Le famiglia in terapia
Il concetto di famiglia lo potremmo genericamente
definire come un
sistema complesso che ha una storia e che crea storia, con funzione
generativa. La famiglia, come forma sociale primaria, intrattiene
scambi significativi con l'esterno assestando e modificando i suoi
confini in relazione al contesto comunitario nel quale è immersa. Due
sono gli assi relazionali interni alla famiglia: quello coniugale e
quello parentale-filiale. La relazione coniugale si basa sulla
differenza di gender, quella parentale-filiale implica la differenza di
generazione e la conseguente responsabilità di quella che precede su
quella che segue. La relazione è ciò che lega i membri della famiglia;
è ciò che si sedimenta e si è sedimentato in quanto a norme, valori,
riti e modelli di
comportamento. Il compito centrale della famiglia è quello di
permettere la crescita individuale attraverso due funzioni opposte e
complementari: accudimento/protezione, esplorazione/separazione.
La famiglia normale non esiste. Si parla infatti, di famiglia
‘evolutiva’, tale termine racchiude in sé elementi positivi e dinamici.
Ciò non significa che la famiglia sia immune da momenti critici, ma che
essa riesce a mettere a disposizione nel tempo gli strumenti per far
crescere l'individuo nel gruppo. La famiglia evolutiva è quella che
mantiene aperto il processo di crescita. Al contrario se una famiglia
non riesce a muoversi, rimane in stallo (Cirillo e al.), adattandosi
alla situazione problematica e non riuscendo ad utilizzare le risorse
interne ed esterne. Ogni famiglia ha una sua vita in divenire che si
snoda attraverso vari passaggi che ne compongono la storia evolutiva:
dalla fase iniziale in cui due persone si scelgono e decidono di dare
vita ad una coppia stabile, unendosi in matrimonio o convivendo
stabilmente, continuando attraverso le varie tappe evolutive che
contraddistinguono il ciclo vitale della famiglia. Tali tappe evolutive
sono segnate da particolari eventi che riguardano principalmente
l'ingresso e l'uscita o la perdita di un suo componente. Uno degli
strumenti che si utilizzano in terapia familiare per rappresentare il
ciclo vitale è la ‘linea del tempo’, attraverso la quale si esprime
l'evoluzione orizzontale della famiglia. Attraverso questa linea, la
famiglia descrive gli eventi normativi, ovvero quelli prevedibili
(nascita figli, adolescenza, nido vuoto, pensionamento) e quelli
paranormativi che sono i passaggi critici, non prevedibili
(separazione, malattia, incidenti) che creano e rompono legami e
pertanto coinvolgono l'intero gruppo di appartenenza.
Il superamento delle criticità, attraverso la messa in campo di
risorse, consente alla famiglia di raggiungere un nuovo soddisfacente
equilibrio che le permette di passare alla fase evolutiva successiva
del ciclo vitale. Se questo processo si ‘incaglia’, il nucleo può non
riuscire ad utilizzare le risorse, entrando in crisi. È proprio nelle
transazioni che entra in gioco il tessuto relazionale-simbolico di cui
la famiglia è costituita (Scabini, 1995). I passaggi mettono infatti
alla prova ed evidenziano la struttura della famiglia, i suoi punti di
forza e di debolezza. Ogni transazione è un passaggio da una condizione
data a una condizione nuova che ripropone ai familiari la necessità di
rielaborare le relazioni che hanno instaurato e di dare loro nuovi
significati alla luce delle nuove condizioni (Cigoli, 1995).
La nascita di un figlio si può definire il passaggio per eccellenza
perché, provocando l'entrata in scena di una nuova generazione, obbliga
a una ridefinizione delle relazioni familiari e a una conseguente
ridistribuzione dei ruoli, funzioni ed identità. La fase critica
comporta la fatica di staccarsi da un'identità per passare ad un'altra,
scelta non priva di dolore, legata alla trasformazione e alla paura di
frammentarsi, di perdersi. Qualora la coppia coniugale sia in grado di
superare questa fatica, la crisi diventa evolutiva, permettendo quindi
una crescita individuale e di coppia. Il compito difficile della coppia
coniugale è di portare matrimoni diversi in un unico modello comune che
rispetti la diversità di ognuno, la propria stirpe, il proprio
patrimonio genetico e culturale, ma che abbia al contempo una propria
unicità. La nascita dei figli ha anche notevoli effetti sulla relazione
coniugale. La cura della differenza è più importante nel momento in cui
la diversità, che ogni coniuge deve riconoscere e rispettare
nell'altro, si accentua con le nuove connotazioni di ruolo che fanno
dell'uomo e della donna un padre e una madre.
La cura è la qualità tipica del legame familiare e possiamo
individuarne diverse forme a seconda del legame considerato:
- la cura della differenza, che riguarda la relazione coniugale
- la cura della riconoscenza, che riguarda il rapporto tra figli e
genitori
- la cura del dialogo, che riguarda il rapporto genitori e figli
- la cura del ricordo, che riguarda chi è uscito di scena.
Le generazioni sono coinvolte nella comune responsabilità di dare e
ricevere cura; la famiglia è un luogo di scambio, la cura ne è il segno
e il compito che accomuna le varie generazioni. Secondo lo
psicoanalista Massimo Recalcati oggi si sta verificando un'esperienza
inedita che ribalta la dialettica del riconoscimento: non sono più i
figli che domandano di esser riconosciuti dai genitori, ma sono i
genitori che domandano di essere riconosciuti dai figli. Infatti, una
delle nuove angosce dei genitori è quella di non essere amati dai
propri figli: per risultare amabili è necessario dire sempre sì,
eliminare il disagio del conflitto, delegare le responsabilità
educative altrove. La seconda angoscia è legata alla prestazione:
l'insuccesso, il fallimento, lo scacco dei propri figli è sempre meno
tollerato; di fronte all'ostacolo la famiglia si mobilita per
rimuoverlo senza dare il tempo giusto al figlio di farne esperienza.
Inoltre alte aspettative di realizzazione sui propri figli comportano
un elevato carico di responsabilità e disagio, che spesso non permette
a questi adolescenti di differenziarsi dalla propria famiglia e creare
uno spazio di ascolto di sé e dei propri bisogni. Negli ultimi anni le
famiglie arrivano sempre più con queste domande: come ristabilire i
confini e i ruoli con i propri figli, figli che si sono appropriati dei
letti matrimoniali, spazi di coppia inesistenti, genitori preoccupati e
iperprotettivi, figli che lottano per essere visti come tali,
regressioni evolutive importanti, domande che testimoniano un grande
bisogno delle famiglie di non restare isolate con le loro paure. La
terapia familiare può divenire uno spazio terzo, un contenitore in cui,
con l'aiuto del terapeuta diviene possibile il recupero delle risorse e
la costruzione di nuovi significati; separarsi non significa perdersi e
sperimentare altrove non significa tradire. Ma se chi ha ben ricevuto è
tenuto trasmettere tale modello alle generazioni che seguono, chi ha
poco o malamente ricevuto tenderà a perpetuare l'ingiustizia? C'è un
modo per uscire dal circolo vizioso e interrompere il determinismo di
una catena quando essa è perversa? Secondo alcuni autori la nuova
generazione può riuscire ad assolvere la generazione precedente dai
suoi tentativi mal riusciti, se riesce ad arrivare a comprendere la
verità della realtà relazionale; capire che un cattivo genitore è stato
un figlio sfortunato può consentire di accedere a un criterio di
giustizia che può liberare la relazione da una catena distruttiva. Per
non rischiare l'adesione acritica al modello di relazione osservato nei
genitori o la reazione oppositiva ad esso, risulta quindi importante
narrare, recuperare la propria storia per poter appartenere, perdonare,
scegliere cosa portare in una nuova relazione e cosa lasciare fuori.
Intraprendere un percorso terapeutico implica lasciare il noto per
l'ignoto; il noto implica fantasie di risarcimento di torti subiti
nell'infanzia, l'ignoto richiama il peso e la responsabilità
dell'individuazione e la differenziazione dai modelli relazionali
negativi appresi nelle relazioni primarie (Corbella, 2003).
Fondamentale è la funzione del pensiero, trasmettere una funzione di
pensiero e pensare con i pazienti. Il setting clinico con le sue
caratteristiche di continuità, stabilità, presenza del terapeuta
permette di sperimentare nel qui ed ora modalità di relazioni
differenti. Tutto ciò è reso possibile se si stabilisce e si mantiene
una buona alleanza di lavoro (Orefice, 2002).
BIBLIOGRAFIA
Andolfi M. (a cura di) (1999), La crisi della coppia, Cortina, Milano.
Boszormenyi-Nagy I., (1988), Lealtà invisibili, Astrolabio, Roma.
Cirillo S., Selvini M., Sorrentino A.M (1988), I giochi psicotici nella
famiglia, Cortina, Milano.
Corbella S. (2003), Storie e luoghi del gruppo, Cortina, Milano.
Malagoli Togliatti M.(2002), Dinamiche relazionali e ciclo di vita
della famiglia, Il Mulino, Bologna.
Malagoli Togliatti M.. (2002), Famiglie multiproblematiche, Carrocci,
Roma.
Monguzzi F. (2006), La coppia come paziente, FrancoAngeli, Milano.
Orefice S. (2002), La sfiducia e la diffidenza, Cortina, Milano.
Recalcati M. (2011), Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca
ipermoderna, Cortina, Milano.
Recalcati M. (2013), Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il
tramonto del padre, Feltrinelli, Milano.
Scabini
E. (1995), Psicologia sociale della famiglia. Sviluppo dei legami e
trasformazioni sociali, Bollati Boringhieri, Torino.
Scabini E., Cigoli V. (2000), Il famigliare. Legami, simboli e
transizioni, Cortina, Milano.
Dott.ssa Iara Bonfanti
Psicologa psicoterapeuta sistemico-relazionale
iara.bonfanti@gmail.com
Dott.ssa Monica Molinari
Psicologa psicoterapeuta sistemico-relazionale
monica.molinari2@gmail.com
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Genitori e figli
a cura del laboratorio di scrittura dell'Assoc. UmanaMente
Brainstorming
Quale significato ha per noi questo rapporto e come
evolve nel tempo?
O:
Significa affetto, che però a me è mancato, soprattutto da parte di
papà, che quando tornava a casa ubriaco mi picchiava con la cinghia: ho
avuto un’infanzia molto difficile e questo me lo porterò dentro tutta
la vita; solo prima che morisse, nel 2003, ho instaurato con lui un
rapporto collaborante, positivo.
L:
Fra genitori e figli deve esserci una relazione ma non una relazione
alla pari. Per me il figlio deve avere un ruolo e il padre deve avere
un ruolo diverso. Il padre deve educare il figlio, cioè deve insegnare
al figlio a vivere, e quando i genitori vengono a mancare il figlio
deve essere capace di andare avanti senza i genitori. L’educazione può
essere fatta in diversi modi, da bambino attraverso il gioco per i
bambini invece per i figli più adulti va fatto più attentamente. Per me
molti genitori picchiano i figli come segno di educazione per non
fargli fare degli errori. L’educazione va fatta o attraverso parole o
il gioco.
M.A.:
Certi genitori ammettono, anche con un certo compiacimento, di aver
viziato i figli. Non c’è cosa peggiore: ‘togliere’ questi vizi sarà poi
traumatico per i figli, che si vedranno sottoposti a un trattamento ben
diverso da quello iniziale, ma senza poterne capire le ragioni. D’altra
parte, anche quando i figli hanno raggiunto l’età matura, tanti
genitori continuano a considerarli minorenni bisognosi della loro
tutela.
S:
È la sindrome di Peter Pan.
Quando si può dire che c’è stato uno sviluppo sano del
bambino?
M:
Se un bambino rifiuta di crescere, trasgredisce ogni regola, a casa o a
scuola, e non studia, forse è perché ha una malattia: per esempio, è
ritardato mentale.
S:
Per me lo sviluppo è sano anche quando si riesce ad affrontare le varie
situazioni, con capacità ad essere autonomo e problem solving.
M.A.:
Perché lo sviluppo sia sano è anche necessario che il bambino sia
rispettato fra i pari: se subisce prepotenze, deve chiedere aiuto e la
famiglia deve darlo. Ma c’è il rischio che tema di deludere i genitori
se chiede loro aiuto, oppure che i genitori stessi pensino che debba
cavarsela sempre e comunque da solo. Se il bambino riesce a risolvere i
problemi che ha da solo, è meglio, ma l’importante è che i problemi non
restino irrisolti.
L:
Lo sviluppo è sano quando, crescendo, il figlio capisce gli
insegnamenti del genitore e quando fare una cosa è bene o male.
Quando un figlio può essere definito bravo?
M:
Quando è ubbidiente.
L:
Quando non prende cattive strade.
Quali sono i compiti di un genitore?
M:
Doveri, obblighi e responsabilità dell’essere genitori verso i figli:
anche in caso di separazione c’è il diritto del figlio a vedere l’altro
genitore, per diritto di visita.
L:
Dare rispetto, educazione, affetto e sostegno economico, avere
sentimenti buoni, avere delle emozioni con lui, sostenere il figlio sia
moralmente che socialmente. Capire il proprio figlio.
M.A.:
I genitori hanno il mandato nei confronti dei figli minori di educarli
secondo la legge dello Stato, non secondo altre leggi: se sono fedeli
di un determinato culto, possono trasmettere un’educazione religiosa
che sia rispettosa delle leggi dello Stato. Come dicevo prima, c’è poi
la ‘zona grigia’ del figlio maggiorenne che non si è ancora del tutto
separato dai genitori, dove non è facile capire che occorre smettere di
essere tutori, pur restando genitori.
Quali sono i compiti di un genitore rispetto ai bisogni
primari dei figli, quando un genitore è bravo?
S:
Dargli delle linee guida per potere intraprendere un cammino verso il
mondo, insegnargli ciò che è giusto, le regole del vivere civile.
M.A.:
Il cammino per diventare un cittadino responsabile, che esercita e
rivendica i propri diritti e adempie ai propri doveri, richiede
interventi normativi. Ma anche in tali interventi, oltre che in quelli
destinati alla cura e all’accudimento, è sempre necessaria la relazione
affettiva. Ha anche il dovere di ascoltare e fare emergere col dialogo
le inclinazioni e le aspirazioni.
M:
Il genitore deve rispettare le idee del figlio, lasciarlo parlare in
casa dei propri problemi e dare sostentamento morale. Provvedimenti a
carico del genitore che non ha queste caratteristiche e dei figli che
non rispettano i propri doveri.
S:
Il genitore va aiutato… il figlio ha il dovere di studiare.
M:
Bisognerebbe che il genitore si facesse aiutare; il figlio, come un
adulto, non deve rubare.
L:
Ci sono le leggi e chi le infrange le deve pagare.
M.A..:
I minorenni si trovano in una zona grigia, dove sono gli adulti a
stabilire doveri e sanzioni in modo anche arbitrario.
Cos’è una famiglia?
L:
È costituita da persone con un legame di parentela e che spesso vivono
insieme. Sono persone affiatate tra loro e con un buon rapporto; anche
se a volte capitano litigi, si possono organizzare uscite, eventi. La
famiglia si espande se nascono figli e se ciò succede il compito è di
educare i figli sia verso la famiglia sia la società.
S:
È un nucleo.
O:
È un nucleo, un insieme di persone che condividono affetto.
L:
Condividono un progetto, quello dei figli.
La:
La famiglia è una relazione affettiva.
Evoluzione del rapporto genitori e figli nel corso
degli anni
L:
Per me i genitori tendono a stare legati al figlio perché gli vogliono
molto bene, perché l’hanno voluto: uno fa un figlio perché lo vuole.
Pertanto, volendo molto bene al figlio, continuano a stargli dietro. I
genitori dovrebbero orientare il figlio.
M.A.:
A proposito del modificarsi nel tempo dei rapporti e ruoli, i genitori
dovrebbero aver chiaro quando smettono di essere tutori: è interessante
che ci sono molti genitori che continuano ad esercitare un ruolo di
tutore nei confronti di figli adulti non ancora indipendenti
economicamente nel senso che prendono le decisioni per loro. Il
problema nasce dal fatto che la piena o effettiva ‘adultità’
generalmente si raggiunge molto più tardi della maggiore età.
L:
Si evolve quando, alla maggiore età, il figlio prende le proprie
decisioni e diventa maturo. Il che non corrisponde però
all’indipendenza: quella viene successivamente. Nell’adolescenza uno è
molto insicuro, mentre quando diventa maturo l’uomo vuole farsi una
famiglia.
S:
L’indipendenza per me si acquisisce quando si fanno tante scelte da
soli, oltre al fatto di farsi da mangiare, gestire la casa e la propria
vita globalmente, sia economicamente sia per tutte le altre funzioni.
Ruoli dei genitori e figli nel corso del tempo
L:
Nell’età infantile per me il genitore deve essere sempre a fianco del
figlio perché il figlio non sa fare nulla; i genitori che invecchiano
tornano non autosufficienti come i bambini: è un passaggio naturale.
M.A.:
Non è sempre stato così perché, un tempo, l’anziano invecchiava meno,
ma restando più autonomo, per cui non andava a carico dei figli.
La:
Ora poi il genitore si prende cura del figlio per molto più tempo.
Sensazioni che proviamo a vedere i genitori invecchiare
L:
Mi fa spavento perché la vita è fatta di un lasso di tempo e,
nell’ultimo periodo, c’è gente che vive male, che non è più
autosufficiente. Personalmente spero di non avere bisogno di un tutore;
se dovessi essere io tutore dei miei genitori, cercherei di fare al
meglio, ma ho dei problemi e quindi l’assistenza non riesco a farla.
L’invertire i ruoli succede anche durante la vita, a volte i figli
insegnano ai loro genitori, hanno ragione su di loro durante una
discussione. Una cosa non educativa è quando si picchiano i propri
figli. Io ci vivo benissimo con i miei genitori; ho solo qualche
problema per i soldi. In generale sto bene con la mia famiglia e anche
con mia nonna.
Incontro con l’educatrice Maria
Katia Monti sul tema genitori e figli
Per approfondire il tema Genitori e figli cercando di
rispondere ad
alcune domande emerse dal brainstorming l’associazione UmanaMente ha
richiesto la partecipazione di una persona esterna che potesse
attraverso la sua esperienza e competenza contribuire alla riflessione
e alla conoscenza sul tema. Il socio Luca ha individuato Katia come
persona che potesse aiutarci in questo compito e lei ha volentieri
accettato di partecipare portando numerosi stimoli sia verbali che
grafici.
Vorrei ringraziarvi per aver pensato a me per affrontare questo tema,
in particolare Luca, che mi ha invitato. Sono brasiliana, ho
cinquantacinque anni, sono sposata con un italiano e non ho figli.
Lavoravo al Centro Diurno di Casalecchio, ora lavoro al Centro di
Salute Mentale di Casalecchio come educatrice e lì faccio tante cose:
mi occupo di relazioni individuali con le persone e di accompagnamenti.
Amo molto il mio lavoro. Per i temi da voi proposti per questa
discussione vi porto il mio vissuto di educatrice. Ho voluto prendere
le parole più significanti, le parole più importanti delle frasi che mi
avete mandato, facendo io una specie di brainstorming.
F: “ Due genitori hanno la proprietà di creare.”
M: “Noi abbiamo un legame con i nostri genitori.”
Fare il genitore è una cosa molto complicata. Oggi posso mettermi nei
panni del genitore perché sono lontana da mio padre e ho messo l’oceano
atlantico tra me e il mio genitore. Il genitore è una persona, un uomo,
un lavoratore, un figlio, un marito. È’ tutto. Quando tu guardi un
genitore da fuori vedi tutto questo, vedi una persona che può avere
hobbies, interessi, che ha difficoltà, che può essere gentile e
simpatico. Noi non scegliamo i genitori e nemmeno loro scelgono i
figli. Pensando ai genitori mi vengono in mente tante cose. Avere il
ricordo del genitore ci porta a pensare a tante cose. È quello che si
prende cura, che genera la vita, che è dentro la relazione, che è con
noi, e a volte contro di noi nel nostro percorso. Genitore è quello che
non cambia mai. È sempre nostro genitore. È importante prendere atto di
questo. Noi abbiamo una storia con lui. Bella o brutta, ma abbiamo una
storia con lui, abbiamo un legame. Per cui è molto importante capire
che il genitore è una cosa e noi un’altra. Loro sono loro e noi siamo
noi.
Poi c’è il ruolo della madre e del padre. A volte i ruoli sono diversi,
a volte si sovrappongono e forse alla mia età questo comincia a
diventare più chiaro e aiuta a stare meglio. Il padre ha anche lui
tante competenze, ha un ruolo, può formare una coppia e può andare bene
o andare male, può andare avanti nel tempo o no. Per esempio nel mio
caso quando avevo tre anni la mia mamma è morta e sono venuta su senza
madre. Per cui c’è un ruolo per il padre e un ruolo per la madre ed
insieme diventano una coppia che ha un ruolo diverso ancora.
Non bisogna dimenticare che questi genitori hanno dei sogni, dei
desideri e delle cose dentro.
Io avevo una grande conflittualità con mio padre e non pensavo mai che
lui aveva solo quegli strumenti che usava per educarmi. Io avrei voluto
che fosse diverso, che mi crescesse, mi educasse e mi amasse in un modo
diverso, ma lui non lo poteva fare. Noi pensiamo che i genitori sono
potenti, che non sbagliano mai. Se noi pensiamo che loro possono fare
errori possiamo pensare di perdonarli. Perché fare i genitori è un
ruolo molto difficile.
Padre e madre uniti insieme nasce la relazione. È il modo di
relazionarsi, parlarsi, stare insieme e scambiare. Uno ha avuto una
educazione e l’altro un’altra e mettersi insieme e formare una coppia è
molto complicato. Io vengo dal Brasile, dove ci sono colori, suoni,
sapori e tradizioni, mentre mio marito è nato e cresciuto a Bologna e
mettere queste persone insieme è molto complicato. Costruire la
relazione è conoscersi, è avere dialogo.
La relazione è verbale e non verbale. Le relazioni sono anche con le
istituzioni, quelle per esempio che i genitori devono tenere con la
scuola, con la chiesa eccetera.
Cos’è la famiglia?
M: “È un insieme di persone che sono legate da un
vincolo.”
È’ un sistema. Un sistema allargato. È un vincolo. È una cultura e un
insieme di cultura come nella famiglia di M. dove la mamma viene dalla
città e il papà dalla campagna. È una istituzione. Ci sono modi diversi
di fare famiglia oggi. La società è cambiata.
F: “La famiglia è una società di capitali.”
Una madre e un padre portano un ‘capitale’ di culture, informazioni ed
esperienze. Nessuno può togliere i capitali che hanno le persone. La
famiglia poi cambia nelle varie parti del mondo. Ci sono tanti modi di
fare famiglia, oggi anche tra uomo e uomo o tra donna e donna. Nella
famiglia poi esistono diritti e doveri e responsabilità.
‘Ruolo’ deriva dal latino rotulus (cartiglio): quando compri una
bottiglia di acqua c’è una etichetta che dice da dove viene.
Questo è il nostro ruolo all’interno della famiglia. Noi abbiamo
un’etichetta che ci dice come dobbiamo essere e comportarci all’interno
della famiglia. Per carità non così rigido, ma essere figlio è un
ruolo. Tu puoi svolgerlo bene o con difficoltà, non è una cosa
semplice, ma esiste. Possiamo farci aiutare a capire quale è il nostro
ruolo fuori e dentro la famiglia. Noi possiamo prendere il ruolo,
oppure il ruolo ci viene assegnato. Per esempio il ruolo
nell’associazione, ruolo in società, nelle istituzioni, in un gruppo
appartamento.
La famiglia ha il ruolo di educare i figli.
Educare deriva da verbo latino educere, tirare fuori. Tirare fuori
quello che tu puoi imparare, quello che io genitore ti propongo come
educazione. Tu puoi accettarlo, ma può anche esserci il conflitto.
Educare è formazione, insegnamento, istruzione, può essere fatto in
modo autoritario o con autorevolezza. Autoritaria quando c’è
imposizione e non viene tenuto in conto che l’altro ha un suo modo di
pensare e di vedere la vita.
Essere bravo cosa significa?
“Avere dei valori”, “Comportarsi bene.” “A volte vuol dire anche solo
soddisfare delle aspettative e quelle aspettative possono non
corrispondere necessariamente a dei valori.”
A volte dire ‘bravo’ può essere in senso dispregiativo. In spagnolo e
portoghese ‘bravo’ significa arrabbiato.
Bravo ha a che fare con le aspettative che ha un genitore nei confronti
del figlio.
Nel dirvi tutto quello che vi sto dicendo ho cercato di tenere sempre
presente quello che viene chiamato il ciclo della vita. I figli
diventano adulti e anche genitori e ci sono aspettative che diventano
reciproche. Tutti siamo stati dentro la pancia e abbiamo avuto una
mamma che aveva aspettative. Poi un figlio cresce e diventa grande e
non sempre le cose vanno come i genitori si aspettano. F: “I figli sono
i bastoni della vecchiaia.” M: “I figli devono prendere la propria
strada.” S: “Io sto cercando una mia indipendenza, ma nello
stesso tempo sto cercando di aiutare i miei genitori.”
Compito del genitore, e del figlio quando c’è l’inversione dei ruoli
nel ciclo della vita. Non per tutti vale la regola di aiutare i
genitori anziani. Io a ventisette anni ho lasciato il Brasile e ho
fatto la mia strada qui, lontana, e non sono il bastone della vecchiaia
di mio padre, ma una volta all’anno prendo le ferie e vado un mese in
Brasile e do una mano ai miei fratelli che invece hanno fatto figli e
stanno vicino a mio padre.
È molto difficile questo argomento, sia per i figli che per i genitori
perché è un dolore. Poi dipende dalla patologia, ma è molto complicato.
È però molto importante. Una via che si può prendere è quello della
recovery.
I RACCONTI
Come è stato il rapporto con i genitori?
Quale l’educazione e i valori ricevuti?
Sei stata e sei un bravo figlio/a?
Come si è evoluto il rapporto nel tempo?
Come la malattia ha cambiato questo rapporto?
Roberta
In generale il mio è un bellissimo rapporto con entrambi i miei
genitori, ci confidiamo e ci scambiamo opinioni su tutti gli argomenti.
Mi sento molto considerata e posso dire di essere stata anche un po’
viziata, questo non so se sia stato positivo o meno, in quanto mi sono
un po’ appoggiata. Sono due professionisti ed entrambi mi hanno sempre
stimolato a fare bene le cose, quasi in modo perfetto. I valori che mi
hanno inculcato sono: lealtà, onestà, rispetto, senso del dovere e
senso dell’unità della famiglia. Da piccola ho seguito sempre i loro
consigli, tanto da diventare la prima della classe, perché era un modo
per soddisfare le loro aspettative, ma questo mi ha creato delle
inimicizie fra le mie compagne. Mi davano continuamente della secchiona
ed erano un po’ complessate nei miei confronti e io lo avvertivo; avrei
voluto stare con loro tranquillamente e invece sentivo la loro
competizione, mentre io studiavo anche per me stessa, per l’orgoglio di
far bene e per la voglia di imparare. Durante la mia crescita, però, ho
seguito sempre meno i consigli dei miei genitori, ho iniziato a
valutare la loro educazione che mi sembrava troppo rigida e mi sentivo
quasi costretta a seguire i loro consigli, così ho iniziato a decidere
da sola quando e quanto studiare. Questo è successo negli ultimi anni
delle superiori. Avevo iniziato a studiare meno e a uscire di più. Era
avvenuta in me una ribellione. Mia madre lo ha capito per prima e poi
anche mio padre lo ha accettato ed entrambi se ne sono fatti una
ragione. Hanno capito che desideravo più libertà. Sono cresciuta con la
voglia di trasferirmi in un’altra città e di staccare il cordone
ombelicale dai miei genitori. Dopo un primo periodo di studi
universitari, ho smesso perché non mi piaceva l’ambiente, era scarso di
stimoli culturali. I miei mi hanno lasciata libera ed erano contenti
che io decidessi di fare ciò che più mi piaceva. Durante quel periodo
ho avuto una piccola crisi e mi sono fatta seguire da una brava
psicologa privata che mi ha aiutata molto, riportandomi alla
tranquillità. I miei genitori, in quel periodo, mi hanno ascoltato e
accompagnato dalla psicologa facendo anche loro dei colloqui. Mi sono
sentita supportata, aiutata e mi sono stati di grande aiuto nel
superare quel momento di difficoltà, infatti, dopo ho ripreso gli studi
e ho cominciato a lavorare. Posso dire che anche più avanti negli anni,
quando mi sono laureata e pensavo di avere trovato la mia strada, loro
mi sono sempre stati vicini, in particolare quando ho avuto il momento
di difficoltà più grande, in cui ebbi una vera crisi psicotica, anche
in quell’occasione i miei mi hanno aiutato molto avvicinandosi e
decidendo con me come lottare e vincere la malattia. Mia madre ha
deciso di trasferirsi da me proprio per aiutarmi nel percorso di
guarigione. Ad oggi io sto molto meglio grazie al suo aiuto e sono
diventata io un supporto per lei tanto da avere creato un rapporto di
interdipendenza positiva e aiuto reciproco. Mi sento di essere stata
una brava figlia e di avere cercato di portare avanti i valori e la
voglia di crescere e migliorarmi e sento che i miei genitori sono
orgogliosi di me e me lo fanno capire.
F. B.
Il mio rapporto con i genitori è sempre stato
buono. Mi hanno fatto fare la scuola, seguivano le riunioni con i
professori e si interessavano a me. Mia madre proviene da una famiglia
contadina con una mentalità antica, c’è l’idea della donna come
domestica o come persona che ha il dovere di accontentare il marito.
Mia mamma è cresciuta nella povertà, veniva dalla campagna invece mio
padre dalla città e stava meglio economicamente di famiglia. I miei
genitori, in passato ogni tanto litigavano ma sono riusciti a stare
insieme anche se provenienti da due mondi diversi. Mia mamma è pugliese
mentre mio padre è del nord. L’educazione che ho ricevuto è stata
improntata alle regole del comportarsi bene, i miei genitori si sono
sempre presi cura di me e di mio fratello. Ci hanno sempre vestito bene
e ci facevano uscire sempre in ordine.
Posso dire di avere ricevuto una buona educazione, i miei genitori mi
hanno trasmesso il valore dell’amicizia, e poi anche economicamente non
mi hanno mai fatto mancare nulla. A diciotto anni i miei genitori ci
hanno comprato la macchina ad entrambi. Quando mi sono ammalato di
depressione avevo già trentacinque anni e il mio disagio era legato a
problemi di lavoro. Mia madre mi è stata molto vicino e mi ha aiutato,
con coraggio e con amore mi ha tirato fuori. Tutta la famiglia di mia
mamma mi è stata vicino. Anche le mie zie mi sono state sempre vicino.
Mia mamma disse che lei aveva fatto un figlio malato e che lei lo
avrebbe aiutato a guarire e stare meglio. La malattia non ha cambiato
il rapporto con i miei genitori, loro non mi hanno fatto pesare le cose
pratiche di casa, infatti mi hanno lasciato la gestione dei miei soldi.
Anche prima della malattia il mio rapporto con i genitori è sempre
stato sereno. Per me il figlio ha il compito di essere il bastone della
vecchia dei genitori e mantenere economicamente la famiglia, essere
presente e di aiuto se qualcuno sta poco bene, accompagnare alle visite
mediche. Essere presente nei bisogni. Personalmente penso di essere
stato un bravo figlio, credo che i miei genitori siano orgogliosi di
me, perché sono autonomo e per loro questo è importante. Per i miei
genitori è importante che io continui ad assisterli e a star loro
vicino.
Laura
I miei genitori hanno trasmesso a me e mio
fratello valori molto forti: rispetto, onestà. Sono sempre stati molto
amorevoli e vicini in tutto. Vengono da due esperienze di vita simili,
mio padre è stato abbandonato dalla madre e mia mamma è rimasta senza
madre a tre anni. Queste esperienze li hanno resi molto uniti come
coppia. Il loro scopo come genitori era dare a noi tutto quello che
loro non avevano potuto avere. Hanno fatto tanti sacrifici anche
economici per costruire per noi.
Da questo punto di vista mi sento fortunata, anche se all’interno di
questo rapporto ci sono state comunque delle insidie, perché anche dare
tutto non sempre può fare bene. Infatti io e mio fratello abbiamo due
esperienze contrapposte, lui ha seguito quello che loro ci hanno
insegnato mentre io spesso mi sono approfittata della libertà data dai
miei genitori e ho anche trasgredito. Dopo un periodo in cui posso dire
di averli ingannati sono crollata e per loro è stato molto grave
scoprirlo. Io sono stata molto brava ad ingannarli, avevo una facciata
di vita, ma in realtà c’era un risvolto oscuro.
Le prime persone a cui ho detto del mio crollo sono stati i miei
genitori. Loro, insieme, hanno fatto muro e sono stati capaci di
mettermi davanti alle mie responsabilità con durezza, mio fratello, mia
cognata, gli amici e i colleghi. Grazie a questo sono riuscita a fare
il passo per venirne fuori.
È stata la svolta decisiva, se non avessi avuto terra bruciata forse
avrei continuato. C’è stato un crollo della fiducia da parte loro, ma
non mi hanno mai fatto mancare la loro vicinanza. Ora siamo in una fase
di ricostruzione del rapporto, stiamo esaminando le dinamiche
familiari, anche quelle che sembravano idilliache. Attualmente io credo
che la fiducia al 100% non l’avrò mai più, anche se loro dicono che non
è vero. Per ora non ci sono state da parte mia delle ricadute, anche
perché stiamo facendo una terapia familiare che ci aiuta a rivedere
anche il nostro modo di comunicare. Loro sono sempre stati presenti,
dal ricovero in clinica alla comunità e con gli specialisti per le
terapie e al club degli alcolisti. A volte non mi sento una brava
figlia, perché mi rimprovero di averli ingannati e non avergli fatto
vedere chi ero sotto sotto, tradendo la loro fiducia. Per altri versi
invece mi sento di essere sono stata brava, perché ho il valore del
lavoro, mi sono diplomata e ho fatto carriera in azienda.
Oriano
La mia è stata un’infanzia difficile, soprattutto
per via di mio padre. A volte rientrava alticcio e mi picchiava con la
cinghia; mia madre, per proteggermi cercava di farmi uscire, ma non ci
riusciva sempre. Con mia mamma avevo un buon rapporto.
Mio padre non l’ho mai odiato, anche se non ha mai chiesto scusa. Una
volta al mese vado a trovarlo al cimitero con dei fiori. Lui è morto a
settantacinque anni per un cancro ai polmoni. Io ne avevo quaranta. Per
un periodo io e mia madre andavamo a trovarlo tutti i giorni. È stato
difficile. Devo ringraziare mia madre di avermi sempre seguito. Lei
andava alle riunioni a scuola. È stata lei a consigliarmi la scuola: il
liceo scientifico. Le sarò sempre grato. Mia mamma mi ha dato una buona
educazione. Avrebbe voluto che io studiassi. Dopo il liceo avevo
iniziato l’università. L’ho interrotta a ventidue anni.
Avevo dato quattro esami. Avevo iniziato a bere, mi sentivo prostrato.
L’ho interrotta quando ho iniziato a prendere gli psicofarmaci, poi il
ricovero nel ’97. Io mi compravo libri a quindici anni, come quello di
Baudelaire I fiori del male o Moby Dick. I miei genitori mi hanno
trasmesso il senso del dovere e del lavoro, soprattutto mio padre, che
era muratore. La mamma faceva le pulizie. Mi sento di essere stato
abbastanza un bravo figlio. Sono figlio unico. A volte mi rimprovero di
avere offeso mia madre per delle inezie. Non la vedo da diversi anni
perché sono sorti dei problemi.
Mel Ancony
L’ambiente familiare è stato molto malsano a
partire dalla più tenera età, soprattutto per me, che ero
l'ultimogenito, distanziato di sei anni dalle mie sorelle e di quasi
nove da mio fratello. Sia con i genitori che con i fratelli, nessun
rapporto era funzionale alla crescita e allo sviluppo. Mio fratello, A.
mi prendeva in giro, mentre una delle mie sorelle, E., mi criticava
senza alcun motivo, salvo forse la gelosia per presunti trattamenti di
favore. L'altra mia sorella, I., mi amava teneramente, ma anche questo
non era un rapporto sano. Fu lei stessa a dirmi, in seguito, che mi
considerava una sorta di ‘parafulmine’ delle negatività familiari.
Peraltro, I. veniva criticata per certi suoi atteggiamenti e
considerata ‘matta’. Io non ero considerato ‘matto’, bensì ‘il
piccolo’, ma questo non era un problema da meno: sarebbe stato naturale
e accettabile essere considerato ‘il piccolo’ in una prospettiva
evolutiva, ossia orientata alla crescita e allo sviluppo; ero invece
considerato tale in una prospettiva permanente. Verosimilmente, gli
stessi miei fratelli non mi consideravano un fratello, ma qualcosa di
diverso, forse un figlio, oppure un giocattolo. Tutto ciò accadeva
sotto gli occhi distratti dei genitori, che forse intervenivano qualche
volta, ma non abbastanza: non capivano che era loro compito di
garantire che io fossi rispettato. Si preoccupavano di più che la
‘matta’ I. non mi contagiasse. Odiavo mio padre per la sua sporcizia,
mentre ammiravo mio fratello A.: nonostante la sua giovane età, in
famiglia era un vero opinion leader, capace di influenzare tutti,
compresi i genitori; inoltre, lo vedevo molto influente anche
all'interno dei suoi pari. Io, al contrario, non mi sentivo all'altezza
dei miei pari; contemporaneamente, in famiglia ero considerato ‘il
piccolo’, nel senso chiarito in precedenza. Rispetto a mio padre, mi è
occorso più tempo per rendermi conto delle inadeguatezze di mia madre.
La mia famiglia è nata dall’unione di una suora fallita e di un prete
fallito. Mio padre, considerato in famiglia un figlio maschio di minor
valore rispetto al fratello maggiore, era entrato in seminario, non so
con quanta convinzione personale o se subendo condizionamenti
familiari: comunque, non è riuscito a farsi prete. Mia madre aveva
trascorso l'infanzia in molti istituti di suore, dove subiva una lunga
serie di vessazioni, a me ben note, perché le raccontava a tutti noi in
continuazione. Eppure, avrebbe voluto farsi suora. Sembra che questo
suo desiderio sia stato avversato perché la ritenevano di salute troppo
cagionevole: come madre di quattro figli, non è certo la salute fisica
che le è mancata. Sia a lei che a suo marito è mancato ben altro.
Entrambi riversavano in famiglia tutti i loro conflitti di derivazione
religiosa; non so mio padre, ma almeno mia madre ha sempre continuato a
parlare della sua religione come se la amasse. L'effetto di questi
continui riferimenti al cattolicesimo, a livello di storie di vita o di
vissuti, non è stato lo stesso su tutti i figli. A. e I. hanno maturato
posizioni non estreme rispetto al cattolicesimo, restando a loro modo
credenti. Tale effetto si è invece polarizzato su E. e su di me: E. si
è fatta suora di clausura; al contrario, io ho completamente
abbandonato il cattolicesimo, non solo a livello di credenze ma anche
di valori. L’unico valore che ho mantenuto è laico: la parsimonia. Per
spirito di sacrificio, i miei genitori sono stati esemplari. Con un
solo stipendio di maestro elementare, non solo hanno ‘cresciuto’
quattro figli, ma hanno consentito a ciascuno di loro di laurearsi e di
divenire, a suo tempo, proprietario della propria abitazione. A livello
dei doveri, io ho sempre fatto quello che normalmente ci si aspetta da
una persona del mio stato, ma senza molta convinzione perché nei miei
confronti non percepivo aspettative di crescita. Però non ho mai
sentito l’apprezzamento di nessuno. L’abbandono della religione
cattolica è stato un percorso necessario, ma talmente gravoso da minare
la mia salute. Benché senza molta convinzione, i miei genitori non
hanno ostacolato
i miei tentativi di curarmi. Il malessere si è evidenziato in
coincidenza col passaggio all’età giovanile. Rimpiango di non essere
stato consapevole che, da adulto, avrei dovuto o studiare o lavorare:
me ne sono reso conto solo molto più tardi. Ero iscritto all’università
ma ‘filosofeggiavo’ senza dare esami; sarebbe stato compito dei miei
genitori trovare il modo giusto di farmelo capire ma non è accaduto. È
difficile pensare di essere stato un bravo figlio, o no, in assenza di
aspettative. I miei genitori non mi hanno mai rimproverato, ma non sono
mai stati orgogliosi di me: forse erano orgogliosi della mia
intelligenza, ma l’intelligenza non sono io. Loro sono scomparsi ormai
da molti anni, i miei fratelli ci sono ancora. Con A. ho ricostruito un
ottimo rapporto, senza alcun rancore, e continuo ad avere un ottimo
rapporto con I., magari più sano. Con E. non ho rapporti ma,
paradossalmente, sono quello che meglio accetta la sua scelta. Fosse
rimasta nel mondo come laica o anche come suora non di clausura,
avrebbe fatto danni che dal suo convento di clausura non può fare.
Stefano
Mio padre si chiama Mario e mia mamma Maria.
Siamo due figli: io e mio fratello maggiore. Entrambi abbiamo fatto le
scuole dai Salesiani fino alle medie, poi mio fratello scelse il liceo
scientifico ed io l’istituto tecnico industriale, poi studiai disegno
tecnico al serale e feci l’operaio da mio padre. Sono sempre stato
ribelle e ho frequentato delle compagnie di amici che non piacevano
molto ai miei. Quello che ero io una volta lo rivedo nei giovani di
adesso. Mi sentivo all’avanguardia. Ho avuto un’educazione cattolica e
i miei genitori mi hanno insegnato valori importanti come, l’onestà,
l’amicizia, la solidarietà, il rispetto e la sincerità. Come figlio non
mi rimprovero nulla perché non ho mai fatto del male ai miei genitori,
forse però li ho delusi a volte perché frequentavo certa gente invece
di lavorare. Penso che il nostro rapporto sia molto bello. I miei
genitori sono ancora molto in gamba, nonostante abbiano più di
ottant’anni, e vogliono un gran bene a me e a mio fratello. Io sento
che loro ci sono sempre per me e hanno sempre cercato di aiutarmi
quando stavo male. Ed io mi sono ammalato quando ero molto giovane e ho
fatto diversi ricoveri e li ho sempre sentiti vicini. Ogni tanto, anche
adesso, scatta un po’ di lite perché faccio fatica a stare alle regole.
I miei mi vogliono bene. Loro ci sono per me e io ci sono per loro.
NEI PANNI DEL GENITORE
Cosa significa e comporta essere genitori alle prese con alcune
importanti tappe del ciclo della vita?
A questa domanda si è cercato di rispondere attraverso
un role
playing, in cui sono stati interpretati i ruoli di madre, padre e
figlio da alcune persone del gruppo.
Coloro che interpretavano questi ruoli erano protagonisti, gli altri
spettatori. Un conduttore intervistava i protagonisti rispetto al
propri vissuti e consentiva al pubblico di intervenire in specifici
momenti.
La fase dell’attesa
La futura mamma è incinta e molto felice, perché sembra che la
gravidanza proceda bene.
Il futuro papà è molto emozionato e premuroso nei confronti della
compagna a cui cerca di stare vicino.
Vuole aiutarla e servirla affinché non faccia sforzi o abbia
preoccupazioni. Il papà spera che il nascituro abbia qualcosa di lui e
fantastica su come sarà.
Come coppia stanno pensando al nome e sono aperte diverse possibilità.
Per il momento hanno deciso di non voler sapere il sesso, ma forse
certi esami che dovranno fare lo indicheranno.
Se sarà femmina si chiamerà Penelope, se maschio Pablo o Felix.
Ci sono altre persone però, come amici e parenti, che vorranno dare
consigli sul nome.
La stanza per il bambino si sta preparando e mancano le ultime cose.
Da più di un anno vivono insieme come coppia e hanno già la casa.
La nascita e i primi passi
Il bambino sta per nascere e in sala parto ad aspettarlo c’è anche il
papà. La mamma desidera che sia lui a tagliare il cordone ombelicale.
Appena nato la mamma lo prende in braccio e poi lo passa al papà:
“accarezzargli la testa e i capelli è la cosa più bella del mondo”.
“Non vedo l’ora di portarlo a casa ed iniziare questa nuova vita
insieme.” È un maschio, si chiama Felix. Il bambino cresce e continuano
le scelte dei suoi genitori per la sua vita. Il nido e poi l’asilo. La
mamma desidera tornare a lavorare a tempo pieno dopo essere stata a
casa i primi mesi, ma il papà vorrebbe che stesse vicino al bambino.
Forse un part-time. Papà lavora fino a tardi ed è meno presente del
previsto, quando torna dal lavoro il bambino desidera giocare con lui.
Cresce bene ed è tranquillo, i genitori sono contenti di lui.
La scuola elementare
La scelta non è semplice tra
scuola pubblica e scuola privata. Si ipotizza di avere un altro figlio,
di dare un fratellino a Felix.
Felix sembra troppo viziato, un fratellino però gli toglierebbe
attenzioni. Felix andrebbe preparato.
A scuola Felix va volentieri, è un bambino vivace e a volte gli scappa
un brutta parola, ma le maestre dicono che va bene ed ha buoni voti.
Ad aiutarlo con i compiti ci sono la mamma e il papà. Il papà più con
la matematica, la mamma con l’italiano.
L’adolescenza
Felix comincia ad essere grandicello ed è difficile prendere delle
decisioni rispetto alle richieste che comincia a fare.
Difficile decidere se accontentarlo e come contrattare sul motorino in
particolare e sul cellulare.
I voti a scuola sono importanti ed anche lo sport può essere un luogo
valido dove investire energie e risorse.
Mamma e papà sono propensi ad accontentarlo, ma è importante fargli
capire che non è tutto dovuto.
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