L’editoriale
Come dice la nota trasmissione radiofonica Il
Comunicattivo: “ Fa più male l’ignoranza della cattiveria”.
Tanto per essere un po’ tecnici, per ignoranza si intende: “stato di
chi ignora una determinata materia, disciplina, nozione” e più in
generale: “mancanza di istruzione, di sapere”.
Io, in uno stato di profonda ignoranza lo sono stato per lungo tempo.
Non che ora sia in uno stato di grande conoscenza; ma non mi posso più
nascondere dietro al fatto che non conosco. La mia vita è cambiata a
vent’anni. Mi sono iscritto a una scuola serale e grazie a delle
insegnanti donne mi sono trasformato. Sì, nella mia vita ho imparato
più dalle donne che dagli uomini. Questo però sarà il tema del prossimo
numero de Il Faro.
In genere quando si è in una grave ignoranza non ci si accorge nemmeno
di esserlo e, come dice il proverbio, chi non sa, non soffre. Tuttavia,
mano a mano che si prende coscienza, succedono cose strane che possono
sfociare in un forte senso di colpa o addirittura, al contrario, dare
benessere e sollievo.
Proviamo a vedere alcuni esempi: un caso estremo, un malato di tumore
al polmone, fino a quando il suo male non sarà diagnosticato
definitivamente, soffrirà di un forte dolore fisico, ma
psicologicamente soffrirà meno, fino a quando non gli verrà detto che
da lì a breve dovrà morire. E lì, le cose, cambiano.
Prendiamo in esame la situazione contraria, quando è il medico a
trovarsi nell’ignoranza, cioè a non essere in possesso delle necessarie
competenze. Il paziente vedrà la sua salute peggiorare o non recupererà
come dovrebbe. È chiaro che se la conoscenza del medico aumenta, e con
essa la coscienza di essersi sbagliato, la sofferenza, legata al senso
di colpa, aumenta a carico del sanitario.
Lo stesso esempio vale un po’ in tutti i settori: dall’ingegnere al
giornalista, dal magistrato al commercialista, dal politico allo
psicologo. Mi sento quindi di affermare che l’ignoranza fa più danno in
funzione della responsabilità. È chiaro che anche un operaio può
soffrire molto per aver sbagliato a montare un oggetto; ma quanto più è
in ballo la salute e la vita delle persone e tanto più è importante non
sbagliare per ignoranza.
Prendere coscienza della propria ignoranza, comunque, di solito porta
giovamento. Prendiamo sempre l’esempio del medico che grazie ad un
corso di aggiornamento impara una nuova tecnica di cura che gli
permette di curare malattie fino a quel momento per lui impossibili da
guarire, ora, grazie a questa possibilità, sarà molto lieto di farlo.
Abbiamo visto che l’ignoranza può essere causa di sofferenza in due
sensi. Tale sofferenza, però, può essere modulata in funzione della
capacità di perdonarsi o di perdonare. Ma fino a che punto si può
perdonare? Sicuramente quando c’è il dolo, no! Negli altri casi il
perdono è modulabile in funzione della buona fede.
È importante e bello conoscere, per crescere e far migliorare e
crescere la vita e la civiltà. Leggere, informarsi è utile ma anche un
piacere… Per questo se leggete Il Faro, di certo
non sbagliate.
In ordine cronologico ringrazio: l’insegnante di italiano del primo
biennio, per la passione che mi ha trasmesso per la letteratura, la
docente di filosofia e pedagogia per la passione verso la conoscenza,
la maestra Cristina, che mi ha insegnato a conoscere e a comunicare,
permettendomi di uscire da una profonda introversione quasi patologica,
l’insegnante di italiano dell’ultimo triennio, che mi ha fatto scoprire
cos’è la cultura e la sua importanza e infine Alessandra Pederzoli, che
mi ha insegnato a trovare in me le risorse per scrivere racconti.
Fabio Tolomelli
|
Francesco Hayez: ‘L’ultimo bacio dato da Giulietta a
Romeo - 1823 (olio)
L’‘ignoranza’ in generale è
qualcosa di devastante;
quando poi l’ignoranza è il non saper prendere in esame le prospettive
e i bisogni dell’altro, crea molto spesso il ‘conflitto’.
Per rendere edotti i più giovani e i meno possibilitati di studio (tra
i lettori de Il Faro) mi piace ricordare la teoria del ‘campo
cognitivo’ di Kurt Lewin*:
C = f (P, A)
dove il comportamento è funzione della persona e dell’ambiente
psicologico ad un momento dato. Grande importanza ha anche la
‘prospettiva temporale’: accadimenti passati e speranze per il futuro.
Il dipinto che mi permetto di presentare questa volta è L’ultimo
bacio dato da Giulietta a Romeo
(1823), opera del vessillifero del romanticismo italiano: Francesco
Hayez (Venezia 1791 – Milano 1882). La sua arte, sorretta da elevate
qualità di disegnatore, non è scevra da una certa freddezza che però
viene riscattata dalla sobrietà e austerità del suo fare. Tra le prime
testimonianze figurative in Italia, dell’enorme fortuna letteraria
goduta dal tema nei primi decenni dell’’800, rappresenta un momento
decisivo per l’affermazione della pittura storico-romanzesca: il
soggetto deve ad Hayez la sua vastissima divulgazione. Ciò è confermato
dal successo espositivo del quadro e soprattutto dal favore incontrato
presso la più autorevole critica coeva. L’opera osteggiata dai
neoclassici milanesi, è un esempio della nuova poetica romantica e
contiene brani di un realismo certamente inconsueto a queste date.
Piergiorgio Fanti
* Kurt Zadek Lewin (Mogilno, 9 settembre 1890 –
Newtonville, 12
febbraio 1947) è stato tra i primi ricercatori a studiare le dinamiche
dei gruppi e lo sviluppo delle organizzazioni, ed è sostenitore della
psicologia della gestalt. È considerato uno dei padri della psicologia
sociale. (NDR)
|
Tutti nasciamo ignoranti
Tutti nasciamo ignoranti. Questa affermazione può
sembrare sgradevole,
ma non deve essere considerata così, perché ignoranza non significa
essere poco intelligenti, ma significa mancanza di conoscenza, quindi
tutti alla nascita abbiamo bisogno d’imparare. Per prima cosa impariamo
a camminare e a parlare. Mentre cresciamo abbiamo sempre più necessità
d’imparare, così diventa importante lo studio che gradatamente ci aiuta
a eliminare i tratti dell’ignoranza e ad acquistare sempre più
conoscenza di noi stessi e del mondo che ci circonda.
Anche una sana e buona lettura può aiutarci a combattere l’ignoranza
migliorando il nostro modo di scrivere e il nostro linguaggio.
Se è vero che la scarsa conoscenza non ci farà crescere le orecchie
d’asino, è anche vero che la troppa conoscenza, se mal gestita, può
diventare dannosa. Può farci diventare troppo orgogliosi facendoci
dimenticare e sottovalutare le persone più deboli e più bisognose
d’aiuto, che non dobbiamo considerare inferiori a noi; solo così
facendo dimostriamo di essere privi d’ignoranza e meritevoli di lode.
Mariangela Soavi
|
L’ignoranza
L’ignoranza è l’arte del non conoscere, di non capire
mai cosa ci sia o non ci sia dentro le cose e i fatti.
Ma
perché esiste e quando è nata? È nata da quando è nato il mondo, e si
perpetua di generazione in generazione, quasi fosse un qualcosa di
ereditario.
L’ingratitudine dei molti o l’intolleranza estrema dei forti, il
preoccuparsi troppo poco di sé e di ogni creatura vivente, porta cioè a
fingersi tutti saggi e lontani rispetto all’ignoranza medesima. Ma dopo
un po’ l’ignoranza e la cattiveria emergono e vengono a galla ogni
giorno di più. E, infine, più si è ignoranti, più si viene apprezzati.
L’ignoranza è l’arma con cui gli ‘stolti’ vengono minacciati dai pii e
onniscienti super-cervelli del globo, che stanno sempre dalla parte dei
bottoni, nelle stanze vuote con vomitevoli pavimenti grigi, ove
risicano e rosicano i topi e le ragnatele del potere.
Ave Manservisi
|
Il latinorum
ovvero quando l’esser più colti diventa strumento di oppressione
dialogo fra Renzo Tramaglino e don Abbondio
- Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
- Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
- Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis,
ordo, ligamen, honestas. Si sis affinis,...
cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
- Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io
faccia del suo latinorum?
- Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi
le sa.
A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. II
|
Dialoghetto Zen
Luigi:
Fu quando si venne a sapere che c’era troppa gente
che stava dalla parte dei bottoni, che pensarono di inventare la
chiusura lampo.
Edoardo:
Infatti i frati non usano i bottoni, quando poi fanno il voto dl
silenzio, di bottoni non ne attaccano proprio…
|
L’ignoranza
Se qualcuno mi chiedesse: "Quali sono i grandi mali
dell'umanità?",
risponderei certamente: "solo due: la sovrappopolazione e l'ignoranza”
(e l'una deriva dall'altra).
Se l'uomo non sfornasse figli come i conigli, non saremmo il doppio di
quello che dovremmo essere, non ci sarebbe la FAME, non ci sarebbe lo
SFRUTTAMENTO, non ci sarebbe la DISOCCUPAZIONE, non ci sarebbero code
di migliaia di idioti sulle autostrade o carnai in agosto sotto gli
ombrelloni. È evidente che anche queste cose derivano dall'ignoranza.
Stupidi si nasce e si resta tutta la vita, ignoranti si nasce, ma non
si (dovrebbe) resta(re).
Un attimo: non dico che i nostri giovani debbano passare ore ed ore a
studiarsi cretinate che non serviranno loro nemmeno come passatempo, ma
APRIRE LA MENTE alle cose del mondo in maniera OBIETTIVA e CRITICA.
Quando io ero giovane, le frasi ricorrenti erano: "Questa cosa è così
perché lo dico io", oppure: "perché è così", "questi dogmi non si
mettono in discussione" e così crescevano tante pecore, che andavano a
riempire i greggi dei furbi pastori, che ti spremevano come limoni poi
ti abbandonavano con una pensione da fame.
Quelli prima di noi (e noi dopo) furono i primi a mettere in
discussione tutto, a PENSARE. Pensare che forse era meglio che la scopa
avesse un manico per poterla usare diritti e non chinati. Pensare che
due persone potessero amarsi anche senza dire un sì a un tizio vestito
da Scaramacai. Pensare che anche due persone dello stesso sesso
potessero amarsi, che la donna non era la cameriera dell'uomo, ma
poteva avere anche un lavoro e una carriera. Pensare che il Sol7 non
possa sempre risolvere a Do, ma qualche volta anche in La minore.
Certe culture vivono nell'ignoranza. Perché? A parte il fatto che forse
vivono meglio di noi e non respirano veleni ogni giorno, qual è il
motivo? Il clima? Troppo caldo per pensare? No? Ecco... la tradizione.
Intendiamoci: non che ogni tradizione sia sbagliata, chi non conosce i
vecchi rimedi empirici e miracolosi delle nostre nonne? Ma pensate un
momento: le grandi scoperte, le grandi invenzioni non sono venute tutte
da un'idea moderna, da un trasgredire agli ipse dixit?
E qui si dovrebbe parlare delle religioni, ma è meglio non aprire il
discorso.
Non è una laurea che ti affranca dall'ignoranza, è la tua APERTURA
MENTALE. Buona vita, e buon lavoro a chi ce l'ha.
In quanto al governo.... vedi il tema del giorno.
Max Trentini
|
L’altra prospettiva
Ignorare un significato profondo può significare
ignorare una realtà,
una possibilità. Se per esempio pensiamo alla parola ‘povero’, per noi
può significare mancanza, difficoltà e nonostante questo non sempre
mettiamo a fuoco la condizione di vita nella quale vive una persona che
definiamo povera, cosa si aspetta dal futuro o più semplicemente dalla
singola giornata. Eppure essere povero non significa soltanto essere
indigente, ma significa guardare la realtà da un’altra prospettiva.
Ignorare in questo caso significa non accorgersi dell’altra
prospettiva, quella che ci permetterebbe di stare insieme
preoccupandoci gli uni dei bisogni degli altri con grazia e sapienza.
Infatti è necessario ricordare che i bisogni possono essere diversi
nelle diverse situazioni di vita, ma sempre abbiamo bisogno di
rispetto, affetto, solidarietà. Occorre continuare a interrogarsi
chiedendoci se abbiamo trovato, compreso e accolto anche l’altra
prospettiva della realtà, prospettiva che nasconde possibilità e
ricchezza soltanto per chi le fa sue e non le ignora.
Costanza
|
Brainstorming sull’ignoranza
S:
L’ignoranza è la non conoscenza del mondo, della realtà,
di ciò che ci circonda, il non vedere, l'essere offuscati.
Etimologicamente ignoranza deriva direttamente dal greco gnor-izein
(conoscere) attraverso il latino ignorare (ingnarus, che non sa).
M:
Ignorare equivale a non sapere. Ma vi sono molti usi della parole
ignoranza, per esempio trascurare volontariamente. Ignorare le norme di
prudenza non significa che io non conosco le norme ma che non le
applico, non le rispetto. In questo caso equivale quindi a scarso
rispetto. In questo senso ignoranza significa mancanza di buone maniere
e di sensibilità.
E:
Io la collego alla paura, si ha paura di ciò che non si conosce, perché
non si riesce a classificarlo, a capirlo e a controllarlo.
O:
Ignoranza è paura per il diverso, per esempio nei confronti di una
persona di colore.
F:
Siamo tutti ignoranti. È impossibile sapere tutto, e ci sono alcune
cose che fa più male sapere. Ognuno di noi ignora qualcosa.
M:
Socrate diceva: “Io so di non sapere”. La realtà è molto complessa.
S:
L'accezione della parola è negativa quando significa trascurare, non
quando significa non sapere. Quando volontariamente ferisco, quando
volontariamente ignoro, non presto attenzione, a ciò che tuttavia
conosco.
E:
Credo possa essere utile considerare i due aspetti dell’ignoranza,
quello più negativo di cui parlavano S e M che prevede una voluta
ignoranza delle regole, delle leggi scritte o sociali e che è mancanza
di rispetto e quello più positivo per cui dal non sapere io posso
trarre una spinta a conoscere, ad andare oltre. Voi cosa fareste se
foste ignoranti rispetto ad un certo tema o argomento?
O:
Io mi informerei.
M:
Più si sa, più ci si accorge di non sapere.
O:
Una volta, leggendo, mi sono imbattuto in una parola che non conoscevo.
Ho guardato nel vocabolario ma c'era scritto solo ‘forma grammaticale’.
Mi sono fermato lì.
E:
L'ignoranza può diventare un motore, una spinta positiva quando riesco
a stupirmi di fronte a qualcosa. Alcuni teorici sostengono che ci sia
una pulsione innata nell’uomo a conoscere, la chiamano pulsione
epistemofilica. Il meccanismo funziona pressappoco così: il soggetto è
spinto a conoscere, ha un’eccitazione, una attivazione epistemofilica
che lo spinge verso l’oggetto della conoscenza che fornisce
gratificazione e appagamento in una circolarità che restituisce la
spinta a conoscere. Da un punto di vista psicopatologico, per esempio,
si potrebbe dire che chi è depresso non sente più la spinta a
conoscere, o se la sente non arriva a cercare l’oggetto della
conoscenza o a non sentire la gratificazione che produce la conoscenza.
Qualcosa nel meccanismo si potrebbe dire che si è rotto. La pulsione
epistemofilica ricerca sempre un oggetto ed io vedo questa ricerca come
vitale. Potremmo chiederci perché O si è fermato di fronte ad una non
soluzione, una non spiegazione del significato della parola.
M:
L'approfondimento avviene se c'è uno stimolo. Gli stimoli vengono
selezionati. È ignorante chi crede di non esserlo.
www.associazioneumanamente.org
|
Riflessione
Doveva iniziare la lezione. Le finestre erano aperte e
si udiva il
canto di un uccellino. Il professore non parlò, lasciò l’uccellino
cantare.
Edoardo Zen
|
Cosa sarà
Comunque vada sarà
un successo!
Oggi tutti vogliono l'impossibile subito
senza faticare,
ma questo non è sicuramente il metodo migliore
per ottenere le cose.
Bisogna faticare per apprezzare
meglio quello che riusciamo ad ottenere...
Solo dopo duro lavoro
ci riusciamo a formare come individui!
L'ignoranza
ci circonda in ogni momento quotidiano,
non conoscere le cose
viene vista
come scusa per poter così fare tutto
anche le cose sbagliate
leggere aiuta a liberarci dall'oscurità.
Volere successo è simbolo d'ignoranza?
Sicuramente
non è il desiderio
di essere migliore degli altri
che ci libera dai problemi quotidiani.
Viene
sacrificata una tranquilla quotidianità
con azioni e gesti semplici
per ricercare tutto il di più
che ci dovrebbe dare gioia,
realizzeremo
il sogno di molti
che però non ci renderà
mai migliori di come siamo.
Cerca in te stesso
il tuo desiderio di vivere felice,
senza problemi,
apprezzando la semplicità,
con la conoscenza
che la vita ci può dare tutto
anche senza ricercare l'impossibile...
Loopa Sonivree
|
Era l’ignoranza
Coriandoli bianchi
si posano
belli e argentei
come le donne
a stirare
fra le lenzuola
ignare di guerre
Marcella Colaci
|
La scuola
La Scuola
È l’unica miniera
Che regali
Il metallo più prezioso
La Cultura
Luigi Monaco (dalla raccolta “Verso la Torre”)
|
Tonnellate
Una signora
Aspetta
Il suo primo bambino.
Le ho dato consigli
Per difendere
L’innocente.
Nel salutare
L’ho vista allontanarsi
A passi piccolissimi
Come se trasportasse
Tonnellate.
Perché tale è il peso
Del mistero
Di un essere umano.
Luigi Monaco (dalla raccolta “Verso la Torre”)
|
Dall’inizio dei tempi
Dall’inizio dei tempi
L’uomo contro l’ignoto
Nella ricerca continua
Della perfezione.
Il nostro impegno
Limare le idee
Portarle al traguardo
Di intelligenza costruttiva.
Tutto
per giustificare
la propria esistenza.
Luigi Monaco (dalla raccolta “Verso la Torre”)
|
Poesia
In una notte cupa cupa
una giovane donna s’era sperduta.
Andava errando fra fitti arbusti
per ritrovare la via dei giusti.
Udiva l’eco di terremoti
di pestilenza, di atroci guerre
ed altri orrori chiamati eventi.
Triste e confusa si mise a tremare
e chiese a Dio: “Che devo fare?”
A questa domanda non ebbe risposta,
ma sentì dentro una voce dolce e leggera
che le diceva “ascolta il tuo cuore:
bene ti parla, ma non dire forte quello
che ti ha detto, perché al mondo
nessuno è perfetto”.
Mariangela
|
Pasqua (dedicata a me, da me)
Caro Piergiorgio,
tu non sei ancora un catorcio
e in questo giorno di festa
mi fai proprio girar la testa.
Quando mi impegno
nel far bene un disegno,
sempre ti penso,
per me sei unico e immenso.
Anche in questa giornata
mi fai tirar la pensata:
sei la mia grande gioia.
Che il nostro amore mai muoia.
Piergiorgio Fanti
|
La mia signora
Tu sei bella come sei,
non dimenticarlo mai
e se anche hai un po’ di pancetta
tu sei sempre più che perfetta.
Se anche qualche capello è bianco
di te proprio non mi stanco
e se ti manca qualche dente
per me non cambia niente.
Non sei più una ragazzina
è fatica alzarti la mattina;
la tua schiena un po’ ti duole,
devi abbrustolirti al sole.
Ma tu sei bella come sei,
sempre ti interessi dei miei,
segui sempre le mie indicazioni,
sei proprio quella dei miei sogni.
Mi piaci tanto tanto
e per questo, con amore, io ti canto.
Piergiorgio Fanti
|
Se il mio Signore
Se il mio Signore mi chiede di più
ecco che io guardo a testa in giù.
Se il mio sederone rugge di meno
ecco che m’apro all’impiedo.
Cosa si nasconde anche in te?
Un finto e falso Re:
Se il mio animo ti chiede ruggito
è il mio capo che sta inchinito,
ma è perché nello scempio
giace la noia,
che io ti chiamo
mia bella gioia.
Di più d’un uomo un lamento
è sempre costoso
sei l’ignorante più noioso.
Paola Scatola
|
Bella
Come sei bella,
tu sei proprio quella
dei sogni e dei pensieri,
ogni giorno più di ieri.
Sei un luminosissimo sole
che proprio mai muore
nel fondo del mio cuore.
Sei una bellezza
di grande piacevolezza;
che morbido splendore la tua pelle!
Sei anche la “più” delle stelle.
Piergiorgio Fanti
|
L’ignoranza
Se col fuoco
mi son bruciata
così male, m'è passata.
Ma col tempo
ho poi capito
che con la zucca dura
ci si presenta un tipo.
Ma una tipetta sono io
e viaggio con il bel loco
di mio zio.
Paola Scatola
|
Il pannolone
Il pannolone s’erge sul fagianone
ed io inconsapevole me lo magno
in un rivolone
e la pipì un po’ cade giù
e già non m’ergo più.
Il seggiolone sta in un cantone
ed io guardo il mio bel gigione
in una lussuria
di mondi su e giù
sei il mio bimbo ignorante
e nun te regghe chiù.
Paola Scatola
|
Che guaio non saper… di non sapere!
A parer mio l’ignoranza più pericolosa è quella
derivata dalla ‘presunzione del sapere’.
Questa storiella, citata da Popper per spiegare la teoria filosofica
del fallibilismo* ne è un esempio:
Signori e signore, vi diamo il nostro più cordiale
“Benvenuti a
bordo”. Voi siete i primi passeggeri del primo aeroplano interamente
computerizzato e automatico. Su questo aereo non vi è il capitano di
volo a darvi il benvenuto. In realtà, non vi è neppure l’equipaggio e
voi non avete alcun bisogno di allacciarvi le cinture di sicurezza.
Infatti, anche l’errore più insignificante, che naturalmente potrebbe
sfuggire ad un qualsiasi osservatore umano, viene immediatamente
corretto da centinaia di controlli computerizzati, completamente
oggettivi. Per queste ragioni, qualsiasi tipo di giudizio soggettivo è
escluso, e niente può funzionare male… niente può funzionare
male…niente può funzionare male… niente può funzionare male…”
* Fallibilismo: Concezione filosofica secondo cui le teorie
scientifiche, senza la pretesa di offrirci verità definitive, non sono
che congetture e ipotesi interpretative della realtà, destinate di
volta in volta a essere confutate e superate da teorie più valide e
funzionali. (NDR)
Edoardo Bellanca
|
L’annafiatoio di Lord Chandos
Per definire cosa significhi ‘ignorare’, occorrerebbe
prima
stabilire cosa significhi per l’essere umano ‘sapere’ una data cosa, e
ciò -a ben vedere- risulta tutt’altro che semplice. Come minimo
possiamo dire che esistono numerosi modi di conoscere una data cosa.
Ciò si palesa anche nella nomenclatura che noi usiamo per definire chi
conosce molte cose: parliamo di persone ‘erudite’, di persone ‘colte’,
di persone ‘sapienti’, e diamo a ciascuna di queste definizioni un
differente valore di merito; e non ci riferiamo a una differenza
quantitativa delle loro conoscenze (in termini di nozioni conosciute,
l’erudito potrebbe sapere anche molte più cose del sapiente), ma a una
differenza qualitativa, è il modo in cui quelle persone ‘sanno’ quelle
determinate cose che fa la differenza. Ma questa differenza può
esistere anche nel modo in cui una singola persona conosce una data
cosa, in differenti momenti temporali. A questo riguardo vorrei citare
un passo del romanzo di Robert Musil, I turbamenti del
giovane Törless, edito nel 1906:
“Un pensiero, quand’anche abbia attraversato il nostro
cervello
tanto tempo fa, diventa vivo solo nel momento in cui qualcosa che non è
più pensiero, che non è più logico, va ad aggiungersi ad esso, in modo
tale che noi avvertiamo la sua verità, al di là di ogni
giustificazione, come un’ancora calata da esso che vada a conficcarsi
nella nostra carne viva e sanguinolenta. Una grande intuizione si
compie solo per metà nel cervello, il resto avviene nel fondo scuro
dell’interiorità, ed essa è prima di tutto uno stato dell’anima, sul
cui vertice il pensiero sta posato, niente più che un fiore”.
Vorrei ora citare un’esperienza personale che forse parrà poco
attinente al tema trattato, ma che invece secondo me è intimamente
connessa con esso. A me succede abbastanza spesso che mentre sono
occupato in faccende del tutto ordinarie, mi si presentino alla mente,
come dei flash, degli episodi del mio passato remoto, principalmente di
quando ero bambino, e il più delle volte riguardano degli episodi che
allora erano risultati spiacevoli, sgradevoli o persino luttuosi,
episodi -talvolta- quasi dimenticati. In essi nulla è cambiato rispetto
al ricordo che ne avevo, salvo la sensazione che ad essi si accompagna;
eventi sgradevoli o -a volte- anche soltanto insignificanti, appaiono
adesso circonfusi da un’aura di profonda e serena felicità, ed è una
sensazione estremamente piacevole, che mi rappacifica con quei lontani
eventi. È come se la mia mente, mille miglia lontano dall’attività
cosciente che svolgo in quel dato momento, sia occupata a riscrivere la
scala dei valori di quella che è stata la mia vita, e voglia riportare
l’armonia tra il mio stato presente ed ogni accadimento del mio passato.
Passo ora ad un altro punto delicato riguardante l’ineffabilità di
certi tipi di sapere. Quando parliamo di persone ignoranti, non ci
riferiamo solo a chi ignora delle nozioni chiaramente esprimibili in
parole o simboli come –ad esempio- un teorema di matematica o il modo
in cui si preparano gli spaghetti alla carbonara; parliamo anche di
persone ignoranti in campo musicale, in campo artistico etc., e con ciò
non intendiamo che quelle persone non conoscono a menadito la vita e le
opere di Van Gogh, ma che risultano incapaci di penetrare ciò che i
quadri di Van Gogh hanno da comunicarci, o ciò che ha da comunicarci
Mozart con un suo Quartetto. Ed è evidente che ciò non può essere
insegnato allo stesso modo in cui si insegna il teorema di Pitagora.
Certo, la sensibilità artistica può essere educata e sensibilizzata, ma
le modalità con cui ciò avviene risultano, rispetto ad altre forme di
conoscenza, assai più aleatorie ed incerte, anche nei risultati che
riescono a conseguire.
Forse potremmo dire che essere sapienti significa saper dare una
risposta a ciò che ci interroga, ma avendo ben presente che non solo le
persone che incontriamo e che ci pongono dei quesiti, ci interrogano,
ma tutto il mondo che ci circonda, in ogni istante ci interpella, e se
non sappiamo rispondere a quest’interrogazione noi siamo, a tutti gli
effetti, degli ignoranti.
Per illustrare questo punto mi sia consentito ricorrere a un’altra
citazione tratta dal racconto La lettera di Lord Chandos,
di Hugo von Hofmannsthal, del 1903:
“Una sera, trovando sotto un noce un innaffiatoio ripieno a metà colà
dimenticato da un giardiniere, ed osservando quell'innaffiatoio e
l'acqua in esso resa fosca dall'ombra dell'albero, ed ancora un insetto
che vagava sullo specchio dell'acqua da un bordo scuro all'altra, mi è
accaduto alla fine che tutto quest'insieme di nullità, come per una
qualche presenza d'infinito, mi abbia attraversato come un fremito,
facendomi rabbrividire dalla radice dei capelli su su sino al midollo,
al punto che me ne dovrei uscire con parole tali, se le trovassi, che
dovrebbero essere capaci d'invocare quei Cherubini in cui non credo.[…]
In tali momenti, una qualsiasi cosa del creato a malapena significante
in sé, come un cane, un topo, un insetto, un melo atrofizzatosi, una
strada per carri che s'inerpichi su per la collina, una pietra
soffocata dal muschio, può divenire per me assai più seducente della
più bella e generosa amante nella più spensierata delle notti. Tali
silenti, e talvolta inanimate creature, si ergono a me con una tale
pienezza, una tale presenza d'amore, che il mio sguardo sereno non
individua attorno a sé una qualsiasi traccia di morte. […] E quasi per
magia mi si svela allora come il mio corpo si scomponga in chiare cifre
che si mostrano la chiave di ogni cosa, o che potremmo entrare in un
nuovo rapporto con tutto ciò che comunque pulsa, solo che
principiassimo a pensare con il cuore.”
“Pensare con il cuore”, frase che riecheggia il celebre pensiero di
Pascal “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce affatto”.
Lord Chandos non era affatto ‘uscito pazzo’, chiunque di noi, se riesce
a far cessare il brusio delle mille preoccupazioni e occupazioni
quotidiane, può, e deve, sentirsi interrogato dagli annaffiatoi che per
avventura vada incrociando. Ma per sentire quest’interrogazione occorre
che siamo disposti a rinunciare ai nostri piccoli egoismi, alle nostre
piccole sicurezze, alle nostre piccole, ma agguerrite difese. Come
scriveva il mistico persiano Farid ad-din ‘Attar (XII-XIII sec.):
"Abbandonati al mare senza la nave, il mare ti dirà chi sei".
È ben nota l’affermazione che sostiene essere assai più importante
porsi le domande giuste, che non dare delle risposte, poiché queste
ultime, una volta poste le domande, arriveranno comunque, prima o poi.
Ma non siamo solo noi, se con ‘noi’ intendiamo la nostra coscienza
vigile, a porci le domande, ma è tutto ciò che ci attornia, le persone,
gli animali, gli oggetti, gli odori, i colori, i suoni che ci
interrogano. Su cosa ci interroga l’annaffiatoio di Lord Chandos?
Ed in un ottica di ‘ecologia della mente’ (secondo la definizione di
Gregory Bateson) dovremmo in definitiva smetterla di distinguere tra
‘ragioni del cuore’ e ‘ragioni dell’intelletto’. Dovremmo smetterla di
compartimentare le aree del nostro essere, da un lato la parte
raziocinante, dall’altra quella artistico-creativa e così via
discorrendo. Perché ciò che ci interroga non abbisogna di risposte
parziali che parlino a questa o quell’altra parte di noi; ‘parti’ che
–a ben vedere- non esistono realmente: le abbiamo inventate nella
speranza di semplificarci il compito di rapportarci a noi stessi, ma di
fatto ce lo siamo solo reso più complesso.
Chi ci interroga. Ma in fin dei conti siamo poi noi stessi, noi nella
nostra compiuta interezza, nella nostra totalità a porci queste
domande, di qui l’attualità dell’antico detto sapienziale greco:
“conosci te stesso”, che stava iscritto sul tempio dell'Oracolo di
Delfi.
Conoscere noi stessi e conoscere le risposte alle domande che noi
stessi ci poniamo, è tutt’uno. E se è importante comprendere quelle che
ha da dirci l’annaffiatoio di Lord Chandos, ancor più importante è
sapere quello che noi saremo in grado di rispondergli. Perché il nostro
vivere è tutto in questa risposta, o meglio: il nostro vivere è questa
risposta.
Antonio Marco Serra
|
Weltanschaung…
Niente paura, non ho intenzione di sciorinare qui la
mia visione
del mondo. La parolona mi serve per parlare di altro, e cioè della
cultura.
Sono stata studentessa modello per tutto il corso degli studi, un vero cursus
honorum,
conclusosi a ventidue anni appena compiuti, con una brillante laurea in
Lettere. Tutto è cominciato grazie al grande privilegio di nascere in
una famiglia agiata, affettuosa e colta. Poi naturalmente ci ho messo
del mio, come nessuno dubitava che dovessi fare. Devo dire che lo
studio per me non era uno sforzo, ma un cimento. Il piacere di
apprendere e di comprendere, di misurarmi con altre intelligenze, di
ricercare una mia dimensione di pensiero, originale e innovatrice,
faceva sì che non mi si potesse definire una ‘secchiona’, ma
semplicemente una studiosa. E il rapporto coi docenti era un piccolo
duello intellettuale da cui uscivo in genere fiera di me.
La tesi che scelsi per la laurea fu su una commedia di Plauto, di cui
cercai di ricostruire l’antica regia, attraverso i piccoli indizi
rintracciabili nel testo latino e nelle fonti storiche. Il centodieci e
lode era scontato, ma fui sorpresa dall’attribuzione della ‘dignità di
stampa’, di cui ignoravo persino l’esistenza.
Seguì una tribolata vicenda per una carriera universitaria ben presto
abortita. Pazienza! Altre ‘vite’ mi hanno condotto ad esplorare mondi
diversi. Non ho mai smesso di curiosare nello scibile, di vagliare, di
approfondire, ma da quel momento in poi sono ‘scesa dal pero’.
Piuttosto che dedicarmi a una cultura elitaria, ho imparato a studiare
per risolvere i problemi contingenti, del lavoro e della vita pratica,
applicandomi per capire. Indocile, caparbia, laica, mai paga delle
risposte degli esperti. Per carattere e per formazione orgogliosa, ma
anche semplice e pronta ad apprezzare il sapere degli umili.
Si dice che la cultura è quel che rimane quando si è dimenticato tutto:
insomma, in un certo senso è una nobile forma di… ignoranza! Molte
nozioni si perdono, restano sostanzialmente le abilità, come dire… gli
attrezzi del mestiere, e qualcosa che si può paragonare a un senso di
orientamento, una capacità di sintonizzarsi su lunghezze d’onda
familiari.
Ogni tanto l’intellettuale che è in me torna a far capolino, stuzzicata
da un incontro, da un’occasione: sembra proprio di sentire il cervello
rinverdirsi, vegetare, lussureggiare, quando viene irrorato con parole
alate, elucubrazioni filosofiche, dotte dissertazioni. Son brevi
parentesi, piccoli lussi. Un piacere raffinato, forse un po’ snob, ma
nulla toglie a chi non ce l’ha, anzi! L’entusiasmo contagioso credo
sia, in fondo, il solo modo efficace per far bene il mestiere di
insegnante o, più ambiziosamente, per ‘fare cultura’. E allora, quando
posso, mi cullo nella musica classica, gusto l’arte e la letteratura
come assaporassi un sorbetto, mastico golosamente lingue antiche e
moderne, civiltà del passato, culture straniere…
Weltanschaung… che bello sapere che cosa vuol dire!
Lucia
|
Riflessione
La cultura è anche ‘spettacolo’, aumenta le possibilità
di comunicazione, di creatività e... non finisce mai.
Matteo Bosinelli
|
Recensione del libro di William Hazlitt: Sull’ignoranza
delle persone colte
Come mi ha detto una cara amica di cui non ricordo il
nome ci sono
tanti modi di leggere e tanti motivi per farlo: si può leggere solo con
il cervello e si può leggere anche con il cuore, si può leggere per
piacere o per dovere (per avere un titolo di studio), oppure si può
leggere con il solo scopo di diventare una persona colta.
Secondo William Hazlitt : “le persone colte restano attaccate al libro
che leggono per avere un sostegno intellettuale e la paura di essere
lasciato solo con se stesso è come il terrore che incute il vuoto”…
“chiedono la saggezza in prestito agli altri, non hanno idee proprie e
quindi devono vivere di quelle altrui”. Addirittura egli pensa che
chiedere a un paralitico di prendere il suo letto e camminare sia come
chiedere a un lettore di posare il suo libro e di pensare da sé…
Io penso che noi tutti, e sottolineo tutti, abbiamo un parere personale
sulla realtà che ci circonda, tutti hanno idee proprie e quando
leggiamo un libro e ci confrontiamo con esso cresciamo
intellettualmente come persone. Secondo William Hazlitt invece “Gli
infaticabili lettori di libri sono come gli eterni copisti di quadri
che quando provano a dipingere qualcosa di originale trovano che manca
loro l’occhio veloce, la mano sicura e i colori brillanti”.
Mi trovo d’accordo, però, su quanto dice riguardo all’istruzione:
“L’istruzione è la conoscenza di ciò che gli altri in genere non sanno
e che non possono apprendere che di seconda mano, per mezzo di libri o
di sorgenti artificiali; la conoscenza di ciò che è davanti o intorno a
noi, che fa appello alla nostra esperienza, alle nostre passioni, ai
nostri progetti, al cuore o agli affari degli uomini non è istruzione”.
Anche io una volta pensavo che si potesse crescere solo leggendo libri
di filosofia , passavo ore a immaginare di discutere con i filosofi; è
vero, tutto questo mi dava molto, mi metteva in discussione, però c’era
un altro tipo di realtà che essi non prendevano in considerazione e che
non mi aiutavano ad affrontare.
Concludo con una bellissima frase sempre di William Hazlitt: “Si
imparano più verità ascoltando una rumorosa discussione in una birreria
che assistendo a una seduta alla Camera dei Comuni”. Questi e altri
concetti sono espressi nel saggio di William Hazlitt intitolato
“Sull’ignoranza delle persone colte”.
Consiglio la lettura perché l’autore dà un parere originale
sull’argomento.
Cristina Cavicchi
|
Considerazione
Ci sono tanti modi di leggere, ma anche di
scrivere: si può scrivere
da destra a sinistra, da sinistra a destra, dall’alto verso il basso.
Questi sensi di scrittura disegnano una croce, che esprime
universalità. Nord Sud Ovest Est.
Luigi ed Edoardo Zen
|
L’alfabetizzazione e la scolarizzazione grandi
conquiste da difendere
L'alfabetizzazione completa della popolazione italiana
è un
risultato cui siamo giunti solo recentemente in seguito a un lungo
percorso.
L’Italia al momento dell'unificazione (1861), era un paese in cui la
grandissima maggioranza degli uomini, e ancor più delle donne, non era
in grado di scrivere nemmeno il proprio nome e cognome, tanto da non
poter firmare il proprio certificato di matrimonio se non con una
croce. I dati relativi all'analfabetismo sono stati raccolti ogni dieci
anni nei censimenti; il primo ci mostra che circa l'80% della
popolazione femminile era completamente analfabeta. Andava un po'
meglio per la popolazione maschile, comunque nemmeno un uomo su due era
in grado di firmare un atto ufficiale.
All’inizio del '900 la parola ‘analfabeta’ significava genericamente
‘persona non capace di leggere’. Solo dal 1930 in poi
è la compresenza delle due capacità, di leggere e di scrivere, a
definire una persona ‘alfabeta’.
L’alfabetizzazione in Italia è andata di pari passo con la diffusione
della scuola. Le tappe fondamentali di questo lungo percorso iniziano
dall'introduzione dell’obbligo a due anni di scuola nel 1859, poi
diventati tre nel 1877 con la legge Coppino e cinque nel 1904 con la
legge Orlando. Nel 1923 la grande riforma Gentile porta l'obbligo
scolastico ai quattordici anni. La gratuità della scuola dell’obbligo
per otto anni (elementari e medie) entra nella Costituzione della
Repubblica con l’articolo 34.
Nel 1963 la riforma che istituisce la scuola media unica porta al
crollo del tasso di analfabetismo e riduce nettamente la percentuale di
persone in possesso del solo titolo di scuola elementare.
In quegli anni la televisione entra via via in tutte le case e oltre a
diffondere e consolidare la lingua italiana facendola gradualmente
prevalere sui dialetti, contribuisce all’alfabetizzazione e alla
diffusione di una buona cultura di base, con la famosa trasmissione di
Alberto Manzi ‘Non è mai troppo tardi’ e numerosi programmi divulgativi
formulati in modo accattivante ma serio.
Negli ultimi dieci anni diverse riforme hanno modificato il percorso
scolastico, innalzando fra l’altro l’età dell’obbligo a sedici anni. La
riforma Gelmini (2008), prevede la possibilità di optare, dopo le
medie, per un biennio liceale o per un percorso formativo
professionale.
Oggi il sistema dell’istruzione si trova di fronte a un’altra grande
sfida, che è quella di sostenere i giovani nella prosecuzione degli
studi e nell’orientamento al lavoro. L’Italia è infatti uno dei paesi
europei con il più alto tasso di dispersione scolastica e con la più
alta percentuale di giovani in possesso della sola licenza media.
Nell’ultimo quarto di secolo, poi, si è verificato un vistoso travaso
di studenti dagli istituti tecnici e professionali ai licei,
soprattutto al liceo scientifico, scuola di per sé non
professionalizzante, in quanto prevede la prosecuzione all’università.
L’abbandono del percorso di studi prima di aver acquisito un titolo
utile, comporta ovviamente difficoltà nell’accesso al lavoro. Del resto
anche l’acquisizione di diplomi e lauree troppo generici o
sovrabbondanti rispetto alla domanda del mercato non aiuta. Problema
gravissimo ed emergente è quello dei giovani che ‘non studiano e non
cercano lavoro’, demotivati dalla crisi economica o da altre cause,
personali e sociali, ancora più profonde.
La parola ‘alfabetizzazione’, oggi viene spesso usata facendo
riferimento alla necessità di diffondere l’uso dei mezzi informatici. È
certamente importante dare a tutti l’opportunità di accedere a
internet, alla posta elettronica, ai servizi on line.
Non è detto però che l’informatica non abbia inconvenienti. L’uso di
massa della scrittura tramite piccole e velocissime tastiere
paradossalmente sembra ci stia rendendo tutti un po’ analfabeti: sono
già molti a dire che non riescono più a tenere una penna in mano! E le
parole, chi ha voglia di scriverle tutte intere, senza abbreviazioni e
contorno di faccine? Quanti si preoccupano di controllare che le e-mail
siano scritte correttamente, prima di spedirle con un clic? Non
parliamo poi del modo di fare ricerche, indubbiamente facilitato da
internet, ma anche purtroppo banalizzato dai copiaincolla…
L’ignoranza, brutta bestia, è dura a morire!
L. L.
|
Per te…che non ti è stato presentato l’amore…
Per te, che sei stato tutt’un’impresa di lavoro, tutta
fatica. Ti sei
sacrificato per i tuoi cari figlioli, tu con un’infanzia inconclusa,
carica solo di regole lavorative, senza dimostrazione d’amore e
percorso culturale scientifico. Ti sei cresciuto deluso e disperso, ma
con tanta voglia di crearti una famiglia con oramai un’autonomia. Non
conoscendo l’amore e conoscendo solo esclusivamente lavoro, comandi,
stanchezza, delusione ed essendoti impedito… alcune paginette da
leggere per un futuro culturale, un giochino per riempire il tuo
cuoricino, una carriera da pugilato… tutto un no… tutto una negazione.
Tutto questo non era per te. Per te, era giusto farti trascinare sulle
spalle una fascina di legna, per poterti educare. Non un libriccino,
per poterti insegnare. E se ti ribellavi niente mangiare. Tutto un
deserto intorno a te, da inaridirti sempre di più. Mentre ti spostavi,
di volta in volta siamo arrivati noi: noi figli con tanto cibo, con
tanto affetto di mamma. E tu, papà, tanto lavoro. Per i tuoi figli
noccioline, mortadella e pasticcini. Stanco, di corsa a letto…silenzio.
Così i tuoi figli hanno ricevuto pane che è mancato a te! I libriccini…
Ma l’amore giustamente è così profondo, che non gli è stato donato e ha
fatto fatica a trovarlo e a dipingerlo per i suoi figlioli. Di
conseguenza, rimane un papà deluso, sconfortato, con figli dispersi,
nessuno che gli ha donato quello che lui ha desiderato. La carriera!
Con un futuro dipinto e colorito per tutto quello che lui ha fatto per
loro. Loro non l’hanno capito, si sono ‘inselvaggiti’, sono diventati
delle lepri. Il papà con tutte queste lepri, in forma metaforica, lui
si è intenerito, sembra che… li qualifica e li squalifica. Ora questo
papà con tutta questa selvaggina si ritrova distrutto in una
carrozzina, con un amore suo interiore, nascosto in qualche cellula
ribelle, che gli ha formato saggezza, tenerezza. Osservandosi queste
lepri e il suo splendore illuminato e concentrato per i suoi leprotti
(nipoti) nella speranza di queste pagine, di quel libro, da poterlo
iniziare e concluderlo, col dono dell’amore e con un trionfo in trono,
con un percorso meno ripido, tortuoso e pieno di grande soddisfazione,
gioia e amore… senza ‘selvaggina’.
Lucia Monaco
|
Angelo-Terapia
Luigi Zen
|
L’apparenza
Un tempo lontano, quando avevo
sei anni, in un
libro sulle foreste primordiali (…) vidi un magnifico disegno.
Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale. (…)
Meditai a lungo sulle avventure della giungla. E a mia volta riuscii a
tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno.(…) Mostrai
il mio lavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li
spaventava. Ma mi risposero: “Spaventare? Perché mai uno dovrebbe
essere spaventato da un cappello?”
Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un
boa che digeriva un elefante.
Antoine de Saint-Exupéry – “Il piccolo principe”
|
Massime sull’ignoranza
Solo i grandi sapienti e i grandi ignoranti
sono immutabili.
Confucio
C’è un solo bene, il sapere. E un solo male, l’ignoranza.
Socrate
Molti ammirano, pochi sanno.
Ippocrate
Nulla è più terribile dell’ignoranza attiva.
Michel de Montaigne
C’è un’ignoranza da analfabeti e una dei dottori. Diffida della falsa
conoscenza, è molto peggiore dell’ignoranza.
George Bernard Shaw
L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.
Ezra Pound
Tutti coloro che sono incapaci di imparare si sono messi a insegnare.
Oscar Wilde
Un cretino è un cretino. Due cretini sono due cretini. Diecimila
cretini sono un partito politico.
Franz Kafka
Nulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera e una
stupidità coscienziosa.
Martin Luther King
Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio,
incertezza, sospensione di giudizio appaiono l’unico risultato della
nostra più accurata indagine.
David Hume
Mit der Dummheit kämpfen Götter selbst vergebens (Contro la stupidità
gli stessi dèi combattono invano).
Friedrich Schiller
a cura di Augusto Mocella
|
Stoltezza e sapienza nelle scritture sacre
(citazioni dalla Bibbia e dai Vangeli)
Lc 24.25.26 Ed Egli (Gesù) disse loro: “Sciocchi e
tardi di cuore nel
credere alla parola dei profeti. Non bisognava che il Cristo
sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.
Mt 25.1.12 Parabola delle dieci vergini … Cinque di esse erano stolte e
cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio;
le sagge, invece, insieme alle lampade presero anche dell’olio in
piccoli vasi…
Salmo 14.1 Lo stolto pensa “Non c’è Dio”. Sono corrotti, fanno cose
abominevoli: nessuno più agisce bene.
Salmo 39.9 Liberami da tutte le mie colpe, non rendermi scherno dello
stolto.
Prov 10.1 Il figlio saggio rende lieto il padre, il figlio stolto
contrista la madre.
Prov 10.23 È un divertimento per lo stolto compiere il male, come il
coltivare la sapienza per l’uomo prudente.
Prov 10.21 Le labbra del giusto nutriscono molti, gli stolti muoiono in
miseria.
Prov 11.29 Chi crea disordine in casa erediterà vento e lo stolto sarà
schiavo dell’uomo saggio.
Prov 12,15 Lo stolto giudica diritta la sua condotta, il saggio invece
ascolta il consiglio.
Prov 12.16 Lo stolto manifesta subito la sua collera, l’accorto
dissimula l’offesa.
Prov 15.20 Il figlio saggio allieta il padre, l’uomo stolto disprezza
la madre.
Prov 17.10 Fa più una minaccia all’assennato che cento percosse allo
stolto.
Prov 17.16 A che serve il denaro in mano allo stolto? Forse a comprare
la sapienza, se egli non ha senno?
Prov 17.21 Chi genera uno stolto ne avrà afflizione, non può certo
gioire il padre di uno sciocco.
Prov 17.24 L’uomo prudente ha la sapienza davanti a sé, ma gli occhi
dello stolto vagano in capo al mondo.
Prov 17.28 Anche lo stolto, se tace, passa per saggio, e se tien chiuse
le labbra, per intelligente.
Prov 17.18 Privo di senno è l’uomo che offre garanzie e si dà come
garante per il suo prossimo.
Prov 18.6 Le labbra dello stolto provocano liti e la sua bocca gli
provoca percosse.
Prov 19.10 Allo stolto non conviene una vita agiata, ancor meno a un
saggio comandare ai principi.
Prov 23.9 Non parlare agli orecchi di uno stolto, perché egli
disprezzerà le tue sagge parole.
Mt 7.26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è
simile a un uomo stolto che ha costruito la casa sulla sabbia.
Luca 12.20 Ma Dio gli disse : “Stolto, questa notte stessa ti sarà
richiesta la tua vita e quello che hai preparato di chi sarà? Così è di
chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio”.
Prov 26.4 Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, per non
divenire anche tu simile a lui.
Prov 26.5 Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza, perché egli
non si creda saggio.
Prov 26.6 Si taglia i piedi e beve amarezze chi invia messaggi per
mezzo di uno stolto.
Prov 26.7 Malferme sono le gambe dello zoppo, così una massima sulla
bocca degli stolti.
Prov 26. 9 Una spina penetrata nella mano d’un ubriaco, tale è una
massima sulla bocca degli stolti.
Prov 26. 11 Come il cane torna al suo vomito, così lo stolto ripete le
sue stoltezze.
Prov 26.12 Hai visto l’uomo che si crede saggio? È meglio sperare in
uno stolto che in lui.
Ecclesiaste 2.14 Il saggio ha gli occhi in fronte, ma lo stolto cammina
nel buio.
Ecclesiaste 10. 2,3 La mente del sapiente si gira a destra e quella
dello stolto a sinistra. Per qualunque via cammini lo stolto è privo di
senno e di ognuno dice : “È un pazzo”.
a cura di Roberto Santi
|
Il pregiudizio, stolto rampollo dell’ignoranza
Perché le api fanno paura?
Ci sono persone che soltanto a sentire parlare di api hanno un brivido
di paura, al solo pensiero che sono dotate di pungiglione. Eppure sono
insetti meravigliosi e assolutamente non aggressivi, che si fanno i
fatti loro. Nel periodo dei raccolti si ammazzano di lavoro per non far
mancare alla famiglia il necessario per la sopravvivenza. Certamente se
le api vengono infastidite o ci si avvicina troppo ai loro alveari non
esitano a proteggere i raccolti e le loro covate. Al contrario gli
sciami, non avendo nulla da difendere, come già ho dimostrato, non sono
affatto pericolosi. L’unico inconveniente è che le loro esploratrici,
nel cercare il posto dove andare a costruire il nido possono penetrare
nei cassonetti delle finestre e da qui entrare nelle stanze. È quello
che succede molto spesso, visto che le telefonate che mi pervengono
ogni anno sono sempre tante. L’anno scorso una signora di Granarolo
pretendeva che io rientrassi dalle ferie per andarle ad aprire la
finestra per fare uscire un’ape. Ogni assicurazione sulla docilità di
quella povera apetta, che pensava soltanto a guadagnare l’uscita per
raggiungere lo sciame da dove era partita, veniva vanificata. Secondo
lei io sarei dovuto rientrare dalle ferie per andare ad aprire la
finestra e non esitò a lanciarmi insulti e minacce. Chiusi allora il
telefono, ma dopo dieci minuti mi telefonò il comandante dei
carabinieri di Granarolo, invitato dalla signora. Lo pregai allora di
mandare un milite coraggioso ad aprire la finestra. Ecco dove può
arrivare un’eccessiva e superflua paura! È per questo che vado nelle
scuole a parlare del meraviglioso mondo delle api, affinché i giovani
abbiano le idee chiare, rispettino la natura e non ereditino gli errati
esempi di certi genitori.
Questo apicoltore raccogliendo uno sciame sul suo corpo ha voluto
dimostrare che le api non sono insetti assassini. Sono certo che non ha
subito neppure una puntura. In fondo è successo anche a me che uno
sciame, nel tentativo sbagliato di raccoglierlo, mi è caduto
interamente in testa. Per la gente che osservava impaurita io ero
spacciato, invece non c’è stata una sola ape che mi abbia punto.
L’essenziale è di non toccarle… Scossando la testa, se ne sono andate.
Roberto Grillini
|
L’ignoranza
Qualcuno affermava questa frase: “Io so di non sapere”.
Qualcun altro “Così è, se vi pare”.
Il
signor Ignor e la signora Anza, “svegliandosi una mattina da sogni
agitati, si ritrovarono trasformati, nel loro letto, in enormi insetti
immondi. Riposavano sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando
un poco il capo vedevano il loro ventre arcuato, bruno e diviso in
tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a
scivolar giù tutta si manteneva a fatica. Le gambe numerose e sottili
da far pietà, rispetto alla loro corporatura normale, tremolavano senza
tregua in un confuso luccichio dinanzi ai loro occhi.” Nella loro testa
nottetempo si era creato dal nulla un enorme, vertiginoso e quanto mai
misterioso vuoto. Mancava la voglia di fare e di pensare. Mancavano
tutti quei sentimenti che fanno di una persona un essere umano. Mancava
la sensibilità. Mancava la conoscenza dei propri diritti come un
romanzo dal titolo “Viaggio al termine della notte”. Mancava persino un
sinonimo del termine “mancare”.
Non si sapeva neppure che quella mattina un imprecisato numero di
persone in varie parti del mondo, si sarebbe svegliato nello stesso
identico modo. La notizia, volutamente, non trapelò. I mass media
insabbiarono l’evento, con efficacia da primato. Si parlò d’altro in
altre parti del mondo, evitando appositamente i luoghi dove il
misterioso vuoto si stava diffondendo. I luoghi comuni del “Fare di
ogni erba un fascio”, “Pensare di avere sempre ragione”, “Moglie e buoi
dei paesi tuoi”, si popolarono di dogmi erronei come “La superiorità di
una razza rispetto ad un'altra” e similarmente “dell’uomo rispetto alla
donna”, “il pregiudizio nei confronti del diverso da noi”.
Ci volle poco ad arrivare alla stupidità, all’indifferenza, al non
rispetto per l’essere umano e per la natura, al credere a maghi e
fattucchiere, ad attaccarsi ciecamente al Dio denaro.
Driiiinnnnn – suona la sveglia – sono le 7.00. Per fortuna era un
brutto sogno.
Gruppo rassegna stampa C.D. di Casalecchio di Reno
|
Un amico
Tutti abbiamo bisogno di un padre, di una madre, di un
amico, di
un’amica, di una donna, di un uomo. Tutti di un’attività che ci possa
permettere di vivere, magari anche proporzionata alle nostre capacità,
o almeno gratificante, perché non si vive senza lavoro, né si può star
bene, senza sentirsi utili, soprattutto, almeno a se stessi.
Tutti abbiamo necessità di sentirci, capaci, di fare qualcosa, magari
anche un po’: non importa cosa, solo così, qualche volta, ed è vitale,
possiamo sentirci soddisfatti, ed è soprattutto nel “fare” che si
riceve.
Anche nel comprendere si prova soddisfazione, ma credo che purtroppo a
questo noi si dia poco valore, quasi fosse cosa scontata, e invece non
lo è, come tante altre capacità e affetti che noi possediamo, e di cui
non ci rendiamo mai abbastanza conto, perché incredibilmente, ne
comprendiamo il valore solo via via che le li perdiamo.
Il tempo passa, e per tutti… Il non utilizzarlo, almeno un po’ bene, è
un delitto, perché non ritorna. Non c’è farmaco che ce lo possa
insegnare.
Vorremmo forse fare grandi cose, dimenticando l’importanza delle
piccole cose, cose materiali: non importa cosa.
Se siamo stati sfortunati, non dobbiamo colpevolizzare altri, ma
nemmeno noi stessi, né lamentarci può servire a star meglio.
Crediamo spesso, e penso a torto, che tutti siano migliori di noi, o
quasi, perché noi siamo meno abbienti, meno attraenti, meno simpatici,
meno belli, meno brillanti, meno estroversi: meno meno meno. Non
riusciamo, se non raramente ad accontentarci almeno un po’, di noi,
dimenticando il valore della semplicità, ed inoltre anche della
fierezza, nel sapere amministrare quei pochi denari che abbiamo.
La vita è una sola, il guaio è che ci scappa di mano: non è fumando che
si fa qualcosa, e quel che è peggio, oltre alla salute, è che le
sigarette costano un patrimonio.
Non sono gli altri che “devono” risolvere i nostri problemi, talvolta,
forse, abbiamo anche delle pretese: a tutti piace la “pappa cotta”,
però, credo, nessuno di noi è un neonato, quindi, penso, sia molto più
utile, sia per noi che per gli altri, che si impari una buona volta a
cuocerla con le nostre mani. È chiaramente una metafora, però vale
soprattutto proprio in quanto: piatto di minestra.
Ci siamo tutti dimenticati dell’altruismo, ma non siamo nemmeno
egoisti, anche se a volte lo siamo, credendo che il nostro disagio sia
il peggiore di tutti i disagi: non è vero! L’erba del vicino non è
sempre più verde.
Però un minimo di sano egoismo è vitale: ci sono stati e ci saranno
sempre eroi e santi, ma per quanto ci riguarda, su questo, meglio
sorvolare: credo abbiamo già dato abbastanza, naturalmente senza
esserlo.
Di persone che credono di sapere tutto ce ne sono e ce ne saranno
sempre: ognuno di noi ha percorso un certo cammino, ha un certo
bagaglio d’esperienze, ha molto da poter valorizzare, proprio per
questo.
Non c’è scuola migliore della vita, però si paga a caro prezzo, i
vissuti di ognuno di noi, pur se dolorosi, ma proprio per questo,
avrebbero, e ci credo, dovuto insegnarci qualcosa; almeno a imparare a
riconoscerci nel nostro nome. Non è facile.
È una ricerca continua, abbraccia tutto l’arco della vita, ed è forse
la più importante delle motivazioni: capire, sentire che il migliore
dei nostri amici siamo proprio noi stessi.
14 maggio 2011
Claudio Vandelli
(testo letto al coordinamento modenese de Le Parole Ritrovate,
in vista del convegno sull’abitare che si svolgerà a Modena ad ottobre
2013).
|
Bagno di folla
Disse così e assentirono tutti e ordinarono…
C’era una folla immensa e la gente spingeva e si faceva
largo a fatica
per vedere l’oratore sul palco. Finalmente si udirono queste parole
“Sono con voi, capisco e comprendo tutti i vostri bisogni”. Disse così
e assentirono tutti e ordinarono di riportare la calma tra la calca.
Era una tiepida giornata primaverile e Martina lottava come sempre con
i disturbi della sua personalità. Si sentiva nello stesso tempo ansiosa
e depressa. Quel giorno però stava particolarmente bene, quel bagno di
folla le faceva bene, sentiva di avere in comune con gli altri suoi
simili gli stessi bisogni. Aveva preso l’ardua decisione di lasciare i
luoghi a lei noti, per andare incontro a delle incognite che, ora, pian
piano le si rivelavano. Era realmente una donna serena.
Compagni alzatevi tutti in fila da destra…
Martina era una donna con un solido patrimonio
interiore.
Molte avversità e contrarietà l’avevano temprata. Ora si considerava
abbastanza forte e pronta a superare le incognite che man mano le si
presentavano. Spesso si circondava di gente per vincere la solitudine e
anche quel giorno era in un bagno di folla. A un tratto sentì scandire
queste parole: ”Compagni, alzatevi tutti in fila da destra”.
Fu solo un attimo e Martina vide la gente darsi alla fuga e anche lei
non fu da meno. Era spaventata, se meglio si può dire, terrorizzata.
Seguiva passivamente le persone che la circondavano. Si chiedeva che
cosa fosse successo. Era difficile stabilirlo. Solo a un certo momento
udì qualcuno dire: “C’è un ordigno nascosto che potrebbe esplodere da
un momento all’altro. Bisogna disinnescarlo”.
La donna ebbe in quell’attimo molta paura. Pensava con dolore alla sua
famiglia, che voleva raggiungere al più presto. Suo marito e i suoi due
figli certo l’aspettavano con ansia. Mai si era trovata in una
circostanza simile, che era nuova per lei come per molti altri. A un
tratto intravide delle persone che si davano un gran da fare, stavano
disinnescando la bomba. Era un’operazione delicata e difficile e tutti
erano nel panico. Martina era fiduciosa e convinta che tutto si sarebbe
risolto nel migliore dei modi. Nello stesso tempo pensava che forse
aveva fatto male ad allontanarsi da casa e per questo si
colpevolizzava. Certo non l’avrebbe più fatto. Questa era un’esperienza
nuova per lei, che certo non si sarebbe ripetuta. La donna raramente
rifaceva gli stessi errori e sperava di riuscire vincente anche questa
volta.
Maria Chiara Reitani
|
Il dovere della memoria
Venerdì 3 maggio, il nostro Appuntamento era nel
giardinetto di
fronte al Centro Sociale , dove due anni fa abbiamo piantato
ottantacinque rose, una per ogni persona morta nella strage della
stazione. Lo abbiamo fatto perché occorre coltivare il dovere della
memoria. Ignorare il passato, non conoscerlo o non tenerlo in
considerazione, è grave. Ignorarlo perché qualcuno ce lo tiene nascosto
o non ci dice la verità è gravissimo.
Le piante sono belle, alte, e stanno per fiorire. Fra noi c’è chi
continua a prendersene cura con amore. I soliti ignoti ne hanno portate
via due, anche se c’è un cartello che spiega perché sono lì…ma le
ripianteremo. È la forza della vita che deve prevalere, anche
sull’ignoranza.
|
Quanto sei bella, Roma!
Gita del 2 marzo 2013, scritto a otto mani dagli amici della Trottola
La giornata a Roma è stata molto piacevole, grazie a
Concetta
abbiamo visitato i luoghi più belli e significativi che la città ha da
offrire, di non secondaria importanza è stato il pranzo: si è mangiato
veramente bene. Pensando al gruppo che eravamo, devo riconoscere che
siamo stati bene fra noi, abbiamo socializzato e ci siamo divertiti.
Spero che continueremo a viaggiare e visitare altre città mai viste
allargando così i nostri confini culturali, sociali e personali.
Andrea Guidi
Il 2 marzo è stato un giorno speciale! Sono stato
insieme a persone
care, ho visitato molto di Roma, ringrazio tutti coloro che mi hanno
accompagnato... mamma, quanti eravamo!!!
Renato
Nella gita a Roma è stato tutto molto bello, sin dalla
partenza è
stata una bellissima giornata. A Roma abbiamo visitato in ordine il
Colosseo, l'Altare della Patria, il Pantheon, Piazza Navona, Castel
Sant'Angelo la Basilica di San Pietro, Piazza di Spagna e Fontana di
Trevi.
Abbiamo mangiato il piatto tipico romano: amatriciana e/o carbonara
seguito da secondo e contorno accompagnato da un vino rosso calabrese e
per finire tiramisù e caffè. La città era piena di turisti compresi
noi, dopo la lunga camminata siamo tornati a Bologna.
Gino
In occasione della gita a Roma ho avuto la riprova
tangibile che
quando una persona ha alla base una forte motivazione, riesce a rendere
possibile quello che si ritiene impossibile, come si dice: riesce a
spostare le montagne. È quanto è successo ad uno dei partecipanti alla
gita del 2 Marzo, il giorno prima della partenza, quando la sua
infermiera di riferimento gli ha comunicato che si era liberato il
posto letto tanto atteso, per cui si poteva procedere con il suo
ricovero, questi senza un minimo di esitazione ha risposto che non
poteva andare ricoverato, perché l'indomani doveva partecipare alla
gita per Roma, pur sapendo che il suo rifiuto avrebbe significato tempi
di attesa non brevi. Senza far retorica, ritengo che queste sono le
cose che ridanno energia, riempiono di significato il lavoro svolto e
danno la forza di continuare.
Concetta
|
Bela Bologna - Belo Horizonte - Una vida para nos
Un’esperienza di interscambio attivata nel 2011 tra
l'Università di
Minas Gerais, dipartimento di Psicologia, di Belo Horizonte e l'Alma
Mater Studiorum, facoltà di Psicologia, di Bologna, ha permesso la
realizzazione di stage formativi con studenti brasiliani, che hanno
frequentato le strutture del DSM-DP dell'Azienda USL di Bologna ed
incontrato Associazioni che collaborano alla realizzazione di progetti
condivisi con il DSM-DP nell'ambito dell'area della sussidiarietà.
Il Progetto Bela Bologna - Belo Horizonte si inserisce nell'ambito di
questo percorso ed ha raccolto l'invito dei colleghi brasiliani a
partecipare alla settimana dedicata alla Salute Mentale che si svolgerà
a Belo-Horizonte dal 13 al 19 maggio 2013, per condividere le
esperienze di interventi clinici e comunitari e discutere le politiche
sanitarie e di ricerca. La delegazione che partirà il 9 maggio è
composta da quindici persone (utenti, familiari e operatori) che
visiteranno le strutture presenti nel territorio di Belo-Horizonte
quali i Centri di Salute (poliambulatori) e i Centri di Attenzione
Psicosociale. Il fine è quello di confrontare le esperienze brasiliane
con quelle italiane, ponendo l'attenzione in particolare
sull'organizzazione delle strutture dove si svolgono attività di vita
quotidiana ed interventi di riabilitazione psicosociale. Il rientro del
gruppo a Bologna avverrà il 21 Maggio.
P.S. La sottoscritta parteciperà a questa esperienza.
Concetta
|
I crimini della mafia politica
Contro di voi, mafia politica, io adotterei la legge
del principe Vlad,
preparando dei pali appuntiti in ogni piazza del paese: perché solo con
la paura potreste capire come vivere ogni giorno, per non perdere la
sedia e i soldi che rubate allo stato per fare i vostri comodi…
Siete dei grossi criminali, ché c’è gente morta per vostra colpa (o per
vostra ignoranza)…
Marcello
|
Piccola storia Zen sui gatti
Ci sono due tipi di gatti: i primi in via di
estinzione, che sono
quelli di campagna che non entrano nelle abitazioni, ma si avvicinano
alle porte solo per mangiare… che non si chiamano, arrivano da soli,
che sono gatti che acchiappano certi tipi di topi… e gli altri che
vivono quasi sempre in casa, che sono gli omologatti.
(Anche dopo diversi tentativi che si fanno per mettere dei gatti a
colori, il gatto bianco e il gatto nero rimarranno sempre in bianco e
nero).
Luigi Zen
Sembra però che tra omolo-gatti e non omolo-gatti non
scorra buon sangue. (A.M.S.)
|
La terribile II C
Può una classe di ragazzini di dodici anni ‘stendere’ a
terra
l’insegnante di lettere? Nel mio caso è successo e vi spiegherò perché.
Avevo insegnato per anni in scuole diverse, ma avevo anche lavorato per
circa un anno alle poste, quattro anni in tribunale e cinque anni in
procura, come assistente di un magistrato. Quando mi richiamarono a
scuola (me n’ero andata perché stanca di avere sempre e solo sedi
scomode), siccome volevo insegnare fin da piccola, io avevo optato per
la scuola, nonostante l’impiego d’oro della procura, i musi del mio
magistrato e le voci dei colleghi che mi dicevano di stare attenta
perché la scuola era cambiata (in peggio) e gli allievi diventavano
sempre più difficili e indisciplinati. Ero convinta di aver fatto
‘tombola’, perché la sede in questione era vicina a casa e poter dire
di avere casa e bottega mi sembrava una cosa da non perdere. Due errori
avevo fatto per mancanza di tempo:
1) non ero andata a conoscere la scuola;
2) non mi ero recata a parlare con il preside.
Questi si rivelò una persona ignobile, un essere del tutto senza palle
che gli allievi manco salutavano se lo incontravano nei corridoi. Il
preside aveva un cognome, ma io iniziai a chiamarlo tra me e me ‘pollo
lesso’ (più avanti capirete il motivo).
Conobbi lui e i docenti della scuola alla prima riunione dell’anno
scolastico (il collegio docenti). Io venivo dalla procura, luogo
dinamico per eccellenza, e quando mi ritrovai in mezzo agli altri
docenti mi sentii in un luogo di mummie e gallinelle starnazzanti. Mi
dissi di avere pazienza, perché a me interessavano gli allievi. Conobbi
la classe il primo giorno di scuola: ventisei allievi, tra cui due
pakistani che ancora conoscevano poco la lingua italiana e diciotto
ragazzini molto problematici; solo sei/otto alunni erano già in grado
di essere autonomi. La maggioranza di loro sembrava venisse
direttamente dalla scuola elementare (e poi e poi) e ancora oggi mi
chiedo come mai non li avessero fermati in prima media, anziché
‘buttarli’ in seconda, dove i programmi iniziano ad essere più
articolati. Mi resi conto che avrei dovuto tirarmi su le maniche e
darmi molto da fare, perché avevano quasi tutti bisogno di tante cose:
metodo di lavoro, di studio, eccetera.
Al primo consiglio di classe mi trovai d’accordo solo con la collega
d’inglese: gli altri dissero che bisognava guardare tutto il percorso
dall’inizio e vedere poi cosa sarebbe successo (a me sembrava di
sognare). La collega di matematica mi fece capire che doveva esserci
stato qualcosa allo scrutinio finale dell’anno precedente e… non erano
riusciti a bocciarne nessuno. I presidi – si sa – puntano sulla
promozione di tutti e ‘pollo’ non faceva eccezione, anche perché il suo
carisma era quello di una patata lessa ed io mi chiedevo spesso se era
diventato preside con i punti Dash o Mulino Bianco o Barilla. Proprio
una bella scuola! Oltre tutto, invece di sentirmi fra colleghi, mi
sentivo fra estranei perché la maggior parte nemmeno mi salutava: dei
veri ignoranti!
Iniziai così il mio lavoro in una classe che oltre a essere
impreparata, era rumorosa e mai del tutto attenta. C’erano allievi che
interrompevano di continuo anche per fesserie e tra di loro spesso si
chiamavano ‘bastardo’ e si facevano gestacci (dito medio). Verso di me
non dimostravano né simpatia né rispetto.
Compresi poco alla volta che questo non era dovuto alla mia persona, ma
al fatto che il preside, ‘pollo’, aveva deciso loro malgrado di
sostituire la loro insegnante precedente. Dopo la mia drammatica
esperienza e dopo aver stramaledetto la decisione di riprendere
l’insegnamento (dopo la procura), mi ero sentita un fallimento e mi
accusavo di essere stata un’incapace. Ma in anni successivi, buttando
via carte e cartacce relative agli anni di scuola, avevo ritrovato cose
meravigliose: bigliettini amorosi di ex allievi, disegni e caricature
varie, un buffo ritratto (che ho incorniciato in camera) fattomi da
un’allieva privata, con scritto: “La professoressa più simpaticissima
del mondo”. Chi entra in camera mia non può non vederlo.
Questi ‘tesori ritrovati’ mi hanno ridato pace, serenità e anche gioia,
perché potevo ricordare, anche i momenti belli degli anni trascorsi con
le mie classi (le gite, i giochi, le risate, i complimenti dei genitori
perché trattavo bene i loro figli e perché amavo il mio lavoro). Sì,
erano dei piccoli ‘ignoranti’, ma era quello il bello, perché erano lì
appunto per imparare tante cose.
Un vero problema era quello della valutazione. Quando ho iniziato a
insegnare, nel 1979 (anno della mia laurea), non avevo considerato che
nelle medie inferiori non si usavano i voti, ma i giudizi (anche per
questo preferivo le scuole superiori). Con i voti è possibile esprimere
meglio, e in modo sintetico, il livello raggiunto: provate a tradurre
in parole : 6, 6+, 6 ½, 6/7, 7-, 7=, 7, 7+ eccetera (in salita e in
discesa). Quando in una classe interrogavo e dovevo usare A/B/C/D e
robe simili, i miei alunni mi chiedevano: “Prof, ma in numeri quanto
fa?”. Questo è ovvio, perché a casa molto spesso i genitori con le
lettere non ci capivano un tubo.
Quando poi bisognava scrivere i giudizi per i quadrimestri, tutto
diventava… tragico, drammatico, assurdo, perché se avevi una classe di
ventisei allievi, bisognava avere ventisei giudizi diversi (o almeno
questo era più o meno quanto ci si aspettava). Il mio commento è W i
voti, le note, i compiti di punizione! E fuori dalla scuola i genitori
rompicoglioni e i presidi del c***o !!!
Tina
|
L’ignoranza manda in ambulanza
Durante il periodo della scuola elementare avevo molti
amici con i
quali mi trovavo molto bene: a quei tempi di ignoranza non ne avevo
avuto esperienza. Alle medie non ero molto a mio agio, quando conobbi
il mio primo amore (conobbi altre ragazze carine, ma una sola di esse
mi attraeva particolarmente): una ragazza di nome Alessandra che era
molto carina, ma più avanti capii che era una smorfiosa. Alle superiori
la rividi e fu una tal delusione: nel giorno di San Valentino le diedi
dei Baci Perugina, lei mi fece capire che non la interessavo.
Da quel momento mi crebbero degli enormi dubbi sul significato della
parola "Amore" e, quando conobbi Sailor Moon, ebbi un rapporto strano e
fantastico di "Amore fantasy". Mi ero innamorato della Paladina della
Legge che veste alla marinara !!!
Anche le altre ragazze del suo gruppo sono molto carine e dolci (come
Emy), ma non quanto la mitica Bunny che, oltre a esser romantica,
gentile e dolce, oltretutto mi fa sempre sbudellare dalle risate !!!
Quanto vorrei una come lei nella realtà: ma nulla !!!
Già dai quindici anni avevo degli strani sentimenti, che percepivo
cambiare in me stesso. Quando infatti arrivai intorno ai vent’anni,
capii che il mondo femminile mi interessava solo nel mondo fantasy, nel
mondo reale non mi apparteneva più. Come dissi ad un mio amico: "Ci ho
messo la croce sopra", cioè praticamente avevo capito che ero attratto
verso l'uomo.
Questa novità, mi fece scontrare per la prima volta con l'ignoranza che
prese piede man mano nel mio archivio sociale (cioè i miei conoscenti).
Per capirci, già quando ascoltavo la TV e i telegiornali, mi davano
molta agitazione rapine, stupri, assassini, guerre e altro ancora; ma
poi quando entrai di più a conoscenza del mondo gay e lesbico, mi
irritava sentir in telegiornale la stupidità (e quindi l'ignoranza)
delle persone omofobe, che non capiscono che l'amore ha varie
sfaccettature: non c'è scritto da nessuna parte che sono obbligato ad
attaccarmi, in amore, ad una donna: Dio ci ha dato la libertà di
scelta; io ed altri, abbiamo deciso per gli uomini; per chi è donna, ha
deciso la sua donna !!!
È gravissimo che qualcuno obblighi un'altra persona a voler per forza
che si scelga solo quella strada quando davanti a te hai più scelte:
questa è schiavitù ! Non è soltanto che l'omofobo ‘t'imprigiona’
soltanto nella tua scelta: la sua ignoranza ti manda in ambulanza (fa
quindi molto di peggio !!!). Ad esempio ho visto in telegiornale due
ragazzi gay che stavano facendosi le fusa quando un cretino di omofobo
ha picchiato selvaggiamente uno dei due, portandogli delle ferite gravi
e quindi mandandolo in ospedale... Ma io qui mi chiedo: perché, idiota
di un omofobo, non fai la stessa cosa contro un stupratore? O contro un
ladro? O contro comunque ad un Male molto, ma molto peggiore di questo?
Oltretutto esser gay / lesbica non è nemmeno un Male, ma un Bene: è
l'Amore in un'altra delle sue sfaccettature, come l'Amicizia, la Pace,
la Prosperità e altri valori che in questa epoca di m***a, l'uomo sta
perdendo.
Comunque tornando al discorso della scuola, quando poi raggiunsi le
superiori, oltre quindi ad aver perso fiducia
nell'Amore femminile, mi crollò addosso un altro problema grave: il
bullismo. C'erano dei ragazzi che pensavano di esser superiori, per
chissà quale motivo; allora, un bel giorno, affrontai uno di questi per
proteggere un mio amico e gli feci vedere che con le parole si poteva
far molto di più che con i fatti (dava degli spintoni, dei calci e a
volte dava particolarmente fastidio infiltrandosi mentre giocavamo);
finalmente grazie alle mie parole e ad un professore, smise di romperci
le scatole, ma cosa ben più mitica fu che passato quel periodo,
sembrava che l'Amicizia fosse uno dei miei Piani Divini: mi sbagliai di
brutto!
Quando infatti fui in quarta superiore, non ebbi più amici di classe e
avevo quel mio amico che però lo vedevo solo al dopo scuola: quindi gli
studi crollarono in quanto gli insegnanti invece di farti imparare, o
ti prendevano per il c**o oppure giocavano a carte o facevano i
gallinacci.
La cosa che però mi fece più innervosire fu il fatto che coppie di
"ragazzo-ragazza" si instauravano ed io ero sempre quello più
emarginato a tal punto che cominciai a parlare da solo!
Fu questo il periodo che conobbi le prime fasi della depressione e le
sue chele mi attanagliavano sempre più ferocemente, con l'aggiunta
della bocciatura e del fatto che di lavoro non se ne trovava (quel
periodo oltretutto era ingombrato dal razzismo contro gli
extracomunitari che ci rubavano il lavoro e da inquietanti andamenti
economici della crisi). L'esplosione finale della mia depressione fu
che, quando dopo innumerevoli prese per il c**o da parte dei datori di
lavoro che continuavano a dire: "Le faremo sapere" poi invece nulla,
quando finalmente trovai il mio posticino, sembrava stranamente tutte
rose e fiori... Ma che cos'è l'ignoranza? Quando non conosci qualcosa /
qualcuno: ebbene, fu proprio in quel momento che la Signora Depressione
e la Signor Ignoranza e la Signora Solitudine, si incontrarono ahimè!
Non riuscivo più a trattenere i fiumi di lacrime, verso la sera, quando
tutti se ne andavano e rimanevo solo: oltretutto, ci fu un furto e
sembrava mi dessero la colpa... Quello fu la goccia che fece traboccare
il vaso !!! Oltre a farmi un mazzo tanto, venivo anche calunniato?! Eh,
no! Non ci stavo proprio... Quindi decisi di mollare il lavoro e farmi
curare per la depressione.
A tutt'oggi sto meglio, ma ci sono molte cose che le persone (alle
quali piace molto scaldare la sedia, invece di tenere atteggiamenti
davvero onorevoli e severi) potrebbero fare per migliorare il mondo: un
esempio chiaro di ignoranza, si ha quando sarebbe possibile evitare un
grave disastro ambientale con un piano di prevenzione ma, per
l’appunto, i carissimi e gentilissimi signori dei vari comuni ignorano…
Si potrebbero prendere due piccioni con una fava: 1) dar lavoro di
manodopera; 2) sistemazione e manutenzione di sistemi di scolo
dell’acqua e sua regimentazione; in casi opposti, cioè quando si ha una
grave siccità e tante altre idee per una miglior efficienza per
combattere le emergenze, tipo un incendio devastante.
Concludo che l'ignoranza (come dice mio zio Francesco) è una brutta
bestia che bisogna sterminare: ma la vedo difficile!
Sarà un bel compito! Soprattutto quando chi ignora qualcosa / qualcuno
non vuole informarsi e decide invece di mandarlo in ambulanza!
Darietto
|
Lo Spirito Santo (questo sconosciuto)
Io ed Edoardo, quando andiamo da Don Gianni, sacerdote
del
santuario della Visitazione di Bologna, a metà di via Lame, dove si
distribuiscono anche degli indumenti ai poveri, sentiamo spesso parlare
dello Spirito Santo, il quale ci dice: "Non contate sulla vostra
bravura, ma chiedete aiuto allo Spirito Santo."
In effetti, come anche ha cercato Edoardo nei catechismi dei bambini,
dello Spirito Santo si parla poco o niente, eppure è la Terza Persona
della Santissima Trinità per un cristiano cattolico. Il frutto dello
Spirito Santo, dice San Paolo, è: "Amore, Gioia, Pace, Pazienza,
Benevolenza, Bontà, Fedeltà, Mitezza, Dominio di sé." (Galati 5,22) Lo
Spirito Santo, dal greco PNEUMA (= soffio, alito, respiro), nel giorno
di Pentecoste è stato effuso da Dio sugli Apostoli, sotto forma di
lingua di fuoco, come già aveva annunciato Cristo, che dopo la sua
ascensione al Cielo avrebbe inviato, il Consolatore (Paraclito). Per
affrontare il Mondo, allo Spirito Santo chiediamo di rendere noi stessi
certi della forza che risiede nell'Amore.
Sant'Agostino diceva che le persona della Trinità, sono: "L'Amante,
l'Amato e l'Amore". Il Padre è il principio dell'Amore, Colui che ama
per primo, e l'Eterno Amante; Cristo è il figlio, che è l'Eterno Amato,
perché è divino anche il lasciarsi amare, il ricevere il Divino Amore.
Infine tra Amante e Amato si pone lo Spirito Santo che è il vincolo
dell'Amore Eterno, cioè la Comunione dell'Amore Divino.
Lo Spirito Santo, pertanto, ci è stato mandato perché ci insegni a
guardare la Vita con gli occhi di Cristo, a viverla come l'ha vissuta
Lui, a comprenderla come l'ha fatta Lui. Vivere una vita umana in
comunione come quella che ha vissuto Cristo, in costante unione con il
Padre, e con un infaticabile volontà di fraternità con tutti.
"Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a Lui e prenderemo dimora presso di Lui. Ma il Paraclito, lo
Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio Nome, Lui vi insegnerà ogni
cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto." (Giovanni 14,15-16)
Augusto Mocella
|
“Il sociale per incontrarsi” 18 maggio 2013
Associazioni insieme per la Festa di Primavera: l’unione fa la forza!
Giovanna Giusti
|
La posta
Colgo l'occasione per presentarmi al giornalino Il
Faro,
innanzitutto dicendo che, sfogliando le pagine che trattavano il tema
sugli animali, ho visto il nome ripetuto di un Darietto, ed ho pensato
al Darietto del Ventaglio di ORAV, a quell'associazione presso la quale
sono stato borsista con lui.
Mi ricordo della sua passione per i soldatini e quando veniva al lavoro
con la tuta e uno sgabello, e vorrei aggiungere, a proposito, di quanto
sia stato importante per me, lavorando al Ventaglio di ORAV, il valore
dell'amicizia che lì ho scoperto e di avere ripreso a vivere facendo
lavori sì, a mio avviso, pesanti, ma comunque svolti in un clima di un
rapporto umano. Mi ricordo delle pause di lavoro all'aperto e, a
proposito delle api, di uno sciame che si è liberato all'improvviso
dall'alveare che si teneva lì vicino, che non so se c'è ancora. Quanta
paura che ho preso! Un'ape mi punse ad un labbro, per fortuna niente di
grave. Sono rimasto, piuttosto che spaventato, preoccupato, per il
timore delle conseguenze delle punture, di un'ape e comunque quelle di
un insetto volante, come una zanzara, che se si è allergico alla
puntura, ci sono conseguenze letali. Con questo chiudo.
Maurizio Scarbanti.
scarbantimaurizio@gmail.com
|