CARLO CARRÀ: “PARTITA DI CALCIO” – 1934 OLIO SU TELA
Piergiorgio Fanti
I
miei ricordi d’infanzia più piacevoli sono legati ai viaggi colla mia
famiglia. Mi ricordo la gioia quando mio padre ci portò in auto a
visitare buona parte della Francia e a spingerci fino in Spagna, a
Barcellona. A parte i viaggi, i ricordi più belli sono legati al giuoco
sportivo. Abitavo e abito tuttora in un palazzo che, assieme ad altri,
racchiude un cortile-giardino in cui io giocavo con dei miei coetanei.
Mi piaceva soprattutto il calcio. Non c’era posto per giocare sull’erba
e quindi dovevamo accontentarci di tirar calci al pallone sul cemento,
ma era già come toccare il cielo con un dito.
Il quadro qui a lato, tratta proprio del giuoco del “calcio”, e ritrae
gli atleti, un po’ come “fantocci”, un po’ come eroi; è opera di Carlo
Carrà (Quergneto, Alessandria, 1881 - Milano 1966). Nella storia della
pittura di Carrà si riassumono vicende essenziali della pittura
italiana del XX secolo. Iniziò come divisionista, fu poi tra i
firmatari del primo manifesto futurista
e fin d’allora Carrà cominciò ad affidare anche agli scritti le sue
meditazioni. Fu metafisico; confluivano intanto nella sua pittura
suggestioni primitivistiche; in seguito, la sua opera può definirsi
legata ad una sorta di realismo magico. Negli ultimi trent’anni di
vita, la pittura di Carrà non si distanziò da questi modi, anche se
suggerì maggiori nessi col vero naturale.
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EDITORIALE
Fabio Tolomelli
Sarò ovvio, ma per 'ricordare' si
intende avere presente un fatto o un’emozione vissuti nel passato. Non
essendo un professionista della psicologia non posso e non voglio
improvvisare dati scientifici. Tuttavia penso che a tutti è capitato di
cercare di ricordare un fatto, una situazione o anche un sogno e non
riuscire proprio a riportarlo alla mente. Viceversa, nei momenti più
impensati, tornano alla mente fatti di cui ci eravamo completamente
scordati. Altre volte, addirittura, ci capita di avere la sensazione
che un fatto che sta avvenendo lo abbiamo già vissuto: è il caso dei
déjà-vu. Questo per arrivare a dire che la memoria, come del resto
tutte le altre facoltà della mente, non è poi così prevedibile. Anche
lo stato d'animo influisce sul ricordo. Generalmente i ricordi, per
quanto brutti, una volta ripescati, perdono una parte della loro
dolorosità. In altre situazioni, magari se si è un po' giù, il ricordo
può far male.
E cosa c’entra questo con l'infanzia? Sì, è molto importante, perché
per 'infanzia' si definisce il periodo che va dalla nascita ai dodici
anni di vita. Nessun bambino è in grado di sopravvivere senza l'aiuto
dei genitori o di qualcuno che si prenda cura di lui. In questo periodo
così importante per la crescita fisica è fondamentale la cura della
sfera psicologico-sociale. Esperienze negative, o anche apparentemente
ininfluenti, possono causare traumi che condizionano la personalità e
il suo sviluppo.
Personalmente alcuni traumi da giovane li ho subiti e ci sto lavorando sopra con lo psicologo.
Mi sono capitate cose che non ho avuto il coraggio di raccontare ai
miei genitori. Non so per quale motivo. Riordinare i ricordi d'infanzia
può essere utile a capire come si è ora e perché, o come mai ci si è
comportati inadeguatamente in talune circostanze.
Stare bene significa anche non avere paura del passato o di cosa si è
fatto. Lasciare libera la mente di volare, anche sul passato, pensando
che è passato e non torna più e non ti fa più soffrire tanto, è
importante. Il tempo aiuta ad aggiustare le sofferenze. A me sono stati
necessari vent’anni di cure psichiatriche. Forzare i tempi può essere
inutile o talvolta dannoso. Bisogna stare in equilibrio con quello che
si racconta in psicoterapia. Parlare di cose che fanno male può
generare grande sofferenza. Quello che consiglio è un passettino alla
volta. Così i ricordi d'infanzia torneranno a fiorire come gemme di
primavera.
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INFANZIA E NEUROGENESI
Antonio Marco Serra
“Amo la vita così ferocemente, così disperatamente,
che non me ne può venire bene. Dico i dati fisici della vita:
il sole, l'erba, la giovinezza. È un vizio molto più
tremendo di quello della cocaina, non mi costa
nulla e ce n'è un'abbondanza sconfinata.
E io divoro, divoro... Come andrà a finire, non lo so”.
Pier Paolo Pasolini
Il primo ricordo che ho di questa vita
risale a un attimo dopo che uno spermatozoo di mio padre si è congiunto
con un ovulo di mia madre, ricordo perfettamente la frase che, con un
senso di profondo disappunto, ho pronunciato in quell’occasione:
“Accidenti, mi hanno incastrato un’altra volta, di nuovo incarnato!
Eppure stavo così bene, là dove stavo! Devo avere scordato di pagare la
pigione della casa che abitavo nell’Iperuranio”.
Ovviamente scherzo, anche se per chi crede nella reincarnazione, nella
trasmigrazione delle anime, nella metempsicosi e simili, non dovrebbe
essere qualcosa di troppo bislacco. Intere culture e religioni si sono
basate su queste convinzioni, e questi concetti hanno spesso fatto
capolino anche
nella nostra cultura occidentale. Ma lasciamo stare, ci torneremo più
avanti.
Perché ricordiamo così poco della nostra prima infanzia? Perché
vorremmo ricordarne di più? Perché quei pochi ricordi che ci restano,
rivestono per noi una così grande importanza?
Per una strana coincidenza, il mio primo ricordo sicuramente databile,
riguarda proprio il ricordare: mancavano pochi giorni al mio quarto
compleanno, ed io saltellavo gioioso per l’approssimarsi di questo
evento, quando un pensiero che aveva per me una valenza dirompente (e
proprio per ciò, immagino,
mi è rimasto impresso) ha attraversato la mia mente: “Se questo è il
mio quarto compleanno, vuol dire che prima deve esserci stato il terzo
e il secondo e il primo. Eppure non ho alcun ricordo di ciò, come è
possibile?”, ed era una riflessione davvero disturbante. Eppure oggi
richiamare alla mente questo ricordo induce in me solo un senso di
piacevole benessere.
Credo sia un’esperienza piuttosto diffusa il fatto che i ricordi
dell’infanzia, indipendentemente dal fatto che siano piacevoli o
sgradevoli, dopo molti anni vengono riguardati da noi con affetto e
tenerezza.
A me poi succede ancor oggi, che mentre sono in tutt’altre faccende
affaccendato, improvvisamente, e senza alcun motivo plausibile, mi si
presentino alla mente dei ricordi della mia infanzia, e questi ricordi
(talvolta anche oggettivamente sgradevoli) si accompagnano a uno stato
di assoluta beatitudine, persino un po’ ebete.
Oggi esistono delle nuove teorie che cercano di spiegare la cosiddetta
‘amnesia infantile’ relativa alla prima infanzia. Pare che la
responsabile sia la neurogenesi, ovverossia la creazione di nuovi
neuroni, che, contrariamente a quanto si credeva sino a non molto tempo
fa, continua ad avvenire per
tutta la vita dell’essere umano, in alcune regioni del cervello (in
particolare nel giro dentato dell’ippocampo) anche se con ritmo calante
al crescere dell’età. Questi nuovi neuroni devono integrarsi con quelli
già esistenti, creando con essi nuove connessioni (sinapsi) che vanno a
sostituire quelle
più vecchie, causando l’amnesia. Beninteso, si tratta ancora solo di
ipotesi, quello che è stato dimostrato è che nei topi, aumentando con
dei farmaci questo processo di neurogenesi, si osserva un’amnesia di
alcuni ricordi passati. Chissà se hanno posto i topi sotto ipnosi, per
indurli a rivelare i
propri ricordi più privati! Poveri topi! E questi ricordi sono davvero
spariti, o è solo molto difficile farli riaffiorare alla coscienza?
Chissà.
En passant voglio notare che sempre più studiosi sostengono che
esista una forte correlazione tra neurogenesi e depressione, ed è stato
dimostrato (sempre nei poveri topi, però) che un trattamento cronico
con antidepressivi porta ad un incremento della neurogenesi. Ma prima
di disporre (sempre che ciò accada) di una nuova generazione di
antidepressivi che si basino su questi principi, dovrà passare un bel
po’ di tempo.
Un altro aspetto, per me interessante, è che l’amnesia infantile è
fortemente legata alla cultura dove il bambino nasce e si forma. Alcuni
studi al riguardo hanno mostrato che la soglia d’età al di là della
quale è molto difficile mantenere dei ricordi, è mediamente di sei anni
per i Cinesi, di tre anni e mezzo per gli Europei e per gli
Statunitensi, di due anni e mezzo per i Maori della Nuova Zelanda.
Sembra che ciò dipenda dalla “cultura del racconto” che si instaura fra
madre e figlio nei primi anni di vita: le madri europee e statunitensi
raccontano le esperienze vissute in comune in modo più dettagliato di
quanto non facciano le madri cinesi, ma meno dettagliato rispetto alle
madri maori, presso i quali la storia della famiglia e del proprio
passato fa parte integrante della tradizione.
A ben vedere ci troviamo in una situazione abbastanza paradossale: se è
vero, come è opinione comune, che i primi anni di vita hanno
un’importanza fondamentale su tutto lo sviluppo successivo della vita
umana, ci troviamo nella curiosa situazione in cui la parte più
importante della nostra vita è preclusa al nostro sguardo. O non sarà
forse proprio perché questa parte di noi è oramai al di fuori della
portata del nostro io cosciente, che essa risulta così fondamentale nel
nostro costituirci come esseri umani?
Ma perché mai siamo così affezionati ai nostri ricordi d’infanzia,
perché vagheggiamo il bel tempo andato, anche se a ben vedere in tanti
casi non era poi così bello? Ma è poi davvero così? Ammetto che a volte
volgere lo sguardo ai tempi remoti dell’infanzia è piacevole, ma devo
confessare di avere molta più nostalgia di ciò che non sono mai stato,
di ciò che avrei potuto essere, che non della mia infanzia.
Ricordo un interessante film di parecchi anni fa, del regista belga Jako Van Dormael: Toto le Hèros,
in cui il protagonista ha la convinzione di essere stato scambiato
nella culla con un altro bambino, e per tutta la vita osserva cosa
accade a quest’altra persona (che secondo lui conduce una vita molto
migliore della propria), sino a che, ormai vecchio e ricoverato in una
casa di cura, concepisce l’idea di ucciderlo, per vendicarsi di colui
che, a suo modo di vedere, gli ha rubato la vita che gli era destinata.
Ma qui non si tratta di vivere una vita al posto di un’altra, ma di
viverle tutte, una dopo l’altra. E magari di viverne tre o quattro
insieme!
Platone, sulla scorta della sapienza eleusina, sosteneva che questa
nostra vita è una tetra prigione da cui occorre liberarsi; il
buddhismo, in fin dei conti, non è altro che la rivelazione di una
strada che conduce a porre termine alla catena infinita delle
esistenze, viste esclusivamente come fonte di sofferenze: “sarvam
duhkham”, “tutto è dolore”. Io davvero non li capisco: l’uomo è fatto
per vivere, che siano una, diecimila o un milione di vite, poco
importa. Vivere nella gioia (che non è mai disgiunta da tratti di
sofferenza) e vivere nella sofferenza (che non è mai disgiunta da
tratti di gioia), cogliendo il bello che vi è nella gioia e il bello
che vi è nella sofferenza. E cogliendone, perché no, anche il brutto.
Avvoltoliamoci in ogni aspetto della nostra vita e comprendiamo infine
che l’unico scopo e il fine ultimo della nostra vita è uno solo: quella
di viverla.
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MA GUARDA UN PO’
Matteo Bosinelli
Dopo aver praticato per anni
(ovviamente come paziente) la psicoanalisi, questa mi ha insegnato una
sostanziale ‘verità’. E cioè che lo ‘scandagliare’ la propria infanzia
ha dei limiti invalicabili, oltre i quali non si può andare.
La nostra ‘prima gioventù’ ci guarda allora come un bambino dispettoso
e, forse, anche un po' ironico e sembra dirci: "Ma guarda un po',
adesso ti molesto ancora, talvolta, ma ti faccio anche sorridere,
talaltra".
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FECE BENE
Massimo Fiorini
Il mio ricordo d’infanzia risale a
quando avevo dieci anni. Eravamo in un ristorante e facevo l’asino tra
i tavoli rubando le posate o inserendomi nei discorsi. A un certo punto
mia madre, donna dolcissima ma quadrata, con una scusa mi portò in
bagno e mi riempì di schiaffi.
Fece bene. Quel giorno mi insegnò il rispetto degli altri, e a rispettare appunto il loro spazio.
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POESIA IN PROSA: I MIEI PIÙ TENERI RICORDI D’INFANZIA
Daniela Mariotti
C
ome pietre preziose, a volte, i ricordi d’infanzia si accendono di luce propria.
Io cerco di richiamarli alla mente, ma loro vengono quando vogliono.
Un sole nascosto li rende sfolgoranti. Quando compaiono, sono quasi
sempre ricordi felici: passeggiate in campagna, in cui la mamma
spiegava il nome dei fiori.
Nei miei più antichi ricordi è sempre primavera e
c’è la scoperta delle prime viole.
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DUE CANI
Augusto Mocella
N
el paese frequentavo l’asilo ed ero allevato soprattutto da mia nonna,
perché mia madre era maestra e insegnava. Avevo allora un piccolo cane
bassotto, con le orecchie lunghe, dal colore giallo ocra. Quando andavo
all’asilo mi accompagnava con mia nonna e mi lasciava. Poi all’uscita,
puntuale, lo trovavo sempre ad aspettarmi. Io quando lo vedevo ero
sempre stupefatto. Pensavo tra me e me: sembra quasi che Blod sappia
l’orario. Comunque conosceva la strada, perché dopo un po’ che ero
uscito dal portone dell’asilo, veniva anche mia nonna o mia mamma. Blod
mi era molto affezionato ed io ero molto orgoglioso di lui quando
uscivo per strada. Successe però che in paese un ragazzo sostenne che
era stato morso dal cane ed aveva avuto dei sintomi di febbre. Si sa
che i cani possono trasmettere la rabbia. Fu così che il guardiacaccia
del Comune fu incaricato di ucciderlo. Io ne ebbi molto dispiacere,
così dopo qualche tempo mio zio Mario mi portò da Napoli un cucciolo di
pastore tedesco che fu chiamato anch’esso Blod. Questo era gestibile,
finché non fu grande, da mia nonna, ma poi si dovette darlo a dei
cugini che vivevano nella campagna di Parma. Io lo rividi molti anni
dopo: era invecchiato ma stava ancora bene e i cugini mi dissero che
Blod lo portavano perfino a caccia e prendeva le prede.
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I MIEI NONNI
Tina Gualandi
Mia nonna era dolcissima e si
arrabbiava solo con mio nonno, che non si faceva mai i fatti suoi.
Spesso litigavano e mia nonna lo chiamava (in dialetto) “Avvocato delle
ciliegie”, oppure lo mandava a “pestare il ragù”. Erano uno spasso. Mia
nonna curava la chiesa e dava da mangiare ai polli; mio nonno curava
l’orto (a metà con il parroco), uccideva i conigli che io nutrivo con
erbetta e suonava le campane. Spesso io ero da loro, soprattutto
d’estate e non mi annoiavo mai.
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FOTOGRAMMA
Augusto Mocella
Sono nato nel 1948 in un piccolo paese
dell’Appennino Campano di circa tremila abitanti, situato a 1000 metri
di altezza, dove sono stato fino a circa quattro anni. Lì tutte le
donne sposate di una certa età allora vestivano di nero in segno di
lutto.
Eravamo dopo la guerra e c’era chi aveva perso il marito e chi un
figlio. Anche mia nonna Irene era vedova e si vestiva così, come pure
sua madre Angiolina, la mia bisnonna. Di lei ho un ricordo quasi solo
fotografico. La ricordo che, ai limiti della piazza del paese, mi viene
incontro lentamente e io vado verso di lei. Poi mi chiama Augusto, mi
accarezza la testa e dolcemente mi dice “piccione”, equivalente di
piccolo.
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IL PICCOLO MASSY
Massimiliano
Mi ricordo quando ero piccolo che
andavo su alla casa, a Vado, e non mangiavo mai e la nonna mi
rincorreva col piatto. Circa in quel periodo, mio fratello aveva una
band della quale non ricordo il nome (un anno suonarono nella casa di
Vado, sotto al portico, se non ricordo male facevano anche pezzi di
Francesco Guccini e Franco Battiato e probabilmente altro), mi ricordo
che quel giorno giocai quasi tutto il tempo con una sua amica che sia
chiama Paola; giocavamo al ‘teletrasporto’ sulla botola di una cisterna
di una bombola a gasolio. Avevo un paio di amici, uno si chiamava
Flavio e l'altro Alberto.
Andavo sul ponte dell'autostrada con mia zia, guardavo le automobili e
i camion che ci passavano sotto e non mi stancavo di guardarle anche
per mezz'ora e oltre, tipo anche tre quarti d'ora; nel frattempo, mia
zia faceva l'uncinetto. Spesso giocavo da solo con i camion e le ruspe
(i giocattoli da bambino) con la sabbia. Tra questi ricordo un camion
da rimorchio cui ero molto affezionato, tanto che una volta, quando
arrivò un mio parente col suo figlio piccolo, lo nascosi in cucina,
perché avevo paura che lui me lo rompesse.
Poi mi ricordo che guardavo alcuni cartoni animati con mio fratello e
che erano “Bufalo-bau”, “Huck e Jim” e “I tre marmittoni”. Più o meno
in quel periodo, ricordo che dopo cena giocavo sempre a calcio con mio
fratello, quello fu l'unico anno in cui giocai a pallone, perché mi
piaceva poco. Non seguivo nemmeno il calcio. Basta pensare che iniziai
ad andare allo stadio intorno ai 26-27 anni. Infatti ricordo che da
piccolo sono andato una serie di volte in trasferta col mio babbo, mia
mamma e i miei zii, ma mentre mio babbo e suo fratello (mio zio)
andavano allo stadio, io, mia mamma e mia zia partivamo alla ricerca
dell'ovetto Kinder; in quel periodo non era come ora che alcuni
supermercati sono aperti anche di domenica (mi ricordo di un negozio, o
un bar, non sono sicuro: vidi dentro gli ovetti Kinder, ma era chiuso),
quindi trovare l’ovetto era un'impresa, tanto che per ripagare la
fatica, a volte mia mamma me ne comprò addirittura due… Mi ricordo
anche, durante un viaggio di andata su un treno, un ultras del Bologna
(scusate, ma mi viene da ridere) mi chiese se volevo un panino al pus e
sorrisi. Poi mi ricordo che nel 1985 morì mia nonna, quindi
quell'estate mi ritrovai a stare con mia zia, a dormire in casa sua e
mi sembra che in quell'anno i miei genitori ristrutturarono la casa;
andavo in montagna (a Vado) solo nei weekend. Sempre quell'anno, mi
ricordo che venne su mio fratello e andammo a trovare un suo amico, un
certo Andrea, che durante l'estate abitava in Gardeletta.
Andando verso casa sua, in automobile, faceva le curve in controsterzo,
le ruote si giravano da una parte e l'auto dall'altra andando in
derapata, quindi mi divertivo. Sempre quell'anno, o l'anno dopo o
quello prima, andammo al mare al Lido delle Nazioni in un appartamento
che ci prestò mio zio, che lo affittava da un certo Veronesi che aveva,
credo, un negozio di scarpe e mi ricordo che circa in quel periodo mi
vendeva le scarpe in casa sua, a Rastignano.
Questo signor Veronesi scambiò la Fiat 131 di mio fratello per una Fiat Argenta; in quell'estate mi comprarono un transformer
e mi dissero che se non fossi stato capace di trasformarlo sarei potuto
passare dal negozio per vedere come si faceva, ma non ne ebbi bisogno
perché me ne intendevo. Quell'anno venne anche mio cugino Gianluca, poi
mi ricordo che dal terrazzo, lui con mio fratello volevano fare un
gavettone agli zii, ma mia mamma non voleva per paura che beccassero
qualcun altro. Sempre in quella vacanza fu la prima volta che mangiai
il panino col ragù.
Sempre in quell'anno, se non ricordo male, c'era anche mia zia di Vado
e sentivo un venditore di colore ambulante che diceva sempre: “Pareo…
sciugamano!”. Io non sapendo che cos'era il pareo lo chiesi a mia zia,
che me lo spiegò, poi quando passò una ragazza con il pareo mi fece
vedere cos'era: era un indumento.
Mi ricordo che da bambino giocavo sempre con una mia amica di nome
Serena, che abitava nel piano sotto, al primo piano; con lei giocavamo
a fare i venditori, giocavamo anche a ‘bruciapappa’ che consisteva
nell’andare a cercare altra pasta, per finta ovviamente, girando in
bicicletta perché la pasta si era bruciata sul fuoco (tra l'altro cosa
impossibile perché la pasta bollendo nell'acqua non può bruciare), a
quell'ora i negozi erano chiusi e cercarla era difficoltoso; alla fine
la trovavamo e così giravamo parecchio insieme in bicicletta. Ma avevo
un amico d'infanzia di nome Alessio e quando andavo a giocare da lui,
lei non era contenta, mi pareva invidiosa. Ricordo che con questo
Alessio ne combinavamo di tutti i colori (ora, a pensarci mi viene da
ridere), addirittura un anno demmo fuoco alle sterpaglie vicino al
Reno, tanto che le automobili sul ponte del fiume rallentavano per
vedere cosa era successo; per fortuna l'incendio si spense da solo.
Avevamo a scuola anche un nascondiglio nella siepe, dove fra l'altro ci
conoscemmo, in cui giocavamo alla guerra e facevamo i soldati. Con
Alessio, ai tempi delle medie, tutti i sabati pomeriggio, o quasi
tutti, andavamo in centro da Rossi, negozio di modellismo, a comprare
modellini di aerei e carri armati da costruire, dei kit di montaggio.
Spesso andavo da lui a montarli: ricordo che ascoltavamo una cassetta
dal titolo The Amazing Blonder
e mi piaceva tantissimo. Ricordo anche che durante le medie, a volte mi
veniva a prendere mio fratello con la 500 di mia mamma e nel tornare a
casa andavamo a tutto gas, sottoponendo quella povera 500 a degli
sforzi mostruosi (scusate ma mi viene da ridere di nuovo) e ancora ora
mi domando come abbia fatto a reggere, a tenere botta, visto come la
trattavamo. In questo periodo, mi diedero una bicicletta da corsa con
la quale praticavo il ciclismo, che però non mi piaceva perché era
scomoda la posizione: durò molto poco, solo all'incirca un anno; a me
invece piaceva andare sulla bicicletta da cross, perché molto più
comoda. In conclusione, anche se ho avuto parecchi problemi, pochi
amici e problemi di salute, cioè la miopia che mi ostacolava ad
impegnarmi a scuola, e anche se durante le medie molti miei compagni mi
prendevano in giro e mi facevano arrabbiare, ritengo comunque di avere
molti ricordi positivi.
Ho da poco scoperto che Flavio è impiegato come pilota di aerei.
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UN RAGAZZO MOLTO SENSIBILE
Darietto
D
a piccolino… ricordo
di una nuvola che mi
seguiva e, per me, era
il mio amico immaginario.
Con lei parlavo
spesso e volentieri. Però quando
ero dentro delle strutture, mi sentivo
solo. Una volta, quando andai a
visitare lo zoo di Pistoia in gita scolastica
con un pullman, la nuvola si
era ingrandita, ci entrammo dentro
e, dopo un temporale, apparve uno
stupendo arcobaleno. Lì conobbi il
grande e mitico Lucio Battisti con
una sua canzone intitolata Acqua
azzurra, acqua chiara. In principio,
credevo che quella canzone fosse
di Vasco Rossi, ma poi mi dissero
che era invece sua. Da quella volta,
il grande Lucio Battisti rimase
per sempre nel mio cuore: conobbi
le sue più belle canzoni come Io
ti venderei, Il veliero, Dove arriva
quel cespuglio, Donna selvaggia
donna, Nessun dolore e molte altre.
Poco dopo fu la volta della più
bella voce maschile che rimase per
sempre nella mia classifica personale
come number one e mi riferisco
alla scoperta di Pino Mango;
a tutt’oggi la sua Stella del Nord
e Bella d’estate sono le canzoni
che ascolto più spesso e volentieri,
ma ne ascolto anche tantissime
altre che sono altrettanto stupende
come Sensazione d’aria, Sogni,
Raggio di Sole, Dal cuore in poi,
Abiti nobili, Arcobaleni, Attimi, La
rondine, Ti porto in Africa, La rosa
dell’inverno, Com’è rossa la ciliegia,
Dove vai, Lei verrà e Oro con
cui lui purtroppo ci ha lasciati, a 60
anni, l’anno scorso a dicembre, un
mese dopo aver festeggiato il suo
compleanno: che tristezza!
Quanti bei cartoni animati si vedevano
in TV quando ero piccolino!
Mi ricordo le Tartarughe Ninja alla
riscossa, gli Street Sharks, i Power
Rangers, Robin Hood, Heidi, Là sui
monti con Annette, Lady Oscar,
Capitan Futuro, Ken il Guerriero,
Dragon Ball, Sailor Moon e altri di
cui purtroppo ho scordato il nome.
Sailor Moon in particolare continua
a piacermi, ho persino elaborato
un fumetto su di lei perché ero e
sono tuttora affascinato dalla lotta
tra il Bene e il Male, di cui mi sto interessando
per elaborare un nuovo
fumetto. Ricordo che mi piacquero
subito i computer: quando ero alle
elementari, mi portavano in strutture
dove si trovavano i pc, che facevano
quell’odore elettronico che mi piaceva tantissimo. Mi ricordo
che sullo schermo c’era un buffo
triangolino e con quello ci insegnavano
un programma di disegno.
Durante la pausa, si poteva giocare
ad un simpatico gioco dove dovevi
ritagliare lo schermo scappando
da un lombrico digitale e far apparire,
nella sua interezza, una figura
celata: mi divertivo da impazzire
e quando era l’ora di andare via,
piangevo. Alle scuole elementari
avevo molti amici, ma c’erano anche
compagni negativi. La palestra
era un punto molto doloroso per
me, perché ero cicciotto, timido
e goffo, quindi mi muovevo con
fatica e l’insegnante mi dava del
“sacco di patate”; il mio stato d’animo
quindi peggiorava, oltretutto
i compagni mi guardavano mentre
si facevano gli esercizi fisici: ricordo
le capriole che, per me, erano
delle cose allucinanti, mentre per
altri, che erano più magri, erano
una bazzecola! Ciò nonostante ho
comunque e per fortuna più ricordi
belli che brutti: tra questi ultimi,
il più brutto in assoluto durante le
elementari fu quando ero da solo
nel giardinetto della scuola e vidi
un cagnolino; quando mi avvicinai
per accarezzarlo, lui mi ringhiò,
mi abbaiò, mi rincorse e andai a
finire sopra un albero urlando per
chiamare qualcuno a salvarmi; da
lì in poi ebbi paura dei cagnolini
fino intorno ai 28 anni circa quando
rividi, dopo circa 15 anni, il mio
adorato zietto Francesco che mi
liberò da questa paura e, anzi, da
lì in poi, accarezzavo (e accarezzo
tuttora) tantissimi cagnolini.
Le scuole medie furono purtroppo
l’inizio della mia decadenza, quando
intorno ai 15 anni ho smesso
di andare dietro alle ragazze e lì si
è celata la mia malattia, che a 24
anni poi è esplosa completamente
come un vulcano: la depressione.
Per compensare il male e
la “merderia” che mi circondava,
mangiavo molti dolci tra cui le tavolette
di cioccolata che erano le
mie preferite, ma anche i cibi salati
erano di mio gusto e tra questi vi
erano le pizzette, sia al taglio che
quelle tonde. Gli insegnanti erano
estremamente maleducati e, non
rivedendo più i miei cari amici delle
elementari, per me fu un grave
tracollo. Lo studio andava benino,
ma sentivo che la voglia di vivere
si spegneva pian piano… Era come
se avessi subito un grave lutto per
ogni amico che avevo perso e, poi,
quando si passò alle superiori, il
mio stato d’animo peggiorò ulteriormente…
Mi sembrava di esser
colpito da una sfortuna tremenda
e piangevo molto spesso: arrivavo
addirittura a scappare di casa,
litigando furiosamente coi miei
genitori perché mi sembrava che
ogni cosa che facevo, la sfortuna
mi amplificasse i disastri: non ne
potevo più! A 24 anni, per fortuna,
dopo la cura a Villa Baruzziana, la
vita in me era tornata a splendere,
vedevo meglio le cose e quel “buco nero” dentro di me, che ormai era
diventato gigantesco e mi stava
divorando, pian piano si stava richiudendo:
divenni più solare, più
maturo e scoprii molti hobby interessanti,
ripresi anche il fumetto;
a tutt’oggi infatti sono affascinato
dalla storia antica (colleziono
quelli che io chiamo “cuccioli”,
cioè cavalieri, mostri, dèi, creature
mitologiche, abitanti medievali,
draghi, ecc…), dall’arte, dai film,
dalla musica, dai ‘pupetti’ (non mi
piace chiamarli pupazzi, perché
non sono pazzi), dai libri di storia
antica, arte e fumetti e, quello che
adoro più di tutti, dal computer col
quale navigo su internet e mi informo
su ciò che accade nel mondo
(sui TG spesso non vengono menzionate
certe informazioni).
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Paola Scatola
POESIA
Quando ti scrivo e ti voglio il bene di sempre, giunge a me un “me
stesso” mio, che sono io, eppur “chi sono io”: ma piangere fa bene e lo
sapevo già da me, ma poi chi piange con me, se ci sei solo tu al mio
fianco?
Ero una bambina, sono una ragazza, ma quando mi tieni la mano mi
dipingo da me.
PAPÀ
Babbo,
sei tu o ora sono io per te? Ti guardo già bianco e vorrei ancor saper
di te, ma ti guardo e mi rispondo che mi piaci e so il perché: non sono
quei soldini che mi dai alla domenica, a me piaci proprio te.
SORRISO
Ero
bambina io e lo ero anche per te, mi tenevi solo tu fra le mie cose
interiori e mi cingevi bene gli occhi all’arcobaleno già di una vita.
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LA MANTELLINA ALL’UNCINETTO
Concetta
Con i ricordi non sono mai riuscita ad
andare oltre la barriera dei quattro, cinque anni di età, sicuramente
questo limite è da ricondurre anche alla mancanza di materiale
fotografico che documentasse o immortalasse qualche contesto e/o
persone del periodo antecedente.
Rispetto a questo periodo i ricordi che più affiorano vividi nella mia
mente riguardano la mia permanenza in casa della sorella maggiore di
mio padre, che purtroppo, o per fortuna, non ha avuto figli. Mi ricordo
che a seguito di un ricovero in ospedale di papà, essendo io la più
piccola dei cinque figli, mia madre dovette chiedere aiuto a zia
Elisabetta e a zio Angeluccio, un angelo di nome e di fatto, un vero
sant'uomo. Il mio trasferimento creò, soprattutto nella fase iniziale,
non pochi problemi. Per parecchi giorni ad una cert'ora della notte mi
svegliavo di soprassalto, piangendo ininterrottamente finché mio zio,
dopo avermi intabarrata ben bene, non mi prendeva in braccio e mi
riconduceva a casa dai miei. Tra gli indumenti utilizzati per coprirmi,
quello che ho ancora davanti agli occhi e nel cuore è una mantellina a
strisce di lana colorata della zia (blu, gialla, arancio, verde e
rossa), fatta all'uncinetto, che ho tenuto cara per molti anni, come
Linus la sua copertina. Quando però iniziai a realizzare che mia mamma
avrei potuto vederla in qualunque momento e comunque non sarebbe
scomparsa e che la nuova sistemazione aveva dei grossi vantaggi perché
mentre a casa dovevo condividere l'attenzione dei miei con gli altri
fratelli, da zia Elisabetta ero veramente la regina di casa,
incominciai a voler andare sempre meno a casa, e addirittura a
nascondermi quando con gli zii passavamo nei pressi della stessa.
Sono certa che, come me, nessun bambino avrebbe rinunciato a quella
vita così piena di attenzioni, regali, dolciumi, bei vestitini, ma
soprattutto alle favole che ogni sera mio zio inventava per farmi
addormentare.
Quando mia madre si rese conto che i miei zii, ovviamente in buona
fede, non erano in grado di dire dei no, decise di intervenire in modo
autorevole per riportarmi a casa, con l'intento di darmi una
'raddrizzatina'.
Ero stata abbondantemente viziata, non avevo freni di alcun genere, ero
diventata a tutti gli effetti una grandissima maleducata. Ci volle del
tempo prima che mia madre raggiungesse l'obbiettivo di ricondurmi
all'osservanza delle regole. Oltre alle punizioni restrittive, sono
volati anche degli scappellotti, modalità educativa che oggigiorno è
assolutamente bandita nei confronti dei minori. Per la mia esperienza,
mi sento di dire che qualche sculacciata non ha mai fatto male a
nessuno. Zia Elisabetta e zio Angeluccio, nel tempo, hanno sempre
ricoperto un posto speciale nella mia esistenza, tuttavia col senno
sono arrivata a condividere il valore del detto: "il medico pietoso fa
la piaga dolorosa", che mia madre di tanto in tanto mi ripeteva.
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SONO STATA UN ANGELO
Tina Gualandi
Avevo cinque o sei anni. Ricordo che
frequentavo un istituto privato di suorine di S. Anna (che poi ha
chiuso per diventare convitto per ragazze fuori sede). Dovevamo fare
una recita. Una mia compagna ed io dovevamo fare gli angeli: avevamo
una tunica azzurra lunga fino ai piedi con tante stelline dorate
attaccate. Legato alla schiena un bellissimo paio di ali. A un certo
punto della recita dovevamo uscire e ‘svolazzare’ sul palco (dicendo
anche cose che ora non ricordo). So che fare l’angelo mi piaceva
moltissimo e anche le ali erano fantastiche.
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I RICORDI DELL’INFANZIA
Marco-Fa’
Èuna età ricca di speranze, di
certezze, ma anche di giochi. Il bambino che era in me? Giocoso, manco
a dirlo. È un tuffo nel cuore l'infanzia. Ti metti a raccontare un
passato fatto di straordinari eventi, forse perché io nasco canterino e
cantante, e quando scopri il mondo della musica, tutto è strabiliante,
certo come i cartoni animati. Ma come… non riesci ad essere sensibile
quando miravi e rimiravi con allargati occhi quella mamma che presto
diventava parte integrante della tua vita. Proprio e solo nell'infanzia
ci si poteva mescolare con Giamburrasca o ancora meglio passare al
gioco d'azione. Ma certo che non sono chiacchiere: il fucile o il
martello? La pista delle macchinine inventate. E già si cominciava a
sognare anche l'innamoramento col gioco dei bulli e pupe. Il nascondino
che impazzava o ti faceva impazzire.
In questo istante un brivido mi percorre perché quei ricordi li ho
lasciati in fondo a me. Eravamo noi, monelli, vagabondi, costruttori di
giocattoli: tutto era presente, regolare, mentre si facevano i conti.
Forse per qualcuno si veniva ad instaurare un bene profondo, chissà,
volevamo quasi abbracciarci. Ma in quell'istante scoppiava un litigio,
un pianto. Vinco, perdo o sono arrabbiato. Il cuore rideva e si
innamorava, si dibatteva e tornava a nascere, dentro quella culla
dell'infanzia. Le chiacchiere insieme alla matematica e agli spaghetti
della mensa del doposcuola.
Se ripenso ancora così intensamente com'era bello sguazzare coi piedi
nelle pozzanghere, tanto io ero piccolo e il mio cuore una volta tanto
lo potevo buttare via. Infine arrivavano loro: no, non i genitori, i
maestri. Per alcuni era una ninna nanna, per altri un'eccezionale
conquista e per altri ancora un perfetto equilibrio fra la vita… e il
dondolo di casa Bianconi.
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LA MIA INFANZIA
Mariangela
Un'infanzia bruciata priva di dolci
ricordi. Ne ricordo uno in particolare, quando fanciullina vivevo con
la mia famiglia affidataria in un grande casolare situato a Monte San
Pietro con mamma Marianna e papà Francesco. Una famiglia numerosa
perché io ero la loro dodicesima figlia, anche se non ero la loro
figlia naturale.
Per me loro erano la mia famiglia ed ero molto affezionata, tanto che
quando, qualche volta, mia madre naturale veniva a trovarmi io scappavo
a nascondermi dietro a grandi sacchi di farina, perché non volevo
vederla e dicevo che Marianna era la mia mamma e non lei. Ricordo anche
qualcosa di piacevole: i giochi nel grande cortile: qui con i miei
fratellastri coetanei correvamo, giocavamo a nascondino, prendevamo le
lucciole che tenevo nel palmo chiuso delle mie mani come fossero
stelline e che poi lasciavo libere di volare per vedere la loro luce
brillare nell'infinito buio.
Avevo anche un coniglietto bianco dagli occhi rossi, che consideravo
mio amico, che se ne stava sempre nel fienile e che di tanto in tanto
andavo a trovare, aiutandomi con una scala; erano poche le carezze che
potevo fargli, perché presto scappava via: gli piaceva starsene da solo
indisturbato nel suo giaciglio fatto di fieno e altre foglie profumate.
La vita nella grande casa era semplice, ma per me è stata la prima ed
unica casa nella quale ho vissuto e rappresenta il più bel ricordo
della mia vita.
Purtroppo questa gioia non durò a lungo, perché dopo qualche anno la
mia mamma naturale volle portarmi via. Per me fu un giorno tristissimo
ed il trauma subito fu molto forte, perché fui tolta dalla mia famiglia
e sbattuta in un orfanotrofio. Dovevo cambiare abitazione, perché in
quel luogo non avrei potuto frequentare la scuola e crescere istruita.
Questo poteva essere un buon motivo, ma la permanenza in
quell'orfanotrofio non era molto piacevole. Per nove mesi non riuscii a
parlare, poi il cambio di orfanotrofio mi ha fatto tornare la parola.
Mi portarono presso l'orfanotrofio della Madonna di San Luca dove
sicuramente il trattamento era migliore. Qui ho potuto studiare e,
sebbene abbia trascorso anche periodi non belli, riuscii a conseguire
la licenza elementare e quella delle scuole medie inferiori. Oltre che
per l'istruzione, sono grata alle suore perché si sono prese cura della
mia salute, non soffrivo di cose gravi, ma ero anemica, rachitica,
linfatica e spesso soffrivo di gravi forme di congiuntivite. A curarmi
non è stato un medico, ma una suora infermiera molto brava, preparata e
disponibile.
In conclusione, non ho molti bei ricordi della mia infanzia, ma questi
pochi li ricordo volentieri, perché avendo ora una famiglia tutta mia,
i ricordi non mi rendono infelice ma mi aiutano un po’ a ritrovare le
mie radici!
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IL SASSO NELLO STAGNO
Edoardo Bellanca
La mente aperta
Sono
convinto che un bambino abbia una mente aperta, ben superiore a quella
di un adulto, se quella mente non è contaminata dall'ambiente esterno.
La prova? Chiedete a chiunque: "Che cos'è 1 no no no?": un bambino di
prima elementare saprebbe rispondere, un adulto no!
Risposta di Lucia
Mah! Sarei stata curiosa di fare l’esperimento, ma non ho bambini di prima elementare a portata di mano… Quanto
a me, be’, nonostante la mia veneranda età, ci sono arrivata abbastanza
presto, ma è stato Antonio a mettermi sulla strada giusta, accennando
all’enigmistica…
Provateci, dunque, amici adulti: “Che cos’è 1 no no no?”.
La risposta in fondo alla rivista
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LA NOTTE DI NOTE
Giovanni Romagnani
Lo zero
Inizio ora. Numero 0 lo chiamano. Esiste? Gli orientali identificano lo
zero con il vuoto. Pericoloso. Nel senso che si danno i numeri. 1+1=0
A-dolescenza
Periodo
difficile ricco di stimoli e pochi ricordi. La società contemporanea
regala stimoli e vanità; dissòciati e non tornare indietro. Guardarsi
alle spalle, delle volte non ti piacerà però, come dice il buon Blasco,
"guarda dove vai!".
Dal cerchio al quadrato
Dall'infanzia all’adolescenza, dal cerchio al quadrato.
Quando si è piccoli tutto torna, tutto è circolare ed affettivamente
chiuso, poi cresci e cominciano gli spigoli.
Un quadrato è iscrivibile in un cerchio, ma un cerchio
è a sua volta iscrivibile in un quadrato. Dipende dalle
reciproche dimensioni. Per i buddisti queste due figure
geometriche rappresentano il mandala, ovvero il sacro
recinto dell'anima. Già l'anima e i suoi giardini, che secondo
me cominciano con l'adolescenza. Ne abbiamo
cioè percezione. Prima sono pura luce. La luce si fa psicologia,
cioè. Poi si comincia ad osservare le rose, come
canta Fabrizio De André in Canzone dell’Amore Perduto,
il primo gioco che non vincerai, come scrive Biagio Antonacci.
Almeno Tu nell'Universo, e scatta il primo colpo di
fulmine. A quel punto il giardino è stretto o condivisibile.
Dipende se si coglie o meno la mela.
Questa è stata la mia Genesi.
Mi si escludeva!
Mi si escludeva! Così termina il suo brano Vasco Rossi.
Poi comincia la guerra, conclude. Ed è proprio quello
che succede quando ci si contrappone. Buoni o Cattivi, re.
O così comincia lo Show, cioè la catarsi del concerto.
Ma non si può fare concerti tutta la vita, o, perlomeno, il
Tutto non deve finire lì ...E…Cominciamo a rispettare le
differenze.
Solo dopo averle viste cominciamo l'eventuale Rewind
delle nostre emozioni, per non rischiare di cadere nella
Noia, dove tutto l'infinito è lì. Con il rischio di bruciare
tutto, alla ricerca di sensazioni forti. Senza che nessuno
ti chieda come stai, forse perché ha aderito al luogo comune.
Ma almeno ci fosse!
Cosa succede in città, quando tutti hanno mal di stomaco,
ed il denaro non gira più.
Stanco, l'Artista non spera più in un’alba timida. Macché
splendida giornata, è tutto un Asilo Republic, poco Rock,
molti Alibi e Tantissima Amarezza Creativa.
Valium! Proprio una fine del cazzo.
In compagnia di persone che non bevono il caffè, ti chiedono
come stai e te ne offrono uno, che devi bere, altrimenti
ti becchi un calcio nelle reni, Felicitina.
Ho fatto un sogno: il mondo fuori dell'Albachiara tornava
dentro di lei ed io sfioravo uno sguardo. Un cielo capovolto
all'interno del quale, dicevo che continuavo ad
andare al massimo, guardando al mare le tette nude. Noi
siamo Sole, Non Soli e le donne sono sole. Tu mi piaci
perché sei porca nell'ultimo domicilio conosciuto, dove
non ci sono deviazioni ed uno urla “Io no”, dicendosi:
“Giocala!”
Come in una favola antica, reagisce e sceglie di vivere
una favola, semplicemente perché non vuole perdere.
Ma cosa vuoi che sia una canzone... Sally lo sa, Jenny
purtroppo l'ha capito.
Ci sarà sempre un benvenuto, lì dove non arrivano gli
angeli, o semplicemente in attesa che la marea ti dica:
Nessun Pericolo per Te. Praticamente perfetto.
Quando hai quindici anni tutto il mondo ruota intorno
allo specchio di Silvia ed anche se hai il fegato spappolato
vuoi proprio esagerare, e scriverlo su tutti i muri, con Giulia
Oggi chiudono gli OPG
Oggi chiudono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Bene? Male? Non lo so!
Cerchiamo di andare al di là tentando un'analisi.
Ho provato la Detenzione Psichiatrica, non giudiziaria,
ed è una cosa terrificante, disadattante. Esci e
non sai dove cazzo andare. Se va bene passi da un
bar all'altro, o da un CSM all'altro.
PERÒ. La sicurezza del cittadino va garantita, per
cui se uno sbarella, qualcosa va fatto, per lui e per
gli altri. Compreso il pubblico scandalo. Quello che
è normale per uno può non esserlo per un altro, e la
sensibilità singola e relativa va preservata.
Certo, da parte del pubblico servizio il tatto va garantito,
ma è anche vero che non si può rispondere
ad un calcio con una margherita. C'era uno che lo
predicava....
Stando con i piedi per terra penso che la libertà del
singolo finisca dove inizia quella dell'altro, e penso
anche che per lo Stato non è facile garantire questo
equilibrio. Soprattutto quando uno in equilibrio non
lo è. Delirio significa andare oltre il solco; in questo
caso è facile invadere la libertà dell'altro.
Per cui mi limito a dire che, secondo me, privarti della
tua libertà, irrispettosa di quella degli altri, è già una
condanna durissima, per cui all’interno di qualunque
struttura detentiva non si deve cadere nella cattiveria
o addirittura nel sadismo, ma, nello specifico, bisogna
anche garantire la sicurezza degli altri detenuti.
Guarigione
Guarigione, questa sconosciuta. L'ho sostenuto a gran
voce al 3° incontro degli Ufe.
Vorrei che ogni psichiatra mettesse per iscritto i termini
di guarigione del suo assistito. Ho l'impressione che nel
vago aumenti la discrezionalità dello psichiatra e diminuisca
la libertà dell'utente. O mi dicono che la Psichiatria
NON È una scienza esatta, oppure esattamente mi dicono
che cosa vogliono curare, facendomi l'Eziologia della patologia.
Io lo pretendo, in nome dell' amore, se c'è.
La compressione
Perché ho parlato di angolo del disagio... per quello che
ritengo il maggiore problema contemporaneo: LA COMPRESSIONE.
Emotiva e soprattutto Economica. La prima
implica la seconda e viceversa. Ne ha parlato Tiziano
Sclavi nel Dylan Dog intitolato Gli Uccisori, numero
cinque della serie regolare. Compressione emotiva crea
desideri economici, mancanza della possibilità di soddisfare
i desideri economici crea compressione emotiva.
Fonti di riferimento: Eh già, canzone di Vasco Rossi "al
diavolo non si vende, si regala", vero Silvio! Casomai,
film, di circa il 2004, con Fabio Volo. Come nel film lo
stato italiano, Matteo Renzi compreso, devono creare un
Heaven Out of Hell, Hell in cui siamo. Poi c'è Far - Arden
Paradiso Capovolto degli sciamani, dove Cavallo Pazzo, masticando peyote, crea un cerchio di pensiero magico,
sostenuto dalla sua propria Kundalini.
Sogni & Bisogni
Piccolo-spazio-pubblicità. Crearlo questo spazio. In un
mondo sempre più intasato di suoni ed immagini i bisogni
sono creati: figuriamoci i sogni. Ammesso che uno
abbia la forza di crearne dei propri. E così ben venga un
sito di servizio, lontano da logiche commerciali e bisogni
indotti. Perché Noi Utenti Psichiatrici vogliamo avere ancora
i Nostri Sogni, cominciando dai Nostri Bisogni!
Ma dove voli farfallina
In un periodo difficile della mia vita ho ricominciato ad
osservarti. Delicatamente, seguendo le tue ali, che per
un attimo battevano a ritmo delle mie ciglia. Sforzo inutile
per alcuni, bisogno necessario per me. Mi capita delle
volte, dopo aver assunto la terapia, di volare con il pensiero
verso emozioni fragili. Sentire il rombo di un Autobus,
e dimenticare di fare il biglietto!
Torno ad un argomento a me caro: I Ritmi Sociali.
Quando prendo l'Olanzapina sento il volo della farfallina.
Non pensate male, il doppio senso non è voluto. Però è
una condizione difficilmente condivisibile.
Noto che molti utenti frequentano solo utenti. Una spirale
ovale che percorrono senza uscirne. Delle volte ho
quasi l'impressione che alcuni operatori ci ritengano
degli apprendisti astronauti. La chimica sostituisce troppe
cose. Ci costringete a sentire l'urlo della farfalla, che
purtroppo non è un film pornografico.
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LA POLENTA E LO ZEN
Luigi Zen
Dovendo raccontare qualcosa
dell'infanzia, intendendo per infanzia quella che va da zero a tre
anni, ci accorgeremo di avere un vuoto mentale, in quanto di quel
periodo ci restano in mente solo delle immagini. Secondo me, da adulti
pensiamo di far dire al bambino innocente che è in noi tutto quello che
egli non avrebbe mai potuto o voluto dire, in quanto non aveva ancora
la padronanza del linguaggio, che verrà molto più tardi... Per cui io
vi risparmio i miei racconti: amo che debba essere taciuto quel
periodo, perché è bello così per i bambini, che non hanno ancora la
coscienza della vita e della morte e se dovesse morire la mamma, non la
penserebbero morta ma mancante: è questo un motivo del creato da non
indagare.
Un ricordo di immagini da zero a tre anni che descrivo con età adulta è
quello dei bombi neri, che appartengono alla famiglia delle api e vanno
ad impollinare i fiori estraendo polline e nettare. Di loro ero
curioso, della loro velocità e del colore nero. Un altro ricordo
ironico, dopo i tre anni, è quello della polenta. Mio padre portava a
casa la farina di mais e d'inverno mia madre faceva la polenta: poiché
si racconta che si è o si diventa quello che si mangia, così oggi da
adulto penso che per aver mangiato la polenta, nella vita sono stato un
“polento”; come d'altra parte anche i miei familiari... così oggi
quando incontro qualcuno che è un “polento” penso che sia uno che abbia
mangiato della polenta e se capisco che è più lento di me, so che di
polenta ne avrà mangiata molta di più di me, pensando poi che ci sono
altri cibi equivalenti alla polenta... ma questi scopriteli da soli.
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I MIEI PENSIERI
Francesca
Ho tanti ricordi di infanzia. A sprazzi
ho in mente degli odori e dei suoni come il canto degli uccellini, il
suono delle campane e dei profumi che mi riportano a quando ero
piccolissima, da un anno o forse più in poi, come un profumo di legna,
e di pane e crescente appena sfornati, che tutt’oggi quando li risento,
durante le mie camminate nelle varie stagioni in città e in collina, mi
riportano all’epoca in cui vivevo nelle Marche, dai miei nonni, nel
paese dove andavo da loro nella tarda estate, ed anche ai ricordi di
quando andavo al mare a Riccione con la mia famiglia, di quando mi feci
male cadendo in bicicletta (sicuramente avevo un anno), o in campagna
qui a Bologna quando ci andavamo, in piena primavera, fino alla
chiusura delle scuole, inizio estate, ricordo ancora il suono dei
grilli e le lucciole che brillavano nelle serate estive. Questi ricordi
mi ritornano in mente nitidamente come fossero accaduti ieri. Il suono
delle campane mi dà un senso di benessere fisico e mentale quasi di
felicità e nel paese della mia nonna nelle Marche le sentivo sempre
suonare. Sono tutti ricordi che mi riportano ad un periodo della mia
infanzia in cui vivevo serena e spensierata con i miei nonni e con la
mia famiglia e le mie sorelle, quando vivevamo insieme. E oggi quando
vedo certi paesaggi autunnali, tinti di giallo e di rosso, nella mia
fantasia mi ricollegano a un periodo della mia prima infanzia, non so
bene quale, ma deve essere sicuramente riferito alla mia cara mamma, e
a quando forse ero ancora in carrozzina o in passeggino e mi portava
con sé quando usciva. Eppure li ho in mente nitidissimi, e ho una
sensazione di vivere quasi in un sogno da cui non vorrei mai
svegliarmi.
Un altro ricordo sempre presente e bellissimo è quello della montagna
in inverno, quando andavo con la scuola in gita per la settimana bianca
e il meraviglioso ricordo di quando andavo a sciare con mio padre e a
quando si andava dopo lo sci con il resto della famiglia e le mie
amiche a mangiare un panino col salame, i krapfen e la panna montata,
in relax, in quei tipici alberghi di montagna, particolari e suggestivi
come le baite in legno, o quando scherzavo con le mie compagne, dopo la
scuola, camminando sulla neve e sul terreno ghiacciato, ricordo i voli
per terra, fra le risate generali delle mie compagne. Ricordo il
‘profumo’ della neve e il bellissimo paesaggio e l’aria pulita della
montagna, il rumore della bidonvia e delle carrucole, in seggiovia o in
skilift, fra il gracchiare dei corvi, e il rumore dell’acqua che
scorreva nei ruscelli, quando la mattina raggiungevamo le piste per
sciare, nel panorama magnifico delle montagne che mi davano allora, e
anche oggi mi suscitano, un senso di pace e armonia totale con la
natura. Che meraviglia!
Continuo a essere legata a questi ricordi che vanno da quando ero
piccolissima fino ai 10-12 anni, perché era un periodo in cui vivevo
con la mia famiglia nella bella casa che abitavamo e che era piena di
vita, fra il via vai degli amici delle sorelle e dei miei genitori.
Ricordo le mie amiche d’infanzia, le risate e le litigate con le mie
sorelle e tutto ciò mi infondeva un senso di pienezza e di continuità
della mia vita, e mi dava la sensazione di protezione, di non dovere
pensare a risolvere i problemi, ai quali pensavano i miei genitori,
anche per questo il pensare alla mia infanzia ed essere riportata a
quel periodo sereno e bellissimo, da suoni, musiche, odori, colori e
paesaggi mi fa sentire meglio e protetta, perché… sono luoghi, paesaggi
e persone a me cari nella mia infanzia. È come se io volessi ritornare
a quell’epoca attraverso questi ricordi, per darmi la forza, ancora
oggi, per pensare che la mia vita possa riprendere con un senso di
continuità e di sicurezza per il mio futuro, come lo era allora.
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16 FEBBRAIO 2015
Daniela Mariotti
Col passare degli anni la scrittura
diventa quasi illeggibile. Primo: non mi sento molto ispirata, chiusa
nel mio pensionato San Francesco.
Secondo: le visite dei pochi vecchi amici hanno l’aspetto di
beneficenza agli anziani. Non li biasimo. A nessuno piace questa
tristezza, di cui trasudano anche i muri. Ma non mi piace piangermi
addosso. Vorrei trovare una situazione meno tetra. Tutto è possibile a
Dio! Forse qualche cosa, se non smetto di cercare, qualche idea per
cambiare sarà possibile anche a me. L’importante sarebbe riuscire a
cambiare i miei ritmi sonno/veglia… Questo mi sembra facile, in una
notte insonne… Evviva! Ho strappato al sonno parecchie ore: sono ormai
le tre… Basta che domani lasci perdere le ore insonni e affronti tutto
il giorno ad occhi aperti… Cercherò di raggiungere questo obbiettivo.
Chi scrive non è mai solo.
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CASI CLINICI 4: IL PICCOLO HANS
Cristicchi
Èdifficile per me parlare dell’infanzia
e scegliere un libro idoneo a questo argomento. Questo mese ho scelto
un caso clinico di Freud, Il piccolo Hans.
Mi ha colpito soprattutto l’amore del padre di questo giovine, la sua
preoccupazione per le sue stranezze. Hans è un bambino che molto presto
presenta delle fobie, il padre preoccupato lo fa analizzare da Freud,
un noto psicologo. La fobia più grande di questo fanciullo è quella del
cavallo, il quale avrebbe rappresentato il padre di cui Hans aveva
paura, poiché era nella sua fase edipica durante la quale l’amore per
la madre porta ad essere invidiosi e al tempo stesso temere la figura
del padre. Hans aveva paura che un cavallo lo potesse mordere entrando
nella sua stanza oppure che gli cadesse addosso e questo si potrebbe
mettere in relazione con il timore di una punizione da parte del padre
per i suoi desideri inconsci verso la figura materna. Tutte queste
fobie sono dovute ad un insieme di altri avvenimenti accaduti nella sua
vita, quali la nascita della sorellina, il desiderio di sostituire il
padre nel mondo affettivo della madre ed i primi conflitti emozionali
relativi alla scoperta del sesso e della masturbazione compulsiva.
Consiglio la lettura perché rende l’idea di come siano importanti il
concetti di rimozione e inconscio che sono stati scoperti nel ‘900
grazie a Freud.
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GENNAIO SILENZIOSO
Daniela Mariotti
Sono
diventata uno spirito solitario, proprio io che amavo tanto l’arte del
conversare, ora medito sulle cose belle, che ho avuto, che ho visto; il
cielo vicino e lontano, la stanza che mi circonda, mi fanno riflettere.
Ed è così che nel mio cuore, persone un tempo amate si presentano nel
loro lato migliore, dando corpo alla mia meditazione.
E così il cielo da chiaro si fa oscuro, per prepararci al riposo notturno.
Oh notte, avvolgimi con la tua coperta. Se vuoi tu, avrò più speranza nel domani.
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SOGNO
Daniela Mariotti
Sento ogni tanto, quando in inverno si aprono squarci di cielo blu, che
qualcosa potrebbe succedere a riscaldare le nostre anime, che anche per
noi è stato creato il paradiso. E bussando, le sue porte potrebbero
schiudersi per noi, così tesi alla ricerca di angeli, alla ricerca di
amicizia e amore: che non si perderà il sogno.
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LA MEMORIA DEL PASSATO: CHE DIRE?
Daniela Di Fabbio (Psicologa Psicoterapeuta CSM Budrio)
Ricordi d’infanzia – qualcosa di personale
Quando mi è stato chiesto di scrivere
qualcosa sul tema dei “Ricordi d'infanzia” mi sono detta : “Bene!
Potrei raccontare i miei ricordi d'infanzia!”. E mi sono venute in
mente le sensazioni delle mattine d'estate quando l'aria calda e il
sole dilatavano il tempo lungo delle vacanze. E poi altri frammenti...
la sensazione del freddo d'inverno in casa. La paura di passare nel
corridoio scuro. Il letto dove dormivo con mia nonna, che era così alto
che mi dovevo arrampicare sulla sedia per salirci.
Un odore, un profumo può essere inatteso, momentaneo e fuggevole, e
tuttavia incredibilmente evocativo. Eccomi bambina d’estate sulla
spiaggia ad annusare l'aria salmastra. Il profumo del borotalco dopo il
bagno. Un pranzo in famiglia con l'odore del coniglio arrosto e delle
patate e il ricordo di quei sapori. Gli odori si rifanno sentire come
allora, presentandosi nella nostra memoria carichi di una capacità di
‘prenderci’ dopo esser scomparsi nel bosco incantato degli anni.
In men che non si dica, quindi, la scia dei ricordi può far
ri-affiorare sensazioni e scene in rapide sequenze. Recuperando tanti
elementi che sembravano esser stati ‘perduti’, alcuni da tanti anni,
altri forse da ‘sempre’, nella mia mente è stato proiettato un film in
streaming di cui io sono stata, in qualche modo, la regista, la
protagonista e la spettatrice.
Che dire? Ricordare è un processo sempre attivo, che accompagna il
nostro vivere e costruisce molto del nostro stare con noi stessi, e del
nostro spazio interiore. Ma com'è complicato trasmettere agli altri le
sensazioni, le immagini, le emozioni di cui sono formati i nostri
ricordi d'infanzia!
“Le persone ricordano le cose in modo diverso, e non riusciremo mai
a trovare due persone che ricordano nello stesso modo una cosa. Noi
siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme
incostanti, questo mucchio di specchi rotti”.
Jorge Louis Borges
Fra teoria e pratica clinica
Riprendo alcune considerazioni
tratte da un breve saggio di
Sigmund Freud: Il sogno. Freud
affronta il tema dei ricordi infantili
e anche il tema dei ‘ricordi di copertura’,
che sembrano formarsi
anche con ricordi mnemonici di periodi
successivi.
Nella mia attività clinica ho avuto
modo di riscontrare in più situazioni
il manifestarsi di ricordi d'infanzia
modificati sulla base di ricostruzioni
successive della stessa
situazione. Questo può accadere
anche in relazione alle fasi di elaborazione
dei conflitti affrontati nel
percorso psicoterapeutico.
Le comuni osservazioni ed esperienze
cliniche portano a tenere
conto dell’importanza di questi ricordi
frammentari, ma persistenti
nella memoria dei pazienti. Certi
ricordi possono individuare alcune
caratteristiche patologiche, ma soprattutto possono contribuire alla comprensione
psicologica dell’individuo. E aiutano ad evidenziare le
differenti strutture di personalità.
Freud sottolineava come le tracce mnemoniche che
formano una serie di avvenimenti, vengono riprodotte
in genere solo dal settimo anno di vita e anche successivamente.
Prima i ricordi sono fugaci e slegati, riconducibili
più ad impressioni e ad episodi isolati.
Per quanto, io stessa ho qualche ricordo precedente
e più persone mi hanno raccontato ricordi anche di
quand'erano molto piccole. Generalmente si tratta comunque
di frammenti molto limitati. Nei casi di racconti
più strutturati di ricordi risalenti ai primissimi anni di
vita, ho ritenuto si trattasse di ricostruzioni a posteriori.
Ma a partire dai sette - otto anni, si crea una relazione
tra il significato psichico di una esperienza e il suo ricordo.
Sappiamo che quanto più un’esperienza risulta
determinante per i suoi effetti immediati o successivi,
tanto più viene ricordata, mentre al contrario ciò che
non è ritenuto importante viene dimenticato. Freud
scrive: “Se io riesco a ricordarmi un avvenimento anche
molto tempo dopo che è accaduto, questa permanenza
nella memoria mi prova il fatto che quell’avvenimento
ha esercitato allora una profonda impressione su di
me”.
Interessante è confrontare le amnesie tipiche di alcuni
stati psichici patologici con l’amnesia tipica della prima
fase della vita umana. Ci chiediamo come mai un bambino
normalmente sviluppato, che a tre - quattro anni
svolge prestazioni altamente organizzate confrontando
le cose e facendo deduzioni, per lo più non ricordi
molte di queste esperienze. Ma qui occorre affrontare
la questione di quale sia solitamente il contenuto dei
ricordi infantili. Se ragionassimo secondo la psicologia
dell’adulto, ci aspetteremmo che questi ricordi vengano
scelti tra quelli più rilevanti. Abbiamo infatti anche
delle conferme: i ricordi infantili più remoti spesso riportano
fatti che hanno provocato dolore o paura o
vergogna. Però dobbiamo ricordare che l’interesse
del bambino si fonda su presupposti diversi rispetto a
quello dell’adulto.
In effetti, capita di sentirsi raccontare in modo dettagliato
alcuni episodi banali e poco significativi. Pur
non avendo provocato un forte impatto emotivo, questi
si imprimono profondamente nella mente infantile ed
arrivano all’età adulta. A volte, altri avvenimenti, che
possono aver colpito drammaticamente e profondamente
da bambini non vengono ricordati.
Freud faceva l'ipotesi dell'attivazione del meccanismo
della sostituzione dei contenuti psichici. L’esempio dei
ricordi infantili ne è dimostrazione, perché mette in rilievo
contenuti che appaiono non essenziali in ‘sostituzione’
di esperienze importanti.
Questi sarebbero i ‘ricordi di copertura’ e sembrano
formarsi anche con dati mnemonici derivanti da esperienze
di periodi successivi. Hanno caratteristiche diverse
a seconda del rapporto temporale fra l’episodio
e la sua copertura; sono definiti negativi quando il contenuto
è in netta opposizione con i contenuti repressi.
Il saggio termina affermando che le analisi e le esperienze fatte mostrano come le ‘falsificazioni mnemoniche’
siano funzionali agli scopi della rimozione di
impressioni sconvenienti e sgradevoli, o in casi traumatici.
Infine: ”Forse possiamo persino dubitare di aver ricordi
coscienti risalenti all’infanzia. I nostri ricordi infantili ci
mostrano i primi anni di vita non come essi sono stati,
ma come ci sono apparsi più tardi.”
Il punto di vista delle Neuroscienze
Le osservazioni di S. Freud hanno trovato conferme da
parte di recenti studi di neuro scienziati. Un articolo
apparso sulla rivista Science, a firma di Katherine Akers
dell'Hospital for Sick Children, di Toronto, in Canada, e
di colleghi di una collaborazione tra istituti di ricerca
giapponesi e canadesi, afferma che è la neurogenesi
a cancellare i ricordi dell'infanzia. È la nascita di nuovi
neuroni tipica dell'età dello sviluppo di molte specie di
mammiferi, compreso l'essere umano, a destabilizzare
le connessioni cerebrali e a determinare la scomparsa
dei ricordi d'infanzia. Si determina così il fenomeno denominato
‘amnesia infantile’.
Lo ha stabilito un nuovo studio sperimentale su diversi
tipi di roditori. L'amnesia infantile, il fenomeno per cui
vengono cancellati quasi tutti i ricordi del primo periodo
di vita, nell'essere umano così come negli altri mammiferi,
è il prezzo che bisogna pagare perché nascano
nuovi neuroni. Si tratta di un processo fondamentale
per lo sviluppo neurobiologico. Le ricerche di neurobiologia
hanno dimostrato che i neuroni vengono generati
costantemente nella regione cerebrale dell'ippocampo,
favorendo la formazione di nuove memorie. Questo
dato ha suggerito l'ipotesi che la continua integrazione
di nuovi neuroni possa cambiare le connessioni cerebrali,
destabilizzando le memorie più vecchie. La conclusione
è dunque che nei roditori, e verosimilmente
in tutti i mammiferi, l'amnesia infantile è il prezzo che
bisogna pagare per la formazione di nuovi neuroni.
“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.”
Gabriel Garcia Marquez
Che dire?
La memoria del passato di ognuno di noi è personale.
Così come i ricordi d'infanzia che serbiamo nel cuore,
nella mente, in qualche oggetto che ci portiamo dietro
da sempre. I ricordi si manifestano vividi e reali
quando, ad esempio, sentiamo per caso un odore quasi
dimenticato e improvvisamente, anche solo per pochi
attimi, siamo catapultati in una realtà che non c’è più.
Ma noi riviviamo veramente le sensazioni assieme ad
un certo calore emotivo, se si tratta di un ricordo piacevole.
Oppure proviamo veramente disagio, dolore,
terrore, se si ripresenta un ricordo spiacevole.
Nella vita quotidiana ciascuno di noi dà per scontata un’idea unitaria della ‘memoria’. Però dall'osservazione
clinica e dalla ricerca, abbiamo imparato che i nostri
ricordi non sono statici e le esperienze sia più recenti
che del passato sono costantemente elaborate. Vengono
destrutturate e ristrutturate in accordo con le
nuove esperienze. Sono influenzate dalle situazioni e
dal contesto di cui sono parte, nello stesso momento in
cui stiamo richiamando alla memoria e raccontando un
evento ricordato. Siamo arrivati più o meno fino a qui...
la ricerca continua!
Sempre a proposito dei ricordi d'infanzia, una suggestione
letteraria...
Proust e La ricerca del tempo perduto
Marcel Proust (1871-1922), À la recherche du temps perdu,
opera che rappresenta il pensiero dell'autore sul tempo. Tra i
moltissimi temi trattati spicca il ritrovamento del tempo perduto, del
ricordo, della rievocazione malinconica del passato perduto.
“Un ricordo, un dolore, sono mobili. Ci sono giorni in cui fuggono
così lontano che a stento li scorgiamo, e li crediamo andati via per
sempre.”
Per tremila pagine Marcel, io narrante, combatte contro la sua mancanza
di volontà, la sua bassa autostima, la sua fragilità fisica e psichica,
il tempo che scorre troppo veloce, per arrivare finalmente a prendere
la grande decisione: scriverà un romanzo sugli uomini e sul tempo. Ma
il romanzo che scriverà non è un'altra Alla ricerca del tempo perduto, bensì proprio quelle tremila pagine di cui si è arrivati alla fine.
La Recherche si trova ad essere sia il libro che si è appena letto, sia
il romanzo che Marcel ha trovato finalmente la forza di scrivere. A
simbolo di questa circolarità, Proust comincia il suo romanzo con le
parole: «Longtemps, je me suis couché», e lo termina con le parole «dans le Temps».
Proust ha sempre affermato che l'inizio e la fine dell'opera erano
stati scritti simultaneamente. Essi infatti risultano legati proprio
come in un percorso che torna su sé stesso. Il nucleo dell'opera è la
ricerca di un tempo perduto. Che sia un tempo interiore o un tempo
esteriore, è un tempo che si è perduto. È, quindi, legato al passato,
ma al contempo è un tempo verso il quale tende il presente. Nelle prime
pagine Marcel riferisce l'episodio in cui fece in modo di avere dalla
madre il bacio della buona notte e ottenne che ella rimanesse tutta la
notte. Quella notte capisce che la sua solitudine e sofferenza recenti
erano parte della vita: era l'inizio dell'erosione della felicità
infantile, che è il contenuto del tempo perduto.
Questo ritrovamento necessario passa attraverso due elementi entrambi
necessari: la memoria e l'arte. La memoria ci dà la possibilità di
rivivere momenti passati che associamo a determinate sensazioni: il
sapore della madeleine, riassaporato dopo anni, ricorda al protagonista le giornate d'infanzia passate a casa della zia malata a Combray.
”Sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe
salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa
sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli
spazi percorsi… All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era
quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina,
quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi
offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio…”
Per Proust, però, il recupero del passato non è sempre possibile.
“Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente.”
La memoria può evocare i ricordi con meccanismi diversi, sollecitata da stimoli diversi. La memoria volontaria
richiama alla nostra intelligenza i dati del passato in modo razionale,
senza restituirci l'insieme di sensazioni e sentimenti che
contrassegnano quel momento come irripetibile. La memoria spontanea o involontaria (epifania)
è quella sollecitata da una sensazione e che ci rituffa nel passato con
un procedimento di tipo più emotivo che logico. Questo permette di
‘sentire’ con contemporaneità quel passato, di riviverlo nel suo clima
affettivo. La memoria involontaria cattura con un'impressione o
una sensazione l'essenza preziosa della vita. Diventa un valore
assoluto il ricordo svanito nell'infanzia, e poi risvegliato attraverso
il sapore di un dolce o un sorso di tè.
Ricordare è creare. Ri-cordare è ri-creare:
L'arte
consente di fissare in eterno quel risveglio di sensazioni che permette
alla nostra memoria di riandare al passato. Il tempo che viene così
ritrovato dalla memoria e fissato dall'arte è dunque un tempo
interiore, e non esteriore, un tempo assolutamente soggettivo. Per
questa ragione Proust dà importanza al rinchiudersi in se stessi per
poter ‘ascoltare’ meglio le voci interne del nostro io. La grandezza
dell'arte vera, consiste nel farci conoscere quella realtà da cui
viviamo lontani, da cui ci scostiamo sempre più, via via che acquista
maggior spessore la conoscenza convenzionale. Nella rappresentazione
letteraria la vita vera dimora in ogni momento in tutti gli uomini
altrettanto che nell'artista. E proprio grazie all'arte, anziché vedere
un solo mondo, il nostro, noi lo vediamo moltiplicarsi. L'Artista
meditando da giovane aveva scoperto occasionalmente che il tempo
passato non era per lui perduto. Si tratta della storia di una
coscienza in cerca della sua identità. Per Proust la vita scopre il suo
significato grazie all'Arte. E la rappresentazione artistica fissa il
passato che altrimenti sarebbe condannato alla distruzione. La
resurrezione del passato si compie attraverso la letteratura che fissa
la realtà, quando quello che c'era non c'è più.
“La
rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per
altro se non perché il presente, qual ch’egli sia, non può esser
poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre
consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago”.
Giacomo Leopardi
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UNA STRADA E TRE BIMBI
Flavio
Da Il Cinno Selvaggio - Take a picture, rivista realizzata dal Centro Diurno Rondine (Bologna) sotto la direzione di Andrea Bruno.
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LO SFOGATOIO
Giovanni Romagnani
T.S.O.
E così, il 10/01/1998 entrò, verso la mezzanotte del giorno seguente,
il mio primo T.S.O. in catena associativa. Non lo descriverò, non è
ancora il momento. Ma verrà. Per quello che mi riguarda.
Ritengo il Trattamento Sanitario Obbligatorio un insuccesso
scientifico. Lì la psichiatria si arrende. Semplicemente non capisce.
O forse non vuol capire o far capire! Si mette un bel monolite su una situazione e si rimanda.
Entri in un ospedale psichiatrico, in genere l'Ottonello, prima vecchio
e poi nuovo, perlomeno per quello che riguarda Bologna, e passi da uno
specialista all'altro.
Sì, perché il bello viene qui. La coppia di psichiatri/psichiatre che
lo ha attivato, vedi M. e B. 2000… in genere si scambiano uno sguardo
d'intesa, ti passano allo specialista del reparto. Probabilmente per
differenziazione funzionale, anche se personalmente intravedo vocazione
“pilatiana”.
Vorrei trovare psichiatri che ammettessero la loro propria sconfitta.
Invece ci fanno il callo. Li incroci al CSM Scalo e ti dicono laconici:
"Ne ho appena attivato uno", tornando dal bar. Quando sento commenti
del genere, al bar ci vado io e bevo robusto. Tanto mi fanno le analisi
del sangue!
Lupi bruni e neri
Ho
frequentato i Lupetti con Enrico Brizzi, lo scrittore. Sono stato nelle
sestiglie dei lupi bruni e neri. Due anni nei bruni, uno nei neri. Ho
conseguito due specialità: maestro dei giochi, attore. Di queste
parlerò nella prossima e-mail.
Veniamo ai colori delle sestiglie, che corrisponde al colore delle tribù del branco.
Profetici. Le Dottoresse B. e M. mi appiopparono il mio terzo T.S.O.
nel gennaio del 2000. Terzo in due anni solari, gennaio '98- gennaio
'00.
Grazie! Poi dicono che uno non si deve incazzare. Quando tornai al CSM
Scalo, la Dottoressa M. cercò di stringermi la mano: non accettai.
Ma torniamo ai colori. Grazie al Bruno il Nero dell'Ottonello Vecchio.
Vero Buco del Culo del Mondo. Al Malpighi, dove andai nel novembre del
'99 sotto le sapienti mani del Dottor B., detto Gianni, che per dirla
tutta non mi trattò come Ambra Angiolini, scoprii che Il Buco del Culo
aveva anche le emorroidi. Probabilmente esistono psicofarmaci anche per
quelle: "Basta Chiedere!"
Quando la Dottoressa B. e la Sfuggente Dottoressa M. mi assegnarono il
mio terzo T.S.O. stavo frequentando un corso per bigliettai a terra per
l'allora A.T.C. Viene prima la salute, mi dissero. Mi limito a dire che
quando prendono l'autobus spero si dimentichino di timbrare il
biglietto. Io evidentemente non posso farglielo.
Un caffè?
Quando
invecchi affiorano ricordi lontanissimi. Ma l'animale? Si prende tutto,
anche il caffè. Bevo molti caffè, da quando sono in Psichiatria di più.
Quando ero seguito dal Dottor R. erano caffè disperati. Da Ex-Ipnotista
semplicemente non ti lasciava passare. Mi proponeva compromessi che non
accettavo, da spingere giù, in fondo.
Per non parlare del periodo con il Dottor C. Voleva scavare, Io no, e
tanti rischiati collassi. Molti psicologi si credono medici ma non
conoscono la fisiologia. Dieci Stratagemmi, ma la Porta dello Spavento
Supremo bisogna oltrepassarla in due, mentre in genere gli specialisti
si rifugiano nel ruolo. Partita a scacchi con la morte? Speriamo di no.
Io personalmente al Settimo Sigillo preferisco Il Sigillo di Franco Battiato, contenuto nell'album Fleurs 3.
Proiezioni personali
Parlavo ieri con Mario delle proiezioni personali… Se soggettive vanno ammesse.
Il malato deve stare al centro del proprio processo di guarigione. Sono
più legittime le sue, in quanto proprie, di quelle di terzi. Riteniamo,
io e Mario, che troppo spesso esterni, vuoi che siano operatori dei
servizi, vuoi che siano famigliari, proiettino le loro aspettative di
guarigione sull'utente. In questo caso la guarigione NON SARÀ SUA, ma
di altri. È quello che sostiene Carl Gustav Jung, quando parla di
volontà di individuazione personale.
Un po’ di neve si sciolse
Quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore. Questo
nodo lo sciolga il sole, come sa fare con la neve. Accosto due autori
appartenenti a periodi diversi, ma simili nel rapportare lo psicologico
al mondo naturale, Lucio Battisti - Elisa Toffoli.
Credo che come sostiene Vasco Rossi nella raccolta video Tracks, per
quanto il mondo contemporaneo ci spinga all'isolamento soggettivo nella
soddisfazione dei nostri piaceri egoistici, sperare che la natura ci
raffiguri e ci sostenga sia utile. Quando fui ricoverato in T.S.O. nel
1999 nel reparto psichiatrico del Sant'Orsola (Malpighi), la tristezza
si posò nuda nel mio cuore. La vidi e mi dissi: "E adesso?". Non sapevo
che le visite erano a giorni alterni. Non mi venne detto. Penso che non
ci voglia molto. Così, ero nell'ultima camera a sei letti, di fianco
alla vetrata, vedevo scendere la neve, era Novembre, che scandiva il
silenzio del mio cuore. Silenziosa. Però c'era! Ed allora le parole di
Lucio Battisti le ricordai. Mi dissi: "Se fosse un punto di partenza?"…
Per un attimo ci credetti e, piangendo, un po’ di neve si sciolse. Il
Dottor B., ferreo gerarca all'inizio, si scusò e mi augurò buona
fortuna. Forse un po’ di neve si sciolse anche in Lui. Poi anni dopo
ascoltai la canzone di Elisa. Mi dissi: "Forse è proprio così!"… Certo,
lo ammetto, il nodo del Malpighi non si è ancora sciolto del tutto,
però oggi, 13 Aprile 2015, a Bologna c'è il sole, ed alla peggio,
mancano quasi sei mesi al prossimo inverno.
***
I linguaggi dell'anima hanno bisogno di parole vere, estratte dal sé.
Solo in quel caso il progetto di individuazione è possibile.
|
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IO E TE
Paola Scatola
Mi parli, quando non ti ascolto
tu poi mi dici: "ma, lo fai, perché mai lo sai!"
E quando godo
d'ardore insapore ed insaputo
tra le tue braccia
penso d'esser una donna, effimera:
mi piace più volerti bene.
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OGNI TUO CANTICO SU DI ME
Paola Scatola
La tua bellezza
sta alle farfalle
come Dio a chi pecca
Sei l'unica
che possa sciogliere
questo groviglio di pensieri
e di tenebrosa tristezza
Accoglimi
col velluto delle tue labbra
(amami appassionatamente!)
E come in un passaggio onirico:
dopo di te
cielo splendente.
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15 FEBBRAIO 2015
Daniela Mariotti
Aspettando giorni migliori.
Eccomi qui
in un giorno
piovigginoso, come
tanti altri.
Un giorno in cui
le parole si fermano in gola.
E sono tanti i giorni così.
Come in una lunga catena.
Ma tu batti, cuore mio,
e a volte ed anche oggi
questo può bastare
a sentirmi viva.
Grazie, cielo nuvoloso,
per la vita, per il battito del mio cuore!
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I RICORDI D’INFANZIA
Loopa Sonivree
Il passato è passato...
Un dì ero piccolo,
un bambino come tanti,
mi sono rimaste impresse
molte cose!
Da piccolo principalmente
vedevo i grandi
e desideravo
di crescere
per poter raggiungere
la libertà
e non dover sottostare
al volere degli adulti!
Con gli altri piccoli
però allo stesso tempo
non capivo il perché
di certi comportamenti dei grandi,
di certe regole,
non capivo,
ma allo stesso tempo li invidiavo.
I ricordi di bambino
sono di giochi, di amici,
di cartoni, di compagni di scuola.
Ora il tempo
è passato
e guardo all'età
in cui ero bambino
con tenerezza.
Poi penso: adesso che ho la libertà,
sono capace di gestirla al meglio?
Ci provo...
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POEMETTO: INFANZIA FELICE / INFELICE
Daniela Mariotti
Non ricordo l'autore,
ma mi pare sia Goethe,
dice che tutto quello che
i genitori possono fare
per i loro figli è difenderli
dagli anni terribili dell'infanzia,
il mito dell'infanzia felice
resta un mito. Il ricordo
addolcisce i primi anni
della nostra vita
e ci nasconde i pianti
disperati dei familiari
dietro un filtro di felicità
inverosimili.
Uno dei miei momenti
di più grande solitudine
lo ricordo bene anche
se non appare al ricordo
così grave. Ero piccolissima
era la prima volta
che giocai a "mosca cieca".
Mi divertivo, correndo
per non farmi prendere.
Poi, toccò a me di stare in mezzo,
bendata, a cercare di toccare almeno
qualche bambino…
Sentivo le loro risa, ma non riuscivo
neanche a sfiorare qualcuno,
mi sentii perduta
e cieca per sempre,
povera mosca cieca.
Gli altri, come già avevo
fatto io si divertivano
a toccarmi e poi a scappare
ridendo nella cerchia,
io cercavo di resistere
ma non riuscivo nemmeno a muovermi.
D'un tratto le lacrime
cominciarono a scendere
da sole inondando il
mio viso bendato.
I bambini cominciarono
a ridere sotto voce, dicendo
Uh, la violetta di Parma!
E questa presa in giro
(io sono nata a Parma,
il cui simbolo era la violetta selvatica
che si trova in Primavera
lungo gli argini e i fossi)…
Mi sembra di odiare
la mia città, la mia infanzia e la capacità
di stare allo scherzo...
Ho un fratello di otto anni
più grande di me,
che fu il mio liberatore.
Senza sentire gli altri,
mi si avvicinò e mi tolse la benda,
sussurrandomi: te lo avevo detto
che bisogna che tu
sia un po’ più grande
per partecipare a questo
gioco, non piangere più,
non si può vincere sempre...
La dolcezza con cui
mi aveva sussurrato
queste parole mi consolò,
ma la vista degli altri così divertiti
mi impedì di trattenere
quelle lacrime irrefrenabili,
sentii per la prima volta
una così sconcertante delusione,
non ero più cieca,
ma così piccola
da sentirmi davvero una nullità,
una povera orribile mosca, e insieme
l'amore immenso per mio fratello Vanni,
che non si spenga mai!
E così l'infanzia va
avanti allo stesso modo, fra gioia
lacrime e risate, piccole vittorie e sconfitte...
Oh, vita mia, oh vita
così bella e così complicata, fin dall'infanzia,
l'infanzia in teoria così
felice che non si vorrebbe
che finisse mai!
Quel giorno sentii
sulle mie fragili spalle
il dolore e la desolazione
non solo mia, ma anche di tante infanzie
non mie....
E così nacque la voglia,
il bisogno di crescere
in fretta, di essere grande
e di correre sempre per non farmi acchiappare,
di correre a più non posso.
Per non farmi acchiappare,
da che? Dalla altrui
derisione.... dal buio...
Vita mia, vita!
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GALATINA
Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)
Mi appoggio ai muri
colorati, disgiunti
e percepisco
la palla, il nascondino,
le pietre fra le mani,
il sole dietro l’angolo
basso, del terrazo.
Incantevoli bimbi
da scuola, correndo,
lasciano grembiuli
alla mano calda di mamma.
Il ciliegio e il mandorlo
lungo il percorso
fanno ombra e profumano
il passo saltellante e giulivo.
Solo passerotti di contorno,
poche le macchine in strada,
l’attesa del mezzodì
accompagna gli appetiti
di pesce fresco, cicorie e olive,
di panetti profumati, di rosette.
Galatina porta fortuna,
datele un sorriso
e regalerà dolcezza
come la ‘Pupa’
al centro della piazza,
distesa di rotondità femminile,
accompagnata da luci la sera.
La Villa è un passeggio
d’innamorati
nella penombra dalla luna
e la mano nella mano
promette matrimoni a vita
con confetti rosa.
Qualcuna è scappata,
come me, ma un giorno ritornerà.
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NON POTEVI
Ermanno Bitelli
Che non potevi essere gentile
la pena.
Armata di staffili e artigli
per difendere l’ingresso della benevolenza
inseguita da un letargo di spossatezza perenne
e la disarmonia dei pensieri.
Perché a produrre reddito e sopravvivenza
a lavorare nei fumi delle tele
fino alle giunture
e a dire sì.
L’allegria di voci piccole bastava:
unico dato
in solitario e saltuario
abbandono di gioia.
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GIGLIO 3
Ermanno Bitelli
Diritto all’indifferenza
segno di rispetto
degli altri i traumi
l’educazione infelice
e un Dio celato e corrotto.
Porgo il fiore, candido
combatto l’odio
scava nel profondo
storce la faccia
e gli angoli della bocca.
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DORMI MARCELLINA, DORMI
Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)
Amarsi,
come l’acqua
che gentile aderisce alla brocca
su sponde sinuose.
Lasciare che sia
la farina impastata
di remoto
a tramutarsi in pane,
per accoglierla
nelle sue forme.
Gentile la voce di mia madre
sussurrava:
Dormi Marcellina, dormi…
E la mano sul capo
diveniva brezza,
energia primordiale,
per lasciarsi andare.
Imparare ad amarsi.
Essere bambina
a scoprire ieri, più oggi,
forse domani…
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8 MARZO
Daniela Mariotti
Mimosa, tu senti il tuo profumo come me?
Dove ti ha portato
la tua solitudine
esibita?... Eppure,
ci sono tante cose
che non sai di me...
E le viole del pensiero
adesso chi le curerà?
Sul grande terrazzo della tua casa.
Tu non avevi paura
di sporcarti le mani con la terra,
di cambiare i vasi delle piante.
Certo sul tetto di via
Foglietta continuarono
a seguire da soli
quei fili d'erbe spontanee, con i loro
fiorellini quasi
invisibili...
Stazione V della
Via Crucis.... i fiori
di mimosa sono
qui vicino a me
in un vasetto di vetro.
Ma io per interrare
i fiori avevo paura
di sporcarmi le mani.
E l'edera di Walter
sarà ancora là,
nel suo piccolo vaso,
piccolo anche se
per tre volte la trapiantasti...
Ciao buonanotte.
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SE PASSERÀ DI QUI
Daniela Mariotti
Se passerà di qui
qualcuno che mi ha voluto
un po’ di bene, mi lasci un pensiero
per un mondo migliore e più giusto,
e la speranza di vederci ancora.
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QUANDO
Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)
Quando bambina
sfioravo margherite,
riconoscevo l’essenza della terra.
Appartata sorvegliavo l’ulivo
serrando la paura.
Sapevo della sua presenza
e mi lasciavo andare
al gioco soffice della scoperta
di formiche sue amiche,
di fili d’erba,
di papaveri rossi ballerini.
L’olivo, paterno,
offriva la sua ombra
in un’estate torrida.
Il vento fra le fronde
scalfiva il silenzio,
e ondeggiava maestoso.
Sparsi sulla terra i frutti,
caduti uno ad uno,
un’intermittenza leggera,
a testimoniarne presenza,
a presenziare il tempo.
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LA CASA DEI VICINI
Lucia Luminasi
Petunie rosa lilla bianche blu
occhieggiano qua e là, tra le macerie:
nel quadro degli affacci mattutini
la casa dei vicini non c’è più.
Il tetto irrazionale, la facciata
sfacciatamente viola, una baldanza
anni cinquanta, frusta, dilavata…
Non la trovavo bella, ma l’amavo,
come una vecchia tata.
Aveva già tremato molte volte
sotto il maglio crudele del destino,
ma resisteva, stretta ad un suo nume,
un ippogrifo che, benché sbrecciato,
i sogni di bambini sempre nuovi
indirizzava in su…
L’avrà seguito in volo?
E quel tesoro
tanto cercato tra i suoi vecchi muri?
Setaccio con lo sguardo i calcinacci,
rintraccio gli angolini
ove ci acquattavamo senza fiato…
-Tana, liberi tutti! -
È solo un’eco,
ma ride in cuore e frulla nella brezza,
tra le petunie lilla, rosa, blu.
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PALLA
Marcella Colaci (da “Poetica vitale a colori”)
Forma
che giochi
e rimbalzi,
palla variopinta
rotonda e soda
a volte imbiancata
come luna.
Palla,
assioma,
ti vorrei di marmo
ferma
intoccabile
e sana,
purpurea,
o come una bolla
di sapone,
tonda,
trasparente,
e soffiarti via
a scomparire
in alto o in basso.
Palla genovese
o napoletana
o di calcio
di mondo
di atomo
o microbo
o cellula.
Palla
mi hai fatto
vedere
il gioco
ed ho giocato
credendo
di non cadere.
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TRA SOGNO E REALTÀ
RTP Casa Mantovani - LABORATORIO DI NARRATIVA
…Don…Don…E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.
Giovanni Pascoli
Le campane sono le voci del buio della
notte, Pascoli le definisce 'azzurre' perché il loro suono si diffonde
nel cielo e ne richiama il colore. Riemergono nella memoria del poeta
ricordi e impressioni dell'infanzia lontana che lo portano alla
serenità di quel periodo. I ricordi riaffiorano alla sera, in gruppo
abbiamo ragionato che anche a noi capita la sera di soffermarsi a
pensare a ciò che ci è accaduto durante il giorno e da lì connettersi
con il nostro passato e talvolta, come un Giano bifronte, guardando al
futuro … Abbiamo scelto di riportare solo i ricordi belli… quelli che
dovrebbero contraddistinguere l’infanzia. La consegna che ci siamo dati
per riflettere su questo tema è la seguente: i
ricordi dell'infanzia stanno tra sogno e realtà: quali immagini,
personaggi, luoghi, voci ti vengono in mente se ripensi alla tua
infanzia? Racconta.
Lo sport mi aiutava ad essere felice! I miei luoghi preferiti erano quelli in cui ascoltavo musica con gli amici.
Alessandro Fiorini
Se penso alla mia infanzia mi vengono in mente le scuole elementari e
la casa vecchia in cui abitavo. Non c’era nulla di violento, solo pace
e benessere, stavo proprio bene. Ho sempre avuto molti amici e con loro
giocavamo con i miei motorini. Nonostante il disaccordo dei miei nonni
che ogni giorno dopo scuola mi ospitavano a casa loro per pranzare
assieme.
Era sempre tutto buonissimo, non pensavo mai alla linea ma nonostante
ciò non ingrassavo, ero così pieno di energie da giocare tutto il
giorno e, forse, la sera quando rientravo a casa da mia madre, mi
mettevo a studiare. Era bellissimo, soprattutto la primavera e
l’estate.
Era bello festeggiare i compleanni infatti non veniva mai buttato un
minuto. L’unica cosa è che mi sentivo diventare grande troppo in fretta
ma, allo stesso tempo, mi sentivo bene. Volevo bene a papà e mamma e
loro si amavano tanto.
Ho fatto anche il chierichetto e sentivo che la mia fede era molto
forte. Stavo bene e mi sentivo forte e soddisfatto. Nell’infanzia
iniziavo ad avere anche le prime ragazzine e si sognava un giorno di
sposarsi.
Davide Z.
È pronto!”, mia madre alla finestra, “Un attimo!”, un attimo lungo una
vita. “Metto l’acqua, te prendi i pesci?” avevo un acquario in
giardino. “Venite a tavola!” “Arriviamo!”. Nel frattempo io e mio
cugino mentre scappavamo nel bosco “Vieni a prenderci tra i rovi” e giù
per il dirupo a rotta di collo verso il campo evitando i rovi, cespugli
ed alberi. Ci mettevamo poi sdraiati all’ombra di una quercia,
guardavamo il cielo fantasticando sulle nuvole. Mio padre:“Allora cosa
guardate?”, noi:“Guardiamo la vita”.
Giovanni
Quando avevo tre anni, la mia zia Lucetta mi ha regalato due mici che
mio cugino ha chiamato Eustorgio e Micio miao. Per l’asilo e le scuole
elementari mi hanno regalo degli occhiali rossi. Il giorno più bello è
stato quello della prima comunione, la nonna per l’occasione mi ha
regalato un velo vintage un po’ antico che mi è venuta a mettere in
testa durante la cerimonia, infatti per questo motivo mia madre si è
arrabbiata tanto e ha ripreso mia zia. In tutto ho avuto cinque
gattini, l’ultimo me l’ha regalato un’amica di mia mamma esperta di
gatti, ne ha venti, e lo abbiamo chiamato Birder.
Mariangela
Un hula hop, la torta alla vaniglia, la focaccia della nonna. Giocavo a
campana, correvo sui pattini. Una bicicletta, una discesa… le
margherite e il loro profumo. Era nuovamente primavera. Regina, un cane
buono che abbaiava solo perché voleva giocare a pallavolo. Che
spensieratezza, tutto era così grande, tutto era così semplice.
Nostalgia di tempi che furono.
Anonima
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LE MEMORIE DEL BAMBINO
Gruppo Rassegna Stampa del Centro Diurno di Casalecchio di Reno
I
ricordi d’infanzia, prima di sostare nella mente, attraversano il cuore.
Ogni ricordo che ci viene in mente, ci riporta ad un’emozione che,
nonostante la lontananza nel tempo (si torna indietro nel tempo di
almeno quarant'anni), sentiamo molto viva ed intensa come se lo
stessimo rivivendo.
Le esperienze ricordate variano, dai momenti trascorsi all’asilo e in
chiesa per la comunione e la cresima, ai tempi passati a vedere i treni
in transito, alle immagini dei giochi in casa con le macchinine, le
figurine dei calciatori e i soldatini. I cartoni animati come Heidi,
Candy Candy, Holly e Benji, Lady Oscar hanno accompagnato la nostra
infanzia. Anche un bel vestito grigio, completo di giacca e pantalone,
ci porta ad un ricordo molto piacevole, perché vestito così si era
considerati favolosi da familiari e parenti, ma soprattutto da se
stessi.
Le emozioni che ci trasportano e ci fanno compiere questo salto nel
tempo, sono a volte negative e a volte positive. Ci piace ricordare
quelle positive. Il senso di libertà, la spensieratezza, la contentezza
di vedersi bene.
Anche il ricordo della nascita di una sorella conduce all’incredulità
genuina di un bambino che crede sia stata portata da qualcuno e
seriamente diceva “Ma riportagliela ben indietro!”
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I RICORDI DI INFANZIA
Associazione UmanaMente
Brainstorming
IIl tema ricordi d’infanzia ha posto
nel gruppo di scrittura un iniziale ed immediato bisogno di
scomposizione dell’argomento, di definizione del periodo chiamato
'infanzia' e di approfondimento del concetto di 'memoria', di capire in
particolare come mai dell’infanzia si abbiano ricordi a volte confusi e
sfumati, a volte nitidi, altre ancora, in riferimento a quando si era
bambini piccolissimi, non sia possibile avere alcun ricordo. Rispetto a
questi punti di partenza si è stabilito allora di assegnare
l’approfondimento del tema : “Infanzia” ad Antonio e alla tirocinante in psicologia Alessandra e il tema del “Ricordo nei primi anni di vita” alla tirocinante Ileana.
La memoria come argomento ha poi suscitato l’interesse sugli studi del filosofo Giordano Bruno nei confronti delle mnemotecniche,
e Oriano ha preparato un approfondimento. Vengono di seguito riportati
alcuni materiali (liberamente tratti da siti internet) utilizzati dai
relatori, utili per la successiva lettura dei testi personali sui
ricordi d’infanzia.
INFANZIA
A cura di Antonio Metta, socio dell’Associazione UmanaMente e di
Alessandra Solmi, tirocinante in psicologia presso l’Associazione
UmanaMente.
L'infanzia (dal latino infantia, da infans, composto di in-, negativo, e participio presente del verbo fari, "parlare", letteralmente "che
non parla") viene generalmente divisa in: periodo neonatale, comprendente uno stadio precoce (la prima settimana di vita) e uno tardivo (fino a 28 giorni); prima infanzia (primi 2 anni); seconda infanzia (dai 2 ai 6 anni); terza infanzia (dai 6 anni all'inizio dello sviluppo puberale).
La pubertà è caratterizzata dalla comparsa di caratteri sessuali (tra
gli 8,5 e i 13 anni nella femmina; tra i 10 e i 15 anni nel maschio);
l’adolescenza va dalla fine della pubertà sino al termine
dell'accrescimento della statura, tra i 20 e i 24 anni a seconda del
sesso; l'età adulta si definisce come maturità fisica, psichica e
sessuale.
L'infanzia corrisponde a un lungo processo maturativo sia a livello fisico sia a livello psicologico.
Suddividiamo ora l'infanzia in 3 periodi:
Prima Infanzia
(dalla nascita ai due anni)
Alla nascita, il sistema visivo del bambino è ancora fortemente
immaturo: la sua visione è sfocata ed è in grado di percepire solo gli
stimoli posti a una breve distanza (25 cm circa). Entro i quattro mesi
di vita si verificano i più importanti cambiamenti delle funzioni
visive, come il raggiungimento della messa a fuoco binoculare,
l'aumento dell'acuità visiva, la visione tricromatica, ecc... (Teller e
Bornstein, 1987).
Il neonato dimostra di prediligere alcuni stimoli, in particolare
sembra essere attratto da stimoli in movimento e dal volto umano, per
le sue caratteristiche di simmetria e regolarità; a 3 mesi egli è in
grado di distinguere le espressioni facciali (Barrera e Maurer 1981;
Field, 1985).
Seconda Infanzia
(dai due ai sei anni)
Nella seconda infanzia , il bambino acquisisce nuove capacità
percettive favorite dalla maturazione del sistema nervoso e dallo
sviluppo delle abilità motorie.
L'abilità di sganciarsi dal contesto percettivo e di cogliere i
particolari si sviluppa gradualmente: nello sviluppo della percezione
si deve imparare cosa guardare e a distinguere ciò che è rilevante da
ciò che non lo è. È in questo periodo che si manifesta il fenomeno del
‘sincretismo infantile’, per cui la percezione della struttura
d'insieme ostacola l'individuazione delle singole parti; in altri casi,
si percepisce in modo isolato un dettaglio saliente, ‘vistoso’ o
familiare, anziché considerarlo come parte di un tutto. Per quanto
riguarda la percezione dello spazio e dell'orientamento durante la
seconda infanzia, il bambino passa da un sistema di riferimento
‘egocentrico’ a un sistema ‘allocentrico’, ovvero una rappresentazione
spaziale basata su punti di riferimento esterni.
Terza Infanzia
(dai sei ai dieci/undici anni)
In questo periodo, migliorano le strategie di analisi percettiva, in
particolare nel confrontare gli stimoli e nel compiere un'esplorazione
esaustiva.
La percezione dello spazio è di
tipo euclideo, basata cioè sul numero
e sulla lunghezza dei lati,
sull'ampiezza degli angoli e sulle
relazioni metriche.
Dai 10 anni in poi, gradualmente, arriviamo a possedere tutte le
caratteristiche di flessibilità, reversibilità e sistematicità proprie
di quelle dell'adulto; inoltre si perfezionano le abilità
rappresentative che ci permettono le più evolute operazioni
visuo-percettive e visuo-spaziali (rotazioni mentali e programmazione
dell'immagine mentale).
Per quanto riguarda lo sviluppo mentale del bambino dal punto di vista
più psicologico, Jean Piaget, nell'Introduzione all'epistemologia
genetica del 1951, analizzava l'evoluzione del bambino in stretto
rapporto con l'ambiente che lo circonda. Per analizzare le varie tappe
evolutive, Piaget utilizzava il metodo clinico che consisteva
nell'osservazione sistematica del comportamento del bambino in una
determinata situazione sperimentale. Il suo obiettivo, come affermò
nell'Autobiografia del 1950, era quello di comprendere l'origine e lo
sviluppo dell'intelligenza, dimostrando che questa non era innata ma
che si strutturava in relazione al mondo esterno. Quindi le strutture
mentali del bambino, inizialmente semplici e legate all'azione, pian
piano diventano più complesse. Questo processo si realizza grazie a due
fondamentali meccanismi: l'assimilazione, quando il bambino incorpora
nelle sue strutture mentali le informazioni del mondo esterno;
l'accomodamento, quando il bambino rinnova gli schemi conoscitivi
preesistenti attraverso la rielaborazione del materiale acquisito.
Piaget ha suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in cinque livelli
(periodi o fasi), caratterizzando ogni periodo sulla base
dell'apprendimento di modalità specifiche, ben definite. Ovviamente
mente tali modalità, riferendosi a una ‘età evolutiva’, non sempre sono
esclusive di una determinata fase.
Le tappe evolutive da lui proposte sono le seguenti: la Fase
senso-motoria (dalla nascita a 2 anni circa); la Fase pre-concettuale
(da 2 a 4 anni); la Fase del pensiero intuitivo (da 4 a 7 anni); la
Fase delle operazioni concrete (da 7 a 11 anni); la Fase delle
operazioni formali (da 11 a 14 anni).
Ero sulle gambe della mia nonna materna che mi cantava una ninna nanna seduta su una sedia in un corridoio, avrò avuto 2 anni. Avevo
3 anni quando un giorno mi rifiutai di salire le scale che portavano su
al primo piano dell'asilo gestito da suore e nel quale non mi trovavo
male. Ero un bambino normale che giocava con altri amichetti ed ero
sereno, ma quel giorno particolare, incapace fino ad allora di prendere
iniziative, rimasi nel sottoscala piangendo forte, dicendo
ripetutamente che volevo tornare da mia madre. Lei fu subito
rintracciata dalle tate, vista la mia riluttanza assoluta, e andai via
con lei che stranamente non insistette più di tanto a farmi restare li
e mi portò con sé. Le dissi che non volevo più andare all'asilo e lei
accettò. Trascorsi lunghi mesi felice in silenzio a casa vicino a lei,
io a giocare e lei occupata nelle faccende domestiche. Forse nel mio
cuore sapevo che da lì a poco l'avrei persa per sempre.
Francesco Musco
Sono nato nel 1940, anno d'inizio della guerra ed eravamo sfollati in
Friuli dove i parenti di mia madre avevano un'osteria. Ricordo
esattamente che, in braccio a mia madre, si scendeva in uno scantinato
e vedevo 'cose' (prosciutti e salami) pendere dal soffitto, e ne
sentivo il profumo, ed inoltre si sentiva un parlottare sommesso di
donne (anziane? pregavano) e, sempre in braccio a mia madre, da un
finestrino da cui si vedeva un cielo scuro, ricordo esattamente parlare
di un "PIPPO" che bombardava (eravamo vicini al fiume Tagliamento).
Edoardo
La prima volta che sono andato a scuola, in prima elementare, mi
ricordo che eravamo anche il numero 20 di bambini e il maestro ci
faceva alzare in piedi, e mi ricordo che era anche nuvoloso...
Giovanni B.
Per quanto concerne i ricordi dell'infanzia, mio padre ha una posizione
basilare, in senso negativo. Infatti, spesso, mi picchiava utilizzando
la cinghia oppure usava il bastone. Anche mia madre mi picchiava
spesso; io avevo una paura aberrante. Mio padre è morto nel 2003. Al
funerale non ho pianto.
Roy
Mio nonno materno tutte le mattine nella città di Foggia, quando avevo 5 anni e mezzo mi portava
in braccio a scuola, partendo dalla
sua casa con molto affetto, bontà
e generosità, con un sorriso molto
bello ed accentuato, mi rendeva
davvero felice ed ero talmente affezionato
che ogni volta che lo vedevo
volevo stare solo con lui, anche
durante tutta la giornata, solo che
non potevo, proprio perché dovevo
andare a scuola. Durante il tragitto,
mi portava in un bar e mi comprava
il cornetto, ed io ero molto emozionato
e logicamente strafelice. Mio
nonno era un colonnello dell'esercito
militare italiano e lo ammiravo
e gli volevo bene tantissimo. Quando
arrivavamo a scuola, lui mi salutava
con tanto affetto e passione e
mi diceva che mi sarebbe venuto a
prendere alla fine delle lezioni, ed io
ero super felice e anche io lo salutavo
con affetto e passione. Non mi
dimenticherò mai questi momenti
insieme a lui soprattutto perché
condividevo tantissime cose.
Anto 91
In questa fase della mia infanzia ricordo
all'età di 8 anni, che durante
l’esame scolastico della scuola privata
che frequentavo, ero consapevole
di fare un fantastico esame
(esame d'ammissione per la classe
successiva). Difatti l'esito del mio
esame era talmente bello, positivo
e sorprendente, che la mia maestra
d'allora mi disse "Antonio ti faccio i
miei più vivi e sinceri complimenti,
congratulazioni per l'esame che hai
sostenuto, sei stato talmente bravo,
preparato e concentrato, che
ti dico che sei un angelo!". Queste
sue dichiarazioni nei miei confronti
furono influenzate anche dall'ottimo
rapporto che avevo con la mia
bravissima maestra. Io ero tanto
emozionato ed entusiasta di ciò che
mi disse, che non potrò mai dimenticare
questo mio evento storico
meraviglioso.
Anto 91
Un ricordo fotografico infantile e tra i più
precoci è quello di mia bisnonna Angiolina che nella piazza del paese
mi accarezza la testa e mi dice dolcemente "piccione". Poi dopo qualche
tempo muore e mia mamma, tenendomi in braccio me la fa baciare, mentre
lei è sul letto freddo con i candelabri.
Augusto
All'età di 10 anni avevo come amica una bambina che si chiamava
Maddalena e giocavamo ad andare in bicicletta. Lei abitava nello stesso
palazzo. Sua madre ci accompagnava a scuola in automobile e anche al
Villaggio del Fanciullo per imparare a nuotare. Nel parco giocavamo con
l'altalena. Giocavamo con un maestro di tennis per poi giocare con
altri bambini.
Stefano
Mio padre, quando veniva a casa ubriaco a volte mi picchiava con la
cinghia. In un episodio mi ruppe una spalla. Nonostante questo, mio
padre non l'ho mai odiato. Avevo 8 anni.
Roy
Il più bel ricordo della mia terza infanzia è sicuramente la nascita di
mio fratello Gianluca, avvenuta il 29 luglio 1988, quindi io avevo 10
anni e mezzo. È stata molto bella anche la nascita del mio secondo
fratello Enrico, ma Enrico fu messo in incubatrice, in quanto nato
prematuro, e quindi non l'ho potuto vedere subito. Gianluca invece sì.
La mattina che è nato, siamo nella nostra villa in montagna e partiamo
tutti verso il Sant'Orsola. Appena lo vedo sembra un fagotto, una
salsiccia e lo posso tenere in braccio solo che lui si ammala di ittero
e deve stare qualche giorno in più in ospedale: era più giallo di un
cinese e puzzava di brutto, ma dopo pochi giorni lo abbiamo finalmente
portato a casa.
Simone
Ricordo che la maestra in prima elementare ci commissionò di disegnare
e descrivere la nostra camera da letto. Fui colto da una forte
tristezza e angoscia, poiché la mia stanza era composta da mobili solo
bianchi e neri!! In me dicevo “perché nella mia stanza non ci sono
colori, i colori per esempio degli arcobaleni?” Piansi e la maestra
cercò di tranquillizzarmi e mi disse: “Non importa se nella tua stanza
ci sono solo i colori bianco e nero, puoi inventarli e colorare il
disegno come ti pare!”. Inventai colori forti e sgargianti, però,
finita la lezione, tornai nella mia stanza…
Lorenzo
Sono nato nel quartiere Bolognina in via Calvart. Mia nonna mi dava il
latte. Mi mandarono all’asilo… le statuine, dei pupazzetti di pongo, i
bambini me li ruppero e ridevano. Poi andai a scuola, ma ero confuso
non capivo le lezioni. La vita familiare era mia nonna, mio nonno, mia
madre, mio cugino, mia zia e mio zio. Fui bocciato tre volte. Non
capivo le lezioni. Poi le feste dell’Unità, conobbi l’amico Fabio. Poi
il Centro Comeni, l’Ippodromo, la Valle. E andavo alla chiesa dei
Salesiani dove c’era una rivendita di fumetti… E un’altra rivendita di
fumetti. Mi coprivo il corpo di tutti i fumetti che avevo acquistato.
Stefanone
Perché non possiamo ricordare ciò che ci succede prima dei due anni?
A cura della dott. Ileana Vagnozzi, laurea magistrale in Psicologia
Clinica e della Salute, tirocinante presso l’Associazione UmanaMente
N
Nessuno di noi ha ricordi della prima
infanzia. Può essere presente
qualche vago ricordo o qualche
immagine sfumata, ma anche se ci
sforziamo, comunque non riusciamo
a ricordare oltre un certo punto
temporale. Si potrebbe pensare che
non riusciamo a ricordare eventi
accaduti quando eravamo poco più
che neonati per il fatto che da bambini
il cervello non è ancora del tutto
sviluppato e quindi non si ha la piena
coscienza di se stessi. Secondo
nuove ricerche, invece, questo vuoto
non risiederebbe nel meccanismo
della coscienza, ma dipenderebbe
da un ‘malfunzionamento’ del meccanismo
della memoria.
I bambini sotto i tre anni infatti possono ricordare perfettamente ciò
che hanno fatto il giorno precedente
e anche la settimana prima o cosa
è stato regalato loro a Natale. Col
passare degli anni, però, nessuno
dei ricordi della prima infanzia rimane
impresso nella memoria, e sparisce
per sempre.
Questo strano comportamento del
cervello è da tempo argomento di
ricerca e ora, grazie ad un nuovo
studio, sembra si sia iniziato a fare
un po’ di chiarezza. Questa particolare
‘amnesia infantile’ che abbiamo
tutti, sembra essere causata dalla
rapida crescita delle cellule nervose
dell’area cerebrale dell’ippocampo,
la regione che ha il compito di immagazzinare
i ricordi nella memoria
a lungo termine. L’ippocampo, così
chiamato per la sua forma a ‘cavalluccio
marino’, è situato nel lobo
temporale del cervello e fa parte del
sistema limbico (il complesso delle
strutture encefaliche che partecipano
all’integrazione emotiva, istintiva
e comportamentale). Svolge anche
un ruolo importante nell’orientamento
spaziale.
Spiega il prof. P.W. Frankland, ricercatore
dell’Università di Toronto:
“Nei bambini la formazione dei
ricordi stabili di ciò che è accaduto
sembra essere impossibile. Ho
una bambina di 4 anni e, per portare
avanti questo studio, le faccio
spesso domande riguardanti cose
che sono accadute 2 o 3 mesi prima.
Si ricorda le cose chiaramente e
con un buon livello di dettaglio, però
tra tre o quattro anni non ricorderà
nulla”.
Gli scienziati da anni sospettano che
l’ippocampo abbia a che vedere con
questo dilemma. Secondo il dott.
Eric Kandel, neuroscienziato dell’Università
della Columbia: “L’ippocampo
matura lentamente ed è probabile
che non raggiunga un buon
livello di funzionamento fino ai 3 o 4
anni di età. Nonostante i bambini di
2 o 3 anni possano ricordare le cose
per un breve periodo, per fare sì che
i ricordi arrivino alla zona della memoria
a lungo termine è necessario
il lavoro di quest’area del cervello.
Gli scienziati non conoscono in dettaglio
ciò che succede nel cervello
dei bambini, Frankland crede che
questi ricordi vengano immagazzinati
nella memoria a lungo termine,
ma in qualche modo, durante la fase
di rapida crescita che avviene nei
primi anni di vita, l’ippocampo ‘perda’
il riferimento alla loro posizione
e non sia più in grado di recuperarli.
Con la crescita dell’ippocampo nasce
una grande quantità di neuroni
che si allineano e cercano di agganciarsi
ai circuiti neuronali esistenti
tramite le sinapsi (strutture altamente
specializzate che consentono
la comunicazione delle cellule del
tessuto nervoso tra loro (neuroni) o
con altre cellule (cellule muscolari,
sensoriali o ghiandole endocrine).
Attraverso la trasmissione sinaptica,
l'impulso nervoso può viaggiare
da un neurone all'altro o da un neurone
ad una fibra per esempio muscolare).
L’opinione di Frankland è che con
tutto questo trambusto dovuto alla
ristrutturazione dei neuroni, il cervello
possa dimenticare la posizione
in cui aveva immagazzinato i primi
ricordi. In seguito, quando la fase
di espansione neuronale rallenta, il
cervello riesce a tracciare con maggiore
accuratezza la posizione in cui
vengono immagazzinati i ricordi ed
in questo modo i bambini più grandi,
dai 4 anni in su, hanno una migliore
capacità di accedere alla loro
memoria a lungo termine.
L’ARTE DELLA MEMORIA
A cura di: Oriano Conti, socio dell’Associazione UmanaMente
N
ell'antichità il diffondersi del sapere
era affidato principalmente
alla trasmissione orale ed era molto
importante riuscire a fermare nella
mente ciò che si apprendeva. Dalla
ricerca di strumenti che favorissero
il processo di memorizzazione
nacque l'arte della memoria. Veniva
definita ‘arte’ per le sue implicite
potenzialità creative, inerenti ad
infinite possibilità combinatorie di
immagini preparate appositamente
per essere memorizzate ed era basata
sulla convinzione della maggiore
potenza della memoria visiva
rispetto a quella concettuale.
L’arte consisteva nel potenziare
la facoltà immaginativa di coloro
i quali iniziavano ad apprenderla.
Lo studente doveva cominciare ad
imprimersi nella memoria alcune
immagini familiari (ad esempio la
propria stanza da letto) per passare
poi a quelle di luoghi meno noti,
esterni, come piazze, oppure facciate
di cattedrali. Una volta fatta
propria questa facoltà, lo studente
immaginava scene non reali, ma inventate,
purché ricche di particolari
avvincenti, facilmente imprimibili.
Ad ogni immagine, perfettamente
memorizzata, veniva poi associato
un concetto (oppure anche una parola)
da ricordare. In questo modo,
allorché si doveva rammentare un
discorso, oppure un tema, od altro,
si tornava con la mente alla figura
memorizzata, riandando visivamente
ai suoi particolari. Richiamando
il ricordo del particolare, riaffiorava
anche il concetto (o la parola) che
ad esso era stato accostato. Dovendo
fissare molti concetti, si ricorreva
ad una serie ordinata di immagini,
tale da poter essere rivisitata
avanti o indietro con facilità. Si poteva,
ad esempio, scegliere l'interno
di una chiesa perfettamente nota in
ogni suo particolare e quindi, scorrendone
con la mente le pareti in
modo ordinato, associare a ciascuno
di tali particolari (una statua, un altare, un capitello) uno dei concetti
da memorizzare. È evidente che
una maggiore quantità di figure a
disposizione rendeva più dilatabile
la possibilità del retore di ricordare.
Raimondo Lullo, Scaligero, alias
Paolo Scalichius, Giovan Battista
Della Porta, e soprattutto Giordano
Bruno, avevano creato infinite possibilità
combinatorie di immagini,
rendendo parimenti vasta la potenzialità
concettuale.
QUALI SONO I SEGRETI DELLE TECNICHE DI MEMORIA?
Wilder Penfield, un neurologo canadese, ha studiato negli anni ’50 il funzionamento della memoria scoprendo i 3 principi che la governano:
1. Memoria visiva
2. Memoria associativa
3. Utilizzo della fantasia
La memoria è VISIVA all'83%,
si ricorda meglio tutto ciò che è associato ad un immagine. (Vedendo
una persona spesso si ricorda di averla già incontrata, ma non si
ricorda il nome. Questo succede perché il suo volto è un'immagine,
mentre il suo nome è un suono. La memoria UDITIVA è circa l'11% e il
restante 6% comprende odori, sapori, temperatura, pressione e tutte le
altre sensazioni.)
La memoria è ASSOCIATIVA, nel
senso che permette a diversi ricordi di legarsi tra loro come anelli di
una catena. (Attraverso un odore si può ricordare una persona o un
luogo, oppure di sentire una musica e ricordare un evento. Questo
avviene perché la memoria ha associato i due ricordi.)
La memoria è CREATIVA
e ricorda meglio tutto ciò che crea in noi una forte emozione: rabbia,
tristezza, gioia, euforia, stupore, paura, amore e tante altre.
Le tecniche di memoria insegnano a utilizzare tutti e tre i principi
contemporaneamente.
RICORDI ASSOCIATIVI
Roy Sognavo di volare nella mia camera da letto. Avevo circa
4 anni. Se penso a questo sorge in me un senso di libertà (libertà -
volo).
Anto 91 Da bambino all’età di 4 anni andavo sul cavallo a
dondolo e giocavo con i peluche. Inventavo racconti molto avventurosi e
fantasiosi: immaginavo che ero su un cavallo vero e i miei peluche
diventavano dei guerrieri per sconfiggere i nemici e proteggere il
territorio. Quando ero sul cavallo a dondolo mangiavo il gelato e
bevevo la coca cola.
Laura Il boato. Il rumore assordante della bomba scoppiata in
stazione. Bologna 2 agosto 1980. La strage. Dopo il boato un momento di
silenzio prima della frenesia dei soccorsi, delle sirene delle
ambulanze. Avevo quasi 8 anni ed ero in cucina di casa mia in via
Carracci di fronte alla stazione. Stavo giocando e mia madre stirava.
Le ho chiesto: “Mamma è un aereo che ha passato la barriera del
suono?”... La sua risposta mentre le scendevano le lacrime sul viso:
“No, deve essere successo qualcosa di grave”.
Maurizio
La canzone Maledetta Primavera di Loretta Goggi, perché la sentivo parecchio.
Simone Mi ricordo le parole delle canzoni della Mannoia, che
ascoltavo quando mi piaceva un bambino della mia età. Avevo quasi 10
anni e mi passava spesso in mente il pensiero di essere gay.
Luigi Zen
Bobby Solo nell’adolescenza da una lacrima sul viso ha capito molte cose, perché sua nonna tagliava la cipolla e lui lacrimava.
Edoardo
Ricordi associativi sotto i 5 anni:
- Al mare la sabbia sotto i piedi che scottava.
- Il colore dei coriandoli a Carnevale.
- Uditivo: fai il “Musticut” (dialetto friulano).
- Sul cavallo a dondolo per prendere l’olio di ricino.
Stefano
L’animale che io sognavo di essere da bambino è il ghepardo che va a 120 km/h e prendevo la gazzella con un balzo al volo.
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DAZZENGER
Darietto
● Cosa ci fa un cane carlino in un’edicola? Compra "Il Resto del Carlino".
● Per navigare in internet, devo usare un port-atile?
● Se entro in una rete wi-fi, mi pescano?
● Quale ragazza ti becca spesso in chat? Rebecca
● Cosa ci fa Otello con la carta? Un cartello.
● Quale dolce migliora l’umore? Il tiramisù.
● Quale nome ti dà l'idea del freddo? Alfredo.
● Quale nome ti dà l'idea del caldo? Aldo.
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APPROFONDIMENTO SU “L’ABITARE SUPPORTATO”
Sviluppo del tema “Diritto all’abitare” del precedente numero
Associazione UmanaMente
Premessa:
All’interno del laboratorio di scrittura si è scelto di
approfondire una delle realtà abitative descritte dai partecipanti
invitando operatori esperti del DSM-DP. L’ambito scelto viene definito
in termini tecnici “Abitare Supportato” e corrisponde a quello che gli
utenti chiamano “gruppi appartamento”. Referente del Servizio è il
dott. Giordano Merusi.
Hanno relazionato sull’argomento:
Enrico Castellani, operatore socio sanitario, Sonia Valentini, infermiera.
Quanti sono i gruppi appartamento?
I gruppi appartamento o G. App.
di nostra competenza sono cinque:
tre in zona stadio, uno a
ridosso di piazza dell’Unità, in
via Corticella, e un altro in zona
Barca. Sono tutti appartamenti a
sé stanti, non sono all’interno di
un condominio. Hanno in totale
ventotto posti letto e sono gestiti
da un gruppo di otto operatori
socio-sanitari, quattro educatori
professionali, un’infermiera che
cura gli aspetti sanitari e un coordinatore
che è Giordano Merusi.
Come funzionano i gruppi appartamento?
I gruppi appartamento sono
case in cui vivono cinque, sei
persone, che vi abitano in stanze
doppie o singole. All’interno
della casa si ha tutto, è una casa
assolutamente normale, per cui
c’è la cucina, c’è il soggiorno, c’è
la zona lavanderia, la camera da
letto, il giardino. Gli operatori ci
sono grosso modo dalle 7.30 del
mattino fino alle 19.30, la notte
non ci sono, a meno che non ci
siano delle particolari variazioni.
Ho sentito dire che esistono diversi livelli di supporto, cosa vuol dire?
“Sì, allora… all’interno di questi
cinque appartamenti ce n’è uno,
chiamato Magnolia, che fino ad
un anno fa era una residenza
socio-riabilitativa e che il Dipartimento
ha deciso di trasformare
in gruppo appartamento, vedendo
che la maggior parte degli
ospiti erano in grado di fare un
passaggio di autonomia. È stato
un passo azzeccatissimo, perché
la maggior parte dei residenti
non ha avuto nessun tipo
di problema, anzi, con l’avvento
di questa trasformazione, hanno
ottenuto le chiavi di casa oltre
alla totale autonomia notturna.
Adesso ognuno ha le sue chiavi
di casa e ha acquisito da questo
punto di vista un miglioramento
della qualità della vita e dell’autostima.
Magnolia ha mantenuto
il pasto che viene dall’Ospedale
Maggiore e gli ospiti usufruiscono
di un servizio biancheria.
Questo è l’appartamento più
protetto. Gli altri appartamenti,
per quanto riguarda il discorso
pasti sono completamente autonomi,
fanno una colletta comune
alla settimana, sui 25 euro a testa,
per la spesa e insieme all’operatore,
quando ce n’è bisogno,
si decide tutti insieme cosa
mangiare durante la settimana.
Ogni gruppo appartamento ha
diversi livelli di supporto, che
riguardano il tempo di permanenza
degli operatori: ci sono
gruppi appartamento in cui l’operatore
lavora anche solo due
ore al giorno e questo sta a significare
che chi accede deve
avere già un livello di autonomia
molto elevato.
Riguardo ai costi?
Magnolia è a costo zero, a parte
la colletta per il caffè, mentre
negli altri appartamenti il costo
è di 25 euro a settimana per la
spesa. Le persone sono chiamate
a riprendere in mano tutte le
abilità che richiede l’utilizzo di
una cucina e che serviranno un
domani, usciti dal GAP.
Quanto tempo di permanenza è previsto?
Questi appartamenti sono temporanei,
nel senso che indicativamente
la durata media è sui
tre, quattro anni. C’è un regolamento
che parla di tre anni ma
non c’è una rigidità rispetto a
questo. L’obiettivo è che in questi
tre anni chi inizia ad abitare
in questi appartamenti si riappropri
di quelle capacità abitative
che magari ha perso o che
magari non ha sviluppato per
un motivo o per un altro, perché
dopo questo periodo di tempo
possa andare a vivere in una situazione abitativa di maggiore
autonomia, in un appartamento
suo, se ce l’ha, in un appartamento
del CSM, in un appartamento
A.C.E.R. ecc. Per cui è una
sorta di trampolino di lancio, la
vita in questi appartamenti.
Quali sono le modalità di accesso?
Chi gestisce il progetto abitativo è il CSM, che invia la persona all’interno dell’appartamento.
Cos’è un progetto abitativo?
Per progetto abitativo s’intende
un progetto di analisi dell’autonomia
della persona al fine di individuare
il livello di protezione
di cui quella persona necessita
nell’abitare. A livello pratico si
tratta del saper gestire la propria
persona, la propria terapia,
i propri spazi e saper condividere
quelli altrui; questo al fine di
aumentare l’indipendenza della
persona per raggiungere infine
una completa autonomia e integrazione
sociale.
Qual è la vostra esperienza sugli accessi e le dimissioni?
I dati riportati dimostrano che
negli ultimi cinque anni la maggior
parte degli ingressi nei
gruppi appartamento vengono
dalle residenze ed è questo il
percorso più naturale. Per quanto
riguarda invece le dimissioni
dai gruppi appartamento si è visto
che solo una minima parte di
coloro che hanno seguito questo
percorso sono tornati in residenza,
questo a dimostrazione che
non sempre il percorso funziona
ma nella maggior parte dei casi,
seguendo il percorso naturale,
si può avere un successo per
quanto riguarda l’autonomia.
Come funziona la vita all’interno del G.App.?
All’interno dei gruppi appartamento
gestiti dagli OSS e dagli
educatori, ogni inquilino ha a
disposizione le chiavi e ognuno
si gestisce in autonomia la propria
terapia, in presenza o meno
dell’operatore in base alle indicazioni
del CSM. Per quanto
riguarda la questione dei pasti,
apparentemente può sembrare
un sistema semplice ma in realtà
si tratta di mettere d’accordo
quattro, cinque persone e gestire
la cooperazione per quanto
riguarda il fare la spesa, i turni
per cucinare, pulire ecc…
Gli operatori possono aiutare,
se richiesto o necessario, gli inquilini
nella gestione del denaro,
quindi possono centellinare il denaro
giornalmente o settimanalmente.
Per quanto riguarda la
pulizia, la pulizia delle camere è
totalmente responsabilità di chi
le abita, come l’intero appartamento,
quindi l’operatore può al
massimo monitorare, motivare,
incitare nel caso ci fosse qualche
mancanza nel pulire gli spazi.
Ogni venerdì si organizza una
riunione tra i gruppi appartamento
allo scopo di condividere
pensieri, paure, idee, divergenze
ed è opportuno che partecipino
tutti gli inquilini. Inoltre c’è una
collaborazione con le reti associative
affinché gli inquilini possano
avere attività da svolgere al
di fuori dell’appartamento, per
aumentare la loro autonomia e
indipendenza, per relazionarsi
con altre persone e condividere
esperienze.
Qual è la procedura per l’accesso?
Ogni CSM di Bologna e provincia,
dopo aver analizzato lo stato
di salute mentale del paziente,
invia la propria richiesta al
coordinatore dell’appartamento
dichiarando che secondo determinati
accertamenti, il paziente
in questione è adatto a partecipare
a un’esperienza di gruppo
appartamento.
Chi decide la lista d’attesa, le priorità e altre variabili per l’ingresso in gruppo appartamento?
Una volta fatta richiesta di ingresso
da parte del CSM e valutato
idoneo e realizzabile l’ingresso
nei G.App., un gruppo
di persone appartenenti al CSM
(come il medico, l’infermiere di
riferimento), il coordinatore del
gruppo appartamento stesso e
gli OSS che vi lavorano, si incontrano
per dei colloqui preliminari
per conoscere il candidato senza
entrare nei dettagli che riguardano
la privacy della persona. In
seguito si presenta e si spiega la
vita nell’appartamento al candidato
stesso. L’interesse di chi lavora
nel gruppo appartamento,
in collaborazione con i CSM è di
capire quali siano i punti deboli
e di forza della persona su cui
lavorare per aiutarla a evolversi
verso una maggiore autonomia e
questo viene fatto attraverso un
vero e proprio progetto terapeutico
personalizzato.
Quali compiti svolgono gli operatori all’interno dei G.App.?
Gli operatori socio sanitari che
lavorano all’interno degli appartamenti
si occupano di gestire
e supervisionare le terapie,
le dinamiche inerenti i pasti ed
eventuali esigenze o 'scompensi'
degli inquilini. Aiutano nella
gestione delle dotazioni personali,
nell’acquisto di beni, nella
cura della propria persona e della
stanza. Lo scopo è quello di
supervisionare e dare assistenza
se necessario agli inquilini: sono
il primo anello a cui, coloro che
abitano il gruppo appartamento
possono rivolgersi nel caso di
disagio o esigenze particolari.
Gli operatori, dunque, operano
nella prima emergenza, prima di
far riferimento al CSM o al 118,
cercano nei limiti delle proprie
possibilità di contenere il momento
di disagio per poi agire a
seconda di come il problema si
evolve; in casi estremi l’operatore
può rivolgersi al CSM o al
118. Altro compito degli OSS è
quello di gestire quelle che possono
essere le liti scaturite dalle
dinamiche di convivenza, di supervisionare,
consigliare e sedare
eventuali problemi di convivenza
tra gli inquilini.
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Buon giorno, avrei un paio di rapidi chiarimenti da fare:
1- come accade a molti, viene affermato che la magistratura sia un
“potere”: non è vero, anche se nella pratica i magistrati si comportano
come se lo fosse, rifiutandosi di applicare leggi a loro non gradite od
interpretandole secondo il proprio arbitrio o surrogando le incapacità
della politica. I poteri, secondo la costituzione, sono due: il potere
legislativo che spetta al parlamento (espressione diretta del popolo
attraverso il voto) ed il potere esecutivo che spetta governo (cioè
rendere esecutive le leggi approvate dal parlamento); ai magistrati
spetta il compito tecnico di giudicare se e quando il comportamento di
persone fisiche o giuridiche infranga la legge.
2- si cita la legge “Basaglia”, ma una legge “Basaglia” non esiste.
Esiste la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale del ’78,
che si occupa di psichiatria negli articoli 34, 35 e 64: l’articolo 64
(il più corposo) è, per la sua maggior parte, obsoleto poiché contiene
le norme per la transizione dalla vecchia alla nuova legislazione; gli
articoli 34 e 35 in linea di massima elencano i diritti a garanzia di
chi subisca un T.S.O.. Purtroppo non è stato mai regolamentato
specificatamente il caso psichiatrico di trattamento sanitario senza
consenso, in stato di necessità tutto viene rimandato all’articolo 33,
che si riferisce agli “untori”, stabilendo l’obbligatorietà della cura
per chi avesse una malattia pericolosa per la salute pubblica, con
provvedimento amministrativo (cioè non sanitario) a protezione appunto
della salute pubblica ed intervento delle forze di polizia. Ma i
sofferenti psichici sarebbero degli untori?
Resta da ricordare, per la storia, che l’aggancio all’articolo 33 (cioè
ad un provvedimento amministrativo simile a quello del prefetto per il
manicomio) fu posto come condizione per l’approvazione della riforma
dalle forze politiche non totalmente convinte (non vi cito quali ma
sarebbe interessante soddisfare la curiosità).
Cordialmente
Luciano Prando
(Salsomaggiore)
Gentilissimo signor Prando,
nel ringraziarla per le sue precisazioni, cogliamo l’occasione per
ricordare a lei e ai lettori che ciò che viene scritto sul Faro è
libera testimonianza, cioè espressione di pensieri, ricordi, idee in
libertà, e la collaborazione è aperta a chiunque abbia voglia di
scrivere. Non si tratta quindi di “informazione” in senso proprio, cosa
che si può affermare esclusivamente per i testi che si trovano negli
inserti, che sono opera di esperti citati con le loro specifiche
qualifiche.
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A caccia di ricordi d’infanzia
Massimo Fiorini
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L’ARTE DELLA MEMORIA
Oriano Conti (Socio di UmanaMente)
D
Alle ombre alle idee. Alla fine del ‘500, nell’intento di favorire il
processo di memorizzazione, Raimondo Lullo, Scaligero, alias Paolo
Scalichius, Giovan Battista Della Porta, e soprattutto Giordano Bruno,
si dedicarono alla ricerca di tecniche specifiche. Giordano Bruno,
spirito ribelle e grande filosofo, fu condannato dalla Chiesa per le
sue idee anticonformiste su Dio e sul mondo: morì bruciato sul rogo
nella piazza di Campo de' Fiori a Roma nel 1600. Sosteneva che Dio e
l'Universo sono due nomi per un'unica realtà, considerata ora come
attività creatrice, ora come varietà di cose create e realizzate. Per
il suo coraggio è diventato un simbolo del libero pensiero. Il suo De
umbris idearum ("Le ombre delle idee") è un'opera in latino pubblicata
a Parigi nel 1582 dalla tipografia E. Gourbin in un unico volume
insieme all'Ars memoriae ("Arte della memoria"). Nelle intenzioni
dell'autore, il volume, di argomento mnemotecnico, è distinto così in
una parte di carattere teorico e in una di carattere pratico. Per Bruno
l'universo è un corpo unico, organicamente formato, con un preciso
ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le
altre. Fondamento di quest'ordine sono le idee, principi eterni e
immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente divina, ma
queste idee vengono ombrate e si separano nell'atto di volerle
intendere. Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine,
ombra della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in se stessa la
struttura dell'universo, la mente umana, che ha in sé non le idee, ma
le ombre delle idee, può raggiungere la vera conoscenza, ossia le idee
e il nesso che connette ogni cosa con tutte le altre, al di là della
molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si
tratta allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la
complessità del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il
tutto. Tale mezzo si fonda sull'arte della memoria, il cui compito è di
evitare la confusione generata dalla molteplicità delle immagini e di
connettere le immagini delle cose con i concetti, rappresentando
simbolicamente tutto il reale. Nel pensiero del filosofo, l'arte della
me- moria opera nel medesimo mondo delle ombre delle idee,
presentandosi come emulatrice della natura.
Se dalle idee prendono forma le cose del mondo in quanto le idee
contengono le immagini di ogni cosa, e ai nostri sensi le cose si
manifestano come ombre di quelle, allora tramite l'immaginazione stessa
sarà possibile ripercorrere
il cammino inverso, risalire cioè dalle ombre alle idee, dall'uomo a
Dio: l'arte della memoria non è più un ausilio della retorica, ma un
mezzo per ricreare il mondo. È dunque un processo visionario e non un
metodo razionale.
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Soluzione dell’indovinello di Edoardo
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