CARAVAGGIO: “I BARI”
Piergiorgio Fanti
M
ichelangelo Merisi (o Amerighi), noto come il Caravaggio (Milano, 29
settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), formatosi tra Milano e
Venezia fu attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il
1610.
Amò dipingere il vero, scegliendo tra i soggetti più umili, trattati
con comprensione affettuosa; rifiutò la convenzionale idealizzazione
del soggetto, ma scelse la contemporaneità del suo tempo.
Caravaggio fu capace di creare un nuovo lirismo pittorico in stile
nuovo: immagini rivelate da una luce che è elemento generatore della
scena. Innumerevoli gli artisti italiani e stranieri, che furono
influenzati dalla sua pittura.
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EDITORIALE
Fabio Tolomelli
L
a curiosità è gioia, è vita". Così mi ha risposto la professoressa Cristina Lasagni, direttrice di Psicoradio quando le ho detto che il tema di questo numero de Il Faro
sarebbe stato la curiosità. Questa breve asserzione riassume e risponde
a quella che è stata l’ispirazione iniziale, l’idea di parlare di
curiosità. Ma cosa significa letteralmente ‘curiosità’? Da Wikipedia ci
viene detto che è un “istinto che nasce dal desiderio di sapere
qualcosa”. Questo termine è usato in due accezioni tra loro opposte:
una positiva e una negativa. Per intenderci la negativa è quella tipica
del gossip. Dove si cerca di sollecitare e nutrire una
curiosità morbosa, volta a scavare nella vita privata delle persone.
Certo ci sono persone che sono contente di mettersi in mostra, ma altre
possono essere colpite e danneggiate nella propria sensibilità. In
questo senso mi viene da pensare al povero Marco Pantani. Non so come
sono andate veramente le cose: se si sia dopato oppure no, se l’hanno
ucciso o è stato un suicidio. Tuttavia, quello che ha sofferto lo sa
solo lui. Da un giorno all’altro è stato disarcionato: da divinità a
cattivo esempio per la società. Certo che un limite alla curiosità è
necessario, perché spesso essa sfocia in un’alterazione della realtà
per trarre un vantaggio personale. Questo a partire dallo
‘spettegolamento’ tra comari, fino ad arrivare alle potentissime
emittenti mediatiche. Un limite lo aveva posto anche il buon Dio alla
povera Eva: non mangiare il frutto dell’albero! Lei cedette alla
curiosità e, istigata dal serpente, si mangiò la mela. Chissà che
dolore e che senso di colpa, per aver causato la morte in tutta
l’umanità. La più grande ed insuperabile killer di tutti i tempi…
Detto ciò parlerò della curiosità positiva: ai massimi livelli è quella
propria degli scienziati e scopritori di tutti i tempi, ma anche quella
di un bambino che si avvia alla conoscenza del mondo. È nata con l’uomo
ed è presente anche negli animali. Pensate per un attimo al gatto, come
scruta l’ambiente e osserva ciò che vi si muove. Per lui tutto è
avvolto da una strana magia e attraverso i sensi la interpreta e la fa
propria. L’uomo rispetto all’animale ha un’intelligenza molto più
sviluppata, che gli permette di costruire e scoprire attrezzi come ad
esempio la clava, la ruota, la scrittura e il dominio del fuoco. La
curiosità orientata a scoprire come vivere meglio ha permesso all’uomo
di realizzare cose che addirittura gli hanno dato il modo di allungare
la vita: pensiamo alla medicina, un esempio per tutti il trapianto di
cuore.
Nella mia storia personale, dove si sono alternati periodi di buona
salute ad altri lunghi periodi di sofferenza psicologica, la curiosità
è sempre stata scintilla e segnale di salute e vitalità. Nel
particolare, la mia curiosità si divide in tre momenti. Il primo si
verifica quando comincio a comprare libri umanistici (storia, filosofia
e letteratura). L’acquisto è di per sé un ottimo antidepressivo, che
inizia a sciogliere la sensazione di blocco mentale che impedisce
qualsiasi attività cerebrale. La lettura e la memoria sono le più
colpite dalla percezione di questo mio intoppo psicologico. Questo
momento è fortemente frustrante, perché la curiosità è molto lontana e
lo sforzo di fare non è compensato dalla soddisfazione di aver
acquisito nuove conoscenze. Tutto rimane fermo e non fruibile, in un
grigio nebbioso stato di tristezza. Però… Quando inizio a stare meglio,
secondo momento, se studio assieme ad altre persone riesco ad
apprendere e scambiare conoscenze. Che gioia e che soddisfazione
scoprire e capire, ma soprattutto ricordare nuove cose del mondo! Il
terzo momento è bellissimo. Riesco a studiare da solo cose che apprendo
e arricchiscono la mia personalità che con grande gioia mi fanno
sentire vivo.
In sostanza credo che la curiosità positiva sia motore di vita, cioè,
riprendendo quanto dice Cristina, “è gioia, è vita”. Siate quindi
curiosi di leggere Il Faro, che è gioia e vita.
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DALLE SOLANACEE AI CENTO METRI PIANI
Matteo Bosinelli
C
he cosa hanno in comune, per quanto mi riguarda, le solanacee (patata,
pomodoro, melanzana, tabacco, stramonio, belladonna, giusquiamo,
mandragora, petunia…), gli scacchi, i virus che colpiscono l'uomo, la
filatelia, il tennis, Ettore Majorana, Tommaso Buscetta, le sfide nella
corsa dei cento metri piani eccetera?
La risposta è che tutti questi argomenti destano la mia curiosità.
Credo vi siano diversi tipi di curiosità. Uno, per esempio, scatta dal
desiderio di apprendere cose nuove o di approfondirne altre. Vi è poi,
secondo me, anche una curiosità ‘malsana’, che mira ad intrudere, a
ottenere notizie intime del prossimo, facendone poi svariati usi, e
così, in qualche modo, lederlo.
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CURIOSI FRUTTI AUTUNNALI
Costanza Tuor
Se chiedessi al fiume di narrarmi la
tua storia, troverebbe le parole. Io invece tremo, dimentico e non
comprendo fin dove si siano scagliate le tue, contro quale montagna per
infrangersi pietruzze, sabbia e vento. Ti cerco oggi nelle tue immagini
per rubare alla mia fantasia terreno utile e proporre una coltivazione
di “forse”. Vedo la sfida arrampicarsi spavalda e allegra lungo il
pendio della tua fronte, fiammeggiare nei tuoi occhi ansiosi di trovar
risposta. Ora forse dedichi al mondo ancora il tuo cuore speranzoso,
desideroso di grandi sconvolgimenti d’anime che permettano ai forzieri
di mettere a disposizione i loro tesori. Non so perché ho smesso di
chiedermi chi fossi. L’ho fatto probabilmente con l’inconsapevolezza
del dolore, che cerca profondità vorticose nelle quali tuffarsi senza
fiato, l’ho fatto per disattenzione stendendo la mia mano sull’altrove
che tanto bramavo ma che non possedeva ossa.
Ora che ritrovo il tuo sguardo rosso splendore e ocra le tue parole,
non posso davvero negare che tu per inaccessibile richiesta mi abbia
chiamato ad ascoltare. Non ho potuto che accettare l’invito di un tanto
sconosciuto poeta. Ed ecco, susina e melograno siamo amici nonostante
me e spero ancora che non sia niente più di questo, ma tutto questo per
intero.
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UNA CURIOSITÀ SPECIALE
Mariangela
Curiosità, desiderio di conoscere,
questo è quello che ho provato nei confronti dei miei nonni materni,
che non ho avuto la gioia di conoscere personalmente. Quel poco che
conosco di loro l’ho appreso da mia madre, dietro mia insistenza, per
mezzo dei suoi racconti; so per certo che il nonno era un uomo di
bell’aspetto, si chiamava Marco, ma nel dialetto locale, veniva
chiamato Marcón (Marcone) per la sua alta statura. Gli piaceva il vino
buono e non disdegnava un goccetto, soprattutto a tavola. La nonna si
chiamava Angela ma la chiamavano Angiolina, per la sua dolcezza
d’animo. Nonno Marco e nonna Angela erano molto innamorati, dal loro
matrimonio sono nati otto figli, tre maschi e cinque femmine, tutti
sani e senza difetti.
Risiedevano in un piccolo paese di campagna, la loro abitazione era un
casolare all’ombra di due grandi alberi. Al piano terra c’era un’ampia
cucina, dove si consumava il pranzo e la cena, c’era il camino, dove
venivano cotti i cibi e ci si riscaldava nei periodi freddi, di fianco
c’era una stanza adibita a dispensa, dove venivano riposti i sacchi di
farina, di fagioli, di patate ed altro cibo. Una robusta scala di legno
portava dalla cucina al piano superiore dove erano situate le stanze da
letto.
All’esterno c’era uno spazio riservato all’aia dove si batteva il grano
e nei giorni di festa, grandi e piccoli ballavano al suono di un
organetto. Nel grande cortile, razzolavano alcune galline, nel porcile
grugnivano due maiali e dalla stalla veniva il muggito delle mucche e
dei buoi, che venivano utilizzati per tirare l’aratro o il carro carico
di foraggio o di grano. C’era poi il fienile, il pollaio, la legnaia e
il pozzo per attingere l’acqua.
I nonni, facevano, ovviamente, gli agricoltori, non erano ricchi, ma il
ricavato dal lavoro nei campi e dall’allevamento degli animali era
sufficiente per provvedere alla famiglia. Erano poco religiosi, ma
erano onesti lavoratori e di sani principi, che inculcavano alla
famiglia.
Anche nonna Angela era bella, non si incipriava, ma pettinava i lunghi
capelli che raccoglieva dietro la nuca, fermandoli con delle forcine;
lo faceva solo al mattino, durante il giorno non c’era tempo per farlo.
Il lavoro nei campi, la cura della famiglia e le faccende domestiche
prendevano molto tempo, perché il lavoro era molto faticoso.
Scoppiò la prima guerra mondiale, fortunatamente sopravvissero tutti,
ma il destino fu molto crudele, un triste giorno nonna Angela si recò
al fiume vicino a casa per lavare i panni, ma inavvertitamente scivolò
nell’acqua e morì. Fu una terribile disgrazia che colpì l’intera
famiglia, nonno Marco ne fu molto addolorato, non si risposò, anche se
non gli mancarono le occasioni, rimase fedele alla sua compagna fino
alla morte. Sono passati tanti anni, il tempo passa, ma i ricordi
rimangono e con loro, qualche volta, un poco il dolore affiora.
Ho conosciuto i miei nonni solo verbalmente, ma la mia curiosità è
stata appagata dai racconti di mia madre ed ha fatto scaturire in me un
sentimento di grande affetto, che durerà per sempre.
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LA CETRA DI SOCRATE
Edoardo
Secondo il dizionario Devoto-Oli, la
curiosità viene definita come "desiderio, abituale o episodico, di
rendersi conto di qualcosa per vie insolite o per motivi personali".
Ricordo una citazione riguardante Socrate. Alla domanda di un
discepolo: "Perché impari a suonare la cetra, se di qui a poche ore ti
faranno bere la cicuta?", Socrate rispose: "Perché mi piace imparare".
In questo senso, sono curioso.
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CURIOSITY DOESN'T ALWAYS KILL THE CAT
Fabrizio Sinibaldi
La curiosità, l'interesse verso quello
che non conosciamo, il desiderio di apprendere cose nuove di cui non
siamo a conoscenza e più in generale la stimolazione verso altri mondi
e modi di sentire dovrebbero essere tra le cure prioritarie fornite dai
Servizi di Salute Mentale (se non è così mi sembra che partiamo con una
contraddizione in termini, col piede sbagliato).
Prima dei farmaci, dei vari interventi curativi bisognerebbe fare un
censimento personalizzato degli interessi e delle attitudini (che
ovviamente ci sono in chiunque) della persona che si ha di fronte.
Tutto lo staff dovrebbe contribuire in questo: dallo psichiatra allo
psicoterapeuta passando per infermieri, educatori e familiari. La
persona dovrebbe essere messa in condizioni di rendersi conto di quello
che un eventuale CSM sta cercando di fare: creare, in sostanza, un
nuovo mondo, in grado di essere riempito attraverso le passioni e gli
interessi (che possono essere di qualsiasi genere) che il paziente
manifesterà. Penso che se si riuscisse a fare questo, la vita di tante
persone cambierebbe in meglio, molto meglio.
Quando parlo di interessi di qualsiasi tipo vorrei sgombrare il campo
da un equivoco di fondo che ci perseguita tutti quotidianamente; tutti
penseranno che mi voglia riferire a interessi ‘culturali’, quando per
‘cultura’ bisogna capire che ci si riferisce a qualsiasi manifestazione
umana (uno può essere interessato per esempio ad intervistare i
Finlandesi che visitano Bologna, anche questo è un interesse
culturale); tutto il resto è natura, se preso senza la mediazione
dell'uomo. Chiusa parentesi.
Io sono ateo, ma non so perché di questi tempi mi trovo in sintonia con
Papa Francesco (mi sembra che l'unica cosa che ci divide è che lui è
credente) e con i religiosi che sono veramente cristiani (non tutti lo
sono, vi sono musulmani più cristiani di certi personaggi che portano
un fazzoletto verde nella tasca).
Per quanto riguarda il nostro argomento, non si può non ricordare don
Milani: era un prete toscano, proveniente da una famiglia benestante,
che accettò di essere mandato dai propri superiori, negli anni ’50, in
paesini sperduti di montagna ad insegnare ai figli dei contadini che
non potevano raggiungere le scuole in città. Frase famosa che don
Milani ripeteva ai suoi alunni a proposito di curiosità: "Vi dovete
interessare di tutto, qualsiasi cosa incontriate! Solo così nessuno
potrà mai mettervelo nel culo". Ci sono anche delle implicazioni
pratiche ad essere curiosi evidentemente. Famosa fu la Lettera ad una professoressa con la quale egli espose il suo metodo per interessare i ragazzi. Una copia sulla scrivania di ogni psichiatra e psicologo.
La storia del paziente, ovviamente, dovrebbe aiutare ad evitare ed al
contempo avvicinare determinati temi, potenziali futuri interessi della
persona in questione. Sono convinto che anche nei casi più gravi,
quando c'è uno scollamento dalla realtà ed un'inerzia generale, vi
siano dei professionisti in grado di migliorare le cose aiutando i
pazienti, un po’ come fanno certi insegnanti nelle nostre scuole,
capaci di rendere appassionante un argomento fino al punto di cambiarti
la vita.
Certo non è affatto scontato incontrarli, poiché purtroppo sono pochi.
Mi piace questo paragone tra medici e buoni insegnanti; mi chiedo fino
a che punto possa piacere ad alcuni ‘strizzacervelli’ del territorio
bolognese e non solo.
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LA CURIOSITÀ E LO ZEN
Luigi Zen
La curiosità è un movimento del nostro
corpo o dei nostri pensieri; ma la curiosità non esiste se noi non
produciamo pensieri che ci dicono o danno degli ordini di fare quello
che la curiosità ci propone. La curiosità è un’espressione di noi
stessi applicabile ad un numero quasi infinito di argomenti che
attraverso i nostri sensi e le nostre conoscenze ci orienta verso le
arti o il mondo delle tecnologie materiali o spirituali, religiose o
politiche, eccetera. Il lubrificante o l’olio che fa funzionare la
curiosità è l’umore; in caso di lutto o separazione l’olio manca. Se al
movimento del corpo o dei pensieri si interpongono degli ostacoli, come
ad esempio il tempo, il denaro mancante eccetera. essa può degenerare
in ansia, quindi è bene dosare prima la nostra curiosità, ossia
produciamo solo quella curiosità che non produca danni a noi stessi e
agli altri.
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L’INDOVINELLO DI LUIGI ZEN
Che animale è quello raffigurato qui sotto?
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CHE COS’È LA CURIOSITÀ
Francesca
La curiosità è il motore della
conoscenza... è il faro dei ricercatori... è la trappola degli
esagerati... è il vizio dei viziosi e degli impiccioni…
Quella della serratura è maliziosa più ‘nella norma’, ovvero: un
signore è troppo curioso di spiare dal buco della serratura per vedere
chi c’è dall’altra parte e si dimentica di guardare la marca della
serratura da cambiare…
Senza sessualizzare ogni argomento, è più vicina invece l'idea dello
spioncino della porta d'ingresso: curiosità sana... apro o non apro a
questo venditore di ‘folletti’!?!
Dopo aver capito cos'è la sigaretta, perché restare nel vizio? Bisogna smettere... Questa è curiosità risoluta-risolta!!!
Una frase che mi desta grande curiosità: “di normalità si può anche guarire”… Ma perché?! E in che senso?
Curiosità che può dare ansia: voler sapere chi c’è dall’altra parte,
perché se si sa che c’è qualcuno e qualcosa di sconosciuto, lo si
vorrebbe conoscere e scoprire, tuttavia si può avere paura di trovarsi
di fronte a brutte sorprese! Ma la curiosità è morbosa in questo caso e
può portare a commettere gravi errori. Un esempio è la chat o quei siti
dove si ‘parla’ con la gente dietro una tastiera del pc: si comunica
con chi non si conosce e va tutto bene inizialmente, ma poi subentra la
curiosità di conoscere nella realtà la persona che sta dall’altra
parte, di cui potremmo aver idealizzato l’immagine, il volto e la
personalità, senza pensare che le abbiamo create noi, con le nostre
aspettative e desideri, anche se non corrispondono effettivamente alla
realtà. Il rischio è di acquistare fiducia in qualcuno che non
conosciamo, ma che si è proposto nel miglior modo possibile, e che
potrebbe essere chiunque, anche un malfattore che ci ha raccontato un
mucchio di frottole, per cui si è disposti a rischiare pur di
conoscerne la vera identità, andando incontro a un serio pericolo.
Questa è una di quelle situazioni inizialmente piacevoli che si
trasformano in uno stato di ansia crescente e perenne, perché si ha
paura dello ‘sconosciuto’. Questa ansia si sostituisce alla curiosità
iniziale e porta allora a fare la scelta giusta e cioè troncare
definitivamente il rapporto. Io non vado in chat o su internet a
scambiare messaggi con persone sconosciute, perché non ne sento
desiderio e quindi non mi interessa farlo. Parlo per esperienza
indiretta, ma credo proprio che si crei questo gioco perverso.
Ho preso alcuni appunti da internet.
Tutti sappiamo che cos'è la curiosità: è il desiderio di conoscenze, di
informazioni e stimoli mentali nuovi. In psicologia la curiosità è
l'esigenza di mantenere a un livello ottimale l'attività di
elaborazione di informazione, regolando gli input, cioè le informazioni
in arrivo. In psicologia si parla anche di comportamenti esplorativi.
Questi sono noti al senso comune, perché capita di vederli spesso, sia
negli uomini, sia negli animali. Ad esempio, un cane appena messo in un
cortile ne esplora tutti gli angoli, un bambino si aggira per casa
guardando, toccando, manipolando un'infinità di cose. In scienza si è
notato che i comportamenti esplorativi tendono a sfumare
indistintamente in quelli ludici. Ad esempio, è difficile stabilire se
il bambino che si aggira per casa stia esplorando o se non stia
giocando.
I comportamenti esplorativi sono strettamente legati alla curiosità,
perché questa in genere si manifesta così. Però, non sempre
l'esplorazione è dettata dalla curiosità. Ad esempio, è difficile dire
se un cane che esplora un cortile che non conosce lo faccia per
curiosità o se non si stia semplicemente orientando. Un aspetto
interessante dei comportamenti esplorativi è che a volte gli individui
per portarli avanti corrono anche dei rischi. Tali comportamenti non
riguardano solo i bambini, ma anche gli adulti. Gli esempi più evidenti
sono le esplorazioni geografiche, vedi Livingstone, che morì di
dissenteria contratta in Africa, Marco Polo o Cristoforo Colombo.
Ciò ci fa capire che la curiosità e i comportamenti esplorativi hanno
radici profonde nella nostra natura di esseri viventi e di uomini.
Freud, nello studio della psicanalisi, aveva preso in considerazione la
curiosità umana e l'aveva interpretata come uno sviluppo adulto della
curiosità sessuale infantile. Da grandi trasferiremmo il nostro grado
di conoscenza sessuale su fatti non sessuali. Le persone poco curiose,
secondo Freud, avrebbero represso i loro desideri di conoscenza
sessuale.
È però negli anni ’50 e ’60 che questo tema è balzato in prima piano
nella storia della psicologia: il tema si è trovato al centro di due
cambiamenti radicali di prospettiva.
Il primo riguarda l'apprendimento. Le concezioni in auge nella prima
metà del secolo consideravano l'apprendimento un processo passivo
determinato dall'esterno, dagli stimoli ambientali. Dopo la seconda
guerra mondiale le concezioni passive dell'apprendimento hanno perso
credibilità e sempre più si è insistito sul ruolo attivo del soggetto
che impara.
L'altra rivoluzione di pensiero riguarda la motivazione. In questo
ambito si è capito che la curiosità è una motivazione primaria su basi
biologiche, come la fame e la sete. A differenza di queste, però, essa
risponde a bisogni cognitivi, e determinate dall'esigenza della mente
di tenersi in esercizio. Quando appaghiamo la curiosità contano le cose
che facciamo in sé, non per i vantaggi che secondariamente possono
portarci.
Secondo la definizione classica la curiosità è il ‘desiderio di
conoscere’. Tale desiderio è spesso visto da molti come univocamente
positivo, ma a un esame più profondo si scopre che ciò che lo rende
positivo non è la conoscenza in sé, ma l’oggetto della conoscenza. Così
la curiosità dello scienziato è generalmente positiva mentre è spesso
negativa la curiosità di chi è pettegolo. In mezzo a questi estremi ci
sono tante altre situazioni ed è necessario un parametro di valutazione
dell’oggetto della conoscenza per poter giudicare con cognizione di
causa. Per il Well-being
* il parametro è semplicemente la possibilità che la nuova conoscenza
migliori la nostra vita: l’intelligente è curioso di ciò che migliora
la vita, lo stupido di ogni cosa. Se si rallenta per vedere l’incidente
che si è verificato sulla corsia opposta dell’autostrada, è difficile
giustificare tale curiosità con l’idea di imparare qualcosa di utile.
Analogamente, sapere che la tale attrice ha lasciato il suo fidanzato
non migliora granché la nostra vita. La curiosità fine a sé stessa,
quella del gossip o quella del pettegolo sono esempi di curiosità non
certo intelligente. Anche curiosità più ‘nobili’ possono essere del
tutto inutili se sono troppo difficili da soddisfare: per quanto siano
intellettualmente profonde, certe curiosità sono un puro gioco mentale
od obiettivi senza probabile risposta. Lo scienziato che studia gli
alieni o quello che va alla ricerca ossessiva di quello che può essere
il Santo Graal* della sua disciplina, sono esempi di curiosità ben poco
pratiche e, molto probabilmente, del tutto inutili.
Molti potranno ritenere troppo severo il giudizio sulle curiosità
inutili, ma esse sono un importante indicatore esistenziale: chi è
inutilmente curioso rivela personalità critiche, che vanno dal
sopravvivente (chi ama il gossip), al violento non criminale (l’invidia
del pettegolo o la curiosità di chi vuole scoprire i segreti altrui),
al romantico (chi si ‘innamora’ del soddisfacimento di curiosità
impossibili). In ogni caso la persona equilibrata non dovrebbe perdere
tempo con curiosità inutili e dovrebbe concentrarsi solo su quelle che
danno un contenuto informativo che potrà essere utile nel presente o
nell’immediato futuro.
SITOGRAFIA
- http://curiositaecomportamentiesplorativi.blogspot.it/2012_02_01_archive.html
- http://www.albanesi.it/psicologia/curiosi.htm
● Well-being, la scienza che abbinando una corretta
visione della vita, una continua attività fisica e una sana
alimentazione vuole portare chi la segue a un benessere duraturo
(albanesi.it)
● Il Santo Graal secondo la tradizione medievale è la coppa con la
quale Gesù celebrò l'Ultima Cena e nella quale Giuseppe d'Arimatea
raccolse il sangue di Cristo dopo la sua crocifissione. Proprio per
aver raccolto il sangue di Gesù, tale oggetto sarebbe dotato di
misteriosi poteri mistico-magici.
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LA MIA CURIOSITÀ
Tina Gualandi
La curiosità può essere negativa se
eccessiva, ma può essere positiva se causa o provoca momenti ed eventi
utili, positivi, interessanti. È quello che è successo a me e posso
dire che mi ha anche aiutato molto. Nel giugno 2010, al mio CSM, mi
capitò di vedere e leggere una locandina che parlava di gruppi A.M.A.
Chiesi ad un’infermiera di cosa si trattava e lei mi disse che non era
una cosa per me. La mia curiosità mi portò a prendere un pieghevole che
spiegava cos’erano questi gruppi e a chi erano destinati. Leggendo il
pieghevole in autobus, trovai un gruppo dal titolo interessante Per un linguaggio comune
e un numero di telefono di Lucia Luminasi (disponibile a dare
informazioni). La chiamai, lei mi spiegò alcune cose del gruppo (quando
e dove si trovavano) e mi disse che potevo andare a conoscerli un
giovedì alle 18 ed ero poi libera di restare o andarmene una volta
fatta la conoscenza del gruppo. Giovedì 8 luglio 2010 alle 18, andai
per la prima volta e conobbi le persone che frequentavano quel gruppo.
Da allora sono rimasta e ci vado tutte le volte che posso. Da quel
gruppo in poi ho iniziato altre attività; Lucia mi ha presentata alla
redazione del Faro, ho conosciuto delle persone del Fare insieme, che si vedevano ogni quindici giorni, ho iniziato ad andare in pizzeria con i ragazzi dell’associazione Non andremo mai in TV,
poi ne sono diventata socia e da alcuni anni ne sono la
vice-presidente. Nel 2011 ho seguito un laboratorio di scrittura
creativa realizzato dal gruppo di lettura San Vitale e promosso
dall’Istituzione Minguzzi e dalla Fondazione del Monte di Bologna e
Ravenna. Il tema su cui si è lavorato è il disagio, inteso in senso
lato. Partendo da esercizi di scrittura creativa, lavorando in modo
libero, senza censura e gabbie stilistiche, è stato prodotto materiale.
Ognuno di noi ha dato il consenso di stampare il ‘riassunto del
percorso svolto', perché qualcun altro possa leggere e magari, perché
no, ritrovare un po’ di sé. Dopo il laboratorio di scrittura è seguito
il laboratorio teatrale, che ha portato alla messa in scena dello
spettacolo L’eroe di vetro. Di questi due percorsi mi è
piaciuto tutto e il saggio finale è piaciuto sia a noi attori che al
pubblico presente. Scrivendo e leggendo a voce alta il mio disagio, mi
sono sentita meglio e più leggera. Un’altra cosa bellissima che ho
fatto il 15 marzo 2011 è stato adottare due micioni adulti e
bellissimi, uno tigrato, di nome Calzino, e uno tutto bianco, di nome
Nuvola. È stata un’esperienza fantastica, perché loro hanno adottato
me, e avere due creature in giro per casa mi è servito per sentire la
mia vita e la mia persona più piena e luminosa. Come referente della
mia associazione seguo vari convegni anche in altre città e i progetti
che via via si presentano al Dipartimento di Salute Mentale e faccio
parte anche del CUFO (Comitato Utenti Familiari Operatori), organo che
tiene i contatti tra il Dipartimento e le varie associazioni. Ho
seguito un corso di formazione ESP (Esperto nel Supporto tra Pari), io
ho parlato l’ultimo giovedì, il 16 aprile 2015. Il 21 aprile 2015
all’Arena del Sole c’è stata la presentazione del sito internet Sogni e bisogni
sulla salute mentale. Ebbene un familiare ed io l’abbiamo presentato ed
io sono anche stata intervistata da alcuni giornalisti del Tg3. Quindi,
come vice-presidente di Non andremo mai in TV, sono anche stata in TV.
Ancora oggi frequento il mio CSM, ma mi vedo con la mia psichiatra ogni
due mesi circa per i controlli e mi è stata anche diminuita la terapia.
In questi ultimi anni sto decisamente meglio e dopo anni grigi e neri,
la mia vita è diventata piena, varia e serena anche perché frequento
persone che mi piacciono molto. Quando parlo della mia malattia, ne
parlo al passato anche se so che le ricadute sono sempre dietro
l’angolo. Essere inserita nei progetti rende la mia vita dinamica e
frequentare i convegni mi piace molto perché si conoscono persone
nuove, si apprendono più cose e si ascoltano le storie degli altri. Ciò
che ho imparato facendo tante cose è che non bisogna chiudersi in casa
e non si deve aver paura di raccontarsi. Non so se diventerò anche ESP.
So che ad un convegno sugli UFE a Modena (a Trento e a Modena si
chiamano così) mi chiedevo cosa fossero e a che servissero. Ora so
qualcosa di più e credo sia molto importante che ci siano anche a
Bologna. Ecco, senza la mia curiosità, non credo sarei arrivata a fare
tante cose e a sentirmi così bene.
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IL CALZINO STRAPPATO
Antonio Marco Serra
La curiosità evoca la ‘cura’, l’attenzione che si presta a quello che esiste
o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza
mai di fronte a esso; una prontezza a giudicare strano e singolare quello
che ci circonda; un certo accanimento a disfarsi di ciò
che è familiare e a guardare le stesse cose diversamente.
Michel Foucault
La curiosità di cui vorrei parlare non
è certo quella dei ‘ficcanaso’ che amano informarsi dei fatti altrui,
per divertirsi poi a spettegolare di questo o di quello; ma non è
neppure la curiosità mossa da un desiderio di apprendere conoscenze già
acquisite, una sorta di golosità cerebrale, un desiderio di
collezionare conoscenze, anziché francobolli.
Vorrei invece parlare di quella curiosità che nasce quando nel nostro
mondo interiore, riflessivo o emozionale poco importa, ci si presenta
qualcosa che ci appare differente da come dovrebbe essere, che viviamo
con un profondo senso di stupore e a volte di disagio. Per tracciare
una similitudine, non so quanto azzeccata, potrei pensare a quella
sensazione, che qualche volta tutti noi abbiamo provato quando,
entrando in un ambiente a noi estremamente familiare, ci accorgiamo che
vi è qualcosa di diverso, ma in un primo momento non riusciamo a capire
di cosa si tratti; eppure siamo del tutto sicuri che vi è davvero
qualcosa di differente. E solo in un secondo momento ci rendiamo conto,
ad esempio, che un quadro è stato rimosso, o una poltrona è stata
spostata dal solito posto. La sensazione che qualcosa non è come
dovrebbe essere.
Ma quando una simile sensazione riguarda il nostro mondo interiore,
essa si presenta con ben altra autorità, si accampa al centro del
nostro spirito e ci interroga con forza su noi stessi. Potremmo anche
definirla una sensazione di inadeguatezza, ma ciò che decisamente
prevale è il senso di profondo stupore che essa desta in noi. Una
curiosità, dunque, che non è rivolta verso un oggetto ben definito, e
che rampolla, come una sorgente, dal nostro stupore.
Beninteso, questo concetto è vecchio quanto la filosofia stessa.
Pensiamo ad esempio alla frase che Platone fa pronunciare a Socrate nel
suo Teeteto: “È tipico del filosofo quello che tu provi, l’essere pieno di stupore: il principio della filosofia non è altro che questo”.
Una sensazione che, non nascondiamocelo, può presentare anche aspetti
apparentemente patologici (o almeno tali li considera l’attuale
psichiatria). Parlo degli aspetti ossessivi connaturati ad essa: quando
questa sensazione pianta le tende dentro di noi, costituisce una
presenza ingombrante ed invadente, di cui è estremamente difficile
liberarsi (ma, aggiungo io, probabilmente sarebbe anche estremamente
inopportuno il cercare di farlo).
In una conferenza a cui ho recentemente assistito si sosteneva, molto
giustamente, che vi sono casi in cui un individuo precipita in una
situazione dalla quale non potrà uscire senza l’aiuto di qualcun altro.
Ma penso che la situazione di cui stiamo parlando non sia una di
queste. Temo che nessuno sia in grado di dare risposte ai nostri
attoniti stupori, se non noi stessi, per il semplice fatto che il
nostro mondo interiore è unico e irripetibile (e se vogliamo chiamarlo
‘psiche’, ‘anima’ o ‘spirito’, poco cambia) e solo noi siamo in grado
di muoverci, con un minimo di leggerezza e di cognizione di causa
all’interno di esso. In alcuni casi, è vero, qualcuno può darci una
mano in queste ricognizioni, ma solo quando queste riguardano una parte
molto esteriore di noi (anche l’inconscio, almeno per come l’intende la
psicoanalisi moderna, è una parte estremamente superficiale del nostro
essere). Ma per rispondere alle domande che lo stupore ci pone, occorre
calarsi molto più a fondo, negli abissi del nostro essere, laddove
nulla ha un nome o una forma definita e solo noi stessi saremo in
grado, forse, di dare quei nomi e quelle forme, per ri-creare noi
stessi. L’altrui aiuto, in questi meandri è assolutamente vano.
Forse il passo letterario che meglio descrive questo itinerario, è un
frammento di Plutarco che istituisce un parallelo tra la morte e
l’iniziazione ai misteri eleusini: “Anzitutto i vagabondaggi, i rigiri
logoranti, e certi cammini senza fine e inquietanti attraverso le
tenebre. In seguito, proprio prima della fine, tutte quelle cose
terribili, i brividi e i tremiti e i sudori e gli sbigottimenti. Ma
dopo di ciò ecco viene incontro una luce mirabile, ad accogliere sono
lì i luoghi puri e le praterie, con le voci e le danze e le solennità
di suoni sacri e di sante apparizioni”.
Una celebre frase della Fenomenologia dello Spirito
di Hegel che mi sembra sulla stessa lunghezza d’onda di quanto vado
scrivendo è la seguente: “Un calzino rammendato è meglio di un calzino
lacerato; non così è per la coscienza”. Quando il nostro tessuto
interiore presenta una lacerazione, uno stato di inadeguatezza, un
sentimento stupito che qualcosa non è come dovrebbe essere,
un’incrinatura nella nostra visione del mondo, cercare di rappezzare
alla meglio il tutto, non è certo la soluzione migliore ché “altrimenti
–come insegna il Vangelo di Marco- il rattoppo nuovo squarcerà il
vecchio e si formerà uno strappo peggiore”. Si tratta di un’apertura,
di un varco, talora solo di un piccolo pertugio che può condurci alla
scoperta dell’imprevisto e dell’imponderabile. Di fronte allo stupore o
ci si chiude dentro le ‘bolle’ di ciò che ci è familiare, o ci si apre
alla curiosità e ci si lascia condurre altrove, per territori stranieri
e incontaminati. Territori che sono già parte di noi, anche se non ne
abbiamo piena coscienza. Territori che dobbiamo esplorare a fondo, se
vogliamo che quel senso di stupore e di insoddisfazione si trasformi in
un senso di pieno appagamento.
A volte si sono cercate scorciatoie per accedere a quelli che vengono
chiamati ‘stati di coscienza espansa’, che ci permettano di vedere e
interpretare il mondo secondo coordinate diverse, come nel caso della
cultura psichedelica negli Stati Uniti degli anni ’60, in cui si faceva
uso dell’LSD per innescare tali processi. Ma siamo sicuri che
bisognasse aspettare Timothy Leary per intraprendere tali percorsi?
Cos’è che da bambini ci faceva roteare su noi stessi, in giri sempre
più rapidi, fino a piombare a terra quasi privi di conoscenza, in una
sorta di stato di coscienza alterata, in cui ciò che ci circondava ci
appariva diverso dall’usuale? (come si vede i “dervisci roteanti” non
hanno inventato niente di nuovo). Forse l’esigenza di base di tutte
queste esperienze è quella di acquisire un punto di vista differente da
quello usuale, perché quest’ultimo ci sembra mancante di qualcosa:
mancante dell’essenziale.
Ma lasciando da parte queste scorciatoie psichedeliche o roteanti, che
a mio avviso lasciano il tempo che trovano, ciò che spesso innesca
questo senso di stupore che ci apre a nuovi orizzonti nasce dalla
contemplazione di opere d’arte: una sinfonia di Mozart, una cattedrale
romanica, un dipinto di Caravaggio possono aprire all’interno del
nostro animo squarci inaspettati su noi stessi e sul nostro essere nel
mondo. Chissà che non accadesse qualcosa di simile dentro di me quando
a due anni, così mi raccontava con orgoglio mio padre, musicomane
incallito, nell’ascoltare la musica di Bach provavo un irrefrenabile
desiderio di danzare.
E venendo a tempi ‘storici’, mi ricordo di quando sedicenne, ad Amsterdam, di fronte al quadro di Van Gogh Champ de blé aux corbeaux,
dipinto pochi giorni prima della sua morte, rimasi estasiato e
stupefatto, e questa sensazione mi portò ed elaborare qualche bizzarra
teoria su me stesso. Non chiedete alla mia memoria traballante ciò che
allora percorse la mia mente, non lo ricordo affatto. Eppure son certo
che ciò che allora scopersi, mi costituisce a tutt’oggi.
E, per parlar d’altro, la religione che ancor oggi, dopo duemila anni,
molti di noi professano, non nasce anch’essa da uno stupore? Lo stupore
di fronte a un sepolcro che avrebbe dovuto contenere un cadavere e che
invece era vuoto.
E permettetemi di concludere, narcisisticamente, con un po’ di coming out.
Mi faceva recentemente notare un amico, che nei miei articoli sono
solitamente più interessanti le parti in cui parlo di mie esperienze
personali, che non quelle in cui, magari a partire da esse, elaboro
astruse teorie. Ed io potrei anche essere d’accordo se non fosse che, a
ben vedere, io scrivo sempre e solo di me stesso (e francamente non
credo che sarei in grado di scrivere di altro). Solo che a volte, per
paura di non essere compreso, mi nascondo dietro ragionamenti
apparentemente logici, che simulino una parvenza di scientificità, o
per paura di non essere preso sul serio, mi nascondo dietro le ampie
spalle di pensatori famosi. Ma non fatevi fuorviare: io parlo sempre e
solo di mie esperienze vissute. Vissute nella sofferenza,
nell’angoscia, nello stupore, nello sbigottimento, ma soprattutto
nell’entusiasmo.
L’uomo quando sogna è un dio, quando riflette è un mendicante. (Friedrich Hölderlin)
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LA VIGNETTA DI RICKY
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COME SPECCHI?
Paolo Sanzani
C
ome specchi? Aggiungendo qualcosa in più…
Credo che la ‘consapevolezza’ sia quella di capire dove finisce la
malattia e dove comincia la propria coscienza, in merito alle decisioni
da prendere nella vita.
A volte una psichiatria troppo invadente toglie il fiato, rendendoti
estraneo a te stesso. Riappropriarsi in fondo della propria esistenza è
forse sinonimo di ‘guarigione’, non dai sintomi, che possono
persistere, ma da quel vuoto esistenziale che ci (mi) pervade ogni
giorno.
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VORREI SAPERE
Paola Scatola
V
orrei sapere cosa mi tieni nascosto nel cuore o nell’anima, se sei nei sensi miei o se sei così con me per caso.
Sei con me, ma ti vorrei non più così nascosto nell’anteporti al caso, nel vuoto mio e nella curiosità tua.
***
Qui con te, qui con me, via da qui, via da te, me
lo chiedi o te lo domandi, me lo chiedi o te lo nascondi. Per curiosità
ti chiedo se vieni con me, ma qui ci sono io e non la tua assenza.
***
Curiosa sono, nascosto stai, ma mi tieni un po’ con te, ti prego, stammi accanto.
***
Se mi conoscessi meglio, saresti contento di rivedermi, invece pensi
ancora a lei e pensi che sia la stessa donna. Ma ti voglio bene
davvero, non scordarlo mai.
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SOLUZIONE DELL’INDOVINELLO
Una mucca!
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LO SFOGATOIO
Giovanni Romagnani
So incassare ma so anche incazzare
So
incassare ma so anche incazzare. In psichiatria il mio percorso vita è
stato a rovescio. Da incazzare a incassare.
Ad un certo punto l'ho presa semplicemente persa. Non credo di
combattere e di avere combattuto con i mulini a vento, credo di
combattere contro un regime reale, ma come il vento che alimenta i miei
mulini, è un regime inafferrabile.
Dicono che lo sciamanismo è nato in Siberia: col freddo. Ugualmente
dagli psichiatri, che giocano a fare gli sciamani, le piume d'aquila
sono sostituite da camici e qualche sigaro; della Siberia hanno la
freddezza assertiva. La versione messicana dello sciamanismo, descritta
da Carlos Castaneda, parla del sentiero del cuore, dicendo anche che
nessun ente può esaurirlo. Il suo battito non può essere imprigionato.
Definire significa uccidere, sostengono i buddisti. Questo i medici lo
hanno capito, ed occidentalmente coi sintomi ci giocano. Veri d.j. di
definizioni ed enti non sanno cosa è il cuore e proprio per questo non
lo vedono in chi hanno di fronte.
Birboni... meglio Luca Carboni!
Basta un poco di zucchero e la pillola va giù
Non mi hanno mai spiegato l'effetto degli psicofarmaci. Solo l'uso. Poi
ne ho fatto abuso: 28 pastiglie di Zyprexa. In pieno delirio di
onnipotenza. Mi sentivo immortale. Lavanda gastrica & T.S.O.
Disintossicazione graduale: ho
rischiato il coma.
Acutamente la Dottoressa F. P. mi ha disse: "Siamo sempre diventati
matti a farteli prendere...". Il fatto è che la cosa mi è stata imposta
male. Coercitivamente. Velatamente obbligatoria. La chiamano ‘terapia’.
Ma per che cosa. Forse per protendere verso una diversa adattibilità? E
gli effetti collaterali? Bugiardino Birichino. O forse per loro il
birichino ero io, bugiardino quando dicevo di prenderli e non li
prendevo.
PUNTURA! Che forzatura.
Una realtà separata quella degli utenti psichiatrici, senza la guida di Don Juan.
Non Vedo.
Non Sento.
Non Parlo.
Mi ricorda certi miei T.S.O.
Lavorare nel disagio sociale
Lavorare nel disagio sociale è un lavoro fottuto. Non si guadagna e si
fa una fatica immane. I risultati non sempre arrivano e spesso bisogna
lavorare sui mezzi risultati e festeggiarli: comunque! Il periodo
storico esaspera le persone che giustamente non hanno pazienza:
vogliono essere aiutati subito. Mi approccio al dolore sociale tramite
il mio lavoro: Operatore di Mediazione presso L'Agenzia Sociale
Articolo 4, Cooperativa di tipo di B facente riferimento al Centro di
Formazione Professionale C.S.A.P.S.A. Delle volte più che mediazione ci
vuole moderazione. In questo mi aiuta il nostro pirotecnico Presidente:
Leonardo Callegari. Vero e proprio guru del disagio sociale, se ne
occupa da oltre trent'anni, mi aiuta nei miei entusiami, a volte troppo
vivaci. Mi ritiene un operatore di prossimità troppo prossimo
nell'offrire caffè. La vita può essere amara ed in quel caso è
improprio metterci zucchero. "Voglio un poco d'amore, perdio!"...
Leonardo mi ha, e spero continui, insegnato tanto. Quello che in Lui
più stimo è la tenacia con cui cerca comunque il meglio o al limite il
meno peggio nelle persone e nelle situazioni. Tutti noi abbiamo una
scintilla divina, che va coccolata, considerata e possibilmente
risvegliata. Uomo dal fuoco sociale, vero Vesuvio di idee, ci mette
sempre in guardia dai rischi di lavorare di fatto molto vicino a
Pompei. È un’esperienza che ormai dura da cinque anni, la mia in
C.S.A.P.S.A., e mi ha aiutato a conoscermi. Ed a capire i miei limiti.
E ne ho. Tra cui la fretta.
Approfitto dell'occasione per ringraziare tutti i miei colleghi, che
non cito ed amo, e le coordinatrici che mi sopportano. Gli Americani
scrivevavo I want You, noi urliamo I want help You, che non significa
Tu ma Voi, perché non vogliamo scartare proprio nessuno.
Qualora lo abbia già fatto ignori questa lettera…
In un
periodo informatico non ti danno le giuste informazioni. Mi arriva una
lettera dell'Inps dove mi si chiede di specificare la mia situazione
contributiva per quello che riguarda il 2013. È la postilla successiva
che ritengo inaccettabile: "Qualora lo abbia già fatto ignori questa
lettera". Capisco che lo Stato Italiano funzioni ad Enti ed Uffici
separati, ma PORCA PUTTANA, a fare loro questa verifica incorrono in
un'ernia?
A me nel ricevere questa richiesta è venuta l'ulcera, ma non mi rammarico, tanto c'è la Mutua.
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SULLA CURIOSITÀ…
Laboratorio di Narrativa – RTP Casa Mantovani
Si dovrebbe vivere se non altro per soddisfare la propria curiosità.
Dylan Dog
L
a curiosità è un istinto che nasce dal desiderio di sapere qualcosa. La
curiosità è una continua ricerca del nuovo, dello sconosciuto, è un
sistema per aprire e rendere più elastica la nostra mente nei confronti
di tutto ciò che ci circonda. Ci siamo chiesti da dove provenga la
curiosità: ebbene siamo arrivati alla conclusione che può essere
qualcosa di innato in noi, ma per capirlo meglio abbiamo pensato di
iniziare da alcuni spunti celebri. Ognuno di noi ha scritto una
riflessione su quanto hanno scritto alcuni personaggi illustri.
La curiosità, questo bisogno insaziabile di conoscenze.
Étienne Bonnot de Condillac
L.L. - La curiosità l’ho sempre avuta, sin da quando ero piccolo.
A.F. - La curiosità allena la mente.
Elisabetta - La curiosità è importante nella vita per conoscere e arricchirsi.
La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La
curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare
reverenza quando si osservano i misteri dell’eternità, della vita, la
meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di
capire un po’ il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità.
Albert Einstein
L.L. - Perdere una sacra curiosità è non perdere la sacra curiosità, ad esempio le voci.
A.F. - Essere curiosi arricchisce il piacere
Elisabetta - Non bisogna mai perdere una sacra curiosità perché serve a rallegrare la vita dandole un tono di inventiva ed energia.
Proverbi Italiani
• Non domandare quello che fanno gli altri, e bada piuttosto ai fatti tuoi.
• Non metter bocca, dove non ti tocca.
L.L. - Non sempre si riesce a farsi i fatti propri… io però ci
provo tutti i giorni per non incappare in situazioni spiacevoli. La
curiosità, se è troppa, è un limite.
A.F. - La curiosità, se mal gestita, porta ad una confusione nel piacere.
Elisabetta - Troppa curiosità fa male e rovina.
Abbiamo quindi scritto alcune nostre esperienze con la curiosità.
L.L. - Da bambino ero più curioso, ora, con il passare degli anni ne ho meno e mi sento spento…
A.F. - La curiosità allena se stessa.
Elisabetta - La curiosità rende la vita frizzante.
COMPONIMENTO DI GRUPPO
Sono curioso e vanitoso,
a volte un po’ rumoroso e pensieroso
e a tratti permaloso.
Guardo in qua e ascolto in là.
Il mondo mi stupisce
e alla fine la curiosità
mi porta alla felicità.
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LA CURIOSITÀ: PUNTI DI VISTA
Centro Diurno di Casalecchio di Reno
L
a curiosità è quella cosa che fa andare avanti il cervello, che lo
tiene in allenamento. Io non sono una persona curiosa però con
l’invecchiamento sarebbe una cosa utile essere curiosi per mantenere il
cervello attivo. La curiosità è lo stimolo a conoscere le cose, ad
informarsi, per aprire la mente anche se è una caratteristica che non
mi appartiene. Da piccolo lo ero di più, mentre con l’andare degli anni
questo aspetto è calato.
La curiosità si accentua molto con i rapporti interpersonali, mi chiedo
sempre qual è il meccanismo che modifica gli umori e gli stati d’animo
delle persone. Per natura sono curioso se qualcosa mi stimola e mi
appassiona. Ad esempio quando guardo un film o leggo un libro che mi
intriga ho bisogno di arrivare alla fine per vedere come si conclude,
immedesimandomi nella storia, fino al punto da arrivare a sentire le
emozioni dei personaggi. Da piccolo rovistavo nella casa alla ricerca
di regali o oggetti con cui giocare, tante volte ho cercato qualcosa
che mi veniva negato e poi nascosto per non essere trovato, tipo il
pallone da calcio che mi vietavano di usare in casa per non fare danni,
oppure la cioccolata di cui ero molto goloso. Adesso la cioccolata me
la compro io e la nascondo per non farla mangiare agli altri.
La curiosità è quella caratteristica della personalità che ci consente
di essere più comunicativi. Tuttavia, occorre che la curiosità sia
moderata, altrimenti addio comunicatività: si passa per essere
invadenti. Bisognerebbe sempre controllare la curiosità, altrimenti
diventerebbe un difetto. Io difficilmente mi addentro nelle passioni
delle altre persone per un motivo di rispetto. Ciò, anche per non
recare danno a qualcuno.
Io sono tremendamente curioso: è un’arma a doppio taglio, che ci può
impoverire e arricchire nella misura in cui sappiamo farne corretto uso
o scorretto uso. La mia curiosità è finalizzata a scoprire l’arcano
negli altri, tante volte uso domande impertinenti per arrivare allo
svelamento. Talvolta mi incuriosisco su particolari estetici di poca
importanza, che però per me hanno valore. Mi capita di essere invadente
anche se cerco di trattenermi. Non ho mai avuto congenito il senso
della misura.
Io sono curiosa da sempre, tant’è che da piccola mi dicevano che ero
curiosa come una scimmia. Mi capita spesso di essere troppo invadente e
diretta con le mie curiosità. Quando sono sull’autobus mi succede
spesso di fissare alcune persone per cercare di carpire qualcosa della
loro vita e mi accorgo di avere uno sguardo troppo intrusivo. Mi
incuriosisce tutto, sia le cose che le persone. Con l’avvento degli
smartphone parte della mia curiosità viene placata.
La curiosità è variabile, aumenta o diminuisce a seconda degli stati
d’animo, quando si è giù di morale l’attenzione è accentrata più su noi
stessi.
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LA CURIOSITÀ: PARLIAMONE
Associazione UmanaMente
Brainstorming
Filippo: La curiosità può essere alternata, dipendente
dall’umore. Se sei triste o arrabbiato il livello di curiosità
diminuirà, mentre se sei felice sarai maggiormente curioso della realtà
che ti circonda.
Oriano: La curiosità nasce quando non ho conoscenza
di qualcosa. Mi è capitato anche l’altro giorno di essere curioso,
quando ho voluto conoscere meglio il poeta Klopstock che non avevo mai
sentito. Luigi:
Esistono infinite forme di curiosità. La prima forma di curiosità dell’uomo è quella riguardante l’acqua e il cibo.
Gruppo:
Si tratta di necessità o curiosità quella che riguarda queste prime forme primordiali di ricerca?
Luigi:
Un esempio di curioso è il paparazzo: il suo interesse riguarda l’esistenza di personaggi illustri e ricchi.
Miria:
La curiosità è uno stimolo a scoprire, ma anche un’attitudine.
Considerando questa seconda visione del tema, la curiosità può essere
considerata un pregio o un difetto della persona. Edoardo:
Riguardo alla curiosità a me era subito venuto in mente ed ho anche
scritto a riguardo di un dialogo filosofico tra Socrate e i suoi
discepoli. Poco prima di prendere la cicuta, Socrate tenta di imparare
a suonare la cetra. I discepoli si chiedono la motivazione che spinge
Socrate, in punto di morte, verso il desiderio di imparare. Egli
risponde che ciò gli provoca piacere. Edoardo propone quindi il tema
della curiosità come piacere di imparare qualcosa.
Gruppo:
La curiosità non sembra avere limiti di tempo.
Nadia:
Sono d’accordo con Filippo, anche per me la curiosità è inversamente proporzionale alla depressione.
Definizione di curiosità
Filippo: Per curiosità alternata si intende anche quel
particolare atteggiamento per cui quando mi sembra di aver scoperto
qualcosa, la mia curiosità diminuisce.
Luigi:
La curiosità è una domanda.
Miria:
Si tratta di un interesse orientato alle cose che non si conoscono..
Nadia:
La curiosità è desiderio, verso le cose belle che ci avvicinano alla conoscenza.
Filippo:
La curiosità è un motore emozionale.
Edoardo:
La curiosità non sempre è positiva, in alcuni casi può anche essere pericolosa. Luigi:
Un proverbio recita che “la curiosità uccise il gatto”. Filippo:
E: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”.
Oriano:
Esiste anche una band che si chiama Curiosity killed the cat.
Contributi scritti
Edoardo Sono curioso, nel senso di imparare tantissime cose.
Da ultimo, ho cercato di affrontare un testo di Joyce che quasi tutti
ritengono impossibile da comprendere. Quando ero depresso non avevo di
questi desideri.
Nadia Curiosità, umore, depressione, ansia. La
curiosità va di pari passo con l’umore. Infatti quando si è depressi la
curiosità è completamente assente. Lo stesso quando l’ansia è
patologica. La curiosità può essere anche considerata una forma di cura
dell’umore, che però non si riesce a stimolare nei casi molto gravi o
cronici di depressione.
La prima volta che la depressione ha tarpato la mia curiosità, e anche
la creatività, è stato a tredici anni. Per la prima volta in vita mia,
a scuola, non riuscivo minimamente a scrivere un tema, cosa che di
solito mi riusciva sempre molto bene. La mia vita da allora è diventata
come un’altalena: curiosità e felicità, depressione e disperazione. Da
qualche tempo ho trovato una forza nuova, la curiosità è sempre più o
meno presente nella mia mente e vivo molto meglio, più serenamente.
Antonio B Ansia e curiosità e umore. L’ansia del
mondo di oggi è causata da una depressione relativa all’evitare cose
negative riviste, e pensare ad immaginare cose che nella mente causano
danni non positivi. L’ansia vista in maniera positiva è paragonata a
disturbi in generale di situazioni comportamentali. La curiosità è una
situazione del vedere e provare emozioni reali di punti di vista
omogenei che fa sì che l’uomo o la donna divengano più consapevoli di
essere i visitatori dell’incontro.
Simone La curiosità e l’umore. La curiosità può
davvero aiutare l’umore, nel non essere sempre concentrati su se stessi
quando si sta male, il che senza dubbio aumenta il malessere. Io lo
vedo soffrendo d’ansia: più mi concentro 'fuori, meglio sto 'dentro'.
Come disse uno psichiatra, il contrario dell’ansia è la contemplazione,
e per contemplare devi essere curioso.
Maurizio La curiosità è uno stimolo a conoscere o
a sapere delle cose che non conosci, oppure per sapere di più, legato
all’umore. Quando una persona è malinconica difficilmente vuole sapere
più cose. Aggiungerei un aggettivo alla parola curiosità, che la
curiosità è femmina, nel senso che proviene in genere dalle donne,
sapere o impicciarsi delle cose degli altri (le pettegole).
Roy Sono molto curioso di leggere i classici greci
e latini. Sono curioso di relazionarmi con le persone. Per quanto
riguarda l’ansia, a volte assumo la terapia al bisogno. Devo convivere
con l’ansia. Quando sto male devo leggere. Sono curioso di leggere
testi antichi; mi piace molto la filologia classica. Quando ho l’ansia
vorrei morire cento volte.
Marco La differenza tra la macchina e l’essere
umano è stata individuata attraverso il test di Turing che ha
individuato il criterio per determinare se una macchina sia in grado di
pensare. Solo l’uomo è in grado di pensare nel senso pieno dell’essere
curioso e del potersi differenziare dalla macchina. A tal proposito si
ricorda il film di fantascienza psicologica Ex machina, che affronta questi temi.
Poesie sulla curiosità
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Caro Faro,
allora… siete pronti a uscire con il vostro ennesimo numero? Io lo attendo con ansia! Lo leggo molto volentieri,
anche perché molti di voi redattori li ho conosciuti personalmente, sia i poeti che quelli che scrivono
in prosa. Complimenti, siete molto bravi e simpatici! A presto, quindi. Un saluto a tutti.
Giusi
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LA MIA AUTOBIOGRAFIA: IO NON HO PAURA
Elisabetta
S
ono nata nel 1965 a Bologna da genitori bolognesi. I miei primi anni li
passai in un asilo comunale, dove mia zia lavorava come bidella.
Abitavo a San Ruffillo, in un quartiere residenziale. Abitavamo in
quarantanove metri in tre persone, io e i miei genitori. Mia madre
lavorava come domestica, mio padre si faceva tutti i giorni sessanta
chilometri con un motorino. Andava per lavoro in un paese chiamato
Monghidoro, dove risiedevano suo fratello e suo nipote. Facevano i
fontanieri e ogni tanto scendevano a Bologna, dove era il magazzino
degli attrezzi e anche molto lavoro. Mia madre lavorando in casa della
padrona mi lasciava alle feste dell’asilo e della scuola. Quando le
scuole erano chiuse mi lasciava con le figlie di queste padrone, a
giocare nelle loro case, oppure, quando ero alla medie, al pomeriggio
veniva una figlia di amici dei miei genitori. Poi verso le sette
arrivava mia mamma e il papà della mia amica per cenare tutti insieme.
Mi ricordo che con un amico di mio padre e del figlio dodicenne eravamo
andati a vedere i Pooh; fu un concerto stupendo e abbiamo visto un tir
rosso dei Pooh, lungo lungo. Quando da piccola passavo dal lattaio mi
soprannominavano “mucca Carolina”, perché compravo quattro litri di
latte al giorno e se passavo dal fornaio piangevo e facevo le tigne.
Perché avevo l’otite.
***
Se si voleva guardare la televisione a colori (noi
l’avevamo in bianco e nero!) sabato andavamo dagli amici di mio padre.
Era molto divertente. Quelle tigne, pianti, morsi che davo ai bambini
dell’asilo le scoprì la bidella mia zia, che mi portò a fare visite e
lì scoprirono che avevo l’otite all’orecchio ed ero da compatire per il
dolore allucinante che avevo. Una cosa bella: l’usanza il venerdì, il
sabato e la domenica di andare al cinema, e dopo la tavolata in
pizzeria o alle sagre o alla festa dell’Unità, dove mio padre faceva il
volontario come parcheggiatore e il gelataio nella festa grande
dell’Unità. Poi arriviamo alle superiori. Studiavo in una scuola per
segretaria d’azienda, che si trovava in una soffitta sporca. Dopo il
terzo anno smisi e presi il diploma triennale.
***
Dai sedici anni frequentavo molto la mia amica S.. Era molto per me e
io per lei. Avevamo la stessa età. Giravamo tutti i giorni con un
vespino rosso ed un Ciao anch’esso rosso. Poi lei prese la patente ed i
suoi le regalarono una macchina. Il suo patrigno gestiva una
pasticceria e la madre con la nonna gestivano un bar con una discoteca
nel mio quartiere. Un giorno incontrai in un bar del centro il mio
futuro marito P., tramite mio cugino con cui lavorava, e lì scaturì
tutto... Una volta che ero uscita con lui a far benzina, incontrammo la
mia amica S.: se ne dissero di cotte e di crude e così lasciai, per
quell’uomo, un’amicizia durata parecchi anni. Sei anni. Dai quattordici
ai diciannove anni.
***
Dopo un anno e mezzo, all’età di ventun anni, rimasi incinta e nacque
M., dopo diciannove ore di travaglio all’ospedale della mia città, il
Sant’Orsola. Vi erano P., mia mamma e il mio papà, ma è entrato solo il
mio uomo con l’ostetrica. Il bambino è uscito per la testa. Mia cognata
disse che aveva la testa a punta. Lei parla a sproposito, ha la bocca
larga. Poi i mesi passarono e mia suocera diceva che M. si era messo la
testina a posto. M. era il più piccolo di sei nipoti. E lo zio single
abitava con mia suocera. Abitando già con i miei genitori andavamo a
trovare i suoceri di frequente. Lo zio aveva abituato M. a musica, cd,
computer. Ed è cresciuto così con questa mentalità.
***
M. nacque l’8 maggio dell’86 e in quell’appartamento eravamo in cinque.
Ma dopo tre anni e mezzo, tramite assistente sociale, abbiamo avuto una
casa al Pilastro, sempre a Bologna. Sessantun metri quadrati: due
camere, una piccola e una grande, una cucina abitabile, un bagno
grande, un ingresso grande e una terrazza grandissima. Ci eravamo
sposati nell’86, con dietro M. che aveva sei mesi. Premetto che a San
Ruffillo, in cinque in un monolocale stavo bene, anche se non era per
cinque persone. Ero felice, stavamo sempre in cortile a giocare con M.
e i miei genitori, e io andavo a fare la spesa con il vespino o il
Ciao, entrambi rossi, con la minigonna e i tacchi alti. Nella nuova
casa iniziarono i problemi. Per i primi tre anni siamo stati
tranquilli. Poi io all’età di ventisette anni sentivo il bisogno di un
altro figlio, ma non veniva. Finalmente nell’ottobre del ’92 rimasi
ancora incinta e andai avanti nella gravidanza senza problemi. Al sesto
mese però ricevetti, alle tre di notte del 12 marzo, giorno del mio
compleanno, una telefonata di mia mamma che diceva: “Corri, papà sta
male, respira male” ed io: “Chiama il 118, chiamalo, chiamalo!”. Nel
frattempo mio marito P. mi lasciava in casa con M., prendeva la
macchina per andare a casa loro. Erano le tre di notte, ma arrivato là
vi era l’ambulanza e non c’era più niente da fare, papà era già morto.
***
Sei mesi dopo mio padre doveva andare in pensione e neanche quella se
l’è potuta godere. Dopo tre mesi giusti giusti nacque una bambina
bionda con occhi azzurri chiamata E., voluta da me con tanto amore.
Sembrava andasse tutto bene, ma dopo un anno circa ebbi una depressione
post-partum: mi mettevo a letto e non facevo più nulla. Mio marito P.
vista la situazione prese i bambini un giorno di luglio del ’93 e se li
portò da mia suocera, e per tre mesi non li vidi più. Prendevo
l’autobus per andare a casa loro ma con risultato negativo. Avevo un
vestito misero. Il fratello e mia suocera chiamavano l’altro fratello
che abitava vicino a loro, che chiamava un taxi e pagandolo mi
rispedivano a casa, perché non mi volevano vedere. Dopo tre mesi si
fece vivo P., sperando che la situazione fosse cambiata. Io stavo
benino. Mi chiese dei soldi per le bollette, ma io non li avevo, così
se ne andò via e mi lasciò ancora sola. Io dalla disperazione di non
vedere i miei figli feci un brutto gesto: presi l’alcool ed un
accendino e mi diedi fuoco. Venni soccorsa dai ragazzi del settimo
piano, che sentirono le mia urla e venni ricoverata a Verona nel centro
ustionati per sei mesi. Poi andai al Malpighi per la riabilitazione al
collo e nel reparto psichiatria dal dottor Chiari. Poi a casa stetti
bene, per diciassette anni.
***
Un giorno arrivò una denuncia a mio marito per stalking alla mia
migliore amica L. e incominciò il calvario. Mio marito non era più lui,
mi picchiava a sangue e io per tre anni venni sbattuta contro porte e
mobili. Con lividi. E poi stavo sdraiata a letto dal dolore. Anche mio
figlio M. mi picchiava. Aveva detto: “Se papà può picchiare posso
picchiare anche io”. Quando E. veniva a casa a guardarmi mi diceva:
“Che stronzi”. Dopo tre anni circa mi recai presso un’associazione,
UDI, Unione Donne Italiane, che mi diede un’avvocatessa senza pagare,
perché io e mia figlia avevamo un reddito basso. E lei invitò E.
accompagnata da me per dirle: “So che tuo papà picchia la mamma. E la
picchia anche tuo fratello”. A mio marito piaceva quando ero timida e
parlavo poco, e voleva che stessi in casa e non scendessi neanche dal
tabaccaio per comprare un grattino da 1€ o un pacchetto di sigarette.
Mi portava un pacchetto al giorno. E se io le finivo dovevo aspettare
le cinque o le sei del giorno dopo.
***
Nascondeva in una cassetta soldi e medicine. Queste me le dava lui la
sera. La mattina senza un soldo non uscivo più, pensavo solo alla
famiglia e alla casa. Non potevo più fare la spesa, perché lui diceva
che spendevo 60 euro per sei persone, che sono tante. Eravamo noi
quattro, più a volte il ragazzo di mia figlia E.. e spesso mangiava e
dormiva anche la ragazza di mio figlio, R. di sedici anni. Un giorno
chiesi ripetutamente che volevo andare alla Conad da sola, ma mio
marito mi venne dietro in macchina. Me lo vidi alla Conad, gli chiesi i
soldi per andare a prendere un pacchetto di sigarette e urlò davanti al
tabaccaio, dove una signora si impaurì e lo guardò male. Pure alla
Conad era conosciuto e il commesso gli disse: “Oggi è venuto con la
moglie? Non la vedo da tanto tempo”. Facendo la spesa, presi una
confezione di cacao per il latte da un euro e cinquanta. E lì brontolò
ad alta voce. Dopo che tutti lo guardarono impauriti, prese la macchina
e mi lasciò lì con uno zaino e tre sporte della spesa. Più faceva così,
più capivo come era fatto quell’uomo. Non era l’uomo con cui avevo
vissuto in quarantanove metri insieme ai miei genitori. Era un altro.
Forse perché mi aveva conosciuto timida e ora nella casa nuova parlavo
di più. Non gli andava più bene.
***
Di notte e la domenica di giorno la gente sentiva e chiamava molto
spesso la polizia. Nei tre anni di sofferenza si mise anche mio figlio
M. di venticinque anni con pugni e calci, refertati in dieci giorni dal
pronto soccorso: viso frantumato, denti rotti, e anche un mento rotto.
Al pronto soccorso andavo il lunedì, perché succedeva tutto il sabato e
la domenica, quando mia figlia E. andava dal ragazzo. Quando veniva a
casa, E. diceva, vedendomi così: “Che stronzi”. Il mandato della
polizia era arrivato nel dicembre 2011, e tutti e due mi minacciarono.
E M., mio figlio lo stracciò. La polizia diceva che li avrebbe
allontanati da casa per Natale ma questo non avvenne. Nel frattempo al
sabato, alla domenica e al lunedì dovetti andare dalla suore di Madre
Teresa di Calcutta per un mese, per protezione. Venivo a casa per
cambiarmi il lunedì mattina, quando loro lavoravano. Poi il resto della
settimana non mi facevano niente, perché c’era E. Il 12 gennaio 2012
mentre ero in piazza ricevetti una telefonata dall’avvocatessa, di
presentarmi nel suo ufficio. Andai e mi disse: “È arrivata l’ora di
fare uscire i suoi uomini”, ha telefonato a casa per cercare E., che
non poteva vedere certe cose. Per fortuna al telefono ha risposto lei.
Con un inganno chiese a suo padre se l’accompagnava al centro
abbronzatura che era vicino allo studio dell’avvocatessa. E là senza
farsi vedere scese fino all’ufficio. Aspettammo con l’impiegata per
un’ora e mezza, mentre l’avvocatessa era andata in motorino a casa
nostra. Già alla partenza di mia figlia e di mio marito c’erano le
pattuglie dei carabinieri, infatti quando scese con E. mio marito
disse, scherzando: “Vengono a prendere me”. L’impiegata per un’ora e
mezza ci parlò gentilmente, fino a quando non tornò l’avvocatessa. Ci
disse che li avevano presi e portati fuori di casa. Che era fatto
tutto. Andando verso casa E. ricevette una telefonata da suo padre, che
diceva: “Cosa hai fatto?”. Ma lei non aveva fatto nulla... cosicché
rimanemmo da sole. Questa è la mia vita: non ho più paura!!!
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FACCIO CONSEGNE AI GAS
Simone Cavazzoli
Mattina presto, non c’è freddo, siamo
ancora ai primi d’ottobre. In casa c’è silenzio, Nicola dorme, Gino non
ha sonno già da un po’. Ieri quel tipo ha portato il furgone… sì, forse
è il caso di dargli un’occhiata. Gino si sbarba con calma, la calma che
ha imparato in quell’appartamento. Una volta erano solo quelle pillole
verdi a portare un po’ di calma nella confusione della testa. Tutti
quei pensieri uno sull’altro come vagoni accartocciati nel fumo di un
deragliamento, tutti quei ricordi di roba che non c’era più e di roba
che era arrivata senza volere… come un tempo d’inverno spiazzante in
una settimana di fine giugno. Acqua tiepida, il bianco della schiuma...
la faccia che - una passata di lama dopo l’altra - torna ad emergere.
Dopo una barba ci sono quei pochi secondi in cui lo specchio
restituisce qualche idea… giri la testa un po’ di qui, osservi, pulisci
bene, perdi tempo… vuoi qualche secondo in più per valutare
l’espressione che hai davanti: sei sempre un uomo, forse ancora un bel
ragazzo, sei appena più tondo, lo specchio non arriva fino a giù, bene
così, oggi non hai voglia di pancia, è un regalo delle pastiglie verdi,
quell’effetto lo fanno. Ma poi mi rimetto un po’ a posto col calcio,
certo, oppure la palestra, certo, sì… boh, vedremo. Camicia pulita...
c’è troppo casino in questo bagno. A Nico l’avevo detto di buttare
tutto in lavatrice, ogni volta le operatrici hanno da dire sul casino
di ’sto bagno, sulla cucina e le pulizie invece ci siamo, la spesa è
okay, buone le salsicce che ha portato l’educatore Dario, ha trovato
’sta macelleria bio in collina. Io poi con le padelle me la cavo, Nico
è sempre contento quando ho un po’ di ispirazione, si mette volentieri
a lavare i piatti dopo, il suo modo di ringraziare. Poi sigarettina e
un po’ di tivù insieme e un altro giorno scorre calmo. Non è che
abbiamo molto da fare, il nostro mestiere è la casa, la mia agenda sono
gli incontri con operatori, un pranzo da mamma, Nico da consolare
quando è teso, un accompagnamento da fare con il furgone della Asl. Che
altro? No, con le puttane non mi va, non era in quel modo che mi
andava. Una volta… una volta… Camicia pulita, il giubbotto, esco senza
sbattere, non mi va di rompere al Nico e non mi va di svegliare
nessuno, mi va di stare solo per un po’, voglio vedere ’sta macchina…
Noi camionisti chiamavamo ‘macchina’ qualsiasi tir, si facevano
confronti. Cos’è che ha detto quel tipo all’incontro di Rimini?
Facciamo consegne in nord Italia, roba anti-mafia, mi serve uno che
resiste ore alla guida, che mi tiene un veicolo sull’asfalto e non fa
cazzate, che quando scarica capisce le mille storie che gli butta nella
testa un cliente… Lo sai, abbiamo clienti strani… no non lo sai, ma lo
vedrai, si chiamano ‘gas’, ma non c’entra lo scaldabagno. Sì, sono
gruppi, gente che vuole roba buona a prezzo giusto, roba che viene da
casini e che fa sentire a tutti che se si sta insieme si sistemano i
casini. Questo ha detto, ho capito poco, però parlava convinto e
sembrava sincero, con quella sua faccia strana, mi sembrava convinto.
Parla come un camion in corsa… magari ci starebbe bene pure lui qui
nell’appartamento della calma. Non è che io mi debba convincere, ora
voglio solo vedere ’sto veicolo. Gino guarda il Daily, è davvero
piccolino, non c’entra nulla con lo Scania da 600 cavalli che anni
prima aveva portato tante volte sulla Bologna-Bari e ritorno… anni
prima… una volta. Però è bellino, davanti i fari sono ampi, il muso non
è male. Sale in cabina e lo spazio c’è, ci stanno le gambe, ci sta la
sacca coi vestiti e la borsina con le merendine e la frutta, più a
destra c’è addirittura posto per un altro, un compagno, un qualcuno…
vedremo…
Ora sono due anni che consegno con Sicilia Vostra, sono responsabile
delle manutenzioni al veicolo, faccio la contabilità di viaggio, mi
stampo le fatture e faccio il programma di carico. Sì, so fare un
carico complesso, dove ci sono casse e bottiglie e vasetti, non mi
sbaglio con queste consegne piccole fatte di mille cose diverse, poi
due chiacchiere e magari un panino e un caffè a casa di una famiglia di
clienti, mi piace fare due chiacchiere, qualche volta ci ho pure
dormito, sì, quando cambiamo regione e i giorni si allungano e passiamo
da una stazione logistica all’altra, da una città all’altra, caricando
e scaricando… Siamo io e il Nico, lui entra in gioco con lo scarico e
le telefonate a tutti poco prima di arrivare. No, la guida non è roba
per lui, ogni tanto si addormenta, ma anche così mi fa compagnia lo
stesso e io lo riporto a casa sano e salvo tutte le volte. Da un po’ di
mesi gli operatori hanno cominciato a dire che devo riflettere
sull’abbandonare l’appartamento e Nico, che tanto non è che lo
abbandono Nico, è solo che è ora che ricominci tutta una mia vita, che
sono pronto. Io non lo so se sono pronto, ci devo pensare. Mi hanno
detto non c’è nessuna fretta. Sì, ci voglio pensare. Le ore di lavoro
stanno aumentando, guadagno più soldi: che devo fare con ’sti soldi, mi
pago un affitto mio? Non lo so se ne ho voglia di stare da solo, di un
appartamento vuoto, e poi col Nico chi ci mettono, magari uno che gli
rompe le palle… non lo so se sono pronto, vedremo… adesso non lo
so…magari tra qualche mese…
Riflettere sulla lotta al sopruso e alle forme di fascismo del
quotidiano ci ha fatto capire che ogni superamento di una condizione di
schiacciamento può considerarsi come una vittoria che butta nella
polvere qualche camicia nera. Noi siamo operativi in grandissima parte
su terreni confiscati alla mafia, ma non è dal sopruso mafioso che
stiamo sentendo sempre più di liberarci. Quella sta per paradosso
divenendo una lotta più agevole, grazie all’appoggio popolare e alle
maggiori competenze culturali su ciò che è mafia. Molto più difficile è
far uscire uomini singoli dall’incatenamento dello svantaggio fisico,
psichico o sociale, che sono condizioni ancora oggi quasi più foriere
di stigma che di collaborazione in cordata. Lo svantaggio psichico
nasce dalle più differenti fragilità, nasce a volte di punto in bianco
per un fatto tragico e triste che ti sommerge. Il nostro Gino era un
giovane camionista con tutte le patenti utili a lavorare sul lungo
raggio e guidando roba molto pesante. Un giorno la fidanzata ha perso
il bimbo che aspettava e poi Gino ha perso anche questa ragazza,
cominciando a scendere gradini prima di depressione e poi di
dissociazione. Gradini lunghi sette anni. Sono stati dei buoni
educatori e operatori sociali a prospettargli delle ‘stazioni di
riposo’ dal suo stato interiore. Queste stazioni sono stati incontri
con psichiatri capaci e dediti ad andare più in là delle medicine ‘da
controllo’, sono stati un appartamento e un compagno di vita quotidiana
con cui affrontare l’agenda di giornata e quando è venuto il momento,
sono stati dei lavoretti che riuscissero a sfruttare la sua capacità
professionale residua alla guida. Le patenti speciali erano perse, ma
almeno la B rimaneva. Tutti si sono resi conto di quanto fosse
affidabile con il pulmino, si vedeva che aveva guidato roba ben più
grossa e che queste automobiline non gli davano nessun pensiero, si
vedeva il relax alla guida e il relax che questo conferiva ai
trasportati. Si è solo cercato qualcosa di più, qualcosa in cui fosse
totalmente responsabile di un gesto tecnico, di una funzione, di un
risultato. Oggi è un uomo fondamentale, affidabile e strategico
all’interno di un percorso di inclusione lavorativa di varie persone
svantaggiate, assunte a nord da parte di un’azienda del sud che piano
piano sta provando a fare cooperazione sociale per davvero, che
guadagna la busta paga per tutti, aiutando anche chi è incatenato dallo
svantaggio psichico a lasciarsi alle spalle questa brutta forma di
fascismo. Ben vengano allora le consegne… e anche questi clienti strani che sono i Gas!
da Pollicino Gnus, maggio 2015
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WE ARE THE CHAMPIONS
Aidrous
I
Diavoli Rossi hanno preso parte alla terza edizione
dell'Olimpiade dell'Integrazione Sociale Sport e Cultura, tenutasi a
Norcia dal 12 al 16 ottobre 2015. La squadra ha vinto il torneo di
calcio aggiudicandosi un bellissimo e prestigioso trofeo, inoltre uno
dei giocatori, Andrea Tonelli, ha vinto la coppa per essere stato il
migliore in campo. Qui di seguito ci sono le considerazioni e i
commenti all'evento di Abel Kadim Aidrous, uno dei calciatori:
"Tantissimi saluti e ringraziamenti alla Polisportiva "Diavoli Rossi"
alla presidente e a tutti gli operatori, utenti, familiari e soci che
hanno programmato e resa possibile questa bellissima esperienza a
Norcia. Devo dire che questa vittoria mi ha riportato indietro nel
tempo,
di
tanti anni, mi ha fatto rivivere le emozioni e la gioia per il
risultato conseguito nella finale di un torneo in Somalia dove per
l’appunto conquistammo il titolo di campioni. Tutti in questo torneo
umbro ci siamo impegnati e dati da fare al massimo, questo ci ha
consentito di vincere un gran bel trofeo, una vittoria così mi e ci
mancava da tanto tempo, il risultato ottenuto ci ha resi felici ed
orgogliosi". Grazie ancora di cuore.
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L’ANIMAZIONE SOCIALE PER ANZIANI ESPLORATORI
dott. Mariana Parera , psicologa e animatore sociale
Iniziai a lavorare nel ruolo di
animatore sociale presso una casa residenza per anziani
nell'impossibilità di affiancare l'animatrice precedente. Ciò mi
avrebbe consentito una conoscenza più immediata degli ospiti. Mi
avvicinavo agli anziani per cercar di capire quale programmazione avrei
potuto proporre alla luce delle loro capacità residue.
Per creare una programmazione di animazione equilibrata, è necessario
impostare un insieme di attività diverse, con stimolazioni specifiche
per lavorare sui vari aspetti che fanno parte della vita della persona.
Attività che si esplicita sull'area cognitiva, motoria, sociale o
comunicativa, sensoriale, culturale e ricreativa. A proposito di
questa, la elenco sempre per ultima visto che nell'immaginario
collettivo l'animazione è fortemente associata all'idea di ‘passarsi il
tempo’. Tuttavia, anche nell'eseguire il gioco più ingenuo che ci sia
per ricrearsi c'è sempre un impegno, una sollecitazione grazie alla
quale le competenze si mantengono in esercizio. (*)
Ritornando alle mie prime esplorazioni sul campo, con le persone
anziane notavo che per alcuni la parola offriva dei buoni servizi per
far conoscenza, ma c’erano persone che non erano più in grado di tenere
un dialogo di senso logico o, peggio ancora, di esprimersi. Al contempo
scoprivo che la maggior parte di loro non era indifferente alle mie
parole né al suono della voce. Mi son trovata a parlare in un
‘linguaggio nuovo’, che non segue le regole convenzionali della
grammatica e della semantica, ma che rende possibile il mantenimento
della comunicazione e la restituzione della dignità umana. Nel
rivolgere la parola ad un'altra persona, noi confermiamo la sua
esistenza, il suo essere persona diverso da cosa, volendo lo si
potrebbe considerare un vero atto d’amore. Non per caso l'opposto
dell'amore non è come spesso si pensa, l'odio, bensì l’indifferenza.
Questa esperienza si riverificava con più anziani affetti da demenza.
All’improvviso in quelle persone in apparenza spente, era possibile
osservare un risveglio, un’espressione sul volto quasi sempre di
soddisfazione e serenità. Imparai che anche su di loro la stimolazione
era necessaria e importante.
Se si prende in considerazione la teoria della gerarchia dei bisogni di
Abraham Maslow, interagendo con gli anziani dalla prospettiva
dell'animazione ci troviamo a lavorare fondamentalmente su esigenze di
tipo sociale e di appartenenza. Loro provano il sentimento di essere in
contatto con gli altri, di ricevere affetto nonché sostegno. Sono
aspetti della vita umana che meritano una maggior attenzione nelle
residenze per anziani a complemento dell'enfasi posta sulle cure di
tipo fisiologico e sulla sicurezza.
Nonostante all'epoca non avessi ancora approfondito l'argomento, deduco
che l’approccio alle nostre interazioni era già coerente con la Validation.
Prendevo le loro idee, parole o gesti come materia prima dei nostri
dialoghi. Affascinata da queste esperienze, sentivo che si stava
generando un'atmosfera di benessere ed è proprio questo l’effetto
ambito dalle figure professionali che si occupano della sfera
psico-sociale della persona all'interno delle strutture per anziani. Il
metodo Validation, consiste nel cogliere ogni manifestazione
verbale, gestuale o di comportamento dell'anziano come l'espressione di
bisogni (Maslow). Noi favoriamo tale espressione in cui talvolta
riaffiora un passato di cose irrisolte, di conflitti in sospeso. Ciò
che proviene dalla mente dell'anziano e che lo coinvolge a livello
emozionale non va rifiutato né misurato in conformità con parametri
culturali o esterni. L'atteggiamento empatico di colui che lavora con
le tecniche di questo metodo è quello di legittimare una realtà
personale. Ci si astiene dall'analizzare o interpretare le esternazioni
della persona, facendo in modo che si senta compresa ed accettata per
aiutarla a ripristinare l'equilibrio emozionale. Con l'intenzione di
arricchire i nostri incontri, iniziai a includere oggetti che potessero
risultare curiosi per attirare la loro attenzione. Con l'obiettivo di
stimolarli, cercavo di sfruttare quel desiderio residuo o quell'istinto
di conoscere che era ancora vivo in molti anziani malgrado il loro
forte disorientamento cognitivo. Pian piano si delineava un’attività
adatta per questo tipo di utenza che nominai ‘Osservazione Curiosità’,
che inoltre si abbinava perfettamente al ‘Dialogo’. L’ho posto fra
virgolette per evidenziare la differenza dai dialoghi a cui siamo
normalmente abituati. Dialoghi privi di senso logico per noi, ma
sicuramente per loro non del tutto sprovvisti di senso. Dai colori,
dalle forme, dalle tessiture e superfici, dai suoni e dagli odori si
procede verso una stimolazione delle funzioni sensoriali, della
motricità compresi i riflessi, dei processi cognitivi e delle
competenze relazionali. Oggetti dai colori vivi, sonori e che si
muovono sono quelli che attirano l’attenzione per primi. I sensi della
vista e l’udito solitamente precedono il tatto e il movimento.
L’anziano tende a contemplare l’oggetto, gli occhi ne seguono il
movimento. L’attenzione rivolta alla cosa è già una funzione di tipo
cognitivo che si è attivata. Qualora questa attenzione si riesca a
mantenere unitamente alla propensione a esplorare l’oggetto si sviluppa
un livello senso-motorio più complesso. Fra l’altro si tratta di uno
spazio di stimolazione che fa contrasto con uno dei più temuti problemi
per l’anziano: la solitudine. La compagnia è tra gli aspetti più
preziosi di questa e di qualsiasi altra attività che si esegua in
animazione. Sappiamo che le malattie di tipo degenerativo hanno un
percorso cronico irreversibile e che con l’adeguata stimolazione
possiamo rallentare il processo di chiusura in sé che si sviluppa con
l'invecchiamento. Al di là di ogni pretesa sui risultati il nostro
impegno deve mirare alla creazione di un contesto di agio, di relazioni
amichevoli e di gradevole compagnia. Nel contempo, nel caso specifico
della stimolazione sensoriale dell'attività che nominai ‘Osservazione
Curiosità’ si tengono in esercizio le capacità residue tramite gli
oggetti, le immagini, la musica di sottofondo e il ‘Dialogo’.
Interagendo con questi anziani disorientati si compie una funzione
importante anche per i parenti, compiaciuti nel vedere che anche i loro
cari sono stati accolti e apprezzati.
Per quanto detto, nella mia esperienza professionale, la curiosità
degli ‘anziani esploratori’ è stata l'anima, il motore trainante per la
creazione di questa attività di stimolazione sensoriale che ha favorito
il coinvolgimento di una cospicua fascia di utenti che a causa della
severità delle loro patologie, rischiano di rimanere al di fuori delle
programmazioni di animazione.
* Mariana Parera, Tombola, anziani mettetevi in gioco!!!, da precedente
pubblicazione di Il Faro: http://www.youblisher.com/p/996199-2012-1/
BIBLIOGRAFIA:
- Rizzoli Larousse, Enciclopedia Universale
- Umberto Galimberti, Dizionario di psicologia, Gruppo Editoriale L’Espresso
- Naomi Feil, Validation - Il metodo Feil, Minerva Edizioni
- Giuseppe Caraglia, Sulla teoria della gerarchia dei bisogni
- http://www.appuntidiscienzesociali.it/Collaboratori/teoriadeibisogni-maslow.htm
LA CURIOSITÀ E L’UMORE: QUALE RELAZIONE?
dott. Gaia Balboni (tirocinante in psicologia presso l’associazione UmanaMente)
La curiosità può essere definita come
il motore dell’intelletto che spinge il soggetto al continuo desiderio
di apprendere. «La curiosità nasce quando l’attenzione si focalizza su
una lacuna nelle proprie conoscenze. Tale mancanza di informazione
produce una sensazione di deprivazione denominata curiosità. La persona
curiosa è motivata ad ottenere le informazioni mancanti per ridurre o
eliminare la sensazione di deprivazione». La curiosità, più
semplicemente, corrisponde al desiderio di conoscenza, alla necessità
di avere a disposizione un numero sempre maggiore di informazioni.
Quest’ultima è motivata da un repertorio di comportamenti, che per
mezzo di essa, ci permettono di giungere a una sensazione di
soddisfacimento, senza ottenere una ricompensa immediata. Le teorie
fisiologiche considerano la curiosità come un meccanismo teso a
raggiungere un livello ottimale di stimolazione dell’organismo. Di
conseguenza, quando il soggetto è inserito in un contesto ambientale
povero di stimoli, attiverà un comportamento esplorativo finalizzato
alla ricerca di questi ultimi. In ambito psicologico, la curiosità può
essere considerata come un comportamento esplorativo. Le risposte
esplorative, hanno un ruolo centrale anche per quanto riguarda
l’attenzione selettiva; permettono infatti di facilitare la
competizione tra gli stimoli, finalizzata all’ottenimento
dell’attenzione, aumentando o diminuendo l’intensità di questi ultimi.
Tuttavia, la funzione del comportamento esplorativo non è solo di
subordinazione all’attenzione selettiva, ma risiede nella possibilità
di rendere accessibile un’informazione, prima non disponibile. I
comportamenti esplorativi sono in stretta connessione con la curiosità,
in quanto quest’ultima implica sempre una ricerca all’interno
dell’ambiente in cui il soggetto è inserito. Appare evidente come la
curiosità e i comportamenti esplorativi siano alla base dell’evoluzione
dell’uomo. Il concetto di 'curiosità' è stato introdotto per la prima
volta nella letteratura psicologica negli anni Ottanta da William
James, che considerò la curiosità come uno degli istinti primordiali
dell’uomo. Anche Darwin si è occupato di tale tema secondo un’ottica
etologica. Freud, invece, interpretò la curiosità umana come un
prolungamento, nell’età adulta, della curiosità sessuale infantile. A
partire dagli anni Sessanta si verificò una rivoluzione negli approcci
a tale tematica; si iniziò a trattare la curiosità in relazione alle
dinamiche dell’apprendimento, che fino a quel momento era considerato
un processo di tipo passivo. La curiosità venne poi concepita come
motivazione biologica fondamentale, distinguendosi dai bisogni
fisiologici di base, poiché concernente la dimensione cognitiva.
Dopo aver illustrato a grandi linee come la curiosità è stata
affrontata in ambito psicologico appare utile specificare che cosa si
intenda per 'umore' e cogliere le relazioni tra questo costrutto e
quello di curiosità. L’umore viene oggi definito come un’indole, ovvero
carattere della persona, inteso come una caratteristica sia costante
che di tipo transitorio, quale disposizione dell’animo. Tale
impostazione può essere fatta risalire a Galeno, il quale riteneva che
il temperamento fosse costituito da una miscela di umori. Secondo gli
approcci medici e psicologici, l’umore viene concepito come stato
emotivo interiore della persona e dipendente dalle disposizioni
affettive che determinano il tono caratterizzante l’attività psichica.
Questa condizione emotiva è in grado di influenzare l’assetto emotivo
della persona, così come anche le funzioni cognitive. Il tono
dell’umore della persona non può essere inteso in senso dicotomico,
bensì lungo un continuum, in quanto suscettibile a variazioni di tipo
qualitativo e quantitativo. Un tono dell’umore persistentemente
alterato può condurre a disturbi dell’umore. I disturbi dell’umore
rappresentano delle alterazioni dell’umore e del comportamento del
soggetto, caratterizzati da una reazione non proporzionale alle
emozioni che l’individuo fronteggia quotidianamente. In particolare, a
livello diagnostico si distingue tra episodi di alterazione dell’umore
quali, ad esempio, episodi maniacali o depressivi maggiori e veri e
propri disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare). Le
ricerche che hanno indagato il rapporto tra umore e curiosità
sostengono la tesi secondo cui il modo migliore per raggiungere la
felicità sia esercitare la nostra curiosità. Ciò appare comprensibile
se pensiamo che la felicità determini l’apertura verso nuove
esperienze, ponendo le basi per la scoperta. La curiosità ci permette
di vedere le cose da un'altra prospettiva, poiché quando essa è
presente si acuiscono i nostri sensi, quali l’osservazione.
In conclusione, la curiosità rappresenta un costrutto complesso,
meritevole di essere approfondito ancor di più dal punto di vista
scientifico, in quanto dalle ricerche citate, emerge che gran parte del
nostro benessere possa dipendere da essa. Per benessere non si intende
solo quello della dimensione fisica ma soprattutto quello mentale, in
quanto, come precedentemente affermato, la curiosità appare un’ottima
strategia di fronteggiamento di numerose patologie ma anche di gestione
dell’umore del soggetto. Attraverso una corretta gestione del nostro
umore, è possibile stimolare la nostra curiosità verso il mondo
esterno, verso nuove ed entusiasmanti esperienze, aumentando il nostro
senso di benessere e soddisfazione.
NOTE
1. Loewenstein, G.(1994) The psychological of curiosity: a review and reinterpretation, Psychological bullettin, 75-98
2. Langevin, R. (1971) Is curiosity a unitary construct? , Canadian journal of Psychology, 360-374
3. Fowler, H. (1965) Curiosity and exploration behaviour, New York, Mc Millan
4. Paul, A. M. (2013) How to stimulate curiosity, The brilliant report, 8-13
BIBLIOGRAFIA
- Fowler, H. (1965) Curiosity and exploration behaviour, New York, Mc Millan
- Kanzmarek, D.L, Baczkowsky, B, Enko, J, Baram,B, Theuns, D, Subjective weel being as a mediator of curiosity and depression, Polish Psychological Bulletin, vol 45(2) 200-204
- Langevin, R. (1971) Is curiosity a unitary construct?, Canadian Journal of Psychology, 360-374
- Loewenstein, G.(1994) The psychological of curiosity: a review and reinterpretation, Psychological Bullettin, 75-98
- Paul, A. M. (2013) How to stimulate curiosity, The Brilliant Report, 8-13
- Todd, K, (2009) Discover the missing ingredient to a fulfilling life, New York, Harper Collins
SITOGRAFIA
www.psicologi-psicoterapeuti.com
www.ipsico.it
www.healthyplace.com
www.psychologies.co.uk
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ANZIANO GUARDA I LAVORI PER MESI
VIENE NOMINATO DIRETTORE DEL CANTIERE AD HONOREM
Huffington Post (www.huffingtonpost.it) pubblicato l'11 giugno 2015.
H
a coronato il sogno di molti suoi coetanei. Ha guardato per mesi i
lavori di un cantiere ed è stato premiato: Franco Bonini, un anziano
signore di San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna è stato
nominato direttore del cantiere ad honorem. È la storia dell’umarell
(così vengono chiamati in bolognese i vecchietti che camminano
commentando i lavori dei muratori per strada e nei cantieri) più famoso
d’Italia. Il vecchietto è stato premiato dal vicesindaco di San
Lazzaro, Claudia D’Eramo, ricevendo il “Premio Umarell San Lazzaro
2015”. L’onorificenza conferita dal Comune vuole riconoscere agli umarell
il loro ruolo storico nel vigilare attentamente sui lavori che si
svolgono nei cantieri del Comune in provincia di Bologna. Bonini è
diventato così l’uomo da sfidare, perché l’anziano signore ha vinto il
premio per la prima fase del cantiere che si è da poco conclusa.
Racconta Bologna Today
che il signor Bonini, “indossato l’apposito casco di sicurezza e
guidato dai cantieristi, è stato invitato ad accomodarsi sul Tifone, il
gigantesco rullo a vibrazione – ha spiegato l’ingegner Monzali – che si
occupa di compattare l’asfalto affinché questo sia stabile nel tempo”.
Bonini ha quindi dato dimostrazione delle sue conoscenze nel campo
cantieristico: “Ai tempi lavoravo per una casa di spedizioni
internazionali e mi occupavo proprio della spedizione di questi
macchinari”.
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JAJOLIN
Darietto
Dedicaro a Jaja Facchini
Holaila, Holaila,
Jajolin, Jajolin, il tuo nido è sui colli
Jajolin, Jajolin, i ragazzi ti fanno ciao
acci-picchia, qui c'è un mondo fantastico
Jajolin, Jajolin, candida come te
Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi
Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi
Ho-la-lai-di, Lai-di, Lai-di, Lai-di, Ha-ho
Jajolin, Jajolin, tenera dolce con un cuore così.
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UMARELLS
Presentazione del libro su http://www.pendragon.it/
M
a chi sono gli umarells?
Umaréin (s.m. bolognese - Omarino).
Umarèll (s.m. bolognese - Omarello, ometto).
Umarells (p.m. omarelli, ometti, pensionati bolognesismo + inglesismo globish). Umarells
indica individui in pensione e non solo che hanno ben poco da fare
tutto il giorno e giustificano la loro esistenza importunando – o
facilitando… – le esistenze altrui, così, tanto per sentirsi utili,
forse. Gli umarells sono ovunque, basta solamente farci caso.
Li possiamo trovare vicino ad un incrocio dove c’è appena stato un
incidente stradale, oppure in un autobus strapieno a litigare con chi
li ha leggermente spintonati, oppure in fila in posta, in banca,
all’Ufficio del Catasto. L’umarell è quello che adora guardare i
lavori stradali, quello che ama le ruspe, le gru, i cingolati in
generale, le auto che eseguono manovre di parcheggio difficoltose, i
negozi di ferramenta, le cantine, i garaggg... e bisogna fare molta attenzione, perché dentro ognuno di noi alberga un po’ di animo umarell, l’importante è rendersene conto. L’idea di creare un blog sugli umarells
è nata per caso a Danilo Masotti in una fredda mattina di febbraio:
l’autore ha iniziato ad osservali, studiarli e pubblicare le loro foto
sul web dando vita ad un incredibile archivio di fotografie che
immortalano le gesta degli umarells nelle situazioni più
disparate. Il blog ha ottenuto più di 300.000 visite in meno di due
anni – una media di 500 visitatori al giorno – numerosi passaggi
televisivi e radiofonici (Rai International, Rai 3, Radio Dee Jay, Radio 2, Play Radio), articoli su quotidiani (Repubblica, Il Resto del Carlino), riviste (D, GQ, Tribe Magazine, Diario della settimana) e siti internet (Libero Magazine, Yahoo Italia). È stato terzo classificato al Macchianera Blog Awards 2006 nella categoria photoblog. Il libro è arrivato di conseguenza: nel maggio 2007 gli umarells sono usciti dalla rete per approdare sulla carta stampata.
PICCOLO LIBRO DELLE CURIOSITÀ SUL MONDO
Cristicchi
Q
uesto mese, dal momento che l’argomento del Faro è la curiosità, ho letto un libro molto strano, che parla in modo inconsueto di geografia. Si intitola Piccolo libro delle curiosità sul mondo
ed è stato scritto da Paolo Gangemi. Il libro è diviso in sette
capitoli, ogni capitolo è formato da paragrafi brevi e autonomi, a
volte divertenti, a volte, a mio parere, troppo descrittivi.
Il primo capitolo parla di monti, fiumi e isole, in pratica di
geografia fisica, ed è molto particolareggiato. Quella che mi ha
colpito di più è la storia di un’isola, emersa di fronte a Sciacca, in
Sicilia, che fu motivo di scontri tra varie potenze. Era stata scoperta
in Sicilia, ma i primi ad occuparla erano stati gli Inglesi, e nella
disputa si erano inseriti i Francesi, che avevano studiato la geologia
dell’isola. A risolvere la disputa ci pensò l’isola stessa, che
cominciò a sprofondare.
Nel secondo capitolo si parla di geografia politica e mi ha divertito
il paragrafo sulle dispute tra Gran Bretagna e Brasile per determinare
i confini della Guyana, risolte da un arbitro imparziale, il re
d’Italia Vittorio Emanuele III, che diede ragione alla Gran Bretagna,
con grande dispiacere dei Brasiliani. Subito dopo il Savoia fu chiamato
ad essere arbitro tra Messico e Francia e anche stavolta diede ragione
a una potenza europea.
Segue un capitolo di geografia economica in cui tra gli altri aneddoti,
c’è quello che racconta che New York fu acquistata da Peter Minuit in
cambio di beni di consumo (perline, bottoni eccetera).
Un altro aneddoto divertente viene raccontato nel capitolo di geografia
umana. Vi si racconta che quando i primi esploratori spagnoli
approdarono a Yucatan, in Messico, furono accolti da una folla di
indigeni, che gridavano: “conéx cotóch”, che nella loro lingua voleva
dire “venite a casa nostra”. Gli Spagnoli fraintesero e pensarono che
questo grido fosse il nome del posto ed è per questo che ancora oggi il
luogo dello sbarco si chiama, un po’ trasformato, Capo Catoche.
Il libro poi prende in considerazione la geografia nelle arti e parla
di una fontana costruita dal Bernini nel ‘600, commissionata da
Innocenzo X. È la famosa fontana dei “Quattro fiumi”, decorata da
quattro statue che simboleggiano un fiume per ognuno dei continenti
noti (l’Australia fu scoperta dopo). I fiumi sono: il Danubio per
l’Europa, il Gange per l’India, il Nilo per l’Africa e il Rio della
Plata per l’America. All’inaugurazione tutti furono entusiasti, solo
che i fiumi sembravano in secca. Innocenzo X non lo fece vedere, ma fu
deluso, allora il Bernini diede ordine di azionare il meccanismo e la
fontana si riempì d’acqua.
Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stato il racconto sugli
Sciapodi, nel capitolo della geografia immaginaria. Esso parla di
esseri con una gamba sola e un piede che usavano per farsi ombra. Gli
Sciapodi erano miti e pacifici ed erano longevi. La loro fama
attraversò il Medioevo ed era diffusa anche nel Nuovo Mondo. La loro
popolarità è giunta ai giorni nostri, infatti ne parla anche Umberto
Eco.
Il racconto più tenero è quello contenuto nell’ultimo capitolo, nel
quale vi è un monologo del pianeta Eris, che si lamenta del fatto che è
stata scoperta dopo Plutone, anche se era più grande e più vicina alla
Terra.
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LA CURIOSITÀ NON HA UCCISO IL GATTO
Parlando dell’album di cover di Laura Pausini Io canto
Luca G.
Un giorno, nel 2006, un ragazzo
appassionato di Laura Pausini venne a sapere che la cantante avrebbe
pubblicato un album chiamato Io canto.
Il ragazzo aspettò il suo arrivo, convinto che si trattasse di un album
di canzoni nuove, come tutti i precedenti. Addirittura, guardando il
trailer di un film con Enrico Lo Verso, lesse che per il suddetto film
Laura avrebbe inciso una canzone di Zucchero, Come il sole all’improvviso.
Egli pensò che si trattasse di una canzone di Laura scritta per lei da
Zucchero. Quello che il ragazzo non sapeva era che si trattava di una
canzone di Zucchero nel senso che era conosciuta per il fatto di essere
cantata da lui. Quando lo scoprì, il ragazzo si fece delle domande, una
su tutte questa: “Se Laura canterà una canzone che è di Zucchero,
allora cosa saranno tutte le altre?”. Qualche settimana dopo, il
ragazzo scoprì che tutte le canzoni del nuovo album, ma proprio tutte,
erano canzoni di altre persone. Alcune non le conosceva, come Io canto, Scrivimi e ovviamente Come il sole all’improvviso. Altre però le conosceva: La mia banda suona il rock di Ivano Fossati, Non me lo so spiegare di Tiziano Ferro, Destinazione paradiso
di Grignani. Il ragazzo si informò, e venne a sapere che il termine
giusto era ‘cover’: versioni di canzoni famose cantate da autori
diversi da quelli che le avevano cantate in origine e li avevano fatti
diventare famosi. Quando i genitori gli regalarono Io canto per
il suo onomastico, rimasero male nel vederlo perplesso e non pieno di
gioia come solitamente accadeva. “È un album della tua artista
preferita, dovresti essere contento!” gli dissero. Il ragazzo disse
grazie, e poi fece intendere loro che avrebbe ascoltato l’album di
cover soltanto dopo aver ascoltato tutte le canzoni originali.
“Perché?!” chiesero i genitori con tono scandalizzato. “Perché alcune
le conosco” spiegò il ragazzo “altre invece non le ho mai sentite
nominare. Voglio ascoltarle, sono curioso”. “Ma cosa te ne frega a te
delle canzoni originali!” fu la risposta del padre, “fai come fanno
tutti: goditi quest’album e basta! La musica è fatta per questo, per
essere goduta! Non ti affannare a cercare altre versioni!”. “Voglio
mettere a confronto le cover con le versioni originali. Voglio capire
quale versione è meglio”, ribadì il ragazzo. “E perché?”, “Sono
curioso”, “La curiosità ha ucciso il gatto!” sentenziò il padre.
Durante la cena, il ragazzo si sentì frustrato per come era stata
incompresa la sua reazione davanti al regalo dei genitori. Addirittura,
aveva il pensiero che i genitori gli avrebbero urlato: “Vai in camera
tua!” come se avesse fatto qualcosa di veramente brutto. I suoi
genitori avevano dato per scontato, quasi ovvio, che lui avrebbe fatto
i salti di gioia, e vederlo reagire così era stata per loro una grande
offesa, quasi un’eresia. Una cantante come la Pausini, la più
apprezzata in tutto il mondo, secondo loro non poteva in nessun modo
essere odiata, tanto meno dal loro unico figlio. “La curiosità ha
ucciso il gatto... ma quando mai?” si chiese il ragazzo. “Da dove salta
fuori quest’affermazione?”. Per un momento, ripensò a un cartone che
aveva visto da piccolo su Raitre, uno di quei cartoni in bianco e nero
che venivano trasmessi la sera in lingua originale coi sottotitoli.
Erano soprattutto cartoni di Braccio di Ferro, ma quello in cui aveva
sentito quel proverbio era un cartone diverso, ma non riusciva a
ricordare quale. “E poi, se la curiosità ha ucciso il gatto, vorrei
sapere: come l’ha ucciso, dove l’ha ucciso, quando l’ha ucciso, perché
l’ha ucciso? E soprattutto, quale gatto ha ucciso?”.
Qualche giorno dopo, sua madre gli raccontò di aver confrontato la versione di Laura di Io canto
con quella originale di Riccardo Cocciante. “Io trovo che Laura abbia
dato serenità a un brano che Cocciante canta come una cornacchia”. Il
ragazzo fece la stessa cosa, e pensò: “Non sono d’accordo! La versione
di Cocciante non è da meno rispetto a quella di Laura, e non la
sminuisce né è sminuita, semmai ne è una versione un po’ più rock,
mentre la canzone originale è una canzone allegra tipica degli anni
Settanta. Una ballata, la definirebbero i ragazzi di oggi”. Il ragazzo
fece una ricerca su Google, e scoprì che il proverbio “La curiosità ha
ucciso il gatto” esisteva davvero, ma non era un proverbio tipicamente
italiano, anzi, era di origine inglese, e per di più il babbo glielo
aveva detto incompleto. La versione totale del proverbio era: “La
curiosità ha ucciso il gatto, ma la soddisfazione lo ha riportato in
vita”. Il ragazzo aspettò che i suoi genitori fossero andati a dormire
per non farsi beccare nell’atto di riflettere sul significato di quella
frase. Forse il babbo avrebbe potuto aiutarlo, ma quella sera il figlio
aveva paura che lui gli rispondesse in malo modo: “Non c’è niente da
ragionare!”. Pensa e ripensa, il figlio tirò le seguenti conclusioni:
la curiosità è alla base dell’intelligenza. Da quando l’uomo ha
iniziato a muoversi sulle gambe e non più anche con le braccia, il suo
cervello è stato in qualche modo stimolato. Trovandosi con due arti
liberi, l’uomo ha cercato un nuovo modo per utilizzarli. Non più come
strumenti per muoversi, ma come qualcosa per ‘tastare’ il mondo che lo
circonda. Una volta soddisfatti i bisogni più elementari, uno su tutti
procurarsi il cibo, l’uomo ha iniziato fare cose più elaborate, come
fabbricare oggetti migliori e più raffinati della clava. E l’uso della
braccia e delle mani l’ha portato sia a soddisfare il desiderio di
ottenere le cose in maniera sempre più facile (dalle frecce si è
passato ai fucili), sia a usare anche le altre parti del corpo. Per
esempio gli occhi. Usandoli, l’uomo si è guardato intorno e ha preso a
farsi delle domande: “Cosa c’è sopra di me? Cosa sono quelle cose
luminose nel cielo?”. Ecco perché sin dall’antichità l’uomo ha sempre
studiato le stelle. Oppure l’udito: “Cosa causa questi versi? Da dove
provengono, chi li fa, che cosa significano?”. In questa maniera l’uomo
ha imparato a distinguere i versi degli animali e a interpretare quelli
fatti dai suoi simili: capire se una persona è triste, felice,
arrabbiata, dubbiosa eccetera, è importante. Non c’è nulla di male a
porsi delle domande su qualcosa. La curiosità non uccide i gatti, anzi,
porta le persone ad informarsi, a sapere più che possono su qualcosa,
se non tutto quel che vogliono.
Se qualcuno vuole sapere tutto su un artista, diventa facilmente
esperto sulla sua vita, sulle sue opere. Se si vuole conoscere una
canzone che attira, che incuriosisce, si impara facilmente la sua
musica, il testo, addirittura c’è gente che arriva a cantarla sotto la
doccia! Se si è più o meno curiosi su qualcosa, è quasi inevitabile che
si impari almeno la minima cosa su di essa. E di conseguenza, si
aumentano le proprie conoscenze, la propria intelligenza. Purtroppo
succede che la curiosità, la voglia di conoscenza, venga soffocata da
cause esterne. Non può essere solamente un genitore troppo stanco per
discutere con il figlio e che lo zittisce per dormire in pace, oppure
gli risponde tanto per rispondergli, ma può anche essere un
atteggiamento di puro rifiuto nei confronti del progresso. Si consideri
Galileo Galilei. Nel Rinascimento venne inventato in Olanda il
cannocchiale, e da esso Galileo ricavò il telescopio. La sua curiosità
e i suoi studi l’hanno portato a scoprire quanto accidentato fosse il
terreno lunare, a scoprire alcuni satelliti di Giove e a contribuire
allo sviluppo della teoria secondo cui è la Terra a girare intorno al
Sole e non il contrario. Andò a finire che la Chiesa lo costrinse ad
abiurare le sue scoperte, considerate eresie, per poi ritrattare ogni
condanna solo dopo più di tre secoli e mezzo. La curiosità non uccide i
gatti. Non c’è nulla di male a porsi dei dubbi su qualcosa. Ne sono la
prova i tanti storici e storiografi che ristudiando il passato, cercano
di stabilire se rivalutare o meno personaggi più o meno illustri, come
Maria Antonietta, che i libri di scuola ci dipingono come vanitosa,
egoista e spendacciona. Ci sono anche libri come parlano bene di certi
sovrani, come Luigi XIV, e altri che ne parlano male. Sono tutte
opinioni diverse di diversi storici. Un altro esempio sono le tante
indagini che si fanno per risolvere dei misteri irrisolti. Capita che i
poliziotti cerchino i colpevoli di un qualche avvenimento di cronaca
nera di cui non si sa o non si capisce molto. Come la strage di Ustica,
o la morte di Pantani. Quando un caso di omicidio o pluriomicidio viene
insabbiato, oppure quando se ne bloccano le indagini perché qualche
potente le trova scomode, questo suona come: “La curiosità ha ucciso il
gatto!” , quindi smettila di curiosare o ti licenzio, si potrebbe
aggiungere. È vero che personalità come Falcone e Borsellino sono state
uccise proprio per le loro indagini sulla mafia, ma ciò non giustifica
il proverbio, anzi: i due giudici sono ancora tenuti in vita per la
soddisfazione che prova la gente comune per il fatto che costoro
stavano lottando contro la criminalità organizzata e anche contro la
corruzione dello Stato. È anche merito loro se la lotta contro la mafia
continua. Senza la curiosità, non saremmo dove siamo ora in merito al
progresso. È stata la curiosità a portare un individuo come Stephen
Hawking, il grande scienziato britannico costretto alla sedia a rotelle
per via della sua malattia che lo tiene immobilizzato, a scoprire i più
reconditi segreti dell’universo e che i buchi neri non sono poi così
neri (essi infatti risucchiano la luce, ma rilasciano anche alcune
particelle). È la curiosità verso gli edifici a portare un ragazzo a
studiare ingegneria e a diventare un bravissimo costruttore, celebre
magari per un ponte o una cattedrale che si studia nei libri di storia
dell’arte. È la curiosità unita alla passione che rende un tifoso
espertissimo di una squadra o uno sport. La curiosità non uccide i
gatti, semmai può comportare qualche rischio, come quelli corsi dai
magistrati o dagli scrittori come Saviano, che girano con una scorta,
ma la soddisfazione di sapere (e far sapere) le cose scoperte
mantengono in vita, nel senso che è valso la pena correre dei rischi.
Se tutti quanti applicassero alla lettera la frase “La curiosità ha
ucciso il gatto”, nessuno si farebbe più domande, nessuno leggerebbe a
o ascolterebbe più niente, e di conseguenza non si imparerebbe più
niente (a cucinare, per esempio). E quindi i libri di ricette e gli
alimenti non sarebbero più
venduti, i programmi televisivi smetterebbero di essere trasmessi
perché non ci sarebbe più nessuno a guardarli e chiuderebbero per bassa
audience, gli editori e i supermercati fallirebbero, e di conseguenza
in conseguenza, il mondo non andrebbe più avanti. Niente più vita nelle
strade e nelle città, apatia, fiacchezza. E questo sarebbe solo il
minimo! Anche Albert Einstein era curioso. Egli a scuola chiedeva
sempre il perché delle cose che venivano spiegate, e perciò ebbe
difficoltà con gli insegnanti. Egli era semplicemente curioso. Gli si
spiegavano le cose, ma non gli si spiegava il perché. Se egli si fosse
attenuto alla frase “La curiosità ha ucciso il gatto”, non avrebbe mai
sviluppato il suo talento per la fisica e non avrebbe mai formulato la
teoria della relatività ristretta e nemmeno fatto sviluppi riguardo
alla fisica quantistica. Insomma, se veramente la curiosità di qualcuno
ha ucciso il gatto, poi questo qualcuno lo ha riportato in vita con la
soddisfazione di aver saputo (e imparato) qualcosa.
Il ragazzo decise di rendere pan per focaccia ai genitori che volevano
bloccare la sua voglia di sapere. Non voleva fare una vera e propria
vendetta, semmai uno scherzo bonario. Fece una ricerca per sapere in
quali dischi si potessero trovare le versioni originali, li prese in
prestito in biblioteca e da alcuni amici, e creò un album originale sul
quale copiò le canzoni originali. Quindi prese le custodie, scambiò il
disco della Pausini con quello che aveva masterizzato e attese la prima
occasione perché il disco venisse messo su. Non dovette aspettare
molto, infatti già dopo due giorni il babbo decise di mettere il CD nel
suo lettore portatile, si mise le cuffie e schiacciò Play. “Argh!”
sentì gridare suo figlio nel corridoio. Egli si sporse in camera da
letto e vide il padre con un’espressione stizzita e interrogativa
stampata in faccia, come se avesse sentito un improvviso rumore di
unghie che graffiano una lavagna. Quindi si mise a ridere. “Cos’è
questa roba?!” urlò il padre aprendo il lettore e guardando il disco
masterizzato. “Eh!” disse a sua volta il figlio. “La curiosità ha
ucciso il gatto, lo hai detto tu!”. “Non è vero!”, esclamò il babbo. Il
figlio sentì una soddisfazione ancora più grande nel sentirlo dire,
quindi si sentì chiedere: “Cos’è questa roba?!”. “Tutte le canzoni
originali dell’album Io canto. Prova, prova!”. Per quasi un minuto, il
genitore scorse tutto il disco, sentendo le voci di Buonocore,
Battisti, Grignani, Zucchero, Vasco Rossi e di tutti gli altri che il
figlio aveva raccolto. “Hai visto?!” dichiarò il figlio. “Ho sostituito
l’album di cover con uno tutto mio, con quelle originali!”. “Che bella
idea!” commentò il padre mezzo stizzito e mezzo divertito. “Credimi
babbo, solo Cocciante può cantare una canzone di Cocciante alla
Cocciante! Come la canta la Pausini può essere meglio o peggio a
seconda dei punti di vista, ma non è e non sarà mai la stessa cosa!”.
“Lo sai che sei proprio scocciante?” esclamò il babbo.
Nei giorni seguenti il ragazzo scoprì che non era il solo a pensarla
come lui. Anche altre persone non erano contente di come era stata
ricantata Anima fragile
di Vasco, anzi, la sola idea che ci fosse una cover di quella canzone
era per loro una cosa scandalosa. Di quell’album di cover il ragazzo
non parlo più, ma si sentì pienamente soddisfatto per come si era
comportato e per aver agito di testa propria, “perché la curiosità non
ha ucciso il gatto”. Poi il ragazzo fece il confronto con Due,
di Raf. Sia la versione originale che la cover pausiniana erano brani
allegri, cantati però ognuno alla propria maniera. “Sarà una bella
cover...” si disse il ragazzo “...ma Raf è Raf!”. Ascoltò la terza
canzone, Scrivimi di Nino Buonocore, e gli piacque moltissimo.
E pensò che non poteva esserci paragone con nient’altro, anche dopo
aver sentito la cover di Laura: “La cover è una versione più dolce
dell’originale... ma i primi secondi mi ricordano tanto Una storia che vale... e poi il brano originale mi fa pensare al sorgere del sole, emozione che con la cover non provo affatto!”. La quarta canzone, Il mio canto libero,
era cantata con la voce flautata tipica del suo interprete più noto, e
anche la versione della Pausini non era da meno. Era dolce anch’essa...
ma non era affatto la stessa cosa. In duetto con un cantante
colombiano, per giunta. Non c’era paragone. Sia per gli amanti di
Battisti che per quelli della Pausini, pensò il ragazzo. La quinta
canzone era Destinazione paradiso, e il ragazzo la conosceva
bene. Quante volte l’aveva ascoltata da piccolo? Come sempre, la
versione originale, o meglio quella di cui tutti conoscevano
l'interprete, gli dava l’impressione di salire su una macchina
fantastica e prendere il volo. Quella della Pausini, invece, gli fece
immaginare un tratto di strada, in una giornata limpida, ma gelida, con
le montagne attorno, e che finiva come iniziava, dentro una galleria,
perché proprio a una galleria gli facevano pensare le note iniziale e
finale. La cosa sembrò al ragazzo molto più evidente persino del fatto
che Laura aveva tagliato il ritornello che Grignani cantava nella
versione originale. Anche Stella gemella l’aveva ascoltata
moltissime volte. Eros cantava le strofe sotto un accordo triste, come
il videoclip in bianco e nero ambientato in un cimitero delle macchine,
mentre il ritornello era cantato sotto un accordo un po’ più allegro, e
il finale addirittura con un modo allegrissimo, che faceva pensare a un
razzo che va dritto verso lo zenit senza fermarsi mai. La versione
della Pausini era un po’ il contrario. Le strofe erano cantate sotto un
accordo lieto, mentre il ritornello con uno più triste. E la cosa non
piacque al ragazzo: “Forse a Eros piacerà... ma non me ne importa
niente se gli piace o no: non mi importa se gli interpreti o gli autori
originali sono più o meno contenti delle cover! Non è affatto la stessa
cosa!”. Il ragazzo non sapeva se Zucchero avesse intenzione di rendere Come il sole all’improvviso
una canzone allegra. Se era così, non c’era riuscito per mezzo della
sua voce, semmai per mezzo del suo spartito, del suo modo di suonare
blues. Al contrario, la Pausini c’era riuscita. E ascoltando la cover,
fatta con Johnny Halliday, egli realizzò che la canzone per il film Salvatore
- questa è la vita era stata riarrangiata, o comunque, tagliata, poiché
dell’artista francese non aveva sentito nemmeno un alito, semmai la
voce di Laura ripetuta, oppure delle coriste. “Pazzesco!” pensò il
ragazzo. “Per anni una canzone viene amata per come è stata realizzata,
poi arriva una cover che è migliore, ed ecco che l’originale non
importa più a nessuno! E se è peggiore dell’originale, tutti a
criticarla e a fare i nostalgici! Eppure, l’effetto delle cover è
proprio questo!”. Sorprendentemente, la cover di Cinque giorni
gli parve molto fedele all’originale, a differenza delle altre. Come
Zarrillo, anche Laura cantava le prime strofe e il primo ritornello con
un tono basso e senza la batteria in sottofondo. E sempre come
Zarrillo, cantava tutto il resto con lo stesso tono intenso, più alto
rispetto all’inizio, e con lo stesso ritmo. “Almeno questa...” pensò.
Il ragazzo rimase piacevolmente colpito anche dalla cover di La mia banda suona il rock.
Certo, Laura usava un testo che non era suo, appartenente a una
generazione che non era la sua, cantava la canzone di Fossati alla sua
maniera, però era anche questa abbastanza fedele all’originale, tranne
che per qualche minuscolo dettaglio, come il “e non
fermaaaaaa-teee-ciiiii” di Fossati trasformato dalla Pausini in un “e
non fermaaaaaaaa-teeeeeeeee-ciiiiiii”, con le sillabe più regolari,
insomma. La stessa impressione che Laura usasse parole che non facevano
solitamente parte dei suoi testi, il ragazzo la provò anche ascoltando
la cover di Spaccacuore: quando prima di allora lei aveva usato
i termini ‘stronza’ e ‘Freud’? Inoltre, mentre Samuele Bersani
manteneva costante una certa pacatezza durante tutta la canzone, solo
leggermente alterata al momento di cantare il ritornello, Laura
alternava la sua dolcezza vocale espressa nelle strofe con una voce più
decisa, più dura, nei ritornelli, suonati con un ritmo non
indifferente: “L’amore spacca il cuore, spara spara amore...” “Eh sì,
ognuno ha il suo modo di cantare. Io, il babbo, la mamma, Laura,
Bersani, tutti. Non siamo tutti uguali, non è affatto la stessa cosa”,
pensò ancora. Una nuova metamorfosi, invece, era stata fatta con Anima fragile:
il pianoforte era sostituito dalla chitarra, e mentre Vasco cantava
dolcemente solo le strofe, facendosi duro nel ritornello, Laura faceva
un crescendo d’intensità tutt’altro che indifferente. Era dolce nelle
strofe, un po’ più forte nel ritornello per poi esplodere nella sua
energia, quando il brano diveniva ritmato dall’effetto della batteria:
“Naaaa, na naaaa, na na!”. E alla fine, il brano aveva il suo epilogo
con Laura che diceva “anima fragile” senza più le note di sottofondo. Non me lo so spiegare:
altro duetto. Laura stavolta canta insieme al suo artefice, Tiziano
Ferro. E mentre il brano originale inizia con una tonalità triste, per
poi farsi più lieta andando avanti, la cover inizia con un ticchettio,
allusione a “quell’orologio che non girava”, per poi mostrarsi ancora
più lieta dell’originale in tonalità, accordi e modo di cantare dei due
artisti, amici da molto tempo. Non era proprio per niente la stessa
cosa. Considerando anche il finale, che nell’originale è un “ma vuoi
dirmi come questo può finire” che a sentirlo è chiaramente una
chiusura, mentre nella cover è seguito da un “può finire” che rende il
finale aperto. Nei giardini che nessuno sa, invece, era stata
ricantata in modo da farla risaltare più incisiva della versione
originale. Infatti mentre Renato Zero cantava la canzone con lo stesso
volume, alzandolo solo di poco, Laura ci metteva del suo, alzando la
voce di molto. Oltre a notare ciò, il ragazzo pensò che la cover fosse
meno allegra dell’originale, dal momento che in quest’ultima c’erano i
ritornelli cantati con un accordo più lieto, quasi di speranza. Come
era il caso di parecchie canzoni dello Zero. La cover non gli
dispiacque, ma a parte stabilire che era stata fatta alla Pausini, non
riuscì a giudicarla in altro modo. Anche la cover di In una stanza quasi rosa
era stata rifatta da Laura con un accordo meno allegro di quello
dell’originale. E ancora una volta, non mancava il tocco tipicamente
pausiniano, con la cantante che accompagnava il testo coi suoi aliti e
dalla parola “Bello!” in poi, cantava con tono squillante, scostandosi
parecchio dal suo collega e amico Biagio Antonacci. Questa volta, il
ragazzo ebbe la certezza che la cover fosse fedele all’originale, ma
con le tipiche caratteristiche di Laura. La cover di Quando,
invece, era piuttosto fedele all’originale. Ma anche stavolta c’erano
gli aliti e i cambiamenti improvvisi di Laura nel tono con cui
pronunciava le parole, mantenendosi fedele al proprio stile e anche
rimanendo a tono con i tocchi che esaltavano lo spartito. Infine, il
ragazzo fece il confronto con le due versioni di Strada facendo:
mentre la versione originale, che conosceva bene, gli sembrava un
allegro brano, leggero, la cover era di foggia più moderna.
Addirittura, l’inizio costituito solo dalla chitarra elettrica e dalla
batteria gli avevano fatto pensare all’inizio di Cuore di aliante,
canzone di Baglioni che al padre non era piaciuta più di tanto. Laura
cantava sempre alla sua maniera, rimanendo però ancora una volta fedele
al modo di fare del suo collega e amico, specie quando cantava:
“vedrai... vedrai... veeee-drai...”, e facendosi squillante più che mai
subito dopo, quando si trattava di gridare “Strada facendo,
troverai...”. Ora egli aveva soddisfatto definitivamente la propria
curiosità. Aveva fatto i confronti che voleva.
Il gatto, se era stato ucciso, ora era tornato in vita.
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IL VASO DI PANDORA
Darietto
F
in da piccolo, quando frequentavo le elementari, poi le medie ed infine
le superiori, la storia era per me una materia molto noiosa perché ti
insegnavano col tradizionale metodo del 'leggi e impara a memoria':
date, nomi e avvenimenti. Questi poi li dovevi ricordare per un qualche
compito in classe.
Non c’era lo stimolo di una curiosità personale che ti spingesse a
conoscere a fondo le bellissime avventure di ogni epoca storica. Poi un
giorno, in TV, cominciai a vedere dei film storici del calibro di 300, Il gladiatore, Il crollo dell’Impero Romano, Attila
e molti altri. Qui mi venne una curiosità positiva che mi spinse a
conoscere personaggi storici e mitologici. Fra i vari racconti, uno mi
colpì particolarmente, quello in cui, invece, la curiosità era
negativa: il vaso di Pandora. Pandora (“colei che ha tutti i doni”) era
una invenzione di Zeus, forgiata da Efesto e da altre divinità, le
quali donarono ognuna qualcosa alla ragazza, che era fatta a
somiglianza dell’uomo, per punire Prometeo quando rubò il suo fuoco per
portarlo tra gli uomini. Zeus ordinò a Ermes di portare la fanciulla
tra gli uomini e di farla incontrare con Epimeteo (“colui che si
accorge in ritardo”), il titano fratello di Prometeo. Epimeteo era
stato avvisato dal fratello di non accettare alcun dono che provenisse
dagli dèi (e da Zeus in particolare) ma era impossibile resistere a una
tale bellezza: il titano s’invaghì subito di Pandora e decise di
sposarla. Detto fatto. Al seguito della fanciulla c’era anche un
misterioso dono divino: uno scrigno antico dal contenuto sconosciuto.
Chi glielo aveva regalato, Zeus, era stato molto chiaro al riguardo:
quello scrigno (vaso) doveva restare sempre chiuso e nessuno avrebbe
mai dovuto guardare al suo interno. Epimeteo nascose il regalo nuziale
e se ne dimenticò, tutto preso com’era a godersi l’eccezionale moglie e
la compagnia degli uomini, esseri che ai tempi non conoscevano e non
subivano cose come la morte, la malattia, l’odio e la fatica... Solo
che Pandora era curiosa. Tanto curiosa. La curiosità era una delle sue
principali caratteristiche e soddisfarla sempre e comunque era una sua
priorità. Il sapere che nella casa che divideva con il marito era
nascosto da qualche parte quello scrigno tanto ricco di misteri le
provocava un certo prurito che era difficile contenere. Un giorno non
riuscì più a resistere: si mise a cercare l’agognato oggetto e lo
trovò. Una volta che il vaso fu tra le sue mani, aprirlo per Pandora fu
un gesto naturale. E così per l’Uomo cominciarono i problemi. Sì,
perché all’interno di quel vaso erano state rinchiuse cose non certo
innocue, come la fatica, la malattia, l’odio, la vecchiaia, la pazzia,
l’invidia, la passione, la violenza e la morte. Queste, liberate dallo
scrigno ormai aperto, si diffusero immediatamente tra gli uomini,
cambiando per sempre la loro esistenza. Si compì così il destino di
Pandora, quello per cui era stata creata. Il mondo cambiò, diventando
un luogo poco ospitale, desolato, duro. E gli uomini divennero
individui molto diversi dagli dèi, ridotti a 'esseri terreni', vittime
di tutti i nuovi mali mischiati tra loro. Solo quando Pandora aprì di
nuovo lo scrigno e fece uscire la Speranza, che era rimasta in fondo,
le cose migliorarono: l’uomo, tra mille difficoltà, riprese infine a
vivere e a credere nel presente e nel futuro.
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LE NOTE DI NOTTE
Giovanni Romagnani
Scrittura creativa
Scrittura Creativa. Raccontarsi per Raccontare.
Dedicata al Dottor Guido Armellini, mio personale maestro.
Gentile, istintivo, ostinato, vanitoso, anarchico. Non necessita identità.
Stupido ed efficace: IL VINCOLO.
L’anarchico di turno ti dice: “Io non ho limiti, io non voglio regole.”
Bravo, gli dico. Ma difficile, non umile. Perché
scartare tutto ciò che è stato già detto. Perché non leggere ciò che è
stato già scritto. Jim è vivo! Scrive qualcuno. Io l’ho letto. Ed ho
capito che prima di insegnare bisogna imparare e prenderne spunto. Una
sorta di Comunismo Culturale. Un fertile Passaparola, più utile del
quiz di Jerry Scotti. Anche perché qui non si vince nulla; la vera
cultura non paga, è scomoda, crea più nemici che amici, alla meglio
genera indifferenza.
Mi viene in mente la poesia L’Albatros
di Charles Baudelaire. Alto il Poeta nello Spirito, goffo fra gli
uomini. Ma lasciatelo divertire e divertitevi con Lui senza irriderlo.
Vuole vivere una favola, non vuole correre e non vuole perdere, non
gliene frega un cazzo delle macchine veloci, ama L’isola di Aldous
Huxley e vive su di una nuvola. Sceglie: Vivere o Niente e sa che ogni
volta, sarà Una Nuova Canzone per Lei.
Le e-mail che mando a Lucia non le rileggo. Non le correggo. Escono da
sole, in momenti di allineamento. Io chi sono? Daniele Bossari lo
chiede a Franco Battiato. Che gli risponde ammettendo di aver fatto uso
una volta di mescalina. Un inferno, mai più, dichiara. Poi la celebra
in Shock in my Town. Traccia uno dell’album Gommalacca. Meglio decidersi. Sì o no. Vivere o Niente. Esistenzialista e non Spiritista. In assoluto è meglio Hegel.
E, E… Meglio di O, O… Io sto in mezzo: meglio... E, di Vasco Rossi, scritta da Pia Tuccitto.
Eterotopie
Credo che questo frammento di Michel Foucault ben si sposi con i temi dell’immigrazione.
Se si pensa che dopotutto un battello è un frammento di spazio
galleggiante, un luogo senza luogo e che è affidato al contempo
all’infinità del mare e che, di porto in porto, …da una casa chiusa
all’altra, si spinge fino alle colonie per cercare ciò che esse
nascondono di più prezioso nei loro giardini, voi comprendete perché il
battello è stato per la nostra cultura non solo il più grande strumento
dello sviluppo economico, ma anche la riserva più grande
dell’immaginazione. Il naviglio è l’eterotopia per eccellenza. Nelle
civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza
l’avventura, e la polizia i corsari.
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LA TROTTOLA A CERVIA
Susanna Marzolla
L’
appuntamento per la partenza con destinazione Pinarella di Cervia era
alle 8 di venerdì 31 luglio, io ero davanti alla Casa della Conoscenza
di Casalecchio già dalle 7.30, qualcuno però mi aveva battuto sul
tempo. Quando il gruppo dei gitanti è stato al completo abbiamo preso
posto su due pulmini e su una macchina guidata da Antonio; nonostante
la giornata da bollino rosso abbiamo preso l'autostrada, dove,
addirittura, non abbiamo avuto rallentamenti di sorta. Arrivati a
Pinarella ci siamo sistemati nel tratto di spiaggia libera, qui abbiamo
bevuto e sgranocchiato degli snack che, come sempre, la Franca ci
offre. Alcuni si sono allungati a prendere il sole, altri hanno
camminato sul bagnasciuga; soltanto una persona ha avuto il coraggio di
entrare nell'acqua, il mare era veramente molto mosso. Sebbene a
Bologna il tempo non lasciasse presagire nulla di buono, al mare le
nuvole si sono via via diradate; ormai è una consuetudine: ogni volta
che ci spostiamo col gruppo della Trottola troviamo sempre bel tempo.
Evidentemente ha ragione Concetta quando dice: “Lassù qualcuno ci ama”.
Intorno alle 13.30 siamo andati al ristorante, in realtà si tratta di
una cooperativa di pescatori che cucina il proprio pescato, così
riusciamo a mangiare pesce fresco, buonissimo e a buon prezzo.
All'uscita ci siamo fatti una serie di foto ricordo, abbiamo fatto un
po’ di shopping ed infine abbiamo ripreso la strada di casa, il
successo della gita al mare organizzato dalla Trottola, è stato pieno.
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TREKKING CON GLI ASINELLI
Roberto A., Giorgio C., Piero P.
Il trekking degli asinelli è stata una
valida esperienza, finanziata dal Progetto Regionale “Cittadini in
Movimento”, nella quale ci sono state meno occasioni di ansia, anche se
è stata comunque un’esperienza impegnativa e che ha cambiato le nostre
abitudini, ad esempio si è dormito di meno. Si è partiti alle 7 e 30
dell’ 11 giugno. Appena arrivati alla stazione Bologna, i diversi
membri si sono persi, alcuni erano al piano ammezzato, mentre gli altri
erano al piano del binario, la stazione di Bologna è un vero e proprio
labirinto, non è facile organizzarsi. Poi con il treno, Italo, siamo
arrivati a Roma e con il pullman a Subiaco, prima tappa del nostro
cammino. È l’ingresso della Ciociaria, il territorio è molto boscoso,
sia i monti che le valli, ed è attraversato da due fiumi, Aniene e
Simbrivio. In certi punti il territorio sembra essere alpino, con
montagne alte quasi 2.000 metri. Subiaco è storicamente importante
perché a pochi chilometri di distanza sorge il Sacro Speco di San
Benedetto, la grotta dove il Santo visse da eremita per diversi anni, e
attorno ad essa è stato costruito il monastero benedettino, tutto
quanto nel corso del ’400. Quindi sia sul piano storico che artistico
si presenta in modo armonioso. A 2 km dal monastero sorge quello di S.
Scolastica, sorella di S. Benedetto. Questo è il classico monastero
benedettino con i chiostri, ed è stato costruito in diverse epoche,
evidenziate dalla diversità di stili architettonici. Abbiamo dormito in
un bed and breakfast a Subiaco, in due mini appartamenti per uomini e donne. L’unica stanza singola è andata a Piero, che russava molto.
Venerdì 12 finalmente conosciamo gli asinelli, sono tre femmine,
Carmela, Gina e Brigida, tre animali molto pacifici, non ci hanno dato
mai un calcio né un morso. L’unico difetto è che facevano i loro
bisogni nei momenti meno opportuni. La guida ci illustra il programma e
scopriamo che non solo dovremo condurre gli asinelli, ma dovremo anche
prenderci totalmente cura di loro: pulirli, lavarli, strigliarli,
eccetera.
Facevamo un giro per la radura e Piero perde l’equilibrio nel terreno
boscoso. Poi vi è una grande operazione di salvataggio: con un coltello
ed una corda riescono finalmente a liberarlo. Poi ci fermiamo sugli
altipiani di Arcinazzo a pranzo. Il paesaggio attorno ricordava un
pascolo di montagna. In serata arriviamo al paese di Arcinazzo, ridente
paese della Ciociaria abbarbicato sul monte, come tutti gli altri
paesi, e lì abbiamo il primo incontro con la popolazione locale. Gli
asini sono un’occasione di richiamo e ci aiutano molto a familiarizzare
con la gente del posto. Ad Arcinazzo 10 km di percorso, circa, e 400
metri di dislivello, facciamo la cena, e il pernottamento.
Sabato
13, dopo aver governato gli asini partiamo da Arcinazzo, in direzione
di Guarcino, il percorso è lungo 20 km di distanza e 300 metri di
dislivello, solo che sarà tutto uno scendere e un salire. Il sentiero
dovrebbe essere praticabile secondo la mappa, perché oltre ad essere un
sentiero del Club Alpino Italiano, C.A.I., è anche il percorso dei
monasteri benedettini. Partiamo: all’inizio tutto bene, poi ci
ritroviamo in mezzo ad una ‘giungla’, secondo incontro con il roveto
pungente. Il roveto ha invaso completamente il sentiero, allora la
nostra guida sfodera un lungo machete e gli asini aprono la pista, così
riusciamo a passare, ma qualche ramo è sopravissuto al trattamento, e
riesce, nuovamente, a graffiarci. Finalmente usciamo dalla giungla, ma
il terreno è pieno di sassi, ciottoli, da lì fino all’arrivo a Guarcino
e la cosa è faticosa soprattutto per Fabio.
Pernottamento in albergo. Ripartiamo alle 9 del mattino, ma volevamo
partire in anticipo, la nostra destinazione intermedia è la Certosa di
Trisulti, ma qualcuno scopre che Guarcino è famosa per i suoi amaretti,
e non si perde occasione per andare a provarli. Così alla fine non
siamo riusciti a partire in anticipo. E ciò si rifletterà sulla
giornata di cammino, perché diventerà la più faticosa, dato che dovremo
camminare sotto il sole. E i rovi non ci abbandonano, e neanche il
paesaggio sassoso. Arrivati, finalmente, alla Certosa di Trisulti,
possiamo finalmente fare una lunga sosta e riposarci. Una vera
‘manosanta’, perché eravamo letteralmente ‘scoppiati’.
La Certosa di Trisulti è un grande monastero cistercense, di
caratteristico c’è il giardino interno, la farmacia antica, la grande
cisterna e, naturalmente, la chiesa, costruita in stile barocco.
Arriviamo a Collepardo e lì abbiamo la piacevole sorpresa di un
comitato di benvenuto: la proloco locale era al corrente del nostro
arrivo e ha approfittato dell’inaugurazione di un negozio per invitarci
al rinfresco. Pernottamento in bed & breakfast e cena in ristorante tipico ciociaro. Grandissima mangiata.
Lunedì 15 dobbiamo prendere l’unica corriera che va verso Roma e parte
presto, arriviamo nella capitale, con quattro ore di anticipo. Quindi
ne approfittiamo per fare un giro per la città. Infine, treno e tutti a
casa.
Una notizia per chi fosse interessato a camminare con noi: per il 2016
stiamo preparando la ‘Via.degli Dei’ (da Piazza Maggiore a Piazza della
Signoria)... sempre più arditi!!! Per chi vuole informazioni
333.6834242.
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La curiosità
Loopa Sonivree
Chi? Cosa? Perché? Come?
Quando?
Sono curioso...
La curiosità è quel desiderio
di conoscere quello che ci circonda.
Vorrei conoscere tutto,
ma questo difficilmente
può accadere!
Sono curioso, molto curioso...
Conoscere mi aiuta
sicuramente a vivere meglio.
Non bisogna però esagerare
facendosi trasportare
da falsi ideali
o vizi nocivi.
Bisogna trovare
il meglio nelle piccole cose.
Quando gli interessi finiscono
ci spegniamo,
bisogna essere aperti ai desideri;
come dei bambini
con la loro purezza,
ma senza la loro ingenuità.
Conoscere per capire...
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La verità
Anonimo
Cercare
la verità.
Costasse
l'esilio
o la morte.
Per dire
che una presenza
di umana dignità
è esistita
sulla terra in remota
silente solitudine.
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Sono stanco
Anonimo
Sono stanco.
Ho visto tutto.
Ho assaggiato
ogni veleno.
Troppo amaro
è il mio sangue
per bramare
ancora
acqua di purezza.
Così
mi arrendo
all'ineffabile
a quel minuto
della mia mai
temuta
scomparsa
dalla terra
dei vivi.
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Vita vita mia
Daniela Mariotti
Come non amarti
noi tutti
e chissà quante altre persone
aspettano;
perché la vita ci ha regalato
tanto ed il sole scotta (19 agosto)
piovono fiori, anche per te
un piccolo bacio.
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Son curiosa
Marcella Colaci
Son curiosa di sapere
aldilà del mare
quali ancore approderanno
se la vita e il sole,
s’incontreranno,
son curiosa di sapere,
vita eterna
o se questa vita
è condannata a naufragare.
Son curiosa di sapere
se d’amore possa rinascere
o se nella morte
troverò l’ambita pace
ed il cielo, se clemente,
mi possa dar voce
in questo lago incastonato di parole
di azioni vaghe e di mille capriole.
Di questo mio vivere
senza muro
né di religione, né di denaro
ma d’incertezza vivo
col mio occhio raro.
Son curiosa
ma dei perché non hanno risposta,
così calpesto questa terra
senza sosta
e se la sosta giunge ad ogni perché,
ci sia un bene, seppur lieve,
ancor per te.
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Una canzone per te
Giovanni Romagnani
Una canzone per Te,
non Te l’aspettavi, eh?
E se fosse Una Nuova Canzone per Lei,
Lei che dorme e non sa che ci sei!
Il Sole Muore, purtroppo,
mentre ascolti le immagini dentro di Te.
Matt'Immagini
un titolo perfetto
per un cortometraggio con Utenti Psichiatrici.
Per non far dimenticare né Sally, né Jenny,
sperando di ritrovare la leggerezza di Silvia.
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Sei un segno
Luisa Paolucci delle Roncole
Sei un segno che mi ha portato Dio
perché sei un Angelo, sopra la mia spalla
leggera voli via per poi ritornare.
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Sei rimasto indenne
Luisa Paolucci delle Roncole
Sei rimasto indenne, ma tutto ti è successo.
Rimani con me e più forti saremo.
Non sai che il Signore ti vede e ti cura
nei secondi di vita
che seguono le tue mosse,
i tuoi istanti.
Cresci con lui e con me.
Rimani giovane nel tuo cuore
e nutrendoti di Lui e di me,
vivi ogni istante più intenso.
Cresci ma non nel cuore,
il cuore giovane vive di speranza
e rimane felice nell'amore,
che lo porta dove vuole.
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I corvi
Luisa Paolucci delle Roncole
I corvi volano, sono felici,
ma noi pensiamo che siano tristi
perché sono neri.
Ogni tanto si fermano
per prendere il respiro,
incontrano un'aquila di mare
dalla testa bianca
e si incuneano verso il mare.
Forse quella nave
con quel filo di fumo
li salverà.
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Come vorrei dare dolcezza
Daniela Mariotti
Il saper dare dolcezza
a porta aperta,
la dolcezza che desidero
sarebbe senza fine,
a piene mani.
Ma non sono abbastanza
per portare
la mia dolcezza,
che si spegne
nelle mani.
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Un altro mondo
Luisa Paolucci delle Roncole
Immaginiamo un sole dentro all'altro:
se ne togliamo uno abbiamo meno caldo…
Ma il mondo precipiterebbe
nell'abisso dell'universo
e ci perderemmo
e forse troveremmo
un altro sole e un’altra luna,
con un altro mondo.
Il mondo magari migliorerà
andando con una navicella a confrontarsi
coll'altro mondo che si è scoperto
più bello e più giusto.
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Il sole anche di notte
Matteo Bosinelli
Dopo aver attraversato la siepe,
venne il buio.
Allora l'uomo entrò dentro il Casolare
dove ogni cosa era ormai illuminata,
fece cento lunghi passi...
e uscì,
facendo la cosa più naturale del mondo:
pianse.
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Cioè
Luisa Paolucci delle Roncole
Cioè, nell'amore e nella gioia dell'esistenza più pura,
sei come un diamante puro e scintillante, non ti rimane
niente della tristezza e del dolore che io e il Signore
ti abbiamo portato via, per darti amore, tanto amore
che ti rassicuri e non ti voglia più veder soffrire,
perché la sofferenza è ingiustizia e l'ingiustizia
un giorno perirà, cioè morirà nel cuore degli impuri.
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È estate
Daniela Mariotti
È estate.
Chiedo scusa alla vita
per tanta tristezza
di cui l'ho riempita,
ormai rimane solo
la speranza del futuro:
borderline
una linea sottile,
e sono vecchia già.
Ma gli altri sono
lieti della fine
torrida; questa mia
primavera sorride
con l'estate che muore.
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La doccia
Paola Scatola
La doccia del tuo amore
mi porta sempre con te
ma sono io che ti voglio
oggi con me.
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Nascita
Greta
Allorché tuonò.
Quel vagito
che s’impaurisce e s’innicchia.
Anche il cielo ritrasse
il suo strascico di tempesta.
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Come siamo ali
Paola Scatola
Come siamo ali
ancora insieme
così io ti voglio bene…
Perché siamo ali,
se non oso di me e di te,
se oso solo lui?
Oggi sono così,
ma domani…
……
ci sarà un poi
per noi?
Domani è l’alba
con te verrò ancora
se mi vorrai.
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Sola
Daniela Mariotti
La solitudine
che non ho voluta
sta qui e mi
abbraccia.
Che devo fare?
La vedo anche senza occhiali.
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Io voglio te
Paola Scatola
Io voglio te
per dirmi cose
che sono imbecilli un po'
e che sono nel semi deserto
delle tue malinconie.
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La natura
Daniela Mariotti
La natura
stormisce dalla pianta
più vicina,
osservo agitarsi
tutte le foglie:
quanta bellezza!
Ci sorride il grande olmo,
che dalla finestra
io amo.
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Io vorrei essere tua
Paola Scatola
Io vorrei essere tua
ma sono solo di me stessa
ed è così che me ne vado
dalle tue carezze.
È così, quando arrivi,
che me ne vado io.
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Secondo me
Giovanni Romagnani
Colui che si denota.
Positivo e negativo vengono dopo.
O non vengono proprio.
E rimane il negativo in genere.
Sottintendere significa offendere?
Secondo me, sì.
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Spighe dorate
Mariangela
Mille spighe dorate
che al primo alito di vento
ondeggiano
e ad alta voce dicono:
"Da madre terra
vogliamo essere strappate
e diventare pane
per chi nel mondo
ha ancora molta fame".
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Il limite
Matteo Bosinelli
Vede, disse allora il Dottore,
lei è stato sfortunato,
perché non ha avuto l' amore
nel momento più delicato.
Che fare della cenere che mi rimane in mano?
Osò allora chiedere l'uomo, triste e accorato.
La conservi, può forse servire al sapere umano...
E vada avanti, non disperi:
l'accompagno io,
non abbia paura,
su un sentiero che sarà anche il suo.
Sarà un viaggio forse non breve,
andremo, insieme,
incontro a tempeste, ghiaccio, lampi e neve.
Ma vedremo anche il sole, splendente,
forse, alla fine, prima del niente.
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DALL’ITALIA AL BRASILE E VICEVERSA
“Curiosando” nelle rispettive esperienze di salute mentale
LA RIABILITAZIONE PSICOSOCIALE - DISCORSO LOCALE E SOFFERENZA GLOBALE
Prof. Dott. Maria Stella Brandão Goulart – UFMG Bologna/Italia 12 ottobre 2015
Chi ha visto un manicomio, li ha visti
tutti. Il problema fondamentale, che il manicomio rende evidente, è la
privazione della libertà. Chi invece si avvicina a un servizio
riabilitativo si misura con un obiettivo diverso: si trova immerso
nelle differenze, nelle specificità, nella sfida al tecnicismo, nella singolarità
del soggetto e delle sue situazioni sociali. Per tre anni, insieme con
l’UNIBO, siamo stati coinvolti in una ricerca, il cui titolo era
“Modelli di riabilitazione psicosociale per pazienti psichiatrici: un
confronto tra le esperienze attuate a Minas Gerais (in Brasile) e
quelle attuate in Emilia Romagna (in Italia)”. La ricerca è stata
finanziata dalla Fondazione di Appoggio alla Ricerca dello Stato di
Minas Gerais – FAPEMIG.
Fin dall’inizio, ci siamo resi conto che la parola ‘riabilitazione’ era, in generale,
criticata e addirittura rifiutata in Brasile. I suoi numerosi critici
evidenziavano che questo termine, per lo meno, non spiegava granché e
che aveva una connotazione moralista e adattativa. Che cosa significa,
infatti, riabilitare qualcuno? Riabilitare che cosa e chi? Quali sono
gli obiettivi di un processo di riabilitazione? Che cosa vogliamo dire
quando parliamo di un suo carattere psicosociale? E, ancora, questo
processo va inteso come un momento successivo al trattamento clinico sensu stricto?
Attraverso i momenti condivisi di questa ricerca, che abbiamo svolto
sia con il Dipartimento di Salute Mentale di Bologna che con il
Coordinamento della Salute mentale di Belo Horizonte, i significati di
questo termine si sono ben presto moltiplicati, tracciando anche delle
‘ibride’ combinazioni. Abbiamo così avviato, specialmente dal 2012, un
processo di dialogo e di riflessione, che non è ancora finito. La fine
di questo percorso è prevista per il maggio del 2016, quando speriamo
di aver maturato meglio le informazioni empiriche che abbiamo colto e
le relazioni che abbiamo costruito tra i due continenti: attraversando
il mitico oceano Atlantico, usando relazioni radicalmente
anticolonialiste. L’obiettivo del nostro scambio sarà un mutuo
apprendimento. L’impegno di produrre una nuova conoscenza sulla
riabilitazione si delineò attraverso l’idea di un ‘confronto’: un
dialogo di avvicinamento tra due esperienze maturate entrambe dalla
metà degli anni Novanta. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sui
Centri Diurni di Bologna e sui Centri di Convivenza di Belo Horizonte,
perché abbiamo identificato delle somiglianze, che si sarebbero
moltiplicate in differenze, offrendoci la possibilità di comporre
problemi e dubbi riguardo alla riabilitazione psicosociale. In questo
processo di dialogo, che si è sviluppato in diverse occasioni sia in
Bologna sia in Belo Horizonte, abbiamo coinvolto studenti, che si sono
recati per un certo periodo nel paese partner del progetto, ma anche
gestori, operatori, pazienti e familiari. In corrispondenza con la
commemorazione della giornata internazionale sulla salute mentale
dell’OMS, abbiamo chiuso l’ultima sequenza delle visite. Il gruppo
brasiliano presente in quest’occasione a Bologna è composto da
rappresentanti dell’Università Federale di Minas Gerais,
dell’Associazione dei Pazienti dei Servizi di Salute Mentale (ASUSSAM)
e dei nostri servizi riabilitativi di Salute Mentale.
Belo Horizonte è una grande città del Brasile, sorta il 12 dicembre del
1897. Ha adesso una popolazione di 2.500.000 abitanti. È il capoluogo
della Regione di Minas Gerais, situata nel sudest del Brasile.
L’esperienza della Salute Mentale della città viene considerata come
un’esperienza di riferimento per la riforma psichiatrica del Brasile.
Ma BH costituisce anche un polo economico e culturale di rilievo
nell’America Latina, con diverse università, tra le quali primeggia
l’Università Federale, un’istituzione pubblica con circa 50.000
studenti. I servizi di salute mentale sono quelli pubblici, dipendono
dal comune e lavorano con una impostazione di tipo anti-manicomiale e
di inclusione sociale. La nostra legge di riforma è del 2001:
sostanzialmente, è analoga alla legge italiana del 1978. Peraltro è
opportuno osservare che il nostro processo di deistituzionalizzazione è
stato fortemente influenzato da quello italiano. Benedetto Saraceno,
nel suo ultimo libro “Discorso globale, sofferenza locale”
si riferisce così alla nostra politica di salute mentale: “fuori
dall’Europa, l’unico paese che ha sviluppato sistematicamente una
politica nazionale di riforma, che dura ormai da venti anni, è stato ed
è, senza dubbio, il Brasile”(p78). Tuttavia, questo non vuol dire che
si sia percorsa la stessa strada. La riforma della psichiatria italiana
ampliò e rinforzò le istituzioni della così detta “psichiatria
comunitaria” e il rapporto con il privato sociale. Nel Brasile, invece,
non sembra appropriato parlare di consolidamento della “psichiatria
comunitaria”, quanto, piuttosto, di costruzione di “attenzione” alla
salute mentale. Questo processo significò, specialmente a Belo
Horizonte, un fenomeno di relativa ‘de psichiatrizzazione’, sia in
riferimento a una critica rivolta all’oggetto del suo fare, sia
semplicemente per la mancanza di adesione alla riforma della
maggioranza degli psichiatri! Sì. Attualmente i maggiori nemici della
“coraggiosa” riforma brasiliana, elogiata in questi termini da
Saraceno, sono proprio le associazioni degli psichiatri. In mancanza di
una vera centralità e di una consistente presenza della psichiatria nei
servizi territoriali, si è venuto configurando un modello specifico di
risposte tecniche, cliniche e sociale. La psicologia ha guadagnato
sempre più centralità, tenendo conto che, già da tempo, cercava di
conquistare nel territorio la costruzione di una metodologia clinica in
grado di affrontare i casi psichiatrici più gravi, quelli in crisi
acuta e prolungata, e in particolare, in grado di affrontare le
psicosi. In Belo Horizonte, vero caso paradigmatico, questo processo si
è potuto realizzare attraverso il passaggio aperto dalla prospettiva
psicanalitica lacaniana, arrivando ad una clinica sociale. La
‘de-psichiatrizzazione’ si rende evidente nel rifiuto di usare termini
che ci riportano al paradigma biomedico. Si evita, ad esempio, di
utilizzare formalmente le parole come ‘malattia mentale’. La soluzione
trovata, come risultato di un vigoroso dibattito critico occorso
durante il processo di costruzione della nostra legge, sono state le
espressioni: soggetto portatore di sofferenza mentale (come compare
nella nostra legge) o persona con sofferenza mentale o ancora cittadino
con disturbo mentale. In questo modo si evita di dare enfasi alla
malattia e si cerca di pensare piuttosto al soggetto, alla persona o al
cittadino. Oltre a ciò, analogamente all’Italia, le particolari
condizioni di applicazione della legge e le relative libertà regionali
hanno raffigurato uno scenario molto diversificato, con tante matrici
storiche che si sono adeguate alle più diverse rappresentazioni
politiche, sociali ed economiche. L’espressione applicazione della
legge ‘a pelle di leopardo’ è un modo di dire comune in Italia, ma
rappresenta un termine ugualmente adeguato alla situazione brasiliana.
Si tratta di un disegno realizzato durante un lungo processo critico,
sviluppato all’inizio degli anni Sessanta, interrotto dalla dittatura
militare e che si è riaffermato alla fine degli anni Settanata, quando
Franco Basaglia è invitato a parlare durante le sue famose “conferenze
brasiliane”, che si realizzarono in un contesto di grandi
mobilizzazioni sociali. Tra le più consistenti mobilizzazioni, c’erano
proprio quelle svolte a Belo Horizonte. Non è quindi senza motivo che
la rete di Attenzione Psicosociale della nostra città si è venuta
affermando come una delle reti più mature del Brasile, in funzione del
suo carattere alternativo agli ospedali psichiatrici e alla sua
capacità di risposta alla crisi. È una rete che resiste ormai da
vent’anni. Resiste perché c’è ancora in Brasile un’estesa e profonda
discussione riguardante il tipo di paradigma da attribuire alla
riforma: e ciò avviene, anche se è esponenziale la crescita
dell’attenzione comunitaria o territoriale, e se i letti negli ospedali
psichiatrici sono stati ridotti della metà. Ci sono dei problemi che in
Italia non sembrano molto dibattuti: i letti nelle case di cura
private, ad esempio, non sembrano costituire un tema preoccupante, come
non sembrano esserlo la presenza di comunità terapeutiche gestite dal
settore privato, vincolato per lo più al settore filantropico e a
quello religioso. Per noi invece queste ‘soluzioni’ costituiscono una
minaccia alla ‘libertà’, come valore, che si oppone al rischio di
sequestri e di sospensione arbitraria dei diritti. La salute non può
essere un oggetto di mercato e non può essere collegata a credenze
religiose. È invece un diritto che è connesso all’esercizio
dell’autonomia. Non si può tollerare nessuna forma di discriminazione e
di esclusione. Esistono in Brasile vari progetti di attenzione
territoriale che sono sostenuti dalla politica di salute mentale e che
non si riducono a riforme di ‘psichiatria comunitaria’. La domanda è:
chi ha il potere di governare / curare la follia? Alla fine, molto
frequentemente, la psichiatria si rivela infatti più un campo di
battaglia che un campo di conoscenze. E tuttavia questa domanda è
ingannevole e pericolosa. Il problema principale è giustamente
l’opposto: nessuno ha il potere sulla follia e tutti i tentativi di
controllo hanno degli effetti politici perversi, se non addirittura
violenti. Ogni apparato monologico, improntato a una logica sola ed
esclusiva per affrontare la sofferenza mentale è in sostanza una forma
di istituzione totale che dovrebbe essere superata o meglio “negata”,
come ci ricorderebbe Franco Basaglia. Tra tutti (ci ricorda Pelbart) i
manicomi mentali sono i più pericolosi e insidiosi. Quale potrebbe
essere il rischio di produrre omogeneizzazione del sociale attraverso
azioni riabilitative? E così, potremmo supporre che il disegno
istituzionale più adeguato dovesse essere proprio quello ‘a pelle di
leopardo’. E per di più sarebbe forse possibile essere più radicali,
introducendo un effetto caleidoscopico in questa immagine, decostruendo
e proponendo, permanentemente, il disegno dell’accoglimento inclusivo e
della convivenza. Forse questo potrebbe essere un valido indicatore
valutativo: quanto più differenze, tanto meglio! Quanto più un servizio
è dinamico e propositivo, allora tanto meglio. Quanto più specifico e
sensibile a ciascuna situazione, tanto meglio! Quanto più dinamico,
tanto più capace di colorare tutto il tessuto sociale: superando i
vuoti e gli iati del disprezzo pubblico. Tutto questo ci conduce a una
situazione scomoda dal punto di vista della razionalità amministrativa?
Forse no. Faccio in questo momento un elogio al CUFO e al progetto
PRISMA, che accoglie le diversità propositive degli utenti e delle loro
famiglie e a tutte le associazione e cooperative che abbiamo
conosciuto, collegate al lavoro dei centri di salute mentale e di
quelli diurni. È fondamentale l’investimento nel protagonismo della
società civile, senza perdere di vista l’esigenza di accompagnare
l’impatto sociale politico determinato da queste azioni. Come
qualificarle allora? In sostanza: è la malattia che porta sofferenza? È
la salute che libera dalla malattia? (Costa, 1976) Di solito, si può
constatare come siano, invece, lo stigma e il pregiudizio che producono
malessere e infelicità nelle persone con sofferenza mentale grave.
D’altra parte una cosi detta ‘salute mentale’ può significare un modo
piatto di stabilità psichica, ottenuta attraverso una pesante
utilizzazione di psicofarmaci. La stabilità rischia di essere ridotta a
una semplice remissione dei sintomi in un soggetto ormai screditato,
senza futuro, senza alcuna aspettativa. Anche la cura dunque può
portare sofferenze e solitudine. Ma riprendendo il punto di partenza:
come possiamo valutare quello che accade nei Centri di Convivenza di
Belo Horizonte? Possiamo condividere già qualcosa di quanto abbiamo
imparato, attraverso una ricerca partecipativa e qualitativa che sta
per finire. La caratteristica transdisciplinare del lavoro in salute
mentale, realizzato a Belo Horizonte, osteggia fortemente la tendenza
mondiale di una patologizzazione dell’esistenza e di una
medicalizzazione della vita; contrasta, in particolare, quella
moltiplicazione delle diagnosi psichiatriche che alimenta la voracità,
immorale e amorale, dell’industria farmaceutica. I Centri di Convivenza
fanno parte integrante della rete di salute mentale territoriale che
ha, come suo nodo di referenza, il Centro di Salute Mentale, analogo a
quello italiano. Sono pertanto integrati a un complesso apparato
clinico, che si propone di affrontare tutte le situazioni di sofferenza
mentale grave e intensa, e tra di esse, in particolare, le psicosi che
sono ritenute una chiara priorità. I Centri non cominciano a lavorare
dopo che è già stata risolta la crisi del paziente: sono in grado di
offrire riabilitazione anche durante la fase acuta. Ma, senza dubbio,
gli obiettivi riabilitativi dei Centri di Convivenza si muovono
attraverso un intervento di tipo culturale e artistico. Questo vuol
dire che non sono dei servizi sanitari: sono piuttosto dei centri
sociali. In questo senso si deve affermare che non sono coinvolti in
processi di prevenzione, né in quelli di promozione della salute
mentale. C’è, piuttosto, una condotta etica che si rivolge al paziente,
cerca di rispondere alle sue sollecitazioni, consentendo un accesso che
è, per definizione, libero e aperto. In generale si chiede, come
prerequisito, la raccomandazione di un professionale della sanità, che
può essere sia uno psichiatra che uno psicologo. Ma chiunque può
teoricamente arrivare al centro da solo. Questo stile di lavoro non è
frutto di una decisione tecnica: è piuttosto il risultato di scelte
strategiche scaturite da dibattiti che, fin dagli anni Ottanta, si sono
svolti, in Brasile, nel corso delle conferenze di salute mentale. E
tuttavia questo stile di lavoro non è ancora stato sottoposto a
regolamentazione. Di conseguenza mancano risorse e appoggio normativo
ed è soltanto il Comune che si prende carico delle spese. Questa
situazione paradossalmente apre a una certa possibilità d’invenzione e
permette lo sviluppo di una dinamica particolare di
deistituzionalizzazione che sostiene, in Brasile, una lotta permanente
contro i manicomi: sia quelli fisici sia quelli astratti… i manicomi
mentali. I Centri di Convivenza, che abbiamo studiato, si trovano in
ciascuno dei nove distretti amministrativi dalla municipalità. Sono
coordinati, in maggioranza, da psicologhe che sono, per l’appunto,
cinque. Uno di questi Centri è coordinato invece da una farmacista, che
lavora in una prospettiva diversa da quella della sua disciplina e
molto più simile a un atteggiamento psicosociale. Complessivamente però
sono presenti anche altre professionalità, come i ‘terapeuti
occupazionali’. Le psicologhe coordinatrici dipendenti del Comune
sostengono un lavoro di rete tra di loro e con altri settori che
sviluppano politiche sociali. Le équipe degli operatori dei centri sono
costituite, in maggioranza, da professionisti di livello superiore, con
una formazione artistica o con abilità artigianali o artistiche, tanto
nel campo della pittura, del disegno, della scultura, quanto in quello
della letteratura, della musica, della danza, del teatro, del video,
della fotografia, del fumetto ecc. Questi dati ci consentono di mettere
a fuoco una sorta di dinamica, che pone l’accento sull’importanza dei
processi e non tanto, e soltanto, sul peso dei prodotti. Il processo
fondamentale è infatti la costruzione di una ‘uscita soggettiva
individuale’, sia che ci si riferisca al singolo, che al collettivo.
Questo processo accade in uno spazio che appartiene a tutti, ma che è
anche di ogni singolo soggetto. Ogni persona vi si muove a suo modo e
non è fissata a una logica universale o normalizzatrice. La singolarità
di ogni soggetto, del suo funzionamento psichico e della sua storia di
vita sono rispettati. La convivenza creativa è enfatizzata perché
provoca l’autonomia e stimola i legami sociali intersoggettivi: la
fiducia, l’amicizia, la simpatia e tante altre possibilità. La
‘convivenza’ creativa è letteralmente il mezzo, lo strumento e il
risultato permanente: non importa quale sia l’attività che, all’interno
del laboratorio, viene offerta. Il soggetto deve trovarsi a suo agio
nella situazione in cui si trova. Da questa complessa situazione
nascono i progetti personali e collettivi, che possono costituire un
appoggio per la ripresa della gioia di vivere e di relazionarsi con gli
altri. Queste circostanze possono suscitare delle possibilità di
reinserimento sociale. Un esempio che rende evidenti queste possibilità
è rappresentato dal lavoro del SURICATO: un’associazione che apre la
possibilità di lavoro e di produzione di reddito. Il principio che
orienta le persone verso la costruzione di obiettivi di vita emerge da
una condizione collettiva, nella quale si dialoga e ci si apre alla
possibilità di ripresa di significati nei rapporti sociali.
L’inserimento lavorativo tuttavia deve tener conto dei rischi di un
mercato che generalmente non è per niente solidale e cooperativista.
Siamo in presenza, invece, di un paese, dove i rapporti di sfruttamento
sono una minaccia permanente. La situazione è particolarmente delicata
in questo momento di forte crisi economica, ma questa difficoltà era
già presente da molto tempo prima! L’esclusione dal mercato lavorativo
è un grosso problema in Brasile (ma certamente non riguarda solo il
nostro paese!). Se poi una persona ha anche una diagnosi psichiatrica,
allora si può immaginare come le cose si complichino ulteriormente. C’è
da fare anche una importante considerazione: al di là di ogni buona
intenzione, il nostro paese non ha mai raggiunto una condizione di welfare state e la cittadinanza è un bene prezioso che non appartiene ancora a tutti.
Ritorniamo ai nostri Centri di Convivenza. I progetti vengono
sviluppati dalle coordinatrici e dagli operatori in una realtà concreta
di opportunità e di rischi.
Si va da un caso a un altro, piano piano, riuscendo a produrre legami
interpersonali e sociali. Il percorso dipende dalla specificità di ogni
persona e dalle risorse di ogni Centro di Convivenza. Le azioni che si
vengono sviluppando possono riguardare tanto l’acquisizione di una
tecnica specifica, come l’organizzazione della grande sfilata di
protesta della “Scuola di Samba Libertà anche se Tan Tan”, che
coinvolge tantissime persone in un lavoro che dura almeno cinque mesi;
quanto può riguardare la pubblicazione di un libro, o l’organizzazione
di un festival della canzone. Le azioni possono riferirsi agli esercizi
quotidiani di allungamento fatti collettivamente (il ‘Lian Gong’), come
l’organizzazione di competizioni sportive come i giochi della
primavera. Per non parlare delle attività di teatro, dei mercatini di
vendita di prodotti di artigianato, delle gite, delle mostre di arte,
dei processi di alfabetizzazione ecc. Gli esempi sono letteralmente
infiniti perché gli obiettivi riabilitativi non sono prefissati. Le
decisioni spesso sono prese in contemporaneità con le cose che emergono
durante i processi di convivenza: c’è, in questi contesti, una
permanente possibilità di cambiamento e di innovazione. Si cerca di
valorizzare il “potere segreto e ammirabile di mescolare i codici, di
sovvertire le regole del gioco e di spostare i limiti…” (Pelbart,
1990). Si apre il dialogo con la dimensione dell’estraneità, con
l’alterità, attraverso la costruzione di potenti legami. Ovviamente,
bisognerebbe parlare un po’ di più della struttura e
dell’organizzazione dei Centri di Convivenza: e indubbiamente su questi
argomenti parlerà con più competenza Marta Soares. Ma, ancora una
volta, voglio ribadire che la ricchezza di questa pratica non si trova
nell’organizzazione. Per usare uno slogan, si potrebbe dire che la
ricchezza si trova nello stimolo alla scoperta e all’inventiva. “Non bisognerebbe insegnare al folle come diventare normale”!
È questa l’opinione paradigmatica di uno degli operatori che abbiamo
intervistato: in questo modo provocatorio ha enfatizzato lo stile di
lavoro, volendo lasciar chiara una prospettiva non adattativa molto
condivisa. Non si può perdere di vista anche un’altra funzione svolta
da queste strutture: sono luoghi protettivi, luoghi di riferimento e di
appoggio contro la violenza e lo sfruttamento. Questo vuol dire che
chiunque può sempre rientrare, anche per prendere un caffè e salutare
gli amici. Le porte sono sempre simbolicamente aperte. Questa, in
sostanza, è la convivenza!
I laboratori dove nascono i progetti, personali e collettivi, non
vincolano formalmente gli utenti. Loro hanno sempre la possibilità di
sperimentazione, possono proporre cambiamenti, possono modificare le
attività, costruendo attivamente la loro presenza.
C’è una grande enfasi nella dimensione dello scambio tra utente e
operatore – sia costui un artista sia un artigiano. Ma di là da ogni
scambio orizzontale, si promuove sempre l’idea di uno spazio
‘potenzializzante’ che costruisce risposte attraverso delle dinamiche
creative. Verrebbe quasi da dire che si impara ‘l’arte di vivere’. La
libertà e la creatività sono le parole di ordine che definiscono il
tipo di empowerment che guida le pratiche nei Centri di Convivenza. La
felicità e il benessere si associano con il principio della
flessibilità che crea, a sua volta, le condizione per una ‘ripresa’
della voglia di vivere, di esserci, dentro la società. Cosi l’utente
può trovare le possibilità e le vie di ricostruzione di nuovi rapporti:
la sofferenza impone nuove condizioni e nuovi limiti... Per concludere:
che cosa significa riabilitare? Per che e per chi? Quali sarebbero le
mete da raggiungere in un processo riabilitativo? Come definire la
dimensione ‘psicosociale’? Molti di questi quesiti rimangono ancora
aperti. E tuttavia, i Centri di Convivenza, per gli utenti, sono,
fondamentalmente, una nuova opportunità di ripresa della propria vita.
Sono una possibilità di resistenza contro l’indifferenza e
l’affermazione della singolarità che abbraccia la storia e la
sofferenza personale e la ripropone produttivamente. È un esercizio di
libertà, e questa, non c’è dubbio, è terapeutica!
BIBLIOGRAFIA
SARACENO, B. Discorso globale e sofferenze locale, Milano: Il saggiatore, 2014.
COSTA, J. F. História da psiquiatria no Brasil, Rio de Janeiro: Editora . Documentario, 1976.
PELBART, P. P. Manicômio mental: a outra face da clausura, São Paulo:Editora Hucitec, 1990.
CARTA DE BOLONHA
ASUSSAM-MG, Belo Horizonte, 1 settembre 2015
Cari utenti e familiari, cari operatori
dei servizi di salute mentale dell’Italia, noi vi ringraziamo molto per
aver accolto Emílha e sua sorella Leida, all’interno delle attività di
queste giornate. Durante questo periodo si potranno scambiare alcune
esperienze sulla riabilitazione sociale per i portatori di sofferenza
mentale, così come si sono realizzate in due diverse realtà: quella
brasiliana e quella italiana. La realtà brasiliana è molto ricca e
multiforme, ma presenta anche gravi diseguaglianze sociali. La politica
anti manicomiale dei nostri servizi pubblici di salute mentale si
prende cura dei suoi utenti con il proposito di alleviare anche queste
diseguaglianze. Di conseguenza i suoi interventi sono intersettoriali e
cercano di associarsi con altre politiche: con le politiche sociali, ad
esempio, e, poi, con quelle culturali, di assistenza sociale, del
lavoro ecc.
I Centri di Convivenza sono un nostro strumento riabilitativo, che
agisce nel campo della salute e della cultura. In questi centri si
favoriscono offerte di arte e di artigianato, che, intervenendo nella
cultura, favoriscono l’inclusione della follia nella città.
Sull’inserimento lavorativo per gli utenti in sofferenza mentale,
esistono, in Brasile, alcune esperienze efficaci di produzione di
lavoro e di reddito. Queste esperienze cercano, nell’ambito della
‘politica di economia solidale’ e di altre forme di organizzazione, di
conquistare il diritto al lavoro, in un modo libero ed emancipatore.
L’attuale politica del governo brasiliano ha formalmente incluso gli
utenti dei servizi di salute mentale all’interno delle iniziative
rivolte ai disabili. Oggi tuttavia siamo preoccupati per la situazione
economica del paese, che potrebbe portare a un cambiamento di questo
indirizzo.
Siamo invece molto contenti della nostra militanza anti manicomiale.
Attraverso la promulgazione delle leggi, abbiamo conquistato la
garanzia che la politica della salute mentale sia riconosciuta, a tutti
gli effetti, come una politica del nostro stato. Un ostacolo per la
conquista dei diritti sono tuttavia i pregiudizi ancora presenti nella
nostra società. Il pregiudizio è, particolarmente, proposto e
rinforzato dai mezzi d’informazione, quando un paziente psichiatrico
commette un crimine. Al contrario la chiusura degli ospedali
psichiatrici e la costruzione della cittadinanza per gli utenti in
disagio mentale, ha cambiato positivamente il tipo di convivenza tra la
società e i portatori di disagio psichico. Ma è necessaria un’attiva
militanza anti-manicomiale, poiché gli utenti psichiatrici, ancora,
soffrono forti discriminazioni, proprio in campo sanitario, per il
riconoscimento dei propri diritti, particolarmente quando si trovano in
condizioni di crisi psicopatologiche. C’è dunque ancora molto da fare
nella salute mentale, nonostante la nostra vivace militanza, per
arrivare, in molti casi, a un’effettiva conquista dei diritti e della
cittadinanza e per raggiungere la decostruzione dello stigma della
pazzia. Per rispondere al diritto di trasporto dei pazienti per
accedere ai servizi di salute mentale, il Servizio Sanitario Nazionale
brasiliano (SUS) ha messo a nostra disposizione agevolazioni negli
abbonamenti sui trasporti. Vorremo conoscere: come funziona l’accesso
ai servizi di salute mentale da parte degli utenti, qui in Italia?
Vorremmo conoscere anche: quali sono le esperienze d’inserimento
lavorativo per gli utenti in disagio mentale, in Italia? Come gli
utenti di Bologna affrontano i pregiudizi di cui sono vittime? Che cosa
significa, per una persona, ‘impazzire’ nella vostra società?
L’ASUSSAM-MG (Associazione degli utenti dei servizi di salute mentale
dello stato di Minas Gerais) ha compiuto ventun anni nel marzo di
questo anno. Per tutti questi anni e per il futuro l’associazione
continuerà il suo lavoro di denuncia delle violazioni dei diritti umani
e lotterà contro ogni impianto di logiche manicomiali, attraverso il
protagonismo degli utenti della salute mentale e dei loro familiari.
Nell’anno 2014 abbiamo festeggiato a Belo Horizonte l’anniversario dei
trentacinque anni della venuta di Franco Basaglia nella nostra città.
Abbiamo ricordato come proprio i principi, che Basaglia ci ha
trasmesso, siano diventati la forza che ha guidato la storia della
nostra riforma della salute mentale. In conclusione vogliamo dirvi la
nostra felicità perché si è realizzato questo incontro a Bologna.
Speriamo che questo scambio sia molto ricco e redditizio.
Buon lavoro a tutti e forti “saluti anti-manicomiali”.
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QUEL DESIDERIO DI SAPERE
Michela Trigari
L
a qualità principale del giornalista è la curiosità. Se non si è
curiosi non si può fare questo mestiere. L’ho imparato facendo il
cronista, che è il mestiere di base: il vero giornalista è quello che
va sul posto a raccogliere le notizie. Non serve andare lontano. Se si
estingue questa curiosità, a qualsiasi livello, dal cronista fino al
grande editorialista, se si spegne questa scintilla, è finito il
mestiere. Per fortuna, io sono ancora curioso». Sono le parole di
Bernardo Valli, storico giornalista italiano, intervistato l’anno
scorso a Torino dal direttore de La Stampa
Mario Calabresi in occasione di un incontro organizzato dall’Ordine dei
giornalisti e intitolato “Il destino dell’inviato speciale”. Nato a
Parma nel 1930, Valli è stato infatti inviato del Corriere della Sera
in Vietnam, India, Cina e Cambogia. Ha raccontato la rivoluzione di
Khomeini in Iran e poi è diventato caporedattore della sede francese di
La Repubblica.
Anche per Tiziano Terzani bastava «avere curiosità per le persone e le
cose», per riuscire a fare questo mestiere, unita all’«umiltà per non
anteporre se stessi ai fatti e alle notizie, al rispetto per i lettori,
alla dignità da mantenere nei confronti del potere, a una cultura di
base, alla disponibilità al sacrificio e alla verifica continua che
ogni cosa che si scrive sia in linea con quel che si ritiene sia la
verità». Lo disse a Giovanni Nardi durante l’intervista pubblicata
sulla rivista Doc.
Ma la curiosità del giornalista, «che è l’elemento essenziale della sua
professione, una curiosità intelligente, non pruriginosa o pettegola,
lo spinge spesso a invadere terreni che sono al confine tra la sfera
privata e la rilevanza pubblica della vicenda oggetto della notizia»,
scrive il giornalista Enzo Arcuri in Testo e paratesto: itinerari di linguaggio giornalistico
(Rubettino Editore, 2002). Il desiderio di sapere, di conoscere e di
vedere cosa stia dietro un fatto o una notizia, quindi, accompagnato
dalla voglia di indagare, approfondire e ricercare, deve sempre
rispettare il limite della dignità della persona umana.
Ma la curiosità è anche del lettore. Lo sa bene perfino lo scrittore.
«Il bravo narratore sa che tutti noi abbiamo fame di storie e vogliamo
sapere “come va a finire”. Dunque il bravo narratore conosce questa
debolezza e ne approfitta. Ma deve farlo con abilità e astuzia, frase
dopo frase, pagina dopo pagina.
La santa protettrice di tutti coloro che raccontano storie è ovviamente
Sheherazade», la protagonista di Le mille e una notte,
l’unica moglie del sultano a non venire uccisa dopo la prima notte di
nozze. «Per salvarsi, Sheherazade iniziò a raccontare al crudele marito
una storia appassionante. Così si salvò la vita. Quando infatti arrivò
l’alba, il sultano non sapeva ancora come andasse a finire quella
storia così avvincente, e dunque la lasciò vivere per un altro giorno.
Ma così accadde anche la sera successiva e quella dopo, e poi ancora e
ancora...» (tratto da Ioscrittore.it, “Come suscitare la curiosità del
lettore? Consigli e sorprese” di Editor 2.0).
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IN RICERCA DEL TEMPO LASCIATO
Opola Resonive
Dove posso trovare un campo di patate?"
chiese, ormai stufo del dover aspettare per ore, il vecchio che vagava
fra i poderi avendo ormai perso la memoria... Quelli che lo
incontravano lo guardavano con compassione. "Va ben a casa, Eric, che
tua moglie ti aspetta, ormai è tardi", disse Ludovico, il contadino
proprietario di quel bel vigneto. "Non penso che mi sposerò", disse
Eric, che non ricordava nulla "le donne... Bisogna starci il più
lontano possibile!". Ludovico sorrise: "È un po‘ tardi, visto che sei
sposato da sessantadue anni...", Eric rimase perplesso: "Io sposato?
Ah, ah, ah non accadrà mai. Voglio girare il mondo finché sono
giovane... A proposito, sai quanti anni ho?". Allora Ludovico: "Giovane
non direi proprio, dovresti andare verso la novantina ormai!". Eric
alzò le spalle: "Be’, potrei girare il mondo lo stesso, su un piccolo,
ma piccolo aereo costruito coi lego, lo tengo a casa...". "Non avevo
mai sentito nessuno parlare di un aereo costruito coi lego, ma vola?
Non dire cose così irreali, potrebbero pensare che tu sia pazzo". Eric
si allontanò, la discussione l'aveva intristito. "Voglio volare con un
piccolo aereo nel mondo, finché non trovo il tempo che ho lasciato alle
spalle... Adesso vado a casa, se la trovo, per riposarmi prima del gran
giorno della partenza, che arriverà domani, domani, ancora domani...".
Girando, girando arrivò a casa dove lo aspettava già da ore la moglie
preoccupata. Sonia appena lo vide gli cinse le mani al collo e iniziò a
piangere: "Finalmente sei tornato a casa Eric, ti ho aspettato, la cena
è ormai fredda e sta calando la notte. Sai che che non devi mai uscire
da solo, perchè il mondo ti potrebbe portare via". Eric la guardò: "Sai
che sei una bella donna? Se fossi libera ti sposerei!". Sonia sospirò:
"Guarda che noi due stiamo assieme da più di cinquant‘anni!". Eric
prese un’espressione curiosa: "E allora spogliati!". Sonia rise: "Se tu
mi amassi e non tentassi sempre di fuggire, io sarei più tranquilla e
vivremmo meglio! Se vuoi mangiare la cena è pronta". Dopo mangiato Eric
si ritrovò in cucina da solo, la moglie era in sala a leggere, perciò
decise di scendere in cantina a vedere il suo gioiellino, che riposava
fra le bottiglie di vino. Era lungo tre metri per uno, le ali erano
pronte, ma staccate, perché per far uscire l’aereo dalla porta doveva
lasciarle smontate. Il problema principale era come farlo volare, cioè
con che tipo di carburante. Il motore che ci aveva messo funzionava a
benzina come quello di qualsiarsi altro aereo. Lo chiamò Libellula fatata,
infatti doveva servire a realizzare i suoi sogni. Tornò in casa e andò
a dormire in una cameretta separata da quella della moglie, infatti già
da vari anni non condividevano lo stesso letto.
L‘indomani mattina al canto del gallo Eric si era già alzato, e
ammirava l‘alba sui campi di grano, vicino al laghetto, dove c‘erano i
castori... La luce stava crescendo e lui iniziò a posizionare i paletti
per fare la pista di decollo. Aveva già lisciato il terreno i giorni
precedenti, quindi passò dal pollaio, dove prese delle uova per
prepararsi una frittata per colazione. Alternava momenti come il giono
prima in cui non ricordava niente, a momenti come oggi, in cui il suo
passato gli rimaneva ben fisso nella memoria. Fatta la frittata per sé
e per la moglie andò a chiamare Sonia per fare colazione. Lei si alzò,
contenta che oggi fosse un buon giorno, e andò in cucina a mangiare...
I loro figli erano lontani: dopo essere cresciuti con loro erano
partiti per studi e lavori distanti dalla casa natia. Si chiamavano
Tom, Dino ed Elisa. Tom si trovava ad Asterdam in Olanda, Dino abitava
a Rio in Brasile ed Elisa a Buenos Aires in Argentina. Tre figli, tre
destini diversi, città diverse li ospitavano, ma il cuore li teneva
uniti. Sonia sospirò: "Eric la vita è sempre più difficile per me, oggi
stai bene, ma domani?". A un tratto le venne in mente che il marito da
mesi aveva accumulato una gran quantità di mattoncini di plastica e si
era messo a giocarci come un bambino, perciò chiese a Eric: "Ma dove
sono i lego?", Eric se ne uscì con una frase misterosa: "Cara moglie,
il destino che mi attende è ignoto come quello di tutte le persone
comuni; dirigere il destino è difficile oggigiorno, solo gli stolti
sono sicuri di ciò che accadrà!". Sonia lo fissò con uno sguardo
indagatore: "Vuoi partire?", Eric: "Perché?", Sonia: "Ho visto in
cantina l‘aereo fatto coi lego, ti prego non mi lasciare, portami via
con te!". Eric rimase perplesso a riflettere sull‘eventualità di
portare con sé Sonia. Una vita insieme poteva continuare e potevano
dirigersi insieme verso una nuova avventura. Lui disse: "Sonia, ti
porto solo se mi prometti che non smetterai mai di credere alle
favole!". Sonia lo guardò con tenerezza: "Ci ho sempre creduto alle
favole, fin da bambina, anche se sono un po’ dura come persona, sono
rimasta un grande sognatrice. Ti voglio molto bene e ti seguirò ovunque
senza paura!". Eric sfoderò lo sguardo di quando era giovane: "Allora
partiamo! Adesso!", Sonia si avviò verso la camera da letto: "Preparo
la valigia e arrivo", Eric la trattenne: "Niente valigia solo un grande
amore verso l‘avventura".
Andarono in cantina presero l'aereo e lo portarono sulla pista.
Montarono le ali, il pieno era già fatto. Salirono a bordo e partirono.
La loro casa si trovava in un paesino vicino a Madrid. Puntarono verso
nord. Il tempo era bello e assolato, era ormai estate. Volavano basso
per paura di scontrarsi con altri aerei.
Il loro itinerario comprendeva l’Olanda, il Brasile e l’Argentina, allo
scopo di andare a trovare i figli. "I figli sono pezzi di cuore", disse
Eric alla moglie e continuò a parlare: "Siamo sopra Parigi, fra poco
arriveremo da Tom". Era ormai sera quando arrivarono alla meta e
atterrarono vicino a un campo di patate nei dintorni di Amsterdam. Era
sempre andato a trovarli lui, da tanto desideravano andare loro a
vedere dove viveva... Sapevano che la sua casa era nei pressi del
famoso quartiere a luci rosse... Eric: "Sonia, adesso nascondiamo
l'aereo e ci dirigiamo verso la città".
Si incamminarono con fare deciso verso la grande metropoli. Erano
meravigliati dai numerosi mulini a vento che li circondavano e dai
campi pieni di tulipani. Eric: "Se dovessi morire vorrei morire qui".
Sonia: "Se tu morissi qui io allora ti seguirei". Eric: "Non siamo
ancora morti, un nuovo futuro ci aspetta". Presero un autobus diretti
verso il centro della città. Il panorama era incantevole, case piccole
e basse e tantissime ciclabili. Eric si rivolse all’autista per
chiedere informazioni: "Scusi, signor autista, ci potrebbe dire quando
arriviamo al quartiere a luci rosse?", "Volentieri, ma… dei signori
come voi cosa ci vanno a fare in un posto del genere?", Sonia: "Andiamo
a trovare uno dei nostri figli, è sempre venuto lui a trovarci gli
vogliamo fare una sorpresa!".
L‘autobus procedeva per le strade, i due ammiravano con stupore
soprattutto i canali che si trovavano nella città. Eric si guardava
attorno stupito: "Ma quanti canali ha questa città?". L‘autista:
"Amsterdam è chiamata la Venezia del nord! Alla prossima fermata dovete
scendere". Era ormai sera e avevano fatto solo uno spuntino in aereo,
quindi decisero di fermarsi a mangiare qualcosa in un ristorantino.
Eric: "Che bella coppia siamo!", Sonia: "Belli e bravi." Raggiunsero
una piazza con una fontana, ormai erano vicini alla meta. Il primo
figlio che andavano a trovare abitava nella terza strada a destra,
vicino a un canale, sopra a un locale notturno famoso per gli
spettacoli di spogliarello. Così al numero 39 suonarono alla porta...
Erano ormai le dieci di sera. Suonarono ancora, nessuna risposta. Eric:
"Forse Tom è fuori: cosa facciamo?", Sonia:"Aspettiamo!". Dopo poco
arrivò Tom, accompagnato da due ragazze vestite in modo succinto. Eric:
"Ciao figliolo come va?". Tom: "Ciao cosa fate nella mia città?".
Eric: "Siamo venuti a trovarti, ma dove è tua moglie e chi sono queste
ragazze?". Tom: "In verità non sono sposato e queste sono due ragazze
che lavorano con me al locale qui sotto!". Sonia: "Ma non lavoravi in
banca?". Tom: "Vi ho sempre mentito: non sono sposato e faccio il
barista". Eric: "Perché ci hai sempre mentito? Noi ti abbiamo sempre
accettato come sei..." Tom: "Avevo paura di non essere il figlio
modello che avete sempre desiderato". Sonia: "Noi ti vogliamo bene
sempre e comunque!". Tom: "Mamma, ti guardo e vedo che se da piccolo tu
mi avessi lasciato più libero forse sarei potuto crescere meglio,
comunque ora sto bene! Mi volete ancora bene anche se vi ho mentito?",
Sonia: "Sì!", Tom: "Tu pa’?", Eric: "Il filo del destino ci guida verso
un futuro felice, se possiamo seguire la nostra passione. Penso che tu
stia facendo ciò che hai sempre desiderato, allora prega che chi ti
circonda ti ami veramente. Io ti amo!". Tom: "Il lavoro che faccio mi
piace molto... Non sarà dei più puritani, ma va bene così". Tom li
portò a visitare il locale dove lavorava, che si trovava al piano di
sotto. L‘impressione per la coppia non era delle più piacevoli. Eric
però rassicurò la moglie:"Sonia, se è contento lui…". Sonia quindi
propose: "Consegniamogli il regalo che gli abbiamo portato". Si era
fatto tardi, perciò Eric chiese al figlio: "Puoi consigliarci un
albergo vicino dove dormire?". Tom non ci pensò un momento: "Potete
dormire da me! Quanto rimanete?". Sonia: "Fino a domani poi
ripartiamo". Li lasciò dormire in una camera del suo appartamento. La
mattina dopo fatta colazione Sonia ed Eric diedero a Tom una collanina
con una scritta Trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri, ma anche nella loro anima. Tom: "È bellissima, grazie". Sonia: "Noi partiamo, è un po‘ come morire...". Eric: "Buon proseguimento della tua vita!".
Si diressero a prendere l‘aereo che era nascosto vicino a due mulini,
lo liberarono dai cespugli, lo portarono sul campo vicino e partirono.
Eric si accorse che la benzina era quasi finita, bisognava fare
rifornimento nel vicino aereoporto di Berlino. Era enorme e con
difficoltà riuscirono a ripartire dopo aver fatto vedere tutti i
documenti. Si diressero così verso Madrid, dove si erano scordati di
chiudere il gas di casa e pensarono di passare le notte nei loro letti.
Arrivati a destinazione notarono subito che la loro casa era andata a
fuoco, quindi piansero e piansero ed Eric disse: "Adesso non dobbiamo
più preoccuparci degli oggetti del nostro passato, possiamo volgerci al
futuro, decisamente l‘incendio è stato positivo. Il destino ci ha
spinto a muoverci verso l‘avvenire". Sonia: "Però sono dispiaciuta,
avevamo passato una vita in quella casa, tanti ricordi, piacevoli o
spiacevoli". Eric: "Non pensare che tu sia già morta, abbiamo tempo di
costruire altri ricordi, altre avventure, almeno fino a quando
riusciremo a camminare", Sonia: "Si, però... Una vita passata ci guarda
e ci vuole promettere che potremmo ancora divertirci...". Non erano
stati mai così tristi, ma pensavano sempre al futuro.
Dormirono a casa di vicini e la mattina dopo, fatto il pieno,
ripartirono verso un‘altra avventura, direzione Brasile per andare a
trovare Dino. "Poi, poi, poi", pensavano, "l‘amore è l‘unica cosa che
conta realmente". Il viaggio si pensava che sarebbe stato molto
difficile, con un aereo così piccolo sorvolare l‘oceano per ore ed ore.
I nostri prodi eroi ci riuscirono: decisamente stanchi e affaticati, ma
arrivarono nel sud America. Rio è una città maestosa e quando
arrivarono videro subito il Cristo Redentore, la statua che domina la
città. Dino, il secondo figlio, aveva raccontato loro che era un ricco
uomo d‘affari, che si occupava di vendita di barche; abitava vicino a
un grande museo con una struttura cubica, una forma che lo
caratterizzava. Atterrarono sulla spiaggia e raggiunto a piedi il
museo, chiesero notizie su dove potesse abitare Dino. Vennero così a
sapere che era il cassiere del museo e rimasero perlessi. Eric si
rivolse a Sonia: "Anche lui ci ha mentito". Sonia annuì: "Forse non
conosciamo così bene i nostri figli… andiamo a parlargli". Entrati nel
museo lo videro e lui vide loro e rimase paralizzato dalla paura,
vergognandosi delle menzogne raccontate per salvare un prestigio mai
richiesto. "Ciao, cosa fate qui? Sì, sono solo un cassiere al museo,
tutto quello che vi ho raccontato è stato solo per rendervi orgogliosi
di me, avevo paura di deludervi. Mi perdonate?". Sonia: "Per adesso…
due figli su tre si sono rivelati dei bugiardi: perchè?". Eric ormai
rassegnato trovò le parole adatte: "Sorridi! Noi ti abbiamo voluto,
cresciuto, ti abbiamo amato e ti continuiamo ad amare!".
Dino: "Mi viene da piangere! Posso abbracciarvi?". Così il figlio
abbracciò i genitori e assieme piansero, piansero, poi piansero, poi
risero e risero. Ora non c‘erano più segreti fra loro, l‘amore
trionfava. Eric disse: "Siamo venuti per darti una catenina, prendila è
per te!" Sonia gli diede la catenina con una scritta Trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri ma anche nella loro anima.
Dino imbarazzato ringraziò e disse che sarebbe stato felice di
ospitarli a casa sua. Eric rispose: "Il cammino è lungo, ma qualche ora
assieme la passeremo volentieri".
Dino si fece sostituire al museo e accompagnò i genitori a casa sua,
dove prima riposarono per il lungo viaggio, poi la sera uscirono a
mangiare col figlio in un ristorantino e parlarono, parlarono senza più
segreti... Era già sera, ormai era troppo tardi per partire quindi
andarono a dormire a casa del figlio. Il giorno dopo Eric disse: "Noi
partiamo, volevo chiederti una cosa: sei soddisfatto della tua vita?".
Dino ci pensò un attimo, poi sussurrò: "È una vita umile, ma onesta e
sincera, come ce ne sono tante, è la mia vita, una vita da vivere!",
Sonia lo abbracciò: "Vivi felice, senza bugie, che possono essere solo
strumenti di paura e falsità. Cerca di credere di più in te stesso e in
quello che fai, senza vergognarti".
Eric si preparò a ripartire, meta Buenos Aires in Argentina: "Ci manca
di andare a trovare Lisa, poi il destino sarà compiuto". Sonia sospirò:
"La più piccolina, speriamo che la vita sia bella anche per lei...". Si
diressero verso sud e dopo sole quattro ore di volo arrivarono nella
enorme città con tantissima povertà, case piccole, baracche dove i più
poveri vivevano: felici? Forse infelici, ma vivevano. Sapevano che la
figlia abitava vicino all'obelisco nella piazza principale del
quartiere di lusso della città, così atterrarono, questa volta
all’aeroporto, contrariamente alle loro usanze. Si diressero poi con un
pulman nella zona desiderata. Eric: "Siamo arrivati ecco l'obelisco
scendiamo". Sonia: "Sappiamo che fa l‘indossatrice, vediamo se la
troviamo dove ha detto che vive, nell'albergo lì vicino". Entrati
nell'ingresso del lussuoso hotel chiesero alla reception se potevano
vedere la signorina Lisa, famosa indossatrice. Scoprirono che lei
lavorava come cameriera al ristorante. Eric: "Anche lei ci ha mentito,
i nostri figli si assomigliano tutti quanti fra loro". Sonia scosse il
capo: "Andiamo ad incontrarla!". Lisa seppe dell‘arrivo dei genitori e
quando li vide iniziò a piangere... Così fecero loro e si abbracciarono
e baciarono. Lisa: "Non volevo deludervi, non volevo tradirvi, volevo
solo che mi amaste molto, non sono un'indossatrice, ma una semplice
cameriera". Eric brontolò: "Perchè non ce l‘hai detto prima? Tutti
questi segreti! Dove siamo in Beautiful?"… Sonia abbracciò la figlia:
"Segreti, segreti, ma ti piace la vita che fai?". Lisa rispose di
getto: "Sì, lavoro, non ho figli né marito, ma quello che faccio mi
piace...". Sonia la guardava orgogliosa: "Bella, sei bella, anche se
non sei modella!". Eric: "L‘amore è una cosa meravigliosa!", Lisa: "Mi
amate lo stesso?", in coro i genitori risposero: "Sì, certo!", Lisa:
"Sarete stanchi dal viaggio perchè non vi fermate qui qualche giorno?".
Eric però preferiva ripartire: "No, rimaniamo solo a mangiare".
Andarono a pranzare tutti e tre felici come una volta... Quando erano
piccoli i figli, la famiglia era molto unita, poi ognuno aveva preso la
sua strada e allora si erano un po' allontanati. Nel pomeriggio si
salutarono ed Eric disse: "Prima di andare via, io e la mamma vogliamo
regalarti una catenina con una scritta Trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri, ma anche nella loro anima",
Sonia: "Noi saremo sempre con te... Addio!". Lisa aveva gli occhi
lucidi: "Ci vediamo presto, altroché!", Eric le sorrise: "Addio...". E
si allontanarono con un passo molto veloce. Sonia: "Abbiamo quasi
finito il nostro tragitto, adesso è giunto il momento...". Eric: "Si, è
l‘ora, facciamo benzina e allontaniamoci, prima che faccia buio". Sonia
annuì: "Dobbiamo essere veloci".
Arrivarono all‘aereo e decollarono verso la loro nuova casa, una casa
dove vivere gli ultimi anni della loro vita insieme... Eric: "Prima
stavo male, dimenticavo chi ero e dove ero, perché mi trovavo in una
situazione che non mi piaceva, questo viaggio mi ha fatto proprio
bene!". Sonia: "Adesso siamo sereni e possiamo andare là dove volano i
fenicotteri!". Salirono sull‘aereo di lego e dopo una notte in volo
arrivarono in un villaggio sperduto e poverissimo, in Africa. Eric:
"Qui inizia la nostra nuova vita, gli ultimi anni li trascorreremo
qui". Sonia: "La povertà di queste persone dovrà essere una spinta per
noi per aiutarle, amore per amore!". Eric: "Verità per verità". Passati
alcuni giorni spedirono una lettera a ciascun figlio con tutte le loro
intenzioni: avevano nuovi rapporti ai quali dare tutti sè stessi, i
figli ormai non avevano più bisogno di loro.
Finire gli ultimi anni prodigandosi per gli altri, trovare ciò che puoi
cercare non solo negli occhi degli altri, ma anche nella loro anima...
Amore per amore...
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UNA COPPA PER MARIANGELA
Al 5° concorso di poesia D. Corniolo indetto dal Comune di Baricella
nell’ottobre di quest’anno, Mariangela, nostra redattrice storica, ha
vinto il II premio per il racconto che vi presentiamo, breve, ma
intenso, come il profumo delle violette che da settant’anni ancora
aleggia attorno alla nostra amica, nel ricordo struggente di
un’infanzia certo non facileeppure capace di piccole grandi gioie.
SIGNORA, UN MAZZOLIN DI VIOLETTE...!
Mariangela Soavi
H
o passato tutta la mia infanzia in un collegio di suore. Era il
dopoguerra e il periodo fuori dal collegio era duro, ma signori miei,
anche nel collegio non ho avuto un’infanzia rosa e fiori… Oggi che mi è
stata fatta questa domanda devo rispondere che, nonostante tutto, i
miei ricordi sono corsi a quel periodo non proprio piacevole della mia
vita. Il ricordo più felice va alla mattine di domenica dei giorni di aprile e maggio. Avevo circa sei, sette anni e
Una suora, la più anziana di tutte, era la ‘supervisora’ del nostro buon comportamento.
Noi eravamo bambine e, come devo dire, erano così poche le distrazioni
che il collegio ci offriva, che quella mattinata all’aperto per noi era
la felicità più grande e il profumo, signori miei… io ho ancora il
ricordo vivido del colore della violetta con le sue piccole foglie a
cuore e del suo profumo così delicato.
con altre bambine ci mettevamo sotto il portico all’entrata del
collegio con un bel bancone di legno dove mettevamo, dentro a delle
ceste di vimini, ben disposti, tanti mazzolini di violette. Il sabato
con le altre bambine le raccoglievamo nel parco del collegio e aiutate
dalle suore preparavamo tanti mazzolini. Poco lontano c’era l’entrata
della chiesa e le signore bene si fermavano al nostro richiamo
sottomesso: - Signora, vuole un mazzolin di violette? Una piccola offerta per il collegio, grazie signora.
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