Editoriale
Mamma che fatica! Mamma che fatica! Mamma che fatica! È
la prima cosa
che pensiamo quando veniamo al mondo. La vita pur essendo
meravigliosamente
fantastica è sempre accompagnata da una fatica d’intensità variabile.
Dire che cosa è più faticoso e che cosa lo è meno è molto soggettivo e
frammischiato ad aspetti affettivi.
Vedere un film veramente bello, spaparanzato con Cristina su un divano
comodissimo, scaldati da una morbida coperta con tanto di Dolby
Surround è
un attività a bassissimo impegno di fatiche fisiche o intellettuali. Se
non fosse per il denaro che ci è costato ‘l’ambaradan’.
Tuttavia, come diceva il mio povero papà: “Il gioco è bello finché è
corto e deve finire quando ci si diverte ancora, altrimenti può
trasformarsi addirittura in scocciatura o vera e propria fatica”.
Per il parroco di San Pietro in Casale, don Raul, è importante arrivare
a sera, quando ci si corica sul letto, stanchi. Con questo vuole dire,
a mio
parere giustamente, che bisogna impegnarsi nella vita. Ed è importante
non investire tutte le proprie energie solo per sé, ma mettere quelle
in più a servizio della società in senso lato. In fondo fare fatica può
essere, sul momento, più o meno gratificante, il risultato o il
ricordo, comunque, il più delle volte è piacevole. Ad esempio: che
fatica far tornare a camminare quella signora, che era così giù di
morale che per tirarla su ci voleva un argano a motore! E che piacere
rievocare, quando incontri un vecchio amico ciclista, le imprese
compiute: “Ti ricordi che fatica scalare in bicicletta il Monte delle
Formiche distanziando i vecchi amici?” .
Questo fa pensare che per l’uomo, più che per la donna, l’importanza di
gestire e controllare la fatica sia un elemento di prestigio. L’uomo
forte e resistente è considerato degno di grande ammirazione,
soprattutto nello sport. La donna gestisce le sue energie in modo più
oculato, pensa di più alla famiglia, alla casa, al necessario per
sbarcare il lunario, anche se qualche volta eccede nello shopping.
L’uomo poi tende ad appropriarsi di auto forti e potenti, e ci spende
anche un mucchio di soldi in accessori, per stare più comodi, forse per
fare meno fatica… forse … può anche darsi.
Da che mondo e mondo la fatica fisica è sempre stata meno corrisposta
economicamente di quella intellettuale, è un bel paradosso. Da che mi
ricordo io della storia, gli schiavi lavoravano come bestie in cambio
di pochi stracci ed alimenti; mentre il padrone aveva diritto di vita o
di morte su di loro. Sì, è vero, gli schiavi non ci sono quasi più,
tuttavia i lavori più faticosi vengono svolti da persone meno abbienti,
che si accontentano di poco in cambio di tanta fatica.
Sapete però che tristemente la maggior parte delle persone che
amministrano il bene pubblico lo fanno male, sfilando di tasca alle
persone anche indigenti quei pochi soldi che hanno guadagnato, e
operando al proprio fine particolare. Che fare? Che fatica sopportare
queste ingiustizie! Siamo un po’ pigri. I nostri nonni hanno dato la
vita per darci il bene più prezioso dopo la salute: la libertà. La
libertà di fare fatica o di non farla o di investirla per studiare
medicina o per fare il muratore, di far l’avvocato o il contadino.
La fatica più grande ahimè è quella di accettare di dover morire. Chi è
più abbiente forse, ma forse, potrà curarsi meglio, ma la fine è un
travaglio che costa una fatica che è più o meno grande per tutti. Chi è
cattolico paga meno dazio, ma l’atroce sofferenza, lo strazio e
l’agonia sono una fatica che non ha limiti e a tutti tocca. Io son
cattolico, mio padre no. In lui ho sempre ammirato la coerenza nei
confronti della morte, non ha mai cambiato di una virgola la sua
posizione nei
confronti della religione; anche se non svolgeva più politica attiva,
perché ne era stato estromesso in quanto troppo onesto, continuava
infaticabilmente a seguire tutte le notizie, dalla mattina presto
quando si svegliava fino alla tarda notte, quando si addormentava
spesso con la tv accesa su un qualche programma politico.
Concludo affermando che la fatica più bella è quella facevo in
bicicletta, quando correvo negli amatori: scatti, contro scatti, salite
e discese, caldo e freddo, la pioggia e il sole, il cuore che batte, i
polmoni che scoppiano, i muscoli che si induriscono, vai in fuga, vieni
raggiunto, cadi e ti rialzi, fino a quando non ne puoi proprio più.
Questa fatica è una piccola metafora della vita… a me piace l’idea di
spenderla fino a quando arriverò al traguardo o non ce la farò proprio
più.
Fabio Tolomelli
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Umberto Boccioni: ‘La città che sale’ - 1919 (olio)
Il soggetto del dipinto è una
veduta di periferia
di Milano in cui sorge un cantiere edilizio; è qui celebrato il mito
dell’uomo moderno artefice del proprio mondo.
Il quadro è un’esaltazione del lavoro e del movimento e ci comunica
l’idea della fatica umana ed animale.
Nella “città che sale”, il cavallo e il turbine che lo avvolge
rappresentano la forza del progresso, del divenire, della vita. Ma sono
anche un tour-de-force in cui la dimensione temporale e quella inerente
lo spazio, si rincorrono e infine si incontrano, fissando la visione
come un intrico di attimi folgoranti, che si coordinano simultaneamente
nella dimensione ottico-mnemonica.
L’opera ha una composizione assai complessa: infatti il gruppo
dell’uomo e del cavallo, lo stesso, è ripetuto vicino-lontano
(attraverso la simultaneità) e anche a destra e a sinistra. Si può dire
che il dipinto è un’applicazione di quelli che Boccioni definisce
“stati d’animo”.
La tecnica pittorica è ancora divisionista, filamentosa, alla Previati;
la resa dello spazio è ancora prospettica; ma non si può negare che ci
sia del nuovo, come quella “spinta vitale” che percorre tutto il
dipinto e che i futuristi rimprovereranno ai cubisti di non aver
rappresentato. Quella esaltazione della forza e del movimento, della
quale sono protagonisti uomini e cavalli, non mezzi meccanici. Ciò fa
capire come l’artista si muova anche nell’ambito del tardo simbolismo.
Piergiorgio Fanti
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La fatica
Abbiamo letto la definizione della parola ‘fatica’ sul
dizionario,
ma non ci ha completamente soddisfatto: “sostantivo femminile (dal
latino fatigare, affaticare – dal bulgnais fadiga ndr).
● Sensazione penosa che si prova a causa di un lavoro fisico o mentale
prolungato e intenso: non reggersi per la fatica.
● Lavoro, azione impegnativa: questo romanzo è l’ultima fatica
dell’autore.
● Fenomeno presentato dai metalli i quali, sottoposti a sollecitazioni
ripetute, subiscono un abbassamento del loro carico di rottura.
A fatica, a malapena, a stento. Durar fatica, stentare a: durò fatica a
convincerlo. Uomo di fatica, addetto ai lavori pesanti.”
A noi piace più intenderla così:
Nella Genesi dell’Antico Testamento la fatica o il lavoro sono una
punizione divina, perché quando Adamo ed Eva hanno violato un ordine di
Dio, ovvero l’ordine di non mangiare il pomo dell’albero della
Conoscenza sono stati puniti. Il Dio Yahveh li punisce dicendo che loro
e la loro discendenza, ovvero la specie umana, dovranno faticare e
guadagnarsi il pane con il sudore della propria fronte.
Secondo gli Elleni, lavoro e fatica si chiamano ponos che significa
pena. Quindi il lavoro e la fatica sono una punizione, come anche per i
Cristiani e gli Ebrei nella Genesi.
In latino il termine negotium che significa negozio in italiano sta a
significare nego otium, ovvero nego l’ozio. Quindi per i latini, il
negozio è un luogo dove si lavora moltissimo, perché il negozio nega
l’ozio, ovvero il riposo. Secondo i pagani, la vita è una fatica,
perché la vita è una guerra su questa terra. In latino si dice vita est
militia super terram.
Per i Cristiani la vita è una fatica, perché questa vita ed il mondo in
cui viviamo sono lacrimarum valle, una valle di lacrime.
Ci sono tanti esempi.
La fatica di esprimere emozioni.
La fatica di stare al mondo.
La fatica mentale.
Ma la fatica può anche essere vista da altre prospettive. E proponiamo
questi suggerimenti:
1. Innanzitutto è soggettiva. Ognuno ha la propria fatica ed ognuno la
vive a suo modo.
2. La fatica è un mezzo necessario per arrivare ad uno scopo.
3. Siccome il lavoro è fatica, se non fossimo affaticati non ci
sarebbero né lavoro né lavoratori e quindi non verrebbe prodotto nulla.
Non avremmo un tetto sopra la testa, non avremmo acqua da bere e non
potremmo nemmeno accendere una luce.
4. Dietro ogni servizio offerto dalla società, c’è almeno un uomo che
lavora e fa fatica. Quindi, ogni volta che ci rivolgiamo a qualcuno,
ricordiamoci che questo qualcuno fa o ha fatto fatica per noi.
5. La fatica ha anche un suo tempo. Ciò che è faticoso oggi, può non
esserlo domani.
6. Senza fatica, tutto sarebbe facile come uno schiocco di dita.
Avremmo tutto, senza fare nulla. Si avrebbero soltanto noia e
monotonia.
Finiamo col dire che senza la fatica del lettore, questo articolo
sarebbe solo un insieme di caratteri neri su un foglio bianco.
Gruppo Rassegna Stampa C.D. di Casalecchio
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La fatica
Il termine ‘fatica’ è uno dei più abusati della lingua
italiana.
Letteralmente starebbe a significare ‘sforzo superiore al
sopportabile’, ma in certi dialetti è sinonimo di ‘lavoro’ (vado a
faticare = a lavorare) e questo svela tutto un mondo e una mentalità.
Per certe culture è un termine positivo (con la fatica ti guadagnerai
il Paradiso, senza faticare non otterrai mai ciò che vuoi...) tutte
affermazioni opinabili.
Questa ‘fatica’, quindi, che significato ha nel nostro contesto
quotidiano? Si prenda lo spunto dal fatto che una ‘fatica’ è qualsiasi
azione, anche non pesante, ma eseguita malvolentieri. Io faccio serate
di quattro ore di musica da solo, ma non sento fatica, è la mia vita,
il mio lavoro, l'ho scelto e mi piace. Pulire i pavimenti di casa mia,
anche solo per venti minuti è una fatica, non mi piace ma devo farlo.
Tutto qui. E allora... Visto che senza lavorare non si vive (anche qui
ci sarebbe da obiettare, ma è troppo tardi, non possiamo ritornare a
2000 anni fa, perché non tentare di farlo (e di farlo fare) nel modo
meno faticoso e più creativo possibile? Ci sono computer che fanno cose
pazzesche e impossibili fino a qualche anno fa, e allora? Se premendo
un bottone posso vedere e parlare con un amico dall'altra parte del
mondo, perché non far fare i lavori sporchi ai computer? I lavori più
pesanti? La gente che fa una
cosa malvolentieri, la fa MALE.
E questa ‘fatica’ che dovrebbe riscattarci (da cosa?) per renderci
liberi e realizzati, perché c'è chi non sa nemmeno come è fatta? Che
fatica fa chi sta a Montecitorio guadagnando 15.000 euro al mese
minimo?
Buona vita e buon 2013. Almeno per me, quest'ultimo augurio è del tutto
pleonastico.
Max Trentini
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La fatica di vivere…
La fatica di vivere; la fatica di alzarsi ogni mattina
per far venir sera; la fatica di aspettare, tutta la vita, la morte.
La fatica di chi lavora e soffre per guadagnarsi lo stipendio.
La fatica di sopportare le proprie malattie, tacendo e cercando di
guarire, sapendo di non poterlo fare.
La fatica di chi è indifeso e non protetto da alcuno. La fatica di chi
è derubato, picchiato, violentato e vessato.
La fatica di chi sopporta e tace.
La fatica di perdere sempre e di non essere neppure seppellito.
La fatica di chi chiede l’elemosina e muore di freddo dentro a un
cartone o sopra una panchina.
La fatica di chi è pieno di rabbia e non si può sfogare.
La fatica di dover vivere senza scopo.
Ave Manservisi
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Opinioni e sviluppo della parola fatica
Fatica, questa parola, da vedere, tocca ogni persona,
chi più chi meno.
Qui si può delineare cioè scorporare in tante piccole strade, secondo
il singolo individuo.
Il lavoro, visto in tutti gli aspetti (manuale o intellettuale), e
questo porta a fare fatica secondo il singolo individuo o il tipo
di lavoro svolto.
Poche persone però non sanno che col lavoro l'uomo viene liberato dalle
catene che lo rendono schiavo alla vita.
Altri aspetti… la fatica e la sua storia.
Stefanone
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Casca o non casca?
un cubo sopra l’altro… è il gioco più bello e istruttivo che ci sia
insegna a fare grandi cose… e a sopportare le frustrazioni
Perché i crolli, purtroppo, nella vita sono sempre in agguato.
E una volta, due volte, tre volte… ci tocca leccarci le ferite e
tirarci su le maniche. Aggiustare, rimediare, ricostruire.
Oppure cambiare, buttar via, ricominciare daccapo.
Che fatica, la vita! A volte ci sembra tutto così assurdo e inutile…
Eppure andiamo avanti, stringiamo i denti, e ci sentiamo vivi.
Vuoi vedere che è proprio la fatica a dare un senso alla vita?
Lucia
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Quanta fatica!
Il significato della fatica possiede radici antiche ed
ha riscontro nei
valori, intesi come accadimenti nella società odierna. La fatica come
‘valore’ antico, la riconosco nel lavoro rurale (proprio della civiltà
contadina): i campi, la terra, il sudore che imperla la fronte
(facendola così preziosa), che cade sulle zolle di terra, rendendole
fertili, oppure qualsiasi sforzo fisico o muscolare (lo sport, la
ginnastica ecc.). Fatica nello spazio (correre, raggiungere un
traguardo, o una meta... viaggiare... Fatica nel tempo (fare fatica ad
essere puntuali, fare fatica ad alzarsi presto, fare fatica a far
venire sera, fare fatica ad aspettare il tempo che passa) → solitudine
→ fare fatica a stare da soli. Fatica mentale: fatica a studiare, ad
apprendere ma soprattutto: fatica a comprendere se stessi e gli altri,
ancora di più, fatica ad essere capiti.
Al concetto della fatica, collego quello della paura, ad esempio: ho
paura della fatica, ho paura a stare da sola → la fatica della
solitudine, fatica ad uscire di casa, ad alzarsi dal letto (pigrizia),
fatica ad accettare gli altri (insofferenza, intolleranza) a stare con
gli altri, a incontrare gente. Questo tipo di fatica, genera vecchiaia
cioè abbandono.
La fatica in senso fisico, invece, produce come effetto la stanchezza,
che può portare all'esaurimento psico-fisico. In certe comunità
terapeutiche usavano la fatica come misura di contenimento, o
addirittura come terapia intensiva, atta a produrre uno sforzo, per
arrivare ad una sorta di benessere, che altro non è che stanchezza.
Con i processi scientifici è cambiato tutto, nell'agricoltura si usano
macchine e trattori, trebbiatrici ecc. Nei percorsi di cura si usano
principalmente i farmaci, con il rischio però che il risultato, dopo
tempi protratti, sia quello di una grave dipendenza, o effetti
collaterali e problemi fisici, legati a questa dipendenza.
Ma sarà poi vero che le medicine tolgono la ‘fatica’ del mal di vivere,
o ansia, o angoscia o solitudine? Chi si offre alla solitudine, diventa
saggio, o un bravo studioso; chi è inquieto e d'animo riservato, può
diventare un poeta, chi è d'animo nobile ama la musica, chi ha molti
dubbi sulla vita può diventare un filosofo, chi ha una mente fervida e
pensante, può fare lo scienziato. La ‘fatica’ intesa nel suo senso
profondo, mi fa pensare alla ‘sofferenza’, quella che nella religione
cattolica è rappresentata dalla Croce (es. avere una croce da portare,
il fardello dei peccati, il peso dell'anima, il rimorso della
coscienza, il rimpianto per cose non fatte). Tutta questa fatica è
insita nell'uomo, ed è generata dal peccato originale, da quando, cioè,
Adamo ed Eva disobbedirono a Dio e vennero cacciati dall'Eden (Paradiso
Terrestre): “lavorerai con sudore e fatica (l'uomo), partorirai i tuoi
figli con dolore (la donna)”. Questo Paradiso, quindi, sembra non
esserci più, qui sulla Terra, è dunque distaccato, lontano dall'uomo,
sospeso nel vuoto, relegato all'altezza e all'imperscrutabilità del
Cielo?
Dio ha abbandonato l'uomo, o l'uomo ha abbandonato Dio?
La Croce è dunque la ‘fatica’ più perfetta del genere umano che si fa
divino, la perfezione della salvezza, la fatica di amare, perché per il
nostro tornaconto personale, decidiamo di non amare qualcuno, di
escluderlo dalla nostra vita (amicizia) e quindi finire per odiarlo. Si
fa più fatica a dire un sì, che un no Contrasto.
La fatica di amare, il male del secolo: ma vale veramente la pena di
fare questa fatica?
"La risposta vola nel vento, la risposta è nel vento".
(Bob Dylan)
Giorgia Bolognini
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La forza e la fatica
La forza di sperare sempre anche quando tutto sembra
negativo.
La forza di apprezzare e rendere grandi le piccole cose.
La forza di uscire dal guscio e rendersi autosufficienti.
La forza di:
Volontà-Pazienza-Coraggio-Carattere-Razionalità-Ottimismo-Fede-Consapevolezza-Concentrazione-Meditazione-Rilassamento-Riposo.
La forza degli elementi NATURAVENTO-PIOGGIA-NEVE-SOLETERREMOTO-ERUZIONI
VULCANICHE.
La
fatica di vivere al meglio. La vita scorre in sé, con i suoi alti e
bassi, con i suoi lati di luce e ombra, con il dolore e la gioia. Ma la
vita è uno splendore, ed è sempre emozionante coglierne il mistero.
La fatica di alzarsi dal letto a volte è veramente insuperabile.
La fatica di mangiare quando non si ha fame e non va giù; oppure
trattenersi dal saccheggiare la dispensa mangiando a tutte le ore.
La fatica ad uscire di casa e/o fare un lavoro che non ci soddisfa.
La fatica per ascoltare ‘l'altro’ che non la pensa come noi.
La fatica a prendere sonno quando mille pensieri frullano.
La fatica ad accettarsi per come siamo.
Un familiare
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Che fatica avere tanta paura!
Faccio fatica anche a scrivere sulla fatica. Fatico a
fare anche ogni
minima attività quotidiana, perché ho il terrore di tutto, di tutti e
maggiormente di me stessa. La fatica quasi sempre supera la
soddisfazione per aver fatto qualunque cosa. Così la vita diventa una
specie di obbligo a faticare, perché diversamente è la paralisi più
completa, che è ben peggiore rispetto a ogni faticoso stento.
Spero che la mia esistenza sia arricchita dalla fatica, perché le cose,
le situazioni, ci fanno onore anche in proporzione a quanto fatichiamo
per esse.
Ho sempre fatto tanto sforzo nella mia vita, fin da quando ero una
bimba, perché sono sempre stata sofferente e non ho termini di paragone
diretti per afferrare il senso e la quantità della fatica che le
persone senza diagnosi compiono nel quotidiano. Devo approfittare
sempre delle giornate in cui ‘funziono’, in cui ho meno paure e faccio
meno fatica, per cercare di fare un po’ tutto quello che lascio
indietro quando il malessere è troppo forte anche per pensare o per non
rimuginare.
Si può pensare che io sia permeata dalla società del fare, ma non è
così, perché spesso in questo mio modo di essere e appunto fatica anche
essere, a volte non so neppure chi sono.
Quando devo relazionarmi con le persone o con me stessa, non so mai se
ho sbagliato, detto, fatto bene, se ho interpretato bene le dinamiche
di gruppo o se ho travisato, vittima ormai più di me stessa che di
altri.
Quando si hanno tanti limiti il ‘fare’ viene rimodulato, rivalutato
all'interno dell'esistenza individuale e sociale, per cui sotto un
certo aspetto è più semplice vivere, non ci si affanna più se il
pavimento di marmo di casa propria non è lucido di cera, basta sia
pulito; non ci si dispera più se non si dimagrisce, come la società ti
obbligherebbe a fare, perché è meglio essere grassi piuttosto che
deliranti ecc... ecc...
Cerco di fare al meglio con impegno e passione ciò che faccio, cerco di
essere la persona migliore che posso, basta! Ci vuole giusto equilibrio
tra ciò che si deve essere, idem per ciò che concerne il fare. Questa è
un'arte da imparare per tutti quanti, è l'armonia tra limiti e
capacità, arte perché per riuscire in essa è necessario essere molto
lucidi verso se stessi e la realtà esterna a noi.
Le mie giornate hanno un limite, termineranno nelle mie nottate,
seguono le mie nottate, sogni miei colmi di incubi, a volte essi mi
terrorizzano talmente che non voglio più riaddormentarmi o andare a
letto dopo: è fatica, anche dormire!
Difendo tutti, difendo tutti, difendo tutti dalle loro paure e dalle
mie e faccio fatica, soprattutto quando non comprendo che quella
persona non aveva bisogno di essere difesa, o quando mi difendo prima
di essere attaccata o quando non faccio nulla per non essere
eventualmente attaccata, o quando mi sento attaccata così nel profondo
che neppure riesco a difendermi. Che ne dite sani e non sani di queste
fatiche ? La fatica delle fatiche è guardarmi allo specchio perché mi
faccio schifo e soprattutto perché nel guardarmi provo imbarazzo per me
stessa; quando esco indosso il mantello dell'invisibilità, caccio via
l'idea di me e giro un po' stordita dalla mia assenza, che serve per
sopravvivere.
Divento un animaletto che pensa che basti nascondersi per non essere
visti, ma io sono una persona e lo so che mi vedono... e... faccio
fatica...
Sapete, faccio fatica a nascondermi dietro a un dito, a far finta che
non sia ciò che è, cerco di essere intellettualmente onesta... E faccio
fatica...
E.L.
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Dio, che fatica!
Queste parole io credo siano state dette tante e tante
volte,
perché la fatica è qualcosa che si prova in situazioni diverse: c’è la
fatica fisica che con un bagno caldo, una buona cena e una sana dormita
ci permette di ripartire il giorno dopo e c’è la fatica psichica, che
proprio non riusciamo a toglierci di dosso, perché non abbiamo voglia
di lavarci, non ci va di mangiare regolarmente, facciamo fatica a
prendere sonno, dormiamo male la notte e spesso abbiamo pure incubi.
Quando ci svegliamo la mattina (se abbiamo dormito un po’), ci sentiamo
come se non avessimo dormito per niente, tirarci fuori dal letto è
un’impresa titanica e non siamo per niente pronti per una nuova
giornata.
Spesso la causa di tutto ci può essere un lavoro che non ci piace, una
situazione familiare che ci preoccupa, una fase critica generale che ci
tormenta, un periodo depressivo. Quest’ultimo è il peggiore, perché a
volte ci arriva addosso all’improvviso, ci fa sentire in uno scafandro
pieno di sassi. Spesso non sappiamo cosa lo ha provocato e… non
sappiamo come e quando terminerà. Quando siamo dentro il nostro
scafandro spesso non ci va di fare nulla, soprattutto di vivere e in
questa fase veniamo considerati pigri, svogliati, assurdi,
incontentabili e ci sentiamo spesso chiedere: “Ma che cos’hai? Cosa ti
manca? Ma che fine vuoi fare? Perché non esci? Perché ti trascuri?” … E
tu non sai proprio cosa rispondere, e allora guardi la persona che ti
fa la domanda e… ti chiudi a riccio, o cerchi l’angolino per leccarti
le ferite, perché sai solo che soffri, che non hai voglia di niente e
di nessuno, che fai una fatica boia ad affrontare le giornate
interminabili che hai davanti, e che vivere diventa il più difficile
dei mestieri.
Chi scrive per anni ha affrontato tutto ciò sentendosi una povera
bestia… stupida, cretina e deficiente, perché si accusava di tutto
quello che poteva aver causato il disastro generale, ma un po’ alla
volta, con le terapie giuste, due periodi di psicoterapia e la ripresa
di attività varie ha ricominciato a vivere, è uscita dallo scafandro e
la fatica psichica è decisamente minore; la fisica è invece aumentata.
Ora mi basta rientrare in casa e vedere Nuvola (il mio micio bianco)
che mi viene incontro, per sapere che la giornata fuori di casa è
terminata senza drammi.
Quello che ho imparato dalla fase ‘scafandro’ è che le terapie
farmacologiche sono utili e necessarie, che il controllo dallo
psichiatra ogni due o tre mesi è importante, che vedere, ogni tanto, i
miei terapeuti mi fa bene, soprattutto all’umore e allo spirito.
In questo periodo non sto bene del tutto. È vero che faccio cose utili,
belle e importanti (da quando frequento il gruppo A.M.A. Per un
linguaggio comune) e incontro persone che mi piacciono molto, ma da
venerdì 21 settembre ho perso Calzino, il mio micio tigrato (fratello
di Nuvola) e sono molto triste. Entrare in casa e vedere solo Nuvola mi
rattrista, uscire di casa a sapere che ora lascio Nuvola solo mi
dispiace e poi… era bello averne due, che giravano per casa.
Calzino era il mio micetto, stava sempre con me, dormiva con me e io
spesso mi addormentavo sentendo le sue fusa.
So che devo essere forte, per Nuvola e per continuare a cercare
Calzino, devo smetterla di dormire tanto il mattino e fare più cose
durante la giornata, anche per muovermi maggiormente e smaltire un po’
di chili, che ho messo su quest’estate, e da quando è sparito Calzino.
Voglio allontanare lo scafandro e sentirmi bene per tutta la giornata.
Vorrei sentirmi leggera come una farfalla, ma… per questo… devo
ritrovare Calzino e ridere, come quando mi faceva “MA” per
attirare la mia attenzione e poi si metteva a pancia all’aria, perché
gli facessi le coccole.
Tina
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A volte basta poco
Alle volte, basta anche una piccola motivazione per
vincere la ‘fatica’ della vita.
Ricordo che un mattino non riuscivo ad alzarmi, come se un macigno mi
pesasse addosso.
Poi, d'improvviso, ho pensato che quel giorno era venerdì, e che era
uscita la Settimana Enigmistica …
Bastò questo per farmi decidere a balzare giù dal letto, e cominciare
quella giornata.
Edoardo Bellanca
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Voclia di fare cioè Entusiasmo!!
La vita, è voglia di fare. La voglia di fare è
entusiasmo.
Quando siamo depressi, non c’è entusiasmo, quindi c’è poca volontà di
fare.
L’entusiasmo
è dato da un insieme di fattori che caratterizzano il nostro
passato-presente-futuro, cioè: il come è stata la vita fino adesso, se
mi piace o no quello che devo fare adesso, e quali prospettive mi dà
per il futuro.
Se sono un depresso è soprattutto perché giudico negativamente il
percorso di vita fatto fino ad oggi, e se sono ancora vivo è perché la
speranza è che la mia vita cambi radicalmente.
Quando si chiede a un depresso di tirare fuori la voglia di fare
qualcosa, di fatto lo si sta illudendo che ci sarà alla fine uno di
quei cambiamenti che lui cerca nella vita. Pertanto a mandare una
persona così a fare una borsa lavoro a 3 € l’ora, si otterrà il
risultato opposto a quello voluto, perché i depressi non sono dei
deficienti, acconsentono a fare lo sforzo, che gli costa, per i
trasporti e le sigarette, più dei 3 €.
Quindi poi ci sarà un cambiamento nella vita loro? No, sei lasciato
nella condizione di prima, con in più che ci hai dedicato del tempo
libero, hai dovuto sopportare delle persone che non ti considerano
adulto e ti trattano come un bambino, oltretutto come dicevo prima, è
costato anche economicamente.
Ora, che entusiasmo dovrebbe avere una persona presa in giro in questo
modo?
L’entusiasmo minimo di una persona che lavora ed è per adesso ancora
sana, è dato da un insieme di fattori che sono il risultato del suo
lavoro: potersi permettere economicamente una famiglia, una casa, una
macchina, la libertà (tanto cara a chi ci governa, ma che a noi viene
negata), andare in ferie con la famiglia, insomma permettersi una vita
decente, come minimo, e se poi uno si sforza di più, deve avere di più!
Ora tutto ciò non avviene più, quindi non può esserci entusiasmo e/o
voglia di fare, e alcune persone si sentono anche prese per i fondelli
o perlomeno di essere stati illusi per l’ennesima volta. Ma anche se lo
diciamo le cose non cambiano, perché dietro a tutto ciò ci sono altri
interessi che non collimano con il bene dei pazienti. Siamo lì perché
siamo solo parcheggiati, come automobili rottamate.
Una delle cose che a me ha mandato di più in depressione è stata
proprio la volontà di certi individui di farti passare l’entusiasmo,
per me è così che poi ci si ammala di depressione.
È ancora un mondo diviso tra schiavi e ricchi, la soluzione è evidente
ma se il popolo non si mette d’accordo per farlo, sarà sempre così.
La voglia è entusiasmo per una vita migliore, che non ci vogliono dare
e che non volete prendere!
Non penso che saranno i depressi a ribellarsi, siamo stati ridotti a
questo perché ribelli, e adesso siamo tenuti sotto controllo in un modo
che voi non volete credere.
Se poi toccasse a vostro figlio di ammalarsi per non dire peggio, forse
è meglio che vi riuniate tutti per fare una bella rivoluzione culturale
che dia un presente ed un futuro ai vostri figli.
Cordialmente
Marco
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Che fatica capire questo mondo - Elucubrazioni di
Darietto
Capitolo 1 - Che fatica amare se stessi!!!
La mia vita ha avuto una radicale svolta a quindici anni, chiudendomi
al mondo e rifiutando il mondo femminile. Poi intorno ai ventiquattro
anni, la mia vita ha avuto il suo pieno collasso definitivo, con la
depressione che fino a oggi mi porto addosso. Per fortuna sui
ventisette anni circa mi sono riaperto al mondo, diventando più sereno.
Però non riesco a piacermi... Quindi non mi amo!!!
Vorrei esser una bellissima donna, coi capelli biondi e gli occhi
azzurri; avere un bel seno e delle belle gambe, in modo da poter
attirare. Ho conosciuto molte trans e devo dire che erano bellissime.
Il mio corpo maschile mi impedisce di costituire un amore col sesso con
cui mi trovo più a mio agio e quindi, con tristezza, penso sempre che
nella mia vita resterò solo, in quanto credo che posti dove conoscere
persone come me non ce ne siano (o se ce ne sono, sono impossibili da
raggiungere).
Capitolo 2 - Che fatica camminare!!!
È da un bel po’ di tempo (anni, ma non vi so dire
quanti) che,
quando esco da casa, porto con me una ‘mini sedia’ (tipo quelle che si
usano per andare a pesca) o uno sgabellino, per recarmi in centro
città. Questo succede perché le panchine dove potersi sedere sono
rarissime e nei posti dove devi attendere l’autobus di panchette non ce
n’è nemmeno l’ombra: mi ero davvero stufato della condizione per la
quale, in qualsiasi posto in cui mi dovevo recare in centro per far
qualcosa, me ne dovevo star sempre in piedi e poi, tornando a casa, mi
venivano sempre dei mali ai piedi e dei crampi ai polpacci che non
auguro a nessuno!!!
Oltretutto, mi chiedo: “Come mai, pur essendoci molti anziani, il
Comune non pensa a mettere delle panchine in più per la gente come
loro, così possono rilassarsi ? O bisogna solo camminare, facendo il
solco come in una vecchia pubblicità della Conad?”
Non parliamo poi (e qui concludo il discorso ‘camminare’) della novità
assoluta che un nostro caro assessore dal nome di volatile ha messo
nella ormai deturpata e bruttissima Bologna: i T-DAYS (che secondo
certe voci servono contro l’inquinamento, ma secondo me servono a
rompere le scatole ai cittadini e ai poveri straziati negozianti che
già son colpiti dalla crisi). Il sabato, la domenica e i festivi, fanno
chiudere il centro (la “zona T” costituita da via Indipendenza, via Ugo
Bassi e via Rizzoli) per aprirli (sempre secondo loro) ai pedoni e alle
biciclette. Quindi, durante quelle giornate, per cercar di raggiungere
Piazza Nettuno e Piazza Maggiore ci vogliono delle belle sgobbate a
piedi!!! Da quando fu inventata questa “biiiiip”, nei giorni di sabato,
è rarissimo che io vada nella ‘zona T’. Guarda che caso, mentre
pensavo: “Ma caspita, se c’è la crisi e fai camminare la gente senza
farla riposare, vedrai che il centro si svuota!!!”, ho notato affisso
fuori da molti negozianti, l’annuncio che i T-DAYS portano solo
disgrazia per il centro: e qui, per l’appunto, dico: “Che fatica capire
questo mondo !!!”
Capitolo 3 - Che fatica capire la gente !!!
L’autobus è il mezzo più utile per notare la quantità di gente
strana...
Caso
1 - Ero seduto con un mio amico e sento dei brontolii vicino alla sede
dell’autista, dove ci sono quei posti a sedere messi uno di fronte
all’altro (non so se rendo l’idea), cioè uno è girato dalla parte
normale e l’altro è girato ‘contromano’. Ad un tratto sentii una voce
gnolosa e sgarbata che disse: “Lei pensa che io sia così anziana!?”; Il
motivo: una giovane ragazza voleva gentilmente cedere il posto alla
signora anziana... Da quel momento mi sono ripromesso di chiedere solo
alle persone gentili e sorridenti che incontro in autobus se desiderano
sedersi.
Caso 2 - Qui si tratta del periodo in cui i ‘bei rusconi’ governavano
(fino al 2012). Di multe fatte dai controllori ne ho viste parecchie,
ma i seguenti casi mi hanno sconcertato: come mai agli extracomunitari
non viene raccolta la segnalazione di multa o, se viene fatta, molti di
loro la stracciano con disinvoltura buttandola nella spazzatura? Forse
perché erano protetti dai ‘bei rusconi’? Booo?
Caso 3 - Dal caso 2; come mai da quando sono scese ‘le montagne’ a
governare, sono aumentati i controlli e i controllori sono diventati
più austeri? Ma guarda che coincidenza...
Caso 4 - Dopo quel clamoroso caso ‘l’uomo che fissa le donne’ (che mi
sembra successe su un treno, non ricordo), mi era venuta un’ansia!!! Il
motivo? Molte donne ti fissano sull’autobus come per analizzarti, se
sei un ladro, uno stupratore o chissà altro e questo m’innervosisce per
tre buonissime ragioni: 1) Le donne non mi interessano; 2) Sono una
persona buonissima; 3) Loro sono maleducate, perché fissano una
persona. Quando mi trovo in circostanze fastidiose in cui mi sento
fissato, mi metto quegli occhiali a specchio, così solo io so dove sto
guardando e l’altra persona no: da quando lo faccio sto meglio con me
stesso!!!
Caso 5 - Le borse delle donne e gli zaini sono una cosa davvero
preoccupante!!! Già che quando gli autobus sono strapieni ci si deve
incalzare per potersi muovere, ma poi se aggiungiamo tutti questi
borsaioli... Non vi dico quante pacche (benissimo evitabili con un po’
di riguardo verso il prossimo, ma c’è un tal menefreghismo che fa
paura!!!) si ricevono, quando si è in piedi, ma anche quando si è
seduti (qui soprattutto le borse delle donne).
Caso 6 - Chi ha progettato gli ultimi autobus ? Lo desidero sapere...
Mentre nei soliti autobus ci sono un sacco di stupendi finestrini da
cui prendere una sana boccata d’aria, in questi recentissimi autobus,
solo un paio di finestrini sono presenti e, addirittura, a volte sono
chiusi con una chiave strana. Quando ci fu il periodo caldo, in uno di
questi ultimi tipi ci salii sopra: non vi dico le saune che facevo,
perché i cari autisti si divertivano a vederci soffrire (tanto loro il
finestrino personale ce l’hanno)… e c’è chi ha troppo freddo o ha altre
biiippate varie!!! E i seggiolini degli autobus che facevano girare
senza aria condizionata durante la calura? Fornaci!!! Il sedere
diventava come una mela matura quando è bella cotta!!! Ovviamente,
anche qui i finestrini… diventa ‘la storia infinita’... Chi ha caldo,
chi ha la claustrofobia, chi sente le puzze d’ascelle, chi ha paura
della tosse, chi non vuole correnti d’aria, chi stranamente ha freddo
(non sto scherzando), chi ha il raffreddore ecc... ecc...
Capitolo 4 - Che fatica far amicizia!!!
Ho chiuso il mio sito internet in quanto in questo
periodo (forse
una delle causa è la crisi ?), sto facendo una gran fatica a credere
nell’amicizia: sembra che l’unico posto dove poter fare degli amici sia
la scuola, peccato che non interessa studiare...
A me piacerebbe conoscere dei luoghi dove potermi aggregare con giovani
come me, e poter far delle nuove amicizie: ma ne ho letti tanti su
internet e nessuno mi ispira (forse qui sbaglio?!). Purtroppo vedo
molti centri per gli anziani e invece per i giovani non c'è nulla e
questo è una cosa molto deludente e non capisco perché non venga
trattato questo spazio.
Ho sempre la sensazione che la gente abbia paura di avvicinarsi
all’altro (saranno tutte le tragedie che si sentono nei TG a dare
questa indifferenza?) e quindi penso che l’amicizia ne subisca la
stessa violenta sorte. Questa cosa l’ho notata soprattutto nelle
ragazze, le quali pensano sempre che uno ci vuole provare, invece che
comprendere che uno vorrebbe solo star insieme per una semplicissima
compagnia. Oh santo cielo!!! Che fatica far amicizia!!!
Darietto
|
Marco e M.Cristina
ovvero la faticosa ricerca di una vita normale
Io e Marco quando ci siamo incontrati eravamo soli, e
soli
combattevamo il male di vivere. Dopo esserci conosciuti un po’ meglio,
abbiamo deciso di andare a convivere, perché ci siamo accorti di essere
innamorati. L’uno era lo specchio dell’altro.
Non è stato e non è semplice stare insieme, soprattutto quando ci si
incontra a una certa età (dopo i cinquanta). A volte è faticoso
smussare certi angoli del carattere, perché se si ha sofferto, si
soffre, si ha più paura.
Però è anche bello fare insieme progetti, avere idee, anche sognare, ma
poi affrontare il quotidiano può diventare duro e stancante. Abbiamo
scelto di trasferirci da Bologna a Porretta Terme, da soli abbiamo
cercato casa, la organizziamo ogni giorno, il fine settimana ospitiamo
il figlio di Marco, ci siamo inseriti in un nuovo contesto. Tanta
fatica, ma ne è valsa la pena! Una vera rinascita. E a volte mi viene
in mente quella bella canzone di Eugenio Finardi che diceva così:
L’amore non è nel cuore, ma è riconoscersi dall’odore, e
non può
esistere l’affetto senza un minimo di rispetto. E siccome non si può
farne senza, ci vuole pazienza, perché l’amore è vivere insieme,
l’amore è sì volersi bene, ma l’amore è fatto di gioia ma anche di
noia.
Marco Rafani e M. Cristina Sinibaldi (Vergato)
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Il prezzo della vita
Il costo della vita è vario. C’è fatica, sudore,
dolore, alle volte
gioia e amore. Ma ogni scelta, se sbagliata è, il prezzo sale! Puoi
illuderti di raggiungere equilibrio, ma bisogna camminare sempre con la
mente, con i ricordi, le speranze e i tuoi rimorsi. Poi capisci al di
là della ragione che ci vuole compassione. Tutto si paga. Anche la
gioia è da conquistare se nell’animo saggezza c’è!
Giovanna Giusti
|
Lettera creativa Zen sulla fatica
Di fatiche ce ne sono di due tipi: immaginando noi
stessi nelle condizioni di dovere fare fatica, io penserei a tre
segmenti
consecutivi su una stessa retta AB-BC-CD:
Segmento AB
Sono ancora fermo e penso cosa accadrebbe
qualora mi mettessi in movimento verso il segmento BC. Dovrei pensare
all’età, al sesso, allo spazio, al tempo e alla durata dei movimenti
(ore, giorni, settimane…), alla temperatura (caldo, freddo),
all’ambiente (esterno, interno), alla luce (giorno, notte),
all’allenamento, alla preparazione, agli ostacoli e ai pericoli da
evitare. Riguardo ai sensi, come e se è possibile usarli: vederci o non
vederci, sentire o non sentire ecc.
Segmento BC
Cosa sta facendo l’uomo: lavora, si diletta, professione, sport,
artigiano, insegnante, giornalista, artista, musicista, pittore,
scultore, cantante, attore ecc. ecc.
Considerazioni: se l’uomo attiva se stesso o deve fare esercizi o
movimento, avrà dei tempi di sopportazione o resistenza più lunghi se
sono buone le condizioni dell’ambiente nel quale esso si esprime e a
seconda della sua natura, ma dovrà comunque saper rallentare e fermarsi
prima del punto C del segmento: la lampadina l’ammonisce che da quel
momento in poi, continuando, entra nel segmento CD, la zona d’ombra, la
fatica.
Si sa che nel mondo del lavoro, della scienza, della tecnica, gli
uomini si sono costruiti migliaia di utensili per aiutare se stessi a
diminuire lo sforzo, come le piattaforme o i pozzi per estrarre il
petrolio ecc. Poiché l’obiettivo dell’uomo sarebbe quello di diminuire
lo sforzo ed aumentare il tempo di resistenza, ossia lavorare senza far
fatica, ovvero terminare la propria attività e sentirsi normali o
stanchi da poter recuperare con il cibo e il riposo.
Frasi sulla fatica.
Distinguendo quella che l’uomo fa o non fa, se si pensa alla proiezione
della fatica, ossia se la colpa sia da attribuirsi agli utensili che
usa: queste forbici, questo coltello fanno fatica a tagliare; il treno
fa fatica ad essere puntuale, perché deve fermarsi di più e viaggiare
molto carico, perché deve trasportare tutti i tifosi che vanno a vedere
le proprie squadre negli stadi; questa batteria fa fatica a mettere in
moto il motore perché è scarica.
Quelle fatiche dove si usano gli utensili potrebbero essere chiamate
fatiche rumorose o molto rumorose: come quella dell’uso del martello
pneumatico, o il martello battente del fabbro o maniscalco, o il
trapano del dentista che fa anche paura.
Chiudo con gli utensili ed elenco un po’ di fatiche silenziose.
Faccio fatica a ricordarmi; una fatica da morire; la fatica della
gravidanza e del parto; faccio fatica a crederci; faccio fatica a
sopportarlo; faccio fatica a stare in piedi; faccio fatica a resistere
per il caldo o per il freddo; faccio fatica ad arrivare a fine mese;
faccio fatica a star sveglio; faccio fatica a sopportare chi non è
puntuale; fare fatica a masticare, fare fatica a comprendere i diversi
idiomi; fare fatica a vincere nel gioco; far fatica a far centro nel
tiro con l’arco; far fatica a cercare lavoro; far fatica a dormire; far
fatica ad avere una buona salute; far fatica ad intendere; far fatica
ad amare; far fatica ad ascoltare chi canta male o chi suona male; far
fatica a tacere; far fatica ad ascoltare chi racconta all’infinito
storie brutte sulla propria cattiva sorte; far fatica a mangiare e
dimagrire e fare poca fatica a mangiare e ad ingrassare; fare fatica a
smettere di fumare o a smettere di bere.
Faccio fatica, troppa fatica, a continuare… e mi fermo.
Luigi Zen
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Qualche banalità
Il lavoro:
“Lavorare è fatica”
“Chi non lavora, non mangia”
“Chi non lavora non sbaglia”
“Chi lavora, sbaglia... per il solo fatto di lavorare?” (????)
“Chi non lavora fa bene... se può vivere di rendita?” (????)
Le sigarette:
“smettere di fumare è fatica”
“...ma chi fuma, per questo, muore ?”
La morte:
“concepire la morte è fatica”
“ma anche morire è fatica”
"Pardonnez moi, mais maintenant, je suis très fatigué...
"
Matteo Bosinelli
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Angoscia
Guardo la mia sveglia a cristalli liquidi
e vedo le ore che brillano,
sono piccole ore perché è notte fonda
ma ad un tratto sembran fermarsi,
perché vivo un’angoscia profonda.
Sento campane che suonano a festa
ma non le voglio sentire
perché accanto a me c’è qualcuno
che vuole per sempre dormire…
In infime acque sprofondo,
la voce mi sento mancare
le mani ed i piedi non posso più usare
ho gli occhi che nulla posson vedere
e le mie orecchie nulla posson sentire
e più non posso gustare il sapore
di quello che chiamano amore.
Ma l’alba del nuovo giorno
ritorna ridente e felice,
ho soltanto sognato,
ma ho anche capito
cosa vuol dire soffrire.
“Che fatica sopportare il dolore”
Mariangela Soavi
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5 novembre 2012 h 17.45
Ho accumulato, accumulato
per anni
pressato nei polmoni,
nel cervello
quel fastidioso non so che
di amaro
che intralcia lo sguardo,
che spezza la parola,
che spegne il cognitivo,
che vigliaccamente non cerca risposte.
Pulisco decidendo di riciclare
la mia vita.
Forse risposte non ci saranno
ma sarà bello
accettare il cielo e con lui
il tempo che passa chiaro,
accettare la ruga naturale
di una vecchiaia trasparente.
La nicotina ha insidiato
maltrattando la mia vita.
Smetto di fumare,
oggi 5 novembre 2012 h17. 45.
Cinquant’anni da riciclare.
… Fare in modo di respirare piano, guardare il cielo,
la terra, a passo veloce verso casa…
i polmoni cominciano a volermi bene…
Marcella Colaci
|
Solleva quei pesi
Guarda il bilanciere
È carico,pronto per essere tirato su,
è ora che tu lo sollevi.
Sdraiati sulla panca,
mettiti i guanti,
la cintura per la schiena,
guarda l’orologio
e pompa…
Tira su quel carico immenso,
Non pensare a quanto è,
solleva tutti quei chili
e diventa forte, molto forte!
Questo per te è un passatempo
abbastanza impegnativo,
ma così diventi forte
ed impari a superare le difficoltà.
Tutti questi dischi forse sono
un po’ troppi,
il loro peso ti farà faticare molto.
La struttura della panca
è molto resistente,
uno strumento semplice,
ma allo stesso tempo molto sofisticato.
Hai finito la prima serie,
i battiti sono aumentati,
lo sforzo si sente sui pettorali.
Ora dopo un adeguato recupero
faccio la seconda serie.
Con un movimento ormai familiare,
veloce e ripetitivo finisco,
ma manca ancora la terza serie.
Pausa ci vuole un attimo per riposarsi
E mi lancio per finire le serie.
Questa è l’ultima,
ormai la fatica si sente,
ora ho finito.
Ho faticato molto,
ma mi sento soddisfatto per lo sforzo
che sono riuscito a fare.
Loopa Sonivree
|
Che fatica capire questo mondo...
Che fatica capire questo mondo
nonostante sia rotondo.
La politica mangia il denaro
mentre il povero diventa somaro,
l'ingiustizia regna sovrana
tanto che la “savana”,
approdata nelle città ormai oscure,
fa incetta di misteri, morti e fratture.
Queste porteranno
l'uomo a vivere sotto un tiranno
che democrazia è finzione
non è in piedi, non è in funzione
ma la spinge un dramma più grave:
il menefreghismo che su molti è soave.
L'uomo pensa di essere intelligente
ma gli animali e la gente
devono confrontarsi
perché loro insegnano a comportarsi.
La natura è una cosa meravigliosa
ma per l'uomo sembra quasi fastidiosa,
la sta distruggendo senza scrupoli
come se fosse una sua metropoli.
Sperando che nostro Signore
ci dia una mano in tutte le ore,
mandiamo una preghiera
a chi al mondo ancora spera,
sia ottimista, sereno e sincero
perché capir questo mondo è un bel pensiero.
Darietto
|
Mangiatoia
Accorsero dai monti e dalle valli,
dai borghi e le contrade, ad ogni via,
a piedi o in groppa ad asini o cavalli
per quel richiamo in cielo o per magia
portando sotto braccio o sulle spalle
doni a quel re, col cor pieno di gioia,
ch’è nato nel tepore d’una stalla
sopra la paglia d’una mangiatoia.
Nacque Gesù, morì per noi e risorse
ma nella greppia sparì pure la paglia…
Riempiono le tasche e pur le borse
opportunisti, pezzi di canaglia,
ingordi, ladri e pensionati “d’oro,”
gaudenti spesati dello Stato,
senza pudore e senza alcun decoro
che vengono lodati e pur premiati.
Raccolgono le briciole di pane
lavoratori tutti e bassa classe
ma ‘sti politicanti, porco cane,
li crocifiggon pure con le tasse.
R.G.
|
La popolana
Vengo dalla terra
e da lei ho imparato
quando s'alza il vento
quando cresce il grano.
Vengo dal lavoro
e da lì ho imparato
quando scatta l'ora
quando il diritto è umano.
Vengo dal popolo
fatto di proletariato
fatto di concretezza
fatto di saggezza.
Vedi al mattino la mia fronte?
Vedi la sera lungo il ponte?
Torno a casa ancora fiera,
popolana vera, forte, popolana di lotte, sincera.
Non sai cos'è il rispetto
di questo tempo che ti è servito
pettinato e riverito.
Non senti il gallo?
Svegliati è ora,
la popolana è sveglia, sappilo, lavora.
Sappi pure che mente
non c'è più fina
di una popolana e di una contadina.
Marcella Colaci
|
È Natale
È Natale ogni volta che sorridi
a un fratello
a cui tendi una mano.
È Natale ogni volta che stai
in silenzio
per ascoltare un’amica.
È Natale ogni volta che speri
con chi soffre.
È Natale ogni volta che permetti
di amare gli altri
attraverso il Signore.
Giovanna Giusti
Occhi
Occhi attenti alle meraviglie del creato
stupefatti per la perfezione della natura.
Occhi miti, aperti all’amore,
che scavalcano i torti e il dolore.
Occhi che esprimono dolcezza
in ogni gesto quotidiano.
Occhi da amare, occhi che amano!
Dedicato a mia madre.
Giovanna Giusti
|
Ti osservo
Ti osservo
il sole non ti scalda
È lento il tuo incedere
incerta è la strada
che ogni giorno percorri
uguale e monotona
il tuo passo è freddo
La terra che calpesti
non lascia traccia
I fiori nel lento avanzare
non mettono radici
Sono fragili
Solo un piccolissimo sorriso
Prima di sera
Hanno chiuso le loro corolle.
Anonimo
|
La fatica
La zappa e lo scalpello
per quest'angolo mio bello
ma nella camera ci sei anche tu
e tutti e due con i piedi all'insù.
Il fagiano e la gallina
ma com'è fatica
strozzarla in cantina.
Paola Scatola
|
Piolo per piolo
“Se al luogo ove volessi pervenire
si potesse salire
solo con una scala desisterei dal raggiungerlo.
Infatti dove debbo tendere davvero, lì devo in realtà già essere.”
Ludwig Wittgenstein
Ciò di cui vorrei occuparmi è un fenomeno, apparentemente strano, che
riguarda la valutazione che gli esseri umani danno delle attività che
comportano fatica: da un lato sembrano particolarmente apprezzati i
conseguimenti che richiedono un elevato impegno ed una grande fatica,
ma dall’altro, una valutazione ugualmente elevata sembra venire
riservata ai conseguimenti che, se pur molto complessi, ci risultano
estremamente naturali e dunque non faticosi.
Naturalmente ci saranno al riguardo differenti sensibilità tra persona
e persona, ma, chi più chi meno, tutti gli uomini sembrano presentare
questa duplicità di giudizio. E a me pare che teorie riconducibili a
questa duplicità di giudizio siano rintracciabili lungo l’intera storia
del pensiero umano (almeno di quello occidentale, che meglio conosco).
Faccio un solo esempio riguardante il problema teologico relativo al
libero arbitrio e all’intervento della Grazia divina. Il problema era
quello di decidere se l’uomo potesse raggiungere con le sue sole forze
(e dunque con sforzo e fatica) la salvezza eterna o, all’altro estremo,
se fosse sufficiente il gratuito intervento di Dio, senza alcuna
collaborazione da parte dell’uomo, e dunque senza fatica alcuna, per
ottenere tale salvezza (naturalmente tra questi due estremi si situa la
quasi infinita serie di posizioni teologiche concretamente enunciate
nei secoli). E il fatto che nessuna di queste posizioni sia mai
riuscita ad affermarsi definitivamente sta - secondo me - ad indicare
come sia estremamente difficile per l’uomo optare per l’una o per
l’altra alternativa, visto che da entrambe siamo ugualmente costituiti.
Un primo tentativo per cercare di spiegare questa duplicità,
apparentemente contraddittoria, potrebbe essere quello di sostenere che
essa ci sia stata instillata con l’educazione, negli anni dalla nostra
formazione: da un lato quando da bambini ci veniva assegnato un compito
sgradito, che so, riordinare la nostra stanza, una volta eseguitolo
venivamo gratificati dai complimenti dei nostri genitori, e quindi
rafforzati nell’impegnarci ad eseguire comportamenti consimili e a
riuscire a trarne piacere, ad onta della sua loro spiacevolezza
oggettiva; dall’altro lato, però, se possedevamo una qualche dote
naturale (e quale bambino, agli occhi dei suoi genitori, non ne ha
qualcuna?), gli adulti ci riempivano di complimenti gratificanti per
questa dote, ed essi nascevano proprio dalla naturalità di quella dote,
dal fatto che senza nessuna fatica riuscivamo in quella data cosa. E
dunque, secondo questa teoria, sin dall’infanzia saremmo stati abituati
a considerare come positive e apprezzabili sia le cose che ci costano
fatica, proprio per il loro costarci fatica, sia le cose che di fatica
non ce ne richiedono affatto, proprio per il loro venirci naturali.
Ma io nutro forti dubbi sul fatto che tutto ciò possa essere ricondotto
a un problema di educazione: tutt’al più l’educazione può aver
rivestito un ruolo di rafforzamento di una situazione già naturalmente
insita nell’essere umano.
Un’altra strada che potremmo seguire per dare conto di questa strana
duplicità consiste nell’associare le due modalità suddette a due
differenti parti costitutive del nostro essere uomini: legando la
prima, quella della gratuità, dell’assenza di fatica, della levità,
alla nostra parte più istintuale; ciò che è inscritto più profondamente
nel nostro essere, ci risulta – per definizione - naturale e
‘automatico’, e poiché i comportamenti che il nostro istinto ci
prescrive sono abitualmente di breve durata, difficilmente ci portano a
sopportare delle fatiche prolungate. È allora possibile che i
comportamenti che pur derivando da una parte più recente del nostro
sviluppo filogenetico, ma che imitano la naturalità di quella parte più
antica, ci risultino per qualche motivo (difficilmente precisabile allo
stadio attuale delle nostre conoscenze) graditi. E assoceremo invece
l’altra parte, quella legata all’esecuzione di impegni faticosi, alla
nostra parte raziocinante, quella che ci distingue dagli altri animali:
la parte progettuale della nostra mente, che ponendoci, con
l’immaginazione, in ipotetiche situazioni differenti da quella attuale
ci fa progettare una serie di azioni che, nei nostri intenti,
dovrebbero condurci a quella situazione immaginata (ed a volte è un ben
lungo percorso: se la situazione immaginata è quella di essere un
pediatra, mi devo sobbarcare come minimo dieci anni di studi
universitari e specialistici per poterla raggiungere; una bella fatica
davvero!). Il problema è che questa seconda modalità a prima vista
appare abbastanza insensata, perché se è vero che ci sono un discreto
numero di probabilità che, se uno ci mette il dovuto impegno, volendo
divenire pediatra lo divenga realmente, mi pare assai dubbio che
l’attività progettuale possa risultarci utile per ciò che realmente ci
interessa. Nessuno, sino a prova contraria, vuole divenire pediatra per
il solo gusto di esserlo, bensì perché immagina che, divenutolo, sarà
felice di esercitare quella professione: si immagina nella situazione
in cui svolge quel mestiere e si vede felice di farlo. Ma credo sia
esperienza comune che la nostra capacità di progettare i nostri stati
d’animo da qui a un’ora sia assai prossima allo zero, figuriamoci da
qui a dieci anni! E dunque ci sobbarchiamo una fatica immane senza
alcuna garanzia che ciò serva a qualcosa.
Naturalmente non agiamo, o non crediamo di agire, solo per incrementare
il nostro grado di felicità, ci sono una serie di comportamenti che
riguardiamo come ‘doveri’, che ci possono far sobbarcare una serie di
fatiche altrimenti incomprensibili. Ma il mio sospetto è quello che i
precetti etici, pur affondando le proprie radici in qualcosa di arcaico
e originario, si siano poi evoluti anche con lo scopo di dare un senso
ai comportamenti sopra illustrati, che di senso sembrano essere privi.
Diciamocela tutta: se c’è una cosa in cui l’essere umano eccelle, è
quella di cantarsele e suonarsele come più gli faccia comodo. A questo
punto pare inevitabile domandarsi se il nostro fare progetti, con il
corollario di tutte le fatiche che essi comportano, sia privo di senso.
La domanda è mal posta, non è il ‘senso’, ma la ‘necessità’ che ci
porta a ciò: viviamo in un mondo di progetti perché non possiamo -
fisicamente - farne a meno. Che ci piaccia o meno il nostro cervello è
strutturato per elaborare in continuazione situazioni e mondi
possibili, diversi da quello che consideriamo il mondo reale.
Può anche essere che la parte arcaica del nostro cervello ‘sopporti con
fatica’ (qualunque cosa ciò possa voler dire) i continui e
apparentemente insensati balletti della parte più recente del cervello,
ma tant’è, questo noi siamo, che ci piaccia o meno. Cercare di favorire
oltre un certo limite una parte della nostra natura, sia pur
importante, a scapito di un’altra parte, ugualmente importante, non è
giusto o sbagliato, è impossibile. Tutt’al più, ciò che possiamo fare è
cercare di dare il giusto peso a questa attività
immaginativo-progettuale, e non caricarla di significati che le sue
gracili spalle non possono reggere. Cercare di comprendere come la
progettazione non sia un mezzo, ma il fine.
Parafrasando Michelstaedter potremmo dire: ‘progettare’ non è per ‘aver
progettato’, ma per ‘progettare’. E con riferimento alla citazione di
Wittgenstein su riportata, potremmo dire che per noi l’unico scopo
sensato del salire una scala, sia proprio quello di salire piolo per
piolo quella determinata scala, non di andare da qualche parte.
Caminante, son tus huellas
el camino, y nada más;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
(Antonio Machado)
[Viandante, la via sono le tue orme, / e nulla più; / viandante non c’è
via, / la via si fa con l’andare.]
Antonio Marco Serra
|
Una riflessione
Auguro innanzitutto un bellissimo Anno 2013 a tutta la
redazione de Il Faro.
Una riflessione, sfogliando il numero sul Lavoro: basta la citazione
del Petrarca a spiegare tutto (Il
lavoro e l’applicazione continui sono il cibo del mio spirito. Quando
comincerò a cercare il riposo, allora smetterò di vivere.
NDR).
Per quanta possa essere la fatica e aggiungo, per quanto può apparire
inutile e avvilente, si smette di lavorare solo stesi.
Luca Montesi
|
Pensieri
Facendomi accarezzare da questo vento gelido. Accanto a
me un cumulo di
neve nera, tutta nera, il candore è sparito. Intanto continua a cadere
ed io cerco di concentrarmi nel guardarla sparire sotto i piedi.
Accucciandomi sulle ginocchia la ritrovo candida e bella senza che
nessuno la possa far morire ancora prima di nascere.
* * * * *
La
fatica non è nel corpo, ma nell’anima, quella che sento io, il dover
sentire dolore e continuare a sorreggermi sulle gambe, e cercare di
andare avanti facendomi largo in questo mondo di sudore e lacrime, ed
accorgermi che quello che ho dentro è da tirare fuori e vivere di
sudore e lacrime.
* * * * *
Farnetico in questo mondo così poco chiaro e faticoso.
Argomentazioni mille e spente, perché il mio cuore è chiuso e pieno di
dolore?
Trovassi la via giusta per ritornare sulla strada e non farmi più
schiacciare.
Invece tendo a barcollare e rendermi conto che sono viva che se
barcollo il mio cuore batte, batte e ribatte.
Allora cosa sto cercando in questo mondo così colorato?
Loredana Linari
|
Fatica
Andando su un pendio
che porta in cima alla collina,
cammini ansimando.
Più sali
e più respiri aria pura.
Quando poi sei abituato
alla salita
ecco che il tuo respiro
diventa regolare.
Così è chi cerca l’amore
e la strada del Padre.
Roberto
("Vento di Ponente" n°0 dic. 2004
Bollettino interno di
Comunicazione a cura del C.S.M. di Albenga)
|
L’esistenzialismo dell’immigrato
Andando verso l’aeroporto, (ormai quasi quattro anni
fa) mi
chiedevo in continuazione: “ ma quanto devo ancora soffrire”; ero
sicura di non essere la sola alla quale frullava in testa questa
domanda. Non avevo una risposta precisa ma ero sicura che per maturare,
per radicarmi nella nuova realtà alla quale andavo incontro, avevo
bisogno di faticare.
E fatica vuol dire sofferenza. Ed ora eccomi qui. Devo dire che ho
faticato tanto. Quante notti in bianco, quanti sorrisi spezzati da
frasi di discriminazione … e quel senso di non appartenenza a nessuna
categoria era diventato parte di me.
“Né carne, né pesce”; mi sento così tutt’ora, con la differenza che
questo “stato” inizia a piacermi. Certo che essere immigrati non è
facile. Si tratta di una sofferenza esistenziale, segreta. Differente
dal dolore fisico, il quale si può curare con una medicina. Ora,
studiando, imparando, vivendo molte cose mi rendo conto che la crisi
esistenziale appartiene a tutti. Ora non mi vergogno più quando i
sorrisi si interrompono appena dico di essere “albanese”.
Ora sorrido con amarezza a queste persone che temono
“l’extracomunitario”, parola divenuta offensiva. Ora vedo questa follia
umana di cinismo superficiale e di insicurezza. Quasi come un voluto
rifugio nell’ignoranza per non soffrire, per non capire. Perché la
sapienza nasce dal dolore ed è fulcro di esso. La crescita in tutte le
sue tappe, comporta l’acquisizione di una visione sempre più realistica
del mondo e di conseguenza un contatto sempre più limpido con il dolore
in tutte le sue sfumature.
Ed ora mi pare di essere consapevole che il dolore, per quanto
ingiusto, non è mai inutile perché amplia il nostro angolo interiore.
Leoreta Ndoci, Cuneo
(MenteInPace - anno V, numero 6 - giugno 2011)
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La fatica, la pigrizia e le scorciatoie
La pigrizia
La pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò
mezzogiorno era passato
quando a casa ritornò.
Prese l’acqua e accese il fuoco
si sedette e riposò
ed intanto a poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la comare se ne andò.
“Che giornataccia, che fatica!”, aggiungo io.
Spesso da bambina recitavo questa filastrocca che, sebbene sia puerile,
può insegnarci qualcosa. Come considerare ad esempio la fatica fisica.
Se ascoltiamo troppo la fatica fisica possiamo cadere nella trappola
della pigrizia, con conseguenze spiacevoli, come ad esempio la perdita
del lavoro, che tradotto significa niente cibo, niente casa, niente
vestiario, niente di tutto.
Inoltre la fatica mal concepita, se accompagnata dall’indigenza, può
indurci a cercare il lavoro facile, ovvero il guadagno facile. Questo è
quello che accade a molti giovani di Scampia, un degradato quartiere
della periferia di Napoli che detiene il primato europeo dello spaccio
e dove a dominare sono la povertà e la camorra! Uno di questi giovani è
un ragazzo a cui darò un nome di fantasia, che attratto dal guadagno
facile si è apprestato a lavorare con questa organizzazione criminale.
In una breve narrazione vi farò conoscere la sua esperienza. Tommy ha
solo tredici anni ed è il primo di cinque figli. Una famiglia numerosa
con gravi difficoltà economiche. Spesso in famiglia si salta la cena,
oppure Tommy è costretto a elemosinare per racimolare qualcosa.
Ha frequentato solo la scuola primaria e da quando ha lasciato gli
studi la sua casa è diventata la strada. I genitori non si preoccupano,
perché il padre lavora saltuariamente e la madre è alcolizzata e le
bocche da sfamare sono tante, così il ragazzo si trova spesso a
girovagare nei bassifondi dove abita. Girovagando di notte conosce uno
spacciatore che gli offre di spacciare cocaina promettendogli che con
poca fatica diventerà ricco.
Tommy è molto giovane, ma è un ragazzo responsabile e sa che la sua
famiglia ha veramente bisogno di denaro, così decide di accettare la
sua offerta, per migliorare le sue condizioni economiche. Il ragazzo
svolge questa sua attività per sei mesi, finché una notte un poliziotto
in borghese lo nota. Tommy è impaurito, perché teme il carcere, ma il
poliziotto lo rassicura dicendo che andranno solo al posto di polizia
per una breve chiacchierata. Durante il colloquio con Tommy le forze
dell’ordine vengono a conoscenza della sua situazione famigliare e
comprendono che il ragazzo è stato adescato, così viene deciso di non
punirlo, ma di dare a Tommy la possibilità di lavorare. Ora lavora come
garzone in una trattoria e sebbene il suo sia un lavoro di fatica è
consapevole di svolgere un lavoro dignitoso, anche se umile… ma è
soprattutto orgoglioso di poter dare alla famiglia il suo contributo,
più piccolo ma più onesto.
Questo racconto è ispirato a una storia vera ma con modalità diverse.
Mariangela Soavi
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Piccola storia Zen
Come si nasce in senso matematico, sulla fatica di
concepire… ispirato alla frase: ‘crescete e moltiplicatevi’.
Sulla capacità o fatica ad intendere… sembra che questa frase
(‘crescete e moltiplicatevi’) voglia dire che poi saranno cavoli nostri
se siamo sei-sette miliardi. Sembra anche voler dire che gli uomini nel
crescere di numero utilizzano la moltiplicazione; che vorrebbe dire:
‘andate e crescete di numero’; ma gli uomini non crescono con la
moltiplicazione, ma con la divisione; poiché si dice che ‘chi fa da sé
fa per tre’ o ‘farsi in quattro’.
Se una donna ha un rapporto con un uomo, che è una divisione, si dice
che lei ci sta e lui lo fa; se ci sta vuol dire che lei ha in testa un
piccolo numero che divide con un numero grande che lui ha in testa, e
se il resto di questa divisione è zero, lo possono fare un numero
infinito di volte e non nasce niente, è un’unione perfetta… Se però
dopo un certo tempo lui o lei cambiano di corpo o di mente, e cambiano
anche il numero che hanno in testa, in modo che il risultato della
divisione non è più zero, questo resto sono i figli che possono
nascere, con valori positivi o negativi, o con valori misti, positivi e
negativi. E lei dirà: sono rimasta incinta.
E quindi noi sei-sette miliardi di esseri umani siamo nati perché ci
siamo divisi tantissime volte dalle nostre madri; e quando i genitori
muoiono, noi figli siamo i loro resti viventi, a prescindere da quello
che lasciano o meno di beni materiali.
Luigi Zen
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RTP Casa M. D. Mantovani
Laboratorio espressivo di narrativa e scrittura creativa
Il miglior riconoscimento per la
fatica fatta non è ciò che se ne ricava,
ma ciò che si diventa grazie a essa.
John Ruskin
Fatica
Ho sempre amato la fatica,
quella fisica, che fa ansimare,
che tormenta le fibre.
Amo pedalare,
anche quando la terra biancheggia gelida,
quando il freddo taglia la faccia ed
il fiato non fa in tempo a scaldarmi il naso.
Amo pedalare anche senza ruote,
surrogato di un'epoca eroica ormai perduta.
I volani girano ed il loro turbinio ronza nell'aria.
Come la carota davanti al muso dell'animale,
l'odioso ritmo della musica
ti spinge a non fermarti
ed una voce urla che non si scherza più.
Il caldo è opprimente.
Lo sforzo aumenta e nessuno vuole cedere,
gli specchi sono opachi e la stanza
sembra proiettarci nelle verdi e nebbiose
distese invernali.
I muscoli si ribellano, il dolore
si fa strada ed un bip mi avverte quali
siano le mie colonne d'Ercole.
È già un po' che ho girato la mia
clessidra ed i cristalli mi riportano a più miti consigli.
Ma io non sono fatto per mollare,
non l'ho mai fatto!!
Le mie gambe urlano il loro sforzo,
l'ordine è di avanzare e i miei occhi sono ipnotizzati
dall'incedere ossessivo dei pedali.
Siamo giunti in cima e
il capo squadra ci saluta,
corpi madidi si allontanano lasciando
tracce salate sul terreno.
Nel silenzio,
continuo a pedalare e sono i miei pensieri
che guidano la danza.
Pensieri solitari...
le labbra non avvertono più sapori di sale,
sembrano quasi dolci!
Per chi stai piangendo stupido?
Non c'è nessuno ad impietosirsi...
La fatica è la mia alleata,
non mi arrenderò alla vita!
Umberto Sartori
Dopo aver letto la poesia, scrivi qual è
secondo te il messaggio che il poeta vuol trasmettere.
Il poeta ci vuole dire che la vita è un continuo
pedalare e andare avanti e che la fatica fa parte della vita.
Luana F.
La fatica fisica può essere tollerata e giustificata da
una grande motivazione psicologica… il Poeta ci dice: Non mi
arrendo alla vita, devo andare avanti!
Gianluigi M.
La vita è fatica, non bisogna arrendersi. Faticare può
dare anche le sue soddisfazioni!
Silvio B.
Il poeta ama la fatica sotto il sole e con il ghiaccio
perché, se effettuata con determinazione, lo porta a migliorare se
stesso e ad apprezzare il senso della vita.
Massimiliano D.
Secondo me il poeta vuol dire che nella vita non ci si
deve mai arrendere alle difficoltà. A forza di affrontarle non
sembrano neanche così dure…
P.L.C.
Si può superare la fatica facendo leva sulla propria
volontà. Il segreto per sostenere i problemi quotidiani è nella mente
e nella razionalità. E’ difficile da metter e in moto, ma non
impossibile.
Barbara G.
La vita è fatica anche a stare con gli altri… le
persone si aiutano ad affrontare i problemi e le paure. Io ad esempio
ho
paura di fare il prelievo e faccio tanta fatica ad andare, ma c’è
sempre qualcuno con me!
Mariangela D.
Scegli quella che ti piace di più tra le
seguenti frasi sulla fatica e commentala.
1. Allora quale profitto c'è per l'uomo in
tutta la sua fatica e in
tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti
i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore
non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità! (Ecclesiaste)
2. Chi mal si marita non esce mai di fatica. (Proverbio)
3. In ogni fatica c'è un vantaggio, ma la loquacità produce solo
miseria. (Salomone)
4. L'insopportabile fatica di non far niente. (Sir Richard Steele)
La nostra mente è abituata ad una certa tensione … bisogna che questa
attività sia indirizzata ad uno scopo che porti interesse e speranza al
soggetto.
Gianluigi M.
5 . L'uomo è nato per muoversi, per scrutare, per sapere chi è, che
cosa fa, dove va. Se l'uomo muore sotto la fatica, egli muore onorato e
forse utile agli altri. (Massimo D'Azeglio)
6. Le difficoltà rafforzano la mente, come la fatica rafforza il corpo.
(Seneca)
7. Spesso l'amore non conosce misura, in un fervore che oltrepassa ogni
confine. L'amore non sente gravezza, non tiene conto della fatica,
anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua
insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile.
(T. da Kempis)
L’amore permette di svagarsi e superare le difficoltà con tenacia.
Tenacia e fatica vanno di pari passo e ti rendono migliore!
Massimiliano D.
8. Un sorriso non costa nulla, ma vale molto. Arricchisce chi lo riceve
e chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo valore è talora
eterno. Nessuno è tanto ricco da poterne fare a meno, e nessuno è
talmente povero da non poterlo dare. In casa porta felicità, nella
fatica infonde coraggio. (P. Faber)
Penso che un sorriso sincero valga più di mille parole… soprattutto nei
momenti di sconforto e di fatica che, inevitabilmente, prima o poi
tutti viviamo.
P.L.C.
9. Una fatica tenace supera tutte le difficoltà. (Virgilio)
Più t’impegni a combattere nella vita, più otterrai i
risultati e sarà
bello raggiungerli proprio perché ti son costati tanta fatica!
Luana F.
Che cos’è per te la fatica
Per me la fatica fa parte della vita, è un continuo
superare le difficoltà di tutti i giorni.
Luana F.
Il corpo deve avere una sua attività fisica, a me
sembra sia stato creato per questo! Ma è bene non eccedere… la fatica
è talvolta dannosa …
Gianluigi M.
Per me la fatica è difficoltà e talvolta stanchezza nel
tirare avanti!
Silvio B.
La fatica fa parte della mia vita purtroppo…. Come di
quella di tutti credo!!! Però può essere superata…, a volte basta
solo un sorriso e la giornata cambia colore!
Massimiliano D.
Per me la fatica non è solo fisica… ci si può stancare
enormemente anche senza far niente! A volte infatti la nostra
mente vaga senza sosta e logora lentamente…
P.L.C.
Alla fine, nonostante le difficoltà, tutti
concordiamo con Khalil Gilbran:
Amare la vita attraverso la fatica è penetrarne il
segreto più profondo
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Per la mia mamma e il mio papà
Per mamma e papà, ho acceso un lumino, per come siete
stati sfortunati
nella vostra vita e per come il destino è stato così crudele che vi ha
separati ‘spietosamente’, senza pietà. Tu cara mamma forse hai
conosciuto il paradiso (e chi sa come) ma il mio papà… anche se ho
posto questo lumino fuori dalla finestra e dà luce nel cuore della
notte, pensando a te, mamma, che sei nei cieli … è più che altro il mio
papà, che ormai invalido pieno di dolore e solitudine… che sì, è in
vita, ma è una vita che è riuscito a sopravvivere, ma è tenebrosa. Sono
le ore tre di notte del 26/8/2012, ieri, il 25/8/2012 il mio papà ha
compiuto 73 anni solo soletto, immerso nei suoi ricordi. E la mia mamma
fa domani 24 anni che l’abbiamo persa. Cara mamma, il dolore mi ci
trascina, il tuo ricordo mi deprime, la tua immagine mi rattrista. No,
no! Non c’è rassegnazione che ti abbiamo persa, si sopravvive con quel
ricordo dolce di te e crudele di quel momento che è stato detto “basta,
non la rivedrete più”. Un tragico incidente.
Nel cuore della notte sono travolta da una crisi di pianto, da un vuoto
immenso interiore, dal ricordo di quel giorno, di quella tragedia. Il
27/8/1988 in quel travolgente incidente ho perso mia madre. Mio
fratello Onofrio, più piccolo di me di undici anni mi dice: “È inutile
che ne parli, sono passati 22 anni oramai”, ma secondo me soffre
soprattutto lui, che era insieme con mia madre e mio padre nella fase
dell’incidente. Lui è stato presente e ha riportato anche delle lesioni
fisiche. È un ricordo che lui vuole smuovere ma non ci riesce, però non
ne vuole fare mai testo. E poi l’altro fratello, che anche se non era
presente… ma essendo anche lui più piccolo di me… sono quelli che hanno
sofferto e soffrono di più, anche se non si pronunciano. Ma la loro è
falsa indifferenza, io glielo leggo nei loro occhi che affogano per non
pensare, perciò l’impatto del distacco è stato più traumatico, più per
loro.
Lucia Monaco
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Dentro di me non ci sei più
Finalmente la mia mente non si trascina più verso di
te, che
credevo saresti stato sempre il mio grande amore. Vivo, vegeto, è
fiorito nella mia vita per vent’anni, o sopravvissuto con l’illusione
di questo amore, con la speranza di un ritorno felice luminoso come un
dì… Nel momento di questa lunga attesa travolta nella solitudine,
inaspettatamente un altro ti ha sconfitto e si è radicato nelle radici
del mio cuore. Anche se non è come te, che con uno sguardo si aprivano
i monti. Lui invece con la sua dolcezza ha cancellato quell’attesa, di
quell’amore vissuto nel passato, ma ormai seppellito sotto i due monti
di quello sguardo (o sentimento?).
Lucia Monaco
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Le infaticabili
Visto che l’8 marzo si avvicina…parliamo un po’ di noi
donne.
È noto che le donne sanno fare
tutto quello che fanno gli uomini, anche meglio degli uomini…e lo fanno
coi tacchi a spillo!
È perché ci allenano fin da
piccole!
Con le scarpe giuste conquisteremo il mondo… anche se… giro giro tondo,
casca il mondo, casca la terra tutti giù per terra!
C’è qualcos’altro, poi, che gli
uomini proprio non sanno fare…
Se arriva un bebè, certo il mondo può attendere… Ma non attende molto,
in verità…
Forza, dunque, al lavoro!
Lavorare, si sa, ci gratifica molto, e poi siamo bravissime a
ottimizzare i tempi.
Del resto, amiamo la casa, il
pulito, e abbiamo una predisposizione naturale all’accudimento.
Inoltre tra i fornelli il nostro
fascino aumenta in misura esponenziale!
Come facciamo, dite? È che abbiamo il cervello speciale, programmato
per fare più cose alla volta… (Che fortuna!!!).
E il relax? Be’ quello ci riesce un po’ meno bene… Dovremmo prendere
lezione dai maschi!
L.L.
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Senilità
Senilità (1898) è il secondo romanzo scritto da Italo
Svevo e come
in tutti i suoi romanzi vi è molto sviluppata l’introspezione.
Questo libro narra, soprattutto, l’amore tra Emilio e Angiolina: un
amore contrastato, perché lei è infedele. Ella lo tradisce con molte
persone, una sera è vista in compagnia di un ombrellaio; la donna ha
parecchi ritratti degli abitanti del paese in casa, ha intenzione di
sposarsi con un sarto, tuttavia come per gioco corteggia un amico di
Emilio che fa lo scultore, Stefano, e intraprende anche molte altre
relazioni.
Il protagonista, Emilio, è come diversi personaggi delineati dallo
Svevo, un persona inetta e aggiungerei un po’ sfortunata. Nel suo
carattere si avverte molto l’ansia, la fatica di vivere e soprattutto
di amare. Egli ama senza essere riamato completamente.
Tra la storia di questi due personaggi si inserisce un’altra storia
d’amore, quella tra la sorella del protagonista, Amalia, e Stefano;
all’inizio essi erano semplicemente complici nel fare pesare ad Emilio
il fatto che amando Angiolina trascurava gli affetti famigliari e degli
amici. Ma con il tempo Amalia si innamora , purtroppo non ricambiata.
Anche in questa storia d’amore si riflette l’inettitudine del
personaggio che non è ricambiato.
Il finale è tragico: Amalia, sorella d’Emilio, cade in delirio e puoi
muore.
È commovente la tenerezza con la quale l’amico del protagonista esprime
tutto il suo affetto e stima al capezzale della moribonda. Consiglio la
lettura perché questo romanzo è una testimonianza della letteratura del
tempo.
Buona lettura!
Cristicchi
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Divagando in redazione sulle note di una canzone
Edoardo ci comunica la sensazione di
pace e serenità che prova
nell’ascoltare “Summertime” la famosa ninna-nanna che fa parte
dell’opera Porgy and Bess, musicata da George Gershwin nel 1935, la cui
prima strofa recita:
Summertime, and the livin' is easy. Fish are jumping,
and the cotton
is high. Your dad is rich, and your mother good lookin', so hush little
baby, don't you cry.
(Estate, la vita è facile. I pesci saltano e il cotone cresce alto. Tuo
padre è ricco e tua madre è bella, perciò taci, bambinello, non
piangere.)
Luigi dà la sua interpretazione: quando l’uomo
riesce a
raccogliere il cotone e i pesci riempiono il fiume è il momento di
benessere, che non capita tutti gli anni. Perciò il bambino non piange,
perché è nutrito e vestito.
Ave aggiunge che d’estate la vita è più
facile, perciò: bambino,
non piangere… l’inverno è passato, non aver paura di crescere, perché i
campi saranno sempre pieni di grano e la terra di cibo e avrai da
mangiare e da coprirti.
Il rovescio della medaglia, dice Luigi:
se quell’anno è stato fortunato, visto che c’era un buon raccolto di
cotone e i fiumi erano molto pescosi e quindi il bambino si poteva
nutrire e vestire, c’è però sempre da dire che siamo in un luogo dove
c’è la schiavitù e quindi i guardiani a cavallo (quelli armati)
controllano che nessuno rubi il cotone e contano anche quanti pesci
finiscono sulla tavola degli schiavi…
Addio pace e serenità.
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Riflessioni sul pack
ovvero come rompere il ghiaccio
Quando in certe ricorrenze dell’anno qualcuno si butta
nell’acqua
gelida, fra le motivazioni potrebbe avere quella di rompere il
ghiaccio.
Rispetto a quello che lo fa in certi ambienti, parlando o facendo
qualcosa sempre per rompere il ghiaccio, in fondo non c’è gran
differenza.
In entrambi i casi bisogna valutare quanto è spesso il ghiaccio, per
evitare di farsi male.
Luigi Zen
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Le fatiche di Ercole
Nella mitologia greca e romana gli dei e gli eroi
appartenevano a due
gruppi ben distinti: i primi erano di pura stirpe divina, erano
immortali, avevano una precisa collocazione e ‘funzione’ nel cosmo,
erano onorati con templi e culti particolari; gli eroi avevano
generalmente uno solo dei genitori divino e immortale, si distinguevano
per forza, coraggio e bellezza, compivano imprese straordinarie;
spesso, dopo la morte, venivano loro dedicate grandi feste
propiziatorie e le loro tombe e monumenti venivano onorati e
rispettati.
Una delle figure eroiche più importanti, per quanto riguarda il culto,
è Eracle, che i Romani chiamarono Ercole, figlio del dio Zeus e Alcmena
(donna mortale). Ercole gode della doppia natura terrena e celeste:
dopo la morte viene assunto nell'Olimpo e riceve in sposa Ebe, la dea
dell'eterna giovinezza.
Fu per espiare l'uccisione dei suoi figli che Ercole, al servizio di
Euristeo, re di Tirinto e Micene, dovette sottoporsi alle famose dodici
fatiche.
1) Uccisione del leone di Nemea
Ercole uccise il leone di Nemea, mostro dalla pelle invulnerabile,
strangolandolo a mani nude con forza incredibile, avvolgendo le sue
braccia grandi intorno al leone, tirandogli il collo e strangolandolo a
morte, non comprendendo quale arma potesse ucciderlo. Morto il mostro
enorme, Ercole tentò di scuoiare la bestia, ma la pelle era così dura
che non poté né lacerarla né tagliarla. Allora provò ad adoperare gli
stessi enormi artigli del leone: questi furono efficaci ed Ercole
ottenne il suo trofeo. Ammirando l’impenetrabilità e resistenza della
pelle del leone, se la gettò addosso come un mantello e la tirò fin
sopra la testa come un elmo. Da quel momento Ercole indossò sempre la
pelle di leone come protezione in battaglia.
2) Uccisione dell'Idra di Lerna
L'Idra era un drago dalle tante teste (di cui una immortale) che viveva
nella palude di Lerna e atterriva i villaggi vicini divorando uomini e
bestie quando si svegliava dal suo sonno. Quando Ercole cominciò a
tagliare le teste con la spada, si accorse che da ognuna ne
ricrescevano due, per cui, decise di bruciarle con tronchi infuocati;
la testa centrale che era immortale, invece, la schiacciò con un masso;
infine intinse nel sangue del mostro le sue frecce, che da quel
momento, quando andavano a segno, provocavano ferite che non si
rimarginavano mai.
3) Cattura del cinghiale del monte Erimanto
L'enorme cinghiale di Erimanto devastava l'Arcadia distruggendo i campi
della città di Psofide. Euristeo ordinò a Ercole di debellare il
mostro, ma per rendergli l'impresa più ardua, gli impose di catturare
il cinghiale vivo. Ercole lo catturò vivo.
4) Cattura della cerva di Cerinea
Euristeo diede questo compito ad Eracle sapendo che l'animale era
proprietà sacra di Artemide: catturarla avrebbe voluto dire per lui
commettere un’empietà contro la dea. La cerva di Cerinea, che aveva le
corna e gli zoccoli d'oro, correva più rapida delle frecce. Ercole la
inseguì per un anno fino a catturarla per sfinimento, quando si fermò a
bere presso un fiume nella terra degli Iperborei. Ercole azzoppò la
cerva colpendola alla zampa, con una freccia dalla punta della quale
aveva rimosso il sangue dell'Idra uccisa in precedenza.
5) Uccisione degli uccelli del lago Stinfalo
I mostruosi uccelli del lago Stinfalo in Arcadia mangiavano carne
umana. I loro artigli, becchi e penne erano metalliche. Le penne quando
sbattevano nell'aria emettevano un rumore molto acuto e venivano
scagliate come frecce: chiunque entrava in contatto con questi uccelli
ne veniva trafitto a morte. Ercole ne uccise alcuni con le sue frecce e
cacciò i rimanenti.
6) Pulizia delle stalle di Augia
Le stalle di Augia (figlio del Sole, re dell'Elide nel Peloponneso)
erano colme di letame del bestiame che, immune alle malattie, si era
moltiplicato. Ercole le pulì deviando i fiumi Alfeo e Peneo.
7) Cattura del toro di Creta
Il toro di Creta era stato reso furioso da Poseidone perché Minosse non
lo aveva sacrificato come promesso. Ercole lo catturò vivo intrecciando
un laccio e poi inseguendo la bestia finché non la indebolì, gettandole
il laccio intorno al collo. Una volta domato il toro, l'eroe gli salì
in groppa e lo cavalcò attraverso il mare fino al palazzo di Euristeo
ad Atene.
8) Cattura delle giumente di Diomede
Le giumente (cavalle) di Diomede si nutrivano di carne umana; Ercole
uccise Diomede e lo diede in pasto alle giumente, che si lasciarono
domare.
9) Conquista della cintura di Ippolita regina delle Amazzoni
Ercole uccise Ippolita e donò la cintura, simbolo del potere, ad
Admeta, figlia di Euristeo.
10) Cattura dei buoi di Gerione
Figlio di Crisaore e di Calliroe, re dell'isola Eritea (collocabile in
qualche punto del Marocco), Gerione era un gigante con tre teste, sei
braccia e sei gambe, cioè con tre corpi uniti su un unico ventre, che
possedeva immensi armenti di buoi. L'eroe raggiunse l'isola del
gigante, dove pose i confini del mondo conosciuto (le Colonne
d'Ercole), uccise prima i due custodi (Eurizione e il mostruoso cane
Ortro) poi Gerione, e infine prese i buoi.
11) Conquista dei pomi d'oro del giardino delle ninfe Esperidi
I Pomi d'oro delle ninfe Esperidi erano il dono di nozze fatto da Gea a
Era, che il drago Ladone custodiva in un giardino nell'estremo
Occidente. Ucciso il drago Ladone, guardiano del giardino delle ninfe
Esperidi, Ercole si impossessò delle mele e le portò a Euristeo.
12) Cattura del cane Cerbero
Cerbero era il mostruoso cane tricipite che stava a guardia di Ade, il
mondo degli inferi. Ade impose a Ercole di catturare Cerbero senza fare
uso delle armi: se avesse vinto avrebbe permesso all'eroe di portare il
mostruoso animale verso la luce, con l'impegno però che lo restituisse
subito al regno al quale per sempre doveva appartenere. Dopo un
estenuante combattimento, Ercole vittorioso condusse Cerbero da
Euristeo e poi lo riportò indietro.
Darietto
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Recensione del film “Le fatiche di Ercole”
Un film, per me stupendo, sulla mitologia greca che
tanto adoro, è Le fatiche di Ercole
del 1958 regia di Pietro Francisci. Solo alcune delle 12 fatiche
vengono raccontate, perché la storia di Ercole viene fusa con quella di
Giasone.
Praticamente Ercole deve aiutare Giasone a ritornare sul trono di Jolco
di cui Pelia, con la complicità di Euristeo, si è impadronito uccidendo
persino il fratello Esone.
Ercole, ucciso il Minotauro, scopre dal centauro Chirone, ormai
vecchio, che Pelia aveva scacciato il piccolo Giasone, vero erede al
trono. Questi è ormai un giovane, che Chirone affida ad Ercole perché
lo riconduca a Jolco. Pelia accoglie benevolmente il giovane, ma non
crede che sia veramente Giasone, poiché è privo del ‘vello d'oro’,
simbolo della regalità, misteriosamente scomparso, perciò Giasone ed
Ercole, con un gruppo di giovani animosi, partono per la lontana
Colchide alla ricerca del vello. Ha inizio così l'avventura degli
Argonauti, che superando ostacoli e pericoli di ogni genere,
raggiungono la favolosa Colchide. Qui Giasone uccide in un'epica lotta
il drago che custodisce il ‘vello d'oro’. Giasone ed Ercole devono
ancora superare gli intrighi di Euristeo, ma con l'aiuto di Jole,
l'eroe abbatte ogni ostacolo e uccide Euristeo, mentre Pelia
s'avvelena.
Giasone riconquista il trono; Ercole e Jole vanno uniti verso un nuovo
destino.
Darietto
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Recensione del film “Asterix e le dodici fatiche”
Questa è la parodia, in chiave comica e in cartone
animato, del film “Le fatiche di Ercole” di cui ho parlato
precedentemente.
A me piace molto la parte de “La casa che rende folli”, che fa rendere
conto, nella nostra realtà, della nostra brutta e stupida burocrazia.
Qui siamo nell’Impero Romano e non nell’antica Grecia, perciò a mio
parere si vuole mettere in evidenza, in modo molto buffo e simpatico
quelle che una
volta erano le usanze dei Greci e quelle di ‘adesso’ (per l’epoca dei
Romani, s’intende), molto più moderne.
Un’ultima cosa davvero simpatica è che qui, le fatiche in realtà sono
delle prove estremamente facili per i nostri eroi in quanto possiedono
dei poteri e delle arguzie che Giulio Cesare non avrebbe mai immaginato
che loro possedessero. Due di queste mi hanno fatto sbellicare dalle
risate:
- Caius Pupus svela che la sesta fatica consiste nel consumare tutto il
pranzo preparato da Mannekenpix, il cuoco dei Giganti; Obelix si offre
di superare la prova da solo. Il cuoco serve le seguenti portate: un
cinghiale con radici fritte (patatine fritte), otto oche arrosto, sei
montoni, omelette dei Titani (con otto dozzine di uova), un vassoio di
pesci, un bue, una mucca, due vitelli, caviale a grani grossi con un
piccolo toast, un cammello farcito, e, commentando "prima di passare al
resto", un elefante alle olive. Mannekempix fugge via sconvolto dopo
aver completamente esaurito le scorte, mentre Obelix esce dalla taverna
lamentandosi che il cuoco lo ha lasciato a metà, subito dopo gli
antipasti.
- Passeggiando in una città, vedono alcune persone che si comportano in
modo alquanto bizzarro: sono coloro che hanno visitato un palazzo
dell'amministrazione pubblica, chiamata “La casa che rende folli”, ed è
proprio lì che devono recarsi Asterix e Obelix; la nuova prova consiste
nel farsi rilasciare un lasciapassare A38. Fra un'interminabile serie
di rimandi e formulari, si ritrovano sull'orlo della crisi di nervi, da
cui si salvano solamente grazie a un'intuizione di Asterix, che chiede
ad uno sportello il nuovo (inesistente) lasciapassare A39: questa
richiesta ha un effetto spiazzante su impiegati e funzionari che
vengono in questo modo resi folli dalla loro stessa burocrazia. Quindi
Asterix si rivolge direttamente al Prefetto, incontrato casualmente,
per ottenere il lasciapassare.
Di quest’ultima prova, desidero far notare come la genialità di Asterix
abbia potuto “girare la frittata” a loro favore, portando così ad una
vittoria nei confronti di chi li voleva renderli matti… Magari fosse
così anche nella realtà !!!
Darietto
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Michelangelo Buonarroti, genio cinquecentesco
Non voglio parlare delle sue attività artistiche, ma di
quelle
letterarie, cioè delle Rime, che furono pubblicate alla sua morte da un
pronipote. Poesie che a me piacciono molto, perché si evince il dolore
per la morte del padre, o del servo Urbino (1).
Alcune parlano di una donna aspra e fiera, di cui il poeta mette in
evidenza la bellezza e la gioventù, in contrasto con la vecchiaia di
lui. Ben diversi sono gli appellativi usati per Vittoria Colonna,
poetessa romana, amica. Egli si stupisce persino dell’amicizia che lei
gli concede, perché la ritiene una donna straordinaria, virtuosa e
aulica, come era successo (nel ‘dolce stil novo’) a Dante per Beatrice
e a Petrarca per Laura.
Chi lo definisce autodidatta non gli rende giustizia, perché fu a
bottega dal Ghirlandaio e alla corte del Magnifico fu a contatto con
studiosi, filosofi e letterati. Il Ghirlandaio si rese conto
immediatamente delle sue enormi possibilità.
Viaggiò per le sue attività e anche per altri motivi tra Firenze,
Bologna e Roma. Michelangelo è stato, in quello che si chiama ‘finito -
non finito’ (i Prigioni), un precursore dell’arte moderna. Il mio mito.
Si può dire che ‘la sua mano è mossa da Dio’, anche se i pontefici
lesinarono sulle opere da lui prodotte. Ritornando alle Rime, posso
dire che è evidente la religiosità di Michelangelo.
Egli dice anche che ha mille colpe chi ha una vita più lunga. Sostiene
che la fama non è duratura, ma tutto ciò che ha fatto è invidiato dal
mondo intero e la sua fama resiste tuttora.
Il Condivi (2) sosteneva che poetando egli interruppe la scultura, la
pittura e l’architettura. Il Croce e i suoi seguaci considerarono di
poco valore i suoi scritti, che invece erano stati sopravvalutati da
Ugo Foscolo. Comunque le sue poesie sono da iscrivere tra quelle dei
maggiori poeti cinquecenteschi.
NOTE
1) Si tratta di Francesco Amadori, detto Urbino, di Casteldurante,
servo fedelissimo per ventisei anni. Michelangelo scrisse su di lui una
lettera commovente, in cui diceva: “La grazia è stata che, dove in vita
mi teneva vivo, morendo m'ha insegnato morire non con dispiacere, ma
con desiderio della morte”.
2) Ascanio Condivi, artista minore, amico e biografo,autore della Vita
di Michelagnolo Buonarroti raccolta per Ascanio Condivi da la Ripa
Transone, 1553
Giovanna Bassi
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Barzelletta vegetale
Un certo signor Zucchini va in un negozio; ad un certo
punto il
commesso chiede: “A chi tocca?” E il signor Zucchini, ignorando che
prima di lui c’era un altro dice: “Tocca a me”. Ma il signore che lui
ignorava dice: “No! Adesso tocca a me!” E aggiunge: “Ma lei lo sa con
chi sta parlando?!”
Indovinello
Luigi Zen
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Soffri mio cuore
Martina si trovava in una situazione a dir poco
drammatica e battendosi
il petto, il suo cuore così rampognava: “Soffri mio cuore, mali
peggiori, altra volta soffristi”. La sua vita era a un bivio, doveva
scegliere se restare in quella città a lei nota o allontanarsi per
andare in un luogo dove nessuno la conosceva.
La sofferenza era atroce, non le dava scampo, nessuna tregua. La donna
era abituata al dolore, ma ogni volta che le si presentava era sempre
un’esperienza durissima. La sua famiglia e le conoscenze, le amicizie
che aveva, costituivano per lei un punto di riferimento fondamentale.
Abbandonarle per andare incontro a delle incognite era difficilissimo.
Suo marito le era accanto amorevolmente, tante volte e in tante altre
occasioni l’aveva sorretta e continuava a farlo.
Mancavano pochi giorni alla partenza e la donna era afflitta da dubbi e
incertezze. A che cosa andava incontro? Quali prospettive le si
sarebbero presentate?
La vita per la donna non era mai stata facile. Tante esperienze dure
costituivano il suo bagaglio interiore. Erano, se così si può dire, la
sua forza. Martina era nello stesso tempo fragile e forte, temprata da
tante avversità. Cosa le riservava il futuro? Questa era l’incognita
più grande a cui la donna andava incontro, non si scoraggiava, aveva
attraversato periodi scuri, ma ne era sempre uscita vincente. Ce
l’avrebbe fatta anche questa volta.
M. Chiara Reitani
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La posta
Buona sera cari amici, mi voglio presentare. Mi chiamo
Stefanone,
frequento saltuariamente il gruppo di auto-mutuo-aiuto ‘Per un
Linguaggio Comune’. Io sono seguito dal Centro dello Scalo. La fase
acuta della patologia è già passata. Questo mi permette nel contesto
sociale di avere una mia famiglia, un lavoro e anche un dignità, come
persona tra persone. Mi raccomando, amici miei, ascoltate i vostri
psichiatri e tutto il personale che vi segue. Ultima cosa: con le
medicine evitate il far da sé.
Ciao a tutti
Stefanone
Ciao, Stefanone, siamo molto lieti di aver ricevuto da te notizie
positive e un testo sulla fatica, che troverai nel Faro. Continua a
scriverci!
Reparto Arcipelago
Per la dott. Lucia Giaccotto da parte di Giovanna Bassi.
La sua dolcezza e la sua calma sono proficue per noi malati bisognosi
di cure ed affetto. La ringrazio per il suo amore e la sua
perseveranza. Grazie!
Volentieri pubblichiamo un messaggio di apprezzamento e
gratitudine.
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Soluzione dell’indovinello di Luigi Zen
Non disturbare il gatto che sta
facendo il bidet!
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