Editoriale
Il termine conflitto deriva dal latino conflictus che
significa: cozzare, urtarsi. Nella mia vita quante volte mi è capitato
di cozzare o urtare con me stesso o con chi mi sta vicino. Nel
linguaggio odierno il termine prende tuttavia altri significati come:
scontro armato, conflitto di interessi, conflitto giuridico.
Ma tornando ai miei conflitti, il primo che viene alla mente è quello
con il mio povero padre. Caratteri diversi, ma testoni allo stesso
livello. Non trovavamo una sola cosa su cui essere d’accordo, forse un
pochino sulla politica, ma niente di più.
Poi ci sono tutti i miei conflitti interiori che sono talmente tanti
che ci sarebbe materiale per scrivere un trattato. Il più forte è tra
quello che sono e quello che vorrei essere.
Ne faccio un esempio: a ventisette anni studiavo molto e non avevo
tempo per allenarmi in bicicletta, pur avendo discrete doti fisiche.
Poi la malattia, i farmaci, hanno fatto sì che andare in bicicletta non
era più un divertimento, ma un enorme sforzo psicofisico. Facevo fatica
a mantenere l’equilibrio, il cercare di tenere una frequenza di
pedalata alta mi faceva venire il nervoso, non per frustrazione, ma per
una strana alchimia nel cervello: mi si generava una specie di fumo che
mi toglieva tutte le forze unito a una forte rabbia, perché non potevo
realizzarmi in quello che era ed è il mio sport preferito.
Un conflitto esteriore che ha segnato la mia vita è avvenuto quando
avevo sedici anni. Uno dei miei docenti pretendeva da me più di quanto
io potessi dare e se non riuscivo a superare l’esame mi induceva a
ritirarmi perché inadatto alla scuola. In effetti i miei limiti erano
evidenti, ma il mio impegno era il massimo che riuscivo a dare. Se
fosse stato per me mi sarei ritirato, non avevo più energie
psicofisiche, avevo bisogno di divertirmi, mentre invece mi veniva
richiesto di studiare di più. Anche quando secondo altri docenti avevo
raggiunto la sufficienza, lui faceva di tutto per toglierla. Forse
perché aveva anche lui un conflitto interiore, per cui i suoi allievi
dovevano essere i migliori ecc. ecc. Oppure perché aveva un conflitto
con mio padre per quanto riguarda la carriera professionale. Ma è stato
mio padre a insistere perché io continuassi gli studi in quella che era
anche la sua professione: alla fine ce l’ho fatta. Ma in tutta la mia
carriera mi sono dovuto scontrare con i colleghi non per quello che
ero, con tutti i miei limiti, ma come figlio di mio padre.
Scusate se l’editoriale è scivolato parecchio nel personale. Non era
mia intenzione, ma è venuto così.
Ne Il Faro si parlerà di conflitti psicologici, sociali, tecnologici,
armati, di interessi e giuridici. Buona lettura.
Fabio Tolomelli
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Umberto Boccioni "Rissa in
galleria" - 1910 (olio)
“Rissa in galleria” viene concepito in una fase della ricerca
bocconiana già idealmente futurista, di un futurismo legato agli stati
d’animo e percorso da una spinta vitale, dinamica, privo però degli
sviluppi che porterà il confronto con le avanguardie parigine. Il
soggetto è una rissa tra due donne, davanti a un caffè della galleria
Vittorio Emanuele II, nel pieno centro di Milano.
Sotto la luce dei nuovi lampioni elettrici ad arco, una folla,
anch’essa - si direbbe - elettrizzata, si raduna attorno alla scena.
Quell’energia elettrica che, anche grazie alle invenzioni di Alessandro
Volta e in seguito di Antonio Pacinotti, rivoluzionò il modo di vivere
nelle grandi città già all’inizio del XX secolo.
La tecnica coloristica risponde ai requisiti del divisionismo italiano,
tecnica pittorica che dominerà le tele dei futuristi, a volte anche
dopo l’apprendimento della scomposizione cubista. Divisionismo che
Boccioni aveva appreso da due importanti artisti come Gaetano Previati
e Giacomo Balla. Il movimento e il dinamismo del dipinto non sono
disgiunti da una vivace attenzione al dato reale, propria della
tradizione italiana ottocentesca.
Qui il “conflitto” esplode nel cuore della città: è tutto un pullulare
di figure guizzanti e pulsanti; è la vita contemporanea che sembra
scorrere frenetica, non più contenibile dalle vecchie architetture (non
a caso un altro quadro di Boccioni, eseguito poco dopo, si intitolerà
“La città che sale”.)
“Rissa in galleria” è infine un’acuta testimonianza storica di cosa
dovesse essere la vita nella metropoli milanese in quegli anni di
profondo cambiamento e crescita urbanistica.
Piergiorgio Fanti
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Il conflitto
“Essere o non essere: questo è il dilemma”…Se non il
problema, per non dire il conflitto. “Il bianco e il nero”, “la botte
piena e la moglie ubriaca” sono tutti contrasti per definire due
concetti che si sovrappongono (nel migliore dei casi), o si trovano in
antitesi (nel peggiore dei casi), si fanno guerra.
Il conflitto mondiale, la pace, la guerra, la dittatura, l’anarchia. Ma
qual è il conflitto più grande? Sicuramente l’odio e l’amore.
Tutto nasce dall’“Essere o non essere”, cioè conflitto interiore,
conflitto personale.
Quando due persone hanno un conflitto, si dice che non vanno d’accordo,
litigano.
Quando i genitori hanno un conflitto, davanti ai figli infanti non
litigano, ma discutono. “Sono cose da grandi” dicono loro, come per
scusarsi o togliersi il senso di colpa che deriva da questo “cattivo
esempio”. Ma anche i bambini litigano: “C’ero prima io”, “No, tu non lo
sai fare”, “Questo gioco è mio” etc..
Il conflitto è dentro di noi, fin dalla nascita, è insito nell’uomo,
nell’essere umano. Sembra che non ci si possa fare nulla.
Nella nostra religione (cattolica), si parla soprattutto di bene e
male. La scelta, la differenza, la responsabilità. Dal peccato
originale l’uomo diventa colpevole (dalla nascita), quasi malato di un
peccato universale, da cui non può e non riesce a redimersi. Dal
peccato originale vengono le malattie, i perigli, la fatica e la morte,
la fame, la guerra. Nei giorni nostri si pensa di più al conflitto
politico che al conflitto fra nazioni. Visto che oggi la politica è
diventata l’ordine del giorno, anzi il nostro pane quotidiano. <
L’individuo di adesso (può essere sposato, single, separato, che vive
solo d’avventure) pensa: “Se non trovo l’ambiente e le persone che mi
piacciono, non posso amare.” Questa affermazione è vera, sta alla base
e all’origine di ogni conflitto. Se l’individuo, inteso come persona,
non è un genio, perché non trova quello che cerca, e spesso cerca
qualcosa che non c’è, è sempre insoddisfatto, freddo, infelice,
distaccato, non può e non riesce ad amare, perché l’amore spesso,
nell’ordine delle priorità, viene inesorabilmente all’ultimo posto. Se
cerco uno spazio, deve essere mio, se cerco un amico deve essere tutto
per me (la proprietà come fonte di conflitto e pregiudizio), e quando
sono solo deve farmi compagnia, e addirittura quando ho torto deve
darmi ragione, se ho un problema me lo deve risolvere. Più o meno è
questo il tipo di amicizia che cerca l’individuo “medio” di oggi.
Spesso la psichiatria o la psicologia creano nuovi labirinti con la
falsa promessa di restituire a chi sta male per questi o vari motivi,
di riprendere la propria vita, o addirittura di guarire (quasi si
trattasse di una malattia, come comunque “il mal di vivere” lo è, ma
insito nell’essere umano, e come cura basterebbe la filosofia) in modo
che la persona sviluppa una vera e propria dipendenza. E forse il
conflitto rimane irrisolto e irrisolvibile. Una volta c’erano i
manicomi o le case di cura. Adesso ci sono gli psicologi, le
slot-machine.
Anche la proprietà (intesa nel suo aspetto più subordinato) è fonte di
conflitto. La borghesia è un assetto sociale fondato sulla proprietà di
beni materiali e finanziari (capitale), a partire dal denaro, ad
arrivare a case, macchine, banche, uffici, stabili, fabbriche, società,
imprese etc. Si può risalire (andando indietro nel tempo) ai primi
beni. Quelli di prima necessità. Come si scambiavano i beni prima che
ci fosse il denaro? Col baratto. Un contadino o un pastore potevano
scambiarsi pecore e formaggi o frutti e verdure, stabilendo loro stessi
il valore dei beni scambiati. Tutto era in armonia con la natura e
difficilmente vi erano dei litigi perché il bene ricevuto non era di
sufficiente valore di quello dato.
Parlando di economia arriviamo… alla politica. La destra e la sinistra,
il conflitto d’interessi, il conflitto mondiale, cioè la guerra. Tutti
oggi si definiscono pacifisti per paura di affrontare certe tematiche,
ma ancor di più per paura della guerra. La guerra per come ci è stata
raccontata dai nostri avi (nonni, zii, partigiani) e da come l’abbiamo
vista raffigurata in molti film, è stata (soprattutto quella del
’15-’18 e quella del ’40-’45) vissuta come la peggiore delle catastrofi
mondiali, seguita in ordine dalla peste, malattie, fame, terremoti e
alluvioni.
La politica di oggi, fino a poco tempo fa, è stata gestita male, da
persone che non erano politici ma imprenditori, che erano sia di destra
che di sinistra.
Conflitto mondiale → guerra → fine.
Conflitto interiore: uno con se stesso, uno con un altro, uno con
altri, uno contro tutti, tutti contro uno.
Conflitto con se stessi: dissociazione mentale.
Fine dell’inizio, inizio della fine, fine della fine, inizio
dell’inizio.
Italia redenta, risorgeremo!
Giorgia Bolognini
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Associazione UmanaMente
Brain storming dei partecipanti sul tema: “Il conflitto”
I partecipanti al Laboratorio di scrittura di
UmanaMente hanno convenuto di preparare un articolo sul tema del
conflitto, che è l'argomento del mese per la rivista "Il Faro".
Come è consuetudine, i lavori sono iniziati da una sorta di brain
storming, durante il quale ogni partecipante ha potuto proporre una
definizione di conflitto o raccontare un'esperienza diconflitto.
Il conflitto esterno
Le forme di conflitto inizialmente individuate sono state di conflitto
esterno. Contrapposto al conflitto interno, che emergerà
successivamente, il conflitto esterno è quello che si crea fra soggetti
o enti distinti, quali possono essere:
- due persone;
- una persona e un gruppo umano, la cui ampiezza può
variare dal piccolo o piccolissimo gruppo fino alla società intera;
- gruppi umani o enti o istituzioni, che possono
essere tanto piccoli quanto molto grandi, come interi Stati in
conflitto fra loro.
A: “Non è facile dare una
definizione di conflitto, mi vengono però degli esempi di conflitto: il
conflitto tra marito e
moglie e tra stati in guerra.”
Ms: “Il conflitto può sorgere
anche tra amici per idee e opinioni diverse ed allora nascono delle
discussioni che possono essere più o meno accese e che a volte portano
a dover subire dei veri e propri torti.” (conflitto interpersonale)
S: “Il conflitto si può anche
vivere all’interno della famiglia, con un genitore o i fratelli.”
F: “Conflitti aperti sono poi
quelli con la tecnologia che è continuamente in evoluzione e che si
fatica starci dietro.”
Un caso particolare di conflitto esterno: il conflitto con le norme.
M: “Il conflitto è anche tra
bene comune ed interesse del singolo, anche quando questo interesse è
legittimo.”
E: “In questo caso mi sembra
possa riguardare la dimensione dei diritti del singolo e della tutela
dei propri interessiall’interno di una dimensione più ampia, come
potrebbe essere quella del gruppo o dell’intera società. Regole e norme
possono aiutare a superare la conflittualità o al contrario
intensificarla. Le regole servono per dare spazio e libertà alle
persone.”
Sg: “Gli psicofarmaci pongono
dei conflitti sul fronte del dovere, ma anche della realtà. A volte
succede che non li voglio prendere eppure devo prenderli e se non li
prendo c’è qualcuno che mi obbliga a farlo. Non prendere più i farmaci
può significare andare ricoverato con la forza.”
Il conflitto interno
Emerge ora il tema del conflitto interno, ossia quel
conflitto che si crea:
- non fra persone diverse o fra una persona o un
gruppo umano o istituzione,
- bensì all'interno di una persona.
M: “Forse il conflitto più intenso
è quello che si vive all’interno e che riguarda i nostri bisogni. Un
esempio è quello di non voler andare dalla psicologa o dallo
psichiatria, ma di riconoscere di non poterne fare a meno. Più che
essere un conflitto con lo psichiatria e lo psicologo è un conflitto
interno.”
E: “Credo che tutti noi possiamo dire di aver
vissuto un conflitto con noi stessi rispetto a come vorremmo essere e
come di fatto siamo ed anche a volte per voler essere qualcun altro. Il
conflitto che io sento sempre in modo più intenso è quello tra il
dovere e il piacere, tra quello cioè che vorrei fare e che invece devo
fare. Credo che accompagni molte delle mie giornate. Il lavoro che ho
scelto però è quello che mi piaceva e che volevo fare. Così, nemmeno un
giorno della mia vita mi sembra un giorno di lavoro. Credo che questa
sia una grande fortuna.”
UmanaMente
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Laboratorio espressivo di
narratura e scrittura creativa
Il conflitto
“Narra un antico testo persiano che quando Giuseppe fu
messo in vendita dai suoi fratelli si presentarono molti compratori,
tra cui una vecchia che stringeva alcuni gomitoli di lana. "Anima
semplice" le disse il sensale "come puoi comprare un simile gioiello di
schiavo con i tuoi gomitoli?" "Lo so che non potrà comprarlo" rispose
la vecchia "mi sono messa in fila perché amici e nemici possano dire:
anche lei ci ha provato". (L. Muraro)
La lettura è uno strumento potentissimo attraverso il
quale possiamo accedere al desiderio. Le vicende narrate, i personaggi
che s’incontrano ci proiettano nel nostro mondo interno fatto di sogni
e fantasie permettendoci così, di comprendere che le cose possono
accadere se le desideriamo davvero.
Il nostro gruppo si è dato questo obiettivo: riscoprire noi stessi, i
nostri desideri proiettandoci nel futuro e liberandoci dal vincolo
dell’hic et nunc che affligge la nostra quotidianità, specchio di una
società che, molto spesso, rinuncia a modificare il proprio mondo
sottraendosi così all’ineluttabilità degli eventi.
In quest’ottica abbiamo letto diversi testi di narrativa l’ultimo dei
quali, “Il Richiamo della Foresta” di Jack London, ci ha insegnato
quanto sia importante la libertà intesa come ricchezza, come risposta
alla nostra coscienza e “compimento totale dell’io” nel rispetto di
tutto ciò che ci circonda. La trama di questo libro si snoda
essenzialmente sulle vicende di Buck alle prese con padroni a cui
interessa solamente vincere la corsa all'oro in Alaska incuranti delle
condizioni dei poveri cani da slitta. Alla morte dell'ultimo suo
padrone con cui ha un rapporto diverso e più umano, Buck non riesce a
resistere al richiamo della foresta, un richiamo di libertà molto forte
impossibile da ignorare che lo porterà a scoprire la sua vera natura.
Abbiamo ragionato pertanto, sull’importanza della libertà e
sull’incapacità nel dosarla da parte di molti, che ha generato, nella
storia, conflitti di ogni genere. Ci siam detti che esistono diversi
tipi di conflitto a seconda che lo si legga sul piano sociologico o
psicologico e, per saperne di più, abbiamo svolto una ricerca
sull’opinione che grandi pensatori e politici hanno sull’argomento.
Di seguito verranno elencate alcune delle frasi lette insieme che sono
state commentate dai partecipanti del nostro gruppo:
“Abbiamo finalmente capito che Internet non è una rete
di Computer ma un intreccio infinito di persone, uomini e donne a tutte
le latitudini, che si connettono fra loro, attraverso la più grande
piattaforma di relazioni che l'umanità abbia mai visto. La cultura
digitale ha creato le fondamenta per una nuova civiltà e questa nuova
civiltà sta costruendo dialettica, confronto e solidarietà attraverso
la comunicazione, perché da sempre la democrazia germoglia dove c'è
accoglienza, ascolto, scambio e condivisione e da sempre l'incontro con
l'altro è l'antidoto più efficace all'odio e al conflitto. Ecco perché
Internet è un formidabile strumento di pace, ecco perché ciascuno di
noi in Rete, può essere un seme di non violenza. Ecco perché la Rete
merita il prossimo Premio Nobel per la Pace e sarà, se conferito, un
Nobel dato a ciascuno di noi.”
(Gianfranco Fini)
Non sono d’accordo con Fini! La rete non prenderà mai
il Nobel, poiché come tutte le grandi invenzioni, è a doppio taglio…
perché un’arma in mano a criminali e quindi, fonte di conflitti
ulteriori!
Gianluigi Mondini
Non sono affatto d’accordo con
Fini. La rete internet ha portato tante cose belle, è vero, ma ne ha
procurate anche altrettante spaventose… soprattutto alle persone
ingenue e fiduciose nei confronti del prossimo… pertanto non è un
antidoto al conflitto… non si può accedere alla pace con internet, si
rinuncerebbe alla relazione tra gli uomini!
Anonima
“Il mondo è tenuto insieme da vincoli d'amore e
dedizione. La storia non registra i quotidiani episodi d'amore e
dedizione. Registra solo quelli di conflitto e guerra. Gli atti d'amore
e generosità sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute.”
(Mohandas K. Gandhi)
Tutto ciò sarebbe molto bello… ma se mi guardo intorno
non vedo una realtà così positiva…il mondo sembra una foresta abitata
da animali feroci che devono lottare per la sopravvivenza… lo si sente
dire tutti i giorni nei giornali e nelle TV da persone molto più
importanti di me… ma, come ci diciamo sempre, non bisogna rassegnarsi
ed accettare le cose come sono, anche se sperare è davvero difficile...
Anonima
Penso che sia vero che gli atti
d’amore siano più frequenti dei conflitti… o per lo meno mi sento più
felice quando non sento parlare dei conflitti se non in chiave
fantastica, lontano dalla mia realtà… forse perché credo che sia una
cosa per persone forti, che sono all’altezza di vivere il conflitto...
Anonima
“Rinchiudersi e isolarsi all'interno di un ideale non
libera dal conflitto”.
(Jiddu Krishnamurti)
Gli ideali a volte cozzano con la realtà e andrebbero
rivisti, ma non si può rinunciare ai propri sogni e bisogna
perseguirli. (Silvio Bolognesi)
Mi sembra un pensiero nichilista… esiste il senso della possibilità,
certo bisogna sempre tener presente ciò che ci circonda, ma non per
questo pensare che tutti i nostri ideali possano far guerra alla
realtà!
Anonimo
L'uomo deve elaborare per ogni conflitto umano un
metodo che rifiuti la vendetta, l'aggressione e la rappresaglia. Il
fondamento d'un tale metodo è l'amore.
(Martin Luther King)
Non sono d’accordo neanche con Martin Luther King… non
è così semplice eliminare questo genere di conflitto, perché non sempre
è facile amare chi ci ha fatto del male, bisognerebbe imparare a
perdonare… ardua impresa!
Gianluigi Mondini
Non è esatto dire che l’unico
metodo per superare il conflitto è l’amore… occorre anche la convivenza
pacifica: "Neminem laedere" ovvero: non offendere nessuno!
Rossella Randazzo
La vera soluzione al conflitto e al disaccordo sta
nello spirito di riconciliazione. Non esiste vincitore al cento per
cento così come non esiste perdente al cento per cento: c'è solo mezzo
e mezzo. Questa è la via pratica, l'unica via.
(Tenzin Gyatso)
Senza dubbio quando due popoli si riconciliano, sono
entrambi in intesa e comunque credo che nei conflitti ci sia sempre un
sobillatore con scopi disonesti, purtroppo…
Rossella Randazzo
Se due persone hanno opinioni
diverse devono andarsi incontro per riconciliarsi: è l’unico modo.
Silvio Bolognesi
Sono d’accordo anche io! Non
esiste solo il bianco e nero: ci sono anche le sfumature… Se c’è un
conflitto bisogna venirsi incontro, perché nessuna delle due parti ha
sempre totalmente ragione.
Anonima
“Il processo di una scoperta scientifica è un continuo
conflitto di meraviglie.”
(Albert Einstein)
Inteso così il conflitto suona in maniera armonica e
diversa dall’immaginario collettivo… del resto Einstein era geniale
e... molto romantico!
Anonimo
“Ricordiamoci sempre che il nostro interesse è nella
concordia, non nel conflitto, e che la nostra vera eminenza riposa
nelle vittorie della pace, non in quelle della guerra.”
(William McKinley)
Sacrosanto! Dio non ha certo creato il mondo perché le
sue creature s’ammazzassero a vicenda, bensì affidò il compito ad Adamo
ed Eva di coltivare il Giardino dell’Eden per vivere in amore e in
pace!
Rossella Randazzo
Quest’affermazione suona come
utopia… La storia insegna che in nessuna società c’era una rapporto
perfetto tra gli uomini … questo ci fa capire quanto sia frammentato il
mondo e lontano da Dio… bisognerebbe fare un passo in avanti per
migliorare l’umanità e dare ai posteri un futuro migliore!
Gianluigi Mondini
Pensieri liberi sul conflitto:
Il conflitto può essere utile quando le parti protagoniste non hanno da
temere, quando solo a determinate condizioni hanno una loro utilità. Se
queste condizioni mancano c’è il rischio che le parti tra le quali il
conflitto ha luogo ne escano danneggiate. Qualunque relazione può
risultare pericolosa se non si è all’altezza. (Anonimo)
A costo di essere scontata, credo che la vita sia un grande conflitto e
che si debba lottare sempre… nella speranza di trovare talvolta
situazioni favorevoli (Anonima)
Io ho un conflitto interiore nel mio inconscio che vorrei riuscire a
risolvere con l’aiuto delle persone che si prendono cura di me come la
famiglia e gli psichiatri. (Rossella Randazzo)
R.T.P. Casa Mantovani
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C'è conflitto e conflitto
Le specie animali sono più di due milioni. NESSUNA si
combatte fra sé... eccetto l'uomo. Le formiche combattono altre
formiche, ma MAI della stessa specie. L'uomo combatte e uccide gli
altri uomini, che sono in tutto e per tutto uguali a lui.
Perché questo? È forse l'intelligenza superiore alle altre specie la
causa scatenante?
I conflitti tra gli uomini sono molti, ma il principale è per la terra
(leggi: Patria, Paese, Nazione). È logico che se gente di un'altra
nazione mi invade, io devo difendermi. Oltre alle lingue e alle
(cosiddette) razze che hanno fatto la fortuna di popoli e la sfortuna
di altre, gli usi e i costumi delle diverse etnie sono molto differenti
e sarebbe un'utopia pensare di convivere tutti insieme senza confini.
Ma... se esseri alieni guardassero la Terra da lontano e vedessero
stragi di bambini, donne e vecchi per una stupida linea di confine o
peggio per una religione che non ti permette di vedere il tuo Dio (e sì
che nessuna religione predica la guerra e l'assassinio) cosa mai si
direbbero?
Ma i conflitti possono essere anche positivi. Io sono nato alla fine
degli anni '50. Tra la mia generazione e quella dei miei genitori
correva una distanza larga quanto il Rio delle Amazzoni.
Noi, più o meno sessantottini, abbiamo abbattuto ogni futilità che
loro, in assoluta buona fede, tengo a precisarlo, spacciavano come
"valori". L'amor di Patria (leggi: andare in guerra a farti ammazzare
mentre quelli che ci guadagnavano se ne stavano a casa a piedi caldi),
la verginità prematrimoniale (ah, ah, ah), la posizione subalterna
della donna (leggi: lavorare come negri per mantenere mogli e figli e
non poter goderti la vita o semplicemente scegliere la tua vita, mentre
la donna era costretta in casa mortificando le sue ambizioni)... questi
conflitti, alcuni vinti, altri no, hanno fatto e cambiato la Storia.
Se mia figlia (genitori non sposati) fosse nata vent'anni prima, non
sarebbe stata ammessa a scuola, alle funzioni religiose, servita nei
negozi... non avrei nemmeno potuto darle il mio cognome… per tacere
degli epiteti che sarebbero stati dati a me e a sua madre.
Quindi i conflitti ideologici sono necessari... i giovani hanno le idee
più fresche delle nostre perché hanno il cervello più sgombro.
Buona vita.
Max Trentini
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Il conflitto
Il conflitto è una lotta interna o esterna a qualcosa o
qualcuno. Il conflitto può essere esteriore o interiore, dentro di noi
o con altri.
Il “Super-Io (le istituzioni) controlla l’“Io” (noi); ma l’“Es”
(l’istinto) e l’“Id” (evoluzione escatologica) mandano all’Io messaggi
inconsci, visibili come pesci sott’acqua (!!!...)
Quando un messaggio dell’Es si fa incosciente, passa –diciamo- la
barriera della coscienza, andando così in conflitto con il Super-Io
(istituzioni), creando una ribellione o un moto sociale. Scoppia la
guerra: ecco il conflitto, che da ogni microcosmo personale, diventa
dilagante nel macrocosmo.
Ave
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Conflitto ed empatia
Il conflitto è padre di tutte le cose, e di tutte è re
(Eraclito)
Uscendo fuori da tali cose per gli enti
avviene la nascita e tornando verso le stesse cose avviene la
dissoluzione, secondo necessità. Gli esseri donano infatti l'un l'altro
giustizia e ammenda, a causa dell'ingiustizia secondo l'ordinamento del
Tempo. (Anassimandro)
Quella appena citata è generalmente considerata la prima testimonianza
tramandataci, dell'intero pensiero occidentale.
Qui viene descritto un processo cosmogonico: gli enti (letteralmente
"le cose che sono") provenendo da "tali cose" (che forse coincidono con
ciò che altrove e chiamato l'illimitato, il famoso apeiron) generano
l'universo come lo conosciamo, qui gli enti confliggono l'uno con
l'altro "pagandosi reciprocamente ammenda", ma poi torneranno là donde
sono venuti.
Molti commentatori posteriori hanno pensato che questa "ingiustizia"
degli enti, fosse quella di voler esistere, di contrapporre
tracotantemente la propria individualità a una supposta unità
originaria (il Molteplice che si contrappone all'Uno, l'Ente che si
estrania dall'Essere) e hanno scorto nelle
"cose che sono" una mera apparenza di una realtà "vera" ad esse
soggiacente (fenomeno di un sottostante noumeno). Ma nulla, nelle
parole di Anassimandro, sembra autorizzare simili interpretazioni (e
sarebbe davvero curioso che per riferirsi all'Uno, con la U maiuscola,
Anassimandro non abbia
trovato di meglio che usare un plurale: "tali cose").
Più che un fondo originario l'apeiron a me sembra un grande e
indefinito serbatoio ("eterno e insenescente") da cui "le cose che
sono", in maniera del tutto naturale (grazie a "una certa natura
dell'apeiron"), incessantemente emanano e ritornano. Le cose che sono
hanno scaturigine, non già giustificazione, da quell'inesauribile
serbatoio.
A me pare che in realtà Anassimandro sia molto più interessato al
cosmo, così come ci si presenta, che al suo processo
generativo-dissolutivo. E ciò che desume dall'osservazione del cosmo è
proprio questo continuo confliggere di un ente con l'altro: il caldo si
oppone al freddo, il giorno alla notte e così via. Non è nel venire o
nel tornare che "le cose che sono" pagano pegno le une alle altre, ma
nel risiedere qui: in maniera naturale gli enti si generano e si
dissolvono, ma è la necessità che regola il modo in cui essi qui
stanno. E lo star qui delle cose che sono, è - per Anassimandro - un
naturale confliggere, o meglio: gli enti sono in virtù del loro
reciproco confliggere (che senso avrebbe il caldo se non vi fosse il
freddo?); o ancor più drasticamente: gli enti sono il loro reciproco
confliggere. E dunque è destituito di senso, per gli enti, sottrarsi al
conflitto.
Ma, mi domando allora io, dove termina un ente ne inizia un altro, col
quale confliggere? Qual è il confine, il limes, tra un ente e l'altro?
Io potrei essere un ente e il mio vicino di casa, col quale entrare in
conflitto, un altro. Ma che dire se il mio emisfero cerebrale sinistro
entra in conflitto, come a volte accade, con l'emisfero destro? E che
succede se invece di trovarci da un lato o dall'altro del limite, ci
troviamo esattamente sul limite stesso? E se invece di dare retta ai
ragionevoli consigli di chi ci invita a scegliere: o da una parte o
dall'altra, ci intestardiamo a dimorare in questa situazione liminale?
E che succede – infine - se il conflitto sorge proprio tra chi cerca di
descrivere questi limiti e la descrizione stessa che ostinatamente si
rifiuta di adeguarsi alle forme mentali del descrittore?
Mi piace allora immaginare Anassimandro, ente tra gli altri enti, e
dunque limite per essi, porsi su questo limite stesso, e constatare
come esso non sia affatto definito una volta per tutte, e comprendere
come ogni confine, ogni limite, sia anche soglia. Perché non
esiste limite che non sia, sotto particolari condizioni, permeabile.
Anassimandro penso lo ignorasse, ma noi oggi sappiamo, ad esempio, che
un bambino di pochi mesi, che ancora non ha sviluppato il senso del sé,
quando vede un altro bambino piangere si mette anche lui a piangere,
come se la sofferenza altrui fosse la propria. Questo fenomeno definito
di "contagio emotivo", potremmo descriverlo come la caduta del limite
tra contagiante e contagiato. E sarebbe davvero arduo sostenere che
questi due enti confliggano tra loro.
I recenti studi sulla prima infanzia hanno mostrato come sia presente
nell'uomo, come anche in altri esseri viventi, fin dalla nascita, una
predisposizione innata ed originaria, che consente di conoscere, in
maniera non mediata, le emozioni altrui, annullando il limite tra il sé
(ancora in via di definizione) e l'altro da sé, con una completa
condivisione - o forse dovremmo dire "percezione" - delle sue emozioni.
I neonati hanno già la capacità di sintonizzarsi con le altre menti (si
parla infatti anche di "sintonizzazione emotiva").
Ciò non risponde esattamente alla definizione di empatia, che alla
comprensione dei portati emozionali altrui, accompagna la
consapevolezza che si tratta comunque di emozioni di qualcuno diverso
da noi, tuttavia penso che il contagio emotivo, oltre a stare alla base
dei processi empatici che si svilupperanno successivamente nel bambino,
ne costituisca anche la parte più essenziale. Non è la parte cognitiva,
mediata, dell'empatia a costituirne la sua specificità più rilevante,
che anzi potrebbe impastoiarla, deformandone gli autentici contorni, ma
è quella parte originaria che ci consente di percepire le emozioni,
nostre e altrui, prima ancora di aver posto e noi e gli altri. Detto in
termini forti: l'essenza dell'empatia non sta nella capacità di
riconoscere e condividere le emozioni di un altro, ma nella capacità di
percepire quelle emozioni come cosa che ci appartiene.
Diceva Simone Weil: "Sapere che quell'uomo, che ha fame e freddo,
esiste veramente quanto me, e ha veramente fame e freddo, questo è
sufficiente, il resto viene da sé". Io direi addirittura: "sapere che
quella fame e quel freddo esistono veramente, questo è sufficiente, il
resto viene da sé."
Oggi una simile condizione (di confusione tra sé e gli altri), se
esperita da un adulto, viene classificata come una condizione
manifestamente patologica. Ma siamo certi che l'attuale sviluppo
mentale dell'uomo sia l'unico possibile, l'unico compatibile col suo
corredo genetico?
Nel suo libro "Il crollo della mente bicamerale" Julian Jaynes sostiene
che la "coscienza" umana, almeno come oggi la intendiamo, sia un
portato relativamente recente nella storia della nostra specie e
addirittura che quella descritta nell'Iliade sia una società dove la
coscienza individuale non è ancora sorta. Se la tesi Jaynesiana, nella
sua specifica formulazione, mi pare francamente inaccettabile,
l'assunto di base dalla quale parte, e cioè che alcune strutturazioni
mentali solitamente considerate connaturate alla nostra specie (nel
caso specifico la coscienza, ma se ne potrebbero citare altre, non meno
importanti, e che non sono al centro dell'attenzione, solo perché il
pensiero umano non vi ha riflettuto per migliaia di anni, come invece è
avvenuto per la coscienza), siano invece un portato di un particolare
sviluppo storico, mi pare non solo plausibile ma addirittura assai
probabile.
Il fatto è che nello sviluppo evoluzionistico della specie a cui
apparteniamo è avvenuto qualcosa di particolare, a una modestissima
variazione del corredo genetico è corrisposta una variazione dello
sviluppo cerebrale decisamente più rilevante. Il nostro corredo
genetico differisce solo
dell'1,6 % rispetto a quello di uno scimpanzé, ma mi pare evidente che
lo sviluppo dell'apparato cerebrale differisca di una percentuale assai
più consistente.
E allora a me sembra quasi impossibile che quei geni, così simili a
quelli di uno scimpanzé, siano in grado di gestire in maniera
univoca, quell'ingombrante materia neurale. Con una battuta
potremmo dire che il fenotipo è sfuggito di mano al genotipo, o - più
propriamente - che il primo ha acquisito un maggior numero di gradi di
libertà rispetto al secondo.
E allora, e qui concludo con una parola di speranza per la specie di
cui faccio parte, è possibile che in un futuro remoto, sotto condizioni
al contorno particolari, possano generarsi nuove strutturazioni
mentali, e dunque - di fatto - una nuova tipologia di uomini, nei quali
l’empatia abbia molto maggior posto rispetto alla conflittualità.
Antonio Marco Serra
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Conflitto interiore
Il piccolo Leonardo, benché in famiglia fosse
considerato un prodigio di bellezza fisica e di intelligenza, era
temuto. C’erano il padre, la madre, il nonno e la nonna e tutti
vivevano sotto l’incubo dei suoi capricci, ma nessuno osava confessarlo
perché, benché avesse solo otto anni, era un rampollo di buona
famiglia, anzi di più: era erede al trono! E come tutti i ragazzi di
una famiglia del genere, ogni pretesto era buono per soddisfare i suoi
capricci.
“Oggi dovete mangiare gli spinaci, signorino”, dice la sua istitutrice.
Ma Leonardo come al solito risponde: “Come volete, Madame”. Riempie la
bocca di spinaci ma prontamente li sputa in faccia alla povera Madame,
che inorridita esclama: “Vi farò punire per quello che avete fatto”.
“Come volete, Madame. Tanto chi comanda sono io”. Risponde Leonardo
spregevolmente.
Il suo comportamento indisciplinato era noto a tutti i familiari. Suo
padre e sua madre lo scusavano dicendo: “È solamente un ragazzo, studia
con profitto, un’infrazione al protocollo può essere concessa, ma
l’ignoranza non può essere tollerata, e nemmeno la bellezza può essere
sottovalutata. Quella non guasta mai!”
Suo nonno e sua nonna erano di parere contrario ma avevano poca voce in
capitolo, non sapevano dire altro che: “Se continua così avremo un
successore ignobile.”
L’unico che realmente capiva il terribile comportamento del piccolo
Leonardo era lo zio Max che non abitava al castello ma in una tenuta
poco distante. Quando veniva al castello, invitava Leonardo a
cavalcare. Leonardo così si sentiva capito perché era l’unica persona
che si preoccupava di ciò che Leonardo desiderava. I suoi capricci non
erano altro che un modo di avere l’attenzione su di sé, cosa che a
causa degli impegni cosiddetti regali, i suoi familiari gli negavano!
“Zio Max, torna anche domani! Cavalcare è la cosa che preferisco,
voglio diventare un bravo cavallerizzo come te. Ti prometto che se mi
aiuterai in questo, non solo mangerò gli spinaci, ma smetterò di cavare
gli occhi ai pulcini e risparmierò qualche soldo per i bambini poveri,
che non possono permettersi il lusso di avere uno zio come il mio”,
disse.
Questo semplice racconto mostra come sia evidente il conflitto
interiore che dimora nell’animo di questo ragazzo. Il piccolo Leonardo,
dall’alto dei suoi otto anni, si erge come despota solo per essere
ascoltato. Un messaggio allarmante, questo comportamento, che noi
adulti dobbiamo saper cogliere onde evitare che problemi che
inizialmente ci sembrano insignificanti, si trasformino col tempo in
problemi più gravi.
Una giusta valutazione ci permetterà di agire in modo corretto per
ottenere una convivenza pacifica ed una migliore qualità della vita.
Mariangela
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Il mio conflitto
Ci sono purtroppo conflitti di ogni genere, per motivi
ideologici, religiosi, eccetera, a volte anche futili, come quelli tra
vicini di casa.
Abbiamo avuto due conflitti mondiali che oltre a coinvolgere nazioni
diverse sono durati anni e hanno causato problemi durante e dopo. Il
dramma dei conflitti è che si sa quando iniziano, ma non quando
finiranno e quanto costeranno (l’Italia è ancora indebitata per essere
entrata in guerra con la Germania).
Il mio conflitto personale con mio padre è durato cinquant’anni e sono
arrivata a capire come e quando è iniziato solo di recente. Ero tornata
da scuola, a sette anni, con un voto che non era piaciuto a mio padre e
lui mi aveva sgridato in maniera esagerata. In un solo momento quel
babbo che io avevo tanto amato era diventato un nemico, una persona da
temere, che se solo mi guardava mi terrorizzava. Mia madre sculacciava,
se serviva, lui “guardava” e io a volte mi facevo la pipì addosso. Se
mio padre e mia madre litigavano, mia sorella (più grande di me di sei
anni) interveniva, io mi mettevo in un angolo a piangere, impotente.
La mia paura di lui è terminata alla morte di mia madre, causata, in
primis, per colpa sua: lo odiavo, gli ho detto cose tremende e un
giorno che mi aveva chiesto cosa volevo da lui gli ho urlato “voglio
che tu muoia!”. Il mio babbo è morto cinque anni dopo mia madre e
quando è morto era già in coma; io ero accanto a lui e il dolore che
provavo era per la morte di un uomo, non di mio padre, e la sua morte
mi liberava da catene che avevo sentito intorno a me per anni.
Certe emozioni che provavo per lui non ero riuscita a raccontarle
nemmeno al dott. Scardovi, il mio terapeuta, che durante la mia prima
seduta, dopo che gli avevo parlato di altri problemi, mi aveva detto:
“E ora mi parli di suo padre”. Avevo sentito una specie di BUM dentro,
come se una freccia mi avesse colpito dritta al cuore. Cosa potevo dire
di mio padre a uno sconosciuto, io che avevo pensato solo cattiverie di
quell’uomo… Quell’omone grande e grosso, che si emozionava davanti alla
TV se guardava un film romantico, che teneva in braccio il mio nipotino
senza mai stancarsi, che accarezzava la mia micina che gli correva
sulle ginocchia se mia madre la sgridava, quell’omone dal cuore di
burro al quale (frase dei miei parenti) “io avrei potuto anche togliere
le mutande” ! Già, perché io sapevo che da piccola gli volevo un mondo
di bene e lui mi adorava, ma quella sgridata esagerata aveva cancellato
tutto.
Quest’anno, poco tempo fa, ho trovato una mia foto di quando ero in
seconda elementare e avevo sette anni e… mi sono tornate alla mente
cose che nemmeno in terapia erano uscite. Io avevo messo un muro tra me
e il mio babbo, un muro di vetro: io lo vedevo, ma lo temevo e non
riuscivo più ad avvicinarmi a lui e lui…non sapeva come riavvicinarmi.
Ricordo che una volta mia madre mi aveva detto: “Dovete parlarvi!” ed
io: “Come faccio a parlare con un muro?”. Un’altra volta mia madre mi
aveva quasi supplicato: “Tina, rassegnati, non possiamo ucciderlo!”. E
poi era morta lei ed io avevo iniziato a odiarlo apertamente. Anche
dopo la sua morte lo ricordavo come un nemico e solo da poco tempo,
dopo cinquant’anni di conflitto, lo considero e lo ricordo in modo
diverso. È vero che lui ora non c’è più, ma ora penso a lui e lo
ricordo come il mio babbo e non come un nemico, da cui mi ero
allontanata e liberata con la sua morte.
Questo brutto periodo mi ha fatto capire che non bisogna “covare”
rancore e odio, ma bisogna parlarsi, chiarirsi, e volersi bene, perché
nessuno è perfetto e i difetti non sono da un parte sola, ma da
entrambe. A sette anni molte cose non si possono né capire né
analizzare, ma a cinquantasette sì, anche perché facendo due periodi di
psicoterapia e leggendo tante cose in modo diverso da prima, qualcosa
l’ho capita.
Ora la mia vita è molto più serena e positiva di prima: cerco di
evitare i litigi, soprattutto con mia sorella, che è molto diversa da
me, ho imparato a non “sputare sentenze”, come ho fatto a volte in
passato e a non “mandar giù rospi”, perché i rospi che si mandano giù o
fanno ingrassare o fanno avvelenare (frase di uno psichiatra a una mia
amica).
Prima di parlare a sproposito conto fino a dieci, perché se mi arrabbio
con qualcuno, poi sto male anch’io.
Ho imparato che vivere in pace con il prossimo è la cosa migliore e che
occorre fare “buon viso a cattivo gioco”, anche se non è sempre facile.
E… se proprio voglio arrabbiarmi, devo prima ricordarmi una frase di
Freud: “Con il sorriso e l’ironia possiamo dire al nostro prossimo
anche la verità” e - aggiungo io - “anche mandarlo in quel posto”.
E poi… “Errare è umano, perseverare è diabolico, perdonare è divino”.
E ancora: “La prima si perdona, la seconda si bastona, alla terza si
abbandona”.
Tina Gualandi
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La mia solitudine
Quando sono in un mercato pieno zeppo di gente, mi
capita ogni volta, di sentirmi solo, spaesato; il mio cuore inizia a
battere all’impazzata come se dovesse impazzire lui; poi incomincio a
sudare, il fiato diventa corto e affannato, comincio a vedere in bianco
e nero, la testa mi gira come una trottola… devo andar via!
Se sono solo in casa, dapprima sudo freddo e poi tremo fisicamente come
una foglia: ho paura! Allora accendo la tv e guardo un film, o uso il
computer, metto la musica ad alto volume, e scrivo, leggo le e-mail,
leggo scritti di altri, e scrivo di nuovo, è uno sfogo per me
trasferire i miei pensieri, le mie emozioni sullo schermo; scribacchio
anche novelle di fantasia, e sto meglio, anche se sovente rimangono
nell’archivio per sempre.
Se faccio una passeggiata o vado in bici, talvolta, pure in strade non
battute da automobili, ho una paura nera e mi sento solo. Mi spiego
meglio: il solo pensiero di uscire di casa mi terrorizza e mi faccio
violenza se riesco nell’intento. Se prendo la macchina sovente ho paura
di tutto e di tutti e quindi rispetto il codice della strada alla
lettera. Per me guidare è una passione. Sono rilassato in auto,
soprattutto se, paradossalmente, sono solo o se a fianco a me c’è
qualcuno che si fida della mia guida e non commenta.
Se lavoro o recito a teatro spendo molta energia psico-fisica: svolgere
al meglio il compito che mi hanno assegnato è una fatica immane; per me
anche il più insignificante dei ruoli è fondamentale per “una squadra
di lavoro”. Allora iniziano le paure: sarò in grado, sono troppo lento,
non sono all’altezza, forse è meglio che me ne vada e li lasci
lavorare, sono d’intralcio?
Sono solo anche se sono in una discoteca, piena zeppa di amici, e sono
lì per divertirmi; la mia mente inizia a divagare e mi isolo
mentalmente; recito quello che non ha paura; in realtà vorrei essere a
casa, nel mio letto.
Mi sento solo in questa “guerra” con la malattia mentale, che mi fa
fuggire da tutti e da tutto e sovente per paura, mi rifugio nel mio
mondo.
Com’è il mio mondo?
È fantastico veramente, non ho più paura di nulla, svolgo tutto con
molta calma e vado molto lentamente, mi gusto quel momento di benessere
e come un attore recito la parte del duro. Poi però torno alla triste
realtà e quell’attimo era solo un sogno. Sono di nuovo nella vita
frenetica, e devo tenere il passo… per non restare solo.
Andrea Castellino
(da MenteInPace febbraio 2011)
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Per me nessun amore
Una lacrima trasparente segna la mia guancia. Un
fardello pesante mi impone di dimenticarti come è successo ancora. Mi
manca il cuore? No, mi manca la possibilità di amare!
Giovanna Bassi
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Due lettere d’amore
Suocera e nuora… un conflitto che si dà quasi scontato.
Eppure c’è chi ci testimonia tutt’altro sentimento, come fa Lucia
rivolgendosi alla suocera, Cesarina.
Per la mia cara mamma
Cara mamma,
il tuo ricordo mi
riaffiora il mio
sorriso, il mio
pensiero su un
triste percorso
senza ormai più
rivederti mi ci
si annebbia la vista.
Per la mia Cesarina
Il tuo turbolento
carattere mi confonde
la mente il tuo modo
di amarmi mi gioisce
il mio cuore e la voglia
di amarti sempre
di più e di dirti
grazie Cesarina
di essere nella
mia vita.
Lucia Monaco
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Il cacciatore e la volpe
Un tale va a caccia di volpi.
Entrato nel bosco ne intravede una, imbraccia il fucile e le spara.
E lei: zip zap via.
Il cacciatore si inoltra nel bosco e dopo un po’ la intravede ancora,
torna a imbracciare il fucile e di nuovo le spara.
E quella: zip zap via. Niente.
Allora il cacciatore sbotta: “Quando fa così, l’ammazzerei!”
Luigi Zen
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La seconda guerra mondiale
Intervista di Fabio a
MarcoBenedettini
Quando si può dire che è iniziata e finita la seconda
guerra mondiale?
1939-1945
Chi sono stati i personaggi principali?
Hitler, Stalin, Churchill …
Quali sono state le armi a disposizione degli eserciti?
MG (mitragliatrice)...
Gli Americani erano i più forniti tecnologicamente.
Come si è combattuto in Italia?
Divisa a metà: Nord e Sud. I partigiani hanno avuto un
ruolo determinante.
Perché si è arrivati a questo conflitto?
La colpa deve essere attribuita alla Germania.
Una tua opinione sulla guerra?
Brutta, sofferente. Ci hanno rimesso tutti.
|
6 e 9 agosto 1945
Il mattino del 6 agosto 1945 alle 8.16, un aereo
dell’aeronautica militare statunitense lanciò sulla città giapponese di
Hiroshima la bomba atomica "Little Boy". Tre giorni dopo "Fat Man"
colpiva Nagasaki.
Il numero di vittime, quasi esclusivamente civili, è stimato da 100.000
a 200.000.
Per la gravità dei danni diretti ed indiretti causati dagli ordigni,
per le implicazioni etiche comportate dall'utilizzo di un'arma di
distruzione di massa e per il fatto che si è trattato del primo e unico
utilizzo in guerra di tali armi, i due attacchi atomici vengono
considerati fra gli episodi bellici più significativi dell'intera
storia dell'umanità.
dati tratti da Wikipedia
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Basta Guerre
Varchi il confine proibito, con addosso la divisa da
soldato, ed è lì che il tuo paese ti ha mandato. Vuoi sconfiggere i
terroristi aggiungendo altro terrore e spargendo altro sangue?
Non so se è la via migliore. Violenza chiama violenza...
Forse con diplomazia e buon senso non rischierai l'anima ed il cuore.
Le medaglie lasciale agli atleti che sudano per un motivo migliore!
Giovanna Giusti
Commento di Max Trentini: pienamente d'accordo!
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Vite violente
Un cecchino, strisciando nel terreno arido come lui,
sta in agguato per ucciderti. Tu che sei in un Paese straniero, con la
vana speranza di portare la pace, perderai inutilmente la vita.
Tornerai in Patria con una stupida medaglia.
Uomini, perché... perché? Non capite l'assurdità di queste guerre
infinite?
Giovanna Giusti
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Ode alla Sicilia (e ai suoi
conflitti)
Amo l'ospitalità siciliana, gli spaghetti alla Norma,
il pesce spada, la cassata e il marzapane. Mi avvincono le storie di
Cosa Nostra, dei maxiprocessi
di mafia e di Buscetta, il gran pentito.
E i Pupi, il sole, il mare, le ragazze more, piccoline, dai begli occhi
neri e scintillanti.
Ammiro i siciliani "buoni", che non fanno "cosca", non stringono
alleanze. Introversi e di poche parole, diffidenti e permalosi,
solitari e schivi, anarchici e ribelli, anche " irredentisti ".
Anche io mi sento un po’ siciliano: evviva la Sicilia ed i suoi
abitanti, anche con i loro eccessi.
E, con un velo di pietà, anche quelli - ahimè - sempre in guerra fra di
loro... e non solo.
Matteo Bosinelli
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Il conflitto “tecnologico-sociale”
L’umanità dovrebbe imparare dagli errori che commette e
anche la storia le dovrebbe aver insegnato qualcosa. Invece che fa ?
Continua ad accumulare gravissimi errori che vanno a colpire
l’ambiente, la salute e la tecnologia.
Un esempio abbastanza semplice di questo conflitto viene dai T-DAYS:
qui a Bologna, avendo chiuso il centro tra via Ugo Bassi, via Rizzoli e
via Indipendenza, pensano di aver risolto il problema
dell’inquinamento; invece, hanno infastidito gli abitanti delle zone
che stanno intorno (soprattutto nella zona di Piazza Cavour), i
commercianti che sono su tutte le furie e la categoria dei disabili;
per non parlar degli anziani che, senza panchine in zona, mi chiedo
come possano riposare dalle lunghe camminate dentro il cuore della
città; altra cosa che mi chiedo, la più importante su tutte su questa
vicenda, è: “Con tutta la tecnologia che l’umanità ha a disposizione,
creare mezzi che non inquinino, nooooo ???”.
Comunque ci sono altri più gravi conflitti che affliggono l’umanità, ad
esempio le tecnologie più avanzate possono salvare tante vite (intendo
per esempio le apparecchiature degli ospedali), ma poi, grazie ai tagli
fatti dal nostro governo, si limitano gli investimenti e si elimina del
personale, così le macchine restano in disuso, rischiando che la salute
delle persone venga messa a repentaglio.
Ultimamente sto elaborando una specie di giornalino on-line sui
conflitti in genere: si può vedere sul mio sito internet
http://dariosupremeangels.blogspot.it e s’intitola molto simpaticamente
“Il confluttorio”.
Questo titolo l’ho ideato prendendo spunto da un telefilm intitolato
Doc, il cui protagonista è un medico di nome Clint Cassidy. Tippy, la
sua segretaria, ha ideato questa formula di linguaggio, mescolando due
parole e riunendole in modo estremamente simpatico, come ad esempio,
“divertente” ed
“interessante”, diventa diverteressante; carino, vero ? Quindi il
titolo del mio giornalino, deriva da “conflitto” e “collutorio”. Il
collutorio infatti è molto utile: “fatti un gargarismo e sputa via il
menefreghismo”!
Spero che vi piaccia e che abbiate notizie da inviarmi.
Darietto
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Conflitto di interessi
Spread (inglesismo) = differenziale.
Differenza di prezzo tra due valori.
Qualcosa che va molto di moda in questo periodo. Un vestito che tutti
hanno senza saperlo. Tuttavia sembrerebbe che non vada bene a nessuno.
Tipo un giubbotto di pelle in piena estate. Fa sudare. Te lo senti
appiccicato addosso, ma non puoi toglierlo nemmeno se lo vuoi. Sembra
che qualcuno voglia farcelo indossare sebbene faccia caldo. Sembra che
qualcuno voglia a tutti i costi farci stare male.
Potrebbe esistere uno spread che non riguardi
soltanto l’economia. Potrebbe esistere un differenziale, una differenza
fra due (o più) valori anche dentro ognuno di noi nella nostra
quotidianità. Qualcosa che ci fa caldo e ci fa sudare. Che ci fa stare
male.
Il primo appuntamento con una persona alla quale siamo fortemente
interessati. Un colloquio per un’assunzione. Un esame medico. Una
sfida. Una visita a una persona dalla quale non vorremmo assolutamente
andare. Una situazione difficile che non vorremmo mai affrontare. Ma
anche la semplice vista di qualcosa che ci interessa (e che forse non
potremmo mai avere): un vestito, un gioiello, un cibo proibito, un
viaggio.
Mani sudate. Unghie rosicchiate allo stremo. Farfalle allo stomaco.
Lacrime a fiumi. Tremarella alle gambe. Pesantezza alla testa.
Difficoltà di concentrazione. Incapacità improvvisa di parlare. Anche
un semplice saluto. Cervello in tilt. Cuore matto. Tachicardia. Alta e
bassa pressione. Vertigini. E chi più ne ha, più ne metta (basta
leggere il bugiardino di un farmaco sotto la voce “effetti
collaterali”).
Chi, almeno una volta nella vita, non ha provato una o più di queste
sensazioni? Potremmo rispondere, con assoluta certezza, “nessuno”.
Quindi il differenziale, ovvero la differenza fra le situazioni che si
vengono a creare e le reazioni fisiche, potrebbe essere una o più delle
seguenti sensazioni.
Ansia. Paura. Timidezza. Coinvolgimento incontrollato. Disagio.
Sorpresa. Curiosità. Ribrezzo. Attrazione fatale. Inclinazione a
reagire in maniera insensata. Omofobia. Sessuofobia. Impotenza.
Ipopotenza. Prepotenza.
Don Chisciotte della Mancha (e non della minchia) combatteva contro i
mulini a vento. Invisibili nemici che però gli provocavano un forte
conflitto. Un disagio incontrollabile fra la realtà e l’immaginazione.
Un mondo tutto suo, che nessuno poteva vedere e dove nessuno poteva
entrare.
Cyrano de Bergerac aveva un piccolo difettuccio. Un enorme naso. Si
nascondeva per questo. Mandava avanti altri al posto suo. Finché
Rossana riuscì a coinvolgerlo emotivamente, a tal punto da fargli
superare questo enorme condizionamento. Il conflitto fra la sua
imbarazzante fisicità e il suo elegante eloquio.
Anche Gregor Samsa, in “La metamorfosi” di Franz Kafka, una mattina si
risveglia scarafaggio. Vogliamo credere che non abbia subito un
disagio? Dalle sue descrizioni e dalle altrettante sensazioni si desume
che tutti potremmo viverlo o averlo già vissuto.
In ogni caso, fra conflitti, disagi ed esperienze straordinarie (intese
come fuori dalla norma), e a prescindere da come decidiamo di
affrontarli, non dimentichiamoci che la vita VA AVANTI!!!
Il gruppo di Rassegna Stampa del Centro Diurno di
Casalecchio di Reno
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Il conflitto
articoli degli ospiti di Villa
Bianconi
ANDREA A.
Sono entrato in carcere a 22 anni e ne sono uscito a 27 e mi sono
accorto che in questi 5 anni non ho vissuto la mia vita, come se avessi
un buco nel quale non c’è nulla. Ora, invece, è l’undicesimo anno di
comunità ed ho paura che anche questo periodo si sommi a riempire il
vuoto. È come se mi avessero ucciso e in questi 16 anni mi sento
prigioniero, in continuo conflitto con me stesso e con gli altri.
ANDREA N.
Di me cosa posso dirvi? Che sono un’anima in pena, non riesco mai a
rilassarmi. È un continuo conflitto interiore e, a volte, quando vedo
la gente felice mi viene il nervoso perché li invidio. E quando vedo
una coppia innamorata provo ancora più invidia, mi sento un fallito.
ENRICO
Un mio modo personale per allontanare la sofferenza e per trovare
equilibrio tra i vari conflitti che mi attanagliano è usare impegno,
volontà, passione e cura del lavoro e dei miei piccoli hobby
(collezioni). Così ho una sensazione di beneficio e di maggiore
benessere e sento meno l’affaticamento fisico-mentale.
ENZO
Sto molto male e vivo in mezzo al caos e al conflitto. Mi sembra che
tutti giochino a farmi la guerra per vedere chi mi fa più male. Vivo
molto male il rapporto con gli altri ospiti e con la maggior parte di
loro vivo una realtà conflittuale, perché mi vorrei fidare ma vengo
trattato con l’inganno.
FRANCESCO
Ho perso i rapporti e i contatti con tutto e con tutti. Nella mia vita
regna sovrano il caos e non trovo più uno stimolo per andare avanti.
Questo “lieto” soggiorno a me sembra un Vietnam e l’obiettivo mi sembra
un miraggio.
Vivo un grande conflitto: o metto fine a questo lieto soggiorno, tanto
il destino per me è segnato o accetto la diagnosi che mi viene
affibbiata. Ma io non riesco a riconoscere in me qualcosa che non vada,
è come se gli aspetti di cui parlano gli altri non mi appartenessero.
FAUSTINO
Oggi, come tutti gli altri giorni, mi sento una “ciofeca”, pronto ad
esplodere perché in ebollizione!
WERTHER
Il conflitto interiore, secondo me, viene creato o quantomeno
influenzato dal disordine e dal caos che il mondo ci propina ogni santo
giorno. Quindi il mio squilibrio, secondo il mio modesto parere,
dipende da eventi esterni a noi e soprattutto dal susseguirsi dello
scorrere frenetico della vita.
DENIS
Il mio conflitto ha origine dalla difficoltà a sopportare e gestire le
mie emozioni che sono tante:
RIMORSO (per il male fatto alle
persone)
SENSO DI COLPA (tutto sto casino l’ho combinato proprio io)
RASSEGNAZIONE (faticoso fare i conti con il passato, faticoso ancora di
più sperare nel futuro)
ANGOSCIA (di una vita vuota)
DOLORE (fisico e mentale)
PAURA (di soffrire)
SENSO DI ABBANDONO (per non essere accettato dalle persone amate)
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Lettera Zen: Il conflitto
Che cosa sono i conflitti: la loro utilità o se invece
siano dannosi.
Se si immagina il conflitto nella materia, si può causare mischiando
due sostanze diverse per ottenere una terza sostanza, secondo certi
dosaggi: ossia col latte di una sola mucca posso fare un solo formaggio
mettendo il caglio; o con latte di diverse mucche fare più formaggi da
latti diversi o dissimili, per certi versi in conflitto fra di loro; o
con del grano di un’unica varietà fare farina, o fare farina con grano
di diverse varietà e provenienza, in conflitto per forma e provenienza;
tuttavia dalla loro unione si ottiene un risultato o sostanza
nutriente, se si trasforma ancora in pane.
Capire come sostanze diverse, in conflitto fra loro, o non
utilizzabili, si possono mischiare per inibire o neutralizzare il loro
conflitto, come l’impasto del calcestruzzo: cemento, acqua, ghiaia,
sabbia, ferro, per l’edilizia.
Il fumare produce conflitto o danno ai polmoni o al respiro, e riuscire
a smettere…
Se si pensa ai lampi, tuoni, fulmini, fiamme si può capire quali sono
le leggi che governano codesto conflitto, come ha fatto Nikola Tesla,
che costruì i motori elettrici a corrente alternata.
Il conflitto fra l’essere vegetariani o carnivori.
Il ferro messo in acqua sprofonda, ma se si rende vuoto o si trasforma
nella lamiera delle pareti della nave, esso entra in conflitto con le
onde nell’acqua, ma rende possibile la navigazione.
Altro conflitto: usare denaro pulito per costruire armi per una sporca
guerra, o costruire con denaro sporco armi di difesa, o per evitare la
guerra.
Comunque la mancanza di protezione provoca un conflitto: come la
dermatite e la crema protettiva.
Se una donna è bella produce dei suoi corteggiatori con i quali dovrà
entrare in conflitto, e dovrà escogitare delle tecniche di protezione
per disseminarli e disperderli.
Poi quanti conflitti: se l’uomo dovesse abitare mentalmente nell’essere
o nel non essere (William Shakespeare), o nell’Io o nell’Ego, o
totalmente nell’uno o nell’altro, o parzialmente nell’uno o nell’altro,
o non sapere che cosa sono, come se avesse una specie di mente
automatica.
Nello Zen nulla è completamente Yang e nulla è completamente Yin,
poiché nel bianco c’è un punto nero e nel nero c’è un punto bianco
(vedi figura), e tutto va dall’uno all’altro, perché tutto è
costantemente in movimento.
O si tratta di un conflitto disciplinato da proprie leggi: le leggi
sono quelle che l’uomo comprende, ma nella stragrande maggioranza dei
casi ci sono moltissime leggi invisibili, che sono chiamate con una
sola parola: inspiegabili; che è una parola bella, perché si può
immaginare che lo spiegabile ha
certe pieghe, e l’inspiegabile non ha pieghe o è impenetrabile o
invisibile.
Di conflitti utili ne è pieno il mondo, o di quelli da cui si ricava un
vantaggio o un’utilità: conflitto dell’aria che urta le pale eoliche,
conflitto dell’acqua che muove le pale di un mulino o quelle di una
turbina elettrica etc.
Conflitti dannosi: l’uomo giovane che attende un lavoro e non lo trova,
perché è fragile lui, o perché è fragile il mondo del lavoro; e quelli
che diventano disoccupati perché diventano fragili loro, o perché
diventa fragile l’azienda, che fallisce e chiude.
Altri conflitti dannosi: terremoti, incendi, frane, alluvioni,
eruzioni, catastrofi, in genere imprevedibili.
Il cessare di scrivere entra in conflitto con il fermarsi e tacere,
poiché tutto è la vita; in fondo la vita in Cina è stata pensata come
l’acqua di un bicchiere di cui se ne è già consumata la metà, o due
terzi … e il pensiero che ci viene… è simile a quello in cui noi ci
pensiamo e vediamo nel bicchiere; tutt’al più l’uomo può sostituire
l’acqua con un altro liquido a lui gradito…
Ma il pensiero di vivere può trovarsi in conflitto rispetto al dire a
noi stessi di fare, fare, fare… quando nella mente si interpone un
altro pensiero che ci dice che la vita finisce… e che William
Shakespeare scriveva: “A che serve lottare, non è più bello quando
tutto è inutile”.
Sul conflitto delle donne
Si dice che le donne quando possono raccontano dei propri conflitti con
il loro compagno alle loro mamme o alle loro amiche. Ma anche gli
uomini lo fanno: ho saputo di un tale che diceva: “Sai, la mia compagna
comincia a rompere con certe domande… Pensa che dopo soli due anni che
stiamo insieme mi fa: ‹‹Ma almeno dimmi come ti chiami! ››”
Conflitto in strada
Notizia curiosa pubblicata su un giornale: sono stati pagati degli
artisti, più il costo dei ponteggi, per far dipingere un murale: un
mandrillo e dei grossi topi di fogna, bianchi con code marroni, occhi
rossi e zampe nere, su tutta una facciata di un palazzo popolare in via
Pier Crescenzi a Bologna. Chi abita nel palazzo e i loro vicini l’hanno
preso come un insulto al quartiere, già in degrado. In seguito a una
raccolta di firme e un primo conflitto, è stato risposto dal Comune che
a loro piacciono i topi. Questi sono più grandi di uno scooter Honda
150, e sono dipinti che scendono dal palazzo, con dei mandrilli dipinti
al piano più alto e il topo più in basso che entra nella fogna, come se
i loro abitanti fossero come quei topi. Probabilmente però chi ha fatto
quella scelta, in Comune, non li ha immaginati dipinti sulle proprie
abitazioni: “conflitto in atto”. Agli abitanti del luogo è stato
risposto che l’hanno fatto per abbellire e decorare il quartiere.
Altro conflitto in strada
In via Riva Reno, angolo via San Felice, una signora che ha un chiosco
di fiori ha offerto al Comune l’idea di abbellire il pezzettino di
giardino in degrado di fianco al proprio chiosco, facendovi a sue spese
un piccolo orto con piante e un giardino con panchina. Dopo mesi di
conflitto con il Comune… “lei ha abbellito”.
Luigi Zen
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Conflitti
Conflitti dentro di noi,
tra noi, tra la gente,
tra i popoli della Terra...
non c'è pace in questo mondo!
Ipocrisie, pregiudizi,
arrivismo e folli corse
per conquistare ad ogni costo
potere e ricchezza
spesso a scapito
di milioni di persone.
Vivo in questo pazzo globo, e mi chiedo...
sarò indifferente per sopravvivere
o forse riuscirò a combattere
per cambiare in meglio
una nuova idea d'amore
che formulerò
e praticherò
con gioia???
Giovanna Giusti
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Io non so parlare
Io non so parlare,
non so fare niente.
Mi cadono le gambe
se cerco di correre.
Io non mi capisco
o non mi capiscono loro,
certo che la vita
è una presa in giro.
Conobbi il salice piangente,
bambina,
e ora viaggio su dune assolate.
Ave Manservisi
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Il conflitto
Tra la quota e la somma
ci passa un dito tra la coscia:
sul viale dell’amore
non so se ci rimane un corpo o un fiore.
M’amo o vivo per amarmi
Quando capisco solo del buio
Nell’odiarti:
persona o cosa
cosa mi rimane ora.
Paola Scatola
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Carezze in versi
Cambiar
le proporzioni alla tua tela,
salir,
sulla scogliera che dipingi,
spogliarmi,
per tuffarmi nel tuo cuore.
Aspetterei:
nascosto,
all'ombra dell'impervio scoglio,
la setola,
mia cima di supporto,
su cui
poi lentamente risalire.
Conquisterei:
scalando,
fra colate di colori,
la parte,
alta e calda del pennello,
in cui,
l'onirico tuo mondo, si fa immagine.
M'insinuerei:
stremato
fra le dita della mano,
accucciandomi,
nella piega più accogliente,
per assopirmi,
e sognar la tua carezza.
Marcella Colaci
Conflitto birichino dell’amore
Immergersi
in un'idea
contemplarla
fino a sfiorarla :
di una mano,
di un viso,
del tuo collo vicino,
fino al bacio condiviso.
Poi ritrarsi,
appallottolarla,
ben stretta e lanciarla
aldilà del mare
e non più planare.
La ferita dentro al cuore
ha tracciato ogni pudore,
ha nascosto e frantumato
la bellezza del creato.
Eppur l'anima mia
ancor sogna:
di donarti una stella,
di sentirmi ancor bella,
di volarti ancora accanto,
di baciarti e con un salto
allontanar ogni rimpianto.
Così l'idea
che sguscia via
la riprendo e così sia.
Prendo il sole,
disegno il mare,
un gabbiano ed una nave,
la tua mano nella mia,
che ancor cerco
e volo via.
Marcella Colaci
Il terremoto dell’Emilia maggio
2012
La terra trema,
vacilla il letto,
si scuote lo specchio,
muta il terreno,
piaghe di terra.
Nell'attimo
crolla
ogni piccola trave,
ogni piccolo letto.
Sparso così in macerie
ogni affetto.
Vivere
in braccio all'ansia
di ogni momento.
Un'onda
che porta via
lacrime al vento.
Figlia, vai via
al riparo,
porta la bimba lontano,
porta la mia anima
con te viva
e lascia andare tutto
che Dio vi benedica,
benedica il lamento.
L’orologio
si è fermato
in cima alla torre antica
l’orologio ripartirà
e non solo Dio lo vorrà.
Marcella Colaci
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La colomba bianca
Vola bianca colomba,
porta pace in questo mondo
da’ fiducia agli uomini,
che tu sia una spalla su cui piangere.
Oh animale con un così profondo significato d’amore,
non tradire le aspettative
che noi abbiamo su di te.
Vola libera nel cielo,
proteggici,
controlla dall’alto cosa succede,
cerca di indicare la retta via,
rendici tutti più buoni,
non essere parsimoniosa nei consigli.
Guarda quel vagabondo:
è solo,
vai da lui,
portagli un ramoscello di ulivo,
è difficile ricercare la libertà,
essere contro la società,
trovarsi emarginati
perché diversi.
Fa che lui non perda la speranza,
ha scelto una strada difficile,
ma col tuo aiuto ce la farà.
Tu hai un gran cuore,
odi le guerre,
i litigi, le liti, il rancore,
ami la tranquillità
sia nel corpo che nell’anima.
Tu hai coscienza in gran quantità
Supplisci la mancanza di molti.
Il fruscio delle tue ali
Rende le persone felici,
il vederti nel cielo provoca ammirazione.
Attenta a quel fucile,
vuole farti fuori,
evitalo con una brusca manovra.
Lo sai che l’hai scampata
per poco.
Noi abbiamo bisogno di te,
dei tuoi ideali,
del tuo dolce richiamo.
Oh, bianca colomba, non abbandonarci mai!
Non potremmo vivere senza di te,
senza i tuoi ideali.
Opola Resonive
(da “Perché porti due orologi?”)
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S’attende…
Tempo immobilizzato
In aria d’etere
La città è
Una scatola a sorpresa
Che da troppo
Dev’essere svelata
Da grumi di nubi astratto
S’attende l’assoluto.
…..
Tempesta che viene:
Piani confusi in un continuum
Foglie strappate
(Il malgarbo del vento
Tentennanti le innalza)
Rombi di tuoni, schianti
Poteri ancestrali
Di vita e morte
Forse che
Naufraga la speranza?
Piergiorgio Fanti
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Il faro
Il faro nella
notte
si accende.......
Il mare
riporta le sue
onde a riva............
Le temperanze.
L'aria è fresca
umida
Tutto ciò che lo circonda
è li tra.......
terra e
mare.
Annarita Baratti
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Guerra!!!
Nell’acque cupe di un pozzo profondo,
brilla una piccola luce
è una lacrima caduta dal cielo
di quel Cristo, che tanto ha insegnato la pace
ma che ancor c’è fratello contro fratello.
Di rosso si tingon le strade di questo mondo
del sangue di mille e mille innocenti
che non solo chiedono pane, ma anche
il permesso d’amare invece che odiare!
S’odono voci di madri che i loro figli reclamano
ma a questo grido angosciato, risponde soltanto
il rombo di cannoni e di carri armati.
Anche i fanciulli devon combattere
perché in campi di addestramento son nati
ma forse nel cuore han soltanto un pianto dirotto
o un pallone di calcio accantonato!
Ma se tu sei uno di quei fortunati
che la pace è riuscito ad avere,
non provare a gettarla, perché sarebbero
milioni le mani di quelli pronti a raccattarla!
Mariangela
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Il conflitto
Pizza o pazza, chirurgia plastica o faccia
Ho un viso, ma non un corpo.
Ho una testa, ma non una mente: cosa voglio è solo lei,
ma quando giro intorno al marciapiede
incontro l’eroina sulla strada che costa tanto, tanto anche per te
che sei soffocato sul bus cercando lei; ma se fossi
comparso tu: un sentimento, un
qualcosa in più, forse lei, forse io, forse tu:
cocaina, eroina, forse tu zio.
Paola Scatola
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Gestione dei conflitti: tanta
fatica
ma anche grandi soddisfazioni se...
Nel corso della mia ventennale esperienza lavorativa,
per qualche anno ho avuto l'incarico di gestire in toto una struttura
semi-residenziale. La fase d'inizio di questo percorso è stata molto
travagliata, tuttavia, alla luce dei risultati conseguiti, questo
aspetto poco esaltante è passato in secondo piano.
Il gruppo di lavoro che ho avuto l'onore e l'onere di gestire, era
costituito da operatori sopraffatti dall'ansia, dalla paura,
dall'aggressività e dalla diffidenza, elementi presenti pari pari nella
sottoscritta, con in più una buona dose di inesperienza.
Questo stato di cose era stato determinato da un importante processo:
la radicale riorganizzazione della struttura in oggetto, che da una
gestione prettamente sanitaria, con un responsabile medico psichiatra e
una caposala coordinatrice, veniva allineata alle analoghe strutture
cittadine, gestite ormai da anni da educatrici professionali.
La gestione del Centro Diurno e quindi del gruppo di lavoro ha
rappresentato un importante banco di prova per tutte le persone
coinvolte, essendosi trattato di una operazione delicatissima,
finalizzata al raggiungimento di obiettivi molto significativi:
l'equilibrio, la stabilità, l'atmosfera e la coesione di gruppo.
Due sono stati i fattori che hanno dato la stura al processo, rendendo
così possibile l'avvio e il cambiamento:
1) Il coinvolgimento di un professionista esterno, molto esperto nella
gestione dei conflitti (teoria sistemica), che con molta competenza,
dopo un'attenta osservazione e una certa conoscenza della realtà
gruppale (conflitti e dinamiche interne ed esterne al gruppo) ha
fornito una serie di strumenti necessari per l'attuazione delle
strategie operative del caso.
2) Il lavoro introspettivo della sottoscritta, al fine di riflettere e
rivedere il proprio modus operandi, e l'adozione di un modello di
riferimento la cui grandiosità e il cui valore sono fuori discussione:
il modello gandhiano.
È stato duro e faticoso riuscire a tradurre e tentare di riproporre
l'essenza dell’insegnamento di Gandhi: coraggio e verità, uniti
all'azione e costantemente orientati verso il bene degli altri,
insegnamento denominato da un suo discepolo Satyagraha
(termine che deriva dal Sanscrito: satya = verità e
agraha = fermezza), nonché riuscire ad essere,
come Lui, un persuasore positivo attraverso l’esempio. Sono stati
necessari mesi e mesi di lavoro, ma la perseveranza e la bontà del
modello adottato hanno iniziato a fruttificare: finalmente le tensioni
hanno iniziato a rarefarsi rendendo la comunicazione più circolare e
più fluida e anche il modo di porsi tra noi colleghi si è fatto più
aperto e disponibile.
Devo anche aggiungere che durante il lavoro di introspezione, con
grande sorpresa e profonda tristezza mi sono resa conto di dover agire
e lavorare su un aspetto di me che è emerso in questo frangente: una
violenza insidiosa, quasi invisibile, che ritengo alberghi in ogni
essere umano, una subdola e strisciante forma di violenza, che crea
addirittura soddisfazione e piacere quando si ha il potere di gestire
altre persone in posizione di subalternità.
Gandhi: "A forza di pensare soltanto alle grandi cause e alle guerre,
la coscienza si addormenta e si dimenticano quelle mille altre forme
assai più insidiose di violenza, come le parole cattive, i giudizi
severi, la malevolenza, la collera, il disprezzo e il desiderio di
crudeltà. Far soffrire lentamente uomini e animali [...] umiliare e
opprimere i deboli senza motivo e uccidere come vediamo tutti i giorni
intorno a noi. Tutte queste azioni sono intrise di violenza in un modo
diverso, più profondo del fatto di sopprimere una vita per semplice
benevolenza".
Grazie a questa esperienza ho degli amici in più, visto che con tutti i
componenti del gruppo di lavoro in questione ho stretto rapporti
veramente significativi.
Concetta
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Come a casa… nostra
Il linguaggio rappresenta un’importante risorsa per la
comunicazione sebbene spesso diventi fonte di malintesi, non solo nei
nostri rapporti interpersonali, ma anche nei nostri più intimi se
stessi. Altrimenti non ci sarebbe da stupirsi nei momenti in cui
sappiamo di volere una cosa e ci troviamo a fare tutto il contrario,
senza ottenerla; ci proponiamo di non dover dire qualcosa e risulta che
la diciamo per prima, pensiamo in un modo e facciamo in un altro.
Insomma non è facile.
Il fenomeno ha a che vedere con il linguaggio. La cosa certa è che
l’esperienza di non capire gli altri, non capirsi, credere di aver
capito per poi renderci conto che non era quello che ci sembrava di
capire, può farci guadagnare un bel conflitto. Esso fa parte della
vita, dell’essere umano, perché siamo soggetti di linguaggio.*
Definizioni di conflitto si possono trovare ovunque e sono accessibili
in tanti modi. Non vorrei sprecare questo spazio di espressione facendo
un’esposizione teorica sul conflitto. Tuttavia utilizzerò alcune
nozioni intorno all’argomento al fine di poter trattare questioni
mirate a migliorare la qualità dei nostri servizi come agenti
generatori di benessere nelle relazioni di aiuto nei confronti degli
anziani.
Nonostante le varie prospettive di ogni disciplina (psicologia,
diritto, sociologia, ecc.) il conflitto trova comunque un denominatore
comune, che appare come gioco d’istanze che si contraddicono ovvero
forze opposte, che si scontrano tendendo ad annullarsi tra loro. Esempi
a livello soggettivo sono: i desideri e le difese, pulsioni che sono in
disaccordo alle regole morali o i principi etici. A livello
intersoggettivo lo scontro può girare attorno a: opinioni, interessi,
obiettivi che tra gli uni e gli altri sono in contrasto (o che per lo
meno vengono percepiti cosi), nonché aspetti tecnici e metodologici non
condivisi ad esempio, tra i colleghi.
Con l’ausilio delle conoscenze in psicologia, e come animatore sociale
all’interno delle case residenze, ho spesso l’occasione di indagare sui
conflitti degli anziani.
Ho osservato che ci sono due conflitti principali, nel senso che li si
trova in tutti o quasi tutti loro: il desiderio di tornare a casa loro
vs. l’impossibilità di farlo; l’essere autosufficiente (come identità
che si trascina dal passato) vs la perdita delle funzioni di autonomia
(nel presente). È chiaro che i termini si oppongono nel modo in cui
prima si faceva riferimento all’essenza del conflitto dove si avverte
un’opposizione strutturale. Nei due casi i primi termini della
contraddizione appartengono alla sfera dei desideri, delle idee, degli
ideali; mentre i secondi, rispondono ad aspetti più concreti o della
realtà materiale. Di conseguenza per i due conflitti c’è una forza
positiva che trova un forte ostacolo o impedimento.
Per la maggior parte degli anziani che percepiscono quest’opposizione,
la vita diventa un dramma esistenziale e in maggior o minor misura,
provano disagio. Il grado di disagio dipenderà da diversi fattori:
consapevolezza o meno della mancanza di autonomia, dall’intensità del
desiderio e dal modo d’interpretare la propria realtà oppure di
processare l’informazione nella psiche. I professionisti che stanno
loro vicino sono impotenti per quanto riguarda la possibilità di
modificare una realtà che appare inamovibile. Nessuno di noi può
decidere di far tornare l’anziano a casa sua e meno ancora, invertire
il corso ormai progressivo del deterioramento. Semmai si potrà
allentare ma non arrestare.
In qualche maniera i professionisti che lavorano a contatto degli
anziani possiedono una conoscenza di questi conflitti.
Tuttavia la possibilità che questa conoscenza possa diventare più
conscia e condivisa, dipende dalla cultura e filosofia che si coltiva
all’interno della struttura; questa filosofia darà luogo allo stile o
modo di approccio per affrontare o negare il problema. Da notare che
spesso le normative e procedure varie prevalgono offuscando una
sensibilità assolutamente necessaria, finalizzata a trovare strategie
per rendere più gradevole la vita degli ospiti all’interno della
struttura - casa. Si tratta di una sensibilità che è raggiungibile solo
quando una semplice aggregazione di professionisti diventa una équipe
di lavoro decisa a far fronte ai conflitti dell’anziano immedesimandosi
negli stessi il più possibile. Appropriarsi dei loro conflitti,
provando il disagio e capendo, in maniera empatica, la loro sofferenza.
Per l’anziano non c’è stata una scelta. Tuttavia ha dovuto fare un
passaggio dalla vita privata a quella istituzionalizzata. Il suo corpo
non era abituato ad essere toccato per un’igiene, un bagno e
quant’altro richiede l’assistenza alla persona. Il suo organismo non
rispondeva ad un piano fatto con orari stabiliti (molto probabilmente
neanche ora lo fa!). Le sue cose non gli appartengono più, i ricordi
non sono materializzati dagli oggetti che hanno dato senso a molti
momenti e situazioni durante il percorso di vita, l’ambiente è nuovo,
pieno di gente… sconosciuti… forse molto rumoroso e… privo
di quella intimità e sicurezza che conosceva all’interno delle mura
domestiche.
Ci sono tanti aspetti che un gruppo di lavoro può elaborare se si
appropria dei suddetti conflitti esistenziali che appaiono nella vita
dell’anziano istituzionalizzato.
L’idea non è quella di rimanere nella sofferenza bensì quella di
entrare nella dimensione del conflitto affinché possa funzionare come
motore, o forza per generare strategie che mettono in primo piano il
benessere degli anziani.
Si parla di lavorare con un’empatia strumentale, cioè che non paralizzi
e metta in moto processi di cambiamento mirati ad ottenere un
miglioramento e una diminuzione della loro sofferenza.
Per questo è prioritario che le figure di coordinamento in
collaborazione al personale di supporto si attivino al fine di portare
calore umano al settore, e condividano l’importanza di creare un gruppo
di lavoro che operi come una squadra e per il benessere degli utenti.
Un tal gruppo di lavoro (équipe – squadra), si porrà domande, farà
confronti e fisserà obiettivi che andranno nella direzione di un
incremento della qualità di vita degli ospiti della struttura: stiamo
offrendo un servizio che conforta o aggiunge disagio? Prevale
l’atmosfera dell’ambiente di lavoro o stiamo facendo in modo che
l’anziano si senta in casa? Possiamo rendere l’ambiente più familiare?
Si può diminuire l’inquinamento acustico, favorire il riposo, evitare
situazioni stressanti? Siamo in sintonia con la privacy di cui ha
bisogno l’anziano?...
Per questo motivo, nel settore dei servizi rivolti all’anziano, è di
grande vantaggio l’inclusione di figure professionali come lo
psicologo, l’animatore sociale, l’assistente sociale. Tutti
professionisti che hanno il compito fondamentale di umanizzare le
pratiche. Sono loro che con l’appoggio del coordinamento hanno il
maggior impegno nel produrre e realizzare progetti che tendono alla
creazione di un ambiente protesico che dia sicurezza all’anziano
facendolo sentire nella sua nuova casa. Un obiettivo basilare da
diffondere e condividere col gruppo di lavoro ‘squadra’, sarà quello di
far sì che la struttura assomigli il più possibile ad una CASA. Se si
pensa, al concetto di ‘casa protetta’ questo rende molto l’idea di
quanto espresso. Un breve riassunto su cosa s’intende per ambiente
protesico può essere facilitante; esso contempla la creazione di spazi
ben differenziati, muniti di una adeguata segnaletica e allestiti con
oggetti di riferimento riconoscibili dall’anziano.
Per differenziazione di spazi s’intende definire aree destinate allo
svolgimento di determinate pratiche. Esempio: sala da pranzo, sala tv,
sanitari, stanze, area riposo pomeridiano, spazio verde (giardino,
cortile), aree per gli incontri dell’ospite e le persone che vengono a
trovarlo, cappella, ambulatorio, sala animazione, ecc.
L’adeguata segnaletica compensa le difficoltà di orientamento presenti
negli ospiti soprattutto per coloro che ancora conservano un certo
livello di autonomia.
Gli oggetti di riferimento dell’allestimento devono essere
riconoscibili magari lasciando da parte le modernità, adeguando
l’estetica degli spazi alle loro generazioni per farli sentire come a
casa.
Accoglienza, sicurezza, orientamento, mantenimento delle autonomie e
delle capacità residue, riduzione della confusione, sono tutti principi
che dovrebbero reggere durante la progettazione e realizzazione degli
spazi. In questo modo si possono favorire i processi d’adattamento non
solo dell’anziano anche dei parenti spesso molto sofferenti.
Durante un convegno, ho sentito parlare anche di strutture che hanno
perfino introdotto cellule fotosensibili nei lavandini! La domanda che
poneva in quell’occasione la professionista, che fra l’altro era un
animatore sociale, era: siamo sicuri che sia una soluzione valida per
supportare il mantenimento delle autonomie residue di un anziano
entrato negli anni? A quelle età sono in grado di adattarsi a questi
sistemi moderni? Su arredamento e allestimento si potrebbe approfondire
il discorso su strategie legate all’introduzione di materiali, colori e
oggetti (orologi, calendari, fiori) possibilmente coinvolgendo alcuni
anziani, e che possono aiutare a ridurre gli stati di ansia o di
agitazione psicomotoria ottenendo risultati positivi evitando così di
rincorrere solo alle terapie farmacologiche.
Spazi che difendano la propria privacy. Bisogna differenziare con
chiarezza concetti del tipo: ‘vita comunitaria’, ‘pubblico’, ‘privato’,
‘intimo’.
Per ogni figura professionale, quello che si fa e si dice all’anziano
durante lo svolgimento delle mansioni deve essere in sintonia con
queste differenziazioni. Per ciò si parlava prima dell’importanza di
lavorare come parte integrante o membro di una squadra che condivide
una filosofia o base concettuale. Squadra come sistema che va oltre la
semplice aggregazione degli individui – professionisti; una équipe che
acquisisca una identità, che possieda una filosofia condivisa che
leghi, che orienti e faciliti il raggiungimento di finalità e obiettivi
di lavoro. Con questa accezione acquisiscono particolare rilevanza le
procedure e il contesto: il come si dice o si fa cosa, e dove.
Arredo confortevole e sicuro, ambiente luminoso e poco rumoroso.
L’anziano passa la maggior parte del tempo seduto o sdraiato, quindi
bisogna prevedere il disagio che può provocare una mancanza di
adeguamento mirato sul confort in carrozzine, poltrone e sedie con
braccioli nonché i letti. La luminosità permette agli ospiti, di
individuare meglio l’intorno, è anch’esso un fattore di sicurezza
soprattutto per colui che deambula in autonomia; rende meno lugubre lo
spazio ma l’intensità della luce è sempre da monitorare a seconda delle
situazioni. Se la fonte di luce è molto diretta, acceca; se si tengono
le luci accese in continuazione o la luce del sole è molto predominante
durante un momento di riposo (come è solito che avvenga dopo pranzo),
l’illuminazione intensa può scatenare stress, nervosismo e disturbi del
comportamento. Lo stesso succede con la rumorosità degli ambienti.
Spesso rimangono le tv accese tutto il giorno, oppure la radio, peggio
se i programmi o le frequenze non sono adatti al piacimento degli
anziani. La cosa migliore è chiedere agli interessati diretti sul
gradimento e trovare soluzioni democratiche sulle varie e diversificate
esigenze.
Ridurre l’inquinamento acustico è un’impresa abbastanza difficile
considerando che oltre ad essere una casa dove risiede gente è un luogo
di lavoro. I cambi di turno, il passaggio d’informazione, il traffico
dei carrelli, i telefoni… altre volte si tratta di una rumorosità per
così dire “indisciplinata” e quindi meno comprensibile. Voci squillanti
che magari irrompono in mezzo ad un momento di silenzio, dialoghi tra
professionisti o parenti, chiusura delle porte e di sportelli, rumori
con piatti, stoviglie che vengono sistemate senza molta cura… Il
fenomeno della rumorosità disturbante accade
probabilmente con tutta l’innocenza del caso e senza cattiveria alcuna.
Il problema con più sicurezza è dovuto ad una mancata consapevolezza
sui benefici che può portare all’ospite residente (e non solo), un
ambiente più silenzioso e rassicurante come quello della propria casa.
Può capitare che l’anziano stia seguendo una trasmissione televisiva
che gli interessa e non riesca a farlo. Situazioni ancora più assurde
si osservano quando non c’è una sala adeguata per lo svolgimento di
attività di animazione, molte delle quali richiedono l’attivazione di
funzioni cognitive (attenzione, concentrazione, memoria) e non c’è
all’interno del gruppo di lavoro, sufficiente condivisione su queste
tematiche che in fin dei conti, sono di assoluta rilevanza per la
creazione e il mantenimento di un contesto abitativo portatore di
benessere a livello psichico ed emozionale. L’accesso ad un area verde,
può indubbiamente contribuire in questa stessa direzione.
E sì…il professionista all’interno delle residenze per anziani, ha un
lavoro in più, quello di non dimenticare mai che si è nella loro casa.
Richiede uno sforzo empatico e una volontà decisa a offrire le bontà di
uno spazio protesico che oltre a favorire l’adattamento alla vita
istituzionalizzata, faccia sì che l’anziano si senta sicuro, protetto
e… amato.
Allora la squadra di lavoro si sentirà utile, anzi trionfante, perché
l’anziano provando agio nella casa, avrà dimenticato, anche se
probabilmente solo in parte, i conflitti di cui si parlava all’inizio.
E beh… è già tanto!
*Nota: Ci sono molte correnti in psicologia che
trattano l’argomento, ma soprattutto la Psicanalisi è un riferimento
importante se lo si vuole approfondire.
dott. Mariana Parera
(psicologa e animatore sociale)
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Natale de guerra (poesia di
Trilussa)
Ammalappena che s’è fatto giorno
la prima luce è entrata ne la stalla
e er Bambinello s’è guardato intorno.
- Che freddo, mamma mia! Chi m’aripara?
Che freddo, mamma mia! Chi m’ariscalla?
- Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pe’ compralla…
- E l’asinello mio dov’è finito?
- Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito.
- Er bove? Puro quello
fu mannato ar macello.
- Ma li Re Maggi arriveno? – È impossibbile
perché nun c’è la stella che li guida;
la stella nun vò uscì: poco se fida
pe’ paura de qualche diriggibbile…-
Er Bambinello ha chiesto:- Indove stanno
tutti li campagnoli che l’antr’anno
portaveno la robba ne la grotta?
Nun c’è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta…
- Fijo, li campagnoli stanno in guerra,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pe’ vangà la terra
adesso viè adoprata unicamente
per ammazzà la gente…
Guarda, laggiù, li lampi
de li bombardamenti!
Li senti, Dio ce scampi,
li quattrocentoventi
che spaccheno li campi?-
Ner di’ così la madre der Signore
s’è stretta er Fijo ar core
e s’è asciugata l’occhi co’ le fasce.
Una lagrima amara per chi nasce,
una lagrima dorce per chi more…
Trilussa, al secolo Alberto Salustri, nasce nel 1871 e muore nel 1950.
Un poeta singolare per lo scrivere dei suoi versi in romanesco, ma non
per questo privi di sensibilità e religiosità.
Nella sua poesia natalizia Trilussa si sofferma sul dramma della
guerra. Così come in uno schermo i tragici effetti della prima guerra
mondiale si mescolano alle lacrime dei protagonisti, rendendo i suoi
versi pieni di umanità.
Mariangela
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Guerra, pazzia e paradossi
Recensione del libro di Joseph
Heller, “Comma 22”, ed. Bompiani
Catch 22, il primo romanzo di Joseph
Heller, uscito negli USA nel1961, con la sua comicità paradossale
rappresentò una feroce critica al militarismo.
La vicenda è ambientata in Italia verso la fine della seconda guerra
mondiale. Yossarin, un ufficiale dell’Air Force, pilota bombardiere di
B25, viene distaccato con il suo gruppo nell’isola di Pianosa, per
effettuare incursioni sulle linee tedesche e facilitare l’avanzata
degli alleati. Disgustato dalla disumanità della guerra, che mette a
repentaglio la vita dei giovani mentre generali e burocrati sembrano
dedicarsi solo al proprio interesse e alla propria gloria, Yossarin che
pure non è un vile, pensa a come salvare la pelle. Sperando nel congedo
anticipato, si fa ricoverare accampando malesseri immaginari e fingendo
disturbi mentali. Ma nell’articolo 12 del regolamento c’è un tranello.
Il comma 21 infatti recita: «L'unico motivo valido per
chiedere il congedo dal fronte è la pazzia.», ma il comma 22 specifica:
«Chiunque chieda il congedo dal fronte non è pazzo.»… In effetti…
Naturalmente si tratta di un’invenzione dell’arguto romanziere, ma la
situazione è meno improbabile di quanto si possa pensare, tanto che
l’espressione “comma 22” è divenuta proverbiale per rappresentare quei
casi in cui la contraddizione è voluta per rendere in pratica
inapplicabile un diritto.
Geniale, in verità! Come sottolinea Bonvi in questa vignetta di
Sturmtruppen.
L.L.
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Risposte in pillole di Ave, ai vostri quesiti, dubbi, timori,
perplessità
Cari amici de Il Faro,
il tema del conflitto mi suscita pensieri dolenti su quello che vien
chiamato ‘amore’. Perché tante storie virano dall’amore all’odio, fino
a sfociare in episodi anche gravissimi di violenza? Vi sembra normale?
E fino a che punto è giusto sopportare? Mi piacerebbe avere una
risposta da voi… io non ce l’ho. Saluti cari e complimenti per il
vostro giornale
Maria G.
Cara Maria, secondo me il conflitto "amore-odio" nasce
da rivalità di classi economiche, da odi di razza, da interessi di
partito. Le televisioni trasmettono programmi di violenza e persino i
telegiornali parlano sempre di violenza, di donne violentate, lapidate.
Di bambini violentati anche dai preti e persino di suore e vecchie
assalite e violentate.
No non è normale, ma probabilmente c'è qualcuno a cui interessa che
tutto appaia violenza e che la gente abbia paura.
Ave
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Tecnologia: meglio conoscerla che
combatterla
La tecnologia, i nuovi strumenti, il mondo parallelo
delle comunicazioni via internet… o ti lasci travolgere o cerchi di
comprenderli. Per questo è nato il Progetto “Connettiamoci”….
In collaborazione con il DSM-DP dell’AUSL di Bologna, il Fareassieme ha
ideato questo progetto con l’obiettivo di formare persone in grado di
utilizzare uno strumento, il computer, utile per comunicare,
condividere informazioni, contrastare la solitudine creando una rete
sociale ed amicale con l’utilizzo di e-mail, facebok, social networks,
internet. ecc.
Con questi presupposti il 27 marzo 2012 abbiamo organizzato un
affollatissimo incontro con tutti gli iscritti, in quella sede è stato
presentato sia il corso di base “Connettiamoci” che il corso avanzato
“Esplorando la rete” seguito dal Centro Minguzzi.
In questo primo momento di incontro, gli insegnanti hanno presentato i
due corsi, i tutor che li avrebbero affiancati durante le lezioni ed
hanno consegnato programmi e calendari.
Il 2 aprile alle 14,00 ci siamo ritrovati all’ingresso in via S.Isaia
per salire tutti insieme nell’Aula Informatica dell’AUSL per iniziare
questa nuova avventura “Connettiamoci” che ci avrebbe accompagnato per
i successivi tre mesi fino al 27 giugno.
Massimiliano, il nostro insegnante, ha iniziato da subito a parlarci di
“scheda madre”, “processore”, “ram”, “hard disk”, “pixel”, “bit” e
“byte”… qualcuno si è spaventato, qualche altro ha pensato di avere
sbagliato corso,…..altri, molto diligentemente hanno cominciato a
prendere appunti, ma nonostante le difficoltà la fine della prima
lezione è arrivata troppo presto e tante sarebbero state ancora le cose
da chiedere e da scrivere.
Da co-conduttore/uditore ho partecipato a quasi tutte le lezioni e ho
avuto modo di vedere come la voglia di comprendere, di impadronirsi
delle competenze necessarie per usare uno strumento che oggi tanti
utilizzano, fa superare anche le difficoltà più grandi: né il lungo
viaggio per arrivare alla sede del corso, né gli scioperi dei mezzi
pubblici, né gli argomenti, a volte difficili, hanno vinto sul piacere
di essere presenti alle lezioni.
Anche i dati di frequenza lo dimostrano: se escludiamo alcune
defezioni, per tutti, i giorni di lezione hanno rappresentato un
piacevole appuntamento dove ritrovare compagni di viaggio con i quali
condividere un percorso di “studio” ma anche di conoscenza e amicizia.
Lezione dopo lezione abbiamo costruito un manuale di utilizzo del pc
(integrato con fotocopie) nel quale sono ripresi tutti gli argomenti
affrontati in aula e ha preso corpo il nostro indirizzario, con tutti
gli indirizzi di posta elettronica per avviare lo scambio di mail fra
tutti i partecipanti, scambio che continua tutt’ora e che speriamo
possa diventare il primo passo per la costruzione di quella rete
sociale, auspicata come finalità del corso stesso.
A conclusione del corso poi, come previsto, chi era interessato (8
corsisti su 15 che non possedevano un pc) ha potuto acquistare un
proprio computer da portare a casa per mantenere e affinare le
competenze acquisite durante le lezioni.
Il 27 giugno, al termine dell’ultima lezione, non abbiamo resistito e
ci siamo concessi un momento di tradizionale svago, cedendo alla
tentazione di una bella pizzata in compagnia, per augurarci
reciprocamente una buona estate e con la promessa di rivederci a
settembre se sarà possibile organizzare una nuova tranche di corso di
formazione avanzato.
Da parte mia un sincero ringraziamento a: Aldo (2), Andrea, Beatrice,
Concettina, Cristiano, Dario, Edoardo, Francesca (2), Giulio, Giuseppe
(2), Giusy (2), Gregorio, Iryna, Ivana, Manuela, Marco, Maria Stella,
Maria, Massimiliano, Maurizio, Mauro, Roberto, Stefano, Tiziana, Ugo e
Virginio.
Roberta Finco
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Recensione del libro di Alice Banfi
“Tanto scappo lo stesso – romanzo di una matta”
(ed. Stampa Alternativa)
La cosa che più mi ha colpito è l’umanità della
protagonista, contrapposta alla fredda disumanità degli operatori
sanitari. Questi ultimi la legavano al letto mani e piedi, perché si
contrapponevano al suo bisogno di libertà e di manifestare se stessa.
Una cosa mi ha fatto indignare: un ragazzo cinese, che i medici
chiamavano con un soprannome a lui sgradito, si ribellava e il
personale, medico e non, gli diceva “di abbassare la cresta”. Questo
per far capire come la persona ricoverata e bisognosa di cure e
attenzioni veniva spersonalizzata. Trattata spesso come una diagnosi,
non come un individuo con la sua particolare personalità.
Alice Banfi si contrappone a questo modo di fare sanità, che lei chiama
sistema psichiatrico. Questo modo di curare, a più di trent’anni dalla
legge Basaglia, è un sistema coercitivo per nulla diverso dai vecchi
manicomi che dovrebbero essere stati trasformati in strutture sanitarie
dove al centro della terapia c’è l’individuo e non il quieto vivere del
reparto. In questo spaccato si vede come le strutture, al di là dei
formalismi delle leggi e
della burocrazia, si mostrano esternamente efficienti ed efficaci, ma
in realtà anziché curare tolgono la personalità e il senso di
responsabilità. Per cui il paziente anziché recuperare se stesso, viene
schiacciato fino al punto di imbruttirsi e diventare aggressivo contro
se stesso e gli altri.
La scrittura è semplice e lineare. Molto gradevole.
Come è scritto sul retro di copertina: “c’è da ridere, c’è da piangere,
c’è da pensare: chi è il matto in questa storia?”.
Buona lettura!
Cristicchi
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I sogni della famiglia Albani
Era una serata tiepida di settembre. Ersilia e Duilio
parlavano rivolti all’infinita distesa di fiori bianchi che circondava
la loro casa.
La coppia aveva da poco festeggiato le nozze d’argento ed era
circondata dall’affetto di figli e nipoti. Ersilia aveva superato molti
momenti critici all’affacciarsi della vecchiaia, ora era serena, anche
se sentiva sempre di avere i giorni contati. Molti giorni, molte sere,
molte notti erano passate da quando i due si erano conosciuti. Ersilia
ricordava con tenerezza quando aveva incontrato Duilio per la prima
volta. Era stato un momento di forte intensità per la donna, che aveva
scorto nell’uomo una vena di sensibilità che ben si accordava con la
sua. Avevano realizzato molte cose: anche se molti sogni si erano
infranti, molti si erano realizzati, almeno. Ora si può dire che la
donna sentiva di essere approdata su una distesa di pace, dopo tante
battaglie affrontate e vinte. Ora percepiva con chiarezza di aver
raggiunto un equilibrio, se così si può dire, parziale. Giulio e
Michela erano irreprensibili nella conduzione della casa e come abbiamo
avuto occasione di dire facevano da genitori ai propri genitori. Da
molti anni vivevano in una casetta aggrappata alla collina e circondata
da prati che in primavera elargivano una marea di fiori bianchi. I loro
destini su erano incrociati e uniti in modo esemplare.
Questo era in fondo il senso della vita a cui aspiravano.
Voi che leggete vi sarete certo fatta un’idea delle ambizioni della
coppia. Molti periodi si erano susseguiti da quando Ersilia era
ricoverata e lottava con un male oscuro che era riuscita in parte a
vincere e a sconfiggere. Le mete a cui ambiva erano state raggiunte e
poteva finalmente darsi pace. Ora i giorni scorrevano con tranquillità
e quella marea di fiori bianchi contribuiva al loro equilibrio. La
popolazione del paese in cui abitavano aveva un concetto molto alto
della famiglia Albani, simbolo per la comunità in cui viveva e operava
da anni, che certo non li avrebbe dimenticati.
Voi che leggete che ne dite?
Maria Chiara Reitani
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Pensieri
Vecchia
Sconosciuta vecchia donna che nel tuo giardin fiorito
siedi immobile sulla sedia e guardi curiosa la gente passare.
Il tuo corpo ormai malato e inerme incontrò un giorno il mio sguardo
E sognasti la mia frenetica giovinezza.
Antico ormai è il tuo vivere e speranza di vita non è più in te.
Ma eterna sarà la tenerezza che è nel nostro cuore.
Lacrima
Oh crudele lacrima, che d’improvviso compari negli occhi miei pensosi,
incurante, debole uomo mi fai sentire,
testimone tu sei di fragilità ed imperterrita continui la tua corsa,
bagnando l’intero viso mio.
A te però son grato perché apprezzar di più mi farai l’inattesa, futura
gioia.
Maschera
Colorita maschera che dell’uomo sei compagna,
fortuna e gloria devi a lui.
Le sue giornate accompagni, tristemente a lui fedele servitrice
del tradimento non ti curi.
Estetica e bellezza sono in te la forza,
ma debolissimo e misero sarà il tuo ricordo.
Ragazza dell'Est
Ragazza dell’est che freneticamente sesso tu doni,
amore vero e dolce tu non conosci.
Il credo tuo è il denaro,
di uomini crudi e violenti tu sei schiava.
Però del tenero uomo tu te ne fai gioco.
Ma ricordati che l’unico sentimento per cui vivere è l’amore!
Musica
Vivace musica, che tu sola conosci l’armonia della vita,
che riesci a farmi immaginare spazi erbosi infiniti,
che delicata e suadente fai sognare vita mia diversa.
Tu solo sei poesia vera che farà il mondo unire.
Roberto Ramosi (casa degli Svizzeri)
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La psichiatria di ieri, di oggi e
di domani
La legge Basaglia introdotta nel 1980 ha cambiato molto
in positivo la vita delle persone ritenute “ammalate mentali”
(consideriamo questo termine per definire chiunque abbia un disagio
sociale o difficoltà nell’ambito familiare, sociale o sul lavoro; oltre
ai casi in cui invece si soffre per qualche episodio capitato nella
vita).
La psichiatria come noi la intendiamo oggi, non è sempre stata tale. Si
pensi che negli anni ’50, ’60, ’70, le persone con disagio mentale
venivano recluse in strutture coatte, cioè ambienti ospedalieri, da
dove, una volta internati, non potevano più uscire. Alle finestre vi
erano le sbarre per motivi di sicurezza o per evitare fughe. I pazienti
erano sottoposti a trattamenti quasi punitivi, come docce gelate,
elettroshock, e spesso venivano legate al letto come misure di
contenimento, nel caso in cui manifestassero rabbia o aggressività, o
in certi casi anche per motivi “diversi”.
Il dottor Franco Basaglia fu il primo a rendersi conto della sofferenza
e delle pessime condizioni di vita in cui versavano i “malati mentali”.
Rinchiusi, costretti, maltrattati, senza speranza per il loro futuro,
incapaci, miseri e privati della propria identità.
E’ stato lui il primo ad accostarsi a queste persone, perché (ribadiva
lui stesso) di persone si tratta. A conoscerle ad una ad una, a parlare
con loro e ad accostarsi ai loro problemi, ad arrivare alla radice del
loro malessere, si è accorto di quanto era sbagliato e assurdo il
trattamento che si riservava loro, e del tutto inefficace e inutile al
loro miglioramento e guarigione.
Andando ancora indietro nel tempo, troviamo che in psichiatria si è
sempre parlato raramente di guarigione.
Anche Gesù compiva guarigioni, e i casi di “psichiatria” di allora
erano ben peggiori di quelli di adesso: esorcismi (mandava via il
diavolo), purificazioni (scacciava gli spiriti impuri) e guariva anche
dall’epilessia. Che tipo di medicina usava? Nessuna, se non la Fede, la
Santità, il Digiuno, la Preghiera, la Fortezza di Spirito.
Nella psichiatria di oggi, sono in largo uso gli psicofarmaci, in
questo caso la scienza ha compiuto progressi, perché nel maggior numero
dei casi è stato appurato che tali farmaci migliorano la qualità di
vita dei pazienti, ed evitano ricadute.
Ma veniamo a noi: perché vogliamo difendere e sostenere la legge
Basaglia? Finora era dato per scontato che i diritti dei malati fossero
sempre rispettati una volta acquisiti. Purtroppo ora non è così. Dagli
anni ’80 fino al 2000 le cose andavano proprio in quel modo: il
paziente poteva essere accolto in una casa di cura (pubblica, privata,
convenzionata) o per sua richiesta (ricovero volontario), o per
richiesta dei familiari. La cosa peggiore (che saltava fuori da qualche
articolo di impronta fascista) era il T.S.O. (trattamento sanitario
obbligatorio), usato solitamente per contenere un
paziente difficile da gestire, perché violento, aggressivo fisicamente,
insomma pericoloso. Il trattamento coatto, cioè forzato e intensivo,
aveva la
durata di una settimana, prorogabile fino a un mese. Naturalmente si
trattava di episodi acuti, dopo i quali il paziente solitamente si
riprendeva, e
tornava alla propria casa, diciamo “guarito”.
I trattamenti più lunghi, invece, cioè di più mesi, erano di solito
richiesti o condivisi dai pazienti stessi, concordando la data di
dimissione col proprio medico di riferimento. Fin qui nulla di grave,
un po’ di pazienza, e molti permessi di uscita, vacanza, ritorno dai
familiari.
Purtroppo oggi quello che preoccupa sia le famiglie che le persone con
disagio psichico, è che le regole stanno cambiando, ma non in meglio.
Una delle cause può essere la “crisi”, cioè: i posti letto in ospedale,
le cure mediche sono costose e non tutti possono ricevere quel tipo di
cure (de-ospedalizzazione). Mentre fino al 2000 qualunque cittadino
(consenziente) poteva ricevere cure ospedaliere pubbliche o private,
oggi ci sono molti casi di ricovero in Day Hospital, meno ricoveri, e
soprattutto inserimenti in strutture o soluzioni alternative, come
Centri Diurni, case di accoglienza, comunità ecc. Le strutture private
che dovrebbero rappresentare i luoghi di vita di alcuni utenti, sono
costose e questo va a discapito di persone bisognose. La Comunità non è
un luogo di cura (come le ospedalizzazioni), ma un ritrovo di persone
che si conoscono, si confrontano, si assomigliano e su queste solide
basi stringono e costruiscono nuove amicizie.
La nuova legge Ciccioli-Pancaldi, prevede invece strutture private di
contenimento, in poche parole il ripristino e l'apertura di sedi
ospedaliere molto simili ai vecchi manicomi. La cosa più grave è che il
ricovero non è più volontario, ma coatto e i tempi di durata del T.S.O
vanno da due settimane a sei mesi, prorogabili fino ad un anno a
discrezione del medico.
Sicuramente un politico che ritenesse scomoda una certa persona per
vari motivi ideologici o rivoluzionari (o una persona che possa in
qualche modo turbare la mente dei benpensanti) potrebbe usare questo
strumento per toglierselo dai piedi. È veramente preoccupante pensare
che per un ritorno di qualche ideologia fascista e obsoleta chiunque
possa essere "incarcerato" o messo a tacere da una istituzione
giuridica che comanda e addirittura condanna il nostro pensiero. È uno
scandalo! Una violenza all'intelligenza umana e alla libertà di
pensiero e di opinioni. Le istituzioni in questi decenni sono state a
favore del libero cittadino, ma adesso è il momento di schierarsi
contro quelli che vogliono distruggere quanto di buono è stato
costruito fino ad oggi con farneticazioni su questioni vecchie.
Cosa vogliamo per il futuro? La valorizzazione e un aggiornamento della
legge Basaglia, in modo che le persone che soffrono di disagio mentale
possano essere tutelate nei loro diritti, rispettate per le loro idee,
sostenute con percorsi specializzati e protetti da certi "aguzzini". I
percorsi di guarigione sono possibili, innegabili e sacrosanti, questi
devono essere fatti nel modo giusto, appropriato, nel rispetto del
malato e delle sue esigenze. In definitiva devono essere investiti
soldi in questo campo sia dalla Regione che dalle Cooperative del
privato sociale. Ringraziamo tutti gli operatori e i medici per quanto
hanno fatto fino ad oggi e per quanto continueranno a fare, in
definitiva occorre bandire certe ideologie che potrebbero riportarci ad
un passato oscuro e pieno di morte.
G.
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Indovinello di Luigi Zen
Come si chiamano quelle piante,
molto diffuse in tutto il mondo, che non fanno fiori e che nei paesi
freddi, d’inverno, occorre tenere al caldo perché temono il gelo?
vai alla soluzione
La barzelletta di Luigi Zen
“Ehi! Ma lei non lo sa che è vietato fare la pipì nelle
piscine?”
“E via, ma se lo fanno tutti!”
“Sì, ma non dal trampolino.”
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La posta
Salve!
Solo oggi ho scoperto la rivista "Il Faro" ed ho letto del vostro
concorso per scrittori di poesie.
Sono sorella di una "ragazza" ormai quarantenne che a sfogo di vari
problemi che la vita le ha messo davanti (seguiti da assistenti sociali
Calderara e S.Giovanni) ha trovato la via della poesia.
Sono a chiedere se sono ancora in tempo per dare a mia sorella questa
opportunità di iscriverla al concorso??? Non e' il premio, ma il
percepire l'aggregazione in questa società individualista, a cui
miro!!!!
Mia sorella, avendo letto il vostro giornalino, vorrebbe collaborare
con cị che riesce a comunicare, il teatro, e la poesia. Grazie
Barbara Baratti
Cara Barbara,
saremo felici di ospitare la bella poesia di Annarita sul prossimo
numero del Faro che uscirà, più o meno, tra un paio di mesi. Sperando
di farti cosa gradita ti accludiamo l'ultimo numero del Faro in formato
elettronico, appena uscito. Come vedrai vi è sempre un angolo della
poesia, quindi se Annarita vorrà continuare questa collaborazione per i
numeri a venire, noi ne saremo lietissimi.
Grazie ed un caro saluto
Ave e Antonio per lo staff del Faro
P.S. Per quel che riguarda il concorso, se ricordiamo bene, i termini
di presentazione dovrebbero essere scaduti ad aprile, ma ti
risponderanno loro in proposito (non si tratta di una nostra
iniziativa, noi l'abbiamo solo pubblicizzata).
Conosco indirettamente la vostra rivista e propongo la mia
partecipazione attiva con poesie, racconti, proverbi. Ho già fatto
un’esperienza in questo settore. Sono ammalata di psicosi bipolare dai
vent’anni, peṛ ritengo che la diffusione del giornale non debba essere
fatta principalmente all’interno degli ospedali, ma rivolta al Comune
di Bologna, a esercizi pubblici ecc.
Ringraziando sin d’ora, manifesto il desiderio di una risposta scritta
a questa missiva. Ossequi
Giovanna Bassi
Cara Giovanna, siamo molto lieti di averti come
collaboratrice: un tuo contributo come vedi è già pubblicato. Il Faro
ha ormai una lunga storia e sta crescendo sempre più. Viene distribuito
all’interno dei CSM, ma anche al di fuori, presso istituzioni
pubbliche, istituti universitari, centri sociali … dovunque è vivo
l’interesse per la Salute Mentale. Il Faro poi non è solo stampato, ma
viaggia su internet ed è entrato anche in contatto con redazioni simili
di altre città…
Aspettiamo ancora tue notizie e contributi.
Saluti cari da Fabio e dalla redazione.
Gentilissimi,
non ci aspettavamo di riuscire così velocemente a mandare questo
importante contributo, esito delle due giornate di incontro sugli
psicofarmaci che abbiamo organizzato con il Dr. Boldri. Ci siamo invece
riusciti. Per cui in allegato trovate il testo, ovviamente revisionato
e corretto, degli incontri.
Crediamo che sia davvero molto importante per tutti coloro che
utilizzano psicofarmaci e per i loro familiari e amici poterlo leggere
e consultarlo ogni volta che ne abbisognano. Con grande piacere siamo
pertanto ad inviarvelo. Cogliamo anche l'occasione per augurare a tutti
buona estate!
Elena Pasquali (UmanaMente)
Cara Elena, come vedi il vostro lavoro ha trovato degno
spazio nell’inserto: uno dei conflitti interiori che spesso turbano le
persone riguarda proprio il prendere o non prendere i farmaci… Quindi
siete perfettamente in tema.
Grazie e buona estate anche a voi.
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Soluzione dell’indovinello di
Luigi Zen
Le piante dei piedi
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