SALUTE MENTALE E LAVORO
workshop del 31 maggio e del 14 giugno 2013
a cura dell’associazione UmanaMente
Inserimenti lavorativi e DSM-DP - Il superamento delle
borse-lavoro
Voi tutti siete al corrente che questo è un momento di trasformazione.
Fino ad oggi abbiamo utilizzato questo strumento delle borse lavoro e
adesso non possiamo più utilizzarlo. Già dal primo di gennaio non
possiamo più attivare borse lavoro, ce ne sono alcune ancora in atto,
derivanti dalla continuità di percorsi attivati nel 2012. Questi
abbiamo avuto la possibilità di prolungarli fino al 30 giugno, dopo il
30 giugno tutte le borse lavoro che c’erano non esisteranno più.
La borsa lavoro fino ad adesso ha rappresentato un po’ una risposta per
tante situazioni. Come vedremo, da qui in avanti invece si cercherà di
diversificare un pochino le situazioni, cercando delle risposte
diverse, differenziate e più appropriate si spera. Quindi io proponevo
di partire dal quesito che voi avete fatto, appunto: “Quali sono le
tipologie di inserimento lavorativo offerte?”, proprio perché in questo
periodo di cambiamento dobbiamo vedere un po’ quello che ci offre la
situazione attuale. I cambiamenti che stiamo affrontando adesso sono
cambiamenti sui quali ci si sta lavorando già da parecchio tempo, non
solo mesi, bensì anni. Poi ci sono stati degli incontri, dei seminari
delle occasioni di riflessione, non so se qualcuno ha partecipato.
Questi incontri hanno portato a due fascicoli che sono la guida per noi
operatori di questi nuovi cambiamenti che stiamo per affrontare.
Partirei dal leggere il manuale. A pagina 48 viene spiegato perché
siamo dovuti arrivare al superamento delle borse lavoro:
“per l’assenza di una cornice normativa-lavoristica o
contrattuale,
per la sua indefinitezza sul piano delle garanzie sulla sicurezza nei
luoghi di lavoro”.
”Da una parte si è mostrata come strumento flessibile e con forti
caratteristiche adattive nell’incrocio tra contesto lavoro e
competenze/disabilità degli utenti, dall’altra ha alimentato nella sua
applicazione una certa confusione tra ambiti riabilitativi, sanitari,
formativi lavorativi e tra lavoro e non lavoro.”
Questo testo ci dice due cose importanti: uno che la borsa-lavoro non
aveva una cornice giuridico - normativa che con le evoluzioni che ci
sono state in questi anni potesse consentire di andare avanti, così
c’era bisogno di un cambiamento. Era uno strumento ormai superato, non
era più adatto ai giorni nostri. Un secondo motivo è l’aver creato
confusione tra ciò che è lavoro e ciò che non è lavoro. Infatti la
stessa nomenclatura ‘borsa-lavoro’ ha dato a molti l'idea di un vero
lavoro che potesse comprendere contributi, ferie ecc. suscitando in
molti anche una certa confusione.
Per questi e tanti altri motivi si è dovuti arrivare al superamento
delle borse lavoro.
Si è cercato di dare pertanto risposte differenziate secondo i bisogni.
Come dicevo, si voleva fare un rinnovamento tecnico, metodologico,
progettuale per trovare degli strumenti che definissero con chiarezza
quali sono gli ambiti riabilitativi sanitari, formativi, lavorativi, e…
lavoro e non lavoro. I termini chiave per questo rinnovamento, sono
stati i seguenti: il primo è che il progetto terapeutico riabilitativo
dovesse essere personalizzato, individuale, condiviso; un altro aspetto
essenziale è che la persona a cui si fa la proposta è al centro,
considerando soprattutto i suoi specifici bisogni, le sue risorse, le
sue potenzialità, le sue preferenze. Si è fatta una rivoluzione di
metodologia rispetto a ciò che abbiamo utilizzato fino ad adesso, cioè
se fino ad adesso con le borse lavoro si utilizzava un criterio
graduale, nel senso che si partiva dal più semplice per arrivare al più
complesso, per cui, ad esempio, per una persona che esprimeva un
desiderio di fare un’attività lavorativa si partiva con una borsa
lavoro in un contesto protetto per poi eventualmente progredire fino
all’inserimento in contesti che hanno come fine l’assunzione, ad
esempio presso ditte. Ora il discorso si è invertito, infatti se la
persona esprime una motivazione forte, ha competenze e capacità, si può
partire subito con il supporto alla ricerca di un’assunzione in una
ditta, in un contesto di mercato del lavoro competitivo. In questa
direzione è stata introdotta una nuova metodologia, chiamata IPS
(Individual Placement Support), non so se qualcuno di voi l'ha sentita
nominare: area del supporto all'impiego nel mercato del lavoro
competitivo. Questo ha ribaltato l’ottica degli stessi operatori, in
quanto veniamo sollecitati, quando conosciamo una nuova persona che
viene inviata per un percorso lavorativo, a porci, insieme alla
persona, perché la persona è al centro, come ho già detto, la domanda
se si può partire fin da subito nella ricerca di un posto lavorativo in
un contesto competitivo, profit.
Aree di intervento
Possiamo vedere aree di intervento diversificate.
La prima è l’area degli Interventi Sociali Riabilitativi Attivi (ISRA).
Notiamo subito che la parola ‘lavoro’ non c'è, in questo caso parliamo
di un intervento sociale riabilitativo attivo, queste parole fanno da
cornice a quest’area.
Questi interventi sono, in gran parte, i sostituti delle vecchie
borse-lavoro occupazionali.
La seconda è l’area della Formazione e Transizione al Lavoro.
In questa area troviamo:
- Tirocini formativi e di orientamento;
- Inserimento lavorativo per i disabili
- Percorsi per l’utenza con disagio psichico e per le persone con
dipendenza patologica non certificati come disabili.
Poi ci sono i percorsi di formazione professionale, nell’area della
cooperazione sociale (non so se qualcuno di voi ha lavorato in
cooperative sociali) e infine nell’area del mercato del lavoro
competitivo (qui c’è la metodologia a cui prima mi riferivo, chiamata
IPS).
ISRA (interventi sociali riabilitativi attivi)
Iniziamo a parlare in modo specifico dell’ISRA. Prima
c’erano tre
tipi di borse lavoro, quelle occupazionali, osservative e finalizzate.
L’ISRA possiamo dire che grosso modo, sostituisce le vecchie borse
lavoro occupazionali. Vorrei soffermarmi sulle finalità: le finalità
che questo percorso possiede sono quelle di potenziamento delle abilità
e delle competenze per un miglioramento del funzionamento sociale, per
migliorare la qualità della vita e anche delle condizioni cliniche dei
pazienti.
Un aspetto essenziale è lavorare sulla motivazione e sulla possibilità
di scelta. In questo tipo di progetto il lavoro non è l'aspetto
essenziale, può essere propedeutico, anzi si spera lo sia, ma non
centrale. La cosa essenziale come suggerisce il nome, è essere
socialmente attivi in contesti che hanno come scopo la riabilitazione.
Non è assolutamente una condizione di parcheggio. Il percorso che la
persona fa costituisce un percorso flessibile e personalizzato. Per
flessibile cosa intendiamo? Mentre in un contesto lavorativo profit, ci
sono degli orari precisi da rispettare, delle mansioni, dei ruoli,
ovvero una situazione in cui una persona deve dare una prestazione
netta, gli ISRA si prefigurano come situazioni più flessibili alle
esigenze delle persone. Non è la persona che si deve adeguare al mondo
del lavoro, ma è il progetto che prende in considerazione le
caratteristiche della persona per farle una proposta flessibile, adatta
alle sue esigenze. In questo tipo di progetto si sottolinea soprattutto
l’importanza di sviluppare competenze relazionali e il senso di
appartenenza. Per la persona avere un impegno fisso, un orario, una
motivazione è molto utile e le ISRA vengono offerte proprio per queste
motivazioni, per far avere alla persona un impegno costante nel quale
sperimentarsi. È previsto un gettone di presenza su base giornaliera
calcolato su parametri stabiliti su una quota originaria, diversa tra
CSM e SERT. Il carico delle ore di ‘lavoro’ varia in base alla
tipologia di utenti, il massimo comunque è di 34 ore settimanali.
Quali sono le caratteristiche dell'ISRA?
È un percorso che varia, da medio a lungo termine, in base alle
necessità della persona, non come avviene nel caso invece che andremo a
valutare più avanti quando parleremo della seconda area, ossia quella
della formazione e transizione al lavoro. L’ISRA da questo punto di
vista risulta essere uno strumento più flessibile.
Dove può essere fatto un ISRA? In quale contesto?
Gli ISRA possono essere svolti nel settore pubblico, in cooperative
sociali, associazioni di volontariato e altri soggetti che
costituiscono le organizzazioni dell'Economia Sociale (terzo settore),
mentre nelle società, aziende ed enti pubblici e privati profit,
inizialmente non era possibile, poi è stato previsto solo in base a
particolari parametri che garantiscano
l’adeguatezza dei contesti e per un tempo limitato (massimo un anno).
TIFO (Tirocini Formativi e di Orientamento)
La seconda area d'intervento è l'area della formazione
e
transizione al lavoro, che comprende i TIFO (tirocini formativi e di
orientamento). Questi prendono il posto delle vecchie borse-lavoro
osservative e finalizzate. Un elemento fondamentale in questa area
rispetto alle vecchie borse-lavoro, è la cornice legislativa e
giuridica che ora consente a questo strumento di essere più adatto oggi
nel nostro contesto lavorativo. L'aspetto formativo, a differenza della
borsa lavoro, prevede che in fase di attivazione venga fatto un
progetto molto approfondito. C’è un progetto formativo e una
convenzione. La convenzione va ad assolvere gli aspetti più burocratici
e amministrativi, il progetto formativo invece è proprio un modulo che
va compilato insieme all’interessato che farà il tirocinio formativo,
all’azienda ospitante e all’operatore che mette in piedi questo
percorso. È importantissimo in fase di definizione del progetto
formativo individuare le competenze e le capacità da inserire nel
progetto, scegliendole tra quelle previste per quella specifica figura
professionale, nel Sistema Regionale Delle Qualifiche.
Inserimento lavorativo dei disabili
Per quanto riguarda l' integrazione socio-sanitaria e
inserimenti
lavorativi, il punto importante sono i percorsi per l' inserimento
lavorativo dei disabili. Una persona che ritiene di averne i requisiti,
deve fare la richiesta per il riconoscimento dell'invalidità. Se le
viene riconosciuta un'invalidità minima, che deve essere almeno del
46%, può andare al centro dell'impiego e iscriversi agli elenchi per i
disabili. Successivamente la persona deve fare una visita per la
diagnosi funzionale, la quale in base al tipo di invalidità che è stata
riconosciuta, definisce delle limitazioni, le quali regolano i rapporti
tra datore di lavoro e la persona stessa. Ad esempio una persona che ha
problemi di vertigini, non andrà certamente a fare un lavoro in quota,
mentre per un'altra persona che ha difficoltà nel lavorare in un
contesto affollato, si prenderà in considerazione un lavoro che non lo
metta in tale condizione. Questo ci fa capire che siamo tutti diversi
quindi il concetto chiave su cui ruota la legge 68/99 per l’inserimento
dei disabili è quello di un collocamento ‘mirato’, nel senso che ogni
persona ha una situazione specifica, per cui ad una persona che ha
certi tipi di caratteristiche, di abilità può andar bene un certo tipo
di lavoro e non un altro. È l'Ufficio della Provincia ad avere il
compito di incrociare domande e offerte di lavoro in questo senso.
Qual è la procedura di assunzione come invalido tramite
ufficio di collocamento?
La procedura comporta alcuni passaggi. Innanzitutto è necessario
ottenere il riconoscimento dell'invalidità, che deve superare il 46%.
Se alla persona viene riconosciuto un livello di invalidità che supera
il 46% è in seguito possibile procedere, con l'iscrizione presso il
Centro per l'Impiego, al collocamento mirato. È necessario anche fare
la visita per la diagnosi funzionale, che viene effettuata a Bologna,
in via Gramsci. Per prenotare la visita è necessario rivolgersi a un
Patronato. Dopo di che si risulta iscritti alla lista di collocamento.
Questo vale anche per i disabili psichici, i quali tuttavia non possono
accedere alle aste e al collocamento numerico ma solo al collocamento
mirato.
Come si arriva a proporre i percorsi e quali criteri
sono utilizzati per decidere il percorso (ISRA, TIFO…) ?
Per quanto riguarda la metodologia usata, è importante fare riferimento
al Manuale operativo sul sistema degli interventi sociali riabilitativi
attivi, formativi e lavorativi, sviluppato dalla riflessione degli
ultimi anni nel DSMDP di Bologna sui temi della salute mentale e del
lavoro. Nel manuale si afferma che il progetto terapeutico
riabilitativo personalizzato deve essere individuale e centrato sulla
persona e sui suoi bisogni piuttosto che sull'offerta dei servizi,
centrato sulle abilità, condiviso e concordato con utenti, familiari e
altre agenzie sociali del territorio. Le parole chiave sono quindi
persona, condivisione, concordare. In quest'ottica il colloquio
iniziale riveste una grande importanza. Esso è teso a creare il massimo
di intesa tra operatore e persona interessata.
Come avviene il colloquio iniziale?
Quando l'équipe curante rileva un bisogno della persona in merito
all'aspetto lavorativo, invia a un educatore o a un assistente sociale
che si occuperà di questo; svolgerà quindi almeno due colloqui di
conoscenza e riporterà le osservazioni all'équipe multidisciplinare e a
seguito delle richieste, delle aspettative e delle motivazioni
dell'interessato si deciderà il percorso da proporre.
Che cos'è l'IPS (Individual Placement and Support)?
Con l'IPS si effettua la ricerca del lavoro nel mercato competitivo.
L'IPS rappresenta un nuovo strumento la cui metodologia è stata mutuata
da esperienze negli Stati Uniti. I criteri minimi di inclusione nel
progetto sono: essere disoccupato o inoccupato, effettuare una
richiesta esplicita di impiego, avere una forte motivazione. Non è
motivo di esclusione avere una diagnosi grave. L’importante è che
l’utente sia stabilizzato al momento dell’invio. La motivazione è
l'aspetto centrale, in quanto consente di affrontare lo stress connesso
alla ricerca del lavoro. L'IPS è una forma di accesso all'impiego senza
programmi di formazione e transizione, in base alle attuali condizioni
della persona, al suo grado di occupabilità attuale. Comprende un
sostegno individualizzato in diverse fasi, il supporto nella ricerca,
lo sviluppo e la sperimentazione di proprie capacità e conoscenze per
affrontare la ricerca del lavoro, per migliorare l'autonomia,
l'autostima, il senso di efficacia personale al fine di operare scelte
e sperimentarsi in contesti reali ed integrati. l'IPS è già attivo in
alcuni CSM mentre in altri ancora no, in quanto si sta provvedendo a
inserire gli operatori IPS formati specificamente per questo ruolo.
Quando è ‘giusto’ un inserimento lavorativo? Quando è
pronta una persona per affrontare tale impegno?
L'IPS è sostanzialmente un aiuto nella ricerca di un lavoro. Prima si
deve capire a che livello è la persona e insieme a lei valutare se è in
grado di affrontare un lavoro. La malattia mentale è un percorso in
evoluzione, per cui i vari strumenti (TIFO, ISRA, IPS, FORMAZIONE...)
sono da prendere in considerazione in base ad una valutazione e ad un
progetto individualizzato che nel tempo evolve e quindi si modifica.
Dott. Paolo Grossi
(educatore professionale DSM-DP Bologna)
Inserimenti lavorativi DSM-DP – La legge 381/91, l’IPS
L’area della cooperazione sociale
La cooperazione sociale nasce grazie alla legge 381/91.
Essa prevede la
possibilità di costituire cooperative sociali, che hanno l'obiettivo di
favorire e operare per l'inserimento lavorativo di persone
svantaggiate, in situazioni protette rispetto ai contesti del mercato
del lavoro competitivo. Sul mercato del lavoro ci sono tante
cooperative, ma queste nascono proprio per questo specifico obiettivo.
Le legge prevede che la cooperativa, perché sia sociale e possa avere
sgravi fiscali, deve avere al suo interno un numero di soci o
dipendenti con svantaggio pari ai due terzi del totale.
Cosa intendiamo per svantaggio?
Il concetto di svantaggio è molto ampio: la persona svantaggiata si
trova in condizione di difficoltà e non riesce a collocarsi nel normale
mercato dal lavoro, è seguita dai servizi oppure sta facendo un
percorso carcerario o è appena uscita dal carcere, oppure è in carico
ai servizi per le tossicodipendenze o in carico ai servizi sociali
dell'ente locale per grave disagio di altro tipo. Lo svantaggio può
essere l'insieme di situazioni particolari, date da circostanze del
contesto ambientale o da difficoltà di tipo personale in un dato
momento. Lo svantaggio non è lo stesso nel corso della vita e può
evolvere, si può chiaramente affrontare e risolvere, avendo un
miglioramento nella qualità della vita che è proprio l'obiettivo delle
cooperative sociali. Se una cooperativa accoglie al suo interno un
socio lavoratore o dipendente svantaggiato, l'onere che dovrebbe
sostenere per i contributi viene sostenuto dallo Stato. Avendo meno
oneri la cooperativa può avere più soci o dipendenti e nello stesso
tempo il vantaggio è dato dal fatto che possono esserci posti di lavoro
per persone in situazione di difficoltà. Le cooperative sociali, come
le aziende del mercato competitivo, vanno alla ricerca di commesse
lavorative, negli ambiti più disparati: pulizie, giardinaggio,
fotovoltaico, inserimento dati, gestione di aspetti amministrativi per
conto terzi…
Come le altre aziende hanno un loro bilancio, quindi devono avere
entrate e uscite per poter rimanere nel mercato del lavoro. Nella
cooperazione sociale, diversamente dalle aziende del mondo del lavoro
competitivo, l'inserimento lavorativo è mirato e adeguato alle capacità
lavorative e alle attitudini dei lavoratori. Non si chiede una
prestazione maggiore delle possibilità della persona. L'inserimento è
mirato, in situazione di protezione e nell'ambito di un progetto. Nel
mercato del lavoro competitivo invece si deve essere adeguati a ciò che
viene richiesto. La cooperazione sociale si configura come una
palestra, un percorso intermedio tra una situazione di tirocinio
formativo e una situazione di lavoro nel mercato tradizionale.
Infatti nella cooperazione sociale ci si esercita, si fa un rodaggio,
si acquisiscono competenze che possono essere spese in situazioni
diverse. È un aiuto nel percorso di crescita professionale. Tutto viene
calibrato sulle singole situazioni, è quindi possibile effettuare
interventi personalizzati mirati alle esigenze, alle autonomie, alle
abilità di una persona e quindi vi possono essere situazione lavorative
molto protette o meno protette. Per il progetto di inserimento
lavorativo si lavora in squadra, vi è un'équipe multidisciplinare dove
l'assistente sociale e l'educatore lavorano insieme nell'attivazione
dei percorsi. Vi è poi un caposquadra che coordina le attività
lavorative e segue la persona, offre orientamento, supporto e un punto
di riferimento.
IPS (Individual Placement and Support)
L'altra area che si sta sperimentando è quella
dell'IPS. Si tratta
di interventi che supportano la persona nella ricerca attiva del
lavoro, nel mondo del lavoro competitivo. Questo tipo di percorso è
stato sperimentato negli Stati Uniti D'America dove ha avuto un
riscontro molto positivo ed è poi approdato in Europa e anche in
Italia. Nella nostra regione si sta sperimentando dal 2011, il primo
progetto sperimentale è partito nell'azienda USL di Rimini. Dopo la
prima sperimentazione, gradualmente è arrivato anche nell'azienda USL
di Bologna. Essendo un progetto sperimentale per ora è attivo solo in
alcuni CSM: a Zanolini, Scalo, Nani, Mazzacorati e a S. Giorgio di
Piano per la provincia. Dalla prossima settimana la sperimentazione
inizierà anche nel CSM di Budrio.
Come funziona l'IPS?
Ci si avvale della collaborazione di operatori appositamente formati
per questo tipo di percorso e che l'azienda USL ha in convenzione con
l'ENAIP, ente di formazione di Rimini. Questi operatori collaborano
strettamente con gli operatori dei servizi che conoscono la persona e
quindi è un percorso che si realizza nella massima integrazione con gli
operatori di riferimento della persona. È un percorso decisamente meno
protetto rispetto alle altre tipologie di inserimento lavorativo, in
quanto supporta la persona a essere attiva nella ricerca del lavoro.
L'operatore IPS è formato per dare alla persona tutti gli strumenti per
potere cercare lavoro autonomamente nel mercato del lavoro competitivo,
attraverso i canali e le risorse disponibili. Non ci si ferma alla
classica consultazione delle offerte dell'Ufficio di Collocamento.
Per ogni persona bisogna sempre valutare i pro e i contro delle varie
tipologie di inserimento lavorativo. È importante avere chiari i
percorsi che si possono attivare valutando i pro e i contro e anche
sperimentare. Per quanto riguarda i centri per l'impiego, che
costituiscono una parte dell'area di ricerca sul mercato del lavoro
competitivo, vi è stata una riforma, per cui il centro per l'impiego ha
una funzione molto più limitata rispetto al passato. Ci si iscrive, si
fa un primo colloquio di presa in carico, si danno tutte le
disponibilità, si dice il lavoro che si vorrebbe fare, ma il centro per
l'impiego si limita a dare il nome della persona all'azienda che
dovesse richiedere una figura simile. In precedenza invece il centro
per l'impiego era più attivo nella ricerca delle aziende e aveva più
rapporti con le aziende, ora è molto più limitato. Il centro per
l'impiego è solo una parte di ciò che si va a verificare, perché vi è
anche tutta l'area delle agenzie interinali, la ricerca sui portali
dedicati al lavoro su internet, dove c'è anche la possibilità di
rendersi disponibili alle aziende. Un'altra cosa che può creare
difficoltà e per cui l'operatore IPS offre supporto è come costruire il
proprio curriculum professionale, e dove portarlo. È la persona stessa
che deve fare le attività consigliate, ma viene aiutata.
L'accompagnamento non è di tipo fisico. È un accompagnamento che deve
dare gli strumenti per poter fare in autonomia questo tipo di ricerca
presso Centri per l'Impiego, CIOP (Centri di Informazione e
Orientamento Professionale), agenzie interinali, siti internet. Si può
anche effettuare insieme all'operatore IPS un'analisi su quale percorso
lavorativo sia meglio orientarsi o se può essere opportuno in quel
momento cercare una situazione di riqualificazione professionale,
quindi cercare corsi di orientamento professionale che possano dare
qualche possibilità lavorativa in più, oppure vedere se nel bagaglio
formativo mancano supporti utili, per esempio un corso di utilizzo del
computer, oppure valutare se può essere opportuno riconvertirsi in
altre situazioni lavorative più spendibili rispetto a impieghi svolti
in passato. Oppure la persona può avere interessi e abilità che ha
sempre solo coltivato come hobby ma che possono essere spendibili nel
mercato del lavoro e viene supportata in questo dall'operatore IPS.
L'operatore IPS può inoltre offrire consigli su come affrontare un
colloquio di lavoro e simulare un colloquio con il datore di lavoro.
Attualmente ci sono persone che si sono formate o si stanno formando
per essere operatori IPS, ma presso i CSM si è sempre cercato di
fornire supporto alle persone per la ricerca del lavoro. L'IPS
rappresenta una situazione più strutturata, con operatori appositamente
formati, ed è anche meno connotata, nel senso che l'operatore IPS può
per esempio accompagnare la persona dal datore di lavoro senza doversi
presentare come l'operatore del servizio.
Inoltre non vi è la connotazione ambientale e strutturale del servizio,
ci si può incontrare con l'operatore IPS anche al di fuori della
struttura, è una situazione più libera e di apertura.
È possibile il passaggio da una tipologia di inserimento
lavoro ad un’altra?
Assolutamente sì, è possibile e auspicabile, noi lo vediamo anche nel
nostro lavoro, nel quotidiano delle esperienze di persone che fanno un
percorso che può essere appunto di passaggio da vari livelli di
protezione fino ad entrare nel vero e proprio mercato del lavoro.
Quello che deve servire a tranquillizzare è che in questo tipo di
passaggio la persona non è sola, ma è supportata nelle sue difficoltà,
ansie e preoccupazioni dal Servizio. È un percorso che si può fare
anche con paure e preoccupazioni, perché nel momento in cui si va un
po’ avanti possono nascere delle situazioni che danno ansia, però il
servizio deve servire proprio a questo: a mediare, supportare e ad
aiutare. Il servizio deve dire: “cerchiamo di superare assieme le
difficoltà, mediando, aiutando, supportando”. Ci sono poi delle persone
che seguiamo che stanno lavorando, che hanno già un lavoro. Il fatto
che una persona abbia un vero lavoro, con l' assunzione vera e propria,
non significa che non possa avere momenti di crisi e di tristezza, in
questo caso il servizio è pronto anche per loro.
La persona deve sapere che non è sola. Ogni percorso deve essere
calibrato e mirato alle singole situazioni, alla storia della persona,
al bagaglio di esperienze che viene portato in un percorso evolutivo
con tempi che sono necessari e che sono diversi da persona a persona.
Parliamo adesso di un argomento importante per tutti, la retribuzione.
Avrete già visto con Paolo che per il tirocinio formativo la quota
oraria giornaliera rimane di € 3,10, invece nei percorsi ISRA c'è una
tabella dove vengono indicate delle quote forfettarie giornaliere a
seconda delle ore che vengono lavorate. Uno dei motivi per cui si è
voluto andare al superamento del concetto di borsa-lavoro, è perché
nelle parole ‘borsa-lavoro’ c'è una confusione tra lavoro e non lavoro:
il problema dei contributi, delle ferie, creava una sorta di ambiguità
nelle persone.
Il fatto di avere degli strumenti chiari e il più possibile specifici
rispetto anche a quelli che sono gi obiettivi delle ISRA e dei TIFO,
dovrebbe appunto permettere di eliminare tale ambiguità. Non c'è una
retribuzione lavorativa, ma c'è una sorta di indennità economica, un
riconoscimento che viene dato alla persona per l’impegno che porta
verso ciò che fa. Per quanto riguarda l’ISRA, è un percorso
riabilitativo attivo molto mirato a quelli che sono i bisogni della
persona, della singola persona, perché il mio percorso riabilitativo è
diverso dal tuo. Quindi, se per me l'ISRA è importante che sia in un
luogo dove io sono insieme agli altri, e non mi si richiedono
particolari abilità, questo è il mio ISRA. Per altri invece l'ISRA è
iniziare a sperimentare un impiego che li porterà man mano a sviluppare
un bisogno sempre minore di contesti protetti. Per questi, questo è il
loro ISRA. Mentre, i TIFO, tirocini formativi, servono ad avviare la
persona nel mondo del lavoro. Questo strumento è assolutamente mirato
alla sperimentazione sul campo: la persona si sperimenta con un livello
di protezione medio basso, per sperimentare tempi, ritmi del lavoro,
contesto lavorativo, acquisire capacità relazionali. Il TIFO prevede un
progetto che ha anche una valenza formativa, 3,10 € è la cifra che
ormai da anni era prevista e che rimane. Invece per gli ISRA si è fatto
un discorso più forfettario. Nel calcolo della quota forfettaria
giornaliera degli ISRA non c'è poi tanta differenza dai 3,10 € previsti
per i tirocini formativi, in quanto la quota dipende dalle ore che
svolgi in ISRA. La differenza essenziale sta nell'obiettivo che ci si
dà, i TIFO sono condizioni più evolutive, orientate al lavoro vero e
proprio. Il passaggio dall'ISRA ai TIFO, può sempre avvenire, non ci
sono limiti o determinate qualifiche che una persona deve avere per
compiere tale passaggio. È assolutamente possibile passare dalle ISRA e
i TIFO, ma può anche accadere il contrario, una persona può sentire l'
esigenza di tornare indietro. Ci sono inoltre casi in cui invece una
persona ha già un livello di abilità molto evoluto, è istruita, ha già
esperienze pregresse di lavori importanti, da un giorno all'altro si
ritrova dopo un periodo di sofferenza a doversi accontentare di
lavoretti. Sono esperienze anche queste che vanno valutate e comprese.
Il dipartimento come risponde a queste situazioni? Quali
strumenti utilizza?
Ci stiamo rendendo conto nella realtà professionale che c'è una diversa
tipologia di utenza rispetto al passato e che necessita di risposte
differenziate e mirate, quindi se nel passato ci si orientava a
integrare le persone con più abilità soprattutto nella cooperazione
sociale, oggi si cercano risposte mirate e diversificate. Sicuramente
lo strumento dell'IPS, è molto utile per le persone con più capacità e
con esperienze lavorative più importanti, però ci può essere anche la
possibilità di partire con dei tirocini formativi. È molto importante
essere pronti come operatori ad aprire più strade e più possibilità,
perché ci rendiamo conto che l'utenza che arriva da noi è sempre più
diversificata.
Dott. Claudia Cuscini
(assistente sociale presso il CSM)
L’esperienza della “borsa lavoro”: storie di vita
L.
Attualmente svolgo una borsa lavoro a Psicoradio. L’ho
iniziata nel maggio del 2012. Psicoradio è un progetto finanziato dal
DSM e da Arte e Salute Onlus, nato sette anni fa. Per entrare ho fatto
un colloquio selettivo e conoscitivo a livello personale e
professionale, con la direttrice e il gruppo direttivo. Ho conosciuto
questo progetto tramite un'educatrice del DSM che mi aveva consigliato
Psicoradio in quanto vi era un rinnovo automatico del progetto,
diversamente da altre borse lavoro che duravano solo sei mesi.
Percepisco € 3,10 all'ora e lavoro dal lunedì al mercoledì dalle 14
alle 18 e ho anche il rimborso delle spese di viaggio. Questa proposta
di borsa lavoro non è finalizzata all'assunzione, ma si può rinnovare.
Le borse lavoro precedenti invece erano state vissute come finalizzate
a un'assunzione che non si è poi realizzata. A Psicoradio mi trovo bene
e mi piacciono le attività che svolgo: ho anche parlato alla radio, uso
un software per la modifica dell'audio e partecipo alle riunioni. Ci
sono anche due educatrici che mi assistono per eventuali problematiche
nel caso insorgano all'interno di Psicoradio. Studiavo Medicina
all'Università di Modena, ero in pari con gli esami, avevo già dato
quattordici esami in tre anni. Ho poi avuto una crisi e un conseguente
blocco mentale. Avevo eliminato tutte le attività per studiare e mi
sono chiuso in casa per un anno. Nel 2003 sono peggiorato e ho avuto
una crisi psicotica in seguito alla quale ho iniziato ad essere seguito
dai servizi di salute mentale. Nel 2004 ho iniziato la mia prima borsa
lavoro, alla Cooperativa Sociale Valle del Lavoro, fondata da mio
padre. La borsa lavoro sfociò in un'assunzione, ma dovetti abbandonare
per problemi insorti precedentemente tra i miei genitori. Nello stesso
anno ho subito un TSO e sono stato ricoverato all’Ottonello in seguito
ad una incomprensione lavorativa presso la cooperativa.
Nel 2008 ho iniziato , tramite il DSM, la seconda borsa lavoro
all'Ital-Legno di Casalecchio, dove facevo il falegname. È durata sei
mesi, lavoravo dal lunedì al giovedì, quattro ore la mattina. Lì sono
stato inserito senza corsi di formazione.
Nel 2009 ho svolto una nuova borsa lavoro presso Gamberini e figli, in
una vendita all'ingrosso alimentare. A quel punto per me era diventato
importante lavorare.
Quando studiavo aveva un'altra concezione del lavoro, lo vedevo come
una prospettiva lontana, data la lunghezza del mio percorso di studi.
Dopo la crisi invece è diventato importate impegnarmi in un'attività.
O.
Ho svolto la mia prima borsa lavoro presso il CEFAL a Rastignano, per
un paio di mesi, nel 2002-2003. Me l'avevano proposta mentre ero in
comunità a Gaibola. Attualmente svolgo una borsa lavoro presso
un'azienda dove assemblo cassette postali e mi trovo bene. Prima di
iniziare le borse lavoro ho fatto diverse cose nella vita. Dopo la
maturità scientifica ho iniziato subito a lavorare come muratore
insieme a mio padre, per un anno. In seguito, ho lavorato per sedici
anni alla Segafredo Zanetti come factotum: a seconda delle necessità
lavoravo in ufficio, in magazzino, o in produzione, confezionando il
caffè. Quando mi sono ammalato avevo ventisette – ventotto anni. Ho
avuto problemi di alcolismo e in seguito ho iniziato ad assumere
psicofarmaci. In quel periodo non sono mai stato ricoverato. Alla fine
degli anni 90, a trentaquattro anni, sono peggiorato e ho iniziato ad
avere delle crisi psicotiche.
Nel 1997 sono stato ricoverato alla casa di cura Ai Colli per un mese.
In quel periodo lavoravo ancora alla Segafredo Zanetti. Poi a trentotto
anni, nel 2001, mi sono licenziato e sono iniziati i ricoveri: ho fatto
un anno a Villa Azzurra a Riolo Terme e poi sono stato in comunità a
Gaibola. In seguito sono andato a Casa Mantovani per sei anni,
successivamente in un gruppo appartamento protetto, dove anche adesso
vivo.
Fabrjx
Adesso ho una borsa lavoro come guardia sala in un museo. La mia prima
esperienza di borsa lavoro è stata in una ditta di Cadriano, come
centralinista. Per me l'esordio è avvenuto dieci anni fa, all'età di
trentasette anni, quindi nel 2003. Da quel momento è iniziata una
vicenda di vari ricoveri ospedalieri, sempre a Villa Colli, chiedevo di
essere mandato in quanto mi piaceva. Da ragazzo ho studiato come
dirigente di comunità ma non sono riuscito a ottenere la maturità. Dopo
le scuole medie ho iniziato a lavorare subito in uno studio come
odontotecnico, avevo quindici anni. Ho fatto anche il militare e in
seguito ho frequentato le scuole serali, al Villaggio del Fanciullo. Ho
provato poi a iscrivermi in un istituto privato per ottenere la
maturità come dirigente di comunità e fino a venticinque anni ho
lavorato come odontotecnico. Poi mi sono licenziato e ho lavorato per
cinque anni in una casa di riposo. All'epoca infatti non era
obbligatorio avere un titolo di studio per fare l'operatore socio
sanitario. Il proprietario era un pensionato che gestiva la casa di
riposo come se fosse un albergo.
Gli ospiti erano tutti intorno ai novant’anni. Poi sono dovuto venire
via perché hanno chiuso, era il 1998, uno dei soci si era ritirato. Ci
rimasi molto male perché persi il lavoro. Poco dopo aprii un'edicola
insieme a mio fratello in fondo a via Irnerio, a porta S. Donato. In
quel periodo prendevo già i farmaci. I problemi infatti erano iniziati
dopo il licenziamento dalla casa di riposo, avevo ansia e attacchi di
panico. Così mi consigliarono di andare da un assistente sociale che mi
avrebbe anche aiutato a trovare lavoro. Sono stato poi seguito da uno
psicologo al CSM Tiarini e dopo avere valutato la mia situazione mi
hanno dato la pensione per invalidità all'80%, prendo 700 € al mese. La
mia diagnosi è di schizofrenia e disturbo di personalità. Il mio
periodo di crisi è stato dal 1998 al 2003.
Poi ho avuto una ripresa anche grazie alla borsa lavoro che svolto
anche adesso alla Collezione Comunale d'Arte Antica.
Devo dire che anche il lavoro all'edicola mi ha aiutato molto e tuttora
mi sta aiutando, per il contatto con le persone, lo scambio di qualche
parola e di qualche sorriso. Adesso mi rimane il desiderio di prendere
la maturità, un giorno.
S.
Per me le borse lavoro sono state utili per avere una formazione e
tenere un ritmo congruo per affrontare un lavoro vero.
Ho svolto due borse lavoro fino ad oggi, poi la responsabile del CSM
Scalo mi ha proposto di mettermi alla ricerca di un vero lavoro e ora
faccio telemarketing per raccolta fondi presso un'associazione che si
occupa di disabili e anziani. Io mi sento di incoraggiare percorsi di
borsa lavoro e di formazione per chi ha avuto problemi, perché aiutano
a recuperare abilità, competenze e un ritmo lavorativo che la malattia
va ad intaccare. Poi chi si sente pronto può andare parlare con tutor
ed educatori per cercare un lavoro vero. Per quanto riguarda la
valutazione durante le borse lavoro, sono state le persone che
lavoravano con me a riportare le osservazioni ai responsabili, per
esempio sul fatto che stavo diventando più sciolta nelle mansioni. Come
formazione ho una laurea in Economia e Gestione delle Imprese. Sono
originaria di Foggia, infatti ho preso la maturità in un istituto
Tecnico Commerciale. Poi mi sono iscritta a Giurisprudenza a Bari.
Purtroppo feci solo il primo esame perché non mi piaceva la facoltà. Ho
perso tre anni frequentando le lezioni senza dare esami. Poi ho deciso
che dovevo cambiare e mi sono trasferita a Bologna per fare il DAMS.
Però anche lì persi due anni perché studiavo ma non andai agli esami
per la troppa paura. Il DAMS era diverso da quello che pensavo, poco
artistico e poco partecipativo, era molto letterario. Allora lasciai e
mi iscrissi a Economia, mi trovai bene e riuscii a laurearmi impiegando
sei anni. Nel frattempo, lavoravo come centralinista, nel
telemarketing. È un lavoro che mi piace perché parlo con la gente, sono
timida ma al telefono mi imbarazzo di meno e uso strategie per
convincere le persone per esempio ad accettare un appuntamento con un
consulente.
La crisi è arrivata circa due anni e mezzo fa, non mi ricordo
precisamente quando. Mi sono laureata nel 2009 e ho avuto una crisi
l'anno dopo. Stavo cercando lavoro come tutti i neolaureati e sono
andata in crisi perché non trovavo un lavoro adatto per il mio titolo
di studio. Trovai solo un'attività di telemarketing, lavoro che avevo
tante volte svolto anche in passato. Quella volta però durò solo un
mese, perché non mi sono trovata bene e stavo male. Avevo già
trentacinque anni ma le aziende volevano solo persone giovani da
addestrare o con almeno cinque anni di esperienza. Allora ho iniziato
ad avere delle paranoie, dicendomi che avevo sbagliato tutto e che
avevo perso tempo. La crisi si è manifestata anche con manie di
persecuzione e con voci che mi rimproveravano e mi offendevano. In quel
periodo non mangiavo e non dormivo.
Se ne accorsero i miei vicini. Mi chiedevano come stavo e mi invitavano
a casa. Durante un pranzo con loro iniziai a sentirmi male e chiamarono
i miei genitori. Sono stata ricoverata per due mesi a Villa Baruzziana,
mi piacevano il medico e la mia compagna di stanza, mi sono trovata
molto bene, uscii rinnovata. Mi affidarono al CSM Scalo dove iniziai
colloqui con la psichiatra e poi anche con una psicologa. Fu la
psichiatra a propormi una borsa lavoro. Me l'ha presentata come
un'attività dove avrei svolto dei compiti e in cui venivo seguita. Mi
ha spiegato che non era un vero e proprio lavoro, me l'ha proposta in
modo semplice, come un inizio per rientrare nel mondo del lavoro. Mi
aveva fatto capire che sarei stata pagata poco ma a me interessava
rientrare nel ritmo. L’assistente sociale mi propose allora un'attività
di segretariato in un'agenzia di assicurazione, andò molto bene tanto
che mi proposero anche di restare oltre il periodo della borsa lavoro,
ma gratis e io rifiutai perché mi sembrava eccessivo. Allora con
l’assistente sociale decidemmo di cambiare e scelsi l’ufficio di un
ospedale, dove cercavano una stagista. Sono stata lì due anni con
colleghe squisite che mi aiutavano e mi spiegavano tutto, anche il capo
era disponibile e tranquillo. Facevo segretariato, stavo al computer e
preparavo ordini di acquisto per il materiale che serviva all'ospedale.
Poi il grande passo: con l’aiuto sempre dell’assistente sociale ho
cercato un lavoro con un contratto, al di fuori del lavoro protetto.
Grazie a lei e alla mia esperienza nel telemarketing, sono riuscita a
trovare lavoro in un'associazione che si occupa di disabili. Ho un
contratto fino a dicembre, non guadagno tanto ma mi piace e mi stimola.
Lavoro quattro ore e mezza di mattina, dal lunedì al venerdì. Ho fatto
un periodo di prova a febbraio di quest'anno e ora ho un contratto vero
da maggio. Da poco lavoro anche per l'Associazione UmanaMente
nell'ambito di un progetto di comunicazione e vengo pagata tramite
voucher.
Mel Ancony (Mario Mazzocchi)
Nel 1981 conseguivo, al termine di un triennio piuttosto travagliato,
la mia maturità scientifica. Ero un giovane estremamente insicuro e con
autostima molto bassa, ma fino ad allora non sospettavo di soffrire di
disturbi o disagi psichici.
Fu una delle mie sorelle a consigliarmi di consultare qualche
specialista di salute mentale, perché lei stessa lo faceva e sembra che
ciò le fosse utile. Considerato che, dopo la fine del liceo, mi trovavo
nella difficile situazione di chi non sa cosa fare della sua vita
perché ha paura di pensare al proprio futuro, consultai effettivamente
uno specialista privato nel 1983: lì comincia la mia ormai trentennale
carriera di ‘vecchio animale psichiatrico’, come sono solito definirmi.
Non so né saprò mai se è stata una buona scelta. Di certo fui subito
sottoposto a due trattamenti: uno farmacologico e uno psicoterapeutico.
Sono convinto, come spesso e in varie sedi mi trovo a sostenere, che un
buon trattamento psicoterapeutico costituisce la cura migliore di un
disturbo psichico, perché aiuta ad elaborare e comprendere i propri
conflitti o traumi e tutte quelle dinamiche psichiche interne o
interpersonali che possono essere alla base di un disturbo. Altrettanto
spesso mi trovo a dire, al contrario, che un trattamento farmacologico
non costituisce la cura del disturbo psichico, escluse le acuzie e i
casi di disturbi importanti. Avrei preferito fare a meno del
trattamento farmacologico, considerato che allora non si erano ancora
presentati i successivi disturbi, prevalentemente fobici, per cui ora
non posso più fare a meno di assumere medicinali. Non lo so e non lo
saprò mai, ma sospetto che, se mi fossi rivolto non a un medico
psichiatra ma ad uno psicologo psicoterapeuta, l'approccio avrebbe
potuto essere meno ‘medicalizzante’. Nel frattempo non lavoravo ma non
riuscivo neanche a studiare. Ero iscritto alla facoltà di Lettere e
filosofia, corso di laurea in Filosofia.
Benché fossi indubbiamente portato per quegli studi, non sostenni che
pochi esami, pur rimanendo iscritto per dieci anni. Nel 1989 mi rivolsi
per la prima volta al ‘Servizio di salute mentale e assistenza
psichiatrica’ (SIMAP), servizio che ha preceduto gli attuali Centri di
Salute Mentale (CSM).
Successivamente il SIMAP cui mi ero rivolto si riorganizzò più volte
fino a diventare l'attuale CSM dove tuttora sono in cura. In quei primi
anni, tuttavia, il SIMAP offriva molto di più di quanto offrono
attualmente i CSM: ero seguito da uno psichiatra per il trattamento
farmacologico, dal quale ormai ero diventato dipendente, e da uno
psicologo per un trattamento psicoterapeutico durato fino al 1997.
Attualmente, una psicoterapia individuale di otto anni presso un CSM
non è nemmeno pensabile. La psicoterapia presso il SIMAP non fu la
prima e non fu l'ultima, ma fu l'unica offerta dal Servizio Sanitario
Nazionale. Tutte le altre le cercai nel privato. Per mia fortuna i miei
famigliari furono disposti a investire su questi percorsi, anche se con
poca convinzione. Non oso pensare a come sarebbe la mia situazione se
non lo avessero fatto. Tuttavia, fu durante la psicoterapia al SIMAP,
che maturai il desiderio di intraprendere una professione sociale, per
mettere la mia sensibilità e le conoscenze che apprendevo
progressivamente dai trattamenti psicoterapeutici al servizio di altre
persone sofferenti. A tale scopo, nel 1994 conseguii la qualifica di
Addetto all'assistenza di base (Aadb), con la quale cominciai a
lavorare in alcune comunità, site nella provincia di Bologna o nella
Regione, che accoglievano gruppi di lungodegenti dimessi dagli ospedali
psichiatrici. Nel 1996 fui assunto per la prima volta con la qualifica
di educatore non professionale. L'educatore non professionale era
quell'educatore che non era in possesso del relativo titolo,
conseguibile, fino ad anni prima, tramite un corso triennale di prima
qualificazione oppure tramite un corso di riqualificazione sul lavoro.
Non avevo potuto iscrivermi a un corso di prima qualificazione perché
questi corsi professionali erano già finiti da anni, dovendo lasciare
progressivamente il posto a percorsi universitari. Fino a poco tempo
prima, molti educatori non professionali avevano conseguito il titolo
professionale grazie ai corsi di riqualificazione; ma si prevedeva che
anche questi corsi non sarebbero più stati attivati. Così, nel 1995, mi
ero iscritto al nuovo corso di laurea per Educatore professionale della
facoltà di Scienze dell'Educazione, ma, nel 1999, fu attivato ancora un
corso di riqualificazione sul lavoro, grazie al quale divenni educatore
professionale. Avendo conseguito il titolo per questa via, mi sono
laureato nel 2004 con altra qualifica: esperto di ‘Promozione e
sviluppo delle risorse umane’. A quel tempo, tuttavia, stavo già
progressivamente
uscendo dall'esercizio della professione, prevalentemente per motivi di
salute. Questa è la situazione in cui si trova, nei primi anni del
nuovo secolo, un ultra quarantenne qualificato, che ha dovuto
rinunciare alla propria professione per problemi di salute e che si
trova, per conseguenza, in difficoltà economiche: è la situazione che
trova, negli inserimenti a cura del DSM, le risposte meno adeguate,
perché nessun percorso è stato pensato per questo tipo di persona, sia
con la vecchia che con la nuova disciplina. O almeno questo mi insegna
la mia esperienza.
Considerazioni di Mel Ancony (Mario Mazzocchi)
La
vecchia disciplina delle ‘Borse-lavoro’ prevedeva percorsi
differenziati in base al grado di finalizzazione o avvicinamento al
lavoro:
1. al termine di una Bl ‘finalizzata’ la persona accedeva a un
contratto di lavoro;
2. al termine di una Bl ‘formativa’ la persona non veniva assunta, di
norma, ma acquisiva utili competenze per la propria futura
occupabilità, eventualmente tramite una successiva Bl finalizzata;
3. la Bl ‘osservativa’ era utile a orientare la progettazione di una
futura Bl formativa o anche finalizzata;
4. infine, la Bl ‘occupazional’ non dava alcuna prospettiva di
assunzione, ma neanche di formazione od orientamento; offriva semmai
alla persona la possibilità di occupare parte del proprio tempo in
attività produttive, ma con un'aspettativa di efficienza assai modesta
e un prevalente interesse al suo benessere psicofisico e ai suoi
bisogni relazionali.
La Bl ‘finalizzata’ non era adatta a me, ultra quarantenne qualificato
e con formazione universitaria, a causa dell'età; le Bl ‘formativa’ ed
‘osservativa’ non erano adatte per la formazione e l'esperienza già
possedute; non lo era in realtà nemmeno la Bl ‘occupazionale’: non solo
io ero produttivo ed efficiente ma, in qualche circostanza, ho perfino
fatto qualcosa che nessun altro, nel contesto di lavoro dove mi
trovavo, sarebbe stato capace di fare. Eppure, salvo rare eccezioni, la
Bl ‘occupazionale’ era quanto mi si offriva. Per poter percepire quella
modestissima indennità di presenza di € 3,10, allora necessaria come
sostegno economico, accettai di svolgere più di una Bl ‘occupazionale’,
benché fosse, per i motivi esposti, piuttosto avvilente.
Con la nuova disciplina, le Bl occupazionali vengono sostituite dagli
‘Interventi Socio-Riabilitativi Attivi" (ISRA), mentre quelle formative
e quelle osservative vengono sostituite dai Tirocini di Formazione e
Orientamento (TIFO). Le Bl finalizzate vengono assorbite da altri
percorsi. Per me, divenuto nel frattempo un ultra cinquantenne
qualificato, la situazione è perfino peggiorata:
- Rispetto alla Bl occupazionale, l'ISRA è un percorso non meno
avvilente, perché esplicitamente previsto per persone che, secondo una
determinata scala di valutazione, si collocherebbero in un range di
‘funzionamento’ molto basso e, similmente alle Bl occupazionali,
accedono a questi percorsi con finalità di benessere psicofisico e
bisogni sociali o relazionali persone dalle quali, per conseguenza, non
ci si dovrebbe aspettare molto in termini di produttività o efficienza.
- Nel caso dell'ISRA, l’indennità di presenza corrisposta dall'Ausl
scende da € 3,10 all'ora a € 2,80, a condizione di lavorare 5 ore
consecutive, sennò scende ulteriormente. Supponiamo, come è nel mio
caso, che le ore totali settimanali siano 15; svolgendo 3 mezze
giornate da 5 ore, percepisco attualmente 42 €; mentre con la vecchia
disciplina avrei percepito € 46,50. Ma non basta. Se volessi, oggi,
distribuire le 15 ore previste in più di tre giorni settimanali,
percepirei ancora meno di € 42, benché il totale non cambi. Volendo
‘limitare le perdite’, sono anche meno libero di organizzarmi il
lavoro.
Fin qui i fatti. Ora esporrò alcune valutazioni che sono personali e
non coincidono necessariamente con quelle di altri iscritti
all'associazione UmanaMente.
Cosa dovrebbe cambiare?
1. Si dovrebbe prendere atto che:
- oltre ai giovani con prospettive di occupabilità o con bisogno di
formazione o orientamento al lavoro;
- oltre alle persone di qualsiasi età che si collocano su un range di
‘funzionamento’ molto basso secondo la citata scala e il cui percorso è
prevalentemente finalizzato al benessere psicofisico e ai bisogni
relazionali; esistono anche le persone come me, troppo anziane per
essere facilmente occupabili, troppo formate ed esperte per aver
bisogno di formazione od orientamento al lavoro, ma in grado di essere
efficienti e produttive, proprio grazie alla loro formazione ed
esperienza: persone portatrici di un bisogno, principalmente di
sostegno economico, che non trovava né trova risposte mirate negli
inserimenti del DSM, stando alla mia esperienza.
2. La citata ‘indennità di presenza’ dovrebbe essere radicalmente
ripensata:
- se una persona segue un percorso più o meno finalizzato al lavoro,
trae da tale percorso un beneficio in termini di occupazione a breve
termine o di occupabilità futura; a quale titolo, allora, dovrebbe
percepire un'indennità, se non perché è in difficoltà economiche?
- se una persona segue un percorso prevalentemente finalizzato al
proprio benessere, trae da tale percorso un beneficio in questa
direzione; a quale titolo, allora, dovrebbe percepire un'indennità, se
non perché è in difficoltà economiche?
L’indennità di presenza, soggetta alla sola condizione di erogare una
prestazione in ambito lavorativo, potrebbe essere utilmente sostituita
da un’altra indennità soggetta a due condizioni:
- l’erogazione della prestazione in ambito lavorativo;
- le difficoltà economiche.
Cosa cambierebbe?
- Dovendo erogare meno indennità, quelle erogate potrebbero essere meno
esigue.
- Questo nuovo tipo di indennità potrebbe assorbire altre forme di
sostegno al reddito; chi richiede sussidi economici potrebbe ottenerli
accettando di svolgere attività produttive, il che scoraggerebbe
atteggiamenti assistenziali, che pure ci sono.
- Quanti non sono in difficoltà economiche potrebbero impegnarsi in
esperienze di volontariato, per esempio, anche se non esclusivamente,
nelle tante associazioni della salute mentale.
3. C'è infine un altro problema, che mi sembra di difficile soluzione,
ma che è necessario evidenziare. Considerato che gli ISRA sarebbero,
come si è detto, destinati a persone poco produttive e portatrici di un
bisogno psico-socio-relazionale, l'Ausl si convenziona preferibilmente
con enti ‘non profit’, come associazioni di volontariato, cooperative
sociali o, ancora, Aziende di Servizi alla Persona (ASP), che si
suppongono essere, spesso con ragione, contesti più accoglienti
rispetto ad aziende ‘profit’. Tuttavia, anche un ente ‘non profit’, per
esempio un'ASP, può comportarsi come un ente ‘profit’, o anche peggio.
Supponiamo che io svolga un ISRA presso un'ASP che gestisce una casa
protetta per anziani e che, su richiesta della stessa ASP, offra
compagnia a un residente che dimostra un bisogno relazionale. Il
bisogno di quel residente, in realtà, non è solo di compagnia, ma
soprattutto di sfogo per tante cose che a suo giudizio non vanno bene
nel suo reparto.
In teoria, potrebbe non essere attendibile; ma quando vado a prenderlo
o lo riaccompagno in reparto, grazie alla formazione posseduta osservo
quanto basta a confermare che le sue lamentele sono fondate. Qualora io
volessi, non già esternare osservazioni o critiche, ma anche solo porre
delle domande, diritto che non si dovrebbe negare a nessuno, mi devo
mordere la lingua: mi è stato detto che "fare domande dà fastidio". Che
le mie domande diano fastidio io potrei accettarlo da un'azienda che mi
paga: non posso assolutamente accettarlo da un'ASP che si approfitta
del mio servizio a costo zero, perché la pur esigua indennità mi viene
corrisposta non dall'ASP, bensì dall'AUSL. Neanche l'AUSL dovrebbe
accettarlo, ma penso che non possa fare diversamente, perché l'ente con
cui si convenziona ha di fatto un maggiore potere: il bisogno dell'AUSL
di attivare per i propri assistiti percorsi come gli ISRA supera il
bisogno degli enti con cui chiede di convenzionarsi, di accogliere la
persona, anche nei casi in cui la persona sia in grado di fornire un
apporto effettivamente produttivo.
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