febbraio 2013 - anno VII  n. 1 – La fatica


sommario

Fabio Tolomelli

Editoriale

Piergiorgio Fanti

Umberto Boccioni: ‘La città che sale’

C.D. di Casalecchio

La fatica

Max Trentini

La fatica

Ave Manservisi

La fatica di vivere

Stefanone

Opinioni e sviluppo della parola "fatica"

Lucia

Casca o non casca?

Giorgia Bolognini

Quanta fatica!

Un familiare

La forza e la fatica

E.L.

Che fatica avere tanta paura!

Tina

Dio, che fatica!

Edoardo Bellanca

A volte basta poco

Marco

Voglia di fare cioè entusiasmo

Darietto

Che fatica capire questo mondo…

Marco Rafani
M.Cristina Sinibaldi

La faticosa ricerca di una ‘vita normale’

Giovanna Giusti

Il prezzo della vita

Luigi Zen

Lettera creativa Zen sulla fatica

Dedicato ad Arianna
Lo spazio della poesia

 

      Matteo Bosinelli     Qualche banalità
      Mariangela Soavi     Angoscia
      Marcella Colaci     5 novembre 2012 h. 17:45
      Loopa Sonivree     Solleva quei pesi
      Darietto     Che fatica capire questo mondo
      R.G.     Mangiatoia
      Marcella Colaci     La popolana
      Giovanna Giusti     E’ Natale / Occhi
      Anonimo     Ti osservo
      Paola Scatola     La fatica

Antonio Marco Serra

Piolo per piolo

Luca Montesi

Una riflessione

Loredana Linari

Pensieri

Roberto

Fatica (poesia)

Leoreta Ndoci

L’esistenzialismo dell’immigrato

Mariangela Soavi

La fatica, la pigrizia e le scorciatoioe

Luigi Zen

Piccola storia Zen

RTP Casa Mantovani

La fatica

Lucia Monaco

Per la mia mamma e il mio papà

Lucia Monaco

Dentro di me non ci sei più

L.L.

Le infaticabili

Cristicchi

Cristicchi ha letto anche per te - Senilità

Edoardo, Luigi Zen

Divagando sulle note di una canzone

Luigi Zen

Riflessioni sul pack (ovvero come rompere il ghiaccio)

Darietto

Le fatiche di Ercole

Darietto

Recensione del film “Le fatiche di Ercole”

Darietto

Recensione del film “Asterix e le 12 fatiche”

Giovanna Bassi

Michelangelo Buonarroti, genio cinquecentesco

Luigi Zen

Barzelletta vegetale / Indovinello

M.Chiara Reitani

Soffri mio cuore

***

La Posta

 

         

Editoriale


Mamma che fatica! Mamma che fatica! Mamma che fatica! È la prima cosa che pensiamo quando veniamo al mondo. La vita pur essendo meravigliosamente fantastica è sempre accompagnata da una fatica d’intensità variabile.
Dire che cosa è più faticoso e che cosa lo è meno è molto soggettivo e frammischiato ad aspetti affettivi.
Vedere un film veramente bello, spaparanzato con Cristina su un divano comodissimo, scaldati da una morbida coperta con tanto di Dolby Surround è un attività a bassissimo impegno di fatiche fisiche o intellettuali. Se non fosse per il denaro che ci è costato ‘l’ambaradan’.
Tuttavia, come diceva il mio povero papà: “Il gioco è bello finché è corto e deve finire quando ci si diverte ancora, altrimenti può trasformarsi addirittura in scocciatura o vera e propria fatica”.
Per il parroco di San Pietro in Casale, don Raul, è importante arrivare a sera, quando ci si corica sul letto, stanchi. Con questo vuole dire, a mio parere giustamente, che bisogna impegnarsi nella vita. Ed è importante non investire tutte le proprie energie solo per sé, ma mettere quelle in più a servizio della società in senso lato. In fondo fare fatica può essere, sul momento, più o meno gratificante, il risultato o il ricordo, comunque, il più delle volte è piacevole. Ad esempio: che fatica far tornare a camminare quella signora, che era così giù di morale che per tirarla su ci voleva un argano a motore! E che piacere rievocare, quando incontri un vecchio amico ciclista, le imprese compiute: “Ti ricordi che fatica scalare in bicicletta il Monte delle Formiche distanziando i vecchi amici?” .
Questo fa pensare che per l’uomo, più che per la donna, l’importanza di gestire e controllare la fatica sia un elemento di prestigio. L’uomo forte e resistente è considerato degno di grande ammirazione, soprattutto nello sport. La donna gestisce le sue energie in modo più oculato, pensa di più alla famiglia, alla casa, al necessario per sbarcare il lunario, anche se qualche volta eccede nello shopping. L’uomo poi tende ad appropriarsi di auto forti e potenti, e ci spende anche un mucchio di soldi in accessori, per stare più comodi, forse per fare meno fatica… forse … può anche darsi.
Da che mondo e mondo la fatica fisica è sempre stata meno corrisposta economicamente di quella intellettuale, è un bel paradosso. Da che mi ricordo io della storia, gli schiavi lavoravano come bestie in cambio di pochi stracci ed alimenti; mentre il padrone aveva diritto di vita o di morte su di loro. Sì, è vero, gli schiavi non ci sono quasi più, tuttavia i lavori più faticosi vengono svolti da persone meno abbienti, che si accontentano di poco in cambio di tanta fatica.
Sapete però che tristemente la maggior parte delle persone che amministrano il bene pubblico lo fanno male, sfilando di tasca alle persone anche indigenti quei pochi soldi che hanno guadagnato, e operando al proprio fine particolare. Che fare? Che fatica sopportare queste ingiustizie! Siamo un po’ pigri. I nostri nonni hanno dato la vita per darci il bene più prezioso dopo la salute: la libertà. La libertà di fare fatica o di non farla o di investirla per studiare medicina o per fare il muratore, di far l’avvocato o il contadino.
La fatica più grande ahimè è quella di accettare di dover morire. Chi è più abbiente forse, ma forse, potrà curarsi meglio, ma la fine è un travaglio che costa una fatica che è più o meno grande per tutti. Chi è cattolico paga meno dazio, ma l’atroce sofferenza, lo strazio e l’agonia sono una fatica che non ha limiti e a tutti tocca. Io son cattolico, mio padre no. In lui ho sempre ammirato la coerenza nei confronti della morte, non ha mai cambiato di una virgola la sua posizione nei confronti della religione; anche se non svolgeva più politica attiva, perché ne era stato estromesso in quanto troppo onesto, continuava infaticabilmente a seguire tutte le notizie, dalla mattina presto quando si svegliava fino alla tarda notte, quando si addormentava spesso con la tv accesa su un qualche programma politico.
Concludo affermando che la fatica più bella è quella facevo in bicicletta, quando correvo negli amatori: scatti, contro scatti, salite e discese, caldo e freddo, la pioggia e il sole, il cuore che batte, i polmoni che scoppiano, i muscoli che si induriscono, vai in fuga, vieni raggiunto, cadi e ti rialzi, fino a quando non ne puoi proprio più.
Questa fatica è una piccola metafora della vita… a me piace l’idea di spenderla fino a quando arriverò al traguardo o non ce la farò proprio più.


Fabio Tolomelli


Umberto Boccioni: ‘La città che sale’ - 1919 (olio)


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Il soggetto del dipinto è una veduta di periferia di Milano in cui sorge un cantiere edilizio; è qui celebrato il mito dell’uomo moderno artefice del proprio mondo. Il quadro è un’esaltazione del lavoro e del movimento e ci comunica l’idea della fatica umana ed animale.
Nella “città che sale”, il cavallo e il turbine che lo avvolge rappresentano la forza del progresso, del divenire, della vita. Ma sono anche un tour-de-force in cui la dimensione temporale e quella inerente lo spazio, si rincorrono e infine si incontrano, fissando la visione come un intrico di attimi folgoranti, che si coordinano simultaneamente nella dimensione ottico-mnemonica.
L’opera ha una composizione assai complessa: infatti il gruppo dell’uomo e del cavallo, lo stesso, è ripetuto vicino-lontano (attraverso la simultaneità) e anche a destra e a sinistra. Si può dire che il dipinto è un’applicazione di quelli che Boccioni definisce “stati d’animo”.
La tecnica pittorica è ancora divisionista, filamentosa, alla Previati; la resa dello spazio è ancora prospettica; ma non si può negare che ci sia del nuovo, come quella “spinta vitale” che percorre tutto il dipinto e che i futuristi rimprovereranno ai cubisti di non aver rappresentato. Quella esaltazione della forza e del movimento, della quale sono protagonisti uomini e cavalli, non mezzi meccanici. Ciò fa capire come l’artista si muova anche nell’ambito del tardo simbolismo.


Piergiorgio Fanti


La fatica


Abbiamo letto la definizione della parola ‘fatica’ sul dizionario, ma non ci ha completamente soddisfatto: “sostantivo femminile (dal latino fatigare, affaticare – dal bulgnais fadiga ndr).
● Sensazione penosa che si prova a causa di un lavoro fisico o mentale prolungato e intenso: non reggersi per la fatica.
● Lavoro, azione impegnativa: questo romanzo è l’ultima fatica dell’autore.
● Fenomeno presentato dai metalli i quali, sottoposti a sollecitazioni ripetute, subiscono un abbassamento del loro carico di rottura.
A fatica, a malapena, a stento. Durar fatica, stentare a: durò fatica a convincerlo. Uomo di fatica, addetto ai lavori pesanti.”
A noi piace più intenderla così:
Nella Genesi dell’Antico Testamento la fatica o il lavoro sono una punizione divina, perché quando Adamo ed Eva hanno violato un ordine di Dio, ovvero l’ordine di non mangiare il pomo dell’albero della Conoscenza sono stati puniti. Il Dio Yahveh li punisce dicendo che loro e la loro discendenza, ovvero la specie umana, dovranno faticare e guadagnarsi il pane con il sudore della propria fronte.
Secondo gli Elleni, lavoro e fatica si chiamano ponos che significa pena. Quindi il lavoro e la fatica sono una punizione, come anche per i Cristiani e gli Ebrei nella Genesi.
In latino il termine negotium che significa negozio in italiano sta a significare nego otium, ovvero nego l’ozio. Quindi per i latini, il negozio è un luogo dove si lavora moltissimo, perché il negozio nega l’ozio, ovvero il riposo. Secondo i pagani, la vita è una fatica, perché la vita è una guerra su questa terra. In latino si dice vita est militia super terram.
Per i Cristiani la vita è una fatica, perché questa vita ed il mondo in cui viviamo sono lacrimarum valle, una valle di lacrime.
Ci sono tanti esempi.
La fatica di esprimere emozioni.
La fatica di stare al mondo.
La fatica mentale.
Ma la fatica può anche essere vista da altre prospettive. E proponiamo questi suggerimenti:
1. Innanzitutto è soggettiva. Ognuno ha la propria fatica ed ognuno la vive a suo modo.
2. La fatica è un mezzo necessario per arrivare ad uno scopo.
3. Siccome il lavoro è fatica, se non fossimo affaticati non ci sarebbero né lavoro né lavoratori e quindi non verrebbe prodotto nulla. Non avremmo un tetto sopra la testa, non avremmo acqua da bere e non potremmo nemmeno accendere una luce.
4. Dietro ogni servizio offerto dalla società, c’è almeno un uomo che lavora e fa fatica. Quindi, ogni volta che ci rivolgiamo a qualcuno, ricordiamoci che questo qualcuno fa o ha fatto fatica per noi.
5. La fatica ha anche un suo tempo. Ciò che è faticoso oggi, può non esserlo domani.
6. Senza fatica, tutto sarebbe facile come uno schiocco di dita. Avremmo tutto, senza fare nulla. Si avrebbero soltanto noia e monotonia.
Finiamo col dire che senza la fatica del lettore, questo articolo sarebbe solo un insieme di caratteri neri su un foglio bianco.


Gruppo Rassegna Stampa C.D. di Casalecchio


La fatica


Il termine ‘fatica’ è uno dei più abusati della lingua italiana. Letteralmente starebbe a significare ‘sforzo superiore al sopportabile’, ma in certi dialetti è sinonimo di ‘lavoro’ (vado a faticare = a lavorare) e questo svela tutto un mondo e una mentalità.
Per certe culture è un termine positivo (con la fatica ti guadagnerai il Paradiso, senza faticare non otterrai mai ciò che vuoi...) tutte affermazioni opinabili. Questa ‘fatica’, quindi, che significato ha nel nostro contesto quotidiano? Si prenda lo spunto dal fatto che una ‘fatica’ è qualsiasi azione, anche non pesante, ma eseguita malvolentieri. Io faccio serate di quattro ore di musica da solo, ma non sento fatica, è la mia vita, il mio lavoro, l'ho scelto e mi piace. Pulire i pavimenti di casa mia, anche solo per venti minuti è una fatica, non mi piace ma devo farlo. Tutto qui. E allora... Visto che senza lavorare non si vive (anche qui ci sarebbe da obiettare, ma è troppo tardi, non possiamo ritornare a 2000 anni fa, perché non tentare di farlo (e di farlo fare) nel modo meno faticoso e più creativo possibile? Ci sono computer che fanno cose pazzesche e impossibili fino a qualche anno fa, e allora? Se premendo un bottone posso vedere e parlare con un amico dall'altra parte del mondo, perché non far fare i lavori sporchi ai computer? I lavori più pesanti? La gente che fa una cosa malvolentieri, la fa MALE.
E questa ‘fatica’ che dovrebbe riscattarci (da cosa?) per renderci liberi e realizzati, perché c'è chi non sa nemmeno come è fatta? Che fatica fa chi sta a Montecitorio guadagnando 15.000 euro al mese minimo?
Buona vita e buon 2013. Almeno per me, quest'ultimo augurio è del tutto pleonastico.


Max Trentini


La fatica di vivere…


La fatica di vivere; la fatica di alzarsi ogni mattina per far venir sera; la fatica di aspettare, tutta la vita, la morte.
La fatica di chi lavora e soffre per guadagnarsi lo stipendio.
La fatica di sopportare le proprie malattie, tacendo e cercando di guarire, sapendo di non poterlo fare.
La fatica di chi è indifeso e non protetto da alcuno. La fatica di chi è derubato, picchiato, violentato e vessato.
La fatica di chi sopporta e tace.
La fatica di perdere sempre e di non essere neppure seppellito.
La fatica di chi chiede l’elemosina e muore di freddo dentro a un cartone o sopra una panchina.
La fatica di chi è pieno di rabbia e non si può sfogare.
La fatica di dover vivere senza scopo.


Ave Manservisi


Opinioni e sviluppo della parola fatica


Fatica, questa parola, da vedere, tocca ogni persona, chi più chi meno.
Qui si può delineare cioè scorporare in tante piccole strade, secondo il singolo individuo.
Il lavoro, visto in tutti gli aspetti (manuale o intellettuale), e questo porta a fare fatica secondo il singolo individuo o il tipo di lavoro svolto.
Poche persone però non sanno che col lavoro l'uomo viene liberato dalle catene che lo rendono schiavo alla vita.
Altri aspetti… la fatica e la sua storia.


Stefanone


Casca o non casca?


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un cubo sopra l’altro… è il gioco più bello e istruttivo che ci sia



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insegna a fare grandi cose… e a sopportare le frustrazioni



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Perché i crolli, purtroppo, nella vita sono sempre in agguato.
E una volta, due volte, tre volte… ci tocca leccarci le ferite e tirarci su le maniche. Aggiustare, rimediare, ricostruire.
Oppure cambiare, buttar via, ricominciare daccapo.
Che fatica, la vita! A volte ci sembra tutto così assurdo e inutile…
Eppure andiamo avanti, stringiamo i denti, e ci sentiamo vivi.
Vuoi vedere che è proprio la fatica a dare un senso alla vita?


Lucia


Quanta fatica!


Il significato della fatica possiede radici antiche ed ha riscontro nei valori, intesi come accadimenti nella società odierna. La fatica come ‘valore’ antico, la riconosco nel lavoro rurale (proprio della civiltà contadina): i campi, la terra, il sudore che imperla la fronte (facendola così preziosa), che cade sulle zolle di terra, rendendole fertili, oppure qualsiasi sforzo fisico o muscolare (lo sport, la ginnastica ecc.). Fatica nello spazio (correre, raggiungere un traguardo, o una meta... viaggiare... Fatica nel tempo (fare fatica ad essere puntuali, fare fatica ad alzarsi presto, fare fatica a far venire sera, fare fatica ad aspettare il tempo che passa) → solitudine → fare fatica a stare da soli. Fatica mentale: fatica a studiare, ad apprendere ma soprattutto: fatica a comprendere se stessi e gli altri, ancora di più, fatica ad essere capiti.
Al concetto della fatica, collego quello della paura, ad esempio: ho paura della fatica, ho paura a stare da sola → la fatica della solitudine, fatica ad uscire di casa, ad alzarsi dal letto (pigrizia), fatica ad accettare gli altri (insofferenza, intolleranza) a stare con gli altri, a incontrare gente. Questo tipo di fatica, genera vecchiaia cioè abbandono.
La fatica in senso fisico, invece, produce come effetto la stanchezza, che può portare all'esaurimento psico-fisico. In certe comunità terapeutiche usavano la fatica come misura di contenimento, o addirittura come terapia intensiva, atta a produrre uno sforzo, per arrivare ad una sorta di benessere, che altro non è che stanchezza.
Con i processi scientifici è cambiato tutto, nell'agricoltura si usano macchine e trattori, trebbiatrici ecc. Nei percorsi di cura si usano principalmente i farmaci, con il rischio però che il risultato, dopo tempi protratti, sia quello di una grave dipendenza, o effetti collaterali e problemi fisici, legati a questa dipendenza.
Ma sarà poi vero che le medicine tolgono la ‘fatica’ del mal di vivere, o ansia, o angoscia o solitudine? Chi si offre alla solitudine, diventa saggio, o un bravo studioso; chi è inquieto e d'animo riservato, può diventare un poeta, chi è d'animo nobile ama la musica, chi ha molti dubbi sulla vita può diventare un filosofo, chi ha una mente fervida e pensante, può fare lo scienziato. La ‘fatica’ intesa nel suo senso profondo, mi fa pensare alla ‘sofferenza’, quella che nella religione cattolica è rappresentata dalla Croce (es. avere una croce da portare, il fardello dei peccati, il peso dell'anima, il rimorso della coscienza, il rimpianto per cose non fatte). Tutta questa fatica è insita nell'uomo, ed è generata dal peccato originale, da quando, cioè, Adamo ed Eva disobbedirono a Dio e vennero cacciati dall'Eden (Paradiso Terrestre): “lavorerai con sudore e fatica (l'uomo), partorirai i tuoi figli con dolore (la donna)”. Questo Paradiso, quindi, sembra non esserci più, qui sulla Terra, è dunque distaccato, lontano dall'uomo, sospeso nel vuoto, relegato all'altezza e all'imperscrutabilità del Cielo? Dio ha abbandonato l'uomo, o l'uomo ha abbandonato Dio?
La Croce è dunque la ‘fatica’ più perfetta del genere umano che si fa divino, la perfezione della salvezza, la fatica di amare, perché per il nostro tornaconto personale, decidiamo di non amare qualcuno, di escluderlo dalla nostra vita (amicizia) e quindi finire per odiarlo. Si fa più fatica a dire un sì, che un no  Contrasto.
La fatica di amare, il male del secolo: ma vale veramente la pena di fare questa fatica?
"La risposta vola nel vento, la risposta è nel vento". (Bob Dylan)


Giorgia Bolognini


La forza e la fatica


La forza di sperare sempre anche quando tutto sembra negativo.
La forza di apprezzare e rendere grandi le piccole cose.
La forza di uscire dal guscio e rendersi autosufficienti.
La forza di: Volontà-Pazienza-Coraggio-Carattere-Razionalità-Ottimismo-Fede-Consapevolezza-Concentrazione-Meditazione-Rilassamento-Riposo.
La forza degli elementi NATURAVENTO-PIOGGIA-NEVE-SOLETERREMOTO-ERUZIONI VULCANICHE.
La fatica di vivere al meglio. La vita scorre in sé, con i suoi alti e bassi, con i suoi lati di luce e ombra, con il dolore e la gioia. Ma la vita è uno splendore, ed è sempre emozionante coglierne il mistero.
La fatica di alzarsi dal letto a volte è veramente insuperabile.
La fatica di mangiare quando non si ha fame e non va giù; oppure trattenersi dal saccheggiare la dispensa mangiando a tutte le ore.
La fatica ad uscire di casa e/o fare un lavoro che non ci soddisfa.
La fatica per ascoltare ‘l'altro’ che non la pensa come noi.
La fatica a prendere sonno quando mille pensieri frullano.
La fatica ad accettarsi per come siamo.

Un familiare


Che fatica avere tanta paura!


Faccio fatica anche a scrivere sulla fatica. Fatico a fare anche ogni minima attività quotidiana, perché ho il terrore di tutto, di tutti e maggiormente di me stessa. La fatica quasi sempre supera la soddisfazione per aver fatto qualunque cosa. Così la vita diventa una specie di obbligo a faticare, perché diversamente è la paralisi più completa, che è ben peggiore rispetto a ogni faticoso stento.
Spero che la mia esistenza sia arricchita dalla fatica, perché le cose, le situazioni, ci fanno onore anche in proporzione a quanto fatichiamo per esse. Ho sempre fatto tanto sforzo nella mia vita, fin da quando ero una bimba, perché sono sempre stata sofferente e non ho termini di paragone diretti per afferrare il senso e la quantità della fatica che le persone senza diagnosi compiono nel quotidiano. Devo approfittare sempre delle giornate in cui ‘funziono’, in cui ho meno paure e faccio meno fatica, per cercare di fare un po’ tutto quello che lascio indietro quando il malessere è troppo forte anche per pensare o per non rimuginare.
Si può pensare che io sia permeata dalla società del fare, ma non è così, perché spesso in questo mio modo di essere e appunto fatica anche essere, a volte non so neppure chi sono.
Quando devo relazionarmi con le persone o con me stessa, non so mai se ho sbagliato, detto, fatto bene, se ho interpretato bene le dinamiche di gruppo o se ho travisato, vittima ormai più di me stessa che di altri.
Quando si hanno tanti limiti il ‘fare’ viene rimodulato, rivalutato all'interno dell'esistenza individuale e sociale, per cui sotto un certo aspetto è più semplice vivere, non ci si affanna più se il pavimento di marmo di casa propria non è lucido di cera, basta sia pulito; non ci si dispera più se non si dimagrisce, come la società ti obbligherebbe a fare, perché è meglio essere grassi piuttosto che deliranti ecc... ecc...
Cerco di fare al meglio con impegno e passione ciò che faccio, cerco di essere la persona migliore che posso, basta! Ci vuole giusto equilibrio tra ciò che si deve essere, idem per ciò che concerne il fare. Questa è un'arte da imparare per tutti quanti, è l'armonia tra limiti e capacità, arte perché per riuscire in essa è necessario essere molto lucidi verso se stessi e la realtà esterna a noi.
Le mie giornate hanno un limite, termineranno nelle mie nottate, seguono le mie nottate, sogni miei colmi di incubi, a volte essi mi terrorizzano talmente che non voglio più riaddormentarmi o andare a letto dopo: è fatica, anche dormire!
Difendo tutti, difendo tutti, difendo tutti dalle loro paure e dalle mie e faccio fatica, soprattutto quando non comprendo che quella persona non aveva bisogno di essere difesa, o quando mi difendo prima di essere attaccata o quando non faccio nulla per non essere eventualmente attaccata, o quando mi sento attaccata così nel profondo che neppure riesco a difendermi. Che ne dite sani e non sani di queste fatiche ? La fatica delle fatiche è guardarmi allo specchio perché mi faccio schifo e soprattutto perché nel guardarmi provo imbarazzo per me stessa; quando esco indosso il mantello dell'invisibilità, caccio via l'idea di me e giro un po' stordita dalla mia assenza, che serve per sopravvivere.
Divento un animaletto che pensa che basti nascondersi per non essere visti, ma io sono una persona e lo so che mi vedono... e... faccio fatica... Sapete, faccio fatica a nascondermi dietro a un dito, a far finta che non sia ciò che è, cerco di essere intellettualmente onesta... E faccio fatica...


E.L.


Dio, che fatica!


Queste parole io credo siano state dette tante e tante volte, perché la fatica è qualcosa che si prova in situazioni diverse: c’è la fatica fisica che con un bagno caldo, una buona cena e una sana dormita ci permette di ripartire il giorno dopo e c’è la fatica psichica, che proprio non riusciamo a toglierci di dosso, perché non abbiamo voglia di lavarci, non ci va di mangiare regolarmente, facciamo fatica a prendere sonno, dormiamo male la notte e spesso abbiamo pure incubi. Quando ci svegliamo la mattina (se abbiamo dormito un po’), ci sentiamo come se non avessimo dormito per niente, tirarci fuori dal letto è un’impresa titanica e non siamo per niente pronti per una nuova giornata.
Spesso la causa di tutto ci può essere un lavoro che non ci piace, una situazione familiare che ci preoccupa, una fase critica generale che ci tormenta, un periodo depressivo. Quest’ultimo è il peggiore, perché a volte ci arriva addosso all’improvviso, ci fa sentire in uno scafandro pieno di sassi. Spesso non sappiamo cosa lo ha provocato e… non sappiamo come e quando terminerà. Quando siamo dentro il nostro scafandro spesso non ci va di fare nulla, soprattutto di vivere e in questa fase veniamo considerati pigri, svogliati, assurdi, incontentabili e ci sentiamo spesso chiedere: “Ma che cos’hai? Cosa ti manca? Ma che fine vuoi fare? Perché non esci? Perché ti trascuri?” … E tu non sai proprio cosa rispondere, e allora guardi la persona che ti fa la domanda e… ti chiudi a riccio, o cerchi l’angolino per leccarti le ferite, perché sai solo che soffri, che non hai voglia di niente e di nessuno, che fai una fatica boia ad affrontare le giornate interminabili che hai davanti, e che vivere diventa il più difficile dei mestieri.
Chi scrive per anni ha affrontato tutto ciò sentendosi una povera bestia… stupida, cretina e deficiente, perché si accusava di tutto quello che poteva aver causato il disastro generale, ma un po’ alla volta, con le terapie giuste, due periodi di psicoterapia e la ripresa di attività varie ha ricominciato a vivere, è uscita dallo scafandro e la fatica psichica è decisamente minore; la fisica è invece aumentata.
Ora mi basta rientrare in casa e vedere Nuvola (il mio micio bianco) che mi viene incontro, per sapere che la giornata fuori di casa è terminata senza drammi. Quello che ho imparato dalla fase ‘scafandro’ è che le terapie farmacologiche sono utili e necessarie, che il controllo dallo psichiatra ogni due o tre mesi è importante, che vedere, ogni tanto, i miei terapeuti mi fa bene, soprattutto all’umore e allo spirito.
In questo periodo non sto bene del tutto. È vero che faccio cose utili, belle e importanti (da quando frequento il gruppo A.M.A. Per un linguaggio comune) e incontro persone che mi piacciono molto, ma da venerdì 21 settembre ho perso Calzino, il mio micio tigrato (fratello di Nuvola) e sono molto triste. Entrare in casa e vedere solo Nuvola mi rattrista, uscire di casa a sapere che ora lascio Nuvola solo mi dispiace e poi… era bello averne due, che giravano per casa. Calzino era il mio micetto, stava sempre con me, dormiva con me e io spesso mi addormentavo sentendo le sue fusa.
So che devo essere forte, per Nuvola e per continuare a cercare Calzino, devo smetterla di dormire tanto il mattino e fare più cose durante la giornata, anche per muovermi maggiormente e smaltire un po’ di chili, che ho messo su quest’estate, e da quando è sparito Calzino. Voglio allontanare lo scafandro e sentirmi bene per tutta la giornata. Vorrei sentirmi leggera come una farfalla, ma… per questo… devo ritrovare Calzino e ridere, come quando mi faceva “MA” per attirare la mia attenzione e poi si metteva a pancia all’aria, perché gli facessi le coccole.


Tina



A volte basta poco


Alle volte, basta anche una piccola motivazione per vincere la ‘fatica’ della vita.
Ricordo che un mattino non riuscivo ad alzarmi, come se un macigno mi pesasse addosso.
Poi, d'improvviso, ho pensato che quel giorno era venerdì, e che era uscita la Settimana Enigmistica …
Bastò questo per farmi decidere a balzare giù dal letto, e cominciare quella giornata.



Edoardo Bellanca



Voclia di fare cioè Entusiasmo!!


La vita, è voglia di fare. La voglia di fare è entusiasmo.
Quando siamo depressi, non c’è entusiasmo, quindi c’è poca volontà di fare.
L’entusiasmo è dato da un insieme di fattori che caratterizzano il nostro passato-presente-futuro, cioè: il come è stata la vita fino adesso, se mi piace o no quello che devo fare adesso, e quali prospettive mi dà per il futuro.
Se sono un depresso è soprattutto perché giudico negativamente il percorso di vita fatto fino ad oggi, e se sono ancora vivo è perché la speranza è che la mia vita cambi radicalmente.
Quando si chiede a un depresso di tirare fuori la voglia di fare qualcosa, di fatto lo si sta illudendo che ci sarà alla fine uno di quei cambiamenti che lui cerca nella vita. Pertanto a mandare una persona così a fare una borsa lavoro a 3 € l’ora, si otterrà il risultato opposto a quello voluto, perché i depressi non sono dei deficienti, acconsentono a fare lo sforzo, che gli costa, per i trasporti e le sigarette, più dei 3 €.
Quindi poi ci sarà un cambiamento nella vita loro? No, sei lasciato nella condizione di prima, con in più che ci hai dedicato del tempo libero, hai dovuto sopportare delle persone che non ti considerano adulto e ti trattano come un bambino, oltretutto come dicevo prima, è costato anche economicamente.
Ora, che entusiasmo dovrebbe avere una persona presa in giro in questo modo?
L’entusiasmo minimo di una persona che lavora ed è per adesso ancora sana, è dato da un insieme di fattori che sono il risultato del suo lavoro: potersi permettere economicamente una famiglia, una casa, una macchina, la libertà (tanto cara a chi ci governa, ma che a noi viene negata), andare in ferie con la famiglia, insomma permettersi una vita decente, come minimo, e se poi uno si sforza di più, deve avere di più!
Ora tutto ciò non avviene più, quindi non può esserci entusiasmo e/o voglia di fare, e alcune persone si sentono anche prese per i fondelli o perlomeno di essere stati illusi per l’ennesima volta. Ma anche se lo diciamo le cose non cambiano, perché dietro a tutto ciò ci sono altri interessi che non collimano con il bene dei pazienti. Siamo lì perché siamo solo parcheggiati, come automobili rottamate.
Una delle cose che a me ha mandato di più in depressione è stata proprio la volontà di certi individui di farti passare l’entusiasmo, per me è così che poi ci si ammala di depressione.
È ancora un mondo diviso tra schiavi e ricchi, la soluzione è evidente ma se il popolo non si mette d’accordo per farlo, sarà sempre così. La voglia è entusiasmo per una vita migliore, che non ci vogliono dare e che non volete prendere! Non penso che saranno i depressi a ribellarsi, siamo stati ridotti a questo perché ribelli, e adesso siamo tenuti sotto controllo in un modo che voi non volete credere.
Se poi toccasse a vostro figlio di ammalarsi per non dire peggio, forse è meglio che vi riuniate tutti per fare una bella rivoluzione culturale che dia un presente ed un futuro ai vostri figli.
Cordialmente


Marco


Che fatica capire questo mondo - Elucubrazioni di Darietto


Capitolo 1 - Che fatica amare se stessi!!!


La mia vita ha avuto una radicale svolta a quindici anni, chiudendomi al mondo e rifiutando il mondo femminile. Poi intorno ai ventiquattro anni, la mia vita ha avuto il suo pieno collasso definitivo, con la depressione che fino a oggi mi porto addosso. Per fortuna sui ventisette anni circa mi sono riaperto al mondo, diventando più sereno. Però non riesco a piacermi... Quindi non mi amo!!!
Vorrei esser una bellissima donna, coi capelli biondi e gli occhi azzurri; avere un bel seno e delle belle gambe, in modo da poter attirare. Ho conosciuto molte trans e devo dire che erano bellissime.
Il mio corpo maschile mi impedisce di costituire un amore col sesso con cui mi trovo più a mio agio e quindi, con tristezza, penso sempre che nella mia vita resterò solo, in quanto credo che posti dove conoscere persone come me non ce ne siano (o se ce ne sono, sono impossibili da raggiungere).



Capitolo 2 - Che fatica camminare!!!


È da un bel po’ di tempo (anni, ma non vi so dire quanti) che, quando esco da casa, porto con me una ‘mini sedia’ (tipo quelle che si usano per andare a pesca) o uno sgabellino, per recarmi in centro città. Questo succede perché le panchine dove potersi sedere sono rarissime e nei posti dove devi attendere l’autobus di panchette non ce n’è nemmeno l’ombra: mi ero davvero stufato della condizione per la quale, in qualsiasi posto in cui mi dovevo recare in centro per far qualcosa, me ne dovevo star sempre in piedi e poi, tornando a casa, mi venivano sempre dei mali ai piedi e dei crampi ai polpacci che non auguro a nessuno!!!
Oltretutto, mi chiedo: “Come mai, pur essendoci molti anziani, il Comune non pensa a mettere delle panchine in più per la gente come loro, così possono rilassarsi ? O bisogna solo camminare, facendo il solco come in una vecchia pubblicità della Conad?”
Non parliamo poi (e qui concludo il discorso ‘camminare’) della novità assoluta che un nostro caro assessore dal nome di volatile ha messo nella ormai deturpata e bruttissima Bologna: i T-DAYS (che secondo certe voci servono contro l’inquinamento, ma secondo me servono a rompere le scatole ai cittadini e ai poveri straziati negozianti che già son colpiti dalla crisi). Il sabato, la domenica e i festivi, fanno chiudere il centro (la “zona T” costituita da via Indipendenza, via Ugo Bassi e via Rizzoli) per aprirli (sempre secondo loro) ai pedoni e alle biciclette. Quindi, durante quelle giornate, per cercar di raggiungere Piazza Nettuno e Piazza Maggiore ci vogliono delle belle sgobbate a piedi!!! Da quando fu inventata questa “biiiiip”, nei giorni di sabato, è rarissimo che io vada nella ‘zona T’. Guarda che caso, mentre pensavo: “Ma caspita, se c’è la crisi e fai camminare la gente senza farla riposare, vedrai che il centro si svuota!!!”, ho notato affisso fuori da molti negozianti, l’annuncio che i T-DAYS portano solo disgrazia per il centro: e qui, per l’appunto, dico: “Che fatica capire questo mondo !!!”



Capitolo 3 - Che fatica capire la gente !!!


L’autobus è il mezzo più utile per notare la quantità di gente strana...
Caso 1 - Ero seduto con un mio amico e sento dei brontolii vicino alla sede dell’autista, dove ci sono quei posti a sedere messi uno di fronte all’altro (non so se rendo l’idea), cioè uno è girato dalla parte normale e l’altro è girato ‘contromano’. Ad un tratto sentii una voce gnolosa e sgarbata che disse: “Lei pensa che io sia così anziana!?”; Il motivo: una giovane ragazza voleva gentilmente cedere il posto alla signora anziana... Da quel momento mi sono ripromesso di chiedere solo alle persone gentili e sorridenti che incontro in autobus se desiderano sedersi.
Caso 2 - Qui si tratta del periodo in cui i ‘bei rusconi’ governavano (fino al 2012). Di multe fatte dai controllori ne ho viste parecchie, ma i seguenti casi mi hanno sconcertato: come mai agli extracomunitari non viene raccolta la segnalazione di multa o, se viene fatta, molti di loro la stracciano con disinvoltura buttandola nella spazzatura? Forse perché erano protetti dai ‘bei rusconi’? Booo?
Caso 3 - Dal caso 2; come mai da quando sono scese ‘le montagne’ a governare, sono aumentati i controlli e i controllori sono diventati più austeri? Ma guarda che coincidenza...
Caso 4 - Dopo quel clamoroso caso ‘l’uomo che fissa le donne’ (che mi sembra successe su un treno, non ricordo), mi era venuta un’ansia!!! Il motivo? Molte donne ti fissano sull’autobus come per analizzarti, se sei un ladro, uno stupratore o chissà altro e questo m’innervosisce per tre buonissime ragioni: 1) Le donne non mi interessano; 2) Sono una persona buonissima; 3) Loro sono maleducate, perché fissano una persona. Quando mi trovo in circostanze fastidiose in cui mi sento fissato, mi metto quegli occhiali a specchio, così solo io so dove sto guardando e l’altra persona no: da quando lo faccio sto meglio con me stesso!!!
Caso 5 - Le borse delle donne e gli zaini sono una cosa davvero preoccupante!!! Già che quando gli autobus sono strapieni ci si deve incalzare per potersi muovere, ma poi se aggiungiamo tutti questi borsaioli... Non vi dico quante pacche (benissimo evitabili con un po’ di riguardo verso il prossimo, ma c’è un tal menefreghismo che fa paura!!!) si ricevono, quando si è in piedi, ma anche quando si è seduti (qui soprattutto le borse delle donne).
Caso 6 - Chi ha progettato gli ultimi autobus ? Lo desidero sapere... Mentre nei soliti autobus ci sono un sacco di stupendi finestrini da cui prendere una sana boccata d’aria, in questi recentissimi autobus, solo un paio di finestrini sono presenti e, addirittura, a volte sono chiusi con una chiave strana. Quando ci fu il periodo caldo, in uno di questi ultimi tipi ci salii sopra: non vi dico le saune che facevo, perché i cari autisti si divertivano a vederci soffrire (tanto loro il finestrino personale ce l’hanno)… e c’è chi ha troppo freddo o ha altre biiippate varie!!! E i seggiolini degli autobus che facevano girare senza aria condizionata durante la calura? Fornaci!!! Il sedere diventava come una mela matura quando è bella cotta!!! Ovviamente, anche qui i finestrini… diventa ‘la storia infinita’... Chi ha caldo, chi ha la claustrofobia, chi sente le puzze d’ascelle, chi ha paura della tosse, chi non vuole correnti d’aria, chi stranamente ha freddo (non sto scherzando), chi ha il raffreddore ecc... ecc...



Capitolo 4 - Che fatica far amicizia!!!


Ho chiuso il mio sito internet in quanto in questo periodo (forse una delle causa è la crisi ?), sto facendo una gran fatica a credere nell’amicizia: sembra che l’unico posto dove poter fare degli amici sia la scuola, peccato che non interessa studiare... A me piacerebbe conoscere dei luoghi dove potermi aggregare con giovani come me, e poter far delle nuove amicizie: ma ne ho letti tanti su internet e nessuno mi ispira (forse qui sbaglio?!). Purtroppo vedo molti centri per gli anziani e invece per i giovani non c'è nulla e questo è una cosa molto deludente e non capisco perché non venga trattato questo spazio. Ho sempre la sensazione che la gente abbia paura di avvicinarsi all’altro (saranno tutte le tragedie che si sentono nei TG a dare questa indifferenza?) e quindi penso che l’amicizia ne subisca la stessa violenta sorte. Questa cosa l’ho notata soprattutto nelle ragazze, le quali pensano sempre che uno ci vuole provare, invece che comprendere che uno vorrebbe solo star insieme per una semplicissima compagnia. Oh santo cielo!!! Che fatica far amicizia!!!


Darietto


Marco e M.Cristina
ovvero la faticosa ricerca di una vita normale


Io e Marco quando ci siamo incontrati eravamo soli, e soli combattevamo il male di vivere. Dopo esserci conosciuti un po’ meglio, abbiamo deciso di andare a convivere, perché ci siamo accorti di essere innamorati. L’uno era lo specchio dell’altro.
Non è stato e non è semplice stare insieme, soprattutto quando ci si incontra a una certa età (dopo i cinquanta). A volte è faticoso smussare certi angoli del carattere, perché se si ha sofferto, si soffre, si ha più paura.
Però è anche bello fare insieme progetti, avere idee, anche sognare, ma poi affrontare il quotidiano può diventare duro e stancante. Abbiamo scelto di trasferirci da Bologna a Porretta Terme, da soli abbiamo cercato casa, la organizziamo ogni giorno, il fine settimana ospitiamo il figlio di Marco, ci siamo inseriti in un nuovo contesto. Tanta fatica, ma ne è valsa la pena! Una vera rinascita. E a volte mi viene in mente quella bella canzone di Eugenio Finardi che diceva così:
L’amore non è nel cuore, ma è riconoscersi dall’odore, e non può esistere l’affetto senza un minimo di rispetto. E siccome non si può farne senza, ci vuole pazienza, perché l’amore è vivere insieme, l’amore è sì volersi bene, ma l’amore è fatto di gioia ma anche di noia.


Marco Rafani e M. Cristina Sinibaldi (Vergato)


Il prezzo della vita


Il costo della vita è vario. C’è fatica, sudore, dolore, alle volte gioia e amore. Ma ogni scelta, se sbagliata è, il prezzo sale! Puoi illuderti di raggiungere equilibrio, ma bisogna camminare sempre con la mente, con i ricordi, le speranze e i tuoi rimorsi. Poi capisci al di là della ragione che ci vuole compassione. Tutto si paga. Anche la gioia è da conquistare se nell’animo saggezza c’è!


Giovanna Giusti


Lettera creativa Zen sulla fatica


Di fatiche ce ne sono di due tipi: immaginando noi stessi nelle condizioni di dovere fare fatica, io penserei a tre segmenti consecutivi su una stessa retta AB-BC-CD:

pagina 1



Segmento AB
Sono ancora fermo e penso cosa accadrebbe qualora mi mettessi in movimento verso il segmento BC. Dovrei pensare all’età, al sesso, allo spazio, al tempo e alla durata dei movimenti (ore, giorni, settimane…), alla temperatura (caldo, freddo), all’ambiente (esterno, interno), alla luce (giorno, notte), all’allenamento, alla preparazione, agli ostacoli e ai pericoli da evitare. Riguardo ai sensi, come e se è possibile usarli: vederci o non vederci, sentire o non sentire ecc.
Segmento BC
Cosa sta facendo l’uomo: lavora, si diletta, professione, sport, artigiano, insegnante, giornalista, artista, musicista, pittore, scultore, cantante, attore ecc. ecc.
Considerazioni: se l’uomo attiva se stesso o deve fare esercizi o movimento, avrà dei tempi di sopportazione o resistenza più lunghi se sono buone le condizioni dell’ambiente nel quale esso si esprime e a seconda della sua natura, ma dovrà comunque saper rallentare e fermarsi prima del punto C del segmento: la lampadina l’ammonisce che da quel momento in poi, continuando, entra nel segmento CD, la zona d’ombra, la fatica.
Si sa che nel mondo del lavoro, della scienza, della tecnica, gli uomini si sono costruiti migliaia di utensili per aiutare se stessi a diminuire lo sforzo, come le piattaforme o i pozzi per estrarre il petrolio ecc. Poiché l’obiettivo dell’uomo sarebbe quello di diminuire lo sforzo ed aumentare il tempo di resistenza, ossia lavorare senza far fatica, ovvero terminare la propria attività e sentirsi normali o stanchi da poter recuperare con il cibo e il riposo.
Frasi sulla fatica.
Distinguendo quella che l’uomo fa o non fa, se si pensa alla proiezione della fatica, ossia se la colpa sia da attribuirsi agli utensili che usa: queste forbici, questo coltello fanno fatica a tagliare; il treno fa fatica ad essere puntuale, perché deve fermarsi di più e viaggiare molto carico, perché deve trasportare tutti i tifosi che vanno a vedere le proprie squadre negli stadi; questa batteria fa fatica a mettere in moto il motore perché è scarica.
Quelle fatiche dove si usano gli utensili potrebbero essere chiamate fatiche rumorose o molto rumorose: come quella dell’uso del martello pneumatico, o il martello battente del fabbro o maniscalco, o il trapano del dentista che fa anche paura.
Chiudo con gli utensili ed elenco un po’ di fatiche silenziose.
Faccio fatica a ricordarmi; una fatica da morire; la fatica della gravidanza e del parto; faccio fatica a crederci; faccio fatica a sopportarlo; faccio fatica a stare in piedi; faccio fatica a resistere per il caldo o per il freddo; faccio fatica ad arrivare a fine mese; faccio fatica a star sveglio; faccio fatica a sopportare chi non è puntuale; fare fatica a masticare, fare fatica a comprendere i diversi idiomi; fare fatica a vincere nel gioco; far fatica a far centro nel tiro con l’arco; far fatica a cercare lavoro; far fatica a dormire; far fatica ad avere una buona salute; far fatica ad intendere; far fatica ad amare; far fatica ad ascoltare chi canta male o chi suona male; far fatica a tacere; far fatica ad ascoltare chi racconta all’infinito storie brutte sulla propria cattiva sorte; far fatica a mangiare e dimagrire e fare poca fatica a mangiare e ad ingrassare; fare fatica a smettere di fumare o a smettere di bere.
Faccio fatica, troppa fatica, a continuare… e mi fermo.


Luigi Zen


Qualche banalità


Il lavoro:
“Lavorare è fatica”
“Chi non lavora, non mangia”
“Chi non lavora non sbaglia”
“Chi lavora, sbaglia... per il solo fatto di lavorare?” (????)
“Chi non lavora fa bene... se può vivere di rendita?” (????)

Le sigarette:
“smettere di fumare è fatica”
“...ma chi fuma, per questo, muore ?”

La morte:
“concepire la morte è fatica”
“ma anche morire è fatica”

"Pardonnez moi, mais maintenant, je suis très fatigué... "


Matteo Bosinelli


Angoscia


Guardo la mia sveglia a cristalli liquidi
e vedo le ore che brillano,
sono piccole ore perché è notte fonda
ma ad un tratto sembran fermarsi,
perché vivo un’angoscia profonda.
Sento campane che suonano a festa
ma non le voglio sentire
perché accanto a me c’è qualcuno
che vuole per sempre dormire…
In infime acque sprofondo,
la voce mi sento mancare
le mani ed i piedi non posso più usare
ho gli occhi che nulla posson vedere
e le mie orecchie nulla posson sentire
e più non posso gustare il sapore
di quello che chiamano amore.
Ma l’alba del nuovo giorno
ritorna ridente e felice,
ho soltanto sognato,
ma ho anche capito
cosa vuol dire soffrire.
“Che fatica sopportare il dolore”


Mariangela Soavi


5 novembre 2012 h 17.45


Ho accumulato, accumulato
per anni
pressato nei polmoni,
nel cervello
quel fastidioso non so che
di amaro
che intralcia lo sguardo,
che spezza la parola,
che spegne il cognitivo,
che vigliaccamente non cerca risposte.
Pulisco decidendo di riciclare
la mia vita.
Forse risposte non ci saranno
ma sarà bello
accettare il cielo e con lui
il tempo che passa chiaro,
accettare la ruga naturale
di una vecchiaia trasparente.
La nicotina ha insidiato
maltrattando la mia vita.
Smetto di fumare,
oggi 5 novembre 2012 h17. 45.
Cinquant’anni da riciclare.
… Fare in modo di respirare piano, guardare il cielo,
la terra, a passo veloce verso casa…
i polmoni cominciano a volermi bene…


Marcella Colaci


Solleva quei pesi


Guarda il bilanciere
È carico,pronto per essere tirato su,
è ora che tu lo sollevi.
Sdraiati sulla panca,
mettiti i guanti,
la cintura per la schiena,
guarda l’orologio
e pompa…
Tira su quel carico immenso,
Non pensare a quanto è,
solleva tutti quei chili
e diventa forte, molto forte!
Questo per te è un passatempo
abbastanza impegnativo,
ma così diventi forte
ed impari a superare le difficoltà.
Tutti questi dischi forse sono
un po’ troppi,
il loro peso ti farà faticare molto.
La struttura della panca
è molto resistente,
uno strumento semplice,
ma allo stesso tempo molto sofisticato.
Hai finito la prima serie,
i battiti sono aumentati,
lo sforzo si sente sui pettorali.
Ora dopo un adeguato recupero
faccio la seconda serie.
Con un movimento ormai familiare,
veloce e ripetitivo finisco,
ma manca ancora la terza serie.
Pausa ci vuole un attimo per riposarsi
E mi lancio per finire le serie.
Questa è l’ultima,
ormai la fatica si sente,
ora ho finito.
Ho faticato molto,
ma mi sento soddisfatto per lo sforzo
che sono riuscito a fare.


Loopa Sonivree


Che fatica capire questo mondo...



Che fatica capire questo mondo
nonostante sia rotondo.
La politica mangia il denaro
mentre il povero diventa somaro,
l'ingiustizia regna sovrana
tanto che la “savana”,
approdata nelle città ormai oscure,
fa incetta di misteri, morti e fratture.
Queste porteranno
l'uomo a vivere sotto un tiranno
che democrazia è finzione
non è in piedi, non è in funzione
ma la spinge un dramma più grave:
il menefreghismo che su molti è soave.
L'uomo pensa di essere intelligente
ma gli animali e la gente
devono confrontarsi
perché loro insegnano a comportarsi.
La natura è una cosa meravigliosa
ma per l'uomo sembra quasi fastidiosa,
la sta distruggendo senza scrupoli
come se fosse una sua metropoli.
Sperando che nostro Signore
ci dia una mano in tutte le ore,
mandiamo una preghiera
a chi al mondo ancora spera,
sia ottimista, sereno e sincero
perché capir questo mondo è un bel pensiero.


Darietto


Mangiatoia


Accorsero dai monti e dalle valli,
dai borghi e le contrade, ad ogni via,
a piedi o in groppa ad asini o cavalli
per quel richiamo in cielo o per magia

portando sotto braccio o sulle spalle
doni a quel re, col cor pieno di gioia,
ch’è nato nel tepore d’una stalla
sopra la paglia d’una mangiatoia.

Nacque Gesù, morì per noi e risorse
ma nella greppia sparì pure la paglia…
Riempiono le tasche e pur le borse
opportunisti, pezzi di canaglia,

ingordi, ladri e pensionati “d’oro,”
gaudenti spesati dello Stato,
senza pudore e senza alcun decoro
che vengono lodati e pur premiati.

Raccolgono le briciole di pane
lavoratori tutti e bassa classe
ma ‘sti politicanti, porco cane,
li crocifiggon pure con le tasse.


R.G.


La popolana


Vengo dalla terra
e da lei ho imparato
quando s'alza il vento
quando cresce il grano.

Vengo dal lavoro
e da lì ho imparato
quando scatta l'ora
quando il diritto è umano.

Vengo dal popolo
fatto di proletariato
fatto di concretezza
fatto di saggezza.

Vedi al mattino la mia fronte?
Vedi la sera lungo il ponte?

Torno a casa ancora fiera,
popolana vera, forte, popolana di lotte, sincera.

Non sai cos'è il rispetto
di questo tempo che ti è servito
pettinato e riverito.

Non senti il gallo?
Svegliati è ora,
la popolana è sveglia, sappilo, lavora.

Sappi pure che mente
non c'è più fina
di una popolana e di una contadina.


Marcella Colaci


È Natale


È Natale ogni volta che sorridi
a un fratello
a cui tendi una mano.
È Natale ogni volta che stai
in silenzio
per ascoltare un’amica.
È Natale ogni volta che speri
con chi soffre.
È Natale ogni volta che permetti
di amare gli altri
attraverso il Signore.


Giovanna Giusti





Occhi


Occhi attenti alle meraviglie del creato
stupefatti per la perfezione della natura.
Occhi miti, aperti all’amore,
che scavalcano i torti e il dolore.
Occhi che esprimono dolcezza
in ogni gesto quotidiano.
Occhi da amare, occhi che amano!
Dedicato a mia madre.


Giovanna Giusti


Ti osservo


Ti osservo
il sole non ti scalda
È lento il tuo incedere
incerta è la strada
che ogni giorno percorri
uguale e monotona
il tuo passo è freddo
La terra che calpesti
non lascia traccia
I fiori nel lento avanzare
non mettono radici
Sono fragili
Solo un piccolissimo sorriso
Prima di sera
Hanno chiuso le loro corolle.


Anonimo


La fatica


La zappa e lo scalpello
per quest'angolo mio bello
ma nella camera ci sei anche tu
e tutti e due con i piedi all'insù.
Il fagiano e la gallina
ma com'è fatica
strozzarla in cantina.


Paola Scatola


Piolo per piolo


“Se al luogo ove volessi pervenire si potesse salire
solo con una scala desisterei dal raggiungerlo.
Infatti dove debbo tendere davvero, lì devo in realtà già essere.”
Ludwig Wittgenstein


Ciò di cui vorrei occuparmi è un fenomeno, apparentemente strano, che riguarda la valutazione che gli esseri umani danno delle attività che comportano fatica: da un lato sembrano particolarmente apprezzati i conseguimenti che richiedono un elevato impegno ed una grande fatica, ma dall’altro, una valutazione ugualmente elevata sembra venire riservata ai conseguimenti che, se pur molto complessi, ci risultano estremamente naturali e dunque non faticosi.
Naturalmente ci saranno al riguardo differenti sensibilità tra persona e persona, ma, chi più chi meno, tutti gli uomini sembrano presentare questa duplicità di giudizio. E a me pare che teorie riconducibili a questa duplicità di giudizio siano rintracciabili lungo l’intera storia del pensiero umano (almeno di quello occidentale, che meglio conosco).
Faccio un solo esempio riguardante il problema teologico relativo al libero arbitrio e all’intervento della Grazia divina. Il problema era quello di decidere se l’uomo potesse raggiungere con le sue sole forze (e dunque con sforzo e fatica) la salvezza eterna o, all’altro estremo, se fosse sufficiente il gratuito intervento di Dio, senza alcuna collaborazione da parte dell’uomo, e dunque senza fatica alcuna, per ottenere tale salvezza (naturalmente tra questi due estremi si situa la quasi infinita serie di posizioni teologiche concretamente enunciate nei secoli). E il fatto che nessuna di queste posizioni sia mai riuscita ad affermarsi definitivamente sta - secondo me - ad indicare come sia estremamente difficile per l’uomo optare per l’una o per l’altra alternativa, visto che da entrambe siamo ugualmente costituiti.
Un primo tentativo per cercare di spiegare questa duplicità, apparentemente contraddittoria, potrebbe essere quello di sostenere che essa ci sia stata instillata con l’educazione, negli anni dalla nostra formazione: da un lato quando da bambini ci veniva assegnato un compito sgradito, che so, riordinare la nostra stanza, una volta eseguitolo venivamo gratificati dai complimenti dei nostri genitori, e quindi rafforzati nell’impegnarci ad eseguire comportamenti consimili e a riuscire a trarne piacere, ad onta della sua loro spiacevolezza oggettiva; dall’altro lato, però, se possedevamo una qualche dote naturale (e quale bambino, agli occhi dei suoi genitori, non ne ha qualcuna?), gli adulti ci riempivano di complimenti gratificanti per questa dote, ed essi nascevano proprio dalla naturalità di quella dote, dal fatto che senza nessuna fatica riuscivamo in quella data cosa. E dunque, secondo questa teoria, sin dall’infanzia saremmo stati abituati a considerare come positive e apprezzabili sia le cose che ci costano fatica, proprio per il loro costarci fatica, sia le cose che di fatica non ce ne richiedono affatto, proprio per il loro venirci naturali.
Ma io nutro forti dubbi sul fatto che tutto ciò possa essere ricondotto a un problema di educazione: tutt’al più l’educazione può aver rivestito un ruolo di rafforzamento di una situazione già naturalmente insita nell’essere umano.
Un’altra strada che potremmo seguire per dare conto di questa strana duplicità consiste nell’associare le due modalità suddette a due differenti parti costitutive del nostro essere uomini: legando la prima, quella della gratuità, dell’assenza di fatica, della levità, alla nostra parte più istintuale; ciò che è inscritto più profondamente nel nostro essere, ci risulta – per definizione - naturale e ‘automatico’, e poiché i comportamenti che il nostro istinto ci prescrive sono abitualmente di breve durata, difficilmente ci portano a sopportare delle fatiche prolungate. È allora possibile che i comportamenti che pur derivando da una parte più recente del nostro sviluppo filogenetico, ma che imitano la naturalità di quella parte più antica, ci risultino per qualche motivo (difficilmente precisabile allo stadio attuale delle nostre conoscenze) graditi. E assoceremo invece l’altra parte, quella legata all’esecuzione di impegni faticosi, alla nostra parte raziocinante, quella che ci distingue dagli altri animali: la parte progettuale della nostra mente, che ponendoci, con l’immaginazione, in ipotetiche situazioni differenti da quella attuale ci fa progettare una serie di azioni che, nei nostri intenti, dovrebbero condurci a quella situazione immaginata (ed a volte è un ben lungo percorso: se la situazione immaginata è quella di essere un pediatra, mi devo sobbarcare come minimo dieci anni di studi universitari e specialistici per poterla raggiungere; una bella fatica davvero!). Il problema è che questa seconda modalità a prima vista appare abbastanza insensata, perché se è vero che ci sono un discreto numero di probabilità che, se uno ci mette il dovuto impegno, volendo divenire pediatra lo divenga realmente, mi pare assai dubbio che l’attività progettuale possa risultarci utile per ciò che realmente ci interessa. Nessuno, sino a prova contraria, vuole divenire pediatra per il solo gusto di esserlo, bensì perché immagina che, divenutolo, sarà felice di esercitare quella professione: si immagina nella situazione in cui svolge quel mestiere e si vede felice di farlo. Ma credo sia esperienza comune che la nostra capacità di progettare i nostri stati d’animo da qui a un’ora sia assai prossima allo zero, figuriamoci da qui a dieci anni! E dunque ci sobbarchiamo una fatica immane senza alcuna garanzia che ciò serva a qualcosa.
Naturalmente non agiamo, o non crediamo di agire, solo per incrementare il nostro grado di felicità, ci sono una serie di comportamenti che riguardiamo come ‘doveri’, che ci possono far sobbarcare una serie di fatiche altrimenti incomprensibili. Ma il mio sospetto è quello che i precetti etici, pur affondando le proprie radici in qualcosa di arcaico e originario, si siano poi evoluti anche con lo scopo di dare un senso ai comportamenti sopra illustrati, che di senso sembrano essere privi. Diciamocela tutta: se c’è una cosa in cui l’essere umano eccelle, è quella di cantarsele e suonarsele come più gli faccia comodo. A questo punto pare inevitabile domandarsi se il nostro fare progetti, con il corollario di tutte le fatiche che essi comportano, sia privo di senso. La domanda è mal posta, non è il ‘senso’, ma la ‘necessità’ che ci porta a ciò: viviamo in un mondo di progetti perché non possiamo - fisicamente - farne a meno. Che ci piaccia o meno il nostro cervello è strutturato per elaborare in continuazione situazioni e mondi possibili, diversi da quello che consideriamo il mondo reale.
Può anche essere che la parte arcaica del nostro cervello ‘sopporti con fatica’ (qualunque cosa ciò possa voler dire) i continui e apparentemente insensati balletti della parte più recente del cervello, ma tant’è, questo noi siamo, che ci piaccia o meno. Cercare di favorire oltre un certo limite una parte della nostra natura, sia pur importante, a scapito di un’altra parte, ugualmente importante, non è giusto o sbagliato, è impossibile. Tutt’al più, ciò che possiamo fare è cercare di dare il giusto peso a questa attività immaginativo-progettuale, e non caricarla di significati che le sue gracili spalle non possono reggere. Cercare di comprendere come la progettazione non sia un mezzo, ma il fine.
Parafrasando Michelstaedter potremmo dire: ‘progettare’ non è per ‘aver progettato’, ma per ‘progettare’. E con riferimento alla citazione di Wittgenstein su riportata, potremmo dire che per noi l’unico scopo sensato del salire una scala, sia proprio quello di salire piolo per piolo quella determinata scala, non di andare da qualche parte.

Caminante, son tus huellas
el camino, y nada más;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
(Antonio Machado)


[Viandante, la via sono le tue orme, / e nulla più; / viandante non c’è via, / la via si fa con l’andare.]


Antonio Marco Serra


Una riflessione


Auguro innanzitutto un bellissimo Anno 2013 a tutta la redazione de Il Faro.
Una riflessione, sfogliando il numero sul Lavoro: basta la citazione del Petrarca a spiegare tutto (Il lavoro e l’applicazione continui sono il cibo del mio spirito. Quando comincerò a cercare il riposo, allora smetterò di vivere. NDR).
Per quanta possa essere la fatica e aggiungo, per quanto può apparire inutile e avvilente, si smette di lavorare solo stesi.


Luca Montesi


Pensieri


Facendomi accarezzare da questo vento gelido. Accanto a me un cumulo di neve nera, tutta nera, il candore è sparito. Intanto continua a cadere ed io cerco di concentrarmi nel guardarla sparire sotto i piedi. Accucciandomi sulle ginocchia la ritrovo candida e bella senza che nessuno la possa far morire ancora prima di nascere.


* * * * *


La fatica non è nel corpo, ma nell’anima, quella che sento io, il dover sentire dolore e continuare a sorreggermi sulle gambe, e cercare di andare avanti facendomi largo in questo mondo di sudore e lacrime, ed accorgermi che quello che ho dentro è da tirare fuori e vivere di sudore e lacrime.


* * * * *


Farnetico in questo mondo così poco chiaro e faticoso.
Argomentazioni mille e spente, perché il mio cuore è chiuso e pieno di dolore?
Trovassi la via giusta per ritornare sulla strada e non farmi più schiacciare.
Invece tendo a barcollare e rendermi conto che sono viva che se barcollo il mio cuore batte, batte e ribatte.
Allora cosa sto cercando in questo mondo così colorato?


Loredana Linari


Fatica



Andando su un pendio
che porta in cima alla collina,
cammini ansimando.
Più sali
e più respiri aria pura.
Quando poi sei abituato
alla salita
ecco che il tuo respiro
diventa regolare.
Così è chi cerca l’amore
e la strada del Padre.

Roberto
("Vento di Ponente" n°0 dic. 2004
Bollettino interno di Comunicazione a cura del C.S.M. di Albenga)


L’esistenzialismo dell’immigrato


Andando verso l’aeroporto, (ormai quasi quattro anni fa) mi chiedevo in continuazione: “ ma quanto devo ancora soffrire”; ero sicura di non essere la sola alla quale frullava in testa questa domanda. Non avevo una risposta precisa ma ero sicura che per maturare, per radicarmi nella nuova realtà alla quale andavo incontro, avevo bisogno di faticare.
E fatica vuol dire sofferenza. Ed ora eccomi qui. Devo dire che ho faticato tanto. Quante notti in bianco, quanti sorrisi spezzati da frasi di discriminazione … e quel senso di non appartenenza a nessuna categoria era diventato parte di me.
“Né carne, né pesce”; mi sento così tutt’ora, con la differenza che questo “stato” inizia a piacermi. Certo che essere immigrati non è facile. Si tratta di una sofferenza esistenziale, segreta. Differente dal dolore fisico, il quale si può curare con una medicina. Ora, studiando, imparando, vivendo molte cose mi rendo conto che la crisi esistenziale appartiene a tutti. Ora non mi vergogno più quando i sorrisi si interrompono appena dico di essere “albanese”.
Ora sorrido con amarezza a queste persone che temono “l’extracomunitario”, parola divenuta offensiva. Ora vedo questa follia umana di cinismo superficiale e di insicurezza. Quasi come un voluto rifugio nell’ignoranza per non soffrire, per non capire. Perché la sapienza nasce dal dolore ed è fulcro di esso. La crescita in tutte le sue tappe, comporta l’acquisizione di una visione sempre più realistica del mondo e di conseguenza un contatto sempre più limpido con il dolore in tutte le sue sfumature.
Ed ora mi pare di essere consapevole che il dolore, per quanto ingiusto, non è mai inutile perché amplia il nostro angolo interiore.


Leoreta Ndoci, Cuneo
(MenteInPace - anno V, numero 6 - giugno 2011)


La fatica, la pigrizia e le scorciatoie


La pigrizia

La pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò
mezzogiorno era passato
quando a casa ritornò.
Prese l’acqua e accese il fuoco
si sedette e riposò
ed intanto a poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la comare se ne andò.



“Che giornataccia, che fatica!”, aggiungo io.
Spesso da bambina recitavo questa filastrocca che, sebbene sia puerile, può insegnarci qualcosa. Come considerare ad esempio la fatica fisica. Se ascoltiamo troppo la fatica fisica possiamo cadere nella trappola della pigrizia, con conseguenze spiacevoli, come ad esempio la perdita del lavoro, che tradotto significa niente cibo, niente casa, niente vestiario, niente di tutto.
Inoltre la fatica mal concepita, se accompagnata dall’indigenza, può indurci a cercare il lavoro facile, ovvero il guadagno facile. Questo è quello che accade a molti giovani di Scampia, un degradato quartiere della periferia di Napoli che detiene il primato europeo dello spaccio e dove a dominare sono la povertà e la camorra! Uno di questi giovani è un ragazzo a cui darò un nome di fantasia, che attratto dal guadagno facile si è apprestato a lavorare con questa organizzazione criminale. In una breve narrazione vi farò conoscere la sua esperienza. Tommy ha solo tredici anni ed è il primo di cinque figli. Una famiglia numerosa con gravi difficoltà economiche. Spesso in famiglia si salta la cena, oppure Tommy è costretto a elemosinare per racimolare qualcosa.
Ha frequentato solo la scuola primaria e da quando ha lasciato gli studi la sua casa è diventata la strada. I genitori non si preoccupano, perché il padre lavora saltuariamente e la madre è alcolizzata e le bocche da sfamare sono tante, così il ragazzo si trova spesso a girovagare nei bassifondi dove abita. Girovagando di notte conosce uno spacciatore che gli offre di spacciare cocaina promettendogli che con poca fatica diventerà ricco.
Tommy è molto giovane, ma è un ragazzo responsabile e sa che la sua famiglia ha veramente bisogno di denaro, così decide di accettare la sua offerta, per migliorare le sue condizioni economiche. Il ragazzo svolge questa sua attività per sei mesi, finché una notte un poliziotto in borghese lo nota. Tommy è impaurito, perché teme il carcere, ma il poliziotto lo rassicura dicendo che andranno solo al posto di polizia per una breve chiacchierata. Durante il colloquio con Tommy le forze dell’ordine vengono a conoscenza della sua situazione famigliare e comprendono che il ragazzo è stato adescato, così viene deciso di non punirlo, ma di dare a Tommy la possibilità di lavorare. Ora lavora come garzone in una trattoria e sebbene il suo sia un lavoro di fatica è consapevole di svolgere un lavoro dignitoso, anche se umile… ma è soprattutto orgoglioso di poter dare alla famiglia il suo contributo, più piccolo ma più onesto.
Questo racconto è ispirato a una storia vera ma con modalità diverse.


Mariangela Soavi


Piccola storia Zen


Come si nasce in senso matematico, sulla fatica di concepire… ispirato alla frase: ‘crescete e moltiplicatevi’.
Sulla capacità o fatica ad intendere… sembra che questa frase (‘crescete e moltiplicatevi’) voglia dire che poi saranno cavoli nostri se siamo sei-sette miliardi. Sembra anche voler dire che gli uomini nel crescere di numero utilizzano la moltiplicazione; che vorrebbe dire: ‘andate e crescete di numero’; ma gli uomini non crescono con la moltiplicazione, ma con la divisione; poiché si dice che ‘chi fa da sé fa per tre’ o ‘farsi in quattro’.
Se una donna ha un rapporto con un uomo, che è una divisione, si dice che lei ci sta e lui lo fa; se ci sta vuol dire che lei ha in testa un piccolo numero che divide con un numero grande che lui ha in testa, e se il resto di questa divisione è zero, lo possono fare un numero infinito di volte e non nasce niente, è un’unione perfetta… Se però dopo un certo tempo lui o lei cambiano di corpo o di mente, e cambiano anche il numero che hanno in testa, in modo che il risultato della divisione non è più zero, questo resto sono i figli che possono nascere, con valori positivi o negativi, o con valori misti, positivi e negativi. E lei dirà: sono rimasta incinta.
E quindi noi sei-sette miliardi di esseri umani siamo nati perché ci siamo divisi tantissime volte dalle nostre madri; e quando i genitori muoiono, noi figli siamo i loro resti viventi, a prescindere da quello che lasciano o meno di beni materiali.


Luigi Zen


RTP Casa M. D. Mantovani
Laboratorio espressivo di narrativa e scrittura creativa


Il miglior riconoscimento per la fatica fatta non è ciò che se ne ricava,
ma ciò che si diventa grazie a essa.
John Ruskin



Fatica

Ho sempre amato la fatica,
quella fisica, che fa ansimare,
che tormenta le fibre.

Amo pedalare,
anche quando la terra biancheggia gelida,
quando il freddo taglia la faccia ed
il fiato non fa in tempo a scaldarmi il naso.

Amo pedalare anche senza ruote,
surrogato di un'epoca eroica ormai perduta.

I volani girano ed il loro turbinio ronza nell'aria.

Come la carota davanti al muso dell'animale,
l'odioso ritmo della musica
ti spinge a non fermarti
ed una voce urla che non si scherza più.

Il caldo è opprimente.

Lo sforzo aumenta e nessuno vuole cedere,
gli specchi sono opachi e la stanza

sembra proiettarci nelle verdi e nebbiose
distese invernali.

I muscoli si ribellano, il dolore
si fa strada ed un bip mi avverte quali
siano le mie colonne d'Ercole.

È già un po' che ho girato la mia
clessidra ed i cristalli mi riportano a più miti consigli.

Ma io non sono fatto per mollare,
non l'ho mai fatto!!

Le mie gambe urlano il loro sforzo,
l'ordine è di avanzare e i miei occhi sono ipnotizzati
dall'incedere ossessivo dei pedali.

Siamo giunti in cima e
il capo squadra ci saluta,
corpi madidi si allontanano lasciando
tracce salate sul terreno.

Nel silenzio,
continuo a pedalare e sono i miei pensieri
che guidano la danza.

Pensieri solitari...
le labbra non avvertono più sapori di sale,
sembrano quasi dolci!

Per chi stai piangendo stupido?
Non c'è nessuno ad impietosirsi...

La fatica è la mia alleata,
non mi arrenderò alla vita!

           Umberto Sartori




Dopo aver letto la poesia, scrivi qual è secondo te il messaggio che il poeta vuol trasmettere.



Il poeta ci vuole dire che la vita è un continuo pedalare e andare avanti e che la fatica fa parte della vita.

Luana F.




La fatica fisica può essere tollerata e giustificata da una grande motivazione psicologica… il Poeta ci dice: Non mi arrendo alla vita, devo andare avanti!

Gianluigi M.




La vita è fatica, non bisogna arrendersi. Faticare può dare anche le sue soddisfazioni!

Silvio B.




Il poeta ama la fatica sotto il sole e con il ghiaccio perché, se effettuata con determinazione, lo porta a migliorare se stesso e ad apprezzare il senso della vita.

Massimiliano D.




Secondo me il poeta vuol dire che nella vita non ci si deve mai arrendere alle difficoltà. A forza di affrontarle non sembrano neanche così dure…

P.L.C.




Si può superare la fatica facendo leva sulla propria volontà. Il segreto per sostenere i problemi quotidiani è nella mente e nella razionalità. E’ difficile da metter e in moto, ma non impossibile.

Barbara G.




La vita è fatica anche a stare con gli altri… le persone si aiutano ad affrontare i problemi e le paure. Io ad esempio ho paura di fare il prelievo e faccio tanta fatica ad andare, ma c’è sempre qualcuno con me!

Mariangela D.




Scegli quella che ti piace di più tra le seguenti frasi sulla fatica e commentala.



1. Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità! (Ecclesiaste)

2. Chi mal si marita non esce mai di fatica. (Proverbio)

3. In ogni fatica c'è un vantaggio, ma la loquacità produce solo miseria. (Salomone)

4. L'insopportabile fatica di non far niente. (Sir Richard Steele)

La nostra mente è abituata ad una certa tensione … bisogna che questa attività sia indirizzata ad uno scopo che porti interesse e speranza al soggetto.

Gianluigi M.


5 . L'uomo è nato per muoversi, per scrutare, per sapere chi è, che cosa fa, dove va. Se l'uomo muore sotto la fatica, egli muore onorato e forse utile agli altri. (Massimo D'Azeglio)

6. Le difficoltà rafforzano la mente, come la fatica rafforza il corpo. (Seneca)

7. Spesso l'amore non conosce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine. L'amore non sente gravezza, non tiene conto della fatica, anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile. (T. da Kempis)

L’amore permette di svagarsi e superare le difficoltà con tenacia. Tenacia e fatica vanno di pari passo e ti rendono migliore!

Massimiliano D.


8. Un sorriso non costa nulla, ma vale molto. Arricchisce chi lo riceve e chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo valore è talora eterno. Nessuno è tanto ricco da poterne fare a meno, e nessuno è talmente povero da non poterlo dare. In casa porta felicità, nella fatica infonde coraggio. (P. Faber)

Penso che un sorriso sincero valga più di mille parole… soprattutto nei momenti di sconforto e di fatica che, inevitabilmente, prima o poi tutti viviamo.

P.L.C.


9. Una fatica tenace supera tutte le difficoltà. (Virgilio) Più t’impegni a combattere nella vita, più otterrai i risultati e sarà bello raggiungerli proprio perché ti son costati tanta fatica!

Luana F.



Che cos’è per te la fatica



Per me la fatica fa parte della vita, è un continuo superare le difficoltà di tutti i giorni.

Luana F.




Il corpo deve avere una sua attività fisica, a me sembra sia stato creato per questo! Ma è bene non eccedere… la fatica è talvolta dannosa …

Gianluigi M.




Per me la fatica è difficoltà e talvolta stanchezza nel tirare avanti!

Silvio B.




La fatica fa parte della mia vita purtroppo…. Come di quella di tutti credo!!! Però può essere superata…, a volte basta solo un sorriso e la giornata cambia colore!

Massimiliano D.




Per me la fatica non è solo fisica… ci si può stancare enormemente anche senza far niente! A volte infatti la nostra mente vaga senza sosta e logora lentamente…

P.L.C.




Alla fine, nonostante le difficoltà, tutti concordiamo con Khalil Gilbran:


Amare la vita attraverso la fatica è penetrarne il segreto più profondo



Per la mia mamma e il mio papà


Per mamma e papà, ho acceso un lumino, per come siete stati sfortunati nella vostra vita e per come il destino è stato così crudele che vi ha separati ‘spietosamente’, senza pietà. Tu cara mamma forse hai conosciuto il paradiso (e chi sa come) ma il mio papà… anche se ho posto questo lumino fuori dalla finestra e dà luce nel cuore della notte, pensando a te, mamma, che sei nei cieli … è più che altro il mio papà, che ormai invalido pieno di dolore e solitudine… che sì, è in vita, ma è una vita che è riuscito a sopravvivere, ma è tenebrosa. Sono le ore tre di notte del 26/8/2012, ieri, il 25/8/2012 il mio papà ha compiuto 73 anni solo soletto, immerso nei suoi ricordi. E la mia mamma fa domani 24 anni che l’abbiamo persa. Cara mamma, il dolore mi ci trascina, il tuo ricordo mi deprime, la tua immagine mi rattrista. No, no! Non c’è rassegnazione che ti abbiamo persa, si sopravvive con quel ricordo dolce di te e crudele di quel momento che è stato detto “basta, non la rivedrete più”. Un tragico incidente.
Nel cuore della notte sono travolta da una crisi di pianto, da un vuoto immenso interiore, dal ricordo di quel giorno, di quella tragedia. Il 27/8/1988 in quel travolgente incidente ho perso mia madre. Mio fratello Onofrio, più piccolo di me di undici anni mi dice: “È inutile che ne parli, sono passati 22 anni oramai”, ma secondo me soffre soprattutto lui, che era insieme con mia madre e mio padre nella fase dell’incidente. Lui è stato presente e ha riportato anche delle lesioni fisiche. È un ricordo che lui vuole smuovere ma non ci riesce, però non ne vuole fare mai testo. E poi l’altro fratello, che anche se non era presente… ma essendo anche lui più piccolo di me… sono quelli che hanno sofferto e soffrono di più, anche se non si pronunciano. Ma la loro è falsa indifferenza, io glielo leggo nei loro occhi che affogano per non pensare, perciò l’impatto del distacco è stato più traumatico, più per loro.


Lucia Monaco


Dentro di me non ci sei più


Finalmente la mia mente non si trascina più verso di te, che credevo saresti stato sempre il mio grande amore. Vivo, vegeto, è fiorito nella mia vita per vent’anni, o sopravvissuto con l’illusione di questo amore, con la speranza di un ritorno felice luminoso come un dì… Nel momento di questa lunga attesa travolta nella solitudine, inaspettatamente un altro ti ha sconfitto e si è radicato nelle radici del mio cuore. Anche se non è come te, che con uno sguardo si aprivano i monti. Lui invece con la sua dolcezza ha cancellato quell’attesa, di quell’amore vissuto nel passato, ma ormai seppellito sotto i due monti di quello sguardo (o sentimento?).


Lucia Monaco


Le infaticabili


Visto che l’8 marzo si avvicina…parliamo un po’ di noi donne.

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È noto che le donne sanno fare tutto quello che fanno gli uomini, anche meglio degli uomini…e lo fanno coi tacchi a spillo!

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È perché ci allenano fin da piccole! Con le scarpe giuste conquisteremo il mondo… anche se… giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra tutti giù per terra!

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C’è qualcos’altro, poi, che gli uomini proprio non sanno fare…
Se arriva un bebè, certo il mondo può attendere… Ma non attende molto, in verità…

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Forza, dunque, al lavoro! Lavorare, si sa, ci gratifica molto, e poi siamo bravissime a ottimizzare i tempi.

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Del resto, amiamo la casa, il pulito, e abbiamo una predisposizione naturale all’accudimento.

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Inoltre tra i fornelli il nostro fascino aumenta in misura esponenziale!
Come facciamo, dite? È che abbiamo il cervello speciale, programmato per fare più cose alla volta… (Che fortuna!!!).
E il relax? Be’ quello ci riesce un po’ meno bene… Dovremmo prendere lezione dai maschi!

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L.L.


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Senilità



Senilità (1898) è il secondo romanzo scritto da Italo Svevo e come in tutti i suoi romanzi vi è molto sviluppata l’introspezione.
Questo libro narra, soprattutto, l’amore tra Emilio e Angiolina: un amore contrastato, perché lei è infedele. Ella lo tradisce con molte persone, una sera è vista in compagnia di un ombrellaio; la donna ha parecchi ritratti degli abitanti del paese in casa, ha intenzione di sposarsi con un sarto, tuttavia come per gioco corteggia un amico di Emilio che fa lo scultore, Stefano, e intraprende anche molte altre relazioni.
Il protagonista, Emilio, è come diversi personaggi delineati dallo Svevo, un persona inetta e aggiungerei un po’ sfortunata. Nel suo carattere si avverte molto l’ansia, la fatica di vivere e soprattutto di amare. Egli ama senza essere riamato completamente.
Tra la storia di questi due personaggi si inserisce un’altra storia d’amore, quella tra la sorella del protagonista, Amalia, e Stefano; all’inizio essi erano semplicemente complici nel fare pesare ad Emilio il fatto che amando Angiolina trascurava gli affetti famigliari e degli amici. Ma con il tempo Amalia si innamora , purtroppo non ricambiata. Anche in questa storia d’amore si riflette l’inettitudine del personaggio che non è ricambiato.
Il finale è tragico: Amalia, sorella d’Emilio, cade in delirio e puoi muore.
È commovente la tenerezza con la quale l’amico del protagonista esprime tutto il suo affetto e stima al capezzale della moribonda. Consiglio la lettura perché questo romanzo è una testimonianza della letteratura del tempo.
Buona lettura!


Cristicchi


Divagando in redazione sulle note di una canzone


Edoardo ci comunica la sensazione di pace e serenità che prova nell’ascoltare “Summertime” la famosa ninna-nanna che fa parte dell’opera Porgy and Bess, musicata da George Gershwin nel 1935, la cui prima strofa recita:

Summertime, and the livin' is easy. Fish are jumping, and the cotton is high. Your dad is rich, and your mother good lookin', so hush little baby, don't you cry.
(Estate, la vita è facile. I pesci saltano e il cotone cresce alto. Tuo padre è ricco e tua madre è bella, perciò taci, bambinello, non piangere.)

Luigi dà la sua interpretazione: quando l’uomo riesce a raccogliere il cotone e i pesci riempiono il fiume è il momento di benessere, che non capita tutti gli anni. Perciò il bambino non piange, perché è nutrito e vestito.
Ave aggiunge che d’estate la vita è più facile, perciò: bambino, non piangere… l’inverno è passato, non aver paura di crescere, perché i campi saranno sempre pieni di grano e la terra di cibo e avrai da mangiare e da coprirti.
Il rovescio della medaglia, dice Luigi: se quell’anno è stato fortunato, visto che c’era un buon raccolto di cotone e i fiumi erano molto pescosi e quindi il bambino si poteva nutrire e vestire, c’è però sempre da dire che siamo in un luogo dove c’è la schiavitù e quindi i guardiani a cavallo (quelli armati) controllano che nessuno rubi il cotone e contano anche quanti pesci finiscono sulla tavola degli schiavi…
Addio pace e serenità.


Riflessioni sul pack
ovvero come rompere il ghiaccio


Quando in certe ricorrenze dell’anno qualcuno si butta nell’acqua gelida, fra le motivazioni potrebbe avere quella di rompere il ghiaccio.
Rispetto a quello che lo fa in certi ambienti, parlando o facendo qualcosa sempre per rompere il ghiaccio, in fondo non c’è gran differenza.
In entrambi i casi bisogna valutare quanto è spesso il ghiaccio, per evitare di farsi male.


Luigi Zen


Le fatiche di Ercole


Nella mitologia greca e romana gli dei e gli eroi appartenevano a due gruppi ben distinti: i primi erano di pura stirpe divina, erano immortali, avevano una precisa collocazione e ‘funzione’ nel cosmo, erano onorati con templi e culti particolari; gli eroi avevano generalmente uno solo dei genitori divino e immortale, si distinguevano per forza, coraggio e bellezza, compivano imprese straordinarie; spesso, dopo la morte, venivano loro dedicate grandi feste propiziatorie e le loro tombe e monumenti venivano onorati e rispettati.
Una delle figure eroiche più importanti, per quanto riguarda il culto, è Eracle, che i Romani chiamarono Ercole, figlio del dio Zeus e Alcmena (donna mortale). Ercole gode della doppia natura terrena e celeste: dopo la morte viene assunto nell'Olimpo e riceve in sposa Ebe, la dea dell'eterna giovinezza.
Fu per espiare l'uccisione dei suoi figli che Ercole, al servizio di Euristeo, re di Tirinto e Micene, dovette sottoporsi alle famose dodici fatiche.

1) Uccisione del leone di Nemea
Ercole uccise il leone di Nemea, mostro dalla pelle invulnerabile, strangolandolo a mani nude con forza incredibile, avvolgendo le sue braccia grandi intorno al leone, tirandogli il collo e strangolandolo a morte, non comprendendo quale arma potesse ucciderlo. Morto il mostro enorme, Ercole tentò di scuoiare la bestia, ma la pelle era così dura che non poté né lacerarla né tagliarla. Allora provò ad adoperare gli stessi enormi artigli del leone: questi furono efficaci ed Ercole ottenne il suo trofeo. Ammirando l’impenetrabilità e resistenza della pelle del leone, se la gettò addosso come un mantello e la tirò fin sopra la testa come un elmo. Da quel momento Ercole indossò sempre la pelle di leone come protezione in battaglia.

2) Uccisione dell'Idra di Lerna
L'Idra era un drago dalle tante teste (di cui una immortale) che viveva nella palude di Lerna e atterriva i villaggi vicini divorando uomini e bestie quando si svegliava dal suo sonno. Quando Ercole cominciò a tagliare le teste con la spada, si accorse che da ognuna ne ricrescevano due, per cui, decise di bruciarle con tronchi infuocati; la testa centrale che era immortale, invece, la schiacciò con un masso; infine intinse nel sangue del mostro le sue frecce, che da quel momento, quando andavano a segno, provocavano ferite che non si rimarginavano mai.

3) Cattura del cinghiale del monte Erimanto
L'enorme cinghiale di Erimanto devastava l'Arcadia distruggendo i campi della città di Psofide. Euristeo ordinò a Ercole di debellare il mostro, ma per rendergli l'impresa più ardua, gli impose di catturare il cinghiale vivo. Ercole lo catturò vivo.

4) Cattura della cerva di Cerinea
Euristeo diede questo compito ad Eracle sapendo che l'animale era proprietà sacra di Artemide: catturarla avrebbe voluto dire per lui commettere un’empietà contro la dea. La cerva di Cerinea, che aveva le corna e gli zoccoli d'oro, correva più rapida delle frecce. Ercole la inseguì per un anno fino a catturarla per sfinimento, quando si fermò a bere presso un fiume nella terra degli Iperborei. Ercole azzoppò la cerva colpendola alla zampa, con una freccia dalla punta della quale aveva rimosso il sangue dell'Idra uccisa in precedenza.

5) Uccisione degli uccelli del lago Stinfalo
I mostruosi uccelli del lago Stinfalo in Arcadia mangiavano carne umana. I loro artigli, becchi e penne erano metalliche. Le penne quando sbattevano nell'aria emettevano un rumore molto acuto e venivano scagliate come frecce: chiunque entrava in contatto con questi uccelli ne veniva trafitto a morte. Ercole ne uccise alcuni con le sue frecce e cacciò i rimanenti.

6) Pulizia delle stalle di Augia
Le stalle di Augia (figlio del Sole, re dell'Elide nel Peloponneso) erano colme di letame del bestiame che, immune alle malattie, si era moltiplicato. Ercole le pulì deviando i fiumi Alfeo e Peneo.

7) Cattura del toro di Creta
Il toro di Creta era stato reso furioso da Poseidone perché Minosse non lo aveva sacrificato come promesso. Ercole lo catturò vivo intrecciando un laccio e poi inseguendo la bestia finché non la indebolì, gettandole il laccio intorno al collo. Una volta domato il toro, l'eroe gli salì in groppa e lo cavalcò attraverso il mare fino al palazzo di Euristeo ad Atene.

8) Cattura delle giumente di Diomede
Le giumente (cavalle) di Diomede si nutrivano di carne umana; Ercole uccise Diomede e lo diede in pasto alle giumente, che si lasciarono domare.

9) Conquista della cintura di Ippolita regina delle Amazzoni
Ercole uccise Ippolita e donò la cintura, simbolo del potere, ad Admeta, figlia di Euristeo.

10) Cattura dei buoi di Gerione
Figlio di Crisaore e di Calliroe, re dell'isola Eritea (collocabile in qualche punto del Marocco), Gerione era un gigante con tre teste, sei braccia e sei gambe, cioè con tre corpi uniti su un unico ventre, che possedeva immensi armenti di buoi. L'eroe raggiunse l'isola del gigante, dove pose i confini del mondo conosciuto (le Colonne d'Ercole), uccise prima i due custodi (Eurizione e il mostruoso cane Ortro) poi Gerione, e infine prese i buoi.

11) Conquista dei pomi d'oro del giardino delle ninfe Esperidi
I Pomi d'oro delle ninfe Esperidi erano il dono di nozze fatto da Gea a Era, che il drago Ladone custodiva in un giardino nell'estremo Occidente. Ucciso il drago Ladone, guardiano del giardino delle ninfe Esperidi, Ercole si impossessò delle mele e le portò a Euristeo.

12) Cattura del cane Cerbero
Cerbero era il mostruoso cane tricipite che stava a guardia di Ade, il mondo degli inferi. Ade impose a Ercole di catturare Cerbero senza fare uso delle armi: se avesse vinto avrebbe permesso all'eroe di portare il mostruoso animale verso la luce, con l'impegno però che lo restituisse subito al regno al quale per sempre doveva appartenere. Dopo un estenuante combattimento, Ercole vittorioso condusse Cerbero da Euristeo e poi lo riportò indietro.


Darietto


Recensione del film “Le fatiche di Ercole”


Un film, per me stupendo, sulla mitologia greca che tanto adoro, è Le fatiche di Ercole del 1958 regia di Pietro Francisci. Solo alcune delle 12 fatiche vengono raccontate, perché la storia di Ercole viene fusa con quella di Giasone.
Praticamente Ercole deve aiutare Giasone a ritornare sul trono di Jolco di cui Pelia, con la complicità di Euristeo, si è impadronito uccidendo persino il fratello Esone.
Ercole, ucciso il Minotauro, scopre dal centauro Chirone, ormai vecchio, che Pelia aveva scacciato il piccolo Giasone, vero erede al trono. Questi è ormai un giovane, che Chirone affida ad Ercole perché lo riconduca a Jolco. Pelia accoglie benevolmente il giovane, ma non crede che sia veramente Giasone, poiché è privo del ‘vello d'oro’, simbolo della regalità, misteriosamente scomparso, perciò Giasone ed Ercole, con un gruppo di giovani animosi, partono per la lontana Colchide alla ricerca del vello. Ha inizio così l'avventura degli Argonauti, che superando ostacoli e pericoli di ogni genere, raggiungono la favolosa Colchide. Qui Giasone uccide in un'epica lotta il drago che custodisce il ‘vello d'oro’. Giasone ed Ercole devono ancora superare gli intrighi di Euristeo, ma con l'aiuto di Jole, l'eroe abbatte ogni ostacolo e uccide Euristeo, mentre Pelia s'avvelena.
Giasone riconquista il trono; Ercole e Jole vanno uniti verso un nuovo destino.


Darietto


Recensione del film “Asterix e le dodici fatiche”


Questa è la parodia, in chiave comica e in cartone animato, del film “Le fatiche di Ercole” di cui ho parlato precedentemente.
A me piace molto la parte de “La casa che rende folli”, che fa rendere conto, nella nostra realtà, della nostra brutta e stupida burocrazia.
Qui siamo nell’Impero Romano e non nell’antica Grecia, perciò a mio parere si vuole mettere in evidenza, in modo molto buffo e simpatico quelle che una volta erano le usanze dei Greci e quelle di ‘adesso’ (per l’epoca dei Romani, s’intende), molto più moderne.
Un’ultima cosa davvero simpatica è che qui, le fatiche in realtà sono delle prove estremamente facili per i nostri eroi in quanto possiedono dei poteri e delle arguzie che Giulio Cesare non avrebbe mai immaginato che loro possedessero. Due di queste mi hanno fatto sbellicare dalle risate:
- Caius Pupus svela che la sesta fatica consiste nel consumare tutto il pranzo preparato da Mannekenpix, il cuoco dei Giganti; Obelix si offre di superare la prova da solo. Il cuoco serve le seguenti portate: un cinghiale con radici fritte (patatine fritte), otto oche arrosto, sei montoni, omelette dei Titani (con otto dozzine di uova), un vassoio di pesci, un bue, una mucca, due vitelli, caviale a grani grossi con un piccolo toast, un cammello farcito, e, commentando "prima di passare al resto", un elefante alle olive. Mannekempix fugge via sconvolto dopo aver completamente esaurito le scorte, mentre Obelix esce dalla taverna lamentandosi che il cuoco lo ha lasciato a metà, subito dopo gli antipasti.
- Passeggiando in una città, vedono alcune persone che si comportano in modo alquanto bizzarro: sono coloro che hanno visitato un palazzo dell'amministrazione pubblica, chiamata “La casa che rende folli”, ed è proprio lì che devono recarsi Asterix e Obelix; la nuova prova consiste nel farsi rilasciare un lasciapassare A38. Fra un'interminabile serie di rimandi e formulari, si ritrovano sull'orlo della crisi di nervi, da cui si salvano solamente grazie a un'intuizione di Asterix, che chiede ad uno sportello il nuovo (inesistente) lasciapassare A39: questa richiesta ha un effetto spiazzante su impiegati e funzionari che vengono in questo modo resi folli dalla loro stessa burocrazia. Quindi Asterix si rivolge direttamente al Prefetto, incontrato casualmente, per ottenere il lasciapassare.
Di quest’ultima prova, desidero far notare come la genialità di Asterix abbia potuto “girare la frittata” a loro favore, portando così ad una vittoria nei confronti di chi li voleva renderli matti… Magari fosse così anche nella realtà !!!


Darietto


Michelangelo Buonarroti, genio cinquecentesco


Non voglio parlare delle sue attività artistiche, ma di quelle letterarie, cioè delle Rime, che furono pubblicate alla sua morte da un pronipote. Poesie che a me piacciono molto, perché si evince il dolore per la morte del padre, o del servo Urbino (1).
Alcune parlano di una donna aspra e fiera, di cui il poeta mette in evidenza la bellezza e la gioventù, in contrasto con la vecchiaia di lui. Ben diversi sono gli appellativi usati per Vittoria Colonna, poetessa romana, amica. Egli si stupisce persino dell’amicizia che lei gli concede, perché la ritiene una donna straordinaria, virtuosa e aulica, come era successo (nel ‘dolce stil novo’) a Dante per Beatrice e a Petrarca per Laura.
Chi lo definisce autodidatta non gli rende giustizia, perché fu a bottega dal Ghirlandaio e alla corte del Magnifico fu a contatto con studiosi, filosofi e letterati. Il Ghirlandaio si rese conto immediatamente delle sue enormi possibilità.
Viaggiò per le sue attività e anche per altri motivi tra Firenze, Bologna e Roma. Michelangelo è stato, in quello che si chiama ‘finito - non finito’ (i Prigioni), un precursore dell’arte moderna. Il mio mito.
Si può dire che ‘la sua mano è mossa da Dio’, anche se i pontefici lesinarono sulle opere da lui prodotte. Ritornando alle Rime, posso dire che è evidente la religiosità di Michelangelo.
Egli dice anche che ha mille colpe chi ha una vita più lunga. Sostiene che la fama non è duratura, ma tutto ciò che ha fatto è invidiato dal mondo intero e la sua fama resiste tuttora.
Il Condivi (2) sosteneva che poetando egli interruppe la scultura, la pittura e l’architettura. Il Croce e i suoi seguaci considerarono di poco valore i suoi scritti, che invece erano stati sopravvalutati da Ugo Foscolo. Comunque le sue poesie sono da iscrivere tra quelle dei maggiori poeti cinquecenteschi.

NOTE
1) Si tratta di Francesco Amadori, detto Urbino, di Casteldurante, servo fedelissimo per ventisei anni. Michelangelo scrisse su di lui una lettera commovente, in cui diceva: “La grazia è stata che, dove in vita mi teneva vivo, morendo m'ha insegnato morire non con dispiacere, ma con desiderio della morte”.
2) Ascanio Condivi, artista minore, amico e biografo,autore della Vita di Michelagnolo Buonarroti raccolta per Ascanio Condivi da la Ripa Transone, 1553


Giovanna Bassi


Barzelletta vegetale

Un certo signor Zucchini va in un negozio; ad un certo punto il commesso chiede: “A chi tocca?” E il signor Zucchini, ignorando che prima di lui c’era un altro dice: “Tocca a me”. Ma il signore che lui ignorava dice: “No! Adesso tocca a me!” E aggiunge: “Ma lei lo sa con chi sta parlando?!”

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Indovinello

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Che segnale è quello qui sopra?

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Luigi Zen


Soffri mio cuore


Martina si trovava in una situazione a dir poco drammatica e battendosi il petto, il suo cuore così rampognava: “Soffri mio cuore, mali peggiori, altra volta soffristi”. La sua vita era a un bivio, doveva scegliere se restare in quella città a lei nota o allontanarsi per andare in un luogo dove nessuno la conosceva.
La sofferenza era atroce, non le dava scampo, nessuna tregua. La donna era abituata al dolore, ma ogni volta che le si presentava era sempre un’esperienza durissima. La sua famiglia e le conoscenze, le amicizie che aveva, costituivano per lei un punto di riferimento fondamentale. Abbandonarle per andare incontro a delle incognite era difficilissimo.
Suo marito le era accanto amorevolmente, tante volte e in tante altre occasioni l’aveva sorretta e continuava a farlo.
Mancavano pochi giorni alla partenza e la donna era afflitta da dubbi e incertezze. A che cosa andava incontro? Quali prospettive le si sarebbero presentate?
La vita per la donna non era mai stata facile. Tante esperienze dure costituivano il suo bagaglio interiore. Erano, se così si può dire, la sua forza. Martina era nello stesso tempo fragile e forte, temprata da tante avversità. Cosa le riservava il futuro? Questa era l’incognita più grande a cui la donna andava incontro, non si scoraggiava, aveva attraversato periodi scuri, ma ne era sempre uscita vincente. Ce l’avrebbe fatta anche questa volta.


M. Chiara Reitani


La posta


Buona sera cari amici, mi voglio presentare. Mi chiamo Stefanone, frequento saltuariamente il gruppo di auto-mutuo-aiuto ‘Per un Linguaggio Comune’. Io sono seguito dal Centro dello Scalo. La fase acuta della patologia è già passata. Questo mi permette nel contesto sociale di avere una mia famiglia, un lavoro e anche un dignità, come persona tra persone. Mi raccomando, amici miei, ascoltate i vostri psichiatri e tutto il personale che vi segue. Ultima cosa: con le medicine evitate il far da sé.
Ciao a tutti

Stefanone




Ciao, Stefanone, siamo molto lieti di aver ricevuto da te notizie positive e un testo sulla fatica, che troverai nel Faro. Continua a scriverci!





Reparto Arcipelago
Per la dott. Lucia Giaccotto da parte di Giovanna Bassi. La sua dolcezza e la sua calma sono proficue per noi malati bisognosi di cure ed affetto. La ringrazio per il suo amore e la sua perseveranza. Grazie!




Volentieri pubblichiamo un messaggio di apprezzamento e gratitudine.


Soluzione dell’indovinello di Luigi Zen


Non disturbare il gatto che sta facendo il bidet!