Piergiorgio Fanti

Carlo Carrà: “Partita di calcio”

Fabio Tolomelli

Editoriale

Antonio Marco Serra

Infanzia e neurogenesi

Matteo Bosinelli

Ma guarda un po’…

Massimo Fiorini

Fece bene

Daniela Mariotti

Poesia in prosa: I miei più teneri ricordi d’infanzia

Augusto Mocella

Due cani

Tina Gualandi

I miei nonni

Augusto Mocella

Fotogramma

Massimiliano

Il piccolo Massy

Darietto

Un ragazzo molto sensibile

Paola Scatola

Poesia / Papà / Sorriso

Concetta

La mantellina all’uncinetto

Tina Gualandi

Sono stata un angelo

Marco-Fa’

I ricordi dell’infanzia

Mariangela

La mia infanzia

Edoardo Bellanca

Il sasso nello stagno

Giovanni Romagnani

La notte di note

Luigi Zen

La polenta e lo Zen

Francesca

I miei pensieri

Daniela Mariotti

16 febbraio 2015

Cristicchi

Casi clinici 4: Il piccolo Hans

Daniela Mariotti

Gennaio silenzioso

Daniela Mariotti

Sogno

INSERTO
      Daniela di Fabbio     La memoria del passato: che dire?
IL TIMONE
      Flavio     Una strada e tre bimbi

Giovanni Romagnani

Lo sfogatoio

DEDICATO AD ARIANNA Lo spazio della poesia

 

      Paola Scatola     Io e te
      Paola Scatola     Ogni tuo cantico su di me
      Daniela Mariotti     15 febbraio 2015
      Loopa Sonivree     I ricordi d’infanzia
      Daniela Mariotti     Poemetto: Infanzia felice / infelice
      Marcella Colaci     Galatina
      Ermanno Bitelli     Non potevi
      Ermanno Bitelli     Giglio 3
      Marcella Colaci     Dormi Marcellina, dormi…
      Daniela Mariotti     8 Marzo
      Daniela Mariotti     Se passerà di qui
      Marcella Colaci     Quando
      Lucia Luminasi     La casa dei vicini
      Marcella Colaci     Palla

Lab. Narrativa Casa Mantovani

Tra sogno e realtà

Centro Diurno Casalecchio

Le memorie del bambino

Associazione UmanaMente

I ricordi di infanzia

Darietto

Dazzenger

Associazione UmanaMente

Approfondimento su “L’abitare supportato”

***

La Posta

Massimo Fiorini

Il safari fotografico

Oriano Conti

L’arte della memoria

***

Soluzione dell’indovinello

 

                                                                                                                                                                                               
CARLO CARRÀ: “PARTITA DI CALCIO” – 1934 OLIO SU TELA

   Piergiorgio Fanti


I miei ricordi d’infanzia più piacevoli sono legati ai viaggi colla mia famiglia. Mi ricordo la gioia quando mio padre ci portò in auto a visitare buona parte della Francia e a spingerci fino in Spagna, a Barcellona. A parte i viaggi, i ricordi più belli sono legati al giuoco sportivo. Abitavo e abito tuttora in un palazzo che, assieme ad altri, racchiude un cortile-giardino in cui io giocavo con dei miei coetanei. Mi piaceva soprattutto il calcio. Non c’era posto per giocare sull’erba e quindi dovevamo accontentarci di tirar calci al pallone sul cemento, ma era già come toccare il cielo con un dito.
Il quadro qui a lato, tratta proprio del giuoco del “calcio”, e ritrae gli atleti, un po’ come “fantocci”, un po’ come eroi; è opera di Carlo Carrà (Quergneto, Alessandria, 1881 - Milano 1966). Nella storia della pittura di Carrà si riassumono vicende essenziali della pittura italiana del XX secolo. Iniziò come divisionista, fu poi tra i firmatari del primo manifesto futurista e fin d’allora Carrà cominciò ad affidare anche agli scritti le sue meditazioni. Fu metafisico; confluivano intanto nella sua pittura suggestioni primitivistiche; in seguito, la sua opera può definirsi legata ad una sorta di realismo magico. Negli ultimi trent’anni di vita, la pittura di Carrà non si distanziò da questi modi, anche se suggerì maggiori nessi col vero naturale.

EDITORIALE

  Fabio Tolomelli


Sarò ovvio, ma per 'ricordare' si intende avere presente un fatto o un’emozione vissuti nel passato. Non essendo un professionista della psicologia non posso e non voglio improvvisare dati scientifici. Tuttavia penso che a tutti è capitato di cercare di ricordare un fatto, una situazione o anche un sogno e non riuscire proprio a riportarlo alla mente. Viceversa, nei momenti più impensati, tornano alla mente fatti di cui ci eravamo completamente scordati. Altre volte, addirittura, ci capita di avere la sensazione che un fatto che sta avvenendo lo abbiamo già vissuto: è il caso dei déjà-vu. Questo per arrivare a dire che la memoria, come del resto tutte le altre facoltà della mente, non è poi così prevedibile. Anche lo stato d'animo influisce sul ricordo. Generalmente i ricordi, per quanto brutti, una volta ripescati, perdono una parte della loro dolorosità. In altre situazioni, magari se si è un po' giù, il ricordo può far male.
E cosa c’entra questo con l'infanzia? Sì, è molto importante, perché per 'infanzia' si definisce il periodo che va dalla nascita ai dodici anni di vita. Nessun bambino è in grado di sopravvivere senza l'aiuto dei genitori o di qualcuno che si prenda cura di lui. In questo periodo così importante per la crescita fisica è fondamentale la cura della sfera psicologico-sociale. Esperienze negative, o anche apparentemente ininfluenti, possono causare traumi che condizionano la personalità e il suo sviluppo.
Personalmente alcuni traumi da giovane li ho subiti e ci sto lavorando sopra con lo psicologo.
Mi sono capitate cose che non ho avuto il coraggio di raccontare ai miei genitori. Non so per quale motivo. Riordinare i ricordi d'infanzia può essere utile a capire come si è ora e perché, o come mai ci si è comportati inadeguatamente in talune circostanze.
Stare bene significa anche non avere paura del passato o di cosa si è fatto. Lasciare libera la mente di volare, anche sul passato, pensando che è passato e non torna più e non ti fa più soffrire tanto, è importante. Il tempo aiuta ad aggiustare le sofferenze. A me sono stati necessari vent’anni di cure psichiatriche. Forzare i tempi può essere inutile o talvolta dannoso. Bisogna stare in equilibrio con quello che si racconta in psicoterapia. Parlare di cose che fanno male può generare grande sofferenza. Quello che consiglio è un passettino alla volta. Così i ricordi d'infanzia torneranno a fiorire come gemme di primavera.

INFANZIA E NEUROGENESI

   Antonio Marco Serra

“Amo la vita così ferocemente, così disperatamente,
che non me ne può venire bene. Dico i dati fisici della vita:
il sole, l'erba, la giovinezza. È un vizio molto più
tremendo di quello della cocaina, non mi costa
nulla e ce n'è un'abbondanza sconfinata.
E io divoro, divoro... Come andrà a finire, non lo so”.

Pier Paolo Pasolini

Il primo ricordo che ho di questa vita risale a un attimo dopo che uno spermatozoo di mio padre si è congiunto con un ovulo di mia madre, ricordo perfettamente la frase che, con un senso di profondo disappunto, ho pronunciato in quell’occasione: “Accidenti, mi hanno incastrato un’altra volta, di nuovo incarnato! Eppure stavo così bene, là dove stavo! Devo avere scordato di pagare la pigione della casa che abitavo nell’Iperuranio”.
Ovviamente scherzo, anche se per chi crede nella reincarnazione, nella trasmigrazione delle anime, nella metempsicosi e simili, non dovrebbe essere qualcosa di troppo bislacco. Intere culture e religioni si sono basate su queste convinzioni, e questi concetti hanno spesso fatto capolino anche nella nostra cultura occidentale. Ma lasciamo stare, ci torneremo più avanti.
Perché ricordiamo così poco della nostra prima infanzia? Perché vorremmo ricordarne di più? Perché quei pochi ricordi che ci restano, rivestono per noi una così grande importanza?
Per una strana coincidenza, il mio primo ricordo sicuramente databile, riguarda proprio il ricordare: mancavano pochi giorni al mio quarto compleanno, ed io saltellavo gioioso per l’approssimarsi di questo evento, quando un pensiero che aveva per me una valenza dirompente (e proprio per ciò, immagino, mi è rimasto impresso) ha attraversato la mia mente: “Se questo è il mio quarto compleanno, vuol dire che prima deve esserci stato il terzo e il secondo e il primo. Eppure non ho alcun ricordo di ciò, come è possibile?”, ed era una riflessione davvero disturbante. Eppure oggi richiamare alla mente questo ricordo induce in me solo un senso di piacevole benessere.
Credo sia un’esperienza piuttosto diffusa il fatto che i ricordi dell’infanzia, indipendentemente dal fatto che siano piacevoli o sgradevoli, dopo molti anni vengono riguardati da noi con affetto e tenerezza.
A me poi succede ancor oggi, che mentre sono in tutt’altre faccende affaccendato, improvvisamente, e senza alcun motivo plausibile, mi si presentino alla mente dei ricordi della mia infanzia, e questi ricordi (talvolta anche oggettivamente sgradevoli) si accompagnano a uno stato di assoluta beatitudine, persino un po’ ebete.
Oggi esistono delle nuove teorie che cercano di spiegare la cosiddetta ‘amnesia infantile’ relativa alla prima infanzia. Pare che la responsabile sia la neurogenesi, ovverossia la creazione di nuovi neuroni, che, contrariamente a quanto si credeva sino a non molto tempo fa, continua ad avvenire per tutta la vita dell’essere umano, in alcune regioni del cervello (in particolare nel giro dentato dell’ippocampo) anche se con ritmo calante al crescere dell’età. Questi nuovi neuroni devono integrarsi con quelli già esistenti, creando con essi nuove connessioni (sinapsi) che vanno a sostituire quelle più vecchie, causando l’amnesia. Beninteso, si tratta ancora solo di ipotesi, quello che è stato dimostrato è che nei topi, aumentando con dei farmaci questo processo di neurogenesi, si osserva un’amnesia di alcuni ricordi passati. Chissà se hanno posto i topi sotto ipnosi, per indurli a rivelare i propri ricordi più privati! Poveri topi! E questi ricordi sono davvero spariti, o è solo molto difficile farli riaffiorare alla coscienza? Chissà.
En passant voglio notare che sempre più studiosi sostengono che esista una forte correlazione tra neurogenesi e depressione, ed è stato dimostrato (sempre nei poveri topi, però) che un trattamento cronico con antidepressivi porta ad un incremento della neurogenesi. Ma prima di disporre (sempre che ciò accada) di una nuova generazione di antidepressivi che si basino su questi principi, dovrà passare un bel po’ di tempo.
Un altro aspetto, per me interessante, è che l’amnesia infantile è fortemente legata alla cultura dove il bambino nasce e si forma. Alcuni studi al riguardo hanno mostrato che la soglia d’età al di là della quale è molto difficile mantenere dei ricordi, è mediamente di sei anni per i Cinesi, di tre anni e mezzo per gli Europei e per gli Statunitensi, di due anni e mezzo per i Maori della Nuova Zelanda. Sembra che ciò dipenda dalla “cultura del racconto” che si instaura fra madre e figlio nei primi anni di vita: le madri europee e statunitensi raccontano le esperienze vissute in comune in modo più dettagliato di quanto non facciano le madri cinesi, ma meno dettagliato rispetto alle madri maori, presso i quali la storia della famiglia e del proprio passato fa parte integrante della tradizione.
A ben vedere ci troviamo in una situazione abbastanza paradossale: se è vero, come è opinione comune, che i primi anni di vita hanno un’importanza fondamentale su tutto lo sviluppo successivo della vita umana, ci troviamo nella curiosa situazione in cui la parte più importante della nostra vita è preclusa al nostro sguardo. O non sarà forse proprio perché questa parte di noi è oramai al di fuori della portata del nostro io cosciente, che essa risulta così fondamentale nel nostro costituirci come esseri umani?
Ma perché mai siamo così affezionati ai nostri ricordi d’infanzia, perché vagheggiamo il bel tempo andato, anche se a ben vedere in tanti casi non era poi così bello? Ma è poi davvero così? Ammetto che a volte volgere lo sguardo ai tempi remoti dell’infanzia è piacevole, ma devo confessare di avere molta più nostalgia di ciò che non sono mai stato, di ciò che avrei potuto essere, che non della mia infanzia.
Ricordo un interessante film di parecchi anni fa, del regista belga Jako Van Dormael: Toto le Hèros, in cui il protagonista ha la convinzione di essere stato scambiato nella culla con un altro bambino, e per tutta la vita osserva cosa accade a quest’altra persona (che secondo lui conduce una vita molto migliore della propria), sino a che, ormai vecchio e ricoverato in una casa di cura, concepisce l’idea di ucciderlo, per vendicarsi di colui che, a suo modo di vedere, gli ha rubato la vita che gli era destinata.
Ma qui non si tratta di vivere una vita al posto di un’altra, ma di viverle tutte, una dopo l’altra. E magari di viverne tre o quattro insieme!
Platone, sulla scorta della sapienza eleusina, sosteneva che questa nostra vita è una tetra prigione da cui occorre liberarsi; il buddhismo, in fin dei conti, non è altro che la rivelazione di una strada che conduce a porre termine alla catena infinita delle esistenze, viste esclusivamente come fonte di sofferenze: “sarvam duhkham”, “tutto è dolore”. Io davvero non li capisco: l’uomo è fatto per vivere, che siano una, diecimila o un milione di vite, poco importa. Vivere nella gioia (che non è mai disgiunta da tratti di sofferenza) e vivere nella sofferenza (che non è mai disgiunta da tratti di gioia), cogliendo il bello che vi è nella gioia e il bello che vi è nella sofferenza. E cogliendone, perché no, anche il brutto. Avvoltoliamoci in ogni aspetto della nostra vita e comprendiamo infine che l’unico scopo e il fine ultimo della nostra vita è uno solo: quella di viverla.

MA GUARDA UN PO’

   Matteo Bosinelli


Dopo aver praticato per anni (ovviamente come paziente) la psicoanalisi, questa mi ha insegnato una sostanziale ‘verità’. E cioè che lo ‘scandagliare’ la propria infanzia ha dei limiti invalicabili, oltre i quali non si può andare.
La nostra ‘prima gioventù’ ci guarda allora come un bambino dispettoso e, forse, anche un po' ironico e sembra dirci: "Ma guarda un po', adesso ti molesto ancora, talvolta, ma ti faccio anche sorridere, talaltra".

FECE BENE

   Massimo Fiorini


Il mio ricordo d’infanzia risale a quando avevo dieci anni. Eravamo in un ristorante e facevo l’asino tra i tavoli rubando le posate o inserendomi nei discorsi. A un certo punto mia madre, donna dolcissima ma quadrata, con una scusa mi portò in bagno e mi riempì di schiaffi.
Fece bene. Quel giorno mi insegnò il rispetto degli altri, e a rispettare appunto il loro spazio.

POESIA IN PROSA: I MIEI PIÙ TENERI RICORDI D’INFANZIA

   Daniela Mariotti


C ome pietre preziose, a volte, i ricordi d’infanzia si accendono di luce propria.
Io cerco di richiamarli alla mente, ma loro vengono quando vogliono.
Un sole nascosto li rende sfolgoranti. Quando compaiono, sono quasi sempre ricordi felici: passeggiate in campagna, in cui la mamma spiegava il nome dei fiori.
Nei miei più antichi ricordi è sempre primavera e c’è la scoperta delle prime viole.

DUE CANI

   Augusto Mocella


N el paese frequentavo l’asilo ed ero allevato soprattutto da mia nonna, perché mia madre era maestra e insegnava. Avevo allora un piccolo cane bassotto, con le orecchie lunghe, dal colore giallo ocra. Quando andavo all’asilo mi accompagnava con mia nonna e mi lasciava. Poi all’uscita, puntuale, lo trovavo sempre ad aspettarmi. Io quando lo vedevo ero sempre stupefatto. Pensavo tra me e me: sembra quasi che Blod sappia l’orario. Comunque conosceva la strada, perché dopo un po’ che ero uscito dal portone dell’asilo, veniva anche mia nonna o mia mamma. Blod mi era molto affezionato ed io ero molto orgoglioso di lui quando uscivo per strada. Successe però che in paese un ragazzo sostenne che era stato morso dal cane ed aveva avuto dei sintomi di febbre. Si sa che i cani possono trasmettere la rabbia. Fu così che il guardiacaccia del Comune fu incaricato di ucciderlo. Io ne ebbi molto dispiacere, così dopo qualche tempo mio zio Mario mi portò da Napoli un cucciolo di pastore tedesco che fu chiamato anch’esso Blod. Questo era gestibile, finché non fu grande, da mia nonna, ma poi si dovette darlo a dei cugini che vivevano nella campagna di Parma. Io lo rividi molti anni dopo: era invecchiato ma stava ancora bene e i cugini mi dissero che Blod lo portavano perfino a caccia e prendeva le prede.

I MIEI NONNI

   Tina Gualandi


Mia nonna era dolcissima e si arrabbiava solo con mio nonno, che non si faceva mai i fatti suoi. Spesso litigavano e mia nonna lo chiamava (in dialetto) “Avvocato delle ciliegie”, oppure lo mandava a “pestare il ragù”. Erano uno spasso. Mia nonna curava la chiesa e dava da mangiare ai polli; mio nonno curava l’orto (a metà con il parroco), uccideva i conigli che io nutrivo con erbetta e suonava le campane. Spesso io ero da loro, soprattutto d’estate e non mi annoiavo mai.

FOTOGRAMMA

   Augusto Mocella


Sono nato nel 1948 in un piccolo paese dell’Appennino Campano di circa tremila abitanti, situato a 1000 metri di altezza, dove sono stato fino a circa quattro anni. Lì tutte le donne sposate di una certa età allora vestivano di nero in segno di lutto. Eravamo dopo la guerra e c’era chi aveva perso il marito e chi un figlio. Anche mia nonna Irene era vedova e si vestiva così, come pure sua madre Angiolina, la mia bisnonna. Di lei ho un ricordo quasi solo fotografico. La ricordo che, ai limiti della piazza del paese, mi viene incontro lentamente e io vado verso di lei. Poi mi chiama Augusto, mi accarezza la testa e dolcemente mi dice “piccione”, equivalente di piccolo.

IL PICCOLO MASSY

   Massimiliano


Mi ricordo quando ero piccolo che andavo su alla casa, a Vado, e non mangiavo mai e la nonna mi rincorreva col piatto. Circa in quel periodo, mio fratello aveva una band della quale non ricordo il nome (un anno suonarono nella casa di Vado, sotto al portico, se non ricordo male facevano anche pezzi di Francesco Guccini e Franco Battiato e probabilmente altro), mi ricordo che quel giorno giocai quasi tutto il tempo con una sua amica che sia chiama Paola; giocavamo al ‘teletrasporto’ sulla botola di una cisterna di una bombola a gasolio. Avevo un paio di amici, uno si chiamava Flavio e l'altro Alberto. Andavo sul ponte dell'autostrada con mia zia, guardavo le automobili e i camion che ci passavano sotto e non mi stancavo di guardarle anche per mezz'ora e oltre, tipo anche tre quarti d'ora; nel frattempo, mia zia faceva l'uncinetto. Spesso giocavo da solo con i camion e le ruspe (i giocattoli da bambino) con la sabbia. Tra questi ricordo un camion da rimorchio cui ero molto affezionato, tanto che una volta, quando arrivò un mio parente col suo figlio piccolo, lo nascosi in cucina, perché avevo paura che lui me lo rompesse.
Poi mi ricordo che guardavo alcuni cartoni animati con mio fratello e che erano “Bufalo-bau”, “Huck e Jim” e “I tre marmittoni”. Più o meno in quel periodo, ricordo che dopo cena giocavo sempre a calcio con mio fratello, quello fu l'unico anno in cui giocai a pallone, perché mi piaceva poco. Non seguivo nemmeno il calcio. Basta pensare che iniziai ad andare allo stadio intorno ai 26-27 anni. Infatti ricordo che da piccolo sono andato una serie di volte in trasferta col mio babbo, mia mamma e i miei zii, ma mentre mio babbo e suo fratello (mio zio) andavano allo stadio, io, mia mamma e mia zia partivamo alla ricerca dell'ovetto Kinder; in quel periodo non era come ora che alcuni supermercati sono aperti anche di domenica (mi ricordo di un negozio, o un bar, non sono sicuro: vidi dentro gli ovetti Kinder, ma era chiuso), quindi trovare l’ovetto era un'impresa, tanto che per ripagare la fatica, a volte mia mamma me ne comprò addirittura due… Mi ricordo anche, durante un viaggio di andata su un treno, un ultras del Bologna (scusate, ma mi viene da ridere) mi chiese se volevo un panino al pus e sorrisi. Poi mi ricordo che nel 1985 morì mia nonna, quindi quell'estate mi ritrovai a stare con mia zia, a dormire in casa sua e mi sembra che in quell'anno i miei genitori ristrutturarono la casa; andavo in montagna (a Vado) solo nei weekend. Sempre quell'anno, mi ricordo che venne su mio fratello e andammo a trovare un suo amico, un certo Andrea, che durante l'estate abitava in Gardeletta. Andando verso casa sua, in automobile, faceva le curve in controsterzo, le ruote si giravano da una parte e l'auto dall'altra andando in derapata, quindi mi divertivo. Sempre quell'anno, o l'anno dopo o quello prima, andammo al mare al Lido delle Nazioni in un appartamento che ci prestò mio zio, che lo affittava da un certo Veronesi che aveva, credo, un negozio di scarpe e mi ricordo che circa in quel periodo mi vendeva le scarpe in casa sua, a Rastignano.
Questo signor Veronesi scambiò la Fiat 131 di mio fratello per una Fiat Argenta; in quell'estate mi comprarono un transformer e mi dissero che se non fossi stato capace di trasformarlo sarei potuto passare dal negozio per vedere come si faceva, ma non ne ebbi bisogno perché me ne intendevo. Quell'anno venne anche mio cugino Gianluca, poi mi ricordo che dal terrazzo, lui con mio fratello volevano fare un gavettone agli zii, ma mia mamma non voleva per paura che beccassero qualcun altro. Sempre in quella vacanza fu la prima volta che mangiai il panino col ragù.
Sempre in quell'anno, se non ricordo male, c'era anche mia zia di Vado e sentivo un venditore di colore ambulante che diceva sempre: “Pareo… sciugamano!”. Io non sapendo che cos'era il pareo lo chiesi a mia zia, che me lo spiegò, poi quando passò una ragazza con il pareo mi fece vedere cos'era: era un indumento.
Mi ricordo che da bambino giocavo sempre con una mia amica di nome Serena, che abitava nel piano sotto, al primo piano; con lei giocavamo a fare i venditori, giocavamo anche a ‘bruciapappa’ che consisteva nell’andare a cercare altra pasta, per finta ovviamente, girando in bicicletta perché la pasta si era bruciata sul fuoco (tra l'altro cosa impossibile perché la pasta bollendo nell'acqua non può bruciare), a quell'ora i negozi erano chiusi e cercarla era difficoltoso; alla fine la trovavamo e così giravamo parecchio insieme in bicicletta. Ma avevo un amico d'infanzia di nome Alessio e quando andavo a giocare da lui, lei non era contenta, mi pareva invidiosa. Ricordo che con questo Alessio ne combinavamo di tutti i colori (ora, a pensarci mi viene da ridere), addirittura un anno demmo fuoco alle sterpaglie vicino al Reno, tanto che le automobili sul ponte del fiume rallentavano per vedere cosa era successo; per fortuna l'incendio si spense da solo. Avevamo a scuola anche un nascondiglio nella siepe, dove fra l'altro ci conoscemmo, in cui giocavamo alla guerra e facevamo i soldati. Con Alessio, ai tempi delle medie, tutti i sabati pomeriggio, o quasi tutti, andavamo in centro da Rossi, negozio di modellismo, a comprare modellini di aerei e carri armati da costruire, dei kit di montaggio. Spesso andavo da lui a montarli: ricordo che ascoltavamo una cassetta dal titolo The Amazing Blonder e mi piaceva tantissimo. Ricordo anche che durante le medie, a volte mi veniva a prendere mio fratello con la 500 di mia mamma e nel tornare a casa andavamo a tutto gas, sottoponendo quella povera 500 a degli sforzi mostruosi (scusate ma mi viene da ridere di nuovo) e ancora ora mi domando come abbia fatto a reggere, a tenere botta, visto come la trattavamo. In questo periodo, mi diedero una bicicletta da corsa con la quale praticavo il ciclismo, che però non mi piaceva perché era scomoda la posizione: durò molto poco, solo all'incirca un anno; a me invece piaceva andare sulla bicicletta da cross, perché molto più comoda. In conclusione, anche se ho avuto parecchi problemi, pochi amici e problemi di salute, cioè la miopia che mi ostacolava ad impegnarmi a scuola, e anche se durante le medie molti miei compagni mi prendevano in giro e mi facevano arrabbiare, ritengo comunque di avere molti ricordi positivi.
Ho da poco scoperto che Flavio è impiegato come pilota di aerei.

UN RAGAZZO MOLTO SENSIBILE

   Darietto


D a piccolino… ricordo di una nuvola che mi seguiva e, per me, era il mio amico immaginario. Con lei parlavo spesso e volentieri. Però quando ero dentro delle strutture, mi sentivo solo. Una volta, quando andai a visitare lo zoo di Pistoia in gita scolastica con un pullman, la nuvola si era ingrandita, ci entrammo dentro e, dopo un temporale, apparve uno stupendo arcobaleno. Lì conobbi il grande e mitico Lucio Battisti con una sua canzone intitolata Acqua azzurra, acqua chiara. In principio, credevo che quella canzone fosse di Vasco Rossi, ma poi mi dissero che era invece sua. Da quella volta, il grande Lucio Battisti rimase per sempre nel mio cuore: conobbi le sue più belle canzoni come Io ti venderei, Il veliero, Dove arriva quel cespuglio, Donna selvaggia donna, Nessun dolore e molte altre. Poco dopo fu la volta della più bella voce maschile che rimase per sempre nella mia classifica personale come number one e mi riferisco alla scoperta di Pino Mango; a tutt’oggi la sua Stella del Nord e Bella d’estate sono le canzoni che ascolto più spesso e volentieri, ma ne ascolto anche tantissime altre che sono altrettanto stupende come Sensazione d’aria, Sogni, Raggio di Sole, Dal cuore in poi, Abiti nobili, Arcobaleni, Attimi, La rondine, Ti porto in Africa, La rosa dell’inverno, Com’è rossa la ciliegia, Dove vai, Lei verrà e Oro con cui lui purtroppo ci ha lasciati, a 60 anni, l’anno scorso a dicembre, un mese dopo aver festeggiato il suo compleanno: che tristezza!
Quanti bei cartoni animati si vedevano in TV quando ero piccolino! Mi ricordo le Tartarughe Ninja alla riscossa, gli Street Sharks, i Power Rangers, Robin Hood, Heidi, Là sui monti con Annette, Lady Oscar, Capitan Futuro, Ken il Guerriero, Dragon Ball, Sailor Moon e altri di cui purtroppo ho scordato il nome. Sailor Moon in particolare continua a piacermi, ho persino elaborato un fumetto su di lei perché ero e sono tuttora affascinato dalla lotta tra il Bene e il Male, di cui mi sto interessando per elaborare un nuovo fumetto. Ricordo che mi piacquero subito i computer: quando ero alle elementari, mi portavano in strutture dove si trovavano i pc, che facevano quell’odore elettronico che mi piaceva tantissimo. Mi ricordo che sullo schermo c’era un buffo triangolino e con quello ci insegnavano un programma di disegno. Durante la pausa, si poteva giocare ad un simpatico gioco dove dovevi ritagliare lo schermo scappando da un lombrico digitale e far apparire, nella sua interezza, una figura celata: mi divertivo da impazzire e quando era l’ora di andare via, piangevo. Alle scuole elementari avevo molti amici, ma c’erano anche compagni negativi. La palestra era un punto molto doloroso per me, perché ero cicciotto, timido e goffo, quindi mi muovevo con fatica e l’insegnante mi dava del “sacco di patate”; il mio stato d’animo quindi peggiorava, oltretutto i compagni mi guardavano mentre si facevano gli esercizi fisici: ricordo le capriole che, per me, erano delle cose allucinanti, mentre per altri, che erano più magri, erano una bazzecola! Ciò nonostante ho comunque e per fortuna più ricordi belli che brutti: tra questi ultimi, il più brutto in assoluto durante le elementari fu quando ero da solo nel giardinetto della scuola e vidi un cagnolino; quando mi avvicinai per accarezzarlo, lui mi ringhiò, mi abbaiò, mi rincorse e andai a finire sopra un albero urlando per chiamare qualcuno a salvarmi; da lì in poi ebbi paura dei cagnolini fino intorno ai 28 anni circa quando rividi, dopo circa 15 anni, il mio adorato zietto Francesco che mi liberò da questa paura e, anzi, da lì in poi, accarezzavo (e accarezzo tuttora) tantissimi cagnolini. Le scuole medie furono purtroppo l’inizio della mia decadenza, quando intorno ai 15 anni ho smesso di andare dietro alle ragazze e lì si è celata la mia malattia, che a 24 anni poi è esplosa completamente come un vulcano: la depressione. Per compensare il male e la “merderia” che mi circondava, mangiavo molti dolci tra cui le tavolette di cioccolata che erano le mie preferite, ma anche i cibi salati erano di mio gusto e tra questi vi erano le pizzette, sia al taglio che quelle tonde. Gli insegnanti erano estremamente maleducati e, non rivedendo più i miei cari amici delle elementari, per me fu un grave tracollo. Lo studio andava benino, ma sentivo che la voglia di vivere si spegneva pian piano… Era come se avessi subito un grave lutto per ogni amico che avevo perso e, poi, quando si passò alle superiori, il mio stato d’animo peggiorò ulteriormente… Mi sembrava di esser colpito da una sfortuna tremenda e piangevo molto spesso: arrivavo addirittura a scappare di casa, litigando furiosamente coi miei genitori perché mi sembrava che ogni cosa che facevo, la sfortuna mi amplificasse i disastri: non ne potevo più! A 24 anni, per fortuna, dopo la cura a Villa Baruzziana, la vita in me era tornata a splendere, vedevo meglio le cose e quel “buco nero” dentro di me, che ormai era diventato gigantesco e mi stava divorando, pian piano si stava richiudendo: divenni più solare, più maturo e scoprii molti hobby interessanti, ripresi anche il fumetto; a tutt’oggi infatti sono affascinato dalla storia antica (colleziono quelli che io chiamo “cuccioli”, cioè cavalieri, mostri, dèi, creature mitologiche, abitanti medievali, draghi, ecc…), dall’arte, dai film, dalla musica, dai ‘pupetti’ (non mi piace chiamarli pupazzi, perché non sono pazzi), dai libri di storia antica, arte e fumetti e, quello che adoro più di tutti, dal computer col quale navigo su internet e mi informo su ciò che accade nel mondo (sui TG spesso non vengono menzionate certe informazioni).

   Paola Scatola

POESIA

Quando ti scrivo e ti voglio il bene di sempre, giunge a me un “me stesso” mio, che sono io, eppur “chi sono io”: ma piangere fa bene e lo sapevo già da me, ma poi chi piange con me, se ci sei solo tu al mio fianco? Ero una bambina, sono una ragazza, ma quando mi tieni la mano mi dipingo da me.




PAPÀ

Babbo, sei tu o ora sono io per te? Ti guardo già bianco e vorrei ancor saper di te, ma ti guardo e mi rispondo che mi piaci e so il perché: non sono quei soldini che mi dai alla domenica, a me piaci proprio te.




SORRISO

Ero bambina io e lo ero anche per te, mi tenevi solo tu fra le mie cose interiori e mi cingevi bene gli occhi all’arcobaleno già di una vita.

LA MANTELLINA ALL’UNCINETTO

   Concetta


Con i ricordi non sono mai riuscita ad andare oltre la barriera dei quattro, cinque anni di età, sicuramente questo limite è da ricondurre anche alla mancanza di materiale fotografico che documentasse o immortalasse qualche contesto e/o persone del periodo antecedente.
Rispetto a questo periodo i ricordi che più affiorano vividi nella mia mente riguardano la mia permanenza in casa della sorella maggiore di mio padre, che purtroppo, o per fortuna, non ha avuto figli. Mi ricordo che a seguito di un ricovero in ospedale di papà, essendo io la più piccola dei cinque figli, mia madre dovette chiedere aiuto a zia Elisabetta e a zio Angeluccio, un angelo di nome e di fatto, un vero sant'uomo. Il mio trasferimento creò, soprattutto nella fase iniziale, non pochi problemi. Per parecchi giorni ad una cert'ora della notte mi svegliavo di soprassalto, piangendo ininterrottamente finché mio zio, dopo avermi intabarrata ben bene, non mi prendeva in braccio e mi riconduceva a casa dai miei. Tra gli indumenti utilizzati per coprirmi, quello che ho ancora davanti agli occhi e nel cuore è una mantellina a strisce di lana colorata della zia (blu, gialla, arancio, verde e rossa), fatta all'uncinetto, che ho tenuto cara per molti anni, come Linus la sua copertina. Quando però iniziai a realizzare che mia mamma avrei potuto vederla in qualunque momento e comunque non sarebbe scomparsa e che la nuova sistemazione aveva dei grossi vantaggi perché mentre a casa dovevo condividere l'attenzione dei miei con gli altri fratelli, da zia Elisabetta ero veramente la regina di casa, incominciai a voler andare sempre meno a casa, e addirittura a nascondermi quando con gli zii passavamo nei pressi della stessa.
Sono certa che, come me, nessun bambino avrebbe rinunciato a quella vita così piena di attenzioni, regali, dolciumi, bei vestitini, ma soprattutto alle favole che ogni sera mio zio inventava per farmi addormentare.
Quando mia madre si rese conto che i miei zii, ovviamente in buona fede, non erano in grado di dire dei no, decise di intervenire in modo autorevole per riportarmi a casa, con l'intento di darmi una 'raddrizzatina'.
Ero stata abbondantemente viziata, non avevo freni di alcun genere, ero diventata a tutti gli effetti una grandissima maleducata. Ci volle del tempo prima che mia madre raggiungesse l'obbiettivo di ricondurmi all'osservanza delle regole. Oltre alle punizioni restrittive, sono volati anche degli scappellotti, modalità educativa che oggigiorno è assolutamente bandita nei confronti dei minori. Per la mia esperienza, mi sento di dire che qualche sculacciata non ha mai fatto male a nessuno. Zia Elisabetta e zio Angeluccio, nel tempo, hanno sempre ricoperto un posto speciale nella mia esistenza, tuttavia col senno sono arrivata a condividere il valore del detto: "il medico pietoso fa la piaga dolorosa", che mia madre di tanto in tanto mi ripeteva.

SONO STATA UN ANGELO

   Tina Gualandi


Avevo cinque o sei anni. Ricordo che frequentavo un istituto privato di suorine di S. Anna (che poi ha chiuso per diventare convitto per ragazze fuori sede). Dovevamo fare una recita. Una mia compagna ed io dovevamo fare gli angeli: avevamo una tunica azzurra lunga fino ai piedi con tante stelline dorate attaccate. Legato alla schiena un bellissimo paio di ali. A un certo punto della recita dovevamo uscire e ‘svolazzare’ sul palco (dicendo anche cose che ora non ricordo). So che fare l’angelo mi piaceva moltissimo e anche le ali erano fantastiche.

I RICORDI DELL’INFANZIA

   Marco-Fa’


Èuna età ricca di speranze, di certezze, ma anche di giochi. Il bambino che era in me? Giocoso, manco a dirlo. È un tuffo nel cuore l'infanzia. Ti metti a raccontare un passato fatto di straordinari eventi, forse perché io nasco canterino e cantante, e quando scopri il mondo della musica, tutto è strabiliante, certo come i cartoni animati. Ma come… non riesci ad essere sensibile quando miravi e rimiravi con allargati occhi quella mamma che presto diventava parte integrante della tua vita. Proprio e solo nell'infanzia ci si poteva mescolare con Giamburrasca o ancora meglio passare al gioco d'azione. Ma certo che non sono chiacchiere: il fucile o il martello? La pista delle macchinine inventate. E già si cominciava a sognare anche l'innamoramento col gioco dei bulli e pupe. Il nascondino che impazzava o ti faceva impazzire.
In questo istante un brivido mi percorre perché quei ricordi li ho lasciati in fondo a me. Eravamo noi, monelli, vagabondi, costruttori di giocattoli: tutto era presente, regolare, mentre si facevano i conti. Forse per qualcuno si veniva ad instaurare un bene profondo, chissà, volevamo quasi abbracciarci. Ma in quell'istante scoppiava un litigio, un pianto. Vinco, perdo o sono arrabbiato. Il cuore rideva e si innamorava, si dibatteva e tornava a nascere, dentro quella culla dell'infanzia. Le chiacchiere insieme alla matematica e agli spaghetti della mensa del doposcuola.
Se ripenso ancora così intensamente com'era bello sguazzare coi piedi nelle pozzanghere, tanto io ero piccolo e il mio cuore una volta tanto lo potevo buttare via. Infine arrivavano loro: no, non i genitori, i maestri. Per alcuni era una ninna nanna, per altri un'eccezionale conquista e per altri ancora un perfetto equilibrio fra la vita… e il dondolo di casa Bianconi.

LA MIA INFANZIA

   Mariangela


Un'infanzia bruciata priva di dolci ricordi. Ne ricordo uno in particolare, quando fanciullina vivevo con la mia famiglia affidataria in un grande casolare situato a Monte San Pietro con mamma Marianna e papà Francesco. Una famiglia numerosa perché io ero la loro dodicesima figlia, anche se non ero la loro figlia naturale.
Per me loro erano la mia famiglia ed ero molto affezionata, tanto che quando, qualche volta, mia madre naturale veniva a trovarmi io scappavo a nascondermi dietro a grandi sacchi di farina, perché non volevo vederla e dicevo che Marianna era la mia mamma e non lei. Ricordo anche qualcosa di piacevole: i giochi nel grande cortile: qui con i miei fratellastri coetanei correvamo, giocavamo a nascondino, prendevamo le lucciole che tenevo nel palmo chiuso delle mie mani come fossero stelline e che poi lasciavo libere di volare per vedere la loro luce brillare nell'infinito buio.
Avevo anche un coniglietto bianco dagli occhi rossi, che consideravo mio amico, che se ne stava sempre nel fienile e che di tanto in tanto andavo a trovare, aiutandomi con una scala; erano poche le carezze che potevo fargli, perché presto scappava via: gli piaceva starsene da solo indisturbato nel suo giaciglio fatto di fieno e altre foglie profumate.
La vita nella grande casa era semplice, ma per me è stata la prima ed unica casa nella quale ho vissuto e rappresenta il più bel ricordo della mia vita.
Purtroppo questa gioia non durò a lungo, perché dopo qualche anno la mia mamma naturale volle portarmi via. Per me fu un giorno tristissimo ed il trauma subito fu molto forte, perché fui tolta dalla mia famiglia e sbattuta in un orfanotrofio. Dovevo cambiare abitazione, perché in quel luogo non avrei potuto frequentare la scuola e crescere istruita. Questo poteva essere un buon motivo, ma la permanenza in quell'orfanotrofio non era molto piacevole. Per nove mesi non riuscii a parlare, poi il cambio di orfanotrofio mi ha fatto tornare la parola. Mi portarono presso l'orfanotrofio della Madonna di San Luca dove sicuramente il trattamento era migliore. Qui ho potuto studiare e, sebbene abbia trascorso anche periodi non belli, riuscii a conseguire la licenza elementare e quella delle scuole medie inferiori. Oltre che per l'istruzione, sono grata alle suore perché si sono prese cura della mia salute, non soffrivo di cose gravi, ma ero anemica, rachitica, linfatica e spesso soffrivo di gravi forme di congiuntivite. A curarmi non è stato un medico, ma una suora infermiera molto brava, preparata e disponibile.
In conclusione, non ho molti bei ricordi della mia infanzia, ma questi pochi li ricordo volentieri, perché avendo ora una famiglia tutta mia, i ricordi non mi rendono infelice ma mi aiutano un po’ a ritrovare le mie radici!

IL SASSO NELLO STAGNO

   Edoardo Bellanca


La mente aperta

Sono convinto che un bambino abbia una mente aperta, ben superiore a quella di un adulto, se quella mente non è contaminata dall'ambiente esterno. La prova? Chiedete a chiunque: "Che cos'è 1 no no no?": un bambino di prima elementare saprebbe rispondere, un adulto no!



Risposta di Lucia

Mah! Sarei stata curiosa di fare l’esperimento, ma non ho bambini di prima elementare a portata di mano…
Quanto a me, be’, nonostante la mia veneranda età, ci sono arrivata abbastanza presto, ma è stato Antonio a mettermi sulla strada giusta, accennando all’enigmistica…
Provateci, dunque, amici adulti: “Che cos’è 1 no no no?”.
La risposta in fondo alla rivista

LA NOTTE DI NOTE

   Giovanni Romagnani


Lo zero

Inizio ora. Numero 0 lo chiamano. Esiste? Gli orientali identificano lo zero con il vuoto. Pericoloso. Nel senso che si danno i numeri. 1+1=0



A-dolescenza

Periodo difficile ricco di stimoli e pochi ricordi. La società contemporanea regala stimoli e vanità; dissòciati e non tornare indietro. Guardarsi alle spalle, delle volte non ti piacerà però, come dice il buon Blasco, "guarda dove vai!".



Dal cerchio al quadrato

Dall'infanzia all’adolescenza, dal cerchio al quadrato. Quando si è piccoli tutto torna, tutto è circolare ed affettivamente chiuso, poi cresci e cominciano gli spigoli. Un quadrato è iscrivibile in un cerchio, ma un cerchio è a sua volta iscrivibile in un quadrato. Dipende dalle reciproche dimensioni. Per i buddisti queste due figure geometriche rappresentano il mandala, ovvero il sacro recinto dell'anima. Già l'anima e i suoi giardini, che secondo me cominciano con l'adolescenza. Ne abbiamo cioè percezione. Prima sono pura luce. La luce si fa psicologia, cioè. Poi si comincia ad osservare le rose, come canta Fabrizio De André in Canzone dell’Amore Perduto, il primo gioco che non vincerai, come scrive Biagio Antonacci. Almeno Tu nell'Universo, e scatta il primo colpo di fulmine. A quel punto il giardino è stretto o condivisibile. Dipende se si coglie o meno la mela. Questa è stata la mia Genesi.



Mi si escludeva!

Mi si escludeva! Così termina il suo brano Vasco Rossi. Poi comincia la guerra, conclude. Ed è proprio quello che succede quando ci si contrappone. Buoni o Cattivi, re. O così comincia lo Show, cioè la catarsi del concerto. Ma non si può fare concerti tutta la vita, o, perlomeno, il Tutto non deve finire lì ...E…Cominciamo a rispettare le differenze. Solo dopo averle viste cominciamo l'eventuale Rewind delle nostre emozioni, per non rischiare di cadere nella Noia, dove tutto l'infinito è lì. Con il rischio di bruciare tutto, alla ricerca di sensazioni forti. Senza che nessuno ti chieda come stai, forse perché ha aderito al luogo comune. Ma almeno ci fosse! Cosa succede in città, quando tutti hanno mal di stomaco, ed il denaro non gira più. Stanco, l'Artista non spera più in un’alba timida. Macché splendida giornata, è tutto un Asilo Republic, poco Rock, molti Alibi e Tantissima Amarezza Creativa. Valium! Proprio una fine del cazzo. In compagnia di persone che non bevono il caffè, ti chiedono come stai e te ne offrono uno, che devi bere, altrimenti ti becchi un calcio nelle reni, Felicitina. Ho fatto un sogno: il mondo fuori dell'Albachiara tornava dentro di lei ed io sfioravo uno sguardo. Un cielo capovolto all'interno del quale, dicevo che continuavo ad andare al massimo, guardando al mare le tette nude. Noi siamo Sole, Non Soli e le donne sono sole. Tu mi piaci perché sei porca nell'ultimo domicilio conosciuto, dove non ci sono deviazioni ed uno urla “Io no”, dicendosi: “Giocala!” Come in una favola antica, reagisce e sceglie di vivere una favola, semplicemente perché non vuole perdere. Ma cosa vuoi che sia una canzone... Sally lo sa, Jenny purtroppo l'ha capito. Ci sarà sempre un benvenuto, lì dove non arrivano gli angeli, o semplicemente in attesa che la marea ti dica: Nessun Pericolo per Te. Praticamente perfetto. Quando hai quindici anni tutto il mondo ruota intorno allo specchio di Silvia ed anche se hai il fegato spappolato vuoi proprio esagerare, e scriverlo su tutti i muri, con Giulia



Oggi chiudono gli OPG

Oggi chiudono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Bene? Male? Non lo so! Cerchiamo di andare al di là tentando un'analisi. Ho provato la Detenzione Psichiatrica, non giudiziaria, ed è una cosa terrificante, disadattante. Esci e non sai dove cazzo andare. Se va bene passi da un bar all'altro, o da un CSM all'altro. PERÒ. La sicurezza del cittadino va garantita, per cui se uno sbarella, qualcosa va fatto, per lui e per gli altri. Compreso il pubblico scandalo. Quello che è normale per uno può non esserlo per un altro, e la sensibilità singola e relativa va preservata. Certo, da parte del pubblico servizio il tatto va garantito, ma è anche vero che non si può rispondere ad un calcio con una margherita. C'era uno che lo predicava.... Stando con i piedi per terra penso che la libertà del singolo finisca dove inizia quella dell'altro, e penso anche che per lo Stato non è facile garantire questo equilibrio. Soprattutto quando uno in equilibrio non lo è. Delirio significa andare oltre il solco; in questo caso è facile invadere la libertà dell'altro. Per cui mi limito a dire che, secondo me, privarti della tua libertà, irrispettosa di quella degli altri, è già una condanna durissima, per cui all’interno di qualunque struttura detentiva non si deve cadere nella cattiveria o addirittura nel sadismo, ma, nello specifico, bisogna anche garantire la sicurezza degli altri detenuti.



Guarigione

Guarigione, questa sconosciuta. L'ho sostenuto a gran voce al 3° incontro degli Ufe. Vorrei che ogni psichiatra mettesse per iscritto i termini di guarigione del suo assistito. Ho l'impressione che nel vago aumenti la discrezionalità dello psichiatra e diminuisca la libertà dell'utente. O mi dicono che la Psichiatria NON È una scienza esatta, oppure esattamente mi dicono che cosa vogliono curare, facendomi l'Eziologia della patologia. Io lo pretendo, in nome dell' amore, se c'è.



La compressione

Perché ho parlato di angolo del disagio... per quello che ritengo il maggiore problema contemporaneo: LA COMPRESSIONE. Emotiva e soprattutto Economica. La prima implica la seconda e viceversa. Ne ha parlato Tiziano Sclavi nel Dylan Dog intitolato Gli Uccisori, numero cinque della serie regolare. Compressione emotiva crea desideri economici, mancanza della possibilità di soddisfare i desideri economici crea compressione emotiva. Fonti di riferimento: Eh già, canzone di Vasco Rossi "al diavolo non si vende, si regala", vero Silvio! Casomai, film, di circa il 2004, con Fabio Volo. Come nel film lo stato italiano, Matteo Renzi compreso, devono creare un Heaven Out of Hell, Hell in cui siamo. Poi c'è Far - Arden Paradiso Capovolto degli sciamani, dove Cavallo Pazzo, masticando peyote, crea un cerchio di pensiero magico, sostenuto dalla sua propria Kundalini.



Sogni & Bisogni

Piccolo-spazio-pubblicità. Crearlo questo spazio. In un mondo sempre più intasato di suoni ed immagini i bisogni sono creati: figuriamoci i sogni. Ammesso che uno abbia la forza di crearne dei propri. E così ben venga un sito di servizio, lontano da logiche commerciali e bisogni indotti. Perché Noi Utenti Psichiatrici vogliamo avere ancora i Nostri Sogni, cominciando dai Nostri Bisogni!



Ma dove voli farfallina

In un periodo difficile della mia vita ho ricominciato ad osservarti. Delicatamente, seguendo le tue ali, che per un attimo battevano a ritmo delle mie ciglia. Sforzo inutile per alcuni, bisogno necessario per me. Mi capita delle volte, dopo aver assunto la terapia, di volare con il pensiero verso emozioni fragili. Sentire il rombo di un Autobus, e dimenticare di fare il biglietto! Torno ad un argomento a me caro: I Ritmi Sociali. Quando prendo l'Olanzapina sento il volo della farfallina. Non pensate male, il doppio senso non è voluto. Però è una condizione difficilmente condivisibile. Noto che molti utenti frequentano solo utenti. Una spirale ovale che percorrono senza uscirne. Delle volte ho quasi l'impressione che alcuni operatori ci ritengano degli apprendisti astronauti. La chimica sostituisce troppe cose. Ci costringete a sentire l'urlo della farfalla, che purtroppo non è un film pornografico.

LA POLENTA E LO ZEN

   Luigi Zen


Dovendo raccontare qualcosa dell'infanzia, intendendo per infanzia quella che va da zero a tre anni, ci accorgeremo di avere un vuoto mentale, in quanto di quel periodo ci restano in mente solo delle immagini. Secondo me, da adulti pensiamo di far dire al bambino innocente che è in noi tutto quello che egli non avrebbe mai potuto o voluto dire, in quanto non aveva ancora la padronanza del linguaggio, che verrà molto più tardi... Per cui io vi risparmio i miei racconti: amo che debba essere taciuto quel periodo, perché è bello così per i bambini, che non hanno ancora la coscienza della vita e della morte e se dovesse morire la mamma, non la penserebbero morta ma mancante: è questo un motivo del creato da non indagare.
Un ricordo di immagini da zero a tre anni che descrivo con età adulta è quello dei bombi neri, che appartengono alla famiglia delle api e vanno ad impollinare i fiori estraendo polline e nettare. Di loro ero curioso, della loro velocità e del colore nero. Un altro ricordo ironico, dopo i tre anni, è quello della polenta. Mio padre portava a casa la farina di mais e d'inverno mia madre faceva la polenta: poiché si racconta che si è o si diventa quello che si mangia, così oggi da adulto penso che per aver mangiato la polenta, nella vita sono stato un “polento”; come d'altra parte anche i miei familiari... così oggi quando incontro qualcuno che è un “polento” penso che sia uno che abbia mangiato della polenta e se capisco che è più lento di me, so che di polenta ne avrà mangiata molta di più di me, pensando poi che ci sono altri cibi equivalenti alla polenta... ma questi scopriteli da soli.

I MIEI PENSIERI

   Francesca


Ho tanti ricordi di infanzia. A sprazzi ho in mente degli odori e dei suoni come il canto degli uccellini, il suono delle campane e dei profumi che mi riportano a quando ero piccolissima, da un anno o forse più in poi, come un profumo di legna, e di pane e crescente appena sfornati, che tutt’oggi quando li risento, durante le mie camminate nelle varie stagioni in città e in collina, mi riportano all’epoca in cui vivevo nelle Marche, dai miei nonni, nel paese dove andavo da loro nella tarda estate, ed anche ai ricordi di quando andavo al mare a Riccione con la mia famiglia, di quando mi feci male cadendo in bicicletta (sicuramente avevo un anno), o in campagna qui a Bologna quando ci andavamo, in piena primavera, fino alla chiusura delle scuole, inizio estate, ricordo ancora il suono dei grilli e le lucciole che brillavano nelle serate estive. Questi ricordi mi ritornano in mente nitidamente come fossero accaduti ieri. Il suono delle campane mi dà un senso di benessere fisico e mentale quasi di felicità e nel paese della mia nonna nelle Marche le sentivo sempre suonare. Sono tutti ricordi che mi riportano ad un periodo della mia infanzia in cui vivevo serena e spensierata con i miei nonni e con la mia famiglia e le mie sorelle, quando vivevamo insieme. E oggi quando vedo certi paesaggi autunnali, tinti di giallo e di rosso, nella mia fantasia mi ricollegano a un periodo della mia prima infanzia, non so bene quale, ma deve essere sicuramente riferito alla mia cara mamma, e a quando forse ero ancora in carrozzina o in passeggino e mi portava con sé quando usciva. Eppure li ho in mente nitidissimi, e ho una sensazione di vivere quasi in un sogno da cui non vorrei mai svegliarmi.
Un altro ricordo sempre presente e bellissimo è quello della montagna in inverno, quando andavo con la scuola in gita per la settimana bianca e il meraviglioso ricordo di quando andavo a sciare con mio padre e a quando si andava dopo lo sci con il resto della famiglia e le mie amiche a mangiare un panino col salame, i krapfen e la panna montata, in relax, in quei tipici alberghi di montagna, particolari e suggestivi come le baite in legno, o quando scherzavo con le mie compagne, dopo la scuola, camminando sulla neve e sul terreno ghiacciato, ricordo i voli per terra, fra le risate generali delle mie compagne. Ricordo il ‘profumo’ della neve e il bellissimo paesaggio e l’aria pulita della montagna, il rumore della bidonvia e delle carrucole, in seggiovia o in skilift, fra il gracchiare dei corvi, e il rumore dell’acqua che scorreva nei ruscelli, quando la mattina raggiungevamo le piste per sciare, nel panorama magnifico delle montagne che mi davano allora, e anche oggi mi suscitano, un senso di pace e armonia totale con la natura. Che meraviglia!
Continuo a essere legata a questi ricordi che vanno da quando ero piccolissima fino ai 10-12 anni, perché era un periodo in cui vivevo con la mia famiglia nella bella casa che abitavamo e che era piena di vita, fra il via vai degli amici delle sorelle e dei miei genitori. Ricordo le mie amiche d’infanzia, le risate e le litigate con le mie sorelle e tutto ciò mi infondeva un senso di pienezza e di continuità della mia vita, e mi dava la sensazione di protezione, di non dovere pensare a risolvere i problemi, ai quali pensavano i miei genitori, anche per questo il pensare alla mia infanzia ed essere riportata a quel periodo sereno e bellissimo, da suoni, musiche, odori, colori e paesaggi mi fa sentire meglio e protetta, perché… sono luoghi, paesaggi e persone a me cari nella mia infanzia. È come se io volessi ritornare a quell’epoca attraverso questi ricordi, per darmi la forza, ancora oggi, per pensare che la mia vita possa riprendere con un senso di continuità e di sicurezza per il mio futuro, come lo era allora.

16 FEBBRAIO 2015

   Daniela Mariotti


Col passare degli anni la scrittura diventa quasi illeggibile. Primo: non mi sento molto ispirata, chiusa nel mio pensionato San Francesco.
Secondo: le visite dei pochi vecchi amici hanno l’aspetto di beneficenza agli anziani. Non li biasimo. A nessuno piace questa tristezza, di cui trasudano anche i muri. Ma non mi piace piangermi addosso. Vorrei trovare una situazione meno tetra. Tutto è possibile a Dio! Forse qualche cosa, se non smetto di cercare, qualche idea per cambiare sarà possibile anche a me. L’importante sarebbe riuscire a cambiare i miei ritmi sonno/veglia… Questo mi sembra facile, in una notte insonne… Evviva! Ho strappato al sonno parecchie ore: sono ormai le tre… Basta che domani lasci perdere le ore insonni e affronti tutto il giorno ad occhi aperti… Cercherò di raggiungere questo obbiettivo. Chi scrive non è mai solo.

CASI CLINICI 4: IL PICCOLO HANS

   Cristicchi


Èdifficile per me parlare dell’infanzia e scegliere un libro idoneo a questo argomento. Questo mese ho scelto un caso clinico di Freud, Il piccolo Hans.
Mi ha colpito soprattutto l’amore del padre di questo giovine, la sua preoccupazione per le sue stranezze. Hans è un bambino che molto presto presenta delle fobie, il padre preoccupato lo fa analizzare da Freud, un noto psicologo. La fobia più grande di questo fanciullo è quella del cavallo, il quale avrebbe rappresentato il padre di cui Hans aveva paura, poiché era nella sua fase edipica durante la quale l’amore per la madre porta ad essere invidiosi e al tempo stesso temere la figura del padre. Hans aveva paura che un cavallo lo potesse mordere entrando nella sua stanza oppure che gli cadesse addosso e questo si potrebbe mettere in relazione con il timore di una punizione da parte del padre per i suoi desideri inconsci verso la figura materna. Tutte queste fobie sono dovute ad un insieme di altri avvenimenti accaduti nella sua vita, quali la nascita della sorellina, il desiderio di sostituire il padre nel mondo affettivo della madre ed i primi conflitti emozionali relativi alla scoperta del sesso e della masturbazione compulsiva.
Consiglio la lettura perché rende l’idea di come siano importanti il concetti di rimozione e inconscio che sono stati scoperti nel ‘900 grazie a Freud.

GENNAIO SILENZIOSO

   Daniela Mariotti


Sono diventata uno spirito solitario, proprio io che amavo tanto l’arte del conversare, ora medito sulle cose belle, che ho avuto, che ho visto; il cielo vicino e lontano, la stanza che mi circonda, mi fanno riflettere. Ed è così che nel mio cuore, persone un tempo amate si presentano nel loro lato migliore, dando corpo alla mia meditazione.
E così il cielo da chiaro si fa oscuro, per prepararci al riposo notturno.
Oh notte, avvolgimi con la tua coperta. Se vuoi tu, avrò più speranza nel domani.

SOGNO

   Daniela Mariotti


Sento ogni tanto, quando in inverno si aprono squarci di cielo blu, che qualcosa potrebbe succedere a riscaldare le nostre anime, che anche per noi è stato creato il paradiso. E bussando, le sue porte potrebbero schiudersi per noi, così tesi alla ricerca di angeli, alla ricerca di amicizia e amore: che non si perderà il sogno.




LA MEMORIA DEL PASSATO: CHE DIRE?

   Daniela Di Fabbio (Psicologa Psicoterapeuta CSM Budrio)


Ricordi d’infanzia – qualcosa di personale

Quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sul tema dei “Ricordi d'infanzia” mi sono detta : “Bene! Potrei raccontare i miei ricordi d'infanzia!”. E mi sono venute in mente le sensazioni delle mattine d'estate quando l'aria calda e il sole dilatavano il tempo lungo delle vacanze. E poi altri frammenti... la sensazione del freddo d'inverno in casa. La paura di passare nel corridoio scuro. Il letto dove dormivo con mia nonna, che era così alto che mi dovevo arrampicare sulla sedia per salirci.
Un odore, un profumo può essere inatteso, momentaneo e fuggevole, e tuttavia incredibilmente evocativo. Eccomi bambina d’estate sulla spiaggia ad annusare l'aria salmastra. Il profumo del borotalco dopo il bagno. Un pranzo in famiglia con l'odore del coniglio arrosto e delle patate e il ricordo di quei sapori. Gli odori si rifanno sentire come allora, presentandosi nella nostra memoria carichi di una capacità di ‘prenderci’ dopo esser scomparsi nel bosco incantato degli anni.
In men che non si dica, quindi, la scia dei ricordi può far ri-affiorare sensazioni e scene in rapide sequenze. Recuperando tanti elementi che sembravano esser stati ‘perduti’, alcuni da tanti anni, altri forse da ‘sempre’, nella mia mente è stato proiettato un film in streaming di cui io sono stata, in qualche modo, la regista, la protagonista e la spettatrice.
Che dire? Ricordare è un processo sempre attivo, che accompagna il nostro vivere e costruisce molto del nostro stare con noi stessi, e del nostro spazio interiore. Ma com'è complicato trasmettere agli altri le sensazioni, le immagini, le emozioni di cui sono formati i nostri ricordi d'infanzia!

“Le persone ricordano le cose in modo diverso, e non riusciremo mai a trovare due persone che ricordano nello stesso modo una cosa. Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti”.

Jorge Louis Borges



Fra teoria e pratica clinica

Riprendo alcune considerazioni tratte da un breve saggio di Sigmund Freud: Il sogno. Freud affronta il tema dei ricordi infantili e anche il tema dei ‘ricordi di copertura’, che sembrano formarsi anche con ricordi mnemonici di periodi successivi.
Nella mia attività clinica ho avuto modo di riscontrare in più situazioni il manifestarsi di ricordi d'infanzia modificati sulla base di ricostruzioni successive della stessa situazione. Questo può accadere anche in relazione alle fasi di elaborazione dei conflitti affrontati nel percorso psicoterapeutico.
Le comuni osservazioni ed esperienze cliniche portano a tenere conto dell’importanza di questi ricordi frammentari, ma persistenti nella memoria dei pazienti. Certi ricordi possono individuare alcune caratteristiche patologiche, ma soprattutto possono contribuire alla comprensione psicologica dell’individuo. E aiutano ad evidenziare le differenti strutture di personalità.
Freud sottolineava come le tracce mnemoniche che formano una serie di avvenimenti, vengono riprodotte in genere solo dal settimo anno di vita e anche successivamente. Prima i ricordi sono fugaci e slegati, riconducibili più ad impressioni e ad episodi isolati.
Per quanto, io stessa ho qualche ricordo precedente e più persone mi hanno raccontato ricordi anche di quand'erano molto piccole. Generalmente si tratta comunque di frammenti molto limitati. Nei casi di racconti più strutturati di ricordi risalenti ai primissimi anni di vita, ho ritenuto si trattasse di ricostruzioni a posteriori.
Ma a partire dai sette - otto anni, si crea una relazione tra il significato psichico di una esperienza e il suo ricordo. Sappiamo che quanto più un’esperienza risulta determinante per i suoi effetti immediati o successivi, tanto più viene ricordata, mentre al contrario ciò che non è ritenuto importante viene dimenticato. Freud scrive: “Se io riesco a ricordarmi un avvenimento anche molto tempo dopo che è accaduto, questa permanenza nella memoria mi prova il fatto che quell’avvenimento ha esercitato allora una profonda impressione su di me”.
Interessante è confrontare le amnesie tipiche di alcuni stati psichici patologici con l’amnesia tipica della prima fase della vita umana. Ci chiediamo come mai un bambino normalmente sviluppato, che a tre - quattro anni svolge prestazioni altamente organizzate confrontando le cose e facendo deduzioni, per lo più non ricordi molte di queste esperienze. Ma qui occorre affrontare la questione di quale sia solitamente il contenuto dei ricordi infantili. Se ragionassimo secondo la psicologia dell’adulto, ci aspetteremmo che questi ricordi vengano scelti tra quelli più rilevanti. Abbiamo infatti anche delle conferme: i ricordi infantili più remoti spesso riportano fatti che hanno provocato dolore o paura o vergogna. Però dobbiamo ricordare che l’interesse del bambino si fonda su presupposti diversi rispetto a quello dell’adulto.
In effetti, capita di sentirsi raccontare in modo dettagliato alcuni episodi banali e poco significativi. Pur non avendo provocato un forte impatto emotivo, questi si imprimono profondamente nella mente infantile ed arrivano all’età adulta. A volte, altri avvenimenti, che possono aver colpito drammaticamente e profondamente da bambini non vengono ricordati.
Freud faceva l'ipotesi dell'attivazione del meccanismo della sostituzione dei contenuti psichici. L’esempio dei ricordi infantili ne è dimostrazione, perché mette in rilievo contenuti che appaiono non essenziali in ‘sostituzione’ di esperienze importanti.
Questi sarebbero i ‘ricordi di copertura’ e sembrano formarsi anche con dati mnemonici derivanti da esperienze di periodi successivi. Hanno caratteristiche diverse a seconda del rapporto temporale fra l’episodio e la sua copertura; sono definiti negativi quando il contenuto è in netta opposizione con i contenuti repressi. Il saggio termina affermando che le analisi e le esperienze fatte mostrano come le ‘falsificazioni mnemoniche’ siano funzionali agli scopi della rimozione di impressioni sconvenienti e sgradevoli, o in casi traumatici.
Infine: ”Forse possiamo persino dubitare di aver ricordi coscienti risalenti all’infanzia. I nostri ricordi infantili ci mostrano i primi anni di vita non come essi sono stati, ma come ci sono apparsi più tardi.”



Il punto di vista delle Neuroscienze

Le osservazioni di S. Freud hanno trovato conferme da parte di recenti studi di neuro scienziati. Un articolo apparso sulla rivista Science, a firma di Katherine Akers dell'Hospital for Sick Children, di Toronto, in Canada, e di colleghi di una collaborazione tra istituti di ricerca giapponesi e canadesi, afferma che è la neurogenesi a cancellare i ricordi dell'infanzia. È la nascita di nuovi neuroni tipica dell'età dello sviluppo di molte specie di mammiferi, compreso l'essere umano, a destabilizzare le connessioni cerebrali e a determinare la scomparsa dei ricordi d'infanzia. Si determina così il fenomeno denominato ‘amnesia infantile’.
Lo ha stabilito un nuovo studio sperimentale su diversi tipi di roditori. L'amnesia infantile, il fenomeno per cui vengono cancellati quasi tutti i ricordi del primo periodo di vita, nell'essere umano così come negli altri mammiferi, è il prezzo che bisogna pagare perché nascano nuovi neuroni. Si tratta di un processo fondamentale per lo sviluppo neurobiologico. Le ricerche di neurobiologia hanno dimostrato che i neuroni vengono generati costantemente nella regione cerebrale dell'ippocampo, favorendo la formazione di nuove memorie. Questo dato ha suggerito l'ipotesi che la continua integrazione di nuovi neuroni possa cambiare le connessioni cerebrali, destabilizzando le memorie più vecchie. La conclusione è dunque che nei roditori, e verosimilmente in tutti i mammiferi, l'amnesia infantile è il prezzo che bisogna pagare per la formazione di nuovi neuroni.

“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.”

Gabriel Garcia Marquez



Che dire?

La memoria del passato di ognuno di noi è personale. Così come i ricordi d'infanzia che serbiamo nel cuore, nella mente, in qualche oggetto che ci portiamo dietro da sempre. I ricordi si manifestano vividi e reali quando, ad esempio, sentiamo per caso un odore quasi dimenticato e improvvisamente, anche solo per pochi attimi, siamo catapultati in una realtà che non c’è più. Ma noi riviviamo veramente le sensazioni assieme ad un certo calore emotivo, se si tratta di un ricordo piacevole. Oppure proviamo veramente disagio, dolore, terrore, se si ripresenta un ricordo spiacevole.
Nella vita quotidiana ciascuno di noi dà per scontata un’idea unitaria della ‘memoria’. Però dall'osservazione clinica e dalla ricerca, abbiamo imparato che i nostri ricordi non sono statici e le esperienze sia più recenti che del passato sono costantemente elaborate. Vengono destrutturate e ristrutturate in accordo con le nuove esperienze. Sono influenzate dalle situazioni e dal contesto di cui sono parte, nello stesso momento in cui stiamo richiamando alla memoria e raccontando un evento ricordato. Siamo arrivati più o meno fino a qui... la ricerca continua!
Sempre a proposito dei ricordi d'infanzia, una suggestione letteraria...



Proust e La ricerca del tempo perduto

Marcel Proust (1871-1922), À la recherche du temps perdu, opera che rappresenta il pensiero dell'autore sul tempo. Tra i moltissimi temi trattati spicca il ritrovamento del tempo perduto, del ricordo, della rievocazione malinconica del passato perduto.
“Un ricordo, un dolore, sono mobili. Ci sono giorni in cui fuggono così lontano che a stento li scorgiamo, e li crediamo andati via per sempre.”
Per tremila pagine Marcel, io narrante, combatte contro la sua mancanza di volontà, la sua bassa autostima, la sua fragilità fisica e psichica, il tempo che scorre troppo veloce, per arrivare finalmente a prendere la grande decisione: scriverà un romanzo sugli uomini e sul tempo. Ma il romanzo che scriverà non è un'altra Alla ricerca del tempo perduto, bensì proprio quelle tremila pagine di cui si è arrivati alla fine.
La Recherche si trova ad essere sia il libro che si è appena letto, sia il romanzo che Marcel ha trovato finalmente la forza di scrivere. A simbolo di questa circolarità, Proust comincia il suo romanzo con le parole: «Longtemps, je me suis couché», e lo termina con le parole «dans le Temps». Proust ha sempre affermato che l'inizio e la fine dell'opera erano stati scritti simultaneamente. Essi infatti risultano legati proprio come in un percorso che torna su sé stesso. Il nucleo dell'opera è la ricerca di un tempo perduto. Che sia un tempo interiore o un tempo esteriore, è un tempo che si è perduto. È, quindi, legato al passato, ma al contempo è un tempo verso il quale tende il presente. Nelle prime pagine Marcel riferisce l'episodio in cui fece in modo di avere dalla madre il bacio della buona notte e ottenne che ella rimanesse tutta la notte. Quella notte capisce che la sua solitudine e sofferenza recenti erano parte della vita: era l'inizio dell'erosione della felicità infantile, che è il contenuto del tempo perduto.
Questo ritrovamento necessario passa attraverso due elementi entrambi necessari: la memoria e l'arte. La memoria ci dà la possibilità di rivivere momenti passati che associamo a determinate sensazioni: il sapore della madeleine, riassaporato dopo anni, ricorda al protagonista le giornate d'infanzia passate a casa della zia malata a Combray.
”Sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi… All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio…”
Per Proust, però, il recupero del passato non è sempre possibile.
“Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente.”
La memoria può evocare i ricordi con meccanismi diversi, sollecitata da stimoli diversi. La memoria volontaria richiama alla nostra intelligenza i dati del passato in modo razionale, senza restituirci l'insieme di sensazioni e sentimenti che contrassegnano quel momento come irripetibile. La memoria spontanea o involontaria (epifania) è quella sollecitata da una sensazione e che ci rituffa nel passato con un procedimento di tipo più emotivo che logico. Questo permette di ‘sentire’ con contemporaneità quel passato, di riviverlo nel suo clima affettivo. La memoria involontaria cattura con un'impressione o una sensazione l'essenza preziosa della vita. Diventa un valore assoluto il ricordo svanito nell'infanzia, e poi risvegliato attraverso il sapore di un dolce o un sorso di tè.



Ricordare è creare. Ri-cordare è ri-creare:

L'arte consente di fissare in eterno quel risveglio di sensazioni che permette alla nostra memoria di riandare al passato. Il tempo che viene così ritrovato dalla memoria e fissato dall'arte è dunque un tempo interiore, e non esteriore, un tempo assolutamente soggettivo. Per questa ragione Proust dà importanza al rinchiudersi in se stessi per poter ‘ascoltare’ meglio le voci interne del nostro io. La grandezza dell'arte vera, consiste nel farci conoscere quella realtà da cui viviamo lontani, da cui ci scostiamo sempre più, via via che acquista maggior spessore la conoscenza convenzionale. Nella rappresentazione letteraria la vita vera dimora in ogni momento in tutti gli uomini altrettanto che nell'artista. E proprio grazie all'arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, noi lo vediamo moltiplicarsi. L'Artista meditando da giovane aveva scoperto occasionalmente che il tempo passato non era per lui perduto. Si tratta della storia di una coscienza in cerca della sua identità. Per Proust la vita scopre il suo significato grazie all'Arte. E la rappresentazione artistica fissa il passato che altrimenti sarebbe condannato alla distruzione. La resurrezione del passato si compie attraverso la letteratura che fissa la realtà, quando quello che c'era non c'è più.

La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro se non perché il presente, qual ch’egli sia, non può esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago”.

Giacomo Leopardi




UNA STRADA E TRE BIMBI

   Flavio


Da Il Cinno Selvaggio - Take a picture, rivista realizzata dal Centro Diurno Rondine (Bologna) sotto la direzione di Andrea Bruno.







LO SFOGATOIO

   Giovanni Romagnani


T.S.O.

E così, il 10/01/1998 entrò, verso la mezzanotte del giorno seguente, il mio primo T.S.O. in catena associativa. Non lo descriverò, non è ancora il momento. Ma verrà. Per quello che mi riguarda.
Ritengo il Trattamento Sanitario Obbligatorio un insuccesso scientifico. Lì la psichiatria si arrende. Semplicemente non capisce.
O forse non vuol capire o far capire! Si mette un bel monolite su una situazione e si rimanda.
Entri in un ospedale psichiatrico, in genere l'Ottonello, prima vecchio e poi nuovo, perlomeno per quello che riguarda Bologna, e passi da uno specialista all'altro.
Sì, perché il bello viene qui. La coppia di psichiatri/psichiatre che lo ha attivato, vedi M. e B. 2000… in genere si scambiano uno sguardo d'intesa, ti passano allo specialista del reparto. Probabilmente per differenziazione funzionale, anche se personalmente intravedo vocazione “pilatiana”.
Vorrei trovare psichiatri che ammettessero la loro propria sconfitta. Invece ci fanno il callo. Li incroci al CSM Scalo e ti dicono laconici: "Ne ho appena attivato uno", tornando dal bar. Quando sento commenti del genere, al bar ci vado io e bevo robusto. Tanto mi fanno le analisi del sangue!



Lupi bruni e neri

Ho frequentato i Lupetti con Enrico Brizzi, lo scrittore. Sono stato nelle sestiglie dei lupi bruni e neri. Due anni nei bruni, uno nei neri. Ho conseguito due specialità: maestro dei giochi, attore. Di queste parlerò nella prossima e-mail.
Veniamo ai colori delle sestiglie, che corrisponde al colore delle tribù del branco.
Profetici. Le Dottoresse B. e M. mi appiopparono il mio terzo T.S.O. nel gennaio del 2000. Terzo in due anni solari, gennaio '98- gennaio '00.
Grazie! Poi dicono che uno non si deve incazzare. Quando tornai al CSM Scalo, la Dottoressa M. cercò di stringermi la mano: non accettai.
Ma torniamo ai colori. Grazie al Bruno il Nero dell'Ottonello Vecchio. Vero Buco del Culo del Mondo. Al Malpighi, dove andai nel novembre del '99 sotto le sapienti mani del Dottor B., detto Gianni, che per dirla tutta non mi trattò come Ambra Angiolini, scoprii che Il Buco del Culo aveva anche le emorroidi. Probabilmente esistono psicofarmaci anche per quelle: "Basta Chiedere!"
Quando la Dottoressa B. e la Sfuggente Dottoressa M. mi assegnarono il mio terzo T.S.O. stavo frequentando un corso per bigliettai a terra per l'allora A.T.C. Viene prima la salute, mi dissero. Mi limito a dire che quando prendono l'autobus spero si dimentichino di timbrare il biglietto. Io evidentemente non posso farglielo.



Un caffè?

Quando invecchi affiorano ricordi lontanissimi. Ma l'animale? Si prende tutto, anche il caffè. Bevo molti caffè, da quando sono in Psichiatria di più. Quando ero seguito dal Dottor R. erano caffè disperati. Da Ex-Ipnotista semplicemente non ti lasciava passare. Mi proponeva compromessi che non accettavo, da spingere giù, in fondo.
Per non parlare del periodo con il Dottor C. Voleva scavare, Io no, e tanti rischiati collassi. Molti psicologi si credono medici ma non conoscono la fisiologia. Dieci Stratagemmi, ma la Porta dello Spavento Supremo bisogna oltrepassarla in due, mentre in genere gli specialisti si rifugiano nel ruolo. Partita a scacchi con la morte? Speriamo di no. Io personalmente al Settimo Sigillo preferisco Il Sigillo di Franco Battiato, contenuto nell'album Fleurs 3.



Proiezioni personali

Parlavo ieri con Mario delle proiezioni personali… Se soggettive vanno ammesse.
Il malato deve stare al centro del proprio processo di guarigione. Sono più legittime le sue, in quanto proprie, di quelle di terzi. Riteniamo, io e Mario, che troppo spesso esterni, vuoi che siano operatori dei servizi, vuoi che siano famigliari, proiettino le loro aspettative di guarigione sull'utente. In questo caso la guarigione NON SARÀ SUA, ma di altri. È quello che sostiene Carl Gustav Jung, quando parla di volontà di individuazione personale.



Un po’ di neve si sciolse

Quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore.
Questo nodo lo sciolga il sole, come sa fare con la neve. Accosto due autori appartenenti a periodi diversi, ma simili nel rapportare lo psicologico al mondo naturale, Lucio Battisti - Elisa Toffoli.
Credo che come sostiene Vasco Rossi nella raccolta video Tracks, per quanto il mondo contemporaneo ci spinga all'isolamento soggettivo nella soddisfazione dei nostri piaceri egoistici, sperare che la natura ci raffiguri e ci sostenga sia utile. Quando fui ricoverato in T.S.O. nel 1999 nel reparto psichiatrico del Sant'Orsola (Malpighi), la tristezza si posò nuda nel mio cuore. La vidi e mi dissi: "E adesso?". Non sapevo che le visite erano a giorni alterni. Non mi venne detto. Penso che non ci voglia molto. Così, ero nell'ultima camera a sei letti, di fianco alla vetrata, vedevo scendere la neve, era Novembre, che scandiva il silenzio del mio cuore. Silenziosa. Però c'era! Ed allora le parole di Lucio Battisti le ricordai. Mi dissi: "Se fosse un punto di partenza?"… Per un attimo ci credetti e, piangendo, un po’ di neve si sciolse. Il Dottor B., ferreo gerarca all'inizio, si scusò e mi augurò buona fortuna. Forse un po’ di neve si sciolse anche in Lui. Poi anni dopo ascoltai la canzone di Elisa. Mi dissi: "Forse è proprio così!"… Certo, lo ammetto, il nodo del Malpighi non si è ancora sciolto del tutto, però oggi, 13 Aprile 2015, a Bologna c'è il sole, ed alla peggio, mancano quasi sei mesi al prossimo inverno.



***

I linguaggi dell'anima hanno bisogno di parole vere, estratte dal sé.
Solo in quel caso il progetto di individuazione è possibile.

IO E TE

   Paola Scatola


Mi parli, quando non ti ascolto
tu poi mi dici: "ma, lo fai, perché mai lo sai!"
E quando godo
d'ardore insapore ed insaputo
tra le tue braccia
penso d'esser una donna, effimera:
mi piace più volerti bene.

OGNI TUO CANTICO SU DI ME

    Paola Scatola


La tua bellezza
sta alle farfalle
come Dio a chi pecca

Sei l'unica
che possa sciogliere
questo groviglio di pensieri
e di tenebrosa tristezza

Accoglimi
col velluto delle tue labbra
(amami appassionatamente!)

E come in un passaggio onirico:
dopo di te
cielo splendente.

15 FEBBRAIO 2015

   Daniela Mariotti


Aspettando giorni migliori.
Eccomi qui
in un giorno
piovigginoso, come
tanti altri.
Un giorno in cui
le parole si fermano in gola.
E sono tanti i giorni così.
Come in una lunga catena.
Ma tu batti, cuore mio,
e a volte ed anche oggi
questo può bastare
a sentirmi viva.
Grazie, cielo nuvoloso,
per la vita, per il battito del mio cuore!

I RICORDI D’INFANZIA

   Loopa Sonivree


Il passato è passato...
Un dì ero piccolo,
un bambino come tanti,
mi sono rimaste impresse
molte cose!
Da piccolo principalmente
vedevo i grandi
e desideravo
di crescere
per poter raggiungere
la libertà
e non dover sottostare
al volere degli adulti!
Con gli altri piccoli
però allo stesso tempo
non capivo il perché
di certi comportamenti dei grandi,
di certe regole,
non capivo,
ma allo stesso tempo li invidiavo.
I ricordi di bambino
sono di giochi, di amici,
di cartoni, di compagni di scuola.
Ora il tempo
è passato
e guardo all'età
in cui ero bambino
con tenerezza.
Poi penso: adesso che ho la libertà,
sono capace di gestirla al meglio?
Ci provo...

POEMETTO: INFANZIA FELICE / INFELICE

   Daniela Mariotti


Non ricordo l'autore,
ma mi pare sia Goethe,
dice che tutto quello che
i genitori possono fare
per i loro figli è difenderli
dagli anni terribili dell'infanzia,
il mito dell'infanzia felice
resta un mito. Il ricordo
addolcisce i primi anni
della nostra vita
e ci nasconde i pianti
disperati dei familiari
dietro un filtro di felicità
inverosimili.
Uno dei miei momenti
di più grande solitudine
lo ricordo bene anche
se non appare al ricordo
così grave. Ero piccolissima
era la prima volta
che giocai a "mosca cieca".
Mi divertivo, correndo
per non farmi prendere.
Poi, toccò a me di stare in mezzo,
bendata, a cercare di toccare almeno
qualche bambino…
Sentivo le loro risa, ma non riuscivo
neanche a sfiorare qualcuno,
mi sentii perduta
e cieca per sempre,
povera mosca cieca.
Gli altri, come già avevo
fatto io si divertivano
a toccarmi e poi a scappare
ridendo nella cerchia,
io cercavo di resistere
ma non riuscivo nemmeno a muovermi.
D'un tratto le lacrime
cominciarono a scendere
da sole inondando il
mio viso bendato.
I bambini cominciarono
a ridere sotto voce, dicendo
Uh, la violetta di Parma!
E questa presa in giro
(io sono nata a Parma,
il cui simbolo era la violetta selvatica
che si trova in Primavera
lungo gli argini e i fossi)…
Mi sembra di odiare
la mia città, la mia infanzia e la capacità
di stare allo scherzo...
Ho un fratello di otto anni
più grande di me,
che fu il mio liberatore.
Senza sentire gli altri,
mi si avvicinò e mi tolse la benda,
sussurrandomi: te lo avevo detto
che bisogna che tu
sia un po’ più grande
per partecipare a questo
gioco, non piangere più,
non si può vincere sempre...
La dolcezza con cui
mi aveva sussurrato
queste parole mi consolò,
ma la vista degli altri così divertiti
mi impedì di trattenere
quelle lacrime irrefrenabili,
sentii per la prima volta
una così sconcertante delusione,
non ero più cieca,
ma così piccola
da sentirmi davvero una nullità,
una povera orribile mosca, e insieme
l'amore immenso per mio fratello Vanni,
che non si spenga mai!
E così l'infanzia va
avanti allo stesso modo, fra gioia
lacrime e risate, piccole vittorie e sconfitte...
Oh, vita mia, oh vita
così bella e così complicata, fin dall'infanzia,
l'infanzia in teoria così
felice che non si vorrebbe
che finisse mai!
Quel giorno sentii
sulle mie fragili spalle
il dolore e la desolazione
non solo mia, ma anche di tante infanzie
non mie....
E così nacque la voglia,
il bisogno di crescere
in fretta, di essere grande
e di correre sempre per non farmi acchiappare,
di correre a più non posso.
Per non farmi acchiappare,
da che? Dalla altrui
derisione.... dal buio...
Vita mia, vita!

GALATINA

   Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)


Mi appoggio ai muri
colorati, disgiunti
e percepisco
la palla, il nascondino,
le pietre fra le mani,
il sole dietro l’angolo
basso, del terrazo.
Incantevoli bimbi
da scuola, correndo,
lasciano grembiuli
alla mano calda di mamma.
Il ciliegio e il mandorlo
lungo il percorso
fanno ombra e profumano
il passo saltellante e giulivo.
Solo passerotti di contorno,
poche le macchine in strada,
l’attesa del mezzodì
accompagna gli appetiti
di pesce fresco, cicorie e olive,
di panetti profumati, di rosette.
Galatina porta fortuna,
datele un sorriso
e regalerà dolcezza
come la ‘Pupa’
al centro della piazza,
distesa di rotondità femminile,
accompagnata da luci la sera.
La Villa è un passeggio
d’innamorati
nella penombra dalla luna
e la mano nella mano
promette matrimoni a vita
con confetti rosa.
Qualcuna è scappata,
come me, ma un giorno ritornerà.

NON POTEVI

   Ermanno Bitelli


Che non potevi essere gentile
la pena.
Armata di staffili e artigli
per difendere l’ingresso della benevolenza
inseguita da un letargo di spossatezza perenne
e la disarmonia dei pensieri.
Perché a produrre reddito e sopravvivenza
a lavorare nei fumi delle tele
fino alle giunture
e a dire sì.
L’allegria di voci piccole bastava:
unico dato
in solitario e saltuario
abbandono di gioia.

GIGLIO 3

   Ermanno Bitelli


Diritto all’indifferenza
segno di rispetto
degli altri i traumi
l’educazione infelice
e un Dio celato e corrotto.
Porgo il fiore, candido
combatto l’odio
scava nel profondo
storce la faccia
e gli angoli della bocca.

DORMI MARCELLINA, DORMI

   Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)


Amarsi,
come l’acqua
che gentile aderisce alla brocca
su sponde sinuose.
Lasciare che sia
la farina impastata
di remoto
a tramutarsi in pane,
per accoglierla
nelle sue forme.
Gentile la voce di mia madre
sussurrava:
Dormi Marcellina, dormi…
E la mano sul capo
diveniva brezza,
energia primordiale,
per lasciarsi andare.
Imparare ad amarsi.
Essere bambina
a scoprire ieri, più oggi,
forse domani…

8 MARZO

   Daniela Mariotti


Mimosa, tu senti il tuo profumo come me?
Dove ti ha portato
la tua solitudine
esibita?... Eppure,
ci sono tante cose
che non sai di me...
E le viole del pensiero
adesso chi le curerà?
Sul grande terrazzo della tua casa.
Tu non avevi paura
di sporcarti le mani con la terra,
di cambiare i vasi delle piante.
Certo sul tetto di via
Foglietta continuarono
a seguire da soli
quei fili d'erbe spontanee, con i loro
fiorellini quasi
invisibili...
Stazione V della
Via Crucis.... i fiori
di mimosa sono
qui vicino a me
in un vasetto di vetro.
Ma io per interrare
i fiori avevo paura
di sporcarmi le mani.
E l'edera di Walter
sarà ancora là,
nel suo piccolo vaso,
piccolo anche se
per tre volte la trapiantasti...
Ciao buonanotte.

SE PASSERÀ DI QUI

   Daniela Mariotti


Se passerà di qui qualcuno che mi ha voluto
un po’ di bene, mi lasci un pensiero
per un mondo migliore e più giusto,
e la speranza di vederci ancora.

QUANDO

   Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)


Quando bambina
sfioravo margherite,
riconoscevo l’essenza della terra.

Appartata sorvegliavo l’ulivo
serrando la paura.
Sapevo della sua presenza
e mi lasciavo andare
al gioco soffice della scoperta
di formiche sue amiche,
di fili d’erba,
di papaveri rossi ballerini.

L’olivo, paterno,
offriva la sua ombra
in un’estate torrida.
Il vento fra le fronde
scalfiva il silenzio,
e ondeggiava maestoso.

Sparsi sulla terra i frutti,
caduti uno ad uno,
un’intermittenza leggera,
a testimoniarne presenza,
a presenziare il tempo.

LA CASA DEI VICINI

   Lucia Luminasi


Petunie rosa lilla bianche blu
occhieggiano qua e là, tra le macerie:
nel quadro degli affacci mattutini
la casa dei vicini non c’è più.
Il tetto irrazionale, la facciata
sfacciatamente viola, una baldanza
anni cinquanta, frusta, dilavata…
Non la trovavo bella, ma l’amavo,
come una vecchia tata.
Aveva già tremato molte volte
sotto il maglio crudele del destino,
ma resisteva, stretta ad un suo nume,
un ippogrifo che, benché sbrecciato,
i sogni di bambini sempre nuovi
indirizzava in su…
L’avrà seguito in volo?
E quel tesoro
tanto cercato tra i suoi vecchi muri?
Setaccio con lo sguardo i calcinacci,
rintraccio gli angolini
ove ci acquattavamo senza fiato…
-Tana, liberi tutti! -
È solo un’eco,
ma ride in cuore e frulla nella brezza,
tra le petunie lilla, rosa, blu.

PALLA

   Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)


Forma
che giochi
e rimbalzi,
palla variopinta
rotonda e soda
a volte imbiancata
come luna.
Palla,
assioma,
ti vorrei di marmo
ferma
intoccabile
e sana,
purpurea,
o come una bolla
di sapone,
tonda,
trasparente,
e soffiarti via
a scomparire
in alto o in basso.
Palla genovese
o napoletana
o di calcio
di mondo
di atomo
o microbo
o cellula.
Palla
mi hai fatto
vedere
il gioco
ed ho giocato
credendo
di non cadere.

TRA SOGNO E REALTÀ

   RTP Casa Mantovani - LABORATORIO DI NARRATIVA

…Don…Don…E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.

Giovanni Pascoli

Le campane sono le voci del buio della notte, Pascoli le definisce 'azzurre' perché il loro suono si diffonde nel cielo e ne richiama il colore. Riemergono nella memoria del poeta ricordi e impressioni dell'infanzia lontana che lo portano alla serenità di quel periodo. I ricordi riaffiorano alla sera, in gruppo abbiamo ragionato che anche a noi capita la sera di soffermarsi a pensare a ciò che ci è accaduto durante il giorno e da lì connettersi con il nostro passato e talvolta, come un Giano bifronte, guardando al futuro … Abbiamo scelto di riportare solo i ricordi belli… quelli che dovrebbero contraddistinguere l’infanzia. La consegna che ci siamo dati per riflettere su questo tema è la seguente: i ricordi dell'infanzia stanno tra sogno e realtà: quali immagini, personaggi, luoghi, voci ti vengono in mente se ripensi alla tua infanzia? Racconta.




Lo sport mi aiutava ad essere felice! I miei luoghi preferiti erano quelli in cui ascoltavo musica con gli amici.

Alessandro Fiorini




Se penso alla mia infanzia mi vengono in mente le scuole elementari e la casa vecchia in cui abitavo. Non c’era nulla di violento, solo pace e benessere, stavo proprio bene. Ho sempre avuto molti amici e con loro giocavamo con i miei motorini. Nonostante il disaccordo dei miei nonni che ogni giorno dopo scuola mi ospitavano a casa loro per pranzare assieme.
Era sempre tutto buonissimo, non pensavo mai alla linea ma nonostante ciò non ingrassavo, ero così pieno di energie da giocare tutto il giorno e, forse, la sera quando rientravo a casa da mia madre, mi mettevo a studiare. Era bellissimo, soprattutto la primavera e l’estate.
Era bello festeggiare i compleanni infatti non veniva mai buttato un minuto. L’unica cosa è che mi sentivo diventare grande troppo in fretta ma, allo stesso tempo, mi sentivo bene. Volevo bene a papà e mamma e loro si amavano tanto.
Ho fatto anche il chierichetto e sentivo che la mia fede era molto forte. Stavo bene e mi sentivo forte e soddisfatto. Nell’infanzia iniziavo ad avere anche le prime ragazzine e si sognava un giorno di sposarsi.

Davide Z.




È pronto!”, mia madre alla finestra, “Un attimo!”, un attimo lungo una vita. “Metto l’acqua, te prendi i pesci?” avevo un acquario in giardino. “Venite a tavola!” “Arriviamo!”. Nel frattempo io e mio cugino mentre scappavamo nel bosco “Vieni a prenderci tra i rovi” e giù per il dirupo a rotta di collo verso il campo evitando i rovi, cespugli ed alberi. Ci mettevamo poi sdraiati all’ombra di una quercia, guardavamo il cielo fantasticando sulle nuvole. Mio padre:“Allora cosa guardate?”, noi:“Guardiamo la vita”.

Giovanni




Quando avevo tre anni, la mia zia Lucetta mi ha regalato due mici che mio cugino ha chiamato Eustorgio e Micio miao. Per l’asilo e le scuole elementari mi hanno regalo degli occhiali rossi. Il giorno più bello è stato quello della prima comunione, la nonna per l’occasione mi ha regalato un velo vintage un po’ antico che mi è venuta a mettere in testa durante la cerimonia, infatti per questo motivo mia madre si è arrabbiata tanto e ha ripreso mia zia. In tutto ho avuto cinque gattini, l’ultimo me l’ha regalato un’amica di mia mamma esperta di gatti, ne ha venti, e lo abbiamo chiamato Birder.

Mariangela




Un hula hop, la torta alla vaniglia, la focaccia della nonna. Giocavo a campana, correvo sui pattini. Una bicicletta, una discesa… le margherite e il loro profumo. Era nuovamente primavera. Regina, un cane buono che abbaiava solo perché voleva giocare a pallavolo. Che spensieratezza, tutto era così grande, tutto era così semplice. Nostalgia di tempi che furono.

Anonima

LE MEMORIE DEL BAMBINO

   Gruppo Rassegna Stampa del Centro Diurno di Casalecchio di Reno


I ricordi d’infanzia, prima di sostare nella mente, attraversano il cuore.
Ogni ricordo che ci viene in mente, ci riporta ad un’emozione che, nonostante la lontananza nel tempo (si torna indietro nel tempo di almeno quarant'anni), sentiamo molto viva ed intensa come se lo stessimo rivivendo.
Le esperienze ricordate variano, dai momenti trascorsi all’asilo e in chiesa per la comunione e la cresima, ai tempi passati a vedere i treni in transito, alle immagini dei giochi in casa con le macchinine, le figurine dei calciatori e i soldatini. I cartoni animati come Heidi, Candy Candy, Holly e Benji, Lady Oscar hanno accompagnato la nostra infanzia. Anche un bel vestito grigio, completo di giacca e pantalone, ci porta ad un ricordo molto piacevole, perché vestito così si era considerati favolosi da familiari e parenti, ma soprattutto da se stessi.
Le emozioni che ci trasportano e ci fanno compiere questo salto nel tempo, sono a volte negative e a volte positive. Ci piace ricordare quelle positive. Il senso di libertà, la spensieratezza, la contentezza di vedersi bene.
Anche il ricordo della nascita di una sorella conduce all’incredulità genuina di un bambino che crede sia stata portata da qualcuno e seriamente diceva “Ma riportagliela ben indietro!”




I RICORDI DI INFANZIA

   Associazione UmanaMente


Brainstorming

IIl tema ricordi d’infanzia ha posto nel gruppo di scrittura un iniziale ed immediato bisogno di scomposizione dell’argomento, di definizione del periodo chiamato 'infanzia' e di approfondimento del concetto di 'memoria', di capire in particolare come mai dell’infanzia si abbiano ricordi a volte confusi e sfumati, a volte nitidi, altre ancora, in riferimento a quando si era bambini piccolissimi, non sia possibile avere alcun ricordo. Rispetto a questi punti di partenza si è stabilito allora di assegnare l’approfondimento del tema : “Infanzia” ad Antonio e alla tirocinante in psicologia Alessandra e il tema del “Ricordo nei primi anni di vita” alla tirocinante Ileana.
La memoria come argomento ha poi suscitato l’interesse sugli studi del filosofo Giordano Bruno nei confronti delle mnemotecniche, e Oriano ha preparato un approfondimento. Vengono di seguito riportati alcuni materiali (liberamente tratti da siti internet) utilizzati dai relatori, utili per la successiva lettura dei testi personali sui ricordi d’infanzia.




INFANZIA

A cura di Antonio Metta, socio dell’Associazione UmanaMente e di Alessandra Solmi, tirocinante in psicologia presso l’Associazione UmanaMente.

L'infanzia (dal latino infantia, da infans, composto di in-, negativo, e participio presente del verbo fari, "parlare", letteralmente "che non parla") viene generalmente divisa in: periodo neonatale, comprendente uno stadio precoce (la prima settimana di vita) e uno tardivo (fino a 28 giorni); prima infanzia (primi 2 anni); seconda infanzia (dai 2 ai 6 anni); terza infanzia (dai 6 anni all'inizio dello sviluppo puberale).
La pubertà è caratterizzata dalla comparsa di caratteri sessuali (tra gli 8,5 e i 13 anni nella femmina; tra i 10 e i 15 anni nel maschio); l’adolescenza va dalla fine della pubertà sino al termine dell'accrescimento della statura, tra i 20 e i 24 anni a seconda del sesso; l'età adulta si definisce come maturità fisica, psichica e sessuale.
L'infanzia corrisponde a un lungo processo maturativo sia a livello fisico sia a livello psicologico.
Suddividiamo ora l'infanzia in 3 periodi:

Prima Infanzia
(dalla nascita ai due anni)
Alla nascita, il sistema visivo del bambino è ancora fortemente immaturo: la sua visione è sfocata ed è in grado di percepire solo gli stimoli posti a una breve distanza (25 cm circa). Entro i quattro mesi di vita si verificano i più importanti cambiamenti delle funzioni visive, come il raggiungimento della messa a fuoco binoculare, l'aumento dell'acuità visiva, la visione tricromatica, ecc... (Teller e Bornstein, 1987).
Il neonato dimostra di prediligere alcuni stimoli, in particolare sembra essere attratto da stimoli in movimento e dal volto umano, per le sue caratteristiche di simmetria e regolarità; a 3 mesi egli è in grado di distinguere le espressioni facciali (Barrera e Maurer 1981; Field, 1985).

Seconda Infanzia
(dai due ai sei anni)
Nella seconda infanzia , il bambino acquisisce nuove capacità percettive favorite dalla maturazione del sistema nervoso e dallo sviluppo delle abilità motorie.
L'abilità di sganciarsi dal contesto percettivo e di cogliere i particolari si sviluppa gradualmente: nello sviluppo della percezione si deve imparare cosa guardare e a distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è. È in questo periodo che si manifesta il fenomeno del ‘sincretismo infantile’, per cui la percezione della struttura d'insieme ostacola l'individuazione delle singole parti; in altri casi, si percepisce in modo isolato un dettaglio saliente, ‘vistoso’ o familiare, anziché considerarlo come parte di un tutto. Per quanto riguarda la percezione dello spazio e dell'orientamento durante la seconda infanzia, il bambino passa da un sistema di riferimento ‘egocentrico’ a un sistema ‘allocentrico’, ovvero una rappresentazione spaziale basata su punti di riferimento esterni.

Terza Infanzia
(dai sei ai dieci/undici anni)
In questo periodo, migliorano le strategie di analisi percettiva, in particolare nel confrontare gli stimoli e nel compiere un'esplorazione esaustiva.
La percezione dello spazio è di tipo euclideo, basata cioè sul numero e sulla lunghezza dei lati, sull'ampiezza degli angoli e sulle relazioni metriche.
Dai 10 anni in poi, gradualmente, arriviamo a possedere tutte le caratteristiche di flessibilità, reversibilità e sistematicità proprie di quelle dell'adulto; inoltre si perfezionano le abilità rappresentative che ci permettono le più evolute operazioni visuo-percettive e visuo-spaziali (rotazioni mentali e programmazione dell'immagine mentale).
Per quanto riguarda lo sviluppo mentale del bambino dal punto di vista più psicologico, Jean Piaget, nell'Introduzione all'epistemologia genetica del 1951, analizzava l'evoluzione del bambino in stretto rapporto con l'ambiente che lo circonda. Per analizzare le varie tappe evolutive, Piaget utilizzava il metodo clinico che consisteva nell'osservazione sistematica del comportamento del bambino in una determinata situazione sperimentale. Il suo obiettivo, come affermò nell'Autobiografia del 1950, era quello di comprendere l'origine e lo sviluppo dell'intelligenza, dimostrando che questa non era innata ma che si strutturava in relazione al mondo esterno. Quindi le strutture mentali del bambino, inizialmente semplici e legate all'azione, pian piano diventano più complesse. Questo processo si realizza grazie a due fondamentali meccanismi: l'assimilazione, quando il bambino incorpora nelle sue strutture mentali le informazioni del mondo esterno; l'accomodamento, quando il bambino rinnova gli schemi conoscitivi preesistenti attraverso la rielaborazione del materiale acquisito.
Piaget ha suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in cinque livelli (periodi o fasi), caratterizzando ogni periodo sulla base dell'apprendimento di modalità specifiche, ben definite. Ovviamente mente tali modalità, riferendosi a una ‘età evolutiva’, non sempre sono esclusive di una determinata fase. Le tappe evolutive da lui proposte sono le seguenti: la Fase senso-motoria (dalla nascita a 2 anni circa); la Fase pre-concettuale (da 2 a 4 anni); la Fase del pensiero intuitivo (da 4 a 7 anni); la Fase delle operazioni concrete (da 7 a 11 anni); la Fase delle operazioni formali (da 11 a 14 anni).








Ero sulle gambe della mia nonna materna che mi cantava una ninna nanna seduta su una sedia in un corridoio, avrò avuto 2 anni.
Avevo 3 anni quando un giorno mi rifiutai di salire le scale che portavano su al primo piano dell'asilo gestito da suore e nel quale non mi trovavo male. Ero un bambino normale che giocava con altri amichetti ed ero sereno, ma quel giorno particolare, incapace fino ad allora di prendere iniziative, rimasi nel sottoscala piangendo forte, dicendo ripetutamente che volevo tornare da mia madre. Lei fu subito rintracciata dalle tate, vista la mia riluttanza assoluta, e andai via con lei che stranamente non insistette più di tanto a farmi restare li e mi portò con sé. Le dissi che non volevo più andare all'asilo e lei accettò. Trascorsi lunghi mesi felice in silenzio a casa vicino a lei, io a giocare e lei occupata nelle faccende domestiche. Forse nel mio cuore sapevo che da lì a poco l'avrei persa per sempre.

Francesco Musco




Sono nato nel 1940, anno d'inizio della guerra ed eravamo sfollati in Friuli dove i parenti di mia madre avevano un'osteria. Ricordo esattamente che, in braccio a mia madre, si scendeva in uno scantinato e vedevo 'cose' (prosciutti e salami) pendere dal soffitto, e ne sentivo il profumo, ed inoltre si sentiva un parlottare sommesso di donne (anziane? pregavano) e, sempre in braccio a mia madre, da un finestrino da cui si vedeva un cielo scuro, ricordo esattamente parlare di un "PIPPO" che bombardava (eravamo vicini al fiume Tagliamento).

Edoardo




La prima volta che sono andato a scuola, in prima elementare, mi ricordo che eravamo anche il numero 20 di bambini e il maestro ci faceva alzare in piedi, e mi ricordo che era anche nuvoloso...

Giovanni B.




Per quanto concerne i ricordi dell'infanzia, mio padre ha una posizione basilare, in senso negativo. Infatti, spesso, mi picchiava utilizzando la cinghia oppure usava il bastone. Anche mia madre mi picchiava spesso; io avevo una paura aberrante. Mio padre è morto nel 2003. Al funerale non ho pianto.

Roy




Mio nonno materno tutte le mattine nella città di Foggia, quando avevo 5 anni e mezzo mi portava in braccio a scuola, partendo dalla sua casa con molto affetto, bontà e generosità, con un sorriso molto bello ed accentuato, mi rendeva davvero felice ed ero talmente affezionato che ogni volta che lo vedevo volevo stare solo con lui, anche durante tutta la giornata, solo che non potevo, proprio perché dovevo andare a scuola. Durante il tragitto, mi portava in un bar e mi comprava il cornetto, ed io ero molto emozionato e logicamente strafelice. Mio nonno era un colonnello dell'esercito militare italiano e lo ammiravo e gli volevo bene tantissimo. Quando arrivavamo a scuola, lui mi salutava con tanto affetto e passione e mi diceva che mi sarebbe venuto a prendere alla fine delle lezioni, ed io ero super felice e anche io lo salutavo con affetto e passione. Non mi dimenticherò mai questi momenti insieme a lui soprattutto perché condividevo tantissime cose.

Anto 91




In questa fase della mia infanzia ricordo all'età di 8 anni, che durante l’esame scolastico della scuola privata che frequentavo, ero consapevole di fare un fantastico esame (esame d'ammissione per la classe successiva). Difatti l'esito del mio esame era talmente bello, positivo e sorprendente, che la mia maestra d'allora mi disse "Antonio ti faccio i miei più vivi e sinceri complimenti, congratulazioni per l'esame che hai sostenuto, sei stato talmente bravo, preparato e concentrato, che ti dico che sei un angelo!". Queste sue dichiarazioni nei miei confronti furono influenzate anche dall'ottimo rapporto che avevo con la mia bravissima maestra. Io ero tanto emozionato ed entusiasta di ciò che mi disse, che non potrò mai dimenticare questo mio evento storico meraviglioso.

Anto 91




Un ricordo fotografico infantile e tra i più precoci è quello di mia bisnonna Angiolina che nella piazza del paese mi accarezza la testa e mi dice dolcemente "piccione". Poi dopo qualche tempo muore e mia mamma, tenendomi in braccio me la fa baciare, mentre lei è sul letto freddo con i candelabri.

Augusto




All'età di 10 anni avevo come amica una bambina che si chiamava Maddalena e giocavamo ad andare in bicicletta. Lei abitava nello stesso palazzo. Sua madre ci accompagnava a scuola in automobile e anche al Villaggio del Fanciullo per imparare a nuotare. Nel parco giocavamo con l'altalena. Giocavamo con un maestro di tennis per poi giocare con altri bambini.

Stefano




Mio padre, quando veniva a casa ubriaco a volte mi picchiava con la cinghia. In un episodio mi ruppe una spalla. Nonostante questo, mio padre non l'ho mai odiato. Avevo 8 anni.

Roy




Il più bel ricordo della mia terza infanzia è sicuramente la nascita di mio fratello Gianluca, avvenuta il 29 luglio 1988, quindi io avevo 10 anni e mezzo. È stata molto bella anche la nascita del mio secondo fratello Enrico, ma Enrico fu messo in incubatrice, in quanto nato prematuro, e quindi non l'ho potuto vedere subito. Gianluca invece sì. La mattina che è nato, siamo nella nostra villa in montagna e partiamo tutti verso il Sant'Orsola. Appena lo vedo sembra un fagotto, una salsiccia e lo posso tenere in braccio solo che lui si ammala di ittero e deve stare qualche giorno in più in ospedale: era più giallo di un cinese e puzzava di brutto, ma dopo pochi giorni lo abbiamo finalmente portato a casa.

Simone




Ricordo che la maestra in prima elementare ci commissionò di disegnare e descrivere la nostra camera da letto. Fui colto da una forte tristezza e angoscia, poiché la mia stanza era composta da mobili solo bianchi e neri!! In me dicevo “perché nella mia stanza non ci sono colori, i colori per esempio degli arcobaleni?” Piansi e la maestra cercò di tranquillizzarmi e mi disse: “Non importa se nella tua stanza ci sono solo i colori bianco e nero, puoi inventarli e colorare il disegno come ti pare!”. Inventai colori forti e sgargianti, però, finita la lezione, tornai nella mia stanza…

Lorenzo




Sono nato nel quartiere Bolognina in via Calvart. Mia nonna mi dava il latte. Mi mandarono all’asilo… le statuine, dei pupazzetti di pongo, i bambini me li ruppero e ridevano. Poi andai a scuola, ma ero confuso non capivo le lezioni. La vita familiare era mia nonna, mio nonno, mia madre, mio cugino, mia zia e mio zio. Fui bocciato tre volte. Non capivo le lezioni. Poi le feste dell’Unità, conobbi l’amico Fabio. Poi il Centro Comeni, l’Ippodromo, la Valle. E andavo alla chiesa dei Salesiani dove c’era una rivendita di fumetti… E un’altra rivendita di fumetti. Mi coprivo il corpo di tutti i fumetti che avevo acquistato.

Stefanone







Perché non possiamo ricordare ciò che ci succede prima dei due anni?
 

A cura della dott. Ileana Vagnozzi, laurea magistrale in Psicologia Clinica e della Salute, tirocinante presso l’Associazione UmanaMente

N Nessuno di noi ha ricordi della prima infanzia. Può essere presente qualche vago ricordo o qualche immagine sfumata, ma anche se ci sforziamo, comunque non riusciamo a ricordare oltre un certo punto temporale. Si potrebbe pensare che non riusciamo a ricordare eventi accaduti quando eravamo poco più che neonati per il fatto che da bambini il cervello non è ancora del tutto sviluppato e quindi non si ha la piena coscienza di se stessi. Secondo nuove ricerche, invece, questo vuoto non risiederebbe nel meccanismo della coscienza, ma dipenderebbe da un ‘malfunzionamento’ del meccanismo della memoria.
I bambini sotto i tre anni infatti possono ricordare perfettamente ciò che hanno fatto il giorno precedente e anche la settimana prima o cosa è stato regalato loro a Natale. Col passare degli anni, però, nessuno dei ricordi della prima infanzia rimane impresso nella memoria, e sparisce per sempre.
Questo strano comportamento del cervello è da tempo argomento di ricerca e ora, grazie ad un nuovo studio, sembra si sia iniziato a fare un po’ di chiarezza. Questa particolare ‘amnesia infantile’ che abbiamo tutti, sembra essere causata dalla rapida crescita delle cellule nervose dell’area cerebrale dell’ippocampo, la regione che ha il compito di immagazzinare i ricordi nella memoria a lungo termine. L’ippocampo, così chiamato per la sua forma a ‘cavalluccio marino’, è situato nel lobo temporale del cervello e fa parte del sistema limbico (il complesso delle strutture encefaliche che partecipano all’integrazione emotiva, istintiva e comportamentale). Svolge anche un ruolo importante nell’orientamento spaziale.
Spiega il prof. P.W. Frankland, ricercatore dell’Università di Toronto: “Nei bambini la formazione dei ricordi stabili di ciò che è accaduto sembra essere impossibile. Ho una bambina di 4 anni e, per portare avanti questo studio, le faccio spesso domande riguardanti cose che sono accadute 2 o 3 mesi prima. Si ricorda le cose chiaramente e con un buon livello di dettaglio, però tra tre o quattro anni non ricorderà nulla”.
Gli scienziati da anni sospettano che l’ippocampo abbia a che vedere con questo dilemma. Secondo il dott. Eric Kandel, neuroscienziato dell’Università della Columbia: “L’ippocampo matura lentamente ed è probabile che non raggiunga un buon livello di funzionamento fino ai 3 o 4 anni di età. Nonostante i bambini di 2 o 3 anni possano ricordare le cose per un breve periodo, per fare sì che i ricordi arrivino alla zona della memoria a lungo termine è necessario il lavoro di quest’area del cervello. Gli scienziati non conoscono in dettaglio ciò che succede nel cervello dei bambini, Frankland crede che questi ricordi vengano immagazzinati nella memoria a lungo termine, ma in qualche modo, durante la fase di rapida crescita che avviene nei primi anni di vita, l’ippocampo ‘perda’ il riferimento alla loro posizione e non sia più in grado di recuperarli. Con la crescita dell’ippocampo nasce una grande quantità di neuroni che si allineano e cercano di agganciarsi ai circuiti neuronali esistenti tramite le sinapsi (strutture altamente specializzate che consentono la comunicazione delle cellule del tessuto nervoso tra loro (neuroni) o con altre cellule (cellule muscolari, sensoriali o ghiandole endocrine). Attraverso la trasmissione sinaptica, l'impulso nervoso può viaggiare da un neurone all'altro o da un neurone ad una fibra per esempio muscolare).
L’opinione di Frankland è che con tutto questo trambusto dovuto alla ristrutturazione dei neuroni, il cervello possa dimenticare la posizione in cui aveva immagazzinato i primi ricordi. In seguito, quando la fase di espansione neuronale rallenta, il cervello riesce a tracciare con maggiore accuratezza la posizione in cui vengono immagazzinati i ricordi ed in questo modo i bambini più grandi, dai 4 anni in su, hanno una migliore capacità di accedere alla loro memoria a lungo termine.






L’ARTE DELLA MEMORIA
 

A cura di: Oriano Conti, socio dell’Associazione UmanaMente

N ell'antichità il diffondersi del sapere era affidato principalmente alla trasmissione orale ed era molto importante riuscire a fermare nella mente ciò che si apprendeva. Dalla ricerca di strumenti che favorissero il processo di memorizzazione nacque l'arte della memoria. Veniva definita ‘arte’ per le sue implicite potenzialità creative, inerenti ad infinite possibilità combinatorie di immagini preparate appositamente per essere memorizzate ed era basata sulla convinzione della maggiore potenza della memoria visiva rispetto a quella concettuale. L’arte consisteva nel potenziare la facoltà immaginativa di coloro i quali iniziavano ad apprenderla. Lo studente doveva cominciare ad imprimersi nella memoria alcune immagini familiari (ad esempio la propria stanza da letto) per passare poi a quelle di luoghi meno noti, esterni, come piazze, oppure facciate di cattedrali. Una volta fatta propria questa facoltà, lo studente immaginava scene non reali, ma inventate, purché ricche di particolari avvincenti, facilmente imprimibili. Ad ogni immagine, perfettamente memorizzata, veniva poi associato un concetto (oppure anche una parola) da ricordare. In questo modo, allorché si doveva rammentare un discorso, oppure un tema, od altro, si tornava con la mente alla figura memorizzata, riandando visivamente ai suoi particolari. Richiamando il ricordo del particolare, riaffiorava anche il concetto (o la parola) che ad esso era stato accostato. Dovendo fissare molti concetti, si ricorreva ad una serie ordinata di immagini, tale da poter essere rivisitata avanti o indietro con facilità. Si poteva, ad esempio, scegliere l'interno di una chiesa perfettamente nota in ogni suo particolare e quindi, scorrendone con la mente le pareti in modo ordinato, associare a ciascuno di tali particolari (una statua, un altare, un capitello) uno dei concetti da memorizzare. È evidente che una maggiore quantità di figure a disposizione rendeva più dilatabile la possibilità del retore di ricordare. Raimondo Lullo, Scaligero, alias Paolo Scalichius, Giovan Battista Della Porta, e soprattutto Giordano Bruno, avevano creato infinite possibilità combinatorie di immagini, rendendo parimenti vasta la potenzialità concettuale.






QUALI SONO I SEGRETI DELLE TECNICHE DI MEMORIA?
 

Wilder Penfield, un neurologo canadese, ha studiato negli anni ’50 il funzionamento della memoria scoprendo i 3 principi che la governano:
1. Memoria visiva
2. Memoria associativa
3. Utilizzo della fantasia
La memoria è VISIVA all'83%, si ricorda meglio tutto ciò che è associato ad un immagine. (Vedendo una persona spesso si ricorda di averla già incontrata, ma non si ricorda il nome. Questo succede perché il suo volto è un'immagine, mentre il suo nome è un suono. La memoria UDITIVA è circa l'11% e il restante 6% comprende odori, sapori, temperatura, pressione e tutte le altre sensazioni.)

La memoria è ASSOCIATIVA, nel senso che permette a diversi ricordi di legarsi tra loro come anelli di una catena. (Attraverso un odore si può ricordare una persona o un luogo, oppure di sentire una musica e ricordare un evento. Questo avviene perché la memoria ha associato i due ricordi.)

La memoria è CREATIVA e ricorda meglio tutto ciò che crea in noi una forte emozione: rabbia, tristezza, gioia, euforia, stupore, paura, amore e tante altre. Le tecniche di memoria insegnano a utilizzare tutti e tre i principi contemporaneamente.






RICORDI ASSOCIATIVI
 

Roy
Sognavo di volare nella mia camera da letto. Avevo circa 4 anni. Se penso a questo sorge in me un senso di libertà (libertà - volo).

Anto 91
Da bambino all’età di 4 anni andavo sul cavallo a dondolo e giocavo con i peluche. Inventavo racconti molto avventurosi e fantasiosi: immaginavo che ero su un cavallo vero e i miei peluche diventavano dei guerrieri per sconfiggere i nemici e proteggere il territorio. Quando ero sul cavallo a dondolo mangiavo il gelato e bevevo la coca cola.

Laura
Il boato. Il rumore assordante della bomba scoppiata in stazione. Bologna 2 agosto 1980. La strage. Dopo il boato un momento di silenzio prima della frenesia dei soccorsi, delle sirene delle ambulanze. Avevo quasi 8 anni ed ero in cucina di casa mia in via Carracci di fronte alla stazione. Stavo giocando e mia madre stirava. Le ho chiesto: “Mamma è un aereo che ha passato la barriera del suono?”... La sua risposta mentre le scendevano le lacrime sul viso: “No, deve essere successo qualcosa di grave”.

Maurizio
La canzone Maledetta Primavera di Loretta Goggi, perché la sentivo parecchio.

Simone
Mi ricordo le parole delle canzoni della Mannoia, che ascoltavo quando mi piaceva un bambino della mia età. Avevo quasi 10 anni e mi passava spesso in mente il pensiero di essere gay.

Luigi Zen
Bobby Solo nell’adolescenza da una lacrima sul viso ha capito molte cose, perché sua nonna tagliava la cipolla e lui lacrimava.

Edoardo
Ricordi associativi sotto i 5 anni:
- Al mare la sabbia sotto i piedi che scottava.
- Il colore dei coriandoli a Carnevale.
- Uditivo: fai il “Musticut” (dialetto friulano).
- Sul cavallo a dondolo per prendere l’olio di ricino.

Stefano
L’animale che io sognavo di essere da bambino è il ghepardo che va a 120 km/h e prendevo la gazzella con un balzo al volo.

DAZZENGER

   Darietto


● Cosa ci fa un cane carlino in un’edicola? Compra "Il Resto del Carlino".
● Per navigare in internet, devo usare un port-atile?
● Se entro in una rete wi-fi, mi pescano?
● Quale ragazza ti becca spesso in chat? Rebecca
● Cosa ci fa Otello con la carta? Un cartello.
● Quale dolce migliora l’umore? Il tiramisù.
● Quale nome ti dà l'idea del freddo? Alfredo.
● Quale nome ti dà l'idea del caldo? Aldo.




APPROFONDIMENTO SU “L’ABITARE SUPPORTATO”

Sviluppo del tema “Diritto all’abitare” del precedente numero
   Associazione UmanaMente


Premessa:
All’interno del laboratorio di scrittura si è scelto di approfondire una delle realtà abitative descritte dai partecipanti invitando operatori esperti del DSM-DP. L’ambito scelto viene definito in termini tecnici “Abitare Supportato” e corrisponde a quello che gli utenti chiamano “gruppi appartamento”. Referente del Servizio è il dott. Giordano Merusi.
Hanno relazionato sull’argomento: Enrico Castellani, operatore socio sanitario, Sonia Valentini, infermiera.

Quanti sono i gruppi appartamento?
I gruppi appartamento o G. App. di nostra competenza sono cinque: tre in zona stadio, uno a ridosso di piazza dell’Unità, in via Corticella, e un altro in zona Barca. Sono tutti appartamenti a sé stanti, non sono all’interno di un condominio. Hanno in totale ventotto posti letto e sono gestiti da un gruppo di otto operatori socio-sanitari, quattro educatori professionali, un’infermiera che cura gli aspetti sanitari e un coordinatore che è Giordano Merusi.

Come funzionano i gruppi appartamento?
I gruppi appartamento sono case in cui vivono cinque, sei persone, che vi abitano in stanze doppie o singole. All’interno della casa si ha tutto, è una casa assolutamente normale, per cui c’è la cucina, c’è il soggiorno, c’è la zona lavanderia, la camera da letto, il giardino. Gli operatori ci sono grosso modo dalle 7.30 del mattino fino alle 19.30, la notte non ci sono, a meno che non ci siano delle particolari variazioni.

Ho sentito dire che esistono diversi livelli di supporto, cosa vuol dire?
“Sì, allora… all’interno di questi cinque appartamenti ce n’è uno, chiamato Magnolia, che fino ad un anno fa era una residenza socio-riabilitativa e che il Dipartimento ha deciso di trasformare in gruppo appartamento, vedendo che la maggior parte degli ospiti erano in grado di fare un passaggio di autonomia. È stato un passo azzeccatissimo, perché la maggior parte dei residenti non ha avuto nessun tipo di problema, anzi, con l’avvento di questa trasformazione, hanno ottenuto le chiavi di casa oltre alla totale autonomia notturna. Adesso ognuno ha le sue chiavi di casa e ha acquisito da questo punto di vista un miglioramento della qualità della vita e dell’autostima. Magnolia ha mantenuto il pasto che viene dall’Ospedale Maggiore e gli ospiti usufruiscono di un servizio biancheria. Questo è l’appartamento più protetto. Gli altri appartamenti, per quanto riguarda il discorso pasti sono completamente autonomi, fanno una colletta comune alla settimana, sui 25 euro a testa, per la spesa e insieme all’operatore, quando ce n’è bisogno, si decide tutti insieme cosa mangiare durante la settimana. Ogni gruppo appartamento ha diversi livelli di supporto, che riguardano il tempo di permanenza degli operatori: ci sono gruppi appartamento in cui l’operatore lavora anche solo due ore al giorno e questo sta a significare che chi accede deve avere già un livello di autonomia molto elevato.

Riguardo ai costi?
Magnolia è a costo zero, a parte la colletta per il caffè, mentre negli altri appartamenti il costo è di 25 euro a settimana per la spesa. Le persone sono chiamate a riprendere in mano tutte le abilità che richiede l’utilizzo di una cucina e che serviranno un domani, usciti dal GAP.

Quanto tempo di permanenza è previsto?
Questi appartamenti sono temporanei, nel senso che indicativamente la durata media è sui tre, quattro anni. C’è un regolamento che parla di tre anni ma non c’è una rigidità rispetto a questo. L’obiettivo è che in questi tre anni chi inizia ad abitare in questi appartamenti si riappropri di quelle capacità abitative che magari ha perso o che magari non ha sviluppato per un motivo o per un altro, perché dopo questo periodo di tempo possa andare a vivere in una situazione abitativa di maggiore autonomia, in un appartamento suo, se ce l’ha, in un appartamento del CSM, in un appartamento A.C.E.R. ecc. Per cui è una sorta di trampolino di lancio, la vita in questi appartamenti.

Quali sono le modalità di accesso?
Chi gestisce il progetto abitativo è il CSM, che invia la persona all’interno dell’appartamento.

Cos’è un progetto abitativo?
Per progetto abitativo s’intende un progetto di analisi dell’autonomia della persona al fine di individuare il livello di protezione di cui quella persona necessita nell’abitare. A livello pratico si tratta del saper gestire la propria persona, la propria terapia, i propri spazi e saper condividere quelli altrui; questo al fine di aumentare l’indipendenza della persona per raggiungere infine una completa autonomia e integrazione sociale.

Qual è la vostra esperienza sugli accessi e le dimissioni?
I dati riportati dimostrano che negli ultimi cinque anni la maggior parte degli ingressi nei gruppi appartamento vengono dalle residenze ed è questo il percorso più naturale. Per quanto riguarda invece le dimissioni dai gruppi appartamento si è visto che solo una minima parte di coloro che hanno seguito questo percorso sono tornati in residenza, questo a dimostrazione che non sempre il percorso funziona ma nella maggior parte dei casi, seguendo il percorso naturale, si può avere un successo per quanto riguarda l’autonomia.

Come funziona la vita all’interno del G.App.?
All’interno dei gruppi appartamento gestiti dagli OSS e dagli educatori, ogni inquilino ha a disposizione le chiavi e ognuno si gestisce in autonomia la propria terapia, in presenza o meno dell’operatore in base alle indicazioni del CSM. Per quanto riguarda la questione dei pasti, apparentemente può sembrare un sistema semplice ma in realtà si tratta di mettere d’accordo quattro, cinque persone e gestire la cooperazione per quanto riguarda il fare la spesa, i turni per cucinare, pulire ecc…
Gli operatori possono aiutare, se richiesto o necessario, gli inquilini nella gestione del denaro, quindi possono centellinare il denaro giornalmente o settimanalmente. Per quanto riguarda la pulizia, la pulizia delle camere è totalmente responsabilità di chi le abita, come l’intero appartamento, quindi l’operatore può al massimo monitorare, motivare, incitare nel caso ci fosse qualche mancanza nel pulire gli spazi. Ogni venerdì si organizza una riunione tra i gruppi appartamento allo scopo di condividere pensieri, paure, idee, divergenze ed è opportuno che partecipino tutti gli inquilini. Inoltre c’è una collaborazione con le reti associative affinché gli inquilini possano avere attività da svolgere al di fuori dell’appartamento, per aumentare la loro autonomia e indipendenza, per relazionarsi con altre persone e condividere esperienze.

Qual è la procedura per l’accesso?
Ogni CSM di Bologna e provincia, dopo aver analizzato lo stato di salute mentale del paziente, invia la propria richiesta al coordinatore dell’appartamento dichiarando che secondo determinati accertamenti, il paziente in questione è adatto a partecipare a un’esperienza di gruppo appartamento.

Chi decide la lista d’attesa, le priorità e altre variabili per l’ingresso in gruppo appartamento?
Una volta fatta richiesta di ingresso da parte del CSM e valutato idoneo e realizzabile l’ingresso nei G.App., un gruppo di persone appartenenti al CSM (come il medico, l’infermiere di riferimento), il coordinatore del gruppo appartamento stesso e gli OSS che vi lavorano, si incontrano per dei colloqui preliminari per conoscere il candidato senza entrare nei dettagli che riguardano la privacy della persona. In seguito si presenta e si spiega la vita nell’appartamento al candidato stesso. L’interesse di chi lavora nel gruppo appartamento, in collaborazione con i CSM è di capire quali siano i punti deboli e di forza della persona su cui lavorare per aiutarla a evolversi verso una maggiore autonomia e questo viene fatto attraverso un vero e proprio progetto terapeutico personalizzato.

Quali compiti svolgono gli operatori all’interno dei G.App.?
Gli operatori socio sanitari che lavorano all’interno degli appartamenti si occupano di gestire e supervisionare le terapie, le dinamiche inerenti i pasti ed eventuali esigenze o 'scompensi' degli inquilini. Aiutano nella gestione delle dotazioni personali, nell’acquisto di beni, nella cura della propria persona e della stanza. Lo scopo è quello di supervisionare e dare assistenza se necessario agli inquilini: sono il primo anello a cui, coloro che abitano il gruppo appartamento possono rivolgersi nel caso di disagio o esigenze particolari. Gli operatori, dunque, operano nella prima emergenza, prima di far riferimento al CSM o al 118, cercano nei limiti delle proprie possibilità di contenere il momento di disagio per poi agire a seconda di come il problema si evolve; in casi estremi l’operatore può rivolgersi al CSM o al 118. Altro compito degli OSS è quello di gestire quelle che possono essere le liti scaturite dalle dinamiche di convivenza, di supervisionare, consigliare e sedare eventuali problemi di convivenza tra gli inquilini.





Buon giorno, avrei un paio di rapidi chiarimenti da fare:
1- come accade a molti, viene affermato che la magistratura sia un “potere”: non è vero, anche se nella pratica i magistrati si comportano come se lo fosse, rifiutandosi di applicare leggi a loro non gradite od interpretandole secondo il proprio arbitrio o surrogando le incapacità della politica. I poteri, secondo la costituzione, sono due: il potere legislativo che spetta al parlamento (espressione diretta del popolo attraverso il voto) ed il potere esecutivo che spetta governo (cioè rendere esecutive le leggi approvate dal parlamento); ai magistrati spetta il compito tecnico di giudicare se e quando il comportamento di persone fisiche o giuridiche infranga la legge.
2- si cita la legge “Basaglia”, ma una legge “Basaglia” non esiste. Esiste la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale del ’78, che si occupa di psichiatria negli articoli 34, 35 e 64: l’articolo 64 (il più corposo) è, per la sua maggior parte, obsoleto poiché contiene le norme per la transizione dalla vecchia alla nuova legislazione; gli articoli 34 e 35 in linea di massima elencano i diritti a garanzia di chi subisca un T.S.O.. Purtroppo non è stato mai regolamentato specificatamente il caso psichiatrico di trattamento sanitario senza consenso, in stato di necessità tutto viene rimandato all’articolo 33, che si riferisce agli “untori”, stabilendo l’obbligatorietà della cura per chi avesse una malattia pericolosa per la salute pubblica, con provvedimento amministrativo (cioè non sanitario) a protezione appunto della salute pubblica ed intervento delle forze di polizia. Ma i sofferenti psichici sarebbero degli untori?
Resta da ricordare, per la storia, che l’aggancio all’articolo 33 (cioè ad un provvedimento amministrativo simile a quello del prefetto per il manicomio) fu posto come condizione per l’approvazione della riforma dalle forze politiche non totalmente convinte (non vi cito quali ma sarebbe interessante soddisfare la curiosità).
Cordialmente
Luciano Prando
(Salsomaggiore)


Gentilissimo signor Prando,
nel ringraziarla per le sue precisazioni, cogliamo l’occasione per ricordare a lei e ai lettori che ciò che viene scritto sul Faro è libera testimonianza, cioè espressione di pensieri, ricordi, idee in libertà, e la collaborazione è aperta a chiunque abbia voglia di scrivere. Non si tratta quindi di “informazione” in senso proprio, cosa che si può affermare esclusivamente per i testi che si trovano negli inserti, che sono opera di esperti citati con le loro specifiche qualifiche.




A caccia di ricordi d’infanzia

   Massimo Fiorini


L’ARTE DELLA MEMORIA

   Oriano Conti (Socio di UmanaMente)


D Alle ombre alle idee. Alla fine del ‘500, nell’intento di favorire il processo di memorizzazione, Raimondo Lullo, Scaligero, alias Paolo Scalichius, Giovan Battista Della Porta, e soprattutto Giordano Bruno, si dedicarono alla ricerca di tecniche specifiche. Giordano Bruno, spirito ribelle e grande filosofo, fu condannato dalla Chiesa per le sue idee anticonformiste su Dio e sul mondo: morì bruciato sul rogo nella piazza di Campo de' Fiori a Roma nel 1600. Sosteneva che Dio e l'Universo sono due nomi per un'unica realtà, considerata ora come attività creatrice, ora come varietà di cose create e realizzate. Per il suo coraggio è diventato un simbolo del libero pensiero. Il suo De umbris idearum ("Le ombre delle idee") è un'opera in latino pubblicata a Parigi nel 1582 dalla tipografia E. Gourbin in un unico volume insieme all'Ars memoriae ("Arte della memoria"). Nelle intenzioni dell'autore, il volume, di argomento mnemotecnico, è distinto così in una parte di carattere teorico e in una di carattere pratico. Per Bruno l'universo è un corpo unico, organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono le idee, principi eterni e immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente divina, ma queste idee vengono ombrate e si separano nell'atto di volerle intendere. Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine, ombra della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in se stessa la struttura dell'universo, la mente umana, che ha in sé non le idee, ma le ombre delle idee, può raggiungere la vera conoscenza, ossia le idee e il nesso che connette ogni cosa con tutte le altre, al di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si tratta allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la complessità del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il tutto. Tale mezzo si fonda sull'arte della memoria, il cui compito è di evitare la confusione generata dalla molteplicità delle immagini e di connettere le immagini delle cose con i concetti, rappresentando simbolicamente tutto il reale. Nel pensiero del filosofo, l'arte della me- moria opera nel medesimo mondo delle ombre delle idee, presentandosi come emulatrice della natura. Se dalle idee prendono forma le cose del mondo in quanto le idee contengono le immagini di ogni cosa, e ai nostri sensi le cose si manifestano come ombre di quelle, allora tramite l'immaginazione stessa sarà possibile ripercorrere il cammino inverso, risalire cioè dalle ombre alle idee, dall'uomo a Dio: l'arte della memoria non è più un ausilio della retorica, ma un mezzo per ricreare il mondo. È dunque un processo visionario e non un metodo razionale.

Soluzione dell’indovinello di Edoardo