ottobre 2013 - anno VII  n. 4 – La fretta

INSERTO


SALUTE MENTALE E LAVORO

workshop del 31 maggio e del 14 giugno 2013
a cura dell’associazione UmanaMente

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Inserimenti lavorativi e DSM-DP - Il superamento delle borse-lavoro



Voi tutti siete al corrente che questo è un momento di trasformazione. Fino ad oggi abbiamo utilizzato questo strumento delle borse lavoro e adesso non possiamo più utilizzarlo. Già dal primo di gennaio non possiamo più attivare borse lavoro, ce ne sono alcune ancora in atto, derivanti dalla continuità di percorsi attivati nel 2012. Questi abbiamo avuto la possibilità di prolungarli fino al 30 giugno, dopo il 30 giugno tutte le borse lavoro che c’erano non esisteranno più.
La borsa lavoro fino ad adesso ha rappresentato un po’ una risposta per tante situazioni. Come vedremo, da qui in avanti invece si cercherà di diversificare un pochino le situazioni, cercando delle risposte diverse, differenziate e più appropriate si spera. Quindi io proponevo di partire dal quesito che voi avete fatto, appunto: “Quali sono le tipologie di inserimento lavorativo offerte?”, proprio perché in questo periodo di cambiamento dobbiamo vedere un po’ quello che ci offre la situazione attuale. I cambiamenti che stiamo affrontando adesso sono cambiamenti sui quali ci si sta lavorando già da parecchio tempo, non solo mesi, bensì anni. Poi ci sono stati degli incontri, dei seminari delle occasioni di riflessione, non so se qualcuno ha partecipato. Questi incontri hanno portato a due fascicoli che sono la guida per noi operatori di questi nuovi cambiamenti che stiamo per affrontare.
Partirei dal leggere il manuale. A pagina 48 viene spiegato perché siamo dovuti arrivare al superamento delle borse lavoro:
“per l’assenza di una cornice normativa-lavoristica o contrattuale, per la sua indefinitezza sul piano delle garanzie sulla sicurezza nei luoghi di lavoro”. ”Da una parte si è mostrata come strumento flessibile e con forti caratteristiche adattive nell’incrocio tra contesto lavoro e competenze/disabilità degli utenti, dall’altra ha alimentato nella sua applicazione una certa confusione tra ambiti riabilitativi, sanitari, formativi lavorativi e tra lavoro e non lavoro.” Questo testo ci dice due cose importanti: uno che la borsa-lavoro non aveva una cornice giuridico - normativa che con le evoluzioni che ci sono state in questi anni potesse consentire di andare avanti, così c’era bisogno di un cambiamento. Era uno strumento ormai superato, non era più adatto ai giorni nostri. Un secondo motivo è l’aver creato confusione tra ciò che è lavoro e ciò che non è lavoro. Infatti la stessa nomenclatura ‘borsa-lavoro’ ha dato a molti l'idea di un vero lavoro che potesse comprendere contributi, ferie ecc. suscitando in molti anche una certa confusione.
Per questi e tanti altri motivi si è dovuti arrivare al superamento delle borse lavoro.
Si è cercato di dare pertanto risposte differenziate secondo i bisogni. Come dicevo, si voleva fare un rinnovamento tecnico, metodologico, progettuale per trovare degli strumenti che definissero con chiarezza quali sono gli ambiti riabilitativi sanitari, formativi, lavorativi, e… lavoro e non lavoro. I termini chiave per questo rinnovamento, sono stati i seguenti: il primo è che il progetto terapeutico riabilitativo dovesse essere personalizzato, individuale, condiviso; un altro aspetto essenziale è che la persona a cui si fa la proposta è al centro, considerando soprattutto i suoi specifici bisogni, le sue risorse, le sue potenzialità, le sue preferenze. Si è fatta una rivoluzione di metodologia rispetto a ciò che abbiamo utilizzato fino ad adesso, cioè se fino ad adesso con le borse lavoro si utilizzava un criterio graduale, nel senso che si partiva dal più semplice per arrivare al più complesso, per cui, ad esempio, per una persona che esprimeva un desiderio di fare un’attività lavorativa si partiva con una borsa lavoro in un contesto protetto per poi eventualmente progredire fino all’inserimento in contesti che hanno come fine l’assunzione, ad esempio presso ditte. Ora il discorso si è invertito, infatti se la persona esprime una motivazione forte, ha competenze e capacità, si può partire subito con il supporto alla ricerca di un’assunzione in una ditta, in un contesto di mercato del lavoro competitivo. In questa direzione è stata introdotta una nuova metodologia, chiamata IPS (Individual Placement Support), non so se qualcuno di voi l'ha sentita nominare: area del supporto all'impiego nel mercato del lavoro competitivo. Questo ha ribaltato l’ottica degli stessi operatori, in quanto veniamo sollecitati, quando conosciamo una nuova persona che viene inviata per un percorso lavorativo, a porci, insieme alla persona, perché la persona è al centro, come ho già detto, la domanda se si può partire fin da subito nella ricerca di un posto lavorativo in un contesto competitivo, profit.


Aree di intervento



Possiamo vedere aree di intervento diversificate.
La prima è l’area degli Interventi Sociali Riabilitativi Attivi (ISRA).
Notiamo subito che la parola ‘lavoro’ non c'è, in questo caso parliamo di un intervento sociale riabilitativo attivo, queste parole fanno da cornice a quest’area.
Questi interventi sono, in gran parte, i sostituti delle vecchie borse-lavoro occupazionali.
La seconda è l’area della Formazione e Transizione al Lavoro.
In questa area troviamo:
- Tirocini formativi e di orientamento;
- Inserimento lavorativo per i disabili
- Percorsi per l’utenza con disagio psichico e per le persone con dipendenza patologica non certificati come disabili.
Poi ci sono i percorsi di formazione professionale, nell’area della cooperazione sociale (non so se qualcuno di voi ha lavorato in cooperative sociali) e infine nell’area del mercato del lavoro competitivo (qui c’è la metodologia a cui prima mi riferivo, chiamata IPS).


ISRA (interventi sociali riabilitativi attivi)



Iniziamo a parlare in modo specifico dell’ISRA. Prima c’erano tre tipi di borse lavoro, quelle occupazionali, osservative e finalizzate. L’ISRA possiamo dire che grosso modo, sostituisce le vecchie borse lavoro occupazionali. Vorrei soffermarmi sulle finalità: le finalità che questo percorso possiede sono quelle di potenziamento delle abilità e delle competenze per un miglioramento del funzionamento sociale, per migliorare la qualità della vita e anche delle condizioni cliniche dei pazienti.
Un aspetto essenziale è lavorare sulla motivazione e sulla possibilità di scelta. In questo tipo di progetto il lavoro non è l'aspetto essenziale, può essere propedeutico, anzi si spera lo sia, ma non centrale. La cosa essenziale come suggerisce il nome, è essere socialmente attivi in contesti che hanno come scopo la riabilitazione. Non è assolutamente una condizione di parcheggio. Il percorso che la persona fa costituisce un percorso flessibile e personalizzato. Per flessibile cosa intendiamo? Mentre in un contesto lavorativo profit, ci sono degli orari precisi da rispettare, delle mansioni, dei ruoli, ovvero una situazione in cui una persona deve dare una prestazione netta, gli ISRA si prefigurano come situazioni più flessibili alle esigenze delle persone. Non è la persona che si deve adeguare al mondo del lavoro, ma è il progetto che prende in considerazione le caratteristiche della persona per farle una proposta flessibile, adatta alle sue esigenze. In questo tipo di progetto si sottolinea soprattutto l’importanza di sviluppare competenze relazionali e il senso di appartenenza. Per la persona avere un impegno fisso, un orario, una motivazione è molto utile e le ISRA vengono offerte proprio per queste motivazioni, per far avere alla persona un impegno costante nel quale sperimentarsi. È previsto un gettone di presenza su base giornaliera calcolato su parametri stabiliti su una quota originaria, diversa tra CSM e SERT. Il carico delle ore di ‘lavoro’ varia in base alla tipologia di utenti, il massimo comunque è di 34 ore settimanali.

Quali sono le caratteristiche dell'ISRA?
È un percorso che varia, da medio a lungo termine, in base alle necessità della persona, non come avviene nel caso invece che andremo a valutare più avanti quando parleremo della seconda area, ossia quella della formazione e transizione al lavoro. L’ISRA da questo punto di vista risulta essere uno strumento più flessibile.

Dove può essere fatto un ISRA? In quale contesto?
Gli ISRA possono essere svolti nel settore pubblico, in cooperative sociali, associazioni di volontariato e altri soggetti che costituiscono le organizzazioni dell'Economia Sociale (terzo settore), mentre nelle società, aziende ed enti pubblici e privati profit, inizialmente non era possibile, poi è stato previsto solo in base a particolari parametri che garantiscano l’adeguatezza dei contesti e per un tempo limitato (massimo un anno).


TIFO (Tirocini Formativi e di Orientamento)



La seconda area d'intervento è l'area della formazione e transizione al lavoro, che comprende i TIFO (tirocini formativi e di orientamento). Questi prendono il posto delle vecchie borse-lavoro osservative e finalizzate. Un elemento fondamentale in questa area rispetto alle vecchie borse-lavoro, è la cornice legislativa e giuridica che ora consente a questo strumento di essere più adatto oggi nel nostro contesto lavorativo. L'aspetto formativo, a differenza della borsa lavoro, prevede che in fase di attivazione venga fatto un progetto molto approfondito. C’è un progetto formativo e una convenzione. La convenzione va ad assolvere gli aspetti più burocratici e amministrativi, il progetto formativo invece è proprio un modulo che va compilato insieme all’interessato che farà il tirocinio formativo, all’azienda ospitante e all’operatore che mette in piedi questo percorso. È importantissimo in fase di definizione del progetto formativo individuare le competenze e le capacità da inserire nel progetto, scegliendole tra quelle previste per quella specifica figura professionale, nel Sistema Regionale Delle Qualifiche.


Inserimento lavorativo dei disabili



Per quanto riguarda l' integrazione socio-sanitaria e inserimenti lavorativi, il punto importante sono i percorsi per l' inserimento lavorativo dei disabili. Una persona che ritiene di averne i requisiti, deve fare la richiesta per il riconoscimento dell'invalidità. Se le viene riconosciuta un'invalidità minima, che deve essere almeno del 46%, può andare al centro dell'impiego e iscriversi agli elenchi per i disabili. Successivamente la persona deve fare una visita per la diagnosi funzionale, la quale in base al tipo di invalidità che è stata riconosciuta, definisce delle limitazioni, le quali regolano i rapporti tra datore di lavoro e la persona stessa. Ad esempio una persona che ha problemi di vertigini, non andrà certamente a fare un lavoro in quota, mentre per un'altra persona che ha difficoltà nel lavorare in un contesto affollato, si prenderà in considerazione un lavoro che non lo metta in tale condizione. Questo ci fa capire che siamo tutti diversi quindi il concetto chiave su cui ruota la legge 68/99 per l’inserimento dei disabili è quello di un collocamento ‘mirato’, nel senso che ogni persona ha una situazione specifica, per cui ad una persona che ha certi tipi di caratteristiche, di abilità può andar bene un certo tipo di lavoro e non un altro. È l'Ufficio della Provincia ad avere il compito di incrociare domande e offerte di lavoro in questo senso.

Qual è la procedura di assunzione come invalido tramite ufficio di collocamento?
La procedura comporta alcuni passaggi. Innanzitutto è necessario ottenere il riconoscimento dell'invalidità, che deve superare il 46%. Se alla persona viene riconosciuto un livello di invalidità che supera il 46% è in seguito possibile procedere, con l'iscrizione presso il Centro per l'Impiego, al collocamento mirato. È necessario anche fare la visita per la diagnosi funzionale, che viene effettuata a Bologna, in via Gramsci. Per prenotare la visita è necessario rivolgersi a un Patronato. Dopo di che si risulta iscritti alla lista di collocamento. Questo vale anche per i disabili psichici, i quali tuttavia non possono accedere alle aste e al collocamento numerico ma solo al collocamento mirato.

Come si arriva a proporre i percorsi e quali criteri sono utilizzati per decidere il percorso (ISRA, TIFO…) ?
Per quanto riguarda la metodologia usata, è importante fare riferimento al Manuale operativo sul sistema degli interventi sociali riabilitativi attivi, formativi e lavorativi, sviluppato dalla riflessione degli ultimi anni nel DSMDP di Bologna sui temi della salute mentale e del lavoro. Nel manuale si afferma che il progetto terapeutico riabilitativo personalizzato deve essere individuale e centrato sulla persona e sui suoi bisogni piuttosto che sull'offerta dei servizi, centrato sulle abilità, condiviso e concordato con utenti, familiari e altre agenzie sociali del territorio. Le parole chiave sono quindi persona, condivisione, concordare. In quest'ottica il colloquio iniziale riveste una grande importanza. Esso è teso a creare il massimo di intesa tra operatore e persona interessata.

Come avviene il colloquio iniziale?
Quando l'équipe curante rileva un bisogno della persona in merito all'aspetto lavorativo, invia a un educatore o a un assistente sociale che si occuperà di questo; svolgerà quindi almeno due colloqui di conoscenza e riporterà le osservazioni all'équipe multidisciplinare e a seguito delle richieste, delle aspettative e delle motivazioni dell'interessato si deciderà il percorso da proporre.

Che cos'è l'IPS (Individual Placement and Support)?
Con l'IPS si effettua la ricerca del lavoro nel mercato competitivo. L'IPS rappresenta un nuovo strumento la cui metodologia è stata mutuata da esperienze negli Stati Uniti. I criteri minimi di inclusione nel progetto sono: essere disoccupato o inoccupato, effettuare una richiesta esplicita di impiego, avere una forte motivazione. Non è motivo di esclusione avere una diagnosi grave. L’importante è che l’utente sia stabilizzato al momento dell’invio. La motivazione è l'aspetto centrale, in quanto consente di affrontare lo stress connesso alla ricerca del lavoro. L'IPS è una forma di accesso all'impiego senza programmi di formazione e transizione, in base alle attuali condizioni della persona, al suo grado di occupabilità attuale. Comprende un sostegno individualizzato in diverse fasi, il supporto nella ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di proprie capacità e conoscenze per affrontare la ricerca del lavoro, per migliorare l'autonomia, l'autostima, il senso di efficacia personale al fine di operare scelte e sperimentarsi in contesti reali ed integrati. l'IPS è già attivo in alcuni CSM mentre in altri ancora no, in quanto si sta provvedendo a inserire gli operatori IPS formati specificamente per questo ruolo.

Quando è ‘giusto’ un inserimento lavorativo? Quando è pronta una persona per affrontare tale impegno?
L'IPS è sostanzialmente un aiuto nella ricerca di un lavoro. Prima si deve capire a che livello è la persona e insieme a lei valutare se è in grado di affrontare un lavoro. La malattia mentale è un percorso in evoluzione, per cui i vari strumenti (TIFO, ISRA, IPS, FORMAZIONE...) sono da prendere in considerazione in base ad una valutazione e ad un progetto individualizzato che nel tempo evolve e quindi si modifica.

Dott. Paolo Grossi (educatore professionale DSM-DP Bologna)





Inserimenti lavorativi DSM-DP – La legge 381/91, l’IPS


L’area della cooperazione sociale



La cooperazione sociale nasce grazie alla legge 381/91. Essa prevede la possibilità di costituire cooperative sociali, che hanno l'obiettivo di favorire e operare per l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate, in situazioni protette rispetto ai contesti del mercato del lavoro competitivo. Sul mercato del lavoro ci sono tante cooperative, ma queste nascono proprio per questo specifico obiettivo. Le legge prevede che la cooperativa, perché sia sociale e possa avere sgravi fiscali, deve avere al suo interno un numero di soci o dipendenti con svantaggio pari ai due terzi del totale.

Cosa intendiamo per svantaggio?
Il concetto di svantaggio è molto ampio: la persona svantaggiata si trova in condizione di difficoltà e non riesce a collocarsi nel normale mercato dal lavoro, è seguita dai servizi oppure sta facendo un percorso carcerario o è appena uscita dal carcere, oppure è in carico ai servizi per le tossicodipendenze o in carico ai servizi sociali dell'ente locale per grave disagio di altro tipo. Lo svantaggio può essere l'insieme di situazioni particolari, date da circostanze del contesto ambientale o da difficoltà di tipo personale in un dato momento. Lo svantaggio non è lo stesso nel corso della vita e può evolvere, si può chiaramente affrontare e risolvere, avendo un miglioramento nella qualità della vita che è proprio l'obiettivo delle cooperative sociali. Se una cooperativa accoglie al suo interno un socio lavoratore o dipendente svantaggiato, l'onere che dovrebbe sostenere per i contributi viene sostenuto dallo Stato. Avendo meno oneri la cooperativa può avere più soci o dipendenti e nello stesso tempo il vantaggio è dato dal fatto che possono esserci posti di lavoro per persone in situazione di difficoltà. Le cooperative sociali, come le aziende del mercato competitivo, vanno alla ricerca di commesse lavorative, negli ambiti più disparati: pulizie, giardinaggio, fotovoltaico, inserimento dati, gestione di aspetti amministrativi per conto terzi…
Come le altre aziende hanno un loro bilancio, quindi devono avere entrate e uscite per poter rimanere nel mercato del lavoro. Nella cooperazione sociale, diversamente dalle aziende del mondo del lavoro competitivo, l'inserimento lavorativo è mirato e adeguato alle capacità lavorative e alle attitudini dei lavoratori. Non si chiede una prestazione maggiore delle possibilità della persona. L'inserimento è mirato, in situazione di protezione e nell'ambito di un progetto. Nel mercato del lavoro competitivo invece si deve essere adeguati a ciò che viene richiesto. La cooperazione sociale si configura come una palestra, un percorso intermedio tra una situazione di tirocinio formativo e una situazione di lavoro nel mercato tradizionale.
Infatti nella cooperazione sociale ci si esercita, si fa un rodaggio, si acquisiscono competenze che possono essere spese in situazioni diverse. È un aiuto nel percorso di crescita professionale. Tutto viene calibrato sulle singole situazioni, è quindi possibile effettuare interventi personalizzati mirati alle esigenze, alle autonomie, alle abilità di una persona e quindi vi possono essere situazione lavorative molto protette o meno protette. Per il progetto di inserimento lavorativo si lavora in squadra, vi è un'équipe multidisciplinare dove l'assistente sociale e l'educatore lavorano insieme nell'attivazione dei percorsi. Vi è poi un caposquadra che coordina le attività lavorative e segue la persona, offre orientamento, supporto e un punto di riferimento.


IPS (Individual Placement and Support)



L'altra area che si sta sperimentando è quella dell'IPS. Si tratta di interventi che supportano la persona nella ricerca attiva del lavoro, nel mondo del lavoro competitivo. Questo tipo di percorso è stato sperimentato negli Stati Uniti D'America dove ha avuto un riscontro molto positivo ed è poi approdato in Europa e anche in Italia. Nella nostra regione si sta sperimentando dal 2011, il primo progetto sperimentale è partito nell'azienda USL di Rimini. Dopo la prima sperimentazione, gradualmente è arrivato anche nell'azienda USL di Bologna. Essendo un progetto sperimentale per ora è attivo solo in alcuni CSM: a Zanolini, Scalo, Nani, Mazzacorati e a S. Giorgio di Piano per la provincia. Dalla prossima settimana la sperimentazione inizierà anche nel CSM di Budrio.

Come funziona l'IPS?
Ci si avvale della collaborazione di operatori appositamente formati per questo tipo di percorso e che l'azienda USL ha in convenzione con l'ENAIP, ente di formazione di Rimini. Questi operatori collaborano strettamente con gli operatori dei servizi che conoscono la persona e quindi è un percorso che si realizza nella massima integrazione con gli operatori di riferimento della persona. È un percorso decisamente meno protetto rispetto alle altre tipologie di inserimento lavorativo, in quanto supporta la persona a essere attiva nella ricerca del lavoro. L'operatore IPS è formato per dare alla persona tutti gli strumenti per potere cercare lavoro autonomamente nel mercato del lavoro competitivo, attraverso i canali e le risorse disponibili. Non ci si ferma alla classica consultazione delle offerte dell'Ufficio di Collocamento.
Per ogni persona bisogna sempre valutare i pro e i contro delle varie tipologie di inserimento lavorativo. È importante avere chiari i percorsi che si possono attivare valutando i pro e i contro e anche sperimentare. Per quanto riguarda i centri per l'impiego, che costituiscono una parte dell'area di ricerca sul mercato del lavoro competitivo, vi è stata una riforma, per cui il centro per l'impiego ha una funzione molto più limitata rispetto al passato. Ci si iscrive, si fa un primo colloquio di presa in carico, si danno tutte le disponibilità, si dice il lavoro che si vorrebbe fare, ma il centro per l'impiego si limita a dare il nome della persona all'azienda che dovesse richiedere una figura simile. In precedenza invece il centro per l'impiego era più attivo nella ricerca delle aziende e aveva più rapporti con le aziende, ora è molto più limitato. Il centro per l'impiego è solo una parte di ciò che si va a verificare, perché vi è anche tutta l'area delle agenzie interinali, la ricerca sui portali dedicati al lavoro su internet, dove c'è anche la possibilità di rendersi disponibili alle aziende. Un'altra cosa che può creare difficoltà e per cui l'operatore IPS offre supporto è come costruire il proprio curriculum professionale, e dove portarlo. È la persona stessa che deve fare le attività consigliate, ma viene aiutata. L'accompagnamento non è di tipo fisico. È un accompagnamento che deve dare gli strumenti per poter fare in autonomia questo tipo di ricerca presso Centri per l'Impiego, CIOP (Centri di Informazione e Orientamento Professionale), agenzie interinali, siti internet. Si può anche effettuare insieme all'operatore IPS un'analisi su quale percorso lavorativo sia meglio orientarsi o se può essere opportuno in quel momento cercare una situazione di riqualificazione professionale, quindi cercare corsi di orientamento professionale che possano dare qualche possibilità lavorativa in più, oppure vedere se nel bagaglio formativo mancano supporti utili, per esempio un corso di utilizzo del computer, oppure valutare se può essere opportuno riconvertirsi in altre situazioni lavorative più spendibili rispetto a impieghi svolti in passato. Oppure la persona può avere interessi e abilità che ha sempre solo coltivato come hobby ma che possono essere spendibili nel mercato del lavoro e viene supportata in questo dall'operatore IPS. L'operatore IPS può inoltre offrire consigli su come affrontare un colloquio di lavoro e simulare un colloquio con il datore di lavoro. Attualmente ci sono persone che si sono formate o si stanno formando per essere operatori IPS, ma presso i CSM si è sempre cercato di fornire supporto alle persone per la ricerca del lavoro. L'IPS rappresenta una situazione più strutturata, con operatori appositamente formati, ed è anche meno connotata, nel senso che l'operatore IPS può per esempio accompagnare la persona dal datore di lavoro senza doversi presentare come l'operatore del servizio.
Inoltre non vi è la connotazione ambientale e strutturale del servizio, ci si può incontrare con l'operatore IPS anche al di fuori della struttura, è una situazione più libera e di apertura.

È possibile il passaggio da una tipologia di inserimento lavoro ad un’altra?
Assolutamente sì, è possibile e auspicabile, noi lo vediamo anche nel nostro lavoro, nel quotidiano delle esperienze di persone che fanno un percorso che può essere appunto di passaggio da vari livelli di protezione fino ad entrare nel vero e proprio mercato del lavoro. Quello che deve servire a tranquillizzare è che in questo tipo di passaggio la persona non è sola, ma è supportata nelle sue difficoltà, ansie e preoccupazioni dal Servizio. È un percorso che si può fare anche con paure e preoccupazioni, perché nel momento in cui si va un po’ avanti possono nascere delle situazioni che danno ansia, però il servizio deve servire proprio a questo: a mediare, supportare e ad aiutare. Il servizio deve dire: “cerchiamo di superare assieme le difficoltà, mediando, aiutando, supportando”. Ci sono poi delle persone che seguiamo che stanno lavorando, che hanno già un lavoro. Il fatto che una persona abbia un vero lavoro, con l' assunzione vera e propria, non significa che non possa avere momenti di crisi e di tristezza, in questo caso il servizio è pronto anche per loro.
La persona deve sapere che non è sola. Ogni percorso deve essere calibrato e mirato alle singole situazioni, alla storia della persona, al bagaglio di esperienze che viene portato in un percorso evolutivo con tempi che sono necessari e che sono diversi da persona a persona.
Parliamo adesso di un argomento importante per tutti, la retribuzione. Avrete già visto con Paolo che per il tirocinio formativo la quota oraria giornaliera rimane di € 3,10, invece nei percorsi ISRA c'è una tabella dove vengono indicate delle quote forfettarie giornaliere a seconda delle ore che vengono lavorate. Uno dei motivi per cui si è voluto andare al superamento del concetto di borsa-lavoro, è perché nelle parole ‘borsa-lavoro’ c'è una confusione tra lavoro e non lavoro: il problema dei contributi, delle ferie, creava una sorta di ambiguità nelle persone.
Il fatto di avere degli strumenti chiari e il più possibile specifici rispetto anche a quelli che sono gi obiettivi delle ISRA e dei TIFO, dovrebbe appunto permettere di eliminare tale ambiguità. Non c'è una retribuzione lavorativa, ma c'è una sorta di indennità economica, un riconoscimento che viene dato alla persona per l’impegno che porta verso ciò che fa. Per quanto riguarda l’ISRA, è un percorso riabilitativo attivo molto mirato a quelli che sono i bisogni della persona, della singola persona, perché il mio percorso riabilitativo è diverso dal tuo. Quindi, se per me l'ISRA è importante che sia in un luogo dove io sono insieme agli altri, e non mi si richiedono particolari abilità, questo è il mio ISRA. Per altri invece l'ISRA è iniziare a sperimentare un impiego che li porterà man mano a sviluppare un bisogno sempre minore di contesti protetti. Per questi, questo è il loro ISRA. Mentre, i TIFO, tirocini formativi, servono ad avviare la persona nel mondo del lavoro. Questo strumento è assolutamente mirato alla sperimentazione sul campo: la persona si sperimenta con un livello di protezione medio basso, per sperimentare tempi, ritmi del lavoro, contesto lavorativo, acquisire capacità relazionali. Il TIFO prevede un progetto che ha anche una valenza formativa, 3,10 € è la cifra che ormai da anni era prevista e che rimane. Invece per gli ISRA si è fatto un discorso più forfettario. Nel calcolo della quota forfettaria giornaliera degli ISRA non c'è poi tanta differenza dai 3,10 € previsti per i tirocini formativi, in quanto la quota dipende dalle ore che svolgi in ISRA. La differenza essenziale sta nell'obiettivo che ci si dà, i TIFO sono condizioni più evolutive, orientate al lavoro vero e proprio. Il passaggio dall'ISRA ai TIFO, può sempre avvenire, non ci sono limiti o determinate qualifiche che una persona deve avere per compiere tale passaggio. È assolutamente possibile passare dalle ISRA e i TIFO, ma può anche accadere il contrario, una persona può sentire l' esigenza di tornare indietro. Ci sono inoltre casi in cui invece una persona ha già un livello di abilità molto evoluto, è istruita, ha già esperienze pregresse di lavori importanti, da un giorno all'altro si ritrova dopo un periodo di sofferenza a doversi accontentare di lavoretti. Sono esperienze anche queste che vanno valutate e comprese.

Il dipartimento come risponde a queste situazioni? Quali strumenti utilizza?
Ci stiamo rendendo conto nella realtà professionale che c'è una diversa tipologia di utenza rispetto al passato e che necessita di risposte differenziate e mirate, quindi se nel passato ci si orientava a integrare le persone con più abilità soprattutto nella cooperazione sociale, oggi si cercano risposte mirate e diversificate. Sicuramente lo strumento dell'IPS, è molto utile per le persone con più capacità e con esperienze lavorative più importanti, però ci può essere anche la possibilità di partire con dei tirocini formativi. È molto importante essere pronti come operatori ad aprire più strade e più possibilità, perché ci rendiamo conto che l'utenza che arriva da noi è sempre più diversificata.

Dott. Claudia Cuscini (assistente sociale presso il CSM)





L’esperienza della “borsa lavoro”: storie di vita




L.
Attualmente svolgo una borsa lavoro a Psicoradio. L’ho iniziata nel maggio del 2012. Psicoradio è un progetto finanziato dal DSM e da Arte e Salute Onlus, nato sette anni fa. Per entrare ho fatto un colloquio selettivo e conoscitivo a livello personale e professionale, con la direttrice e il gruppo direttivo. Ho conosciuto questo progetto tramite un'educatrice del DSM che mi aveva consigliato Psicoradio in quanto vi era un rinnovo automatico del progetto, diversamente da altre borse lavoro che duravano solo sei mesi. Percepisco € 3,10 all'ora e lavoro dal lunedì al mercoledì dalle 14 alle 18 e ho anche il rimborso delle spese di viaggio. Questa proposta di borsa lavoro non è finalizzata all'assunzione, ma si può rinnovare. Le borse lavoro precedenti invece erano state vissute come finalizzate a un'assunzione che non si è poi realizzata. A Psicoradio mi trovo bene e mi piacciono le attività che svolgo: ho anche parlato alla radio, uso un software per la modifica dell'audio e partecipo alle riunioni. Ci sono anche due educatrici che mi assistono per eventuali problematiche nel caso insorgano all'interno di Psicoradio. Studiavo Medicina all'Università di Modena, ero in pari con gli esami, avevo già dato quattordici esami in tre anni. Ho poi avuto una crisi e un conseguente blocco mentale. Avevo eliminato tutte le attività per studiare e mi sono chiuso in casa per un anno. Nel 2003 sono peggiorato e ho avuto una crisi psicotica in seguito alla quale ho iniziato ad essere seguito dai servizi di salute mentale. Nel 2004 ho iniziato la mia prima borsa lavoro, alla Cooperativa Sociale Valle del Lavoro, fondata da mio padre. La borsa lavoro sfociò in un'assunzione, ma dovetti abbandonare per problemi insorti precedentemente tra i miei genitori. Nello stesso anno ho subito un TSO e sono stato ricoverato all’Ottonello in seguito ad una incomprensione lavorativa presso la cooperativa.
Nel 2008 ho iniziato , tramite il DSM, la seconda borsa lavoro all'Ital-Legno di Casalecchio, dove facevo il falegname. È durata sei mesi, lavoravo dal lunedì al giovedì, quattro ore la mattina. Lì sono stato inserito senza corsi di formazione.
Nel 2009 ho svolto una nuova borsa lavoro presso Gamberini e figli, in una vendita all'ingrosso alimentare. A quel punto per me era diventato importante lavorare.
Quando studiavo aveva un'altra concezione del lavoro, lo vedevo come una prospettiva lontana, data la lunghezza del mio percorso di studi. Dopo la crisi invece è diventato importate impegnarmi in un'attività.


O.
Ho svolto la mia prima borsa lavoro presso il CEFAL a Rastignano, per un paio di mesi, nel 2002-2003. Me l'avevano proposta mentre ero in comunità a Gaibola. Attualmente svolgo una borsa lavoro presso un'azienda dove assemblo cassette postali e mi trovo bene. Prima di iniziare le borse lavoro ho fatto diverse cose nella vita. Dopo la maturità scientifica ho iniziato subito a lavorare come muratore insieme a mio padre, per un anno. In seguito, ho lavorato per sedici anni alla Segafredo Zanetti come factotum: a seconda delle necessità lavoravo in ufficio, in magazzino, o in produzione, confezionando il caffè. Quando mi sono ammalato avevo ventisette – ventotto anni. Ho avuto problemi di alcolismo e in seguito ho iniziato ad assumere psicofarmaci. In quel periodo non sono mai stato ricoverato. Alla fine degli anni 90, a trentaquattro anni, sono peggiorato e ho iniziato ad avere delle crisi psicotiche.
Nel 1997 sono stato ricoverato alla casa di cura Ai Colli per un mese. In quel periodo lavoravo ancora alla Segafredo Zanetti. Poi a trentotto anni, nel 2001, mi sono licenziato e sono iniziati i ricoveri: ho fatto un anno a Villa Azzurra a Riolo Terme e poi sono stato in comunità a Gaibola. In seguito sono andato a Casa Mantovani per sei anni, successivamente in un gruppo appartamento protetto, dove anche adesso vivo.


Fabrjx
Adesso ho una borsa lavoro come guardia sala in un museo. La mia prima esperienza di borsa lavoro è stata in una ditta di Cadriano, come centralinista. Per me l'esordio è avvenuto dieci anni fa, all'età di trentasette anni, quindi nel 2003. Da quel momento è iniziata una vicenda di vari ricoveri ospedalieri, sempre a Villa Colli, chiedevo di essere mandato in quanto mi piaceva. Da ragazzo ho studiato come dirigente di comunità ma non sono riuscito a ottenere la maturità. Dopo le scuole medie ho iniziato a lavorare subito in uno studio come odontotecnico, avevo quindici anni. Ho fatto anche il militare e in seguito ho frequentato le scuole serali, al Villaggio del Fanciullo. Ho provato poi a iscrivermi in un istituto privato per ottenere la maturità come dirigente di comunità e fino a venticinque anni ho lavorato come odontotecnico. Poi mi sono licenziato e ho lavorato per cinque anni in una casa di riposo. All'epoca infatti non era obbligatorio avere un titolo di studio per fare l'operatore socio sanitario. Il proprietario era un pensionato che gestiva la casa di riposo come se fosse un albergo.
Gli ospiti erano tutti intorno ai novant’anni. Poi sono dovuto venire via perché hanno chiuso, era il 1998, uno dei soci si era ritirato. Ci rimasi molto male perché persi il lavoro. Poco dopo aprii un'edicola insieme a mio fratello in fondo a via Irnerio, a porta S. Donato. In quel periodo prendevo già i farmaci. I problemi infatti erano iniziati dopo il licenziamento dalla casa di riposo, avevo ansia e attacchi di panico. Così mi consigliarono di andare da un assistente sociale che mi avrebbe anche aiutato a trovare lavoro. Sono stato poi seguito da uno psicologo al CSM Tiarini e dopo avere valutato la mia situazione mi hanno dato la pensione per invalidità all'80%, prendo 700 € al mese. La mia diagnosi è di schizofrenia e disturbo di personalità. Il mio periodo di crisi è stato dal 1998 al 2003.
Poi ho avuto una ripresa anche grazie alla borsa lavoro che svolto anche adesso alla Collezione Comunale d'Arte Antica.
Devo dire che anche il lavoro all'edicola mi ha aiutato molto e tuttora mi sta aiutando, per il contatto con le persone, lo scambio di qualche parola e di qualche sorriso. Adesso mi rimane il desiderio di prendere la maturità, un giorno.


S.
Per me le borse lavoro sono state utili per avere una formazione e tenere un ritmo congruo per affrontare un lavoro vero.
Ho svolto due borse lavoro fino ad oggi, poi la responsabile del CSM Scalo mi ha proposto di mettermi alla ricerca di un vero lavoro e ora faccio telemarketing per raccolta fondi presso un'associazione che si occupa di disabili e anziani. Io mi sento di incoraggiare percorsi di borsa lavoro e di formazione per chi ha avuto problemi, perché aiutano a recuperare abilità, competenze e un ritmo lavorativo che la malattia va ad intaccare. Poi chi si sente pronto può andare parlare con tutor ed educatori per cercare un lavoro vero. Per quanto riguarda la valutazione durante le borse lavoro, sono state le persone che lavoravano con me a riportare le osservazioni ai responsabili, per esempio sul fatto che stavo diventando più sciolta nelle mansioni. Come formazione ho una laurea in Economia e Gestione delle Imprese. Sono originaria di Foggia, infatti ho preso la maturità in un istituto Tecnico Commerciale. Poi mi sono iscritta a Giurisprudenza a Bari. Purtroppo feci solo il primo esame perché non mi piaceva la facoltà. Ho perso tre anni frequentando le lezioni senza dare esami. Poi ho deciso che dovevo cambiare e mi sono trasferita a Bologna per fare il DAMS. Però anche lì persi due anni perché studiavo ma non andai agli esami per la troppa paura. Il DAMS era diverso da quello che pensavo, poco artistico e poco partecipativo, era molto letterario. Allora lasciai e mi iscrissi a Economia, mi trovai bene e riuscii a laurearmi impiegando sei anni. Nel frattempo, lavoravo come centralinista, nel telemarketing. È un lavoro che mi piace perché parlo con la gente, sono timida ma al telefono mi imbarazzo di meno e uso strategie per convincere le persone per esempio ad accettare un appuntamento con un consulente.
La crisi è arrivata circa due anni e mezzo fa, non mi ricordo precisamente quando. Mi sono laureata nel 2009 e ho avuto una crisi l'anno dopo. Stavo cercando lavoro come tutti i neolaureati e sono andata in crisi perché non trovavo un lavoro adatto per il mio titolo di studio. Trovai solo un'attività di telemarketing, lavoro che avevo tante volte svolto anche in passato. Quella volta però durò solo un mese, perché non mi sono trovata bene e stavo male. Avevo già trentacinque anni ma le aziende volevano solo persone giovani da addestrare o con almeno cinque anni di esperienza. Allora ho iniziato ad avere delle paranoie, dicendomi che avevo sbagliato tutto e che avevo perso tempo. La crisi si è manifestata anche con manie di persecuzione e con voci che mi rimproveravano e mi offendevano. In quel periodo non mangiavo e non dormivo.
Se ne accorsero i miei vicini. Mi chiedevano come stavo e mi invitavano a casa. Durante un pranzo con loro iniziai a sentirmi male e chiamarono i miei genitori. Sono stata ricoverata per due mesi a Villa Baruzziana, mi piacevano il medico e la mia compagna di stanza, mi sono trovata molto bene, uscii rinnovata. Mi affidarono al CSM Scalo dove iniziai colloqui con la psichiatra e poi anche con una psicologa. Fu la psichiatra a propormi una borsa lavoro. Me l'ha presentata come un'attività dove avrei svolto dei compiti e in cui venivo seguita. Mi ha spiegato che non era un vero e proprio lavoro, me l'ha proposta in modo semplice, come un inizio per rientrare nel mondo del lavoro. Mi aveva fatto capire che sarei stata pagata poco ma a me interessava rientrare nel ritmo. L’assistente sociale mi propose allora un'attività di segretariato in un'agenzia di assicurazione, andò molto bene tanto che mi proposero anche di restare oltre il periodo della borsa lavoro, ma gratis e io rifiutai perché mi sembrava eccessivo. Allora con l’assistente sociale decidemmo di cambiare e scelsi l’ufficio di un ospedale, dove cercavano una stagista. Sono stata lì due anni con colleghe squisite che mi aiutavano e mi spiegavano tutto, anche il capo era disponibile e tranquillo. Facevo segretariato, stavo al computer e preparavo ordini di acquisto per il materiale che serviva all'ospedale. Poi il grande passo: con l’aiuto sempre dell’assistente sociale ho cercato un lavoro con un contratto, al di fuori del lavoro protetto. Grazie a lei e alla mia esperienza nel telemarketing, sono riuscita a trovare lavoro in un'associazione che si occupa di disabili. Ho un contratto fino a dicembre, non guadagno tanto ma mi piace e mi stimola. Lavoro quattro ore e mezza di mattina, dal lunedì al venerdì. Ho fatto un periodo di prova a febbraio di quest'anno e ora ho un contratto vero da maggio. Da poco lavoro anche per l'Associazione UmanaMente nell'ambito di un progetto di comunicazione e vengo pagata tramite voucher.


Mel Ancony (Mario Mazzocchi)
Nel 1981 conseguivo, al termine di un triennio piuttosto travagliato, la mia maturità scientifica. Ero un giovane estremamente insicuro e con autostima molto bassa, ma fino ad allora non sospettavo di soffrire di disturbi o disagi psichici.
Fu una delle mie sorelle a consigliarmi di consultare qualche specialista di salute mentale, perché lei stessa lo faceva e sembra che ciò le fosse utile. Considerato che, dopo la fine del liceo, mi trovavo nella difficile situazione di chi non sa cosa fare della sua vita perché ha paura di pensare al proprio futuro, consultai effettivamente uno specialista privato nel 1983: lì comincia la mia ormai trentennale carriera di ‘vecchio animale psichiatrico’, come sono solito definirmi. Non so né saprò mai se è stata una buona scelta. Di certo fui subito sottoposto a due trattamenti: uno farmacologico e uno psicoterapeutico.
Sono convinto, come spesso e in varie sedi mi trovo a sostenere, che un buon trattamento psicoterapeutico costituisce la cura migliore di un disturbo psichico, perché aiuta ad elaborare e comprendere i propri conflitti o traumi e tutte quelle dinamiche psichiche interne o interpersonali che possono essere alla base di un disturbo. Altrettanto spesso mi trovo a dire, al contrario, che un trattamento farmacologico non costituisce la cura del disturbo psichico, escluse le acuzie e i casi di disturbi importanti. Avrei preferito fare a meno del trattamento farmacologico, considerato che allora non si erano ancora presentati i successivi disturbi, prevalentemente fobici, per cui ora non posso più fare a meno di assumere medicinali. Non lo so e non lo saprò mai, ma sospetto che, se mi fossi rivolto non a un medico psichiatra ma ad uno psicologo psicoterapeuta, l'approccio avrebbe potuto essere meno ‘medicalizzante’. Nel frattempo non lavoravo ma non riuscivo neanche a studiare. Ero iscritto alla facoltà di Lettere e filosofia, corso di laurea in Filosofia.
Benché fossi indubbiamente portato per quegli studi, non sostenni che pochi esami, pur rimanendo iscritto per dieci anni. Nel 1989 mi rivolsi per la prima volta al ‘Servizio di salute mentale e assistenza psichiatrica’ (SIMAP), servizio che ha preceduto gli attuali Centri di Salute Mentale (CSM).
Successivamente il SIMAP cui mi ero rivolto si riorganizzò più volte fino a diventare l'attuale CSM dove tuttora sono in cura. In quei primi anni, tuttavia, il SIMAP offriva molto di più di quanto offrono attualmente i CSM: ero seguito da uno psichiatra per il trattamento farmacologico, dal quale ormai ero diventato dipendente, e da uno psicologo per un trattamento psicoterapeutico durato fino al 1997. Attualmente, una psicoterapia individuale di otto anni presso un CSM non è nemmeno pensabile. La psicoterapia presso il SIMAP non fu la prima e non fu l'ultima, ma fu l'unica offerta dal Servizio Sanitario Nazionale. Tutte le altre le cercai nel privato. Per mia fortuna i miei famigliari furono disposti a investire su questi percorsi, anche se con poca convinzione. Non oso pensare a come sarebbe la mia situazione se non lo avessero fatto. Tuttavia, fu durante la psicoterapia al SIMAP, che maturai il desiderio di intraprendere una professione sociale, per mettere la mia sensibilità e le conoscenze che apprendevo progressivamente dai trattamenti psicoterapeutici al servizio di altre persone sofferenti. A tale scopo, nel 1994 conseguii la qualifica di Addetto all'assistenza di base (Aadb), con la quale cominciai a lavorare in alcune comunità, site nella provincia di Bologna o nella Regione, che accoglievano gruppi di lungodegenti dimessi dagli ospedali psichiatrici. Nel 1996 fui assunto per la prima volta con la qualifica di educatore non professionale. L'educatore non professionale era quell'educatore che non era in possesso del relativo titolo, conseguibile, fino ad anni prima, tramite un corso triennale di prima qualificazione oppure tramite un corso di riqualificazione sul lavoro.
Non avevo potuto iscrivermi a un corso di prima qualificazione perché questi corsi professionali erano già finiti da anni, dovendo lasciare progressivamente il posto a percorsi universitari. Fino a poco tempo prima, molti educatori non professionali avevano conseguito il titolo professionale grazie ai corsi di riqualificazione; ma si prevedeva che anche questi corsi non sarebbero più stati attivati. Così, nel 1995, mi ero iscritto al nuovo corso di laurea per Educatore professionale della facoltà di Scienze dell'Educazione, ma, nel 1999, fu attivato ancora un corso di riqualificazione sul lavoro, grazie al quale divenni educatore professionale. Avendo conseguito il titolo per questa via, mi sono laureato nel 2004 con altra qualifica: esperto di ‘Promozione e sviluppo delle risorse umane’. A quel tempo, tuttavia, stavo già progressivamente uscendo dall'esercizio della professione, prevalentemente per motivi di salute. Questa è la situazione in cui si trova, nei primi anni del nuovo secolo, un ultra quarantenne qualificato, che ha dovuto rinunciare alla propria professione per problemi di salute e che si trova, per conseguenza, in difficoltà economiche: è la situazione che trova, negli inserimenti a cura del DSM, le risposte meno adeguate, perché nessun percorso è stato pensato per questo tipo di persona, sia con la vecchia che con la nuova disciplina. O almeno questo mi insegna la mia esperienza.





Considerazioni di Mel Ancony (Mario Mazzocchi)




La vecchia disciplina delle ‘Borse-lavoro’ prevedeva percorsi differenziati in base al grado di finalizzazione o avvicinamento al lavoro:

1. al termine di una Bl ‘finalizzata’ la persona accedeva a un contratto di lavoro;
2. al termine di una Bl ‘formativa’ la persona non veniva assunta, di norma, ma acquisiva utili competenze per la propria futura occupabilità, eventualmente tramite una successiva Bl finalizzata;

3. la Bl ‘osservativa’ era utile a orientare la progettazione di una futura Bl formativa o anche finalizzata;
4. infine, la Bl ‘occupazional’ non dava alcuna prospettiva di assunzione, ma neanche di formazione od orientamento; offriva semmai alla persona la possibilità di occupare parte del proprio tempo in attività produttive, ma con un'aspettativa di efficienza assai modesta e un prevalente interesse al suo benessere psicofisico e ai suoi bisogni relazionali.

La Bl ‘finalizzata’ non era adatta a me, ultra quarantenne qualificato e con formazione universitaria, a causa dell'età; le Bl ‘formativa’ ed ‘osservativa’ non erano adatte per la formazione e l'esperienza già possedute; non lo era in realtà nemmeno la Bl ‘occupazionale’: non solo io ero produttivo ed efficiente ma, in qualche circostanza, ho perfino fatto qualcosa che nessun altro, nel contesto di lavoro dove mi trovavo, sarebbe stato capace di fare. Eppure, salvo rare eccezioni, la Bl ‘occupazionale’ era quanto mi si offriva. Per poter percepire quella modestissima indennità di presenza di € 3,10, allora necessaria come sostegno economico, accettai di svolgere più di una Bl ‘occupazionale’, benché fosse, per i motivi esposti, piuttosto avvilente.
Con la nuova disciplina, le Bl occupazionali vengono sostituite dagli ‘Interventi Socio-Riabilitativi Attivi" (ISRA), mentre quelle formative e quelle osservative vengono sostituite dai Tirocini di Formazione e Orientamento (TIFO). Le Bl finalizzate vengono assorbite da altri percorsi. Per me, divenuto nel frattempo un ultra cinquantenne qualificato, la situazione è perfino peggiorata:

- Rispetto alla Bl occupazionale, l'ISRA è un percorso non meno avvilente, perché esplicitamente previsto per persone che, secondo una determinata scala di valutazione, si collocherebbero in un range di ‘funzionamento’ molto basso e, similmente alle Bl occupazionali, accedono a questi percorsi con finalità di benessere psicofisico e bisogni sociali o relazionali persone dalle quali, per conseguenza, non ci si dovrebbe aspettare molto in termini di produttività o efficienza.

- Nel caso dell'ISRA, l’indennità di presenza corrisposta dall'Ausl scende da € 3,10 all'ora a € 2,80, a condizione di lavorare 5 ore consecutive, sennò scende ulteriormente. Supponiamo, come è nel mio caso, che le ore totali settimanali siano 15; svolgendo 3 mezze giornate da 5 ore, percepisco attualmente 42 €; mentre con la vecchia disciplina avrei percepito € 46,50. Ma non basta. Se volessi, oggi, distribuire le 15 ore previste in più di tre giorni settimanali, percepirei ancora meno di € 42, benché il totale non cambi. Volendo ‘limitare le perdite’, sono anche meno libero di organizzarmi il lavoro.

Fin qui i fatti. Ora esporrò alcune valutazioni che sono personali e non coincidono necessariamente con quelle di altri iscritti all'associazione UmanaMente.
Cosa dovrebbe cambiare?

1. Si dovrebbe prendere atto che:
- oltre ai giovani con prospettive di occupabilità o con bisogno di formazione o orientamento al lavoro;
- oltre alle persone di qualsiasi età che si collocano su un range di ‘funzionamento’ molto basso secondo la citata scala e il cui percorso è prevalentemente finalizzato al benessere psicofisico e ai bisogni relazionali; esistono anche le persone come me, troppo anziane per essere facilmente occupabili, troppo formate ed esperte per aver bisogno di formazione od orientamento al lavoro, ma in grado di essere efficienti e produttive, proprio grazie alla loro formazione ed esperienza: persone portatrici di un bisogno, principalmente di sostegno economico, che non trovava né trova risposte mirate negli inserimenti del DSM, stando alla mia esperienza.

2. La citata ‘indennità di presenza’ dovrebbe essere radicalmente ripensata:
- se una persona segue un percorso più o meno finalizzato al lavoro, trae da tale percorso un beneficio in termini di occupazione a breve termine o di occupabilità futura; a quale titolo, allora, dovrebbe percepire un'indennità, se non perché è in difficoltà economiche?
- se una persona segue un percorso prevalentemente finalizzato al proprio benessere, trae da tale percorso un beneficio in questa direzione; a quale titolo, allora, dovrebbe percepire un'indennità, se non perché è in difficoltà economiche?
L’indennità di presenza, soggetta alla sola condizione di erogare una prestazione in ambito lavorativo, potrebbe essere utilmente sostituita da un’altra indennità soggetta a due condizioni:
- l’erogazione della prestazione in ambito lavorativo;
- le difficoltà economiche.
Cosa cambierebbe?
- Dovendo erogare meno indennità, quelle erogate potrebbero essere meno esigue.
- Questo nuovo tipo di indennità potrebbe assorbire altre forme di sostegno al reddito; chi richiede sussidi economici potrebbe ottenerli accettando di svolgere attività produttive, il che scoraggerebbe atteggiamenti assistenziali, che pure ci sono.
- Quanti non sono in difficoltà economiche potrebbero impegnarsi in esperienze di volontariato, per esempio, anche se non esclusivamente, nelle tante associazioni della salute mentale.

3. C'è infine un altro problema, che mi sembra di difficile soluzione, ma che è necessario evidenziare. Considerato che gli ISRA sarebbero, come si è detto, destinati a persone poco produttive e portatrici di un bisogno psico-socio-relazionale, l'Ausl si convenziona preferibilmente con enti ‘non profit’, come associazioni di volontariato, cooperative sociali o, ancora, Aziende di Servizi alla Persona (ASP), che si suppongono essere, spesso con ragione, contesti più accoglienti rispetto ad aziende ‘profit’. Tuttavia, anche un ente ‘non profit’, per esempio un'ASP, può comportarsi come un ente ‘profit’, o anche peggio. Supponiamo che io svolga un ISRA presso un'ASP che gestisce una casa protetta per anziani e che, su richiesta della stessa ASP, offra compagnia a un residente che dimostra un bisogno relazionale. Il bisogno di quel residente, in realtà, non è solo di compagnia, ma soprattutto di sfogo per tante cose che a suo giudizio non vanno bene nel suo reparto.
In teoria, potrebbe non essere attendibile; ma quando vado a prenderlo o lo riaccompagno in reparto, grazie alla formazione posseduta osservo quanto basta a confermare che le sue lamentele sono fondate. Qualora io volessi, non già esternare osservazioni o critiche, ma anche solo porre delle domande, diritto che non si dovrebbe negare a nessuno, mi devo mordere la lingua: mi è stato detto che "fare domande dà fastidio". Che le mie domande diano fastidio io potrei accettarlo da un'azienda che mi paga: non posso assolutamente accettarlo da un'ASP che si approfitta del mio servizio a costo zero, perché la pur esigua indennità mi viene corrisposta non dall'ASP, bensì dall'AUSL. Neanche l'AUSL dovrebbe accettarlo, ma penso che non possa fare diversamente, perché l'ente con cui si convenziona ha di fatto un maggiore potere: il bisogno dell'AUSL di attivare per i propri assistiti percorsi come gli ISRA supera il bisogno degli enti con cui chiede di convenzionarsi, di accogliere la persona, anche nei casi in cui la persona sia in grado di fornire un apporto effettivamente produttivo.