con me stesso e con gli altri.


ANDREA N.
Di me cosa posso dirvi? Che sono un’anima in pena, non riesco mai a rilassarmi. È un continuo conflitto interiore e, a volte, quando vedo la gente felice mi viene il nervoso perché li invidio. E quando vedo una coppia innamorata provo ancora più invidia, mi sento un fallito.


ENRICO
Un mio modo personale per allontanare la sofferenza e per trovare equilibrio tra i vari conflitti che mi attanagliano è usare impegno, volontà, passione e cura del lavoro e dei miei piccoli hobby (collezioni). Così ho una sensazione di beneficio e di maggiore benessere e sento meno l’affaticamento fisico-mentale.


ENZO
Sto molto male e vivo in mezzo al caos e al conflitto. Mi sembra che tutti giochino a farmi la guerra per vedere chi mi fa più male. Vivo molto male il rapporto con gli altri ospiti e con la maggior parte di loro vivo una realtà conflittuale, perché mi vorrei fidare ma vengo trattato con l’inganno.


FRANCESCO
Ho perso i rapporti e i contatti con tutto e con tutti. Nella mia vita regna sovrano il caos e non trovo più uno stimolo per andare avanti. Questo “lieto” soggiorno a me sembra un Vietnam e l’obiettivo mi sembra un miraggio.
Vivo un grande conflitto: o metto fine a questo lieto soggiorno, tanto il destino per me è segnato o accetto la diagnosi che mi viene affibbiata. Ma io non riesco a riconoscere in me qualcosa che non vada, è come se gli aspetti di cui parlano gli altri non mi appartenessero.


FAUSTINO
Oggi, come tutti gli altri giorni, mi sento una “ciofeca”, pronto ad esplodere perché in ebollizione!


WERTHER
Il conflitto interiore, secondo me, viene creato o quantomeno influenzato dal disordine e dal caos che il mondo ci propina ogni santo giorno. Quindi il mio squilibrio, secondo il mio modesto parere, dipende da eventi esterni a noi e soprattutto dal susseguirsi dello scorrere frenetico della vita.


DENIS
Il mio conflitto ha origine dalla difficoltà a sopportare e gestire le mie emozioni che sono tante:

RIMORSO (per il male fatto alle persone)
SENSO DI COLPA (tutto sto casino l’ho combinato proprio io)
RASSEGNAZIONE (faticoso fare i conti con il passato, faticoso ancora di più sperare nel futuro)
ANGOSCIA (di una vita vuota)
DOLORE (fisico e mentale)
PAURA (di soffrire)
SENSO DI ABBANDONO (per non essere accettato dalle persone amate)


Lettera Zen: Il conflitto


Che cosa sono i conflitti: la loro utilità o se invece siano dannosi.
Se si immagina il conflitto nella materia, si può causare mischiando due sostanze diverse per ottenere una terza sostanza, secondo certi dosaggi: ossia col latte di una sola mucca posso fare un solo formaggio mettendo il caglio; o con latte di diverse mucche fare più formaggi da latti diversi o dissimili, per certi versi in conflitto fra di loro; o con del grano di un’unica varietà fare farina, o fare farina con grano di diverse varietà e provenienza, in conflitto per forma e provenienza; tuttavia dalla loro unione si ottiene un risultato o sostanza nutriente, se si trasforma ancora in pane.
Capire come sostanze diverse, in conflitto fra loro, o non utilizzabili, si possono mischiare per inibire o neutralizzare il loro conflitto, come l’impasto del calcestruzzo: cemento, acqua, ghiaia, sabbia, ferro, per l’edilizia.
Il fumare produce conflitto o danno ai polmoni o al respiro, e riuscire a smettere…
Se si pensa ai lampi, tuoni, fulmini, fiamme si può capire quali sono le leggi che governano codesto conflitto, come ha fatto Nikola Tesla, che costruì i motori elettrici a corrente alternata.
Il conflitto fra l’essere vegetariani o carnivori.
Il ferro messo in acqua sprofonda, ma se si rende vuoto o si trasforma nella lamiera delle pareti della nave, esso entra in conflitto con le onde nell’acqua, ma rende possibile la navigazione.
Altro conflitto: usare denaro pulito per costruire armi per una sporca guerra, o costruire con denaro sporco armi di difesa, o per evitare la guerra. Comunque la mancanza di protezione provoca un conflitto: come la dermatite e la crema protettiva.
Se una donna è bella produce dei suoi corteggiatori con i quali dovrà entrare in conflitto, e dovrà escogitare delle tecniche di protezione per disseminarli e disperderli.
Poi quanti conflitti: se l’uomo dovesse abitare mentalmente nell’essere o nel non essere (William Shakespeare), o nell’Io o nell’Ego, o totalmente nell’uno o nell’altro, o parzialmente nell’uno o nell’altro, o non sapere che cosa sono, come se avesse una specie di mente automatica.
Nello Zen nulla è completamente Yang e nulla è completamente Yin, poiché nel bianco c’è un punto nero e nel nero c’è un punto bianco (vedi figura), e tutto va dall’uno all’altro, perché tutto è costantemente in movimento.

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O si tratta di un conflitto disciplinato da proprie leggi: le leggi sono quelle che l’uomo comprende, ma nella stragrande maggioranza dei casi ci sono moltissime leggi invisibili, che sono chiamate con una sola parola: inspiegabili; che è una parola bella, perché si può immaginare che lo spiegabile ha certe pieghe, e l’inspiegabile non ha pieghe o è impenetrabile o invisibile.
Di conflitti utili ne è pieno il mondo, o di quelli da cui si ricava un vantaggio o un’utilità: conflitto dell’aria che urta le pale eoliche, conflitto dell’acqua che muove le pale di un mulino o quelle di una turbina elettrica etc.
Conflitti dannosi: l’uomo giovane che attende un lavoro e non lo trova, perché è fragile lui, o perché è fragile il mondo del lavoro; e quelli che diventano disoccupati perché diventano fragili loro, o perché diventa fragile l’azienda, che fallisce e chiude.
Altri conflitti dannosi: terremoti, incendi, frane, alluvioni, eruzioni, catastrofi, in genere imprevedibili.
Il cessare di scrivere entra in conflitto con il fermarsi e tacere, poiché tutto è la vita; in fondo la vita in Cina è stata pensata come l’acqua di un bicchiere di cui se ne è già consumata la metà, o due terzi … e il pensiero che ci viene… è simile a quello in cui noi ci pensiamo e vediamo nel bicchiere; tutt’al più l’uomo può sostituire l’acqua con un altro liquido a lui gradito…
Ma il pensiero di vivere può trovarsi in conflitto rispetto al dire a noi stessi di fare, fare, fare… quando nella mente si interpone un altro pensiero che ci dice che la vita finisce… e che William Shakespeare scriveva: “A che serve lottare, non è più bello quando tutto è inutile”.



Sul conflitto delle donne

Si dice che le donne quando possono raccontano dei propri conflitti con il loro compagno alle loro mamme o alle loro amiche. Ma anche gli uomini lo fanno: ho saputo di un tale che diceva: “Sai, la mia compagna comincia a rompere con certe domande… Pensa che dopo soli due anni che stiamo insieme mi fa: ‹‹Ma almeno dimmi come ti chiami! ››”



Conflitto in strada

Notizia curiosa pubblicata su un giornale: sono stati pagati degli artisti, più il costo dei ponteggi, per far dipingere un murale: un mandrillo e dei grossi topi di fogna, bianchi con code marroni, occhi rossi e zampe nere, su tutta una facciata di un palazzo popolare in via Pier Crescenzi a Bologna. Chi abita nel palazzo e i loro vicini l’hanno preso come un insulto al quartiere, già in degrado. In seguito a una raccolta di firme e un primo conflitto, è stato risposto dal Comune che a loro piacciono i topi. Questi sono più grandi di uno scooter Honda 150, e sono dipinti che scendono dal palazzo, con dei mandrilli dipinti al piano più alto e il topo più in basso che entra nella fogna, come se i loro abitanti fossero come quei topi. Probabilmente però chi ha fatto quella scelta, in Comune, non li ha immaginati dipinti sulle proprie abitazioni: “conflitto in atto”. Agli abitanti del luogo è stato risposto che l’hanno fatto per abbellire e decorare il quartiere.



Altro conflitto in strada

In via Riva Reno, angolo via San Felice, una signora che ha un chiosco di fiori ha offerto al Comune l’idea di abbellire il pezzettino di giardino in degrado di fianco al proprio chiosco, facendovi a sue spese un piccolo orto con piante e un giardino con panchina. Dopo mesi di conflitto con il Comune… “lei ha abbellito”.


Luigi Zen


Conflitti


Conflitti dentro di noi,
tra noi, tra la gente,
tra i popoli della Terra...
non c'è pace in questo mondo!
Ipocrisie, pregiudizi,
arrivismo e folli corse
per conquistare ad ogni costo
potere e ricchezza
spesso a scapito
di milioni di persone.
Vivo in questo pazzo globo, e mi chiedo...
sarò indifferente per sopravvivere
o forse riuscirò a combattere
per cambiare in meglio
una nuova idea d'amore
che formulerò
e praticherò
con gioia???


Giovanna Giusti


Io non so parlare


Io non so parlare,
non so fare niente.
Mi cadono le gambe
se cerco di correre.
Io non mi capisco
o non mi capiscono loro,
certo che la vita
è una presa in giro.
Conobbi il salice piangente,
bambina,
e ora viaggio su dune assolate.


Ave Manservisi


Il conflitto


Tra la quota e la somma
ci passa un dito tra la coscia:
sul viale dell’amore
non so se ci rimane un corpo o un fiore.
M’amo o vivo per amarmi
Quando capisco solo del buio
Nell’odiarti:
persona o cosa
cosa mi rimane ora.


Paola Scatola


Carezze in versi


Cambiar
le proporzioni alla tua tela,
salir,
sulla scogliera che dipingi,
spogliarmi,
per tuffarmi nel tuo cuore.
Aspetterei:
nascosto,
all'ombra dell'impervio scoglio,
la setola,
mia cima di supporto,
su cui
poi lentamente risalire.
Conquisterei:
scalando,
fra colate di colori,
la parte,
alta e calda del pennello,
in cui,
l'onirico tuo mondo, si fa immagine.
M'insinuerei:
stremato
fra le dita della mano,
accucciandomi,
nella piega più accogliente,
per assopirmi,
e sognar la tua carezza.


Marcella Colaci





Conflitto birichino dell’amore


Immergersi
in un'idea
contemplarla
fino a sfiorarla :
di una mano,
di un viso,
del tuo collo vicino,
fino al bacio condiviso.
Poi ritrarsi,
appallottolarla,
ben stretta e lanciarla
aldilà del mare
e non più planare.
La ferita dentro al cuore
ha tracciato ogni pudore,
ha nascosto e frantumato
la bellezza del creato.
Eppur l'anima mia
ancor sogna:
di donarti una stella,
di sentirmi ancor bella,
di volarti ancora accanto,
di baciarti e con un salto
allontanar ogni rimpianto.
Così l'idea
che sguscia via
la riprendo e così sia.
Prendo il sole,
disegno il mare,
un gabbiano ed una nave,
la tua mano nella mia,
che ancor cerco
e volo via.


Marcella Colaci





Il terremoto dell’Emilia maggio 2012


La terra trema,
vacilla il letto,
si scuote lo specchio,
muta il terreno,
piaghe di terra.
Nell'attimo
crolla
ogni piccola trave,
ogni piccolo letto.
Sparso così in macerie
ogni affetto.
Vivere
in braccio all'ansia
di ogni momento.
Un'onda
che porta via
lacrime al vento.
Figlia, vai via
al riparo,
porta la bimba lontano,
porta la mia anima
con te viva
e lascia andare tutto
che Dio vi benedica,
benedica il lamento.
L’orologio
si è fermato
in cima alla torre antica
l’orologio ripartirà
e non solo Dio lo vorrà.


Marcella Colaci


La colomba bianca


Vola bianca colomba,
porta pace in questo mondo
da’ fiducia agli uomini,
che tu sia una spalla su cui piangere.
Oh animale con un così profondo significato d’amore,
non tradire le aspettative
che noi abbiamo su di te.
Vola libera nel cielo,
proteggici,
controlla dall’alto cosa succede,
cerca di indicare la retta via,
rendici tutti più buoni,
non essere parsimoniosa nei consigli.
Guarda quel vagabondo:
è solo,
vai da lui,
portagli un ramoscello di ulivo,
è difficile ricercare la libertà,
essere contro la società,
trovarsi emarginati
perché diversi.
Fa che lui non perda la speranza,
ha scelto una strada difficile,
ma col tuo aiuto ce la farà.
Tu hai un gran cuore,
odi le guerre,
i litigi, le liti, il rancore,
ami la tranquillità
sia nel corpo che nell’anima.
Tu hai coscienza in gran quantità
Supplisci la mancanza di molti.
Il fruscio delle tue ali
Rende le persone felici,
il vederti nel cielo provoca ammirazione.
Attenta a quel fucile,
vuole farti fuori,
evitalo con una brusca manovra.
Lo sai che l’hai scampata
per poco.
Noi abbiamo bisogno di te,
dei tuoi ideali,
del tuo dolce richiamo.
Oh, bianca colomba, non abbandonarci mai!
Non potremmo vivere senza di te,
senza i tuoi ideali.


Opola Resonive
(da “Perché porti due orologi?”)


S’attende…


Tempo immobilizzato
In aria d’etere

La città è
Una scatola a sorpresa
Che da troppo
Dev’essere svelata

Da grumi di nubi astratto
S’attende l’assoluto.
…..

Tempesta che viene:
Piani confusi in un continuum
Foglie strappate
(Il malgarbo del vento
Tentennanti le innalza)
Rombi di tuoni, schianti
Poteri ancestrali
Di vita e morte

Forse che
Naufraga la speranza?


Piergiorgio Fanti


Il faro


Il faro nella
notte
si accende.......
Il mare
riporta le sue
onde a riva............
Le temperanze.
L'aria è fresca
umida
Tutto ciò che lo circonda
è li tra.......
terra e
mare.


Annarita Baratti


Guerra!!!


Nell’acque cupe di un pozzo profondo,
brilla una piccola luce
è una lacrima caduta dal cielo
di quel Cristo, che tanto ha insegnato la pace
ma che ancor c’è fratello contro fratello.
Di rosso si tingon le strade di questo mondo
del sangue di mille e mille innocenti
che non solo chiedono pane, ma anche
il permesso d’amare invece che odiare!
S’odono voci di madri che i loro figli reclamano
ma a questo grido angosciato, risponde soltanto
il rombo di cannoni e di carri armati.
Anche i fanciulli devon combattere
perché in campi di addestramento son nati
ma forse nel cuore han soltanto un pianto dirotto
o un pallone di calcio accantonato!
Ma se tu sei uno di quei fortunati
che la pace è riuscito ad avere,
non provare a gettarla, perché sarebbero
milioni le mani di quelli pronti a raccattarla!


Mariangela


Il conflitto


Pizza o pazza, chirurgia plastica o faccia
Ho un viso, ma non un corpo.
Ho una testa, ma non una mente: cosa voglio è solo lei,
ma quando giro intorno al marciapiede
incontro l’eroina sulla strada che costa tanto, tanto anche per te
che sei soffocato sul bus cercando lei; ma se fossi
comparso tu: un sentimento, un
qualcosa in più, forse lei, forse io, forse tu:
cocaina, eroina, forse tu zio.


Paola Scatola


Gestione dei conflitti: tanta fatica
ma anche grandi soddisfazioni se...


Nel corso della mia ventennale esperienza lavorativa, per qualche anno ho avuto l'incarico di gestire in toto una struttura semi-residenziale. La fase d'inizio di questo percorso è stata molto travagliata, tuttavia, alla luce dei risultati conseguiti, questo aspetto poco esaltante è passato in secondo piano.
Il gruppo di lavoro che ho avuto l'onore e l'onere di gestire, era costituito da operatori sopraffatti dall'ansia, dalla paura, dall'aggressività e dalla diffidenza, elementi presenti pari pari nella sottoscritta, con in più una buona dose di inesperienza.
Questo stato di cose era stato determinato da un importante processo: la radicale riorganizzazione della struttura in oggetto, che da una gestione prettamente sanitaria, con un responsabile medico psichiatra e una caposala coordinatrice, veniva allineata alle analoghe strutture cittadine, gestite ormai da anni da educatrici professionali.
La gestione del Centro Diurno e quindi del gruppo di lavoro ha rappresentato un importante banco di prova per tutte le persone coinvolte, essendosi trattato di una operazione delicatissima, finalizzata al raggiungimento di obiettivi molto significativi: l'equilibrio, la stabilità, l'atmosfera e la coesione di gruppo.
Due sono stati i fattori che hanno dato la stura al processo, rendendo così possibile l'avvio e il cambiamento:
1) Il coinvolgimento di un professionista esterno, molto esperto nella gestione dei conflitti (teoria sistemica), che con molta competenza, dopo un'attenta osservazione e una certa conoscenza della realtà gruppale (conflitti e dinamiche interne ed esterne al gruppo) ha fornito una serie di strumenti necessari per l'attuazione delle strategie operative del caso.
2) Il lavoro introspettivo della sottoscritta, al fine di riflettere e rivedere il proprio modus operandi, e l'adozione di un modello di riferimento la cui grandiosità e il cui valore sono fuori discussione: il modello gandhiano.
È stato duro e faticoso riuscire a tradurre e tentare di riproporre l'essenza dell’insegnamento di Gandhi: coraggio e verità, uniti all'azione e costantemente orientati verso il bene degli altri, insegnamento denominato da un suo discepolo Satyagraha (termine che deriva dal Sanscrito: satya = verità e agraha = fermezza), nonché riuscire ad essere, come Lui, un persuasore positivo attraverso l’esempio. Sono stati necessari mesi e mesi di lavoro, ma la perseveranza e la bontà del modello adottato hanno iniziato a fruttificare: finalmente le tensioni hanno iniziato a rarefarsi rendendo la comunicazione più circolare e più fluida e anche il modo di porsi tra noi colleghi si è fatto più aperto e disponibile.
Devo anche aggiungere che durante il lavoro di introspezione, con grande sorpresa e profonda tristezza mi sono resa conto di dover agire e lavorare su un aspetto di me che è emerso in questo frangente: una violenza insidiosa, quasi invisibile, che ritengo alberghi in ogni essere umano, una subdola e strisciante forma di violenza, che crea addirittura soddisfazione e piacere quando si ha il potere di gestire altre persone in posizione di subalternità.
Gandhi: "A forza di pensare soltanto alle grandi cause e alle guerre, la coscienza si addormenta e si dimenticano quelle mille altre forme assai più insidiose di violenza, come le parole cattive, i giudizi severi, la malevolenza, la collera, il disprezzo e il desiderio di crudeltà. Far soffrire lentamente uomini e animali [...] umiliare e opprimere i deboli senza motivo e uccidere come vediamo tutti i giorni intorno a noi. Tutte queste azioni sono intrise di violenza in un modo diverso, più profondo del fatto di sopprimere una vita per semplice benevolenza".
Grazie a questa esperienza ho degli amici in più, visto che con tutti i componenti del gruppo di lavoro in questione ho stretto rapporti veramente significativi.


Concetta


Come a casa… nostra


Il linguaggio rappresenta un’importante risorsa per la comunicazione sebbene spesso diventi fonte di malintesi, non solo nei nostri rapporti interpersonali, ma anche nei nostri più intimi se stessi. Altrimenti non ci sarebbe da stupirsi nei momenti in cui sappiamo di volere una cosa e ci troviamo a fare tutto il contrario, senza ottenerla; ci proponiamo di non dover dire qualcosa e risulta che la diciamo per prima, pensiamo in un modo e facciamo in un altro. Insomma non è facile.
Il fenomeno ha a che vedere con il linguaggio. La cosa certa è che l’esperienza di non capire gli altri, non capirsi, credere di aver capito per poi renderci conto che non era quello che ci sembrava di capire, può farci guadagnare un bel conflitto. Esso fa parte della vita, dell’essere umano, perché siamo soggetti di linguaggio.*
Definizioni di conflitto si possono trovare ovunque e sono accessibili in tanti modi. Non vorrei sprecare questo spazio di espressione facendo un’esposizione teorica sul conflitto. Tuttavia utilizzerò alcune nozioni intorno all’argomento al fine di poter trattare questioni mirate a migliorare la qualità dei nostri servizi come agenti generatori di benessere nelle relazioni di aiuto nei confronti degli anziani.
Nonostante le varie prospettive di ogni disciplina (psicologia, diritto, sociologia, ecc.) il conflitto trova comunque un denominatore comune, che appare come gioco d’istanze che si contraddicono ovvero forze opposte, che si scontrano tendendo ad annullarsi tra loro. Esempi a livello soggettivo sono: i desideri e le difese, pulsioni che sono in disaccordo alle regole morali o i principi etici. A livello intersoggettivo lo scontro può girare attorno a: opinioni, interessi, obiettivi che tra gli uni e gli altri sono in contrasto (o che per lo meno vengono percepiti cosi), nonché aspetti tecnici e metodologici non condivisi ad esempio, tra i colleghi.
Con l’ausilio delle conoscenze in psicologia, e come animatore sociale all’interno delle case residenze, ho spesso l’occasione di indagare sui conflitti degli anziani.
Ho osservato che ci sono due conflitti principali, nel senso che li si trova in tutti o quasi tutti loro: il desiderio di tornare a casa loro vs. l’impossibilità di farlo; l’essere autosufficiente (come identità che si trascina dal passato) vs la perdita delle funzioni di autonomia (nel presente). È chiaro che i termini si oppongono nel modo in cui prima si faceva riferimento all’essenza del conflitto dove si avverte un’opposizione strutturale. Nei due casi i primi termini della contraddizione appartengono alla sfera dei desideri, delle idee, degli ideali; mentre i secondi, rispondono ad aspetti più concreti o della realtà materiale. Di conseguenza per i due conflitti c’è una forza positiva che trova un forte ostacolo o impedimento.
Per la maggior parte degli anziani che percepiscono quest’opposizione, la vita diventa un dramma esistenziale e in maggior o minor misura, provano disagio. Il grado di disagio dipenderà da diversi fattori: consapevolezza o meno della mancanza di autonomia, dall’intensità del desiderio e dal modo d’interpretare la propria realtà oppure di processare l’informazione nella psiche. I professionisti che stanno loro vicino sono impotenti per quanto riguarda la possibilità di modificare una realtà che appare inamovibile. Nessuno di noi può decidere di far tornare l’anziano a casa sua e meno ancora, invertire il corso ormai progressivo del deterioramento. Semmai si potrà allentare ma non arrestare.
In qualche maniera i professionisti che lavorano a contatto degli anziani possiedono una conoscenza di questi conflitti.
Tuttavia la possibilità che questa conoscenza possa diventare più conscia e condivisa, dipende dalla cultura e filosofia che si coltiva all’interno della struttura; questa filosofia darà luogo allo stile o modo di approccio per affrontare o negare il problema. Da notare che spesso le normative e procedure varie prevalgono offuscando una sensibilità assolutamente necessaria, finalizzata a trovare strategie per rendere più gradevole la vita degli ospiti all’interno della struttura - casa. Si tratta di una sensibilità che è raggiungibile solo quando una semplice aggregazione di professionisti diventa una équipe di lavoro decisa a far fronte ai conflitti dell’anziano immedesimandosi negli stessi il più possibile. Appropriarsi dei loro conflitti, provando il disagio e capendo, in maniera empatica, la loro sofferenza.
Per l’anziano non c’è stata una scelta. Tuttavia ha dovuto fare un passaggio dalla vita privata a quella istituzionalizzata. Il suo corpo non era abituato ad essere toccato per un’igiene, un bagno e quant’altro richiede l’assistenza alla persona. Il suo organismo non rispondeva ad un piano fatto con orari stabiliti (molto probabilmente neanche ora lo fa!). Le sue cose non gli appartengono più, i ricordi non sono materializzati dagli oggetti che hanno dato senso a molti momenti e situazioni durante il percorso di vita, l’ambiente è nuovo, pieno di gente… sconosciuti… forse molto rumoroso e… privo di quella intimità e sicurezza che conosceva all’interno delle mura domestiche.
Ci sono tanti aspetti che un gruppo di lavoro può elaborare se si appropria dei suddetti conflitti esistenziali che appaiono nella vita dell’anziano istituzionalizzato.
L’idea non è quella di rimanere nella sofferenza bensì quella di entrare nella dimensione del conflitto affinché possa funzionare come motore, o forza per generare strategie che mettono in primo piano il benessere degli anziani.
Si parla di lavorare con un’empatia strumentale, cioè che non paralizzi e metta in moto processi di cambiamento mirati ad ottenere un miglioramento e una diminuzione della loro sofferenza.
Per questo è prioritario che le figure di coordinamento in collaborazione al personale di supporto si attivino al fine di portare calore umano al settore, e condividano l’importanza di creare un gruppo di lavoro che operi come una squadra e per il benessere degli utenti.
Un tal gruppo di lavoro (équipe – squadra), si porrà domande, farà confronti e fisserà obiettivi che andranno nella direzione di un incremento della qualità di vita degli ospiti della struttura: stiamo offrendo un servizio che conforta o aggiunge disagio? Prevale l’atmosfera dell’ambiente di lavoro o stiamo facendo in modo che l’anziano si senta in casa? Possiamo rendere l’ambiente più familiare? Si può diminuire l’inquinamento acustico, favorire il riposo, evitare situazioni stressanti? Siamo in sintonia con la privacy di cui ha bisogno l’anziano?...
Per questo motivo, nel settore dei servizi rivolti all’anziano, è di grande vantaggio l’inclusione di figure professionali come lo psicologo, l’animatore sociale, l’assistente sociale. Tutti professionisti che hanno il compito fondamentale di umanizzare le pratiche. Sono loro che con l’appoggio del coordinamento hanno il maggior impegno nel produrre e realizzare progetti che tendono alla creazione di un ambiente protesico che dia sicurezza all’anziano facendolo sentire nella sua nuova casa. Un obiettivo basilare da diffondere e condividere col gruppo di lavoro ‘squadra’, sarà quello di far sì che la struttura assomigli il più possibile ad una CASA. Se si pensa, al concetto di ‘casa protetta’ questo rende molto l’idea di quanto espresso. Un breve riassunto su cosa s’intende per ambiente protesico può essere facilitante; esso contempla la creazione di spazi ben differenziati, muniti di una adeguata segnaletica e allestiti con oggetti di riferimento riconoscibili dall’anziano.
Per differenziazione di spazi s’intende definire aree destinate allo svolgimento di determinate pratiche. Esempio: sala da pranzo, sala tv, sanitari, stanze, area riposo pomeridiano, spazio verde (giardino, cortile), aree per gli incontri dell’ospite e le persone che vengono a trovarlo, cappella, ambulatorio, sala animazione, ecc.
L’adeguata segnaletica compensa le difficoltà di orientamento presenti negli ospiti soprattutto per coloro che ancora conservano un certo livello di autonomia.
Gli oggetti di riferimento dell’allestimento devono essere riconoscibili magari lasciando da parte le modernità, adeguando l’estetica degli spazi alle loro generazioni per farli sentire come a casa.
Accoglienza, sicurezza, orientamento, mantenimento delle autonomie e delle capacità residue, riduzione della confusione, sono tutti principi che dovrebbero reggere durante la progettazione e realizzazione degli spazi. In questo modo si possono favorire i processi d’adattamento non solo dell’anziano anche dei parenti spesso molto sofferenti.
Durante un convegno, ho sentito parlare anche di strutture che hanno perfino introdotto cellule fotosensibili nei lavandini! La domanda che poneva in quell’occasione la professionista, che fra l’altro era un animatore sociale, era: siamo sicuri che sia una soluzione valida per supportare il mantenimento delle autonomie residue di un anziano entrato negli anni? A quelle età sono in grado di adattarsi a questi sistemi moderni? Su arredamento e allestimento si potrebbe approfondire il discorso su strategie legate all’introduzione di materiali, colori e oggetti (orologi, calendari, fiori) possibilmente coinvolgendo alcuni anziani, e che possono aiutare a ridurre gli stati di ansia o di agitazione psicomotoria ottenendo risultati positivi evitando così di rincorrere solo alle terapie farmacologiche.
Spazi che difendano la propria privacy. Bisogna differenziare con chiarezza concetti del tipo: ‘vita comunitaria’, ‘pubblico’, ‘privato’, ‘intimo’.
Per ogni figura professionale, quello che si fa e si dice all’anziano durante lo svolgimento delle mansioni deve essere in sintonia con queste differenziazioni. Per ciò si parlava prima dell’importanza di lavorare come parte integrante o membro di una squadra che condivide una filosofia o base concettuale. Squadra come sistema che va oltre la semplice aggregazione degli individui – professionisti; una équipe che acquisisca una identità, che possieda una filosofia condivisa che leghi, che orienti e faciliti il raggiungimento di finalità e obiettivi di lavoro. Con questa accezione acquisiscono particolare rilevanza le procedure e il contesto: il come si dice o si fa cosa, e dove.
Arredo confortevole e sicuro, ambiente luminoso e poco rumoroso. L’anziano passa la maggior parte del tempo seduto o sdraiato, quindi bisogna prevedere il disagio che può provocare una mancanza di adeguamento mirato sul confort in carrozzine, poltrone e sedie con braccioli nonché i letti. La luminosità permette agli ospiti, di individuare meglio l’intorno, è anch’esso un fattore di sicurezza soprattutto per colui che deambula in autonomia; rende meno lugubre lo spazio ma l’intensità della luce è sempre da monitorare a seconda delle situazioni. Se la fonte di luce è molto diretta, acceca; se si tengono le luci accese in continuazione o la luce del sole è molto predominante durante un momento di riposo (come è solito che avvenga dopo pranzo), l’illuminazione intensa può scatenare stress, nervosismo e disturbi del comportamento. Lo stesso succede con la rumorosità degli ambienti. Spesso rimangono le tv accese tutto il giorno, oppure la radio, peggio se i programmi o le frequenze non sono adatti al piacimento degli anziani. La cosa migliore è chiedere agli interessati diretti sul gradimento e trovare soluzioni democratiche sulle varie e diversificate esigenze.
Ridurre l’inquinamento acustico è un’impresa abbastanza difficile considerando che oltre ad essere una casa dove risiede gente è un luogo di lavoro. I cambi di turno, il passaggio d’informazione, il traffico dei carrelli, i telefoni… altre volte si tratta di una rumorosità per così dire “indisciplinata” e quindi meno comprensibile. Voci squillanti che magari irrompono in mezzo ad un momento di silenzio, dialoghi tra professionisti o parenti, chiusura delle porte e di sportelli, rumori con piatti, stoviglie che vengono sistemate senza molta cura… Il fenomeno della rumorosità disturbante accade probabilmente con tutta l’innocenza del caso e senza cattiveria alcuna. Il problema con più sicurezza è dovuto ad una mancata consapevolezza sui benefici che può portare all’ospite residente (e non solo), un ambiente più silenzioso e rassicurante come quello della propria casa. Può capitare che l’anziano stia seguendo una trasmissione televisiva che gli interessa e non riesca a farlo. Situazioni ancora più assurde si osservano quando non c’è una sala adeguata per lo svolgimento di attività di animazione, molte delle quali richiedono l’attivazione di funzioni cognitive (attenzione, concentrazione, memoria) e non c’è all’interno del gruppo di lavoro, sufficiente condivisione su queste tematiche che in fin dei conti, sono di assoluta rilevanza per la creazione e il mantenimento di un contesto abitativo portatore di benessere a livello psichico ed emozionale. L’accesso ad un area verde, può indubbiamente contribuire in questa stessa direzione.
E sì…il professionista all’interno delle residenze per anziani, ha un lavoro in più, quello di non dimenticare mai che si è nella loro casa. Richiede uno sforzo empatico e una volontà decisa a offrire le bontà di uno spazio protesico che oltre a favorire l’adattamento alla vita istituzionalizzata, faccia sì che l’anziano si senta sicuro, protetto e… amato.
Allora la squadra di lavoro si sentirà utile, anzi trionfante, perché l’anziano provando agio nella casa, avrà dimenticato, anche se probabilmente solo in parte, i conflitti di cui si parlava all’inizio. E beh… è già tanto!


*Nota: Ci sono molte correnti in psicologia che trattano l’argomento, ma soprattutto la Psicanalisi è un riferimento importante se lo si vuole approfondire.


dott. Mariana Parera
(psicologa e animatore sociale)


Natale de guerra (poesia di Trilussa)


Ammalappena che s’è fatto giorno
la prima luce è entrata ne la stalla
e er Bambinello s’è guardato intorno.
- Che freddo, mamma mia! Chi m’aripara?
Che freddo, mamma mia! Chi m’ariscalla?
- Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pe’ compralla…
- E l’asinello mio dov’è finito?
- Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito.
- Er bove? Puro quello
fu mannato ar macello.
- Ma li Re Maggi arriveno? – È impossibbile
perché nun c’è la stella che li guida;
la stella nun vò uscì: poco se fida
pe’ paura de qualche diriggibbile…-
Er Bambinello ha chiesto:- Indove stanno
tutti li campagnoli che l’antr’anno
portaveno la robba ne la grotta?
Nun c’è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta…
- Fijo, li campagnoli stanno in guerra,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pe’ vangà la terra
adesso viè adoprata unicamente
per ammazzà la gente…
Guarda, laggiù, li lampi
de li bombardamenti!
Li senti, Dio ce scampi,
li quattrocentoventi
che spaccheno li campi?-
Ner di’ così la madre der Signore
s’è stretta er Fijo ar core
e s’è asciugata l’occhi co’ le fasce.
Una lagrima amara per chi nasce,
una lagrima dorce per chi more…





Trilussa, al secolo Alberto Salustri, nasce nel 1871 e muore nel 1950. Un poeta singolare per lo scrivere dei suoi versi in romanesco, ma non per questo privi di sensibilità e religiosità. Nella sua poesia natalizia Trilussa si sofferma sul dramma della guerra. Così come in uno schermo i tragici effetti della prima guerra mondiale si mescolano alle lacrime dei protagonisti, rendendo i suoi versi pieni di umanità.


Mariangela


Guerra, pazzia e paradossi

Recensione del libro di Joseph Heller, “Comma 22”, ed. Bompiani


Catch 22, il primo romanzo di Joseph Heller, uscito negli USA nel1961, con la sua comicità paradossale rappresentò una feroce critica al militarismo.
La vicenda è ambientata in Italia verso la fine della seconda guerra mondiale. Yossarin, un ufficiale dell’Air Force, pilota bombardiere di B25, viene distaccato con il suo gruppo nell’isola di Pianosa, per effettuare incursioni sulle linee tedesche e facilitare l’avanzata degli alleati. Disgustato dalla disumanità della guerra, che mette a repentaglio la vita dei giovani mentre generali e burocrati sembrano dedicarsi solo al proprio interesse e alla propria gloria, Yossarin che pure non è un vile, pensa a come salvare la pelle. Sperando nel congedo anticipato, si fa ricoverare accampando malesseri immaginari e fingendo disturbi mentali. Ma nell’articolo 12 del regolamento c’è un tranello. Il comma 21 infatti recita: «L'unico motivo valido per chiedere il congedo dal fronte è la pazzia.», ma il comma 22 specifica: «Chiunque chieda il congedo dal fronte non è pazzo.»… In effetti… Naturalmente si tratta di un’invenzione dell’arguto romanziere, ma la situazione è meno improbabile di quanto si possa pensare, tanto che l’espressione “comma 22” è divenuta proverbiale per rappresentare quei casi in cui la contraddizione è voluta per rendere in pratica inapplicabile un diritto.
Geniale, in verità! Come sottolinea Bonvi in questa vignetta di Sturmtruppen.


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L.L.


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Risposte in pillole di Ave, ai vostri quesiti, dubbi, timori, perplessità



Cari amici de Il Faro,
il tema del conflitto mi suscita pensieri dolenti su quello che vien chiamato ‘amore’. Perché tante storie virano dall’amore all’odio, fino a sfociare in episodi anche gravissimi di violenza? Vi sembra normale? E fino a che punto è giusto sopportare? Mi piacerebbe avere una risposta da voi… io non ce l’ho. Saluti cari e complimenti per il vostro giornale


Maria G.





Cara Maria, secondo me il conflitto "amore-odio" nasce da rivalità di classi economiche, da odi di razza, da interessi di partito. Le televisioni trasmettono programmi di violenza e persino i telegiornali parlano sempre di violenza, di donne violentate, lapidate. Di bambini violentati anche dai preti e persino di suore e vecchie assalite e violentate.
No non è normale, ma probabilmente c'è qualcuno a cui interessa che tutto appaia violenza e che la gente abbia paura.


Ave


Tecnologia: meglio conoscerla che combatterla


La tecnologia, i nuovi strumenti, il mondo parallelo delle comunicazioni via internet… o ti lasci travolgere o cerchi di comprenderli. Per questo è nato il Progetto “Connettiamoci”….
In collaborazione con il DSM-DP dell’AUSL di Bologna, il Fareassieme ha ideato questo progetto con l’obiettivo di formare persone in grado di utilizzare uno strumento, il computer, utile per comunicare, condividere informazioni, contrastare la solitudine creando una rete sociale ed amicale con l’utilizzo di e-mail, facebok, social networks, internet. ecc.
Con questi presupposti il 27 marzo 2012 abbiamo organizzato un affollatissimo incontro con tutti gli iscritti, in quella sede è stato presentato sia il corso di base “Connettiamoci” che il corso avanzato “Esplorando la rete” seguito dal Centro Minguzzi.
In questo primo momento di incontro, gli insegnanti hanno presentato i due corsi, i tutor che li avrebbero affiancati durante le lezioni ed hanno consegnato programmi e calendari.
Il 2 aprile alle 14,00 ci siamo ritrovati all’ingresso in via S.Isaia per salire tutti insieme nell’Aula Informatica dell’AUSL per iniziare questa nuova avventura “Connettiamoci” che ci avrebbe accompagnato per i successivi tre mesi fino al 27 giugno.
Massimiliano, il nostro insegnante, ha iniziato da subito a parlarci di “scheda madre”, “processore”, “ram”, “hard disk”, “pixel”, “bit” e “byte”… qualcuno si è spaventato, qualche altro ha pensato di avere sbagliato corso,…..altri, molto diligentemente hanno cominciato a prendere appunti, ma nonostante le difficoltà la fine della prima lezione è arrivata troppo presto e tante sarebbero state ancora le cose da chiedere e da scrivere.
Da co-conduttore/uditore ho partecipato a quasi tutte le lezioni e ho avuto modo di vedere come la voglia di comprendere, di impadronirsi delle competenze necessarie per usare uno strumento che oggi tanti utilizzano, fa superare anche le difficoltà più grandi: né il lungo viaggio per arrivare alla sede del corso, né gli scioperi dei mezzi pubblici, né gli argomenti, a volte difficili, hanno vinto sul piacere di essere presenti alle lezioni.

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Anche i dati di frequenza lo dimostrano: se escludiamo alcune defezioni, per tutti, i giorni di lezione hanno rappresentato un piacevole appuntamento dove ritrovare compagni di viaggio con i quali condividere un percorso di “studio” ma anche di conoscenza e amicizia.
Lezione dopo lezione abbiamo costruito un manuale di utilizzo del pc (integrato con fotocopie) nel quale sono ripresi tutti gli argomenti affrontati in aula e ha preso corpo il nostro indirizzario, con tutti gli indirizzi di posta elettronica per avviare lo scambio di mail fra tutti i partecipanti, scambio che continua tutt’ora e che speriamo possa diventare il primo passo per la costruzione di quella rete sociale, auspicata come finalità del corso stesso.
A conclusione del corso poi, come previsto, chi era interessato (8 corsisti su 15 che non possedevano un pc) ha potuto acquistare un proprio computer da portare a casa per mantenere e affinare le competenze acquisite durante le lezioni.
Il 27 giugno, al termine dell’ultima lezione, non abbiamo resistito e ci siamo concessi un momento di tradizionale svago, cedendo alla tentazione di una bella pizzata in compagnia, per augurarci reciprocamente una buona estate e con la promessa di rivederci a settembre se sarà possibile organizzare una nuova tranche di corso di formazione avanzato.
Da parte mia un sincero ringraziamento a: Aldo (2), Andrea, Beatrice, Concettina, Cristiano, Dario, Edoardo, Francesca (2), Giulio, Giuseppe (2), Giusy (2), Gregorio, Iryna, Ivana, Manuela, Marco, Maria Stella, Maria, Massimiliano, Maurizio, Mauro, Roberto, Stefano, Tiziana, Ugo e Virginio.


Roberta Finco


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Recensione del libro di Alice Banfi
“Tanto scappo lo stesso – romanzo di una matta”
(ed. Stampa Alternativa)



La cosa che più mi ha colpito è l’umanità della protagonista, contrapposta alla fredda disumanità degli operatori sanitari. Questi ultimi la legavano al letto mani e piedi, perché si contrapponevano al suo bisogno di libertà e di manifestare se stessa.
Una cosa mi ha fatto indignare: un ragazzo cinese, che i medici chiamavano con un soprannome a lui sgradito, si ribellava e il personale, medico e non, gli diceva “di abbassare la cresta”. Questo per far capire come la persona ricoverata e bisognosa di cure e attenzioni veniva spersonalizzata. Trattata spesso come una diagnosi, non come un individuo con la sua particolare personalità.
Alice Banfi si contrappone a questo modo di fare sanità, che lei chiama sistema psichiatrico. Questo modo di curare, a più di trent’anni dalla legge Basaglia, è un sistema coercitivo per nulla diverso dai vecchi manicomi che dovrebbero essere stati trasformati in strutture sanitarie dove al centro della terapia c’è l’individuo e non il quieto vivere del reparto. In questo spaccato si vede come le strutture, al di là dei formalismi delle leggi e della burocrazia, si mostrano esternamente efficienti ed efficaci, ma in realtà anziché curare tolgono la personalità e il senso di responsabilità. Per cui il paziente anziché recuperare se stesso, viene schiacciato fino al punto di imbruttirsi e diventare aggressivo contro se stesso e gli altri.
La scrittura è semplice e lineare. Molto gradevole.
Come è scritto sul retro di copertina: “c’è da ridere, c’è da piangere, c’è da pensare: chi è il matto in questa storia?”.
Buona lettura!


Cristicchi


I sogni della famiglia Albani


Era una serata tiepida di settembre. Ersilia e Duilio parlavano rivolti all’infinita distesa di fiori bianchi che circondava la loro casa.
La coppia aveva da poco festeggiato le nozze d’argento ed era circondata dall’affetto di figli e nipoti. Ersilia aveva superato molti momenti critici all’affacciarsi della vecchiaia, ora era serena, anche se sentiva sempre di avere i giorni contati. Molti giorni, molte sere, molte notti erano passate da quando i due si erano conosciuti. Ersilia ricordava con tenerezza quando aveva incontrato Duilio per la prima volta. Era stato un momento di forte intensità per la donna, che aveva scorto nell’uomo una vena di sensibilità che ben si accordava con la sua. Avevano realizzato molte cose: anche se molti sogni si erano infranti, molti si erano realizzati, almeno. Ora si può dire che la donna sentiva di essere approdata su una distesa di pace, dopo tante battaglie affrontate e vinte. Ora percepiva con chiarezza di aver raggiunto un equilibrio, se così si può dire, parziale. Giulio e Michela erano irreprensibili nella conduzione della casa e come abbiamo avuto occasione di dire facevano da genitori ai propri genitori. Da molti anni vivevano in una casetta aggrappata alla collina e circondata da prati che in primavera elargivano una marea di fiori bianchi. I loro destini su erano incrociati e uniti in modo esemplare.
Questo era in fondo il senso della vita a cui aspiravano.
Voi che leggete vi sarete certo fatta un’idea delle ambizioni della coppia. Molti periodi si erano susseguiti da quando Ersilia era ricoverata e lottava con un male oscuro che era riuscita in parte a vincere e a sconfiggere. Le mete a cui ambiva erano state raggiunte e poteva finalmente darsi pace. Ora i giorni scorrevano con tranquillità e quella marea di fiori bianchi contribuiva al loro equilibrio. La popolazione del paese in cui abitavano aveva un concetto molto alto della famiglia Albani, simbolo per la comunità in cui viveva e operava da anni, che certo non li avrebbe dimenticati.
Voi che leggete che ne dite?


Maria Chiara Reitani


Pensieri


Vecchia

Sconosciuta vecchia donna che nel tuo giardin fiorito
siedi immobile sulla sedia e guardi curiosa la gente passare.
Il tuo corpo ormai malato e inerme incontrò un giorno il mio sguardo
E sognasti la mia frenetica giovinezza.
Antico ormai è il tuo vivere e speranza di vita non è più in te.
Ma eterna sarà la tenerezza che è nel nostro cuore.





Lacrima

Oh crudele lacrima, che d’improvviso compari negli occhi miei pensosi,
incurante, debole uomo mi fai sentire,
testimone tu sei di fragilità ed imperterrita continui la tua corsa,
bagnando l’intero viso mio.
A te però son grato perché apprezzar di più mi farai l’inattesa, futura gioia.





Maschera

Colorita maschera che dell’uomo sei compagna,
fortuna e gloria devi a lui.
Le sue giornate accompagni, tristemente a lui fedele servitrice
del tradimento non ti curi.
Estetica e bellezza sono in te la forza,
ma debolissimo e misero sarà il tuo ricordo.





Ragazza dell'Est

Ragazza dell’est che freneticamente sesso tu doni,
amore vero e dolce tu non conosci.
Il credo tuo è il denaro,
di uomini crudi e violenti tu sei schiava.
Però del tenero uomo tu te ne fai gioco.
Ma ricordati che l’unico sentimento per cui vivere è l’amore!





Musica

Vivace musica, che tu sola conosci l’armonia della vita,
che riesci a farmi immaginare spazi erbosi infiniti,
che delicata e suadente fai sognare vita mia diversa.
Tu solo sei poesia vera che farà il mondo unire.


Roberto Ramosi (casa degli Svizzeri)


La psichiatria di ieri, di oggi e di domani


La legge Basaglia introdotta nel 1980 ha cambiato molto in positivo la vita delle persone ritenute “ammalate mentali” (consideriamo questo termine per definire chiunque abbia un disagio sociale o difficoltà nell’ambito familiare, sociale o sul lavoro; oltre ai casi in cui invece si soffre per qualche episodio capitato nella vita).
La psichiatria come noi la intendiamo oggi, non è sempre stata tale. Si pensi che negli anni ’50, ’60, ’70, le persone con disagio mentale venivano recluse in strutture coatte, cioè ambienti ospedalieri, da dove, una volta internati, non potevano più uscire. Alle finestre vi erano le sbarre per motivi di sicurezza o per evitare fughe. I pazienti erano sottoposti a trattamenti quasi punitivi, come docce gelate, elettroshock, e spesso venivano legate al letto come misure di contenimento, nel caso in cui manifestassero rabbia o aggressività, o in certi casi anche per motivi “diversi”.
Il dottor Franco Basaglia fu il primo a rendersi conto della sofferenza e delle pessime condizioni di vita in cui versavano i “malati mentali”. Rinchiusi, costretti, maltrattati, senza speranza per il loro futuro, incapaci, miseri e privati della propria identità.
E’ stato lui il primo ad accostarsi a queste persone, perché (ribadiva lui stesso) di persone si tratta. A conoscerle ad una ad una, a parlare con loro e ad accostarsi ai loro problemi, ad arrivare alla radice del loro malessere, si è accorto di quanto era sbagliato e assurdo il trattamento che si riservava loro, e del tutto inefficace e inutile al loro miglioramento e guarigione.
Andando ancora indietro nel tempo, troviamo che in psichiatria si è sempre parlato raramente di guarigione.
Anche Gesù compiva guarigioni, e i casi di “psichiatria” di allora erano ben peggiori di quelli di adesso: esorcismi (mandava via il diavolo), purificazioni (scacciava gli spiriti impuri) e guariva anche dall’epilessia. Che tipo di medicina usava? Nessuna, se non la Fede, la Santità, il Digiuno, la Preghiera, la Fortezza di Spirito.
Nella psichiatria di oggi, sono in largo uso gli psicofarmaci, in questo caso la scienza ha compiuto progressi, perché nel maggior numero dei casi è stato appurato che tali farmaci migliorano la qualità di vita dei pazienti, ed evitano ricadute.
Ma veniamo a noi: perché vogliamo difendere e sostenere la legge Basaglia? Finora era dato per scontato che i diritti dei malati fossero sempre rispettati una volta acquisiti. Purtroppo ora non è così. Dagli anni ’80 fino al 2000 le cose andavano proprio in quel modo: il paziente poteva essere accolto in una casa di cura (pubblica, privata, convenzionata) o per sua richiesta (ricovero volontario), o per richiesta dei familiari. La cosa peggiore (che saltava fuori da qualche articolo di impronta fascista) era il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio), usato solitamente per contenere un paziente difficile da gestire, perché violento, aggressivo fisicamente, insomma pericoloso. Il trattamento coatto, cioè forzato e intensivo, aveva la durata di una settimana, prorogabile fino a un mese. Naturalmente si trattava di episodi acuti, dopo i quali il paziente solitamente si riprendeva, e tornava alla propria casa, diciamo “guarito”.
I trattamenti più lunghi, invece, cioè di più mesi, erano di solito richiesti o condivisi dai pazienti stessi, concordando la data di dimissione col proprio medico di riferimento. Fin qui nulla di grave, un po’ di pazienza, e molti permessi di uscita, vacanza, ritorno dai familiari.
Purtroppo oggi quello che preoccupa sia le famiglie che le persone con disagio psichico, è che le regole stanno cambiando, ma non in meglio.
Una delle cause può essere la “crisi”, cioè: i posti letto in ospedale, le cure mediche sono costose e non tutti possono ricevere quel tipo di cure (de-ospedalizzazione). Mentre fino al 2000 qualunque cittadino (consenziente) poteva ricevere cure ospedaliere pubbliche o private, oggi ci sono molti casi di ricovero in Day Hospital, meno ricoveri, e soprattutto inserimenti in strutture o soluzioni alternative, come Centri Diurni, case di accoglienza, comunità ecc. Le strutture private che dovrebbero rappresentare i luoghi di vita di alcuni utenti, sono costose e questo va a discapito di persone bisognose. La Comunità non è un luogo di cura (come le ospedalizzazioni), ma un ritrovo di persone che si conoscono, si confrontano, si assomigliano e su queste solide basi stringono e costruiscono nuove amicizie.
La nuova legge Ciccioli-Pancaldi, prevede invece strutture private di contenimento, in poche parole il ripristino e l'apertura di sedi ospedaliere molto simili ai vecchi manicomi. La cosa più grave è che il ricovero non è più volontario, ma coatto e i tempi di durata del T.S.O vanno da due settimane a sei mesi, prorogabili fino ad un anno a discrezione del medico.
Sicuramente un politico che ritenesse scomoda una certa persona per vari motivi ideologici o rivoluzionari (o una persona che possa in qualche modo turbare la mente dei benpensanti) potrebbe usare questo strumento per toglierselo dai piedi. È veramente preoccupante pensare che per un ritorno di qualche ideologia fascista e obsoleta chiunque possa essere "incarcerato" o messo a tacere da una istituzione giuridica che comanda e addirittura condanna il nostro pensiero. È uno scandalo! Una violenza all'intelligenza umana e alla libertà di pensiero e di opinioni. Le istituzioni in questi decenni sono state a favore del libero cittadino, ma adesso è il momento di schierarsi contro quelli che vogliono distruggere quanto di buono è stato costruito fino ad oggi con farneticazioni su questioni vecchie.
Cosa vogliamo per il futuro? La valorizzazione e un aggiornamento della legge Basaglia, in modo che le persone che soffrono di disagio mentale possano essere tutelate nei loro diritti, rispettate per le loro idee, sostenute con percorsi specializzati e protetti da certi "aguzzini". I percorsi di guarigione sono possibili, innegabili e sacrosanti, questi devono essere fatti nel modo giusto, appropriato, nel rispetto del malato e delle sue esigenze. In definitiva devono essere investiti soldi in questo campo sia dalla Regione che dalle Cooperative del privato sociale. Ringraziamo tutti gli operatori e i medici per quanto hanno fatto fino ad oggi e per quanto continueranno a fare, in definitiva occorre bandire certe ideologie che potrebbero riportarci ad un passato oscuro e pieno di morte.


G.


Indovinello di Luigi Zen


Come si chiamano quelle piante, molto diffuse in tutto il mondo, che non fanno fiori e che nei paesi freddi, d’inverno, occorre tenere al caldo perché temono il gelo?

vai alla soluzione





La barzelletta di Luigi Zen


“Ehi! Ma lei non lo sa che è vietato fare la pipì nelle piscine?”
“E via, ma se lo fanno tutti!”
“Sì, ma non dal trampolino.”


La posta


Salve!
Solo oggi ho scoperto la rivista "Il Faro" ed ho letto del vostro concorso per scrittori di poesie.
Sono sorella di una "ragazza" ormai quarantenne che a sfogo di vari problemi che la vita le ha messo davanti (seguiti da assistenti sociali Calderara e S.Giovanni) ha trovato la via della poesia.
Sono a chiedere se sono ancora in tempo per dare a mia sorella questa opportunità di iscriverla al concorso??? Non e' il premio, ma il percepire l'aggregazione in questa società individualista, a cui miro!!!!
Mia sorella, avendo letto il vostro giornalino, vorrebbe collaborare con cị che riesce a comunicare, il teatro, e la poesia. Grazie

Barbara Baratti




Cara Barbara, saremo felici di ospitare la bella poesia di Annarita sul prossimo numero del Faro che uscirà, più o meno, tra un paio di mesi. Sperando di farti cosa gradita ti accludiamo l'ultimo numero del Faro in formato elettronico, appena uscito. Come vedrai vi è sempre un angolo della poesia, quindi se Annarita vorrà continuare questa collaborazione per i numeri a venire, noi ne saremo lietissimi. Grazie ed un caro saluto

Ave e Antonio per lo staff del Faro

P.S. Per quel che riguarda il concorso, se ricordiamo bene, i termini di presentazione dovrebbero essere scaduti ad aprile, ma ti risponderanno loro in proposito (non si tratta di una nostra iniziativa, noi l'abbiamo solo pubblicizzata).





Conosco indirettamente la vostra rivista e propongo la mia partecipazione attiva con poesie, racconti, proverbi. Ho già fatto un’esperienza in questo settore. Sono ammalata di psicosi bipolare dai vent’anni, peṛ ritengo che la diffusione del giornale non debba essere fatta principalmente all’interno degli ospedali, ma rivolta al Comune di Bologna, a esercizi pubblici ecc.
Ringraziando sin d’ora, manifesto il desiderio di una risposta scritta a questa missiva. Ossequi

Giovanna Bassi




Cara Giovanna, siamo molto lieti di averti come collaboratrice: un tuo contributo come vedi è già pubblicato. Il Faro ha ormai una lunga storia e sta crescendo sempre più. Viene distribuito all’interno dei CSM, ma anche al di fuori, presso istituzioni pubbliche, istituti universitari, centri sociali … dovunque è vivo l’interesse per la Salute Mentale. Il Faro poi non è solo stampato, ma viaggia su internet ed è entrato anche in contatto con redazioni simili di altre città…
Aspettiamo ancora tue notizie e contributi.
Saluti cari da Fabio e dalla redazione.





Gentilissimi,
non ci aspettavamo di riuscire così velocemente a mandare questo importante contributo, esito delle due giornate di incontro sugli psicofarmaci che abbiamo organizzato con il Dr. Boldri. Ci siamo invece riusciti. Per cui in allegato trovate il testo, ovviamente revisionato e corretto, degli incontri.
Crediamo che sia davvero molto importante per tutti coloro che utilizzano psicofarmaci e per i loro familiari e amici poterlo leggere e consultarlo ogni volta che ne abbisognano. Con grande piacere siamo pertanto ad inviarvelo. Cogliamo anche l'occasione per augurare a tutti buona estate!

Elena Pasquali (UmanaMente)




Cara Elena, come vedi il vostro lavoro ha trovato degno spazio nell’inserto: uno dei conflitti interiori che spesso turbano le persone riguarda proprio il prendere o non prendere i farmaci… Quindi siete perfettamente in tema.
Grazie e buona estate anche a voi.


Soluzione dell’indovinello di Luigi Zen


Le piante dei piedi