Le famiglia in terapia


Il concetto di famiglia lo potremmo genericamente definire come un sistema complesso che ha una storia e che crea storia, con funzione generativa. La famiglia, come forma sociale primaria, intrattiene scambi significativi con l'esterno assestando e modificando i suoi confini in relazione al contesto comunitario nel quale è immersa. Due sono gli assi relazionali interni alla famiglia: quello coniugale e quello parentale-filiale. La relazione coniugale si basa sulla differenza di gender, quella parentale-filiale implica la differenza di generazione e la conseguente responsabilità di quella che precede su quella che segue. La relazione è ciò che lega i membri della famiglia; è ciò che si sedimenta e si è sedimentato in quanto a norme, valori, riti e modelli di comportamento. Il compito centrale della famiglia è quello di permettere la crescita individuale attraverso due funzioni opposte e complementari: accudimento/protezione, esplorazione/separazione.
La famiglia normale non esiste. Si parla infatti, di famiglia ‘evolutiva’, tale termine racchiude in sé elementi positivi e dinamici. Ciò non significa che la famiglia sia immune da momenti critici, ma che essa riesce a mettere a disposizione nel tempo gli strumenti per far crescere l'individuo nel gruppo. La famiglia evolutiva è quella che mantiene aperto il processo di crescita. Al contrario se una famiglia non riesce a muoversi, rimane in stallo (Cirillo e al.), adattandosi alla situazione problematica e non riuscendo ad utilizzare le risorse interne ed esterne. Ogni famiglia ha una sua vita in divenire che si snoda attraverso vari passaggi che ne compongono la storia evolutiva: dalla fase iniziale in cui due persone si scelgono e decidono di dare vita ad una coppia stabile, unendosi in matrimonio o convivendo stabilmente, continuando attraverso le varie tappe evolutive che contraddistinguono il ciclo vitale della famiglia. Tali tappe evolutive sono segnate da particolari eventi che riguardano principalmente l'ingresso e l'uscita o la perdita di un suo componente. Uno degli strumenti che si utilizzano in terapia familiare per rappresentare il ciclo vitale è la ‘linea del tempo’, attraverso la quale si esprime l'evoluzione orizzontale della famiglia. Attraverso questa linea, la famiglia descrive gli eventi normativi, ovvero quelli prevedibili (nascita figli, adolescenza, nido vuoto, pensionamento) e quelli paranormativi che sono i passaggi critici, non prevedibili (separazione, malattia, incidenti) che creano e rompono legami e pertanto coinvolgono l'intero gruppo di appartenenza.
Il superamento delle criticità, attraverso la messa in campo di risorse, consente alla famiglia di raggiungere un nuovo soddisfacente equilibrio che le permette di passare alla fase evolutiva successiva del ciclo vitale. Se questo processo si ‘incaglia’, il nucleo può non riuscire ad utilizzare le risorse, entrando in crisi. È proprio nelle transazioni che entra in gioco il tessuto relazionale-simbolico di cui la famiglia è costituita (Scabini, 1995). I passaggi mettono infatti alla prova ed evidenziano la struttura della famiglia, i suoi punti di forza e di debolezza. Ogni transazione è un passaggio da una condizione data a una condizione nuova che ripropone ai familiari la necessità di rielaborare le relazioni che hanno instaurato e di dare loro nuovi significati alla luce delle nuove condizioni (Cigoli, 1995).
La nascita di un figlio si può definire il passaggio per eccellenza perché, provocando l'entrata in scena di una nuova generazione, obbliga a una ridefinizione delle relazioni familiari e a una conseguente ridistribuzione dei ruoli, funzioni ed identità. La fase critica comporta la fatica di staccarsi da un'identità per passare ad un'altra, scelta non priva di dolore, legata alla trasformazione e alla paura di frammentarsi, di perdersi. Qualora la coppia coniugale sia in grado di superare questa fatica, la crisi diventa evolutiva, permettendo quindi una crescita individuale e di coppia. Il compito difficile della coppia coniugale è di portare matrimoni diversi in un unico modello comune che rispetti la diversità di ognuno, la propria stirpe, il proprio patrimonio genetico e culturale, ma che abbia al contempo una propria unicità. La nascita dei figli ha anche notevoli effetti sulla relazione coniugale. La cura della differenza è più importante nel momento in cui la diversità, che ogni coniuge deve riconoscere e rispettare nell'altro, si accentua con le nuove connotazioni di ruolo che fanno dell'uomo e della donna un padre e una madre.
La cura è la qualità tipica del legame familiare e possiamo individuarne diverse forme a seconda del legame considerato:
- la cura della differenza, che riguarda la relazione coniugale
- la cura della riconoscenza, che riguarda il rapporto tra figli e genitori
- la cura del dialogo, che riguarda il rapporto genitori e figli
- la cura del ricordo, che riguarda chi è uscito di scena.
Le generazioni sono coinvolte nella comune responsabilità di dare e ricevere cura; la famiglia è un luogo di scambio, la cura ne è il segno e il compito che accomuna le varie generazioni. Secondo lo psicoanalista Massimo Recalcati oggi si sta verificando un'esperienza inedita che ribalta la dialettica del riconoscimento: non sono più i figli che domandano di esser riconosciuti dai genitori, ma sono i genitori che domandano di essere riconosciuti dai figli. Infatti, una delle nuove angosce dei genitori è quella di non essere amati dai propri figli: per risultare amabili è necessario dire sempre sì, eliminare il disagio del conflitto, delegare le responsabilità educative altrove. La seconda angoscia è legata alla prestazione: l'insuccesso, il fallimento, lo scacco dei propri figli è sempre meno tollerato; di fronte all'ostacolo la famiglia si mobilita per rimuoverlo senza dare il tempo giusto al figlio di farne esperienza. Inoltre alte aspettative di realizzazione sui propri figli comportano un elevato carico di responsabilità e disagio, che spesso non permette a questi adolescenti di differenziarsi dalla propria famiglia e creare uno spazio di ascolto di sé e dei propri bisogni. Negli ultimi anni le famiglie arrivano sempre più con queste domande: come ristabilire i confini e i ruoli con i propri figli, figli che si sono appropriati dei letti matrimoniali, spazi di coppia inesistenti, genitori preoccupati e iperprotettivi, figli che lottano per essere visti come tali, regressioni evolutive importanti, domande che testimoniano un grande bisogno delle famiglie di non restare isolate con le loro paure. La terapia familiare può divenire uno spazio terzo, un contenitore in cui, con l'aiuto del terapeuta diviene possibile il recupero delle risorse e la costruzione di nuovi significati; separarsi non significa perdersi e sperimentare altrove non significa tradire. Ma se chi ha ben ricevuto è tenuto trasmettere tale modello alle generazioni che seguono, chi ha poco o malamente ricevuto tenderà a perpetuare l'ingiustizia? C'è un modo per uscire dal circolo vizioso e interrompere il determinismo di una catena quando essa è perversa? Secondo alcuni autori la nuova generazione può riuscire ad assolvere la generazione precedente dai suoi tentativi mal riusciti, se riesce ad arrivare a comprendere la verità della realtà relazionale; capire che un cattivo genitore è stato un figlio sfortunato può consentire di accedere a un criterio di giustizia che può liberare la relazione da una catena distruttiva. Per non rischiare l'adesione acritica al modello di relazione osservato nei genitori o la reazione oppositiva ad esso, risulta quindi importante narrare, recuperare la propria storia per poter appartenere, perdonare, scegliere cosa portare in una nuova relazione e cosa lasciare fuori. Intraprendere un percorso terapeutico implica lasciare il noto per l'ignoto; il noto implica fantasie di risarcimento di torti subiti nell'infanzia, l'ignoto richiama il peso e la responsabilità dell'individuazione e la differenziazione dai modelli relazionali negativi appresi nelle relazioni primarie (Corbella, 2003).
Fondamentale è la funzione del pensiero, trasmettere una funzione di pensiero e pensare con i pazienti. Il setting clinico con le sue caratteristiche di continuità, stabilità, presenza del terapeuta permette di sperimentare nel qui ed ora modalità di relazioni differenti. Tutto ciò è reso possibile se si stabilisce e si mantiene una buona alleanza di lavoro (Orefice, 2002).

BIBLIOGRAFIA
Andolfi M. (a cura di) (1999), La crisi della coppia, Cortina, Milano.
Boszormenyi-Nagy I., (1988), Lealtà invisibili, Astrolabio, Roma.
Cirillo S., Selvini M., Sorrentino A.M (1988), I giochi psicotici nella famiglia, Cortina, Milano.
Corbella S. (2003), Storie e luoghi del gruppo, Cortina, Milano.
Malagoli Togliatti M.(2002), Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia, Il Mulino, Bologna.
Malagoli Togliatti M.. (2002), Famiglie multiproblematiche, Carrocci, Roma.
Monguzzi F. (2006), La coppia come paziente, FrancoAngeli, Milano.
Orefice S. (2002), La sfiducia e la diffidenza, Cortina, Milano.
Recalcati M. (2011), Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Cortina, Milano.
Recalcati M. (2013), Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano.
Scabini E. (1995), Psicologia sociale della famiglia. Sviluppo dei legami e trasformazioni sociali, Bollati Boringhieri, Torino.
Scabini E., Cigoli V. (2000), Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Cortina, Milano.


Dott.ssa Iara Bonfanti
Psicologa psicoterapeuta sistemico-relazionale
iara.bonfanti@gmail.com

Dott.ssa Monica Molinari
Psicologa psicoterapeuta sistemico-relazionale
monica.molinari2@gmail.com


Genitori e figli
a cura del laboratorio di scrittura dell'Assoc. UmanaMente



Brainstorming




Quale significato ha per noi questo rapporto e come evolve nel tempo?



O:
Significa affetto, che però a me è mancato, soprattutto da parte di papà, che quando tornava a casa ubriaco mi picchiava con la cinghia: ho avuto un’infanzia molto difficile e questo me lo porterò dentro tutta la vita; solo prima che morisse, nel 2003, ho instaurato con lui un rapporto collaborante, positivo.

L:
Fra genitori e figli deve esserci una relazione ma non una relazione alla pari. Per me il figlio deve avere un ruolo e il padre deve avere un ruolo diverso. Il padre deve educare il figlio, cioè deve insegnare al figlio a vivere, e quando i genitori vengono a mancare il figlio deve essere capace di andare avanti senza i genitori. L’educazione può essere fatta in diversi modi, da bambino attraverso il gioco per i bambini invece per i figli più adulti va fatto più attentamente. Per me molti genitori picchiano i figli come segno di educazione per non fargli fare degli errori. L’educazione va fatta o attraverso parole o il gioco.

M.A.:
Certi genitori ammettono, anche con un certo compiacimento, di aver viziato i figli. Non c’è cosa peggiore: ‘togliere’ questi vizi sarà poi traumatico per i figli, che si vedranno sottoposti a un trattamento ben diverso da quello iniziale, ma senza poterne capire le ragioni. D’altra parte, anche quando i figli hanno raggiunto l’età matura, tanti genitori continuano a considerarli minorenni bisognosi della loro tutela.

S:
È la sindrome di Peter Pan.


Quando si può dire che c’è stato uno sviluppo sano del bambino?



M:
Se un bambino rifiuta di crescere, trasgredisce ogni regola, a casa o a scuola, e non studia, forse è perché ha una malattia: per esempio, è ritardato mentale.

S:
Per me lo sviluppo è sano anche quando si riesce ad affrontare le varie situazioni, con capacità ad essere autonomo e problem solving.

M.A.:
Perché lo sviluppo sia sano è anche necessario che il bambino sia rispettato fra i pari: se subisce prepotenze, deve chiedere aiuto e la famiglia deve darlo. Ma c’è il rischio che tema di deludere i genitori se chiede loro aiuto, oppure che i genitori stessi pensino che debba cavarsela sempre e comunque da solo. Se il bambino riesce a risolvere i problemi che ha da solo, è meglio, ma l’importante è che i problemi non restino irrisolti.

L:
Lo sviluppo è sano quando, crescendo, il figlio capisce gli insegnamenti del genitore e quando fare una cosa è bene o male.


Quando un figlio può essere definito bravo?



M:
Quando è ubbidiente.

L:
Quando non prende cattive strade.


Quali sono i compiti di un genitore?



M:
Doveri, obblighi e responsabilità dell’essere genitori verso i figli: anche in caso di separazione c’è il diritto del figlio a vedere l’altro genitore, per diritto di visita.

L:
Dare rispetto, educazione, affetto e sostegno economico, avere sentimenti buoni, avere delle emozioni con lui, sostenere il figlio sia moralmente che socialmente. Capire il proprio figlio.

M.A.:
I genitori hanno il mandato nei confronti dei figli minori di educarli secondo la legge dello Stato, non secondo altre leggi: se sono fedeli di un determinato culto, possono trasmettere un’educazione religiosa che sia rispettosa delle leggi dello Stato. Come dicevo prima, c’è poi la ‘zona grigia’ del figlio maggiorenne che non si è ancora del tutto separato dai genitori, dove non è facile capire che occorre smettere di essere tutori, pur restando genitori.


Quali sono i compiti di un genitore rispetto ai bisogni primari dei figli, quando un genitore è bravo?



S:
Dargli delle linee guida per potere intraprendere un cammino verso il mondo, insegnargli ciò che è giusto, le regole del vivere civile.

M.A.:
Il cammino per diventare un cittadino responsabile, che esercita e rivendica i propri diritti e adempie ai propri doveri, richiede interventi normativi. Ma anche in tali interventi, oltre che in quelli destinati alla cura e all’accudimento, è sempre necessaria la relazione affettiva. Ha anche il dovere di ascoltare e fare emergere col dialogo le inclinazioni e le aspirazioni.

M:
Il genitore deve rispettare le idee del figlio, lasciarlo parlare in casa dei propri problemi e dare sostentamento morale. Provvedimenti a carico del genitore che non ha queste caratteristiche e dei figli che non rispettano i propri doveri.

S:
Il genitore va aiutato… il figlio ha il dovere di studiare.

M:
Bisognerebbe che il genitore si facesse aiutare; il figlio, come un adulto, non deve rubare.

L:
Ci sono le leggi e chi le infrange le deve pagare.

M.A..:
I minorenni si trovano in una zona grigia, dove sono gli adulti a stabilire doveri e sanzioni in modo anche arbitrario.


Cos’è una famiglia?



L:
È costituita da persone con un legame di parentela e che spesso vivono insieme. Sono persone affiatate tra loro e con un buon rapporto; anche se a volte capitano litigi, si possono organizzare uscite, eventi. La famiglia si espande se nascono figli e se ciò succede il compito è di educare i figli sia verso la famiglia sia la società.

S:
È un nucleo.

O:
È un nucleo, un insieme di persone che condividono affetto.

L:
Condividono un progetto, quello dei figli.

La:
La famiglia è una relazione affettiva.


Evoluzione del rapporto genitori e figli nel corso degli anni



L:
Per me i genitori tendono a stare legati al figlio perché gli vogliono molto bene, perché l’hanno voluto: uno fa un figlio perché lo vuole. Pertanto, volendo molto bene al figlio, continuano a stargli dietro. I genitori dovrebbero orientare il figlio.

M.A.:
A proposito del modificarsi nel tempo dei rapporti e ruoli, i genitori dovrebbero aver chiaro quando smettono di essere tutori: è interessante che ci sono molti genitori che continuano ad esercitare un ruolo di tutore nei confronti di figli adulti non ancora indipendenti economicamente nel senso che prendono le decisioni per loro. Il problema nasce dal fatto che la piena o effettiva ‘adultità’ generalmente si raggiunge molto più tardi della maggiore età.

L:
Si evolve quando, alla maggiore età, il figlio prende le proprie decisioni e diventa maturo. Il che non corrisponde però all’indipendenza: quella viene successivamente. Nell’adolescenza uno è molto insicuro, mentre quando diventa maturo l’uomo vuole farsi una famiglia.

S:
L’indipendenza per me si acquisisce quando si fanno tante scelte da soli, oltre al fatto di farsi da mangiare, gestire la casa e la propria vita globalmente, sia economicamente sia per tutte le altre funzioni.


Ruoli dei genitori e figli nel corso del tempo



L:
Nell’età infantile per me il genitore deve essere sempre a fianco del figlio perché il figlio non sa fare nulla; i genitori che invecchiano tornano non autosufficienti come i bambini: è un passaggio naturale.

M.A.:
Non è sempre stato così perché, un tempo, l’anziano invecchiava meno, ma restando più autonomo, per cui non andava a carico dei figli.

La:
Ora poi il genitore si prende cura del figlio per molto più tempo.


Sensazioni che proviamo a vedere i genitori invecchiare



L:
Mi fa spavento perché la vita è fatta di un lasso di tempo e, nell’ultimo periodo, c’è gente che vive male, che non è più autosufficiente. Personalmente spero di non avere bisogno di un tutore; se dovessi essere io tutore dei miei genitori, cercherei di fare al meglio, ma ho dei problemi e quindi l’assistenza non riesco a farla.
L’invertire i ruoli succede anche durante la vita, a volte i figli insegnano ai loro genitori, hanno ragione su di loro durante una discussione. Una cosa non educativa è quando si picchiano i propri figli. Io ci vivo benissimo con i miei genitori; ho solo qualche problema per i soldi. In generale sto bene con la mia famiglia e anche con mia nonna.


Incontro con l’educatrice Maria Katia Monti sul tema genitori e figli



Per approfondire il tema Genitori e figli cercando di rispondere ad alcune domande emerse dal brainstorming l’associazione UmanaMente ha richiesto la partecipazione di una persona esterna che potesse attraverso la sua esperienza e competenza contribuire alla riflessione e alla conoscenza sul tema. Il socio Luca ha individuato Katia come persona che potesse aiutarci in questo compito e lei ha volentieri accettato di partecipare portando numerosi stimoli sia verbali che grafici.

Vorrei ringraziarvi per aver pensato a me per affrontare questo tema, in particolare Luca, che mi ha invitato. Sono brasiliana, ho cinquantacinque anni, sono sposata con un italiano e non ho figli. Lavoravo al Centro Diurno di Casalecchio, ora lavoro al Centro di Salute Mentale di Casalecchio come educatrice e lì faccio tante cose: mi occupo di relazioni individuali con le persone e di accompagnamenti. Amo molto il mio lavoro. Per i temi da voi proposti per questa discussione vi porto il mio vissuto di educatrice. Ho voluto prendere le parole più significanti, le parole più importanti delle frasi che mi avete mandato, facendo io una specie di brainstorming.

F: “ Due genitori hanno la proprietà di creare.”
M: “Noi abbiamo un legame con i nostri genitori.”

Fare il genitore è una cosa molto complicata. Oggi posso mettermi nei panni del genitore perché sono lontana da mio padre e ho messo l’oceano atlantico tra me e il mio genitore. Il genitore è una persona, un uomo, un lavoratore, un figlio, un marito. È’ tutto. Quando tu guardi un genitore da fuori vedi tutto questo, vedi una persona che può avere hobbies, interessi, che ha difficoltà, che può essere gentile e simpatico. Noi non scegliamo i genitori e nemmeno loro scelgono i figli. Pensando ai genitori mi vengono in mente tante cose. Avere il ricordo del genitore ci porta a pensare a tante cose. È quello che si prende cura, che genera la vita, che è dentro la relazione, che è con noi, e a volte contro di noi nel nostro percorso. Genitore è quello che non cambia mai. È sempre nostro genitore. È importante prendere atto di questo. Noi abbiamo una storia con lui. Bella o brutta, ma abbiamo una storia con lui, abbiamo un legame. Per cui è molto importante capire che il genitore è una cosa e noi un’altra. Loro sono loro e noi siamo noi.
Poi c’è il ruolo della madre e del padre. A volte i ruoli sono diversi, a volte si sovrappongono e forse alla mia età questo comincia a diventare più chiaro e aiuta a stare meglio. Il padre ha anche lui tante competenze, ha un ruolo, può formare una coppia e può andare bene o andare male, può andare avanti nel tempo o no. Per esempio nel mio caso quando avevo tre anni la mia mamma è morta e sono venuta su senza madre. Per cui c’è un ruolo per il padre e un ruolo per la madre ed insieme diventano una coppia che ha un ruolo diverso ancora.
Non bisogna dimenticare che questi genitori hanno dei sogni, dei desideri e delle cose dentro.
Io avevo una grande conflittualità con mio padre e non pensavo mai che lui aveva solo quegli strumenti che usava per educarmi. Io avrei voluto che fosse diverso, che mi crescesse, mi educasse e mi amasse in un modo diverso, ma lui non lo poteva fare. Noi pensiamo che i genitori sono potenti, che non sbagliano mai. Se noi pensiamo che loro possono fare errori possiamo pensare di perdonarli. Perché fare i genitori è un ruolo molto difficile.
Padre e madre uniti insieme nasce la relazione. È il modo di relazionarsi, parlarsi, stare insieme e scambiare. Uno ha avuto una educazione e l’altro un’altra e mettersi insieme e formare una coppia è molto complicato. Io vengo dal Brasile, dove ci sono colori, suoni, sapori e tradizioni, mentre mio marito è nato e cresciuto a Bologna e mettere queste persone insieme è molto complicato. Costruire la relazione è conoscersi, è avere dialogo. La relazione è verbale e non verbale. Le relazioni sono anche con le istituzioni, quelle per esempio che i genitori devono tenere con la scuola, con la chiesa eccetera.

Cos’è la famiglia?
M: “È un insieme di persone che sono legate da un vincolo.”
È’ un sistema. Un sistema allargato. È un vincolo. È una cultura e un insieme di cultura come nella famiglia di M. dove la mamma viene dalla città e il papà dalla campagna. È una istituzione. Ci sono modi diversi di fare famiglia oggi. La società è cambiata.
F: “La famiglia è una società di capitali.”
Una madre e un padre portano un ‘capitale’ di culture, informazioni ed esperienze. Nessuno può togliere i capitali che hanno le persone. La famiglia poi cambia nelle varie parti del mondo. Ci sono tanti modi di fare famiglia, oggi anche tra uomo e uomo o tra donna e donna. Nella famiglia poi esistono diritti e doveri e responsabilità.
‘Ruolo’ deriva dal latino rotulus (cartiglio): quando compri una bottiglia di acqua c’è una etichetta che dice da dove viene.
Questo è il nostro ruolo all’interno della famiglia. Noi abbiamo un’etichetta che ci dice come dobbiamo essere e comportarci all’interno della famiglia. Per carità non così rigido, ma essere figlio è un ruolo. Tu puoi svolgerlo bene o con difficoltà, non è una cosa semplice, ma esiste. Possiamo farci aiutare a capire quale è il nostro ruolo fuori e dentro la famiglia. Noi possiamo prendere il ruolo, oppure il ruolo ci viene assegnato. Per esempio il ruolo nell’associazione, ruolo in società, nelle istituzioni, in un gruppo appartamento.

La famiglia ha il ruolo di educare i figli.
Educare deriva da verbo latino educere, tirare fuori. Tirare fuori quello che tu puoi imparare, quello che io genitore ti propongo come educazione. Tu puoi accettarlo, ma può anche esserci il conflitto. Educare è formazione, insegnamento, istruzione, può essere fatto in modo autoritario o con autorevolezza. Autoritaria quando c’è imposizione e non viene tenuto in conto che l’altro ha un suo modo di pensare e di vedere la vita.

Essere bravo cosa significa?
“Avere dei valori”, “Comportarsi bene.” “A volte vuol dire anche solo soddisfare delle aspettative e quelle aspettative possono non corrispondere necessariamente a dei valori.”
A volte dire ‘bravo’ può essere in senso dispregiativo. In spagnolo e portoghese ‘bravo’ significa arrabbiato.
Bravo ha a che fare con le aspettative che ha un genitore nei confronti del figlio.
Nel dirvi tutto quello che vi sto dicendo ho cercato di tenere sempre presente quello che viene chiamato il ciclo della vita. I figli diventano adulti e anche genitori e ci sono aspettative che diventano reciproche. Tutti siamo stati dentro la pancia e abbiamo avuto una mamma che aveva aspettative. Poi un figlio cresce e diventa grande e non sempre le cose vanno come i genitori si aspettano. F: “I figli sono i bastoni della vecchiaia.” M: “I figli devono prendere la propria strada.” S: “Io sto cercando una mia indipendenza, ma nello stesso tempo sto cercando di aiutare i miei genitori.”
Compito del genitore, e del figlio quando c’è l’inversione dei ruoli nel ciclo della vita. Non per tutti vale la regola di aiutare i genitori anziani. Io a ventisette anni ho lasciato il Brasile e ho fatto la mia strada qui, lontana, e non sono il bastone della vecchiaia di mio padre, ma una volta all’anno prendo le ferie e vado un mese in Brasile e do una mano ai miei fratelli che invece hanno fatto figli e stanno vicino a mio padre. È molto difficile questo argomento, sia per i figli che per i genitori perché è un dolore. Poi dipende dalla patologia, ma è molto complicato. È però molto importante. Una via che si può prendere è quello della recovery.



I RACCONTI



Come è stato il rapporto con i genitori?
Quale l’educazione e i valori ricevuti?
Sei stata e sei un bravo figlio/a?
Come si è evoluto il rapporto nel tempo?
Come la malattia ha cambiato questo rapporto?




Roberta

In generale il mio è un bellissimo rapporto con entrambi i miei genitori, ci confidiamo e ci scambiamo opinioni su tutti gli argomenti. Mi sento molto considerata e posso dire di essere stata anche un po’ viziata, questo non so se sia stato positivo o meno, in quanto mi sono un po’ appoggiata. Sono due professionisti ed entrambi mi hanno sempre stimolato a fare bene le cose, quasi in modo perfetto. I valori che mi hanno inculcato sono: lealtà, onestà, rispetto, senso del dovere e senso dell’unità della famiglia. Da piccola ho seguito sempre i loro consigli, tanto da diventare la prima della classe, perché era un modo per soddisfare le loro aspettative, ma questo mi ha creato delle inimicizie fra le mie compagne. Mi davano continuamente della secchiona ed erano un po’ complessate nei miei confronti e io lo avvertivo; avrei voluto stare con loro tranquillamente e invece sentivo la loro competizione, mentre io studiavo anche per me stessa, per l’orgoglio di far bene e per la voglia di imparare. Durante la mia crescita, però, ho seguito sempre meno i consigli dei miei genitori, ho iniziato a valutare la loro educazione che mi sembrava troppo rigida e mi sentivo quasi costretta a seguire i loro consigli, così ho iniziato a decidere da sola quando e quanto studiare. Questo è successo negli ultimi anni delle superiori. Avevo iniziato a studiare meno e a uscire di più. Era avvenuta in me una ribellione. Mia madre lo ha capito per prima e poi anche mio padre lo ha accettato ed entrambi se ne sono fatti una ragione. Hanno capito che desideravo più libertà. Sono cresciuta con la voglia di trasferirmi in un’altra città e di staccare il cordone ombelicale dai miei genitori. Dopo un primo periodo di studi universitari, ho smesso perché non mi piaceva l’ambiente, era scarso di stimoli culturali. I miei mi hanno lasciata libera ed erano contenti che io decidessi di fare ciò che più mi piaceva. Durante quel periodo ho avuto una piccola crisi e mi sono fatta seguire da una brava psicologa privata che mi ha aiutata molto, riportandomi alla tranquillità. I miei genitori, in quel periodo, mi hanno ascoltato e accompagnato dalla psicologa facendo anche loro dei colloqui. Mi sono sentita supportata, aiutata e mi sono stati di grande aiuto nel superare quel momento di difficoltà, infatti, dopo ho ripreso gli studi e ho cominciato a lavorare. Posso dire che anche più avanti negli anni, quando mi sono laureata e pensavo di avere trovato la mia strada, loro mi sono sempre stati vicini, in particolare quando ho avuto il momento di difficoltà più grande, in cui ebbi una vera crisi psicotica, anche in quell’occasione i miei mi hanno aiutato molto avvicinandosi e decidendo con me come lottare e vincere la malattia. Mia madre ha deciso di trasferirsi da me proprio per aiutarmi nel percorso di guarigione. Ad oggi io sto molto meglio grazie al suo aiuto e sono diventata io un supporto per lei tanto da avere creato un rapporto di interdipendenza positiva e aiuto reciproco. Mi sento di essere stata una brava figlia e di avere cercato di portare avanti i valori e la voglia di crescere e migliorarmi e sento che i miei genitori sono orgogliosi di me e me lo fanno capire.


F. B.

Il mio rapporto con i genitori è sempre stato buono. Mi hanno fatto fare la scuola, seguivano le riunioni con i professori e si interessavano a me. Mia madre proviene da una famiglia contadina con una mentalità antica, c’è l’idea della donna come domestica o come persona che ha il dovere di accontentare il marito. Mia mamma è cresciuta nella povertà, veniva dalla campagna invece mio padre dalla città e stava meglio economicamente di famiglia. I miei genitori, in passato ogni tanto litigavano ma sono riusciti a stare insieme anche se provenienti da due mondi diversi. Mia mamma è pugliese mentre mio padre è del nord. L’educazione che ho ricevuto è stata improntata alle regole del comportarsi bene, i miei genitori si sono sempre presi cura di me e di mio fratello. Ci hanno sempre vestito bene e ci facevano uscire sempre in ordine.
Posso dire di avere ricevuto una buona educazione, i miei genitori mi hanno trasmesso il valore dell’amicizia, e poi anche economicamente non mi hanno mai fatto mancare nulla. A diciotto anni i miei genitori ci hanno comprato la macchina ad entrambi. Quando mi sono ammalato di depressione avevo già trentacinque anni e il mio disagio era legato a problemi di lavoro. Mia madre mi è stata molto vicino e mi ha aiutato, con coraggio e con amore mi ha tirato fuori. Tutta la famiglia di mia mamma mi è stata vicino. Anche le mie zie mi sono state sempre vicino. Mia mamma disse che lei aveva fatto un figlio malato e che lei lo avrebbe aiutato a guarire e stare meglio. La malattia non ha cambiato il rapporto con i miei genitori, loro non mi hanno fatto pesare le cose pratiche di casa, infatti mi hanno lasciato la gestione dei miei soldi. Anche prima della malattia il mio rapporto con i genitori è sempre stato sereno. Per me il figlio ha il compito di essere il bastone della vecchia dei genitori e mantenere economicamente la famiglia, essere presente e di aiuto se qualcuno sta poco bene, accompagnare alle visite mediche. Essere presente nei bisogni. Personalmente penso di essere stato un bravo figlio, credo che i miei genitori siano orgogliosi di me, perché sono autonomo e per loro questo è importante. Per i miei genitori è importante che io continui ad assisterli e a star loro vicino.


Laura

I miei genitori hanno trasmesso a me e mio fratello valori molto forti: rispetto, onestà. Sono sempre stati molto amorevoli e vicini in tutto. Vengono da due esperienze di vita simili, mio padre è stato abbandonato dalla madre e mia mamma è rimasta senza madre a tre anni. Queste esperienze li hanno resi molto uniti come coppia. Il loro scopo come genitori era dare a noi tutto quello che loro non avevano potuto avere. Hanno fatto tanti sacrifici anche economici per costruire per noi.
Da questo punto di vista mi sento fortunata, anche se all’interno di questo rapporto ci sono state comunque delle insidie, perché anche dare tutto non sempre può fare bene. Infatti io e mio fratello abbiamo due esperienze contrapposte, lui ha seguito quello che loro ci hanno insegnato mentre io spesso mi sono approfittata della libertà data dai miei genitori e ho anche trasgredito. Dopo un periodo in cui posso dire di averli ingannati sono crollata e per loro è stato molto grave scoprirlo. Io sono stata molto brava ad ingannarli, avevo una facciata di vita, ma in realtà c’era un risvolto oscuro.
Le prime persone a cui ho detto del mio crollo sono stati i miei genitori. Loro, insieme, hanno fatto muro e sono stati capaci di mettermi davanti alle mie responsabilità con durezza, mio fratello, mia cognata, gli amici e i colleghi. Grazie a questo sono riuscita a fare il passo per venirne fuori.
È stata la svolta decisiva, se non avessi avuto terra bruciata forse avrei continuato. C’è stato un crollo della fiducia da parte loro, ma non mi hanno mai fatto mancare la loro vicinanza. Ora siamo in una fase di ricostruzione del rapporto, stiamo esaminando le dinamiche familiari, anche quelle che sembravano idilliache. Attualmente io credo che la fiducia al 100% non l’avrò mai più, anche se loro dicono che non è vero. Per ora non ci sono state da parte mia delle ricadute, anche perché stiamo facendo una terapia familiare che ci aiuta a rivedere anche il nostro modo di comunicare. Loro sono sempre stati presenti, dal ricovero in clinica alla comunità e con gli specialisti per le terapie e al club degli alcolisti. A volte non mi sento una brava figlia, perché mi rimprovero di averli ingannati e non avergli fatto vedere chi ero sotto sotto, tradendo la loro fiducia. Per altri versi invece mi sento di essere sono stata brava, perché ho il valore del lavoro, mi sono diplomata e ho fatto carriera in azienda.


Oriano

La mia è stata un’infanzia difficile, soprattutto per via di mio padre. A volte rientrava alticcio e mi picchiava con la cinghia; mia madre, per proteggermi cercava di farmi uscire, ma non ci riusciva sempre. Con mia mamma avevo un buon rapporto.
Mio padre non l’ho mai odiato, anche se non ha mai chiesto scusa. Una volta al mese vado a trovarlo al cimitero con dei fiori. Lui è morto a settantacinque anni per un cancro ai polmoni. Io ne avevo quaranta. Per un periodo io e mia madre andavamo a trovarlo tutti i giorni. È stato difficile. Devo ringraziare mia madre di avermi sempre seguito. Lei andava alle riunioni a scuola. È stata lei a consigliarmi la scuola: il liceo scientifico. Le sarò sempre grato. Mia mamma mi ha dato una buona educazione. Avrebbe voluto che io studiassi. Dopo il liceo avevo iniziato l’università. L’ho interrotta a ventidue anni.
Avevo dato quattro esami. Avevo iniziato a bere, mi sentivo prostrato. L’ho interrotta quando ho iniziato a prendere gli psicofarmaci, poi il ricovero nel ’97. Io mi compravo libri a quindici anni, come quello di Baudelaire I fiori del male o Moby Dick. I miei genitori mi hanno trasmesso il senso del dovere e del lavoro, soprattutto mio padre, che era muratore. La mamma faceva le pulizie. Mi sento di essere stato abbastanza un bravo figlio. Sono figlio unico. A volte mi rimprovero di avere offeso mia madre per delle inezie. Non la vedo da diversi anni perché sono sorti dei problemi.


Mel Ancony

L’ambiente familiare è stato molto malsano a partire dalla più tenera età, soprattutto per me, che ero l'ultimogenito, distanziato di sei anni dalle mie sorelle e di quasi nove da mio fratello. Sia con i genitori che con i fratelli, nessun rapporto era funzionale alla crescita e allo sviluppo. Mio fratello, A. mi prendeva in giro, mentre una delle mie sorelle, E., mi criticava senza alcun motivo, salvo forse la gelosia per presunti trattamenti di favore. L'altra mia sorella, I., mi amava teneramente, ma anche questo non era un rapporto sano. Fu lei stessa a dirmi, in seguito, che mi considerava una sorta di ‘parafulmine’ delle negatività familiari. Peraltro, I. veniva criticata per certi suoi atteggiamenti e considerata ‘matta’. Io non ero considerato ‘matto’, bensì ‘il piccolo’, ma questo non era un problema da meno: sarebbe stato naturale e accettabile essere considerato ‘il piccolo’ in una prospettiva evolutiva, ossia orientata alla crescita e allo sviluppo; ero invece considerato tale in una prospettiva permanente. Verosimilmente, gli stessi miei fratelli non mi consideravano un fratello, ma qualcosa di diverso, forse un figlio, oppure un giocattolo. Tutto ciò accadeva sotto gli occhi distratti dei genitori, che forse intervenivano qualche volta, ma non abbastanza: non capivano che era loro compito di garantire che io fossi rispettato. Si preoccupavano di più che la ‘matta’ I. non mi contagiasse. Odiavo mio padre per la sua sporcizia, mentre ammiravo mio fratello A.: nonostante la sua giovane età, in famiglia era un vero opinion leader, capace di influenzare tutti, compresi i genitori; inoltre, lo vedevo molto influente anche all'interno dei suoi pari. Io, al contrario, non mi sentivo all'altezza dei miei pari; contemporaneamente, in famiglia ero considerato ‘il piccolo’, nel senso chiarito in precedenza. Rispetto a mio padre, mi è occorso più tempo per rendermi conto delle inadeguatezze di mia madre. La mia famiglia è nata dall’unione di una suora fallita e di un prete fallito. Mio padre, considerato in famiglia un figlio maschio di minor valore rispetto al fratello maggiore, era entrato in seminario, non so con quanta convinzione personale o se subendo condizionamenti familiari: comunque, non è riuscito a farsi prete. Mia madre aveva trascorso l'infanzia in molti istituti di suore, dove subiva una lunga serie di vessazioni, a me ben note, perché le raccontava a tutti noi in continuazione. Eppure, avrebbe voluto farsi suora. Sembra che questo suo desiderio sia stato avversato perché la ritenevano di salute troppo cagionevole: come madre di quattro figli, non è certo la salute fisica che le è mancata. Sia a lei che a suo marito è mancato ben altro. Entrambi riversavano in famiglia tutti i loro conflitti di derivazione religiosa; non so mio padre, ma almeno mia madre ha sempre continuato a parlare della sua religione come se la amasse. L'effetto di questi continui riferimenti al cattolicesimo, a livello di storie di vita o di vissuti, non è stato lo stesso su tutti i figli. A. e I. hanno maturato posizioni non estreme rispetto al cattolicesimo, restando a loro modo credenti. Tale effetto si è invece polarizzato su E. e su di me: E. si è fatta suora di clausura; al contrario, io ho completamente abbandonato il cattolicesimo, non solo a livello di credenze ma anche di valori. L’unico valore che ho mantenuto è laico: la parsimonia. Per spirito di sacrificio, i miei genitori sono stati esemplari. Con un solo stipendio di maestro elementare, non solo hanno ‘cresciuto’ quattro figli, ma hanno consentito a ciascuno di loro di laurearsi e di divenire, a suo tempo, proprietario della propria abitazione. A livello dei doveri, io ho sempre fatto quello che normalmente ci si aspetta da una persona del mio stato, ma senza molta convinzione perché nei miei confronti non percepivo aspettative di crescita. Però non ho mai sentito l’apprezzamento di nessuno. L’abbandono della religione cattolica è stato un percorso necessario, ma talmente gravoso da minare la mia salute. Benché senza molta convinzione, i miei genitori non hanno ostacolato i miei tentativi di curarmi. Il malessere si è evidenziato in coincidenza col passaggio all’età giovanile. Rimpiango di non essere stato consapevole che, da adulto, avrei dovuto o studiare o lavorare: me ne sono reso conto solo molto più tardi. Ero iscritto all’università ma ‘filosofeggiavo’ senza dare esami; sarebbe stato compito dei miei genitori trovare il modo giusto di farmelo capire ma non è accaduto. È difficile pensare di essere stato un bravo figlio, o no, in assenza di aspettative. I miei genitori non mi hanno mai rimproverato, ma non sono mai stati orgogliosi di me: forse erano orgogliosi della mia intelligenza, ma l’intelligenza non sono io. Loro sono scomparsi ormai da molti anni, i miei fratelli ci sono ancora. Con A. ho ricostruito un ottimo rapporto, senza alcun rancore, e continuo ad avere un ottimo rapporto con I., magari più sano. Con E. non ho rapporti ma, paradossalmente, sono quello che meglio accetta la sua scelta. Fosse rimasta nel mondo come laica o anche come suora non di clausura, avrebbe fatto danni che dal suo convento di clausura non può fare.


Stefano

Mio padre si chiama Mario e mia mamma Maria. Siamo due figli: io e mio fratello maggiore. Entrambi abbiamo fatto le scuole dai Salesiani fino alle medie, poi mio fratello scelse il liceo scientifico ed io l’istituto tecnico industriale, poi studiai disegno tecnico al serale e feci l’operaio da mio padre. Sono sempre stato ribelle e ho frequentato delle compagnie di amici che non piacevano molto ai miei. Quello che ero io una volta lo rivedo nei giovani di adesso. Mi sentivo all’avanguardia. Ho avuto un’educazione cattolica e i miei genitori mi hanno insegnato valori importanti come, l’onestà, l’amicizia, la solidarietà, il rispetto e la sincerità. Come figlio non mi rimprovero nulla perché non ho mai fatto del male ai miei genitori, forse però li ho delusi a volte perché frequentavo certa gente invece di lavorare. Penso che il nostro rapporto sia molto bello. I miei genitori sono ancora molto in gamba, nonostante abbiano più di ottant’anni, e vogliono un gran bene a me e a mio fratello. Io sento che loro ci sono sempre per me e hanno sempre cercato di aiutarmi quando stavo male. Ed io mi sono ammalato quando ero molto giovane e ho fatto diversi ricoveri e li ho sempre sentiti vicini. Ogni tanto, anche adesso, scatta un po’ di lite perché faccio fatica a stare alle regole. I miei mi vogliono bene. Loro ci sono per me e io ci sono per loro.



NEI PANNI DEL GENITORE



Cosa significa e comporta essere genitori alle prese con alcune importanti tappe del ciclo della vita?
A questa domanda si è cercato di rispondere attraverso un role playing, in cui sono stati interpretati i ruoli di madre, padre e figlio da alcune persone del gruppo.
Coloro che interpretavano questi ruoli erano protagonisti, gli altri spettatori. Un conduttore intervistava i protagonisti rispetto al propri vissuti e consentiva al pubblico di intervenire in specifici momenti.




La fase dell’attesa

La futura mamma è incinta e molto felice, perché sembra che la gravidanza proceda bene.
Il futuro papà è molto emozionato e premuroso nei confronti della compagna a cui cerca di stare vicino.
Vuole aiutarla e servirla affinché non faccia sforzi o abbia preoccupazioni. Il papà spera che il nascituro abbia qualcosa di lui e fantastica su come sarà.
Come coppia stanno pensando al nome e sono aperte diverse possibilità.
Per il momento hanno deciso di non voler sapere il sesso, ma forse certi esami che dovranno fare lo indicheranno.
Se sarà femmina si chiamerà Penelope, se maschio Pablo o Felix.
Ci sono altre persone però, come amici e parenti, che vorranno dare consigli sul nome.
La stanza per il bambino si sta preparando e mancano le ultime cose.
Da più di un anno vivono insieme come coppia e hanno già la casa.


La nascita e i primi passi

Il bambino sta per nascere e in sala parto ad aspettarlo c’è anche il papà. La mamma desidera che sia lui a tagliare il cordone ombelicale. Appena nato la mamma lo prende in braccio e poi lo passa al papà: “accarezzargli la testa e i capelli è la cosa più bella del mondo”. “Non vedo l’ora di portarlo a casa ed iniziare questa nuova vita insieme.” È un maschio, si chiama Felix. Il bambino cresce e continuano le scelte dei suoi genitori per la sua vita. Il nido e poi l’asilo. La mamma desidera tornare a lavorare a tempo pieno dopo essere stata a casa i primi mesi, ma il papà vorrebbe che stesse vicino al bambino. Forse un part-time. Papà lavora fino a tardi ed è meno presente del previsto, quando torna dal lavoro il bambino desidera giocare con lui. Cresce bene ed è tranquillo, i genitori sono contenti di lui.


La scuola elementare

La scelta non è semplice tra scuola pubblica e scuola privata. Si ipotizza di avere un altro figlio, di dare un fratellino a Felix.
Felix sembra troppo viziato, un fratellino però gli toglierebbe attenzioni. Felix andrebbe preparato.
A scuola Felix va volentieri, è un bambino vivace e a volte gli scappa un brutta parola, ma le maestre dicono che va bene ed ha buoni voti.
Ad aiutarlo con i compiti ci sono la mamma e il papà. Il papà più con la matematica, la mamma con l’italiano.


L’adolescenza

Felix comincia ad essere grandicello ed è difficile prendere delle decisioni rispetto alle richieste che comincia a fare.
Difficile decidere se accontentarlo e come contrattare sul motorino in particolare e sul cellulare.
I voti a scuola sono importanti ed anche lo sport può essere un luogo valido dove investire energie e risorse.
Mamma e papà sono propensi ad accontentarlo, ma è importante fargli capire che non è tutto dovuto.