Piergiorgio Fanti

Caravaggio: “I bari”

Fabio Tolomelli

Editoriale

Matteo Bosinelli

Dalle solanacee ai cento metri piani

Costanza Tuor

Curiosi frutti autunnali

Mariangela

Una curiosità speciale

Edoardo

La cetra di Socrate

Fabrizio Sinibaldi

Curiosity doesn’t always kill the cat

Luigi Zen

La curiosità e lo Zen

Luigi Zen

L’indovinello

Francesca

Che cos’è la curiosità

Tina Gualandi

La mia curiosità

Antonio Marco Serra

Il calzino strappato

Ricky

La vignetta

Paolo Sanzani

Come specchi?

Paola Scatola

Vorrei sapere

Luigi Zen

La soluzione dell’indovinello

Giovanni Romagnani

Lo sfogatoio

Casa Mantovani

Sulla curiosità…

C.D. Casalecchio

Curiosità: punti di vista

UmanaMente

La curiosità: parliamone

***

La Posta

Elisabetta

Io non ho paura

Simone Cavazzolii

Faccio consegne ai GAS

Aidrous

We are the champions

INSERTO
      Mariana Parera     L’animazione sociale per anziani esploratori
      Gaia Balboni     La curiosità e l’umore: quale relazione?
IL TIMONE
      L’Huffington Post     Viene nominato direttore del cantiere ad honorem

Darietto

Jajolin

RECENSIONI
      ***     Umarells
      Cristicchi     Piccolo libro delle curiosità sul mondo

Luca G.

La curiosità non ha ucciso il gatto

Darietto

Il vaso di Pandora

Giovanni Romagnani

Le note di notte

Susanna Marzolla

La Trottola a Cervia

Roberto, Giorgio, Piero

Trekking con gli asinelli

DEDICATO AD ARIANNA Lo spazio della poesia

 

      Loopa Sonivree     La curiosità
      Anonimo     La verità
      Anonimo     Sono stanco
      Daniela Mariotti     Vita vita mia
      Marcella Colaci     Son curiosa
      Giovanni Romagnani     Una canzone per te
      Luisa Paolucci delle Roncole     Sei un segno
      Luisa Paolucci delle Roncole     Sei rimasto indenne
      Luisa Paolucci delle Roncole     I corvi
      Daniela Mariotti     Come vorrei dare dolcezza
      Luisa Paolucci delle Roncole     Un altro mondo
      Matteo Bosinelli     Il sole anche di notte
      Luisa Paolucci delle Roncole     Cioè
      Daniela Mariotti     È estate
      Paola Scatola     La doccia
      Greta     Nascita
      Paola Scatola     Come siamo ali
      Daniela Mariotti     Sola
      Paola Scatola     Io voglio te
      Daniela Mariotti     La natura
      Paola Scatola     Io vorrei essere tua
      Giovanni Romagnani     Secondo me
      Mariangela     Spighe dorate
      Matteo Bosinelli     Il limite
DALL’ITALIA AL BRASILE
E VICEVERSA
“Curiosando” nelle rispettive esperienze di salute mentale

 

      Maria Stella Brandão Goulart     La riabilitazione psicosociale – discorso locale e sofferenza globale
      ASUSSAM-MG     Carta de Bolonha

Michela Trigari

Quel desiderio di sapere

Opola Resonive

In ricerca del tempo lasciato

Marcella Colaci

Il mondo a colori

Mariangela

Signora, un mazzolin di violette!

                                                                                                                                                                               
CARAVAGGIO: “I BARI”

   Piergiorgio Fanti


M ichelangelo Merisi (o Amerighi), noto come il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), formatosi tra Milano e Venezia fu attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610.
Amò dipingere il vero, scegliendo tra i soggetti più umili, trattati con comprensione affettuosa; rifiutò la convenzionale idealizzazione del soggetto, ma scelse la contemporaneità del suo tempo.
Caravaggio fu capace di creare un nuovo lirismo pittorico in stile nuovo: immagini rivelate da una luce che è elemento generatore della scena. Innumerevoli gli artisti italiani e stranieri, che furono influenzati dalla sua pittura.

EDITORIALE

  Fabio Tolomelli


L a curiosità è gioia, è vita". Così mi ha risposto la professoressa Cristina Lasagni, direttrice di Psicoradio quando le ho detto che il tema di questo numero de Il Faro sarebbe stato la curiosità. Questa breve asserzione riassume e risponde a quella che è stata l’ispirazione iniziale, l’idea di parlare di curiosità. Ma cosa significa letteralmente ‘curiosità’? Da Wikipedia ci viene detto che è un “istinto che nasce dal desiderio di sapere qualcosa”. Questo termine è usato in due accezioni tra loro opposte: una positiva e una negativa. Per intenderci la negativa è quella tipica del gossip. Dove si cerca di sollecitare e nutrire una curiosità morbosa, volta a scavare nella vita privata delle persone. Certo ci sono persone che sono contente di mettersi in mostra, ma altre possono essere colpite e danneggiate nella propria sensibilità. In questo senso mi viene da pensare al povero Marco Pantani. Non so come sono andate veramente le cose: se si sia dopato oppure no, se l’hanno ucciso o è stato un suicidio. Tuttavia, quello che ha sofferto lo sa solo lui. Da un giorno all’altro è stato disarcionato: da divinità a cattivo esempio per la società. Certo che un limite alla curiosità è necessario, perché spesso essa sfocia in un’alterazione della realtà per trarre un vantaggio personale. Questo a partire dallo ‘spettegolamento’ tra comari, fino ad arrivare alle potentissime emittenti mediatiche. Un limite lo aveva posto anche il buon Dio alla povera Eva: non mangiare il frutto dell’albero! Lei cedette alla curiosità e, istigata dal serpente, si mangiò la mela. Chissà che dolore e che senso di colpa, per aver causato la morte in tutta l’umanità. La più grande ed insuperabile killer di tutti i tempi…
Detto ciò parlerò della curiosità positiva: ai massimi livelli è quella propria degli scienziati e scopritori di tutti i tempi, ma anche quella di un bambino che si avvia alla conoscenza del mondo. È nata con l’uomo ed è presente anche negli animali. Pensate per un attimo al gatto, come scruta l’ambiente e osserva ciò che vi si muove. Per lui tutto è avvolto da una strana magia e attraverso i sensi la interpreta e la fa propria. L’uomo rispetto all’animale ha un’intelligenza molto più sviluppata, che gli permette di costruire e scoprire attrezzi come ad esempio la clava, la ruota, la scrittura e il dominio del fuoco. La curiosità orientata a scoprire come vivere meglio ha permesso all’uomo di realizzare cose che addirittura gli hanno dato il modo di allungare la vita: pensiamo alla medicina, un esempio per tutti il trapianto di cuore.
Nella mia storia personale, dove si sono alternati periodi di buona salute ad altri lunghi periodi di sofferenza psicologica, la curiosità è sempre stata scintilla e segnale di salute e vitalità. Nel particolare, la mia curiosità si divide in tre momenti. Il primo si verifica quando comincio a comprare libri umanistici (storia, filosofia e letteratura). L’acquisto è di per sé un ottimo antidepressivo, che inizia a sciogliere la sensazione di blocco mentale che impedisce qualsiasi attività cerebrale. La lettura e la memoria sono le più colpite dalla percezione di questo mio intoppo psicologico. Questo momento è fortemente frustrante, perché la curiosità è molto lontana e lo sforzo di fare non è compensato dalla soddisfazione di aver acquisito nuove conoscenze. Tutto rimane fermo e non fruibile, in un grigio nebbioso stato di tristezza. Però… Quando inizio a stare meglio, secondo momento, se studio assieme ad altre persone riesco ad apprendere e scambiare conoscenze. Che gioia e che soddisfazione scoprire e capire, ma soprattutto ricordare nuove cose del mondo! Il terzo momento è bellissimo. Riesco a studiare da solo cose che apprendo e arricchiscono la mia personalità che con grande gioia mi fanno sentire vivo.
In sostanza credo che la curiosità positiva sia motore di vita, cioè, riprendendo quanto dice Cristina, “è gioia, è vita”. Siate quindi curiosi di leggere Il Faro, che è gioia e vita.

DALLE SOLANACEE AI CENTO METRI PIANI

   Matteo Bosinelli


C he cosa hanno in comune, per quanto mi riguarda, le solanacee (patata, pomodoro, melanzana, tabacco, stramonio, belladonna, giusquiamo, mandragora, petunia…), gli scacchi, i virus che colpiscono l'uomo, la filatelia, il tennis, Ettore Majorana, Tommaso Buscetta, le sfide nella corsa dei cento metri piani eccetera?
La risposta è che tutti questi argomenti destano la mia curiosità.
Credo vi siano diversi tipi di curiosità. Uno, per esempio, scatta dal desiderio di apprendere cose nuove o di approfondirne altre. Vi è poi, secondo me, anche una curiosità ‘malsana’, che mira ad intrudere, a ottenere notizie intime del prossimo, facendone poi svariati usi, e così, in qualche modo, lederlo.

CURIOSI FRUTTI AUTUNNALI

   Costanza Tuor


Se chiedessi al fiume di narrarmi la tua storia, troverebbe le parole. Io invece tremo, dimentico e non comprendo fin dove si siano scagliate le tue, contro quale montagna per infrangersi pietruzze, sabbia e vento. Ti cerco oggi nelle tue immagini per rubare alla mia fantasia terreno utile e proporre una coltivazione di “forse”. Vedo la sfida arrampicarsi spavalda e allegra lungo il pendio della tua fronte, fiammeggiare nei tuoi occhi ansiosi di trovar risposta. Ora forse dedichi al mondo ancora il tuo cuore speranzoso, desideroso di grandi sconvolgimenti d’anime che permettano ai forzieri di mettere a disposizione i loro tesori. Non so perché ho smesso di chiedermi chi fossi. L’ho fatto probabilmente con l’inconsapevolezza del dolore, che cerca profondità vorticose nelle quali tuffarsi senza fiato, l’ho fatto per disattenzione stendendo la mia mano sull’altrove che tanto bramavo ma che non possedeva ossa.
Ora che ritrovo il tuo sguardo rosso splendore e ocra le tue parole, non posso davvero negare che tu per inaccessibile richiesta mi abbia chiamato ad ascoltare. Non ho potuto che accettare l’invito di un tanto sconosciuto poeta. Ed ecco, susina e melograno siamo amici nonostante me e spero ancora che non sia niente più di questo, ma tutto questo per intero.



UNA CURIOSITÀ SPECIALE

   Mariangela


Curiosità, desiderio di conoscere, questo è quello che ho provato nei confronti dei miei nonni materni, che non ho avuto la gioia di conoscere personalmente. Quel poco che conosco di loro l’ho appreso da mia madre, dietro mia insistenza, per mezzo dei suoi racconti; so per certo che il nonno era un uomo di bell’aspetto, si chiamava Marco, ma nel dialetto locale, veniva chiamato Marcón (Marcone) per la sua alta statura. Gli piaceva il vino buono e non disdegnava un goccetto, soprattutto a tavola. La nonna si chiamava Angela ma la chiamavano Angiolina, per la sua dolcezza d’animo. Nonno Marco e nonna Angela erano molto innamorati, dal loro matrimonio sono nati otto figli, tre maschi e cinque femmine, tutti sani e senza difetti.
Risiedevano in un piccolo paese di campagna, la loro abitazione era un casolare all’ombra di due grandi alberi. Al piano terra c’era un’ampia cucina, dove si consumava il pranzo e la cena, c’era il camino, dove venivano cotti i cibi e ci si riscaldava nei periodi freddi, di fianco c’era una stanza adibita a dispensa, dove venivano riposti i sacchi di farina, di fagioli, di patate ed altro cibo. Una robusta scala di legno portava dalla cucina al piano superiore dove erano situate le stanze da letto.
All’esterno c’era uno spazio riservato all’aia dove si batteva il grano e nei giorni di festa, grandi e piccoli ballavano al suono di un organetto. Nel grande cortile, razzolavano alcune galline, nel porcile grugnivano due maiali e dalla stalla veniva il muggito delle mucche e dei buoi, che venivano utilizzati per tirare l’aratro o il carro carico di foraggio o di grano. C’era poi il fienile, il pollaio, la legnaia e il pozzo per attingere l’acqua.
I nonni, facevano, ovviamente, gli agricoltori, non erano ricchi, ma il ricavato dal lavoro nei campi e dall’allevamento degli animali era sufficiente per provvedere alla famiglia. Erano poco religiosi, ma erano onesti lavoratori e di sani principi, che inculcavano alla famiglia.
Anche nonna Angela era bella, non si incipriava, ma pettinava i lunghi capelli che raccoglieva dietro la nuca, fermandoli con delle forcine; lo faceva solo al mattino, durante il giorno non c’era tempo per farlo. Il lavoro nei campi, la cura della famiglia e le faccende domestiche prendevano molto tempo, perché il lavoro era molto faticoso.
Scoppiò la prima guerra mondiale, fortunatamente sopravvissero tutti, ma il destino fu molto crudele, un triste giorno nonna Angela si recò al fiume vicino a casa per lavare i panni, ma inavvertitamente scivolò nell’acqua e morì. Fu una terribile disgrazia che colpì l’intera famiglia, nonno Marco ne fu molto addolorato, non si risposò, anche se non gli mancarono le occasioni, rimase fedele alla sua compagna fino alla morte. Sono passati tanti anni, il tempo passa, ma i ricordi rimangono e con loro, qualche volta, un poco il dolore affiora.
Ho conosciuto i miei nonni solo verbalmente, ma la mia curiosità è stata appagata dai racconti di mia madre ed ha fatto scaturire in me un sentimento di grande affetto, che durerà per sempre.

LA CETRA DI SOCRATE

   Edoardo


Secondo il dizionario Devoto-Oli, la curiosità viene definita come "desiderio, abituale o episodico, di rendersi conto di qualcosa per vie insolite o per motivi personali". Ricordo una citazione riguardante Socrate. Alla domanda di un discepolo: "Perché impari a suonare la cetra, se di qui a poche ore ti faranno bere la cicuta?", Socrate rispose: "Perché mi piace imparare". In questo senso, sono curioso.

CURIOSITY DOESN'T ALWAYS KILL THE CAT

   Fabrizio Sinibaldi


La curiosità, l'interesse verso quello che non conosciamo, il desiderio di apprendere cose nuove di cui non siamo a conoscenza e più in generale la stimolazione verso altri mondi e modi di sentire dovrebbero essere tra le cure prioritarie fornite dai Servizi di Salute Mentale (se non è così mi sembra che partiamo con una contraddizione in termini, col piede sbagliato).
Prima dei farmaci, dei vari interventi curativi bisognerebbe fare un censimento personalizzato degli interessi e delle attitudini (che ovviamente ci sono in chiunque) della persona che si ha di fronte. Tutto lo staff dovrebbe contribuire in questo: dallo psichiatra allo psicoterapeuta passando per infermieri, educatori e familiari. La persona dovrebbe essere messa in condizioni di rendersi conto di quello che un eventuale CSM sta cercando di fare: creare, in sostanza, un nuovo mondo, in grado di essere riempito attraverso le passioni e gli interessi (che possono essere di qualsiasi genere) che il paziente manifesterà. Penso che se si riuscisse a fare questo, la vita di tante persone cambierebbe in meglio, molto meglio.
Quando parlo di interessi di qualsiasi tipo vorrei sgombrare il campo da un equivoco di fondo che ci perseguita tutti quotidianamente; tutti penseranno che mi voglia riferire a interessi ‘culturali’, quando per ‘cultura’ bisogna capire che ci si riferisce a qualsiasi manifestazione umana (uno può essere interessato per esempio ad intervistare i Finlandesi che visitano Bologna, anche questo è un interesse culturale); tutto il resto è natura, se preso senza la mediazione dell'uomo. Chiusa parentesi.
Io sono ateo, ma non so perché di questi tempi mi trovo in sintonia con Papa Francesco (mi sembra che l'unica cosa che ci divide è che lui è credente) e con i religiosi che sono veramente cristiani (non tutti lo sono, vi sono musulmani più cristiani di certi personaggi che portano un fazzoletto verde nella tasca).
Per quanto riguarda il nostro argomento, non si può non ricordare don Milani: era un prete toscano, proveniente da una famiglia benestante, che accettò di essere mandato dai propri superiori, negli anni ’50, in paesini sperduti di montagna ad insegnare ai figli dei contadini che non potevano raggiungere le scuole in città. Frase famosa che don Milani ripeteva ai suoi alunni a proposito di curiosità: "Vi dovete interessare di tutto, qualsiasi cosa incontriate! Solo così nessuno potrà mai mettervelo nel culo". Ci sono anche delle implicazioni pratiche ad essere curiosi evidentemente. Famosa fu la Lettera ad una professoressa con la quale egli espose il suo metodo per interessare i ragazzi. Una copia sulla scrivania di ogni psichiatra e psicologo.
La storia del paziente, ovviamente, dovrebbe aiutare ad evitare ed al contempo avvicinare determinati temi, potenziali futuri interessi della persona in questione. Sono convinto che anche nei casi più gravi, quando c'è uno scollamento dalla realtà ed un'inerzia generale, vi siano dei professionisti in grado di migliorare le cose aiutando i pazienti, un po’ come fanno certi insegnanti nelle nostre scuole, capaci di rendere appassionante un argomento fino al punto di cambiarti la vita.
Certo non è affatto scontato incontrarli, poiché purtroppo sono pochi. Mi piace questo paragone tra medici e buoni insegnanti; mi chiedo fino a che punto possa piacere ad alcuni ‘strizzacervelli’ del territorio bolognese e non solo.

LA CURIOSITÀ E LO ZEN

   Luigi Zen


La curiosità è un movimento del nostro corpo o dei nostri pensieri; ma la curiosità non esiste se noi non produciamo pensieri che ci dicono o danno degli ordini di fare quello che la curiosità ci propone. La curiosità è un’espressione di noi stessi applicabile ad un numero quasi infinito di argomenti che attraverso i nostri sensi e le nostre conoscenze ci orienta verso le arti o il mondo delle tecnologie materiali o spirituali, religiose o politiche, eccetera. Il lubrificante o l’olio che fa funzionare la curiosità è l’umore; in caso di lutto o separazione l’olio manca. Se al movimento del corpo o dei pensieri si interpongono degli ostacoli, come ad esempio il tempo, il denaro mancante eccetera. essa può degenerare in ansia, quindi è bene dosare prima la nostra curiosità, ossia produciamo solo quella curiosità che non produca danni a noi stessi e agli altri.

L’INDOVINELLO DI LUIGI ZEN

Che animale è quello raffigurato qui sotto?



CHE COS’È LA CURIOSITÀ

   Francesca


La curiosità è il motore della conoscenza... è il faro dei ricercatori... è la trappola degli esagerati... è il vizio dei viziosi e degli impiccioni…
Quella della serratura è maliziosa più ‘nella norma’, ovvero: un signore è troppo curioso di spiare dal buco della serratura per vedere chi c’è dall’altra parte e si dimentica di guardare la marca della serratura da cambiare…
Senza sessualizzare ogni argomento, è più vicina invece l'idea dello spioncino della porta d'ingresso: curiosità sana... apro o non apro a questo venditore di ‘folletti’!?!
Dopo aver capito cos'è la sigaretta, perché restare nel vizio? Bisogna smettere... Questa è curiosità risoluta-risolta!!!
Una frase che mi desta grande curiosità: “di normalità si può anche guarire”… Ma perché?! E in che senso?
Curiosità che può dare ansia: voler sapere chi c’è dall’altra parte, perché se si sa che c’è qualcuno e qualcosa di sconosciuto, lo si vorrebbe conoscere e scoprire, tuttavia si può avere paura di trovarsi di fronte a brutte sorprese! Ma la curiosità è morbosa in questo caso e può portare a commettere gravi errori. Un esempio è la chat o quei siti dove si ‘parla’ con la gente dietro una tastiera del pc: si comunica con chi non si conosce e va tutto bene inizialmente, ma poi subentra la curiosità di conoscere nella realtà la persona che sta dall’altra parte, di cui potremmo aver idealizzato l’immagine, il volto e la personalità, senza pensare che le abbiamo create noi, con le nostre aspettative e desideri, anche se non corrispondono effettivamente alla realtà. Il rischio è di acquistare fiducia in qualcuno che non conosciamo, ma che si è proposto nel miglior modo possibile, e che potrebbe essere chiunque, anche un malfattore che ci ha raccontato un mucchio di frottole, per cui si è disposti a rischiare pur di conoscerne la vera identità, andando incontro a un serio pericolo. Questa è una di quelle situazioni inizialmente piacevoli che si trasformano in uno stato di ansia crescente e perenne, perché si ha paura dello ‘sconosciuto’. Questa ansia si sostituisce alla curiosità iniziale e porta allora a fare la scelta giusta e cioè troncare definitivamente il rapporto. Io non vado in chat o su internet a scambiare messaggi con persone sconosciute, perché non ne sento desiderio e quindi non mi interessa farlo. Parlo per esperienza indiretta, ma credo proprio che si crei questo gioco perverso.


Ho preso alcuni appunti da internet.

Tutti sappiamo che cos'è la curiosità: è il desiderio di conoscenze, di informazioni e stimoli mentali nuovi. In psicologia la curiosità è l'esigenza di mantenere a un livello ottimale l'attività di elaborazione di informazione, regolando gli input, cioè le informazioni in arrivo. In psicologia si parla anche di comportamenti esplorativi. Questi sono noti al senso comune, perché capita di vederli spesso, sia negli uomini, sia negli animali. Ad esempio, un cane appena messo in un cortile ne esplora tutti gli angoli, un bambino si aggira per casa guardando, toccando, manipolando un'infinità di cose. In scienza si è notato che i comportamenti esplorativi tendono a sfumare indistintamente in quelli ludici. Ad esempio, è difficile stabilire se il bambino che si aggira per casa stia esplorando o se non stia giocando.
I comportamenti esplorativi sono strettamente legati alla curiosità, perché questa in genere si manifesta così. Però, non sempre l'esplorazione è dettata dalla curiosità. Ad esempio, è difficile dire se un cane che esplora un cortile che non conosce lo faccia per curiosità o se non si stia semplicemente orientando. Un aspetto interessante dei comportamenti esplorativi è che a volte gli individui per portarli avanti corrono anche dei rischi. Tali comportamenti non riguardano solo i bambini, ma anche gli adulti. Gli esempi più evidenti sono le esplorazioni geografiche, vedi Livingstone, che morì di dissenteria contratta in Africa, Marco Polo o Cristoforo Colombo.
Ciò ci fa capire che la curiosità e i comportamenti esplorativi hanno radici profonde nella nostra natura di esseri viventi e di uomini.
Freud, nello studio della psicanalisi, aveva preso in considerazione la curiosità umana e l'aveva interpretata come uno sviluppo adulto della curiosità sessuale infantile. Da grandi trasferiremmo il nostro grado di conoscenza sessuale su fatti non sessuali. Le persone poco curiose, secondo Freud, avrebbero represso i loro desideri di conoscenza sessuale.
È però negli anni ’50 e ’60 che questo tema è balzato in prima piano nella storia della psicologia: il tema si è trovato al centro di due cambiamenti radicali di prospettiva.
Il primo riguarda l'apprendimento. Le concezioni in auge nella prima metà del secolo consideravano l'apprendimento un processo passivo determinato dall'esterno, dagli stimoli ambientali. Dopo la seconda guerra mondiale le concezioni passive dell'apprendimento hanno perso credibilità e sempre più si è insistito sul ruolo attivo del soggetto che impara.
L'altra rivoluzione di pensiero riguarda la motivazione. In questo ambito si è capito che la curiosità è una motivazione primaria su basi biologiche, come la fame e la sete. A differenza di queste, però, essa risponde a bisogni cognitivi, e determinate dall'esigenza della mente di tenersi in esercizio. Quando appaghiamo la curiosità contano le cose che facciamo in sé, non per i vantaggi che secondariamente possono portarci.
Secondo la definizione classica la curiosità è il ‘desiderio di conoscere’. Tale desiderio è spesso visto da molti come univocamente positivo, ma a un esame più profondo si scopre che ciò che lo rende positivo non è la conoscenza in sé, ma l’oggetto della conoscenza. Così la curiosità dello scienziato è generalmente positiva mentre è spesso negativa la curiosità di chi è pettegolo. In mezzo a questi estremi ci sono tante altre situazioni ed è necessario un parametro di valutazione dell’oggetto della conoscenza per poter giudicare con cognizione di causa. Per il Well-being * il parametro è semplicemente la possibilità che la nuova conoscenza migliori la nostra vita: l’intelligente è curioso di ciò che migliora la vita, lo stupido di ogni cosa. Se si rallenta per vedere l’incidente che si è verificato sulla corsia opposta dell’autostrada, è difficile giustificare tale curiosità con l’idea di imparare qualcosa di utile. Analogamente, sapere che la tale attrice ha lasciato il suo fidanzato non migliora granché la nostra vita. La curiosità fine a sé stessa, quella del gossip o quella del pettegolo sono esempi di curiosità non certo intelligente. Anche curiosità più ‘nobili’ possono essere del tutto inutili se sono troppo difficili da soddisfare: per quanto siano intellettualmente profonde, certe curiosità sono un puro gioco mentale od obiettivi senza probabile risposta. Lo scienziato che studia gli alieni o quello che va alla ricerca ossessiva di quello che può essere il Santo Graal* della sua disciplina, sono esempi di curiosità ben poco pratiche e, molto probabilmente, del tutto inutili.
Molti potranno ritenere troppo severo il giudizio sulle curiosità inutili, ma esse sono un importante indicatore esistenziale: chi è inutilmente curioso rivela personalità critiche, che vanno dal sopravvivente (chi ama il gossip), al violento non criminale (l’invidia del pettegolo o la curiosità di chi vuole scoprire i segreti altrui), al romantico (chi si ‘innamora’ del soddisfacimento di curiosità impossibili). In ogni caso la persona equilibrata non dovrebbe perdere tempo con curiosità inutili e dovrebbe concentrarsi solo su quelle che danno un contenuto informativo che potrà essere utile nel presente o nell’immediato futuro.

SITOGRAFIA

- http://curiositaecomportamentiesplorativi.blogspot.it/2012_02_01_archive.html
- http://www.albanesi.it/psicologia/curiosi.htm

Well-being, la scienza che abbinando una corretta visione della vita, una continua attività fisica e una sana alimentazione vuole portare chi la segue a un benessere duraturo (albanesi.it)
● Il Santo Graal secondo la tradizione medievale è la coppa con la quale Gesù celebrò l'Ultima Cena e nella quale Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue di Cristo dopo la sua crocifissione. Proprio per aver raccolto il sangue di Gesù, tale oggetto sarebbe dotato di misteriosi poteri mistico-magici.
LA MIA CURIOSITÀ

   Tina Gualandi


La curiosità può essere negativa se eccessiva, ma può essere positiva se causa o provoca momenti ed eventi utili, positivi, interessanti. È quello che è successo a me e posso dire che mi ha anche aiutato molto. Nel giugno 2010, al mio CSM, mi capitò di vedere e leggere una locandina che parlava di gruppi A.M.A. Chiesi ad un’infermiera di cosa si trattava e lei mi disse che non era una cosa per me. La mia curiosità mi portò a prendere un pieghevole che spiegava cos’erano questi gruppi e a chi erano destinati. Leggendo il pieghevole in autobus, trovai un gruppo dal titolo interessante Per un linguaggio comune e un numero di telefono di Lucia Luminasi (disponibile a dare informazioni). La chiamai, lei mi spiegò alcune cose del gruppo (quando e dove si trovavano) e mi disse che potevo andare a conoscerli un giovedì alle 18 ed ero poi libera di restare o andarmene una volta fatta la conoscenza del gruppo. Giovedì 8 luglio 2010 alle 18, andai per la prima volta e conobbi le persone che frequentavano quel gruppo. Da allora sono rimasta e ci vado tutte le volte che posso. Da quel gruppo in poi ho iniziato altre attività; Lucia mi ha presentata alla redazione del Faro, ho conosciuto delle persone del Fare insieme, che si vedevano ogni quindici giorni, ho iniziato ad andare in pizzeria con i ragazzi dell’associazione Non andremo mai in TV, poi ne sono diventata socia e da alcuni anni ne sono la vice-presidente. Nel 2011 ho seguito un laboratorio di scrittura creativa realizzato dal gruppo di lettura San Vitale e promosso dall’Istituzione Minguzzi e dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Il tema su cui si è lavorato è il disagio, inteso in senso lato. Partendo da esercizi di scrittura creativa, lavorando in modo libero, senza censura e gabbie stilistiche, è stato prodotto materiale. Ognuno di noi ha dato il consenso di stampare il ‘riassunto del percorso svolto', perché qualcun altro possa leggere e magari, perché no, ritrovare un po’ di sé. Dopo il laboratorio di scrittura è seguito il laboratorio teatrale, che ha portato alla messa in scena dello spettacolo L’eroe di vetro. Di questi due percorsi mi è piaciuto tutto e il saggio finale è piaciuto sia a noi attori che al pubblico presente. Scrivendo e leggendo a voce alta il mio disagio, mi sono sentita meglio e più leggera. Un’altra cosa bellissima che ho fatto il 15 marzo 2011 è stato adottare due micioni adulti e bellissimi, uno tigrato, di nome Calzino, e uno tutto bianco, di nome Nuvola. È stata un’esperienza fantastica, perché loro hanno adottato me, e avere due creature in giro per casa mi è servito per sentire la mia vita e la mia persona più piena e luminosa. Come referente della mia associazione seguo vari convegni anche in altre città e i progetti che via via si presentano al Dipartimento di Salute Mentale e faccio parte anche del CUFO (Comitato Utenti Familiari Operatori), organo che tiene i contatti tra il Dipartimento e le varie associazioni. Ho seguito un corso di formazione ESP (Esperto nel Supporto tra Pari), io ho parlato l’ultimo giovedì, il 16 aprile 2015. Il 21 aprile 2015 all’Arena del Sole c’è stata la presentazione del sito internet Sogni e bisogni sulla salute mentale. Ebbene un familiare ed io l’abbiamo presentato ed io sono anche stata intervistata da alcuni giornalisti del Tg3. Quindi, come vice-presidente di Non andremo mai in TV, sono anche stata in TV.
Ancora oggi frequento il mio CSM, ma mi vedo con la mia psichiatra ogni due mesi circa per i controlli e mi è stata anche diminuita la terapia. In questi ultimi anni sto decisamente meglio e dopo anni grigi e neri, la mia vita è diventata piena, varia e serena anche perché frequento persone che mi piacciono molto. Quando parlo della mia malattia, ne parlo al passato anche se so che le ricadute sono sempre dietro l’angolo. Essere inserita nei progetti rende la mia vita dinamica e frequentare i convegni mi piace molto perché si conoscono persone nuove, si apprendono più cose e si ascoltano le storie degli altri. Ciò che ho imparato facendo tante cose è che non bisogna chiudersi in casa e non si deve aver paura di raccontarsi. Non so se diventerò anche ESP. So che ad un convegno sugli UFE a Modena (a Trento e a Modena si chiamano così) mi chiedevo cosa fossero e a che servissero. Ora so qualcosa di più e credo sia molto importante che ci siano anche a Bologna. Ecco, senza la mia curiosità, non credo sarei arrivata a fare tante cose e a sentirmi così bene.

IL CALZINO STRAPPATO

   Antonio Marco Serra

La curiosità evoca la ‘cura’, l’attenzione che si presta a quello che esiste
o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza
mai di fronte a esso; una prontezza a giudicare strano e singolare quello
che ci circonda; un certo accanimento a disfarsi di ciò
che è familiare e a guardare le stesse cose diversamente.

Michel Foucault

La curiosità di cui vorrei parlare non è certo quella dei ‘ficcanaso’ che amano informarsi dei fatti altrui, per divertirsi poi a spettegolare di questo o di quello; ma non è neppure la curiosità mossa da un desiderio di apprendere conoscenze già acquisite, una sorta di golosità cerebrale, un desiderio di collezionare conoscenze, anziché francobolli.
Vorrei invece parlare di quella curiosità che nasce quando nel nostro mondo interiore, riflessivo o emozionale poco importa, ci si presenta qualcosa che ci appare differente da come dovrebbe essere, che viviamo con un profondo senso di stupore e a volte di disagio. Per tracciare una similitudine, non so quanto azzeccata, potrei pensare a quella sensazione, che qualche volta tutti noi abbiamo provato quando, entrando in un ambiente a noi estremamente familiare, ci accorgiamo che vi è qualcosa di diverso, ma in un primo momento non riusciamo a capire di cosa si tratti; eppure siamo del tutto sicuri che vi è davvero qualcosa di differente. E solo in un secondo momento ci rendiamo conto, ad esempio, che un quadro è stato rimosso, o una poltrona è stata spostata dal solito posto. La sensazione che qualcosa non è come dovrebbe essere.
Ma quando una simile sensazione riguarda il nostro mondo interiore, essa si presenta con ben altra autorità, si accampa al centro del nostro spirito e ci interroga con forza su noi stessi. Potremmo anche definirla una sensazione di inadeguatezza, ma ciò che decisamente prevale è il senso di profondo stupore che essa desta in noi. Una curiosità, dunque, che non è rivolta verso un oggetto ben definito, e che rampolla, come una sorgente, dal nostro stupore.
Beninteso, questo concetto è vecchio quanto la filosofia stessa. Pensiamo ad esempio alla frase che Platone fa pronunciare a Socrate nel suo Teeteto: “È tipico del filosofo quello che tu provi, l’essere pieno di stupore: il principio della filosofia non è altro che questo”.
Una sensazione che, non nascondiamocelo, può presentare anche aspetti apparentemente patologici (o almeno tali li considera l’attuale psichiatria). Parlo degli aspetti ossessivi connaturati ad essa: quando questa sensazione pianta le tende dentro di noi, costituisce una presenza ingombrante ed invadente, di cui è estremamente difficile liberarsi (ma, aggiungo io, probabilmente sarebbe anche estremamente inopportuno il cercare di farlo).
In una conferenza a cui ho recentemente assistito si sosteneva, molto giustamente, che vi sono casi in cui un individuo precipita in una situazione dalla quale non potrà uscire senza l’aiuto di qualcun altro. Ma penso che la situazione di cui stiamo parlando non sia una di queste. Temo che nessuno sia in grado di dare risposte ai nostri attoniti stupori, se non noi stessi, per il semplice fatto che il nostro mondo interiore è unico e irripetibile (e se vogliamo chiamarlo ‘psiche’, ‘anima’ o ‘spirito’, poco cambia) e solo noi siamo in grado di muoverci, con un minimo di leggerezza e di cognizione di causa all’interno di esso. In alcuni casi, è vero, qualcuno può darci una mano in queste ricognizioni, ma solo quando queste riguardano una parte molto esteriore di noi (anche l’inconscio, almeno per come l’intende la psicoanalisi moderna, è una parte estremamente superficiale del nostro essere). Ma per rispondere alle domande che lo stupore ci pone, occorre calarsi molto più a fondo, negli abissi del nostro essere, laddove nulla ha un nome o una forma definita e solo noi stessi saremo in grado, forse, di dare quei nomi e quelle forme, per ri-creare noi stessi. L’altrui aiuto, in questi meandri è assolutamente vano.
Forse il passo letterario che meglio descrive questo itinerario, è un frammento di Plutarco che istituisce un parallelo tra la morte e l’iniziazione ai misteri eleusini: “Anzitutto i vagabondaggi, i rigiri logoranti, e certi cammini senza fine e inquietanti attraverso le tenebre. In seguito, proprio prima della fine, tutte quelle cose terribili, i brividi e i tremiti e i sudori e gli sbigottimenti. Ma dopo di ciò ecco viene incontro una luce mirabile, ad accogliere sono lì i luoghi puri e le praterie, con le voci e le danze e le solennità di suoni sacri e di sante apparizioni”.
Una celebre frase della Fenomenologia dello Spirito di Hegel che mi sembra sulla stessa lunghezza d’onda di quanto vado scrivendo è la seguente: “Un calzino rammendato è meglio di un calzino lacerato; non così è per la coscienza”. Quando il nostro tessuto interiore presenta una lacerazione, uno stato di inadeguatezza, un sentimento stupito che qualcosa non è come dovrebbe essere, un’incrinatura nella nostra visione del mondo, cercare di rappezzare alla meglio il tutto, non è certo la soluzione migliore ché “altrimenti –come insegna il Vangelo di Marco- il rattoppo nuovo squarcerà il vecchio e si formerà uno strappo peggiore”. Si tratta di un’apertura, di un varco, talora solo di un piccolo pertugio che può condurci alla scoperta dell’imprevisto e dell’imponderabile. Di fronte allo stupore o ci si chiude dentro le ‘bolle’ di ciò che ci è familiare, o ci si apre alla curiosità e ci si lascia condurre altrove, per territori stranieri e incontaminati. Territori che sono già parte di noi, anche se non ne abbiamo piena coscienza. Territori che dobbiamo esplorare a fondo, se vogliamo che quel senso di stupore e di insoddisfazione si trasformi in un senso di pieno appagamento.
A volte si sono cercate scorciatoie per accedere a quelli che vengono chiamati ‘stati di coscienza espansa’, che ci permettano di vedere e interpretare il mondo secondo coordinate diverse, come nel caso della cultura psichedelica negli Stati Uniti degli anni ’60, in cui si faceva uso dell’LSD per innescare tali processi. Ma siamo sicuri che bisognasse aspettare Timothy Leary per intraprendere tali percorsi? Cos’è che da bambini ci faceva roteare su noi stessi, in giri sempre più rapidi, fino a piombare a terra quasi privi di conoscenza, in una sorta di stato di coscienza alterata, in cui ciò che ci circondava ci appariva diverso dall’usuale? (come si vede i “dervisci roteanti” non hanno inventato niente di nuovo). Forse l’esigenza di base di tutte queste esperienze è quella di acquisire un punto di vista differente da quello usuale, perché quest’ultimo ci sembra mancante di qualcosa: mancante dell’essenziale.
Ma lasciando da parte queste scorciatoie psichedeliche o roteanti, che a mio avviso lasciano il tempo che trovano, ciò che spesso innesca questo senso di stupore che ci apre a nuovi orizzonti nasce dalla contemplazione di opere d’arte: una sinfonia di Mozart, una cattedrale romanica, un dipinto di Caravaggio possono aprire all’interno del nostro animo squarci inaspettati su noi stessi e sul nostro essere nel mondo. Chissà che non accadesse qualcosa di simile dentro di me quando a due anni, così mi raccontava con orgoglio mio padre, musicomane incallito, nell’ascoltare la musica di Bach provavo un irrefrenabile desiderio di danzare.
E venendo a tempi ‘storici’, mi ricordo di quando sedicenne, ad Amsterdam, di fronte al quadro di Van Gogh Champ de blé aux corbeaux, dipinto pochi giorni prima della sua morte, rimasi estasiato e stupefatto, e questa sensazione mi portò ed elaborare qualche bizzarra teoria su me stesso. Non chiedete alla mia memoria traballante ciò che allora percorse la mia mente, non lo ricordo affatto. Eppure son certo che ciò che allora scopersi, mi costituisce a tutt’oggi.
E, per parlar d’altro, la religione che ancor oggi, dopo duemila anni, molti di noi professano, non nasce anch’essa da uno stupore? Lo stupore di fronte a un sepolcro che avrebbe dovuto contenere un cadavere e che invece era vuoto.
E permettetemi di concludere, narcisisticamente, con un po’ di coming out. Mi faceva recentemente notare un amico, che nei miei articoli sono solitamente più interessanti le parti in cui parlo di mie esperienze personali, che non quelle in cui, magari a partire da esse, elaboro astruse teorie. Ed io potrei anche essere d’accordo se non fosse che, a ben vedere, io scrivo sempre e solo di me stesso (e francamente non credo che sarei in grado di scrivere di altro). Solo che a volte, per paura di non essere compreso, mi nascondo dietro ragionamenti apparentemente logici, che simulino una parvenza di scientificità, o per paura di non essere preso sul serio, mi nascondo dietro le ampie spalle di pensatori famosi. Ma non fatevi fuorviare: io parlo sempre e solo di mie esperienze vissute. Vissute nella sofferenza, nell’angoscia, nello stupore, nello sbigottimento, ma soprattutto nell’entusiasmo.
L’uomo quando sogna è un dio, quando riflette è un mendicante. (Friedrich Hölderlin)

LA VIGNETTA DI RICKY

COME SPECCHI?

   Paolo Sanzani


C ome specchi? Aggiungendo qualcosa in più…
Credo che la ‘consapevolezza’ sia quella di capire dove finisce la malattia e dove comincia la propria coscienza, in merito alle decisioni da prendere nella vita.
A volte una psichiatria troppo invadente toglie il fiato, rendendoti estraneo a te stesso. Riappropriarsi in fondo della propria esistenza è forse sinonimo di ‘guarigione’, non dai sintomi, che possono persistere, ma da quel vuoto esistenziale che ci (mi) pervade ogni giorno.

VORREI SAPERE

   Paola Scatola


V orrei sapere cosa mi tieni nascosto nel cuore o nell’anima, se sei nei sensi miei o se sei così con me per caso.
Sei con me, ma ti vorrei non più così nascosto nell’anteporti al caso, nel vuoto mio e nella curiosità tua.

***

Qui con te, qui con me, via da qui, via da te, me lo chiedi o te lo domandi, me lo chiedi o te lo nascondi. Per curiosità ti chiedo se vieni con me, ma qui ci sono io e non la tua assenza.

***

Curiosa sono, nascosto stai, ma mi tieni un po’ con te, ti prego, stammi accanto.

***

Se mi conoscessi meglio, saresti contento di rivedermi, invece pensi ancora a lei e pensi che sia la stessa donna. Ma ti voglio bene davvero, non scordarlo mai.

SOLUZIONE DELL’INDOVINELLO

Una mucca!



LO SFOGATOIO

   Giovanni Romagnani


So incassare ma so anche incazzare

So incassare ma so anche incazzare. In psichiatria il mio percorso vita è stato a rovescio. Da incazzare a incassare. Ad un certo punto l'ho presa semplicemente persa. Non credo di combattere e di avere combattuto con i mulini a vento, credo di combattere contro un regime reale, ma come il vento che alimenta i miei mulini, è un regime inafferrabile.
Dicono che lo sciamanismo è nato in Siberia: col freddo. Ugualmente dagli psichiatri, che giocano a fare gli sciamani, le piume d'aquila sono sostituite da camici e qualche sigaro; della Siberia hanno la freddezza assertiva. La versione messicana dello sciamanismo, descritta da Carlos Castaneda, parla del sentiero del cuore, dicendo anche che nessun ente può esaurirlo. Il suo battito non può essere imprigionato.
Definire significa uccidere, sostengono i buddisti. Questo i medici lo hanno capito, ed occidentalmente coi sintomi ci giocano. Veri d.j. di definizioni ed enti non sanno cosa è il cuore e proprio per questo non lo vedono in chi hanno di fronte.
Birboni... meglio Luca Carboni!



Basta un poco di zucchero e la pillola va giù

Non mi hanno mai spiegato l'effetto degli psicofarmaci. Solo l'uso. Poi ne ho fatto abuso: 28 pastiglie di Zyprexa. In pieno delirio di onnipotenza. Mi sentivo immortale. Lavanda gastrica & T.S.O. Disintossicazione graduale: ho rischiato il coma.
Acutamente la Dottoressa F. P. mi ha disse: "Siamo sempre diventati matti a farteli prendere...". Il fatto è che la cosa mi è stata imposta male. Coercitivamente. Velatamente obbligatoria. La chiamano ‘terapia’. Ma per che cosa. Forse per protendere verso una diversa adattibilità? E gli effetti collaterali? Bugiardino Birichino. O forse per loro il birichino ero io, bugiardino quando dicevo di prenderli e non li prendevo.
PUNTURA! Che forzatura.
Una realtà separata quella degli utenti psichiatrici, senza la guida di Don Juan.

Non Vedo.
Non Sento.
Non Parlo.
Mi ricorda certi miei T.S.O.



Lavorare nel disagio sociale

Lavorare nel disagio sociale è un lavoro fottuto. Non si guadagna e si fa una fatica immane. I risultati non sempre arrivano e spesso bisogna lavorare sui mezzi risultati e festeggiarli: comunque! Il periodo storico esaspera le persone che giustamente non hanno pazienza: vogliono essere aiutati subito. Mi approccio al dolore sociale tramite il mio lavoro: Operatore di Mediazione presso L'Agenzia Sociale Articolo 4, Cooperativa di tipo di B facente riferimento al Centro di Formazione Professionale C.S.A.P.S.A. Delle volte più che mediazione ci vuole moderazione. In questo mi aiuta il nostro pirotecnico Presidente: Leonardo Callegari. Vero e proprio guru del disagio sociale, se ne occupa da oltre trent'anni, mi aiuta nei miei entusiami, a volte troppo vivaci. Mi ritiene un operatore di prossimità troppo prossimo nell'offrire caffè. La vita può essere amara ed in quel caso è improprio metterci zucchero. "Voglio un poco d'amore, perdio!"...
Leonardo mi ha, e spero continui, insegnato tanto. Quello che in Lui più stimo è la tenacia con cui cerca comunque il meglio o al limite il meno peggio nelle persone e nelle situazioni. Tutti noi abbiamo una scintilla divina, che va coccolata, considerata e possibilmente risvegliata. Uomo dal fuoco sociale, vero Vesuvio di idee, ci mette sempre in guardia dai rischi di lavorare di fatto molto vicino a Pompei. È un’esperienza che ormai dura da cinque anni, la mia in C.S.A.P.S.A., e mi ha aiutato a conoscermi. Ed a capire i miei limiti. E ne ho. Tra cui la fretta.
Approfitto dell'occasione per ringraziare tutti i miei colleghi, che non cito ed amo, e le coordinatrici che mi sopportano. Gli Americani scrivevavo I want You, noi urliamo I want help You, che non significa Tu ma Voi, perché non vogliamo scartare proprio nessuno.



Qualora lo abbia già fatto ignori questa lettera…

In un periodo informatico non ti danno le giuste informazioni. Mi arriva una lettera dell'Inps dove mi si chiede di specificare la mia situazione contributiva per quello che riguarda il 2013. È la postilla successiva che ritengo inaccettabile: "Qualora lo abbia già fatto ignori questa lettera". Capisco che lo Stato Italiano funzioni ad Enti ed Uffici separati, ma PORCA PUTTANA, a fare loro questa verifica incorrono in un'ernia?
A me nel ricevere questa richiesta è venuta l'ulcera, ma non mi rammarico, tanto c'è la Mutua.

SULLA CURIOSITÀ…

   Laboratorio di Narrativa – RTP Casa Mantovani


Si dovrebbe vivere se non altro per soddisfare la propria curiosità.
Dylan Dog

L a curiosità è un istinto che nasce dal desiderio di sapere qualcosa. La curiosità è una continua ricerca del nuovo, dello sconosciuto, è un sistema per aprire e rendere più elastica la nostra mente nei confronti di tutto ciò che ci circonda. Ci siamo chiesti da dove provenga la curiosità: ebbene siamo arrivati alla conclusione che può essere qualcosa di innato in noi, ma per capirlo meglio abbiamo pensato di iniziare da alcuni spunti celebri. Ognuno di noi ha scritto una riflessione su quanto hanno scritto alcuni personaggi illustri.

La curiosità, questo bisogno insaziabile di conoscenze.
Étienne Bonnot de Condillac

L.L. - La curiosità l’ho sempre avuta, sin da quando ero piccolo.
A.F. - La curiosità allena la mente.
Elisabetta - La curiosità è importante nella vita per conoscere e arricchirsi.

La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare reverenza quando si osservano i misteri dell’eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po’ il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità.
Albert Einstein

L.L. - Perdere una sacra curiosità è non perdere la sacra curiosità, ad esempio le voci.
A.F. - Essere curiosi arricchisce il piacere
Elisabetta - Non bisogna mai perdere una sacra curiosità perché serve a rallegrare la vita dandole un tono di inventiva ed energia.

Proverbi Italiani
          • Non domandare quello che fanno gli altri, e bada piuttosto ai fatti tuoi.
          • Non metter bocca, dove non ti tocca.

L.L. - Non sempre si riesce a farsi i fatti propri… io però ci provo tutti i giorni per non incappare in situazioni spiacevoli. La curiosità, se è troppa, è un limite.
A.F. - La curiosità, se mal gestita, porta ad una confusione nel piacere.
Elisabetta - Troppa curiosità fa male e rovina.

Abbiamo quindi scritto alcune nostre esperienze con la curiosità.

L.L. - Da bambino ero più curioso, ora, con il passare degli anni ne ho meno e mi sento spento…
A.F. - La curiosità allena se stessa.
Elisabetta - La curiosità rende la vita frizzante.

COMPONIMENTO DI GRUPPO
Sono curioso e vanitoso,
a volte un po’ rumoroso e pensieroso
e a tratti permaloso.
Guardo in qua e ascolto in là.
Il mondo mi stupisce
e alla fine la curiosità
mi porta alla felicità.

LA CURIOSITÀ: PUNTI DI VISTA

   Centro Diurno di Casalecchio di Reno


L a curiosità è quella cosa che fa andare avanti il cervello, che lo tiene in allenamento. Io non sono una persona curiosa però con l’invecchiamento sarebbe una cosa utile essere curiosi per mantenere il cervello attivo. La curiosità è lo stimolo a conoscere le cose, ad informarsi, per aprire la mente anche se è una caratteristica che non mi appartiene. Da piccolo lo ero di più, mentre con l’andare degli anni questo aspetto è calato.

La curiosità si accentua molto con i rapporti interpersonali, mi chiedo sempre qual è il meccanismo che modifica gli umori e gli stati d’animo delle persone. Per natura sono curioso se qualcosa mi stimola e mi appassiona. Ad esempio quando guardo un film o leggo un libro che mi intriga ho bisogno di arrivare alla fine per vedere come si conclude, immedesimandomi nella storia, fino al punto da arrivare a sentire le emozioni dei personaggi. Da piccolo rovistavo nella casa alla ricerca di regali o oggetti con cui giocare, tante volte ho cercato qualcosa che mi veniva negato e poi nascosto per non essere trovato, tipo il pallone da calcio che mi vietavano di usare in casa per non fare danni, oppure la cioccolata di cui ero molto goloso. Adesso la cioccolata me la compro io e la nascondo per non farla mangiare agli altri.

La curiosità è quella caratteristica della personalità che ci consente di essere più comunicativi. Tuttavia, occorre che la curiosità sia moderata, altrimenti addio comunicatività: si passa per essere invadenti. Bisognerebbe sempre controllare la curiosità, altrimenti diventerebbe un difetto. Io difficilmente mi addentro nelle passioni delle altre persone per un motivo di rispetto. Ciò, anche per non recare danno a qualcuno.

Io sono tremendamente curioso: è un’arma a doppio taglio, che ci può impoverire e arricchire nella misura in cui sappiamo farne corretto uso o scorretto uso. La mia curiosità è finalizzata a scoprire l’arcano negli altri, tante volte uso domande impertinenti per arrivare allo svelamento. Talvolta mi incuriosisco su particolari estetici di poca importanza, che però per me hanno valore. Mi capita di essere invadente anche se cerco di trattenermi. Non ho mai avuto congenito il senso della misura.

Io sono curiosa da sempre, tant’è che da piccola mi dicevano che ero curiosa come una scimmia. Mi capita spesso di essere troppo invadente e diretta con le mie curiosità. Quando sono sull’autobus mi succede spesso di fissare alcune persone per cercare di carpire qualcosa della loro vita e mi accorgo di avere uno sguardo troppo intrusivo. Mi incuriosisce tutto, sia le cose che le persone. Con l’avvento degli smartphone parte della mia curiosità viene placata.

La curiosità è variabile, aumenta o diminuisce a seconda degli stati d’animo, quando si è giù di morale l’attenzione è accentrata più su noi stessi.




LA CURIOSITÀ: PARLIAMONE

   Associazione UmanaMente


Brainstorming

Filippo: La curiosità può essere alternata, dipendente dall’umore. Se sei triste o arrabbiato il livello di curiosità diminuirà, mentre se sei felice sarai maggiormente curioso della realtà che ti circonda.

Oriano: La curiosità nasce quando non ho conoscenza di qualcosa. Mi è capitato anche l’altro giorno di essere curioso, quando ho voluto conoscere meglio il poeta Klopstock che non avevo mai sentito.

Luigi: Esistono infinite forme di curiosità. La prima forma di curiosità dell’uomo è quella riguardante l’acqua e il cibo.

Gruppo: Si tratta di necessità o curiosità quella che riguarda queste prime forme primordiali di ricerca?

Luigi: Un esempio di curioso è il paparazzo: il suo interesse riguarda l’esistenza di personaggi illustri e ricchi.

Miria: La curiosità è uno stimolo a scoprire, ma anche un’attitudine. Considerando questa seconda visione del tema, la curiosità può essere considerata un pregio o un difetto della persona.

Edoardo: Riguardo alla curiosità a me era subito venuto in mente ed ho anche scritto a riguardo di un dialogo filosofico tra Socrate e i suoi discepoli. Poco prima di prendere la cicuta, Socrate tenta di imparare a suonare la cetra. I discepoli si chiedono la motivazione che spinge Socrate, in punto di morte, verso il desiderio di imparare. Egli risponde che ciò gli provoca piacere. Edoardo propone quindi il tema della curiosità come piacere di imparare qualcosa.

Gruppo: La curiosità non sembra avere limiti di tempo.

Nadia: Sono d’accordo con Filippo, anche per me la curiosità è inversamente proporzionale alla depressione.


Definizione di curiosità

Filippo: Per curiosità alternata si intende anche quel particolare atteggiamento per cui quando mi sembra di aver scoperto qualcosa, la mia curiosità diminuisce.

Luigi: La curiosità è una domanda.

Miria: Si tratta di un interesse orientato alle cose che non si conoscono..

Nadia: La curiosità è desiderio, verso le cose belle che ci avvicinano alla conoscenza.

Filippo: La curiosità è un motore emozionale.

Edoardo: La curiosità non sempre è positiva, in alcuni casi può anche essere pericolosa.

Luigi: Un proverbio recita che “la curiosità uccise il gatto”.

Filippo: E: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”.

Oriano: Esiste anche una band che si chiama Curiosity killed the cat.


Contributi scritti


Edoardo
Sono curioso, nel senso di imparare tantissime cose. Da ultimo, ho cercato di affrontare un testo di Joyce che quasi tutti ritengono impossibile da comprendere. Quando ero depresso non avevo di questi desideri.

Nadia
Curiosità, umore, depressione, ansia. La curiosità va di pari passo con l’umore. Infatti quando si è depressi la curiosità è completamente assente. Lo stesso quando l’ansia è patologica. La curiosità può essere anche considerata una forma di cura dell’umore, che però non si riesce a stimolare nei casi molto gravi o cronici di depressione. La prima volta che la depressione ha tarpato la mia curiosità, e anche la creatività, è stato a tredici anni. Per la prima volta in vita mia, a scuola, non riuscivo minimamente a scrivere un tema, cosa che di solito mi riusciva sempre molto bene. La mia vita da allora è diventata come un’altalena: curiosità e felicità, depressione e disperazione. Da qualche tempo ho trovato una forza nuova, la curiosità è sempre più o meno presente nella mia mente e vivo molto meglio, più serenamente.

Antonio B
Ansia e curiosità e umore. L’ansia del mondo di oggi è causata da una depressione relativa all’evitare cose negative riviste, e pensare ad immaginare cose che nella mente causano danni non positivi. L’ansia vista in maniera positiva è paragonata a disturbi in generale di situazioni comportamentali. La curiosità è una situazione del vedere e provare emozioni reali di punti di vista omogenei che fa sì che l’uomo o la donna divengano più consapevoli di essere i visitatori dell’incontro.

Simone
La curiosità e l’umore. La curiosità può davvero aiutare l’umore, nel non essere sempre concentrati su se stessi quando si sta male, il che senza dubbio aumenta il malessere. Io lo vedo soffrendo d’ansia: più mi concentro 'fuori, meglio sto 'dentro'. Come disse uno psichiatra, il contrario dell’ansia è la contemplazione, e per contemplare devi essere curioso.

Maurizio
La curiosità è uno stimolo a conoscere o a sapere delle cose che non conosci, oppure per sapere di più, legato all’umore. Quando una persona è malinconica difficilmente vuole sapere più cose. Aggiungerei un aggettivo alla parola curiosità, che la curiosità è femmina, nel senso che proviene in genere dalle donne, sapere o impicciarsi delle cose degli altri (le pettegole).

Roy
Sono molto curioso di leggere i classici greci e latini. Sono curioso di relazionarmi con le persone. Per quanto riguarda l’ansia, a volte assumo la terapia al bisogno. Devo convivere con l’ansia. Quando sto male devo leggere. Sono curioso di leggere testi antichi; mi piace molto la filologia classica. Quando ho l’ansia vorrei morire cento volte.

Marco
La differenza tra la macchina e l’essere umano è stata individuata attraverso il test di Turing che ha individuato il criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Solo l’uomo è in grado di pensare nel senso pieno dell’essere curioso e del potersi differenziare dalla macchina. A tal proposito si ricorda il film di fantascienza psicologica Ex machina, che affronta questi temi.


Poesie sulla curiosità






Caro Faro,
allora… siete pronti a uscire con il vostro ennesimo numero? Io lo attendo con ansia! Lo leggo molto volentieri, anche perché molti di voi redattori li ho conosciuti personalmente, sia i poeti che quelli che scrivono in prosa. Complimenti, siete molto bravi e simpatici! A presto, quindi. Un saluto a tutti.
Giusi

LA MIA AUTOBIOGRAFIA: IO NON HO PAURA

   Elisabetta


S ono nata nel 1965 a Bologna da genitori bolognesi. I miei primi anni li passai in un asilo comunale, dove mia zia lavorava come bidella. Abitavo a San Ruffillo, in un quartiere residenziale. Abitavamo in quarantanove metri in tre persone, io e i miei genitori. Mia madre lavorava come domestica, mio padre si faceva tutti i giorni sessanta chilometri con un motorino. Andava per lavoro in un paese chiamato Monghidoro, dove risiedevano suo fratello e suo nipote. Facevano i fontanieri e ogni tanto scendevano a Bologna, dove era il magazzino degli attrezzi e anche molto lavoro. Mia madre lavorando in casa della padrona mi lasciava alle feste dell’asilo e della scuola. Quando le scuole erano chiuse mi lasciava con le figlie di queste padrone, a giocare nelle loro case, oppure, quando ero alla medie, al pomeriggio veniva una figlia di amici dei miei genitori. Poi verso le sette arrivava mia mamma e il papà della mia amica per cenare tutti insieme. Mi ricordo che con un amico di mio padre e del figlio dodicenne eravamo andati a vedere i Pooh; fu un concerto stupendo e abbiamo visto un tir rosso dei Pooh, lungo lungo. Quando da piccola passavo dal lattaio mi soprannominavano “mucca Carolina”, perché compravo quattro litri di latte al giorno e se passavo dal fornaio piangevo e facevo le tigne. Perché avevo l’otite.

***

Se si voleva guardare la televisione a colori (noi l’avevamo in bianco e nero!) sabato andavamo dagli amici di mio padre. Era molto divertente. Quelle tigne, pianti, morsi che davo ai bambini dell’asilo le scoprì la bidella mia zia, che mi portò a fare visite e lì scoprirono che avevo l’otite all’orecchio ed ero da compatire per il dolore allucinante che avevo. Una cosa bella: l’usanza il venerdì, il sabato e la domenica di andare al cinema, e dopo la tavolata in pizzeria o alle sagre o alla festa dell’Unità, dove mio padre faceva il volontario come parcheggiatore e il gelataio nella festa grande dell’Unità. Poi arriviamo alle superiori. Studiavo in una scuola per segretaria d’azienda, che si trovava in una soffitta sporca. Dopo il terzo anno smisi e presi il diploma triennale.

***

Dai sedici anni frequentavo molto la mia amica S.. Era molto per me e io per lei. Avevamo la stessa età. Giravamo tutti i giorni con un vespino rosso ed un Ciao anch’esso rosso. Poi lei prese la patente ed i suoi le regalarono una macchina. Il suo patrigno gestiva una pasticceria e la madre con la nonna gestivano un bar con una discoteca nel mio quartiere. Un giorno incontrai in un bar del centro il mio futuro marito P., tramite mio cugino con cui lavorava, e lì scaturì tutto... Una volta che ero uscita con lui a far benzina, incontrammo la mia amica S.: se ne dissero di cotte e di crude e così lasciai, per quell’uomo, un’amicizia durata parecchi anni. Sei anni. Dai quattordici ai diciannove anni.

***

Dopo un anno e mezzo, all’età di ventun anni, rimasi incinta e nacque M., dopo diciannove ore di travaglio all’ospedale della mia città, il Sant’Orsola. Vi erano P., mia mamma e il mio papà, ma è entrato solo il mio uomo con l’ostetrica. Il bambino è uscito per la testa. Mia cognata disse che aveva la testa a punta. Lei parla a sproposito, ha la bocca larga. Poi i mesi passarono e mia suocera diceva che M. si era messo la testina a posto. M. era il più piccolo di sei nipoti. E lo zio single abitava con mia suocera. Abitando già con i miei genitori andavamo a trovare i suoceri di frequente. Lo zio aveva abituato M. a musica, cd, computer. Ed è cresciuto così con questa mentalità.

***

M. nacque l’8 maggio dell’86 e in quell’appartamento eravamo in cinque. Ma dopo tre anni e mezzo, tramite assistente sociale, abbiamo avuto una casa al Pilastro, sempre a Bologna. Sessantun metri quadrati: due camere, una piccola e una grande, una cucina abitabile, un bagno grande, un ingresso grande e una terrazza grandissima. Ci eravamo sposati nell’86, con dietro M. che aveva sei mesi. Premetto che a San Ruffillo, in cinque in un monolocale stavo bene, anche se non era per cinque persone. Ero felice, stavamo sempre in cortile a giocare con M. e i miei genitori, e io andavo a fare la spesa con il vespino o il Ciao, entrambi rossi, con la minigonna e i tacchi alti. Nella nuova casa iniziarono i problemi. Per i primi tre anni siamo stati tranquilli. Poi io all’età di ventisette anni sentivo il bisogno di un altro figlio, ma non veniva. Finalmente nell’ottobre del ’92 rimasi ancora incinta e andai avanti nella gravidanza senza problemi. Al sesto mese però ricevetti, alle tre di notte del 12 marzo, giorno del mio compleanno, una telefonata di mia mamma che diceva: “Corri, papà sta male, respira male” ed io: “Chiama il 118, chiamalo, chiamalo!”. Nel frattempo mio marito P. mi lasciava in casa con M., prendeva la macchina per andare a casa loro. Erano le tre di notte, ma arrivato là vi era l’ambulanza e non c’era più niente da fare, papà era già morto.

***

Sei mesi dopo mio padre doveva andare in pensione e neanche quella se l’è potuta godere. Dopo tre mesi giusti giusti nacque una bambina bionda con occhi azzurri chiamata E., voluta da me con tanto amore. Sembrava andasse tutto bene, ma dopo un anno circa ebbi una depressione post-partum: mi mettevo a letto e non facevo più nulla. Mio marito P. vista la situazione prese i bambini un giorno di luglio del ’93 e se li portò da mia suocera, e per tre mesi non li vidi più. Prendevo l’autobus per andare a casa loro ma con risultato negativo. Avevo un vestito misero. Il fratello e mia suocera chiamavano l’altro fratello che abitava vicino a loro, che chiamava un taxi e pagandolo mi rispedivano a casa, perché non mi volevano vedere. Dopo tre mesi si fece vivo P., sperando che la situazione fosse cambiata. Io stavo benino. Mi chiese dei soldi per le bollette, ma io non li avevo, così se ne andò via e mi lasciò ancora sola. Io dalla disperazione di non vedere i miei figli feci un brutto gesto: presi l’alcool ed un accendino e mi diedi fuoco. Venni soccorsa dai ragazzi del settimo piano, che sentirono le mia urla e venni ricoverata a Verona nel centro ustionati per sei mesi. Poi andai al Malpighi per la riabilitazione al collo e nel reparto psichiatria dal dottor Chiari. Poi a casa stetti bene, per diciassette anni.

***

Un giorno arrivò una denuncia a mio marito per stalking alla mia migliore amica L. e incominciò il calvario. Mio marito non era più lui, mi picchiava a sangue e io per tre anni venni sbattuta contro porte e mobili. Con lividi. E poi stavo sdraiata a letto dal dolore. Anche mio figlio M. mi picchiava. Aveva detto: “Se papà può picchiare posso picchiare anche io”. Quando E. veniva a casa a guardarmi mi diceva: “Che stronzi”. Dopo tre anni circa mi recai presso un’associazione, UDI, Unione Donne Italiane, che mi diede un’avvocatessa senza pagare, perché io e mia figlia avevamo un reddito basso. E lei invitò E. accompagnata da me per dirle: “So che tuo papà picchia la mamma. E la picchia anche tuo fratello”. A mio marito piaceva quando ero timida e parlavo poco, e voleva che stessi in casa e non scendessi neanche dal tabaccaio per comprare un grattino da 1€ o un pacchetto di sigarette. Mi portava un pacchetto al giorno. E se io le finivo dovevo aspettare le cinque o le sei del giorno dopo.

***

Nascondeva in una cassetta soldi e medicine. Queste me le dava lui la sera. La mattina senza un soldo non uscivo più, pensavo solo alla famiglia e alla casa. Non potevo più fare la spesa, perché lui diceva che spendevo 60 euro per sei persone, che sono tante. Eravamo noi quattro, più a volte il ragazzo di mia figlia E.. e spesso mangiava e dormiva anche la ragazza di mio figlio, R. di sedici anni. Un giorno chiesi ripetutamente che volevo andare alla Conad da sola, ma mio marito mi venne dietro in macchina. Me lo vidi alla Conad, gli chiesi i soldi per andare a prendere un pacchetto di sigarette e urlò davanti al tabaccaio, dove una signora si impaurì e lo guardò male. Pure alla Conad era conosciuto e il commesso gli disse: “Oggi è venuto con la moglie? Non la vedo da tanto tempo”. Facendo la spesa, presi una confezione di cacao per il latte da un euro e cinquanta. E lì brontolò ad alta voce. Dopo che tutti lo guardarono impauriti, prese la macchina e mi lasciò lì con uno zaino e tre sporte della spesa. Più faceva così, più capivo come era fatto quell’uomo. Non era l’uomo con cui avevo vissuto in quarantanove metri insieme ai miei genitori. Era un altro. Forse perché mi aveva conosciuto timida e ora nella casa nuova parlavo di più. Non gli andava più bene.

***

Di notte e la domenica di giorno la gente sentiva e chiamava molto spesso la polizia. Nei tre anni di sofferenza si mise anche mio figlio M. di venticinque anni con pugni e calci, refertati in dieci giorni dal pronto soccorso: viso frantumato, denti rotti, e anche un mento rotto. Al pronto soccorso andavo il lunedì, perché succedeva tutto il sabato e la domenica, quando mia figlia E. andava dal ragazzo. Quando veniva a casa, E. diceva, vedendomi così: “Che stronzi”. Il mandato della polizia era arrivato nel dicembre 2011, e tutti e due mi minacciarono. E M., mio figlio lo stracciò. La polizia diceva che li avrebbe allontanati da casa per Natale ma questo non avvenne. Nel frattempo al sabato, alla domenica e al lunedì dovetti andare dalla suore di Madre Teresa di Calcutta per un mese, per protezione. Venivo a casa per cambiarmi il lunedì mattina, quando loro lavoravano. Poi il resto della settimana non mi facevano niente, perché c’era E. Il 12 gennaio 2012 mentre ero in piazza ricevetti una telefonata dall’avvocatessa, di presentarmi nel suo ufficio. Andai e mi disse: “È arrivata l’ora di fare uscire i suoi uomini”, ha telefonato a casa per cercare E., che non poteva vedere certe cose. Per fortuna al telefono ha risposto lei. Con un inganno chiese a suo padre se l’accompagnava al centro abbronzatura che era vicino allo studio dell’avvocatessa. E là senza farsi vedere scese fino all’ufficio. Aspettammo con l’impiegata per un’ora e mezza, mentre l’avvocatessa era andata in motorino a casa nostra. Già alla partenza di mia figlia e di mio marito c’erano le pattuglie dei carabinieri, infatti quando scese con E. mio marito disse, scherzando: “Vengono a prendere me”. L’impiegata per un’ora e mezza ci parlò gentilmente, fino a quando non tornò l’avvocatessa. Ci disse che li avevano presi e portati fuori di casa. Che era fatto tutto. Andando verso casa E. ricevette una telefonata da suo padre, che diceva: “Cosa hai fatto?”. Ma lei non aveva fatto nulla... cosicché rimanemmo da sole. Questa è la mia vita: non ho più paura!!!

FACCIO CONSEGNE AI GAS

   Simone Cavazzoli


Mattina presto, non c’è freddo, siamo ancora ai primi d’ottobre. In casa c’è silenzio, Nicola dorme, Gino non ha sonno già da un po’. Ieri quel tipo ha portato il furgone… sì, forse è il caso di dargli un’occhiata. Gino si sbarba con calma, la calma che ha imparato in quell’appartamento. Una volta erano solo quelle pillole verdi a portare un po’ di calma nella confusione della testa. Tutti quei pensieri uno sull’altro come vagoni accartocciati nel fumo di un deragliamento, tutti quei ricordi di roba che non c’era più e di roba che era arrivata senza volere… come un tempo d’inverno spiazzante in una settimana di fine giugno. Acqua tiepida, il bianco della schiuma... la faccia che - una passata di lama dopo l’altra - torna ad emergere. Dopo una barba ci sono quei pochi secondi in cui lo specchio restituisce qualche idea… giri la testa un po’ di qui, osservi, pulisci bene, perdi tempo… vuoi qualche secondo in più per valutare l’espressione che hai davanti: sei sempre un uomo, forse ancora un bel ragazzo, sei appena più tondo, lo specchio non arriva fino a giù, bene così, oggi non hai voglia di pancia, è un regalo delle pastiglie verdi, quell’effetto lo fanno. Ma poi mi rimetto un po’ a posto col calcio, certo, oppure la palestra, certo, sì… boh, vedremo. Camicia pulita... c’è troppo casino in questo bagno. A Nico l’avevo detto di buttare tutto in lavatrice, ogni volta le operatrici hanno da dire sul casino di ’sto bagno, sulla cucina e le pulizie invece ci siamo, la spesa è okay, buone le salsicce che ha portato l’educatore Dario, ha trovato ’sta macelleria bio in collina. Io poi con le padelle me la cavo, Nico è sempre contento quando ho un po’ di ispirazione, si mette volentieri a lavare i piatti dopo, il suo modo di ringraziare. Poi sigarettina e un po’ di tivù insieme e un altro giorno scorre calmo. Non è che abbiamo molto da fare, il nostro mestiere è la casa, la mia agenda sono gli incontri con operatori, un pranzo da mamma, Nico da consolare quando è teso, un accompagnamento da fare con il furgone della Asl. Che altro? No, con le puttane non mi va, non era in quel modo che mi andava. Una volta… una volta… Camicia pulita, il giubbotto, esco senza sbattere, non mi va di rompere al Nico e non mi va di svegliare nessuno, mi va di stare solo per un po’, voglio vedere ’sta macchina… Noi camionisti chiamavamo ‘macchina’ qualsiasi tir, si facevano confronti. Cos’è che ha detto quel tipo all’incontro di Rimini? Facciamo consegne in nord Italia, roba anti-mafia, mi serve uno che resiste ore alla guida, che mi tiene un veicolo sull’asfalto e non fa cazzate, che quando scarica capisce le mille storie che gli butta nella testa un cliente… Lo sai, abbiamo clienti strani… no non lo sai, ma lo vedrai, si chiamano ‘gas’, ma non c’entra lo scaldabagno. Sì, sono gruppi, gente che vuole roba buona a prezzo giusto, roba che viene da casini e che fa sentire a tutti che se si sta insieme si sistemano i casini. Questo ha detto, ho capito poco, però parlava convinto e sembrava sincero, con quella sua faccia strana, mi sembrava convinto. Parla come un camion in corsa… magari ci starebbe bene pure lui qui nell’appartamento della calma. Non è che io mi debba convincere, ora voglio solo vedere ’sto veicolo. Gino guarda il Daily, è davvero piccolino, non c’entra nulla con lo Scania da 600 cavalli che anni prima aveva portato tante volte sulla Bologna-Bari e ritorno… anni prima… una volta. Però è bellino, davanti i fari sono ampi, il muso non è male. Sale in cabina e lo spazio c’è, ci stanno le gambe, ci sta la sacca coi vestiti e la borsina con le merendine e la frutta, più a destra c’è addirittura posto per un altro, un compagno, un qualcuno… vedremo…
Ora sono due anni che consegno con Sicilia Vostra, sono responsabile delle manutenzioni al veicolo, faccio la contabilità di viaggio, mi stampo le fatture e faccio il programma di carico. Sì, so fare un carico complesso, dove ci sono casse e bottiglie e vasetti, non mi sbaglio con queste consegne piccole fatte di mille cose diverse, poi due chiacchiere e magari un panino e un caffè a casa di una famiglia di clienti, mi piace fare due chiacchiere, qualche volta ci ho pure dormito, sì, quando cambiamo regione e i giorni si allungano e passiamo da una stazione logistica all’altra, da una città all’altra, caricando e scaricando… Siamo io e il Nico, lui entra in gioco con lo scarico e le telefonate a tutti poco prima di arrivare. No, la guida non è roba per lui, ogni tanto si addormenta, ma anche così mi fa compagnia lo stesso e io lo riporto a casa sano e salvo tutte le volte. Da un po’ di mesi gli operatori hanno cominciato a dire che devo riflettere sull’abbandonare l’appartamento e Nico, che tanto non è che lo abbandono Nico, è solo che è ora che ricominci tutta una mia vita, che sono pronto. Io non lo so se sono pronto, ci devo pensare. Mi hanno detto non c’è nessuna fretta. Sì, ci voglio pensare. Le ore di lavoro stanno aumentando, guadagno più soldi: che devo fare con ’sti soldi, mi pago un affitto mio? Non lo so se ne ho voglia di stare da solo, di un appartamento vuoto, e poi col Nico chi ci mettono, magari uno che gli rompe le palle… non lo so se sono pronto, vedremo… adesso non lo so…magari tra qualche mese… Riflettere sulla lotta al sopruso e alle forme di fascismo del quotidiano ci ha fatto capire che ogni superamento di una condizione di schiacciamento può considerarsi come una vittoria che butta nella polvere qualche camicia nera. Noi siamo operativi in grandissima parte su terreni confiscati alla mafia, ma non è dal sopruso mafioso che stiamo sentendo sempre più di liberarci. Quella sta per paradosso divenendo una lotta più agevole, grazie all’appoggio popolare e alle maggiori competenze culturali su ciò che è mafia. Molto più difficile è far uscire uomini singoli dall’incatenamento dello svantaggio fisico, psichico o sociale, che sono condizioni ancora oggi quasi più foriere di stigma che di collaborazione in cordata. Lo svantaggio psichico nasce dalle più differenti fragilità, nasce a volte di punto in bianco per un fatto tragico e triste che ti sommerge. Il nostro Gino era un giovane camionista con tutte le patenti utili a lavorare sul lungo raggio e guidando roba molto pesante. Un giorno la fidanzata ha perso il bimbo che aspettava e poi Gino ha perso anche questa ragazza, cominciando a scendere gradini prima di depressione e poi di dissociazione. Gradini lunghi sette anni. Sono stati dei buoni educatori e operatori sociali a prospettargli delle ‘stazioni di riposo’ dal suo stato interiore. Queste stazioni sono stati incontri con psichiatri capaci e dediti ad andare più in là delle medicine ‘da controllo’, sono stati un appartamento e un compagno di vita quotidiana con cui affrontare l’agenda di giornata e quando è venuto il momento, sono stati dei lavoretti che riuscissero a sfruttare la sua capacità professionale residua alla guida. Le patenti speciali erano perse, ma almeno la B rimaneva. Tutti si sono resi conto di quanto fosse affidabile con il pulmino, si vedeva che aveva guidato roba ben più grossa e che queste automobiline non gli davano nessun pensiero, si vedeva il relax alla guida e il relax che questo conferiva ai trasportati. Si è solo cercato qualcosa di più, qualcosa in cui fosse totalmente responsabile di un gesto tecnico, di una funzione, di un risultato. Oggi è un uomo fondamentale, affidabile e strategico all’interno di un percorso di inclusione lavorativa di varie persone svantaggiate, assunte a nord da parte di un’azienda del sud che piano piano sta provando a fare cooperazione sociale per davvero, che guadagna la busta paga per tutti, aiutando anche chi è incatenato dallo svantaggio psichico a lasciarsi alle spalle questa brutta forma di fascismo. Ben vengano allora le consegne… e anche questi clienti strani che sono i Gas!

da Pollicino Gnus, maggio 2015

WE ARE THE CHAMPIONS

   Aidrous

I Diavoli Rossi hanno preso parte alla terza edizione dell'Olimpiade dell'Integrazione Sociale Sport e Cultura, tenutasi a Norcia dal 12 al 16 ottobre 2015. La squadra ha vinto il torneo di calcio aggiudicandosi un bellissimo e prestigioso trofeo, inoltre uno dei giocatori, Andrea Tonelli, ha vinto la coppa per essere stato il migliore in campo. Qui di seguito ci sono le considerazioni e i commenti all'evento di Abel Kadim Aidrous, uno dei calciatori: "Tantissimi saluti e ringraziamenti alla Polisportiva "Diavoli Rossi" alla presidente e a tutti gli operatori, utenti, familiari e soci che hanno programmato e resa possibile questa bellissima esperienza a Norcia. Devo dire che questa vittoria mi ha riportato indietro nel tempo, di tanti anni, mi ha fatto rivivere le emozioni e la gioia per il risultato conseguito nella finale di un torneo in Somalia dove per l’appunto conquistammo il titolo di campioni. Tutti in questo torneo umbro ci siamo impegnati e dati da fare al massimo, questo ci ha consentito di vincere un gran bel trofeo, una vittoria così mi e ci mancava da tanto tempo, il risultato ottenuto ci ha resi felici ed orgogliosi". Grazie ancora di cuore.




L’ANIMAZIONE SOCIALE PER ANZIANI ESPLORATORI

   dott. Mariana Parera , psicologa e animatore sociale

Iniziai a lavorare nel ruolo di animatore sociale presso una casa residenza per anziani nell'impossibilità di affiancare l'animatrice precedente. Ciò mi avrebbe consentito una conoscenza più immediata degli ospiti. Mi avvicinavo agli anziani per cercar di capire quale programmazione avrei potuto proporre alla luce delle loro capacità residue.
Per creare una programmazione di animazione equilibrata, è necessario impostare un insieme di attività diverse, con stimolazioni specifiche per lavorare sui vari aspetti che fanno parte della vita della persona. Attività che si esplicita sull'area cognitiva, motoria, sociale o comunicativa, sensoriale, culturale e ricreativa. A proposito di questa, la elenco sempre per ultima visto che nell'immaginario collettivo l'animazione è fortemente associata all'idea di ‘passarsi il tempo’. Tuttavia, anche nell'eseguire il gioco più ingenuo che ci sia per ricrearsi c'è sempre un impegno, una sollecitazione grazie alla quale le competenze si mantengono in esercizio. (*)
Ritornando alle mie prime esplorazioni sul campo, con le persone anziane notavo che per alcuni la parola offriva dei buoni servizi per far conoscenza, ma c’erano persone che non erano più in grado di tenere un dialogo di senso logico o, peggio ancora, di esprimersi. Al contempo scoprivo che la maggior parte di loro non era indifferente alle mie parole né al suono della voce. Mi son trovata a parlare in un ‘linguaggio nuovo’, che non segue le regole convenzionali della grammatica e della semantica, ma che rende possibile il mantenimento della comunicazione e la restituzione della dignità umana. Nel rivolgere la parola ad un'altra persona, noi confermiamo la sua esistenza, il suo essere persona diverso da cosa, volendo lo si potrebbe considerare un vero atto d’amore. Non per caso l'opposto dell'amore non è come spesso si pensa, l'odio, bensì l’indifferenza.
Questa esperienza si riverificava con più anziani affetti da demenza. All’improvviso in quelle persone in apparenza spente, era possibile osservare un risveglio, un’espressione sul volto quasi sempre di soddisfazione e serenità. Imparai che anche su di loro la stimolazione era necessaria e importante.
Se si prende in considerazione la teoria della gerarchia dei bisogni di Abraham Maslow, interagendo con gli anziani dalla prospettiva dell'animazione ci troviamo a lavorare fondamentalmente su esigenze di tipo sociale e di appartenenza. Loro provano il sentimento di essere in contatto con gli altri, di ricevere affetto nonché sostegno. Sono aspetti della vita umana che meritano una maggior attenzione nelle residenze per anziani a complemento dell'enfasi posta sulle cure di tipo fisiologico e sulla sicurezza.
Nonostante all'epoca non avessi ancora approfondito l'argomento, deduco che l’approccio alle nostre interazioni era già coerente con la Validation. Prendevo le loro idee, parole o gesti come materia prima dei nostri dialoghi. Affascinata da queste esperienze, sentivo che si stava generando un'atmosfera di benessere ed è proprio questo l’effetto ambito dalle figure professionali che si occupano della sfera psico-sociale della persona all'interno delle strutture per anziani. Il metodo Validation, consiste nel cogliere ogni manifestazione verbale, gestuale o di comportamento dell'anziano come l'espressione di bisogni (Maslow). Noi favoriamo tale espressione in cui talvolta riaffiora un passato di cose irrisolte, di conflitti in sospeso. Ciò che proviene dalla mente dell'anziano e che lo coinvolge a livello emozionale non va rifiutato né misurato in conformità con parametri culturali o esterni. L'atteggiamento empatico di colui che lavora con le tecniche di questo metodo è quello di legittimare una realtà personale. Ci si astiene dall'analizzare o interpretare le esternazioni della persona, facendo in modo che si senta compresa ed accettata per aiutarla a ripristinare l'equilibrio emozionale. Con l'intenzione di arricchire i nostri incontri, iniziai a includere oggetti che potessero risultare curiosi per attirare la loro attenzione. Con l'obiettivo di stimolarli, cercavo di sfruttare quel desiderio residuo o quell'istinto di conoscere che era ancora vivo in molti anziani malgrado il loro forte disorientamento cognitivo. Pian piano si delineava un’attività adatta per questo tipo di utenza che nominai ‘Osservazione Curiosità’, che inoltre si abbinava perfettamente al ‘Dialogo’. L’ho posto fra virgolette per evidenziare la differenza dai dialoghi a cui siamo normalmente abituati. Dialoghi privi di senso logico per noi, ma sicuramente per loro non del tutto sprovvisti di senso. Dai colori, dalle forme, dalle tessiture e superfici, dai suoni e dagli odori si procede verso una stimolazione delle funzioni sensoriali, della motricità compresi i riflessi, dei processi cognitivi e delle competenze relazionali. Oggetti dai colori vivi, sonori e che si muovono sono quelli che attirano l’attenzione per primi. I sensi della vista e l’udito solitamente precedono il tatto e il movimento. L’anziano tende a contemplare l’oggetto, gli occhi ne seguono il movimento. L’attenzione rivolta alla cosa è già una funzione di tipo cognitivo che si è attivata. Qualora questa attenzione si riesca a mantenere unitamente alla propensione a esplorare l’oggetto si sviluppa un livello senso-motorio più complesso. Fra l’altro si tratta di uno spazio di stimolazione che fa contrasto con uno dei più temuti problemi per l’anziano: la solitudine. La compagnia è tra gli aspetti più preziosi di questa e di qualsiasi altra attività che si esegua in animazione. Sappiamo che le malattie di tipo degenerativo hanno un percorso cronico irreversibile e che con l’adeguata stimolazione possiamo rallentare il processo di chiusura in sé che si sviluppa con l'invecchiamento. Al di là di ogni pretesa sui risultati il nostro impegno deve mirare alla creazione di un contesto di agio, di relazioni amichevoli e di gradevole compagnia. Nel contempo, nel caso specifico della stimolazione sensoriale dell'attività che nominai ‘Osservazione Curiosità’ si tengono in esercizio le capacità residue tramite gli oggetti, le immagini, la musica di sottofondo e il ‘Dialogo’. Interagendo con questi anziani disorientati si compie una funzione importante anche per i parenti, compiaciuti nel vedere che anche i loro cari sono stati accolti e apprezzati. Per quanto detto, nella mia esperienza professionale, la curiosità degli ‘anziani esploratori’ è stata l'anima, il motore trainante per la creazione di questa attività di stimolazione sensoriale che ha favorito il coinvolgimento di una cospicua fascia di utenti che a causa della severità delle loro patologie, rischiano di rimanere al di fuori delle programmazioni di animazione.

* Mariana Parera, Tombola, anziani mettetevi in gioco!!!, da precedente pubblicazione di Il Faro: http://www.youblisher.com/p/996199-2012-1/

BIBLIOGRAFIA:
- Rizzoli Larousse, Enciclopedia Universale
- Umberto Galimberti, Dizionario di psicologia, Gruppo Editoriale L’Espresso
- Naomi Feil, Validation - Il metodo Feil, Minerva Edizioni
- Giuseppe Caraglia, Sulla teoria della gerarchia dei bisogni
- http://www.appuntidiscienzesociali.it/Collaboratori/teoriadeibisogni-maslow.htm







LA CURIOSITÀ E L’UMORE: QUALE RELAZIONE?

   dott. Gaia Balboni (tirocinante in psicologia presso l’associazione UmanaMente)


La curiosità può essere definita come il motore dell’intelletto che spinge il soggetto al continuo desiderio di apprendere. «La curiosità nasce quando l’attenzione si focalizza su una lacuna nelle proprie conoscenze. Tale mancanza di informazione produce una sensazione di deprivazione denominata curiosità. La persona curiosa è motivata ad ottenere le informazioni mancanti per ridurre o eliminare la sensazione di deprivazione». La curiosità, più semplicemente, corrisponde al desiderio di conoscenza, alla necessità di avere a disposizione un numero sempre maggiore di informazioni. Quest’ultima è motivata da un repertorio di comportamenti, che per mezzo di essa, ci permettono di giungere a una sensazione di soddisfacimento, senza ottenere una ricompensa immediata. Le teorie fisiologiche considerano la curiosità come un meccanismo teso a raggiungere un livello ottimale di stimolazione dell’organismo. Di conseguenza, quando il soggetto è inserito in un contesto ambientale povero di stimoli, attiverà un comportamento esplorativo finalizzato alla ricerca di questi ultimi. In ambito psicologico, la curiosità può essere considerata come un comportamento esplorativo. Le risposte esplorative, hanno un ruolo centrale anche per quanto riguarda l’attenzione selettiva; permettono infatti di facilitare la competizione tra gli stimoli, finalizzata all’ottenimento dell’attenzione, aumentando o diminuendo l’intensità di questi ultimi. Tuttavia, la funzione del comportamento esplorativo non è solo di subordinazione all’attenzione selettiva, ma risiede nella possibilità di rendere accessibile un’informazione, prima non disponibile. I comportamenti esplorativi sono in stretta connessione con la curiosità, in quanto quest’ultima implica sempre una ricerca all’interno dell’ambiente in cui il soggetto è inserito. Appare evidente come la curiosità e i comportamenti esplorativi siano alla base dell’evoluzione dell’uomo. Il concetto di 'curiosità' è stato introdotto per la prima volta nella letteratura psicologica negli anni Ottanta da William James, che considerò la curiosità come uno degli istinti primordiali dell’uomo. Anche Darwin si è occupato di tale tema secondo un’ottica etologica. Freud, invece, interpretò la curiosità umana come un prolungamento, nell’età adulta, della curiosità sessuale infantile. A partire dagli anni Sessanta si verificò una rivoluzione negli approcci a tale tematica; si iniziò a trattare la curiosità in relazione alle dinamiche dell’apprendimento, che fino a quel momento era considerato un processo di tipo passivo. La curiosità venne poi concepita come motivazione biologica fondamentale, distinguendosi dai bisogni fisiologici di base, poiché concernente la dimensione cognitiva.
Dopo aver illustrato a grandi linee come la curiosità è stata affrontata in ambito psicologico appare utile specificare che cosa si intenda per 'umore' e cogliere le relazioni tra questo costrutto e quello di curiosità. L’umore viene oggi definito come un’indole, ovvero carattere della persona, inteso come una caratteristica sia costante che di tipo transitorio, quale disposizione dell’animo. Tale impostazione può essere fatta risalire a Galeno, il quale riteneva che il temperamento fosse costituito da una miscela di umori. Secondo gli approcci medici e psicologici, l’umore viene concepito come stato emotivo interiore della persona e dipendente dalle disposizioni affettive che determinano il tono caratterizzante l’attività psichica. Questa condizione emotiva è in grado di influenzare l’assetto emotivo della persona, così come anche le funzioni cognitive. Il tono dell’umore della persona non può essere inteso in senso dicotomico, bensì lungo un continuum, in quanto suscettibile a variazioni di tipo qualitativo e quantitativo. Un tono dell’umore persistentemente alterato può condurre a disturbi dell’umore. I disturbi dell’umore rappresentano delle alterazioni dell’umore e del comportamento del soggetto, caratterizzati da una reazione non proporzionale alle emozioni che l’individuo fronteggia quotidianamente. In particolare, a livello diagnostico si distingue tra episodi di alterazione dell’umore quali, ad esempio, episodi maniacali o depressivi maggiori e veri e propri disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare). Le ricerche che hanno indagato il rapporto tra umore e curiosità sostengono la tesi secondo cui il modo migliore per raggiungere la felicità sia esercitare la nostra curiosità. Ciò appare comprensibile se pensiamo che la felicità determini l’apertura verso nuove esperienze, ponendo le basi per la scoperta. La curiosità ci permette di vedere le cose da un'altra prospettiva, poiché quando essa è presente si acuiscono i nostri sensi, quali l’osservazione.
In conclusione, la curiosità rappresenta un costrutto complesso, meritevole di essere approfondito ancor di più dal punto di vista scientifico, in quanto dalle ricerche citate, emerge che gran parte del nostro benessere possa dipendere da essa. Per benessere non si intende solo quello della dimensione fisica ma soprattutto quello mentale, in quanto, come precedentemente affermato, la curiosità appare un’ottima strategia di fronteggiamento di numerose patologie ma anche di gestione dell’umore del soggetto. Attraverso una corretta gestione del nostro umore, è possibile stimolare la nostra curiosità verso il mondo esterno, verso nuove ed entusiasmanti esperienze, aumentando il nostro senso di benessere e soddisfazione.

NOTE
1. Loewenstein, G.(1994) The psychological of curiosity: a review and reinterpretation, Psychological bullettin, 75-98
2. Langevin, R. (1971) Is curiosity a unitary construct? , Canadian journal of Psychology, 360-374
3. Fowler, H. (1965) Curiosity and exploration behaviour, New York, Mc Millan
4. Paul, A. M. (2013) How to stimulate curiosity, The brilliant report, 8-13

BIBLIOGRAFIA
- Fowler, H. (1965) Curiosity and exploration behaviour, New York, Mc Millan
- Kanzmarek, D.L, Baczkowsky, B, Enko, J, Baram,B, Theuns, D, Subjective weel being as a mediator of curiosity and depression, Polish Psychological Bulletin, vol 45(2) 200-204
- Langevin, R. (1971) Is curiosity a unitary construct?, Canadian Journal of Psychology, 360-374
- Loewenstein, G.(1994) The psychological of curiosity: a review and reinterpretation, Psychological Bullettin, 75-98
- Paul, A. M. (2013) How to stimulate curiosity, The Brilliant Report, 8-13
- Todd, K, (2009) Discover the missing ingredient to a fulfilling life, New York, Harper Collins

SITOGRAFIA
www.psicologi-psicoterapeuti.com
www.ipsico.it
www.healthyplace.com
www.psychologies.co.uk





ANZIANO GUARDA I LAVORI PER MESI
VIENE NOMINATO DIRETTORE DEL CANTIERE AD HONOREM

Huffington Post (www.huffingtonpost.it) pubblicato l'11 giugno 2015.


H a coronato il sogno di molti suoi coetanei. Ha guardato per mesi i lavori di un cantiere ed è stato premiato: Franco Bonini, un anziano signore di San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna è stato nominato direttore del cantiere ad honorem. È la storia dell’umarell (così vengono chiamati in bolognese i vecchietti che camminano commentando i lavori dei muratori per strada e nei cantieri) più famoso d’Italia. Il vecchietto è stato premiato dal vicesindaco di San Lazzaro, Claudia D’Eramo, ricevendo il “Premio Umarell San Lazzaro 2015”. L’onorificenza conferita dal Comune vuole riconoscere agli umarell il loro ruolo storico nel vigilare attentamente sui lavori che si svolgono nei cantieri del Comune in provincia di Bologna. Bonini è diventato così l’uomo da sfidare, perché l’anziano signore ha vinto il premio per la prima fase del cantiere che si è da poco conclusa.
Racconta Bologna Today che il signor Bonini, “indossato l’apposito casco di sicurezza e guidato dai cantieristi, è stato invitato ad accomodarsi sul Tifone, il gigantesco rullo a vibrazione – ha spiegato l’ingegner Monzali – che si occupa di compattare l’asfalto affinché questo sia stabile nel tempo”. Bonini ha quindi dato dimostrazione delle sue conoscenze nel campo cantieristico: “Ai tempi lavoravo per una casa di spedizioni internazionali e mi occupavo proprio della spedizione di questi macchinari”.

JAJOLIN

   Darietto


Dedicaro a Jaja Facchini

Holaila, Holaila,

Jajolin, Jajolin, il tuo nido è sui colli
Jajolin, Jajolin, i ragazzi ti fanno ciao
acci-picchia, qui c'è un mondo fantastico
Jajolin, Jajolin, candida come te

Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi
Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi, Holalaidi
Ho-la-lai-di, Lai-di, Lai-di, Lai-di, Ha-ho

Jajolin, Jajolin, tenera dolce con un cuore così.




UMARELLS

   Presentazione del libro su http://www.pendragon.it/

M a chi sono gli umarells?
Umaréin (s.m. bolognese - Omarino).
Umarèll (s.m. bolognese - Omarello, ometto).
Umarells (p.m. omarelli, ometti, pensionati bolognesismo + inglesismo globish). Umarells indica individui in pensione e non solo che hanno ben poco da fare tutto il giorno e giustificano la loro esistenza importunando – o facilitando… – le esistenze altrui, così, tanto per sentirsi utili, forse. Gli umarells sono ovunque, basta solamente farci caso. Li possiamo trovare vicino ad un incrocio dove c’è appena stato un incidente stradale, oppure in un autobus strapieno a litigare con chi li ha leggermente spintonati, oppure in fila in posta, in banca, all’Ufficio del Catasto. L’umarell è quello che adora guardare i lavori stradali, quello che ama le ruspe, le gru, i cingolati in generale, le auto che eseguono manovre di parcheggio difficoltose, i negozi di ferramenta, le cantine, i garaggg... e bisogna fare molta attenzione, perché dentro ognuno di noi alberga un po’ di animo umarell, l’importante è rendersene conto. L’idea di creare un blog sugli umarells è nata per caso a Danilo Masotti in una fredda mattina di febbraio: l’autore ha iniziato ad osservali, studiarli e pubblicare le loro foto sul web dando vita ad un incredibile archivio di fotografie che immortalano le gesta degli umarells nelle situazioni più disparate. Il blog ha ottenuto più di 300.000 visite in meno di due anni – una media di 500 visitatori al giorno – numerosi passaggi televisivi e radiofonici (Rai International, Rai 3, Radio Dee Jay, Radio 2, Play Radio), articoli su quotidiani (Repubblica, Il Resto del Carlino), riviste (D, GQ, Tribe Magazine, Diario della settimana) e siti internet (Libero Magazine, Yahoo Italia). È stato terzo classificato al Macchianera Blog Awards 2006 nella categoria photoblog. Il libro è arrivato di conseguenza: nel maggio 2007 gli umarells sono usciti dalla rete per approdare sulla carta stampata.








PICCOLO LIBRO DELLE CURIOSITÀ SUL MONDO

   Cristicchi


Q uesto mese, dal momento che l’argomento del Faro è la curiosità, ho letto un libro molto strano, che parla in modo inconsueto di geografia. Si intitola Piccolo libro delle curiosità sul mondo ed è stato scritto da Paolo Gangemi. Il libro è diviso in sette capitoli, ogni capitolo è formato da paragrafi brevi e autonomi, a volte divertenti, a volte, a mio parere, troppo descrittivi.
Il primo capitolo parla di monti, fiumi e isole, in pratica di geografia fisica, ed è molto particolareggiato. Quella che mi ha colpito di più è la storia di un’isola, emersa di fronte a Sciacca, in Sicilia, che fu motivo di scontri tra varie potenze. Era stata scoperta in Sicilia, ma i primi ad occuparla erano stati gli Inglesi, e nella disputa si erano inseriti i Francesi, che avevano studiato la geologia dell’isola. A risolvere la disputa ci pensò l’isola stessa, che cominciò a sprofondare.
Nel secondo capitolo si parla di geografia politica e mi ha divertito il paragrafo sulle dispute tra Gran Bretagna e Brasile per determinare i confini della Guyana, risolte da un arbitro imparziale, il re d’Italia Vittorio Emanuele III, che diede ragione alla Gran Bretagna, con grande dispiacere dei Brasiliani. Subito dopo il Savoia fu chiamato ad essere arbitro tra Messico e Francia e anche stavolta diede ragione a una potenza europea.
Segue un capitolo di geografia economica in cui tra gli altri aneddoti, c’è quello che racconta che New York fu acquistata da Peter Minuit in cambio di beni di consumo (perline, bottoni eccetera).
Un altro aneddoto divertente viene raccontato nel capitolo di geografia umana. Vi si racconta che quando i primi esploratori spagnoli approdarono a Yucatan, in Messico, furono accolti da una folla di indigeni, che gridavano: “conéx cotóch”, che nella loro lingua voleva dire “venite a casa nostra”. Gli Spagnoli fraintesero e pensarono che questo grido fosse il nome del posto ed è per questo che ancora oggi il luogo dello sbarco si chiama, un po’ trasformato, Capo Catoche.
Il libro poi prende in considerazione la geografia nelle arti e parla di una fontana costruita dal Bernini nel ‘600, commissionata da Innocenzo X. È la famosa fontana dei “Quattro fiumi”, decorata da quattro statue che simboleggiano un fiume per ognuno dei continenti noti (l’Australia fu scoperta dopo). I fiumi sono: il Danubio per l’Europa, il Gange per l’India, il Nilo per l’Africa e il Rio della Plata per l’America. All’inaugurazione tutti furono entusiasti, solo che i fiumi sembravano in secca. Innocenzo X non lo fece vedere, ma fu deluso, allora il Bernini diede ordine di azionare il meccanismo e la fontana si riempì d’acqua.
Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stato il racconto sugli Sciapodi, nel capitolo della geografia immaginaria. Esso parla di esseri con una gamba sola e un piede che usavano per farsi ombra. Gli Sciapodi erano miti e pacifici ed erano longevi. La loro fama attraversò il Medioevo ed era diffusa anche nel Nuovo Mondo. La loro popolarità è giunta ai giorni nostri, infatti ne parla anche Umberto Eco. Il racconto più tenero è quello contenuto nell’ultimo capitolo, nel quale vi è un monologo del pianeta Eris, che si lamenta del fatto che è stata scoperta dopo Plutone, anche se era più grande e più vicina alla Terra.



LA CURIOSITÀ NON HA UCCISO IL GATTO
Parlando dell’album di cover di Laura Pausini Io canto

   Luca G.


Un giorno, nel 2006, un ragazzo appassionato di Laura Pausini venne a sapere che la cantante avrebbe pubblicato un album chiamato Io canto. Il ragazzo aspettò il suo arrivo, convinto che si trattasse di un album di canzoni nuove, come tutti i precedenti. Addirittura, guardando il trailer di un film con Enrico Lo Verso, lesse che per il suddetto film Laura avrebbe inciso una canzone di Zucchero, Come il sole all’improvviso. Egli pensò che si trattasse di una canzone di Laura scritta per lei da Zucchero. Quello che il ragazzo non sapeva era che si trattava di una canzone di Zucchero nel senso che era conosciuta per il fatto di essere cantata da lui. Quando lo scoprì, il ragazzo si fece delle domande, una su tutte questa: “Se Laura canterà una canzone che è di Zucchero, allora cosa saranno tutte le altre?”. Qualche settimana dopo, il ragazzo scoprì che tutte le canzoni del nuovo album, ma proprio tutte, erano canzoni di altre persone. Alcune non le conosceva, come Io canto, Scrivimi e ovviamente Come il sole all’improvviso. Altre però le conosceva: La mia banda suona il rock di Ivano Fossati, Non me lo so spiegare di Tiziano Ferro, Destinazione paradiso di Grignani. Il ragazzo si informò, e venne a sapere che il termine giusto era ‘cover’: versioni di canzoni famose cantate da autori diversi da quelli che le avevano cantate in origine e li avevano fatti diventare famosi. Quando i genitori gli regalarono Io canto per il suo onomastico, rimasero male nel vederlo perplesso e non pieno di gioia come solitamente accadeva. “È un album della tua artista preferita, dovresti essere contento!” gli dissero. Il ragazzo disse grazie, e poi fece intendere loro che avrebbe ascoltato l’album di cover soltanto dopo aver ascoltato tutte le canzoni originali. “Perché?!” chiesero i genitori con tono scandalizzato. “Perché alcune le conosco” spiegò il ragazzo “altre invece non le ho mai sentite nominare. Voglio ascoltarle, sono curioso”. “Ma cosa te ne frega a te delle canzoni originali!” fu la risposta del padre, “fai come fanno tutti: goditi quest’album e basta! La musica è fatta per questo, per essere goduta! Non ti affannare a cercare altre versioni!”. “Voglio mettere a confronto le cover con le versioni originali. Voglio capire quale versione è meglio”, ribadì il ragazzo. “E perché?”, “Sono curioso”, “La curiosità ha ucciso il gatto!” sentenziò il padre. Durante la cena, il ragazzo si sentì frustrato per come era stata incompresa la sua reazione davanti al regalo dei genitori. Addirittura, aveva il pensiero che i genitori gli avrebbero urlato: “Vai in camera tua!” come se avesse fatto qualcosa di veramente brutto. I suoi genitori avevano dato per scontato, quasi ovvio, che lui avrebbe fatto i salti di gioia, e vederlo reagire così era stata per loro una grande offesa, quasi un’eresia. Una cantante come la Pausini, la più apprezzata in tutto il mondo, secondo loro non poteva in nessun modo essere odiata, tanto meno dal loro unico figlio. “La curiosità ha ucciso il gatto... ma quando mai?” si chiese il ragazzo. “Da dove salta fuori quest’affermazione?”. Per un momento, ripensò a un cartone che aveva visto da piccolo su Raitre, uno di quei cartoni in bianco e nero che venivano trasmessi la sera in lingua originale coi sottotitoli. Erano soprattutto cartoni di Braccio di Ferro, ma quello in cui aveva sentito quel proverbio era un cartone diverso, ma non riusciva a ricordare quale. “E poi, se la curiosità ha ucciso il gatto, vorrei sapere: come l’ha ucciso, dove l’ha ucciso, quando l’ha ucciso, perché l’ha ucciso? E soprattutto, quale gatto ha ucciso?”.
Qualche giorno dopo, sua madre gli raccontò di aver confrontato la versione di Laura di Io canto con quella originale di Riccardo Cocciante. “Io trovo che Laura abbia dato serenità a un brano che Cocciante canta come una cornacchia”. Il ragazzo fece la stessa cosa, e pensò: “Non sono d’accordo! La versione di Cocciante non è da meno rispetto a quella di Laura, e non la sminuisce né è sminuita, semmai ne è una versione un po’ più rock, mentre la canzone originale è una canzone allegra tipica degli anni Settanta. Una ballata, la definirebbero i ragazzi di oggi”. Il ragazzo fece una ricerca su Google, e scoprì che il proverbio “La curiosità ha ucciso il gatto” esisteva davvero, ma non era un proverbio tipicamente italiano, anzi, era di origine inglese, e per di più il babbo glielo aveva detto incompleto. La versione totale del proverbio era: “La curiosità ha ucciso il gatto, ma la soddisfazione lo ha riportato in vita”. Il ragazzo aspettò che i suoi genitori fossero andati a dormire per non farsi beccare nell’atto di riflettere sul significato di quella frase. Forse il babbo avrebbe potuto aiutarlo, ma quella sera il figlio aveva paura che lui gli rispondesse in malo modo: “Non c’è niente da ragionare!”. Pensa e ripensa, il figlio tirò le seguenti conclusioni: la curiosità è alla base dell’intelligenza. Da quando l’uomo ha iniziato a muoversi sulle gambe e non più anche con le braccia, il suo cervello è stato in qualche modo stimolato. Trovandosi con due arti liberi, l’uomo ha cercato un nuovo modo per utilizzarli. Non più come strumenti per muoversi, ma come qualcosa per ‘tastare’ il mondo che lo circonda. Una volta soddisfatti i bisogni più elementari, uno su tutti procurarsi il cibo, l’uomo ha iniziato fare cose più elaborate, come fabbricare oggetti migliori e più raffinati della clava. E l’uso della braccia e delle mani l’ha portato sia a soddisfare il desiderio di ottenere le cose in maniera sempre più facile (dalle frecce si è passato ai fucili), sia a usare anche le altre parti del corpo. Per esempio gli occhi. Usandoli, l’uomo si è guardato intorno e ha preso a farsi delle domande: “Cosa c’è sopra di me? Cosa sono quelle cose luminose nel cielo?”. Ecco perché sin dall’antichità l’uomo ha sempre studiato le stelle. Oppure l’udito: “Cosa causa questi versi? Da dove provengono, chi li fa, che cosa significano?”. In questa maniera l’uomo ha imparato a distinguere i versi degli animali e a interpretare quelli fatti dai suoi simili: capire se una persona è triste, felice, arrabbiata, dubbiosa eccetera, è importante. Non c’è nulla di male a porsi delle domande su qualcosa. La curiosità non uccide i gatti, anzi, porta le persone ad informarsi, a sapere più che possono su qualcosa, se non tutto quel che vogliono.
Se qualcuno vuole sapere tutto su un artista, diventa facilmente esperto sulla sua vita, sulle sue opere. Se si vuole conoscere una canzone che attira, che incuriosisce, si impara facilmente la sua musica, il testo, addirittura c’è gente che arriva a cantarla sotto la doccia! Se si è più o meno curiosi su qualcosa, è quasi inevitabile che si impari almeno la minima cosa su di essa. E di conseguenza, si aumentano le proprie conoscenze, la propria intelligenza. Purtroppo succede che la curiosità, la voglia di conoscenza, venga soffocata da cause esterne. Non può essere solamente un genitore troppo stanco per discutere con il figlio e che lo zittisce per dormire in pace, oppure gli risponde tanto per rispondergli, ma può anche essere un atteggiamento di puro rifiuto nei confronti del progresso. Si consideri Galileo Galilei. Nel Rinascimento venne inventato in Olanda il cannocchiale, e da esso Galileo ricavò il telescopio. La sua curiosità e i suoi studi l’hanno portato a scoprire quanto accidentato fosse il terreno lunare, a scoprire alcuni satelliti di Giove e a contribuire allo sviluppo della teoria secondo cui è la Terra a girare intorno al Sole e non il contrario. Andò a finire che la Chiesa lo costrinse ad abiurare le sue scoperte, considerate eresie, per poi ritrattare ogni condanna solo dopo più di tre secoli e mezzo. La curiosità non uccide i gatti. Non c’è nulla di male a porsi dei dubbi su qualcosa. Ne sono la prova i tanti storici e storiografi che ristudiando il passato, cercano di stabilire se rivalutare o meno personaggi più o meno illustri, come Maria Antonietta, che i libri di scuola ci dipingono come vanitosa, egoista e spendacciona. Ci sono anche libri come parlano bene di certi sovrani, come Luigi XIV, e altri che ne parlano male. Sono tutte opinioni diverse di diversi storici. Un altro esempio sono le tante indagini che si fanno per risolvere dei misteri irrisolti. Capita che i poliziotti cerchino i colpevoli di un qualche avvenimento di cronaca nera di cui non si sa o non si capisce molto. Come la strage di Ustica, o la morte di Pantani. Quando un caso di omicidio o pluriomicidio viene insabbiato, oppure quando se ne bloccano le indagini perché qualche potente le trova scomode, questo suona come: “La curiosità ha ucciso il gatto!” , quindi smettila di curiosare o ti licenzio, si potrebbe aggiungere. È vero che personalità come Falcone e Borsellino sono state uccise proprio per le loro indagini sulla mafia, ma ciò non giustifica il proverbio, anzi: i due giudici sono ancora tenuti in vita per la soddisfazione che prova la gente comune per il fatto che costoro stavano lottando contro la criminalità organizzata e anche contro la corruzione dello Stato. È anche merito loro se la lotta contro la mafia continua. Senza la curiosità, non saremmo dove siamo ora in merito al progresso. È stata la curiosità a portare un individuo come Stephen Hawking, il grande scienziato britannico costretto alla sedia a rotelle per via della sua malattia che lo tiene immobilizzato, a scoprire i più reconditi segreti dell’universo e che i buchi neri non sono poi così neri (essi infatti risucchiano la luce, ma rilasciano anche alcune particelle). È la curiosità verso gli edifici a portare un ragazzo a studiare ingegneria e a diventare un bravissimo costruttore, celebre magari per un ponte o una cattedrale che si studia nei libri di storia dell’arte. È la curiosità unita alla passione che rende un tifoso espertissimo di una squadra o uno sport. La curiosità non uccide i gatti, semmai può comportare qualche rischio, come quelli corsi dai magistrati o dagli scrittori come Saviano, che girano con una scorta, ma la soddisfazione di sapere (e far sapere) le cose scoperte mantengono in vita, nel senso che è valso la pena correre dei rischi. Se tutti quanti applicassero alla lettera la frase “La curiosità ha ucciso il gatto”, nessuno si farebbe più domande, nessuno leggerebbe a o ascolterebbe più niente, e di conseguenza non si imparerebbe più niente (a cucinare, per esempio). E quindi i libri di ricette e gli alimenti non sarebbero più venduti, i programmi televisivi smetterebbero di essere trasmessi perché non ci sarebbe più nessuno a guardarli e chiuderebbero per bassa audience, gli editori e i supermercati fallirebbero, e di conseguenza in conseguenza, il mondo non andrebbe più avanti. Niente più vita nelle strade e nelle città, apatia, fiacchezza. E questo sarebbe solo il minimo! Anche Albert Einstein era curioso. Egli a scuola chiedeva sempre il perché delle cose che venivano spiegate, e perciò ebbe difficoltà con gli insegnanti. Egli era semplicemente curioso. Gli si spiegavano le cose, ma non gli si spiegava il perché. Se egli si fosse attenuto alla frase “La curiosità ha ucciso il gatto”, non avrebbe mai sviluppato il suo talento per la fisica e non avrebbe mai formulato la teoria della relatività ristretta e nemmeno fatto sviluppi riguardo alla fisica quantistica. Insomma, se veramente la curiosità di qualcuno ha ucciso il gatto, poi questo qualcuno lo ha riportato in vita con la soddisfazione di aver saputo (e imparato) qualcosa.
Il ragazzo decise di rendere pan per focaccia ai genitori che volevano bloccare la sua voglia di sapere. Non voleva fare una vera e propria vendetta, semmai uno scherzo bonario. Fece una ricerca per sapere in quali dischi si potessero trovare le versioni originali, li prese in prestito in biblioteca e da alcuni amici, e creò un album originale sul quale copiò le canzoni originali. Quindi prese le custodie, scambiò il disco della Pausini con quello che aveva masterizzato e attese la prima occasione perché il disco venisse messo su. Non dovette aspettare molto, infatti già dopo due giorni il babbo decise di mettere il CD nel suo lettore portatile, si mise le cuffie e schiacciò Play. “Argh!” sentì gridare suo figlio nel corridoio. Egli si sporse in camera da letto e vide il padre con un’espressione stizzita e interrogativa stampata in faccia, come se avesse sentito un improvviso rumore di unghie che graffiano una lavagna. Quindi si mise a ridere. “Cos’è questa roba?!” urlò il padre aprendo il lettore e guardando il disco masterizzato. “Eh!” disse a sua volta il figlio. “La curiosità ha ucciso il gatto, lo hai detto tu!”. “Non è vero!”, esclamò il babbo. Il figlio sentì una soddisfazione ancora più grande nel sentirlo dire, quindi si sentì chiedere: “Cos’è questa roba?!”. “Tutte le canzoni originali dell’album Io canto. Prova, prova!”. Per quasi un minuto, il genitore scorse tutto il disco, sentendo le voci di Buonocore, Battisti, Grignani, Zucchero, Vasco Rossi e di tutti gli altri che il figlio aveva raccolto. “Hai visto?!” dichiarò il figlio. “Ho sostituito l’album di cover con uno tutto mio, con quelle originali!”. “Che bella idea!” commentò il padre mezzo stizzito e mezzo divertito. “Credimi babbo, solo Cocciante può cantare una canzone di Cocciante alla Cocciante! Come la canta la Pausini può essere meglio o peggio a seconda dei punti di vista, ma non è e non sarà mai la stessa cosa!”. “Lo sai che sei proprio scocciante?” esclamò il babbo.
Nei giorni seguenti il ragazzo scoprì che non era il solo a pensarla come lui. Anche altre persone non erano contente di come era stata ricantata Anima fragile di Vasco, anzi, la sola idea che ci fosse una cover di quella canzone era per loro una cosa scandalosa. Di quell’album di cover il ragazzo non parlo più, ma si sentì pienamente soddisfatto per come si era comportato e per aver agito di testa propria, “perché la curiosità non ha ucciso il gatto”. Poi il ragazzo fece il confronto con Due, di Raf. Sia la versione originale che la cover pausiniana erano brani allegri, cantati però ognuno alla propria maniera. “Sarà una bella cover...” si disse il ragazzo “...ma Raf è Raf!”. Ascoltò la terza canzone, Scrivimi di Nino Buonocore, e gli piacque moltissimo. E pensò che non poteva esserci paragone con nient’altro, anche dopo aver sentito la cover di Laura: “La cover è una versione più dolce dell’originale... ma i primi secondi mi ricordano tanto Una storia che vale... e poi il brano originale mi fa pensare al sorgere del sole, emozione che con la cover non provo affatto!”. La quarta canzone, Il mio canto libero, era cantata con la voce flautata tipica del suo interprete più noto, e anche la versione della Pausini non era da meno. Era dolce anch’essa... ma non era affatto la stessa cosa. In duetto con un cantante colombiano, per giunta. Non c’era paragone. Sia per gli amanti di Battisti che per quelli della Pausini, pensò il ragazzo. La quinta canzone era Destinazione paradiso, e il ragazzo la conosceva bene. Quante volte l’aveva ascoltata da piccolo? Come sempre, la versione originale, o meglio quella di cui tutti conoscevano l'interprete, gli dava l’impressione di salire su una macchina fantastica e prendere il volo. Quella della Pausini, invece, gli fece immaginare un tratto di strada, in una giornata limpida, ma gelida, con le montagne attorno, e che finiva come iniziava, dentro una galleria, perché proprio a una galleria gli facevano pensare le note iniziale e finale. La cosa sembrò al ragazzo molto più evidente persino del fatto che Laura aveva tagliato il ritornello che Grignani cantava nella versione originale. Anche Stella gemella l’aveva ascoltata moltissime volte. Eros cantava le strofe sotto un accordo triste, come il videoclip in bianco e nero ambientato in un cimitero delle macchine, mentre il ritornello era cantato sotto un accordo un po’ più allegro, e il finale addirittura con un modo allegrissimo, che faceva pensare a un razzo che va dritto verso lo zenit senza fermarsi mai. La versione della Pausini era un po’ il contrario. Le strofe erano cantate sotto un accordo lieto, mentre il ritornello con uno più triste. E la cosa non piacque al ragazzo: “Forse a Eros piacerà... ma non me ne importa niente se gli piace o no: non mi importa se gli interpreti o gli autori originali sono più o meno contenti delle cover! Non è affatto la stessa cosa!”. Il ragazzo non sapeva se Zucchero avesse intenzione di rendere Come il sole all’improvviso una canzone allegra. Se era così, non c’era riuscito per mezzo della sua voce, semmai per mezzo del suo spartito, del suo modo di suonare blues. Al contrario, la Pausini c’era riuscita. E ascoltando la cover, fatta con Johnny Halliday, egli realizzò che la canzone per il film Salvatore - questa è la vita era stata riarrangiata, o comunque, tagliata, poiché dell’artista francese non aveva sentito nemmeno un alito, semmai la voce di Laura ripetuta, oppure delle coriste. “Pazzesco!” pensò il ragazzo. “Per anni una canzone viene amata per come è stata realizzata, poi arriva una cover che è migliore, ed ecco che l’originale non importa più a nessuno! E se è peggiore dell’originale, tutti a criticarla e a fare i nostalgici! Eppure, l’effetto delle cover è proprio questo!”. Sorprendentemente, la cover di Cinque giorni gli parve molto fedele all’originale, a differenza delle altre. Come Zarrillo, anche Laura cantava le prime strofe e il primo ritornello con un tono basso e senza la batteria in sottofondo. E sempre come Zarrillo, cantava tutto il resto con lo stesso tono intenso, più alto rispetto all’inizio, e con lo stesso ritmo. “Almeno questa...” pensò. Il ragazzo rimase piacevolmente colpito anche dalla cover di La mia banda suona il rock. Certo, Laura usava un testo che non era suo, appartenente a una generazione che non era la sua, cantava la canzone di Fossati alla sua maniera, però era anche questa abbastanza fedele all’originale, tranne che per qualche minuscolo dettaglio, come il “e non fermaaaaaa-teee-ciiiii” di Fossati trasformato dalla Pausini in un “e non fermaaaaaaaa-teeeeeeeee-ciiiiiii”, con le sillabe più regolari, insomma. La stessa impressione che Laura usasse parole che non facevano solitamente parte dei suoi testi, il ragazzo la provò anche ascoltando la cover di Spaccacuore: quando prima di allora lei aveva usato i termini ‘stronza’ e ‘Freud’? Inoltre, mentre Samuele Bersani manteneva costante una certa pacatezza durante tutta la canzone, solo leggermente alterata al momento di cantare il ritornello, Laura alternava la sua dolcezza vocale espressa nelle strofe con una voce più decisa, più dura, nei ritornelli, suonati con un ritmo non indifferente: “L’amore spacca il cuore, spara spara amore...” “Eh sì, ognuno ha il suo modo di cantare. Io, il babbo, la mamma, Laura, Bersani, tutti. Non siamo tutti uguali, non è affatto la stessa cosa”, pensò ancora. Una nuova metamorfosi, invece, era stata fatta con Anima fragile: il pianoforte era sostituito dalla chitarra, e mentre Vasco cantava dolcemente solo le strofe, facendosi duro nel ritornello, Laura faceva un crescendo d’intensità tutt’altro che indifferente. Era dolce nelle strofe, un po’ più forte nel ritornello per poi esplodere nella sua energia, quando il brano diveniva ritmato dall’effetto della batteria: “Naaaa, na naaaa, na na!”. E alla fine, il brano aveva il suo epilogo con Laura che diceva “anima fragile” senza più le note di sottofondo. Non me lo so spiegare: altro duetto. Laura stavolta canta insieme al suo artefice, Tiziano Ferro. E mentre il brano originale inizia con una tonalità triste, per poi farsi più lieta andando avanti, la cover inizia con un ticchettio, allusione a “quell’orologio che non girava”, per poi mostrarsi ancora più lieta dell’originale in tonalità, accordi e modo di cantare dei due artisti, amici da molto tempo. Non era proprio per niente la stessa cosa. Considerando anche il finale, che nell’originale è un “ma vuoi dirmi come questo può finire” che a sentirlo è chiaramente una chiusura, mentre nella cover è seguito da un “può finire” che rende il finale aperto. Nei giardini che nessuno sa, invece, era stata ricantata in modo da farla risaltare più incisiva della versione originale. Infatti mentre Renato Zero cantava la canzone con lo stesso volume, alzandolo solo di poco, Laura ci metteva del suo, alzando la voce di molto. Oltre a notare ciò, il ragazzo pensò che la cover fosse meno allegra dell’originale, dal momento che in quest’ultima c’erano i ritornelli cantati con un accordo più lieto, quasi di speranza. Come era il caso di parecchie canzoni dello Zero. La cover non gli dispiacque, ma a parte stabilire che era stata fatta alla Pausini, non riuscì a giudicarla in altro modo. Anche la cover di In una stanza quasi rosa era stata rifatta da Laura con un accordo meno allegro di quello dell’originale. E ancora una volta, non mancava il tocco tipicamente pausiniano, con la cantante che accompagnava il testo coi suoi aliti e dalla parola “Bello!” in poi, cantava con tono squillante, scostandosi parecchio dal suo collega e amico Biagio Antonacci. Questa volta, il ragazzo ebbe la certezza che la cover fosse fedele all’originale, ma con le tipiche caratteristiche di Laura. La cover di Quando, invece, era piuttosto fedele all’originale. Ma anche stavolta c’erano gli aliti e i cambiamenti improvvisi di Laura nel tono con cui pronunciava le parole, mantenendosi fedele al proprio stile e anche rimanendo a tono con i tocchi che esaltavano lo spartito. Infine, il ragazzo fece il confronto con le due versioni di Strada facendo: mentre la versione originale, che conosceva bene, gli sembrava un allegro brano, leggero, la cover era di foggia più moderna. Addirittura, l’inizio costituito solo dalla chitarra elettrica e dalla batteria gli avevano fatto pensare all’inizio di Cuore di aliante, canzone di Baglioni che al padre non era piaciuta più di tanto. Laura cantava sempre alla sua maniera, rimanendo però ancora una volta fedele al modo di fare del suo collega e amico, specie quando cantava: “vedrai... vedrai... veeee-drai...”, e facendosi squillante più che mai subito dopo, quando si trattava di gridare “Strada facendo, troverai...”. Ora egli aveva soddisfatto definitivamente la propria curiosità. Aveva fatto i confronti che voleva.
Il gatto, se era stato ucciso, ora era tornato in vita.

IL VASO DI PANDORA

   Darietto


F in da piccolo, quando frequentavo le elementari, poi le medie ed infine le superiori, la storia era per me una materia molto noiosa perché ti insegnavano col tradizionale metodo del 'leggi e impara a memoria': date, nomi e avvenimenti. Questi poi li dovevi ricordare per un qualche compito in classe.
Non c’era lo stimolo di una curiosità personale che ti spingesse a conoscere a fondo le bellissime avventure di ogni epoca storica. Poi un giorno, in TV, cominciai a vedere dei film storici del calibro di 300, Il gladiatore, Il crollo dell’Impero Romano, Attila e molti altri. Qui mi venne una curiosità positiva che mi spinse a conoscere personaggi storici e mitologici. Fra i vari racconti, uno mi colpì particolarmente, quello in cui, invece, la curiosità era negativa: il vaso di Pandora. Pandora (“colei che ha tutti i doni”) era una invenzione di Zeus, forgiata da Efesto e da altre divinità, le quali donarono ognuna qualcosa alla ragazza, che era fatta a somiglianza dell’uomo, per punire Prometeo quando rubò il suo fuoco per portarlo tra gli uomini. Zeus ordinò a Ermes di portare la fanciulla tra gli uomini e di farla incontrare con Epimeteo (“colui che si accorge in ritardo”), il titano fratello di Prometeo. Epimeteo era stato avvisato dal fratello di non accettare alcun dono che provenisse dagli dèi (e da Zeus in particolare) ma era impossibile resistere a una tale bellezza: il titano s’invaghì subito di Pandora e decise di sposarla. Detto fatto. Al seguito della fanciulla c’era anche un misterioso dono divino: uno scrigno antico dal contenuto sconosciuto. Chi glielo aveva regalato, Zeus, era stato molto chiaro al riguardo: quello scrigno (vaso) doveva restare sempre chiuso e nessuno avrebbe mai dovuto guardare al suo interno. Epimeteo nascose il regalo nuziale e se ne dimenticò, tutto preso com’era a godersi l’eccezionale moglie e la compagnia degli uomini, esseri che ai tempi non conoscevano e non subivano cose come la morte, la malattia, l’odio e la fatica... Solo che Pandora era curiosa. Tanto curiosa. La curiosità era una delle sue principali caratteristiche e soddisfarla sempre e comunque era una sua priorità. Il sapere che nella casa che divideva con il marito era nascosto da qualche parte quello scrigno tanto ricco di misteri le provocava un certo prurito che era difficile contenere. Un giorno non riuscì più a resistere: si mise a cercare l’agognato oggetto e lo trovò. Una volta che il vaso fu tra le sue mani, aprirlo per Pandora fu un gesto naturale. E così per l’Uomo cominciarono i problemi. Sì, perché all’interno di quel vaso erano state rinchiuse cose non certo innocue, come la fatica, la malattia, l’odio, la vecchiaia, la pazzia, l’invidia, la passione, la violenza e la morte. Queste, liberate dallo scrigno ormai aperto, si diffusero immediatamente tra gli uomini, cambiando per sempre la loro esistenza. Si compì così il destino di Pandora, quello per cui era stata creata. Il mondo cambiò, diventando un luogo poco ospitale, desolato, duro. E gli uomini divennero individui molto diversi dagli dèi, ridotti a 'esseri terreni', vittime di tutti i nuovi mali mischiati tra loro. Solo quando Pandora aprì di nuovo lo scrigno e fece uscire la Speranza, che era rimasta in fondo, le cose migliorarono: l’uomo, tra mille difficoltà, riprese infine a vivere e a credere nel presente e nel futuro.

LE NOTE DI NOTTE

   Giovanni Romagnani


Scrittura creativa

Scrittura Creativa. Raccontarsi per Raccontare.
Dedicata al Dottor Guido Armellini, mio personale maestro.
Gentile, istintivo, ostinato, vanitoso, anarchico. Non necessita identità.
Stupido ed efficace: IL VINCOLO.
L’anarchico di turno ti dice: “Io non ho limiti, io non voglio regole.”
Bravo, gli dico. Ma difficile, non umile.
Perché scartare tutto ciò che è stato già detto. Perché non leggere ciò che è stato già scritto. Jim è vivo! Scrive qualcuno. Io l’ho letto. Ed ho capito che prima di insegnare bisogna imparare e prenderne spunto. Una sorta di Comunismo Culturale. Un fertile Passaparola, più utile del quiz di Jerry Scotti. Anche perché qui non si vince nulla; la vera cultura non paga, è scomoda, crea più nemici che amici, alla meglio genera indifferenza.
Mi viene in mente la poesia L’Albatros di Charles Baudelaire. Alto il Poeta nello Spirito, goffo fra gli uomini. Ma lasciatelo divertire e divertitevi con Lui senza irriderlo. Vuole vivere una favola, non vuole correre e non vuole perdere, non gliene frega un cazzo delle macchine veloci, ama L’isola di Aldous Huxley e vive su di una nuvola. Sceglie: Vivere o Niente e sa che ogni volta, sarà Una Nuova Canzone per Lei.
Le e-mail che mando a Lucia non le rileggo. Non le correggo. Escono da sole, in momenti di allineamento. Io chi sono? Daniele Bossari lo chiede a Franco Battiato. Che gli risponde ammettendo di aver fatto uso una volta di mescalina. Un inferno, mai più, dichiara. Poi la celebra in Shock in my Town. Traccia uno dell’album Gommalacca. Meglio decidersi. Sì o no. Vivere o Niente. Esistenzialista e non Spiritista. In assoluto è meglio Hegel.
E, E… Meglio di O, O… Io sto in mezzo: meglio... E, di Vasco Rossi, scritta da Pia Tuccitto.




Eterotopie

Credo che questo frammento di Michel Foucault ben si sposi con i temi dell’immigrazione.
Se si pensa che dopotutto un battello è un frammento di spazio galleggiante, un luogo senza luogo e che è affidato al contempo all’infinità del mare e che, di porto in porto, …da una casa chiusa all’altra, si spinge fino alle colonie per cercare ciò che esse nascondono di più prezioso nei loro giardini, voi comprendete perché il battello è stato per la nostra cultura non solo il più grande strumento dello sviluppo economico, ma anche la riserva più grande dell’immaginazione. Il naviglio è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l’avventura, e la polizia i corsari.



LA TROTTOLA A CERVIA

   Susanna Marzolla


L’ appuntamento per la partenza con destinazione Pinarella di Cervia era alle 8 di venerdì 31 luglio, io ero davanti alla Casa della Conoscenza di Casalecchio già dalle 7.30, qualcuno però mi aveva battuto sul tempo. Quando il gruppo dei gitanti è stato al completo abbiamo preso posto su due pulmini e su una macchina guidata da Antonio; nonostante la giornata da bollino rosso abbiamo preso l'autostrada, dove, addirittura, non abbiamo avuto rallentamenti di sorta. Arrivati a Pinarella ci siamo sistemati nel tratto di spiaggia libera, qui abbiamo bevuto e sgranocchiato degli snack che, come sempre, la Franca ci offre. Alcuni si sono allungati a prendere il sole, altri hanno camminato sul bagnasciuga; soltanto una persona ha avuto il coraggio di entrare nell'acqua, il mare era veramente molto mosso. Sebbene a Bologna il tempo non lasciasse presagire nulla di buono, al mare le nuvole si sono via via diradate; ormai è una consuetudine: ogni volta che ci spostiamo col gruppo della Trottola troviamo sempre bel tempo.
Evidentemente ha ragione Concetta quando dice: “Lassù qualcuno ci ama”. Intorno alle 13.30 siamo andati al ristorante, in realtà si tratta di una cooperativa di pescatori che cucina il proprio pescato, così riusciamo a mangiare pesce fresco, buonissimo e a buon prezzo. All'uscita ci siamo fatti una serie di foto ricordo, abbiamo fatto un po’ di shopping ed infine abbiamo ripreso la strada di casa, il successo della gita al mare organizzato dalla Trottola, è stato pieno.

TREKKING CON GLI ASINELLI

   Roberto A., Giorgio C., Piero P.


Il trekking degli asinelli è stata una valida esperienza, finanziata dal Progetto Regionale “Cittadini in Movimento”, nella quale ci sono state meno occasioni di ansia, anche se è stata comunque un’esperienza impegnativa e che ha cambiato le nostre abitudini, ad esempio si è dormito di meno. Si è partiti alle 7 e 30 dell’ 11 giugno. Appena arrivati alla stazione Bologna, i diversi membri si sono persi, alcuni erano al piano ammezzato, mentre gli altri erano al piano del binario, la stazione di Bologna è un vero e proprio labirinto, non è facile organizzarsi. Poi con il treno, Italo, siamo arrivati a Roma e con il pullman a Subiaco, prima tappa del nostro cammino. È l’ingresso della Ciociaria, il territorio è molto boscoso, sia i monti che le valli, ed è attraversato da due fiumi, Aniene e Simbrivio. In certi punti il territorio sembra essere alpino, con montagne alte quasi 2.000 metri. Subiaco è storicamente importante perché a pochi chilometri di distanza sorge il Sacro Speco di San Benedetto, la grotta dove il Santo visse da eremita per diversi anni, e attorno ad essa è stato costruito il monastero benedettino, tutto quanto nel corso del ’400. Quindi sia sul piano storico che artistico si presenta in modo armonioso. A 2 km dal monastero sorge quello di S. Scolastica, sorella di S. Benedetto. Questo è il classico monastero benedettino con i chiostri, ed è stato costruito in diverse epoche, evidenziate dalla diversità di stili architettonici. Abbiamo dormito in un bed and breakfast a Subiaco, in due mini appartamenti per uomini e donne. L’unica stanza singola è andata a Piero, che russava molto.
Venerdì 12 finalmente conosciamo gli asinelli, sono tre femmine, Carmela, Gina e Brigida, tre animali molto pacifici, non ci hanno dato mai un calcio né un morso. L’unico difetto è che facevano i loro bisogni nei momenti meno opportuni. La guida ci illustra il programma e scopriamo che non solo dovremo condurre gli asinelli, ma dovremo anche prenderci totalmente cura di loro: pulirli, lavarli, strigliarli, eccetera.
Facevamo un giro per la radura e Piero perde l’equilibrio nel terreno boscoso. Poi vi è una grande operazione di salvataggio: con un coltello ed una corda riescono finalmente a liberarlo. Poi ci fermiamo sugli altipiani di Arcinazzo a pranzo. Il paesaggio attorno ricordava un pascolo di montagna. In serata arriviamo al paese di Arcinazzo, ridente paese della Ciociaria abbarbicato sul monte, come tutti gli altri paesi, e lì abbiamo il primo incontro con la popolazione locale. Gli asini sono un’occasione di richiamo e ci aiutano molto a familiarizzare con la gente del posto. Ad Arcinazzo 10 km di percorso, circa, e 400 metri di dislivello, facciamo la cena, e il pernottamento. Sabato 13, dopo aver governato gli asini partiamo da Arcinazzo, in direzione di Guarcino, il percorso è lungo 20 km di distanza e 300 metri di dislivello, solo che sarà tutto uno scendere e un salire. Il sentiero dovrebbe essere praticabile secondo la mappa, perché oltre ad essere un sentiero del Club Alpino Italiano, C.A.I., è anche il percorso dei monasteri benedettini. Partiamo: all’inizio tutto bene, poi ci ritroviamo in mezzo ad una ‘giungla’, secondo incontro con il roveto pungente. Il roveto ha invaso completamente il sentiero, allora la nostra guida sfodera un lungo machete e gli asini aprono la pista, così riusciamo a passare, ma qualche ramo è sopravissuto al trattamento, e riesce, nuovamente, a graffiarci. Finalmente usciamo dalla giungla, ma il terreno è pieno di sassi, ciottoli, da lì fino all’arrivo a Guarcino e la cosa è faticosa soprattutto per Fabio.
Pernottamento in albergo. Ripartiamo alle 9 del mattino, ma volevamo partire in anticipo, la nostra destinazione intermedia è la Certosa di Trisulti, ma qualcuno scopre che Guarcino è famosa per i suoi amaretti, e non si perde occasione per andare a provarli. Così alla fine non siamo riusciti a partire in anticipo. E ciò si rifletterà sulla giornata di cammino, perché diventerà la più faticosa, dato che dovremo camminare sotto il sole. E i rovi non ci abbandonano, e neanche il paesaggio sassoso. Arrivati, finalmente, alla Certosa di Trisulti, possiamo finalmente fare una lunga sosta e riposarci. Una vera ‘manosanta’, perché eravamo letteralmente ‘scoppiati’.
La Certosa di Trisulti è un grande monastero cistercense, di caratteristico c’è il giardino interno, la farmacia antica, la grande cisterna e, naturalmente, la chiesa, costruita in stile barocco. Arriviamo a Collepardo e lì abbiamo la piacevole sorpresa di un comitato di benvenuto: la proloco locale era al corrente del nostro arrivo e ha approfittato dell’inaugurazione di un negozio per invitarci al rinfresco. Pernottamento in bed & breakfast e cena in ristorante tipico ciociaro. Grandissima mangiata.
Lunedì 15 dobbiamo prendere l’unica corriera che va verso Roma e parte presto, arriviamo nella capitale, con quattro ore di anticipo. Quindi ne approfittiamo per fare un giro per la città. Infine, treno e tutti a casa.
Una notizia per chi fosse interessato a camminare con noi: per il 2016 stiamo preparando la ‘Via.degli Dei’ (da Piazza Maggiore a Piazza della Signoria)... sempre più arditi!!! Per chi vuole informazioni 333.6834242.


La curiosità

   Loopa Sonivree


Chi? Cosa? Perché? Come?
Quando?
Sono curioso...
La curiosità è quel desiderio
di conoscere quello che ci circonda.
Vorrei conoscere tutto,
ma questo difficilmente
può accadere!
Sono curioso, molto curioso...
Conoscere mi aiuta
sicuramente a vivere meglio.
Non bisogna però esagerare
facendosi trasportare
da falsi ideali
o vizi nocivi.
Bisogna trovare
il meglio nelle piccole cose.
Quando gli interessi finiscono
ci spegniamo,
bisogna essere aperti ai desideri;
come dei bambini
con la loro purezza,
ma senza la loro ingenuità.
Conoscere per capire...

La verità

   Anonimo


Cercare
la verità.
Costasse
l'esilio
o la morte.
Per dire
che una presenza
di umana dignità
è esistita
sulla terra in remota
silente solitudine.

Sono stanco

   Anonimo


Sono stanco.
Ho visto tutto.
Ho assaggiato
ogni veleno.
Troppo amaro
è il mio sangue
per bramare
ancora
acqua di purezza.
Così
mi arrendo
all'ineffabile
a quel minuto
della mia mai
temuta
scomparsa
dalla terra
dei vivi.

Vita vita mia

   Daniela Mariotti


Come non amarti
noi tutti
e chissà quante altre persone
aspettano;
perché la vita ci ha regalato
tanto ed il sole scotta (19 agosto)
piovono fiori, anche per te
un piccolo bacio.

Son curiosa

   Marcella Colaci


Son curiosa di sapere
aldilà del mare
quali ancore approderanno
se la vita e il sole,
s’incontreranno,
son curiosa di sapere,
vita eterna
o se questa vita
è condannata a naufragare.
Son curiosa di sapere
se d’amore possa rinascere
o se nella morte
troverò l’ambita pace
ed il cielo, se clemente,
mi possa dar voce
in questo lago incastonato di parole
di azioni vaghe e di mille capriole.
Di questo mio vivere
senza muro
né di religione, né di denaro
ma d’incertezza vivo
col mio occhio raro.
Son curiosa
ma dei perché non hanno risposta,
così calpesto questa terra
senza sosta
e se la sosta giunge ad ogni perché,
ci sia un bene, seppur lieve,
ancor per te.

Una canzone per te

   Giovanni Romagnani


Una canzone per Te,
non Te l’aspettavi, eh?
E se fosse Una Nuova Canzone per Lei,
Lei che dorme e non sa che ci sei!
Il Sole Muore, purtroppo,
mentre ascolti le immagini dentro di Te.
Matt'Immagini
un titolo perfetto
per un cortometraggio con Utenti Psichiatrici.
Per non far dimenticare né Sally, né Jenny,
sperando di ritrovare la leggerezza di Silvia.

Sei un segno

   Luisa Paolucci delle Roncole


Sei un segno che mi ha portato Dio
perché sei un Angelo, sopra la mia spalla
leggera voli via per poi ritornare.

Sei rimasto indenne

   Luisa Paolucci delle Roncole


Sei rimasto indenne, ma tutto ti è successo.
Rimani con me e più forti saremo.
Non sai che il Signore ti vede e ti cura
nei secondi di vita
che seguono le tue mosse,
i tuoi istanti.
Cresci con lui e con me.
Rimani giovane nel tuo cuore
e nutrendoti di Lui e di me,
vivi ogni istante più intenso.
Cresci ma non nel cuore,
il cuore giovane vive di speranza
e rimane felice nell'amore,
che lo porta dove vuole.

I corvi

   Luisa Paolucci delle Roncole


I corvi volano, sono felici,
ma noi pensiamo che siano tristi
perché sono neri.
Ogni tanto si fermano
per prendere il respiro,
incontrano un'aquila di mare
dalla testa bianca
e si incuneano verso il mare.
Forse quella nave
con quel filo di fumo
li salverà.

Come vorrei dare dolcezza

   Daniela Mariotti


Il saper dare dolcezza
a porta aperta,
la dolcezza che desidero
sarebbe senza fine,
a piene mani.
Ma non sono abbastanza
per portare
la mia dolcezza,
che si spegne
nelle mani.

Un altro mondo

   Luisa Paolucci delle Roncole


Immaginiamo un sole dentro all'altro:
se ne togliamo uno abbiamo meno caldo…
Ma il mondo precipiterebbe
nell'abisso dell'universo
e ci perderemmo
e forse troveremmo
un altro sole e un’altra luna,
con un altro mondo.
Il mondo magari migliorerà
andando con una navicella a confrontarsi
coll'altro mondo che si è scoperto
più bello e più giusto.

Il sole anche di notte

   Matteo Bosinelli


Dopo aver attraversato la siepe,
venne il buio.
Allora l'uomo entrò dentro il Casolare
dove ogni cosa era ormai illuminata,
fece cento lunghi passi...
e uscì,
facendo la cosa più naturale del mondo:
pianse.

Cioè

   Luisa Paolucci delle Roncole


Cioè, nell'amore e nella gioia dell'esistenza più pura,
sei come un diamante puro e scintillante, non ti rimane
niente della tristezza e del dolore che io e il Signore
ti abbiamo portato via, per darti amore, tanto amore
che ti rassicuri e non ti voglia più veder soffrire,
perché la sofferenza è ingiustizia e l'ingiustizia
un giorno perirà, cioè morirà nel cuore degli impuri.

È estate

   Daniela Mariotti


È estate.
Chiedo scusa alla vita
per tanta tristezza
di cui l'ho riempita,
ormai rimane solo
la speranza del futuro:
borderline
una linea sottile,
e sono vecchia già.
Ma gli altri sono
lieti della fine
torrida; questa mia
primavera sorride
con l'estate che muore.

La doccia

   Paola Scatola


La doccia del tuo amore
mi porta sempre con te
ma sono io che ti voglio
oggi con me.

Nascita

   Greta


Allorché tuonò.
Quel vagito
che s’impaurisce e s’innicchia.
Anche il cielo ritrasse
il suo strascico di tempesta.

Come siamo ali

   Paola Scatola


Come siamo ali
ancora insieme
così io ti voglio bene…
Perché siamo ali,
se non oso di me e di te,
se oso solo lui?
Oggi sono così,
ma domani…
……
ci sarà un poi
per noi?
Domani è l’alba
con te verrò ancora
se mi vorrai.

Sola

   Daniela Mariotti


La solitudine
che non ho voluta
sta qui e mi
abbraccia.
Che devo fare?
La vedo anche senza occhiali.

Io voglio te

   Paola Scatola


Io voglio te
per dirmi cose
che sono imbecilli un po'
e che sono nel semi deserto
delle tue malinconie.

La natura

   Daniela Mariotti


La natura
stormisce dalla pianta
più vicina,
osservo agitarsi
tutte le foglie:
quanta bellezza!
Ci sorride il grande olmo,
che dalla finestra
io amo.

Io vorrei essere tua

   Paola Scatola


Io vorrei essere tua
ma sono solo di me stessa
ed è così che me ne vado
dalle tue carezze.
È così, quando arrivi,
che me ne vado io.

Secondo me

   Giovanni Romagnani


Colui che si denota.
Positivo e negativo vengono dopo.
O non vengono proprio.
E rimane il negativo in genere.
Sottintendere significa offendere?
Secondo me, sì.

Spighe dorate

   Mariangela


Mille spighe dorate
che al primo alito di vento
ondeggiano
e ad alta voce dicono:
"Da madre terra
vogliamo essere strappate
e diventare pane
per chi nel mondo
ha ancora molta fame".

Il limite

   Matteo Bosinelli


Vede, disse allora il Dottore,
lei è stato sfortunato,
perché non ha avuto l' amore
nel momento più delicato.
Che fare della cenere che mi rimane in mano?
Osò allora chiedere l'uomo, triste e accorato.
La conservi, può forse servire al sapere umano...
E vada avanti, non disperi:
l'accompagno io,
non abbia paura,
su un sentiero che sarà anche il suo.
Sarà un viaggio forse non breve,
andremo, insieme,
incontro a tempeste, ghiaccio, lampi e neve.
Ma vedremo anche il sole, splendente,
forse, alla fine, prima del niente.

DALL’ITALIA AL BRASILE E VICEVERSA
“Curiosando” nelle rispettive esperienze di salute mentale







LA RIABILITAZIONE PSICOSOCIALE -
DISCORSO LOCALE E SOFFERENZA GLOBALE

   Prof. Dott. Maria Stella Brandão Goulart – UFMG Bologna/Italia 12 ottobre 2015

Chi ha visto un manicomio, li ha visti tutti. Il problema fondamentale, che il manicomio rende evidente, è la privazione della libertà. Chi invece si avvicina a un servizio riabilitativo si misura con un obiettivo diverso: si trova immerso nelle differenze, nelle specificità, nella sfida al tecnicismo, nella singolarità del soggetto e delle sue situazioni sociali. Per tre anni, insieme con l’UNIBO, siamo stati coinvolti in una ricerca, il cui titolo era “Modelli di riabilitazione psicosociale per pazienti psichiatrici: un confronto tra le esperienze attuate a Minas Gerais (in Brasile) e quelle attuate in Emilia Romagna (in Italia)”. La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione di Appoggio alla Ricerca dello Stato di Minas Gerais – FAPEMIG.
Fin dall’inizio, ci siamo resi conto che la parola ‘riabilitazione’ era, in generale,
criticata e addirittura rifiutata in Brasile. I suoi numerosi critici evidenziavano che questo termine, per lo meno, non spiegava granché e che aveva una connotazione moralista e adattativa. Che cosa significa, infatti, riabilitare qualcuno? Riabilitare che cosa e chi? Quali sono gli obiettivi di un processo di riabilitazione? Che cosa vogliamo dire quando parliamo di un suo carattere psicosociale? E, ancora, questo processo va inteso come un momento successivo al trattamento clinico sensu stricto? Attraverso i momenti condivisi di questa ricerca, che abbiamo svolto sia con il Dipartimento di Salute Mentale di Bologna che con il Coordinamento della Salute mentale di Belo Horizonte, i significati di questo termine si sono ben presto moltiplicati, tracciando anche delle ‘ibride’ combinazioni. Abbiamo così avviato, specialmente dal 2012, un processo di dialogo e di riflessione, che non è ancora finito. La fine di questo percorso è prevista per il maggio del 2016, quando speriamo di aver maturato meglio le informazioni empiriche che abbiamo colto e le relazioni che abbiamo costruito tra i due continenti: attraversando il mitico oceano Atlantico, usando relazioni radicalmente anticolonialiste. L’obiettivo del nostro scambio sarà un mutuo apprendimento. L’impegno di produrre una nuova conoscenza sulla riabilitazione si delineò attraverso l’idea di un ‘confronto’: un dialogo di avvicinamento tra due esperienze maturate entrambe dalla metà degli anni Novanta. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sui Centri Diurni di Bologna e sui Centri di Convivenza di Belo Horizonte, perché abbiamo identificato delle somiglianze, che si sarebbero moltiplicate in differenze, offrendoci la possibilità di comporre problemi e dubbi riguardo alla riabilitazione psicosociale. In questo processo di dialogo, che si è sviluppato in diverse occasioni sia in Bologna sia in Belo Horizonte, abbiamo coinvolto studenti, che si sono recati per un certo periodo nel paese partner del progetto, ma anche gestori, operatori, pazienti e familiari. In corrispondenza con la commemorazione della giornata internazionale sulla salute mentale dell’OMS, abbiamo chiuso l’ultima sequenza delle visite. Il gruppo brasiliano presente in quest’occasione a Bologna è composto da rappresentanti dell’Università Federale di Minas Gerais, dell’Associazione dei Pazienti dei Servizi di Salute Mentale (ASUSSAM) e dei nostri servizi riabilitativi di Salute Mentale.
Belo Horizonte è una grande città del Brasile, sorta il 12 dicembre del 1897. Ha adesso una popolazione di 2.500.000 abitanti. È il capoluogo della Regione di Minas Gerais, situata nel sudest del Brasile. L’esperienza della Salute Mentale della città viene considerata come un’esperienza di riferimento per la riforma psichiatrica del Brasile. Ma BH costituisce anche un polo economico e culturale di rilievo nell’America Latina, con diverse università, tra le quali primeggia l’Università Federale, un’istituzione pubblica con circa 50.000 studenti. I servizi di salute mentale sono quelli pubblici, dipendono dal comune e lavorano con una impostazione di tipo anti-manicomiale e di inclusione sociale. La nostra legge di riforma è del 2001: sostanzialmente, è analoga alla legge italiana del 1978. Peraltro è opportuno osservare che il nostro processo di deistituzionalizzazione è stato fortemente influenzato da quello italiano. Benedetto Saraceno, nel suo ultimo libro “Discorso globale, sofferenza locale” si riferisce così alla nostra politica di salute mentale: “fuori dall’Europa, l’unico paese che ha sviluppato sistematicamente una politica nazionale di riforma, che dura ormai da venti anni, è stato ed è, senza dubbio, il Brasile”(p78). Tuttavia, questo non vuol dire che si sia percorsa la stessa strada. La riforma della psichiatria italiana ampliò e rinforzò le istituzioni della così detta “psichiatria comunitaria” e il rapporto con il privato sociale. Nel Brasile, invece, non sembra appropriato parlare di consolidamento della “psichiatria comunitaria”, quanto, piuttosto, di costruzione di “attenzione” alla salute mentale. Questo processo significò, specialmente a Belo Horizonte, un fenomeno di relativa ‘de psichiatrizzazione’, sia in riferimento a una critica rivolta all’oggetto del suo fare, sia semplicemente per la mancanza di adesione alla riforma della maggioranza degli psichiatri! Sì. Attualmente i maggiori nemici della “coraggiosa” riforma brasiliana, elogiata in questi termini da Saraceno, sono proprio le associazioni degli psichiatri. In mancanza di una vera centralità e di una consistente presenza della psichiatria nei servizi territoriali, si è venuto configurando un modello specifico di risposte tecniche, cliniche e sociale. La psicologia ha guadagnato sempre più centralità, tenendo conto che, già da tempo, cercava di conquistare nel territorio la costruzione di una metodologia clinica in grado di affrontare i casi psichiatrici più gravi, quelli in crisi acuta e prolungata, e in particolare, in grado di affrontare le psicosi. In Belo Horizonte, vero caso paradigmatico, questo processo si è potuto realizzare attraverso il passaggio aperto dalla prospettiva psicanalitica lacaniana, arrivando ad una clinica sociale. La ‘de-psichiatrizzazione’ si rende evidente nel rifiuto di usare termini che ci riportano al paradigma biomedico. Si evita, ad esempio, di utilizzare formalmente le parole come ‘malattia mentale’. La soluzione trovata, come risultato di un vigoroso dibattito critico occorso durante il processo di costruzione della nostra legge, sono state le espressioni: soggetto portatore di sofferenza mentale (come compare nella nostra legge) o persona con sofferenza mentale o ancora cittadino con disturbo mentale. In questo modo si evita di dare enfasi alla malattia e si cerca di pensare piuttosto al soggetto, alla persona o al cittadino. Oltre a ciò, analogamente all’Italia, le particolari condizioni di applicazione della legge e le relative libertà regionali hanno raffigurato uno scenario molto diversificato, con tante matrici storiche che si sono adeguate alle più diverse rappresentazioni politiche, sociali ed economiche. L’espressione applicazione della legge ‘a pelle di leopardo’ è un modo di dire comune in Italia, ma rappresenta un termine ugualmente adeguato alla situazione brasiliana. Si tratta di un disegno realizzato durante un lungo processo critico, sviluppato all’inizio degli anni Sessanta, interrotto dalla dittatura militare e che si è riaffermato alla fine degli anni Settanata, quando Franco Basaglia è invitato a parlare durante le sue famose “conferenze brasiliane”, che si realizzarono in un contesto di grandi mobilizzazioni sociali. Tra le più consistenti mobilizzazioni, c’erano proprio quelle svolte a Belo Horizonte. Non è quindi senza motivo che la rete di Attenzione Psicosociale della nostra città si è venuta affermando come una delle reti più mature del Brasile, in funzione del suo carattere alternativo agli ospedali psichiatrici e alla sua capacità di risposta alla crisi. È una rete che resiste ormai da vent’anni. Resiste perché c’è ancora in Brasile un’estesa e profonda discussione riguardante il tipo di paradigma da attribuire alla riforma: e ciò avviene, anche se è esponenziale la crescita dell’attenzione comunitaria o territoriale, e se i letti negli ospedali psichiatrici sono stati ridotti della metà. Ci sono dei problemi che in Italia non sembrano molto dibattuti: i letti nelle case di cura private, ad esempio, non sembrano costituire un tema preoccupante, come non sembrano esserlo la presenza di comunità terapeutiche gestite dal settore privato, vincolato per lo più al settore filantropico e a quello religioso. Per noi invece queste ‘soluzioni’ costituiscono una minaccia alla ‘libertà’, come valore, che si oppone al rischio di sequestri e di sospensione arbitraria dei diritti. La salute non può essere un oggetto di mercato e non può essere collegata a credenze religiose. È invece un diritto che è connesso all’esercizio dell’autonomia. Non si può tollerare nessuna forma di discriminazione e di esclusione. Esistono in Brasile vari progetti di attenzione territoriale che sono sostenuti dalla politica di salute mentale e che non si riducono a riforme di ‘psichiatria comunitaria’. La domanda è: chi ha il potere di governare / curare la follia? Alla fine, molto frequentemente, la psichiatria si rivela infatti più un campo di battaglia che un campo di conoscenze. E tuttavia questa domanda è ingannevole e pericolosa. Il problema principale è giustamente l’opposto: nessuno ha il potere sulla follia e tutti i tentativi di controllo hanno degli effetti politici perversi, se non addirittura violenti. Ogni apparato monologico, improntato a una logica sola ed esclusiva per affrontare la sofferenza mentale è in sostanza una forma di istituzione totale che dovrebbe essere superata o meglio “negata”, come ci ricorderebbe Franco Basaglia. Tra tutti (ci ricorda Pelbart) i manicomi mentali sono i più pericolosi e insidiosi. Quale potrebbe essere il rischio di produrre omogeneizzazione del sociale attraverso azioni riabilitative? E così, potremmo supporre che il disegno istituzionale più adeguato dovesse essere proprio quello ‘a pelle di leopardo’. E per di più sarebbe forse possibile essere più radicali, introducendo un effetto caleidoscopico in questa immagine, decostruendo e proponendo, permanentemente, il disegno dell’accoglimento inclusivo e della convivenza. Forse questo potrebbe essere un valido indicatore valutativo: quanto più differenze, tanto meglio! Quanto più un servizio è dinamico e propositivo, allora tanto meglio. Quanto più specifico e sensibile a ciascuna situazione, tanto meglio! Quanto più dinamico, tanto più capace di colorare tutto il tessuto sociale: superando i vuoti e gli iati del disprezzo pubblico. Tutto questo ci conduce a una situazione scomoda dal punto di vista della razionalità amministrativa? Forse no. Faccio in questo momento un elogio al CUFO e al progetto PRISMA, che accoglie le diversità propositive degli utenti e delle loro famiglie e a tutte le associazione e cooperative che abbiamo conosciuto, collegate al lavoro dei centri di salute mentale e di quelli diurni. È fondamentale l’investimento nel protagonismo della società civile, senza perdere di vista l’esigenza di accompagnare l’impatto sociale politico determinato da queste azioni. Come qualificarle allora? In sostanza: è la malattia che porta sofferenza? È la salute che libera dalla malattia? (Costa, 1976) Di solito, si può constatare come siano, invece, lo stigma e il pregiudizio che producono malessere e infelicità nelle persone con sofferenza mentale grave. D’altra parte una cosi detta ‘salute mentale’ può significare un modo piatto di stabilità psichica, ottenuta attraverso una pesante utilizzazione di psicofarmaci. La stabilità rischia di essere ridotta a una semplice remissione dei sintomi in un soggetto ormai screditato, senza futuro, senza alcuna aspettativa. Anche la cura dunque può portare sofferenze e solitudine. Ma riprendendo il punto di partenza: come possiamo valutare quello che accade nei Centri di Convivenza di Belo Horizonte? Possiamo condividere già qualcosa di quanto abbiamo imparato, attraverso una ricerca partecipativa e qualitativa che sta per finire. La caratteristica transdisciplinare del lavoro in salute mentale, realizzato a Belo Horizonte, osteggia fortemente la tendenza mondiale di una patologizzazione dell’esistenza e di una medicalizzazione della vita; contrasta, in particolare, quella moltiplicazione delle diagnosi psichiatriche che alimenta la voracità, immorale e amorale, dell’industria farmaceutica. I Centri di Convivenza fanno parte integrante della rete di salute mentale territoriale che ha, come suo nodo di referenza, il Centro di Salute Mentale, analogo a quello italiano. Sono pertanto integrati a un complesso apparato clinico, che si propone di affrontare tutte le situazioni di sofferenza mentale grave e intensa, e tra di esse, in particolare, le psicosi che sono ritenute una chiara priorità. I Centri non cominciano a lavorare dopo che è già stata risolta la crisi del paziente: sono in grado di offrire riabilitazione anche durante la fase acuta. Ma, senza dubbio, gli obiettivi riabilitativi dei Centri di Convivenza si muovono attraverso un intervento di tipo culturale e artistico. Questo vuol dire che non sono dei servizi sanitari: sono piuttosto dei centri sociali. In questo senso si deve affermare che non sono coinvolti in processi di prevenzione, né in quelli di promozione della salute mentale. C’è, piuttosto, una condotta etica che si rivolge al paziente, cerca di rispondere alle sue sollecitazioni, consentendo un accesso che è, per definizione, libero e aperto. In generale si chiede, come prerequisito, la raccomandazione di un professionale della sanità, che può essere sia uno psichiatra che uno psicologo. Ma chiunque può teoricamente arrivare al centro da solo. Questo stile di lavoro non è frutto di una decisione tecnica: è piuttosto il risultato di scelte strategiche scaturite da dibattiti che, fin dagli anni Ottanta, si sono svolti, in Brasile, nel corso delle conferenze di salute mentale. E tuttavia questo stile di lavoro non è ancora stato sottoposto a regolamentazione. Di conseguenza mancano risorse e appoggio normativo ed è soltanto il Comune che si prende carico delle spese. Questa situazione paradossalmente apre a una certa possibilità d’invenzione e permette lo sviluppo di una dinamica particolare di deistituzionalizzazione che sostiene, in Brasile, una lotta permanente contro i manicomi: sia quelli fisici sia quelli astratti… i manicomi mentali. I Centri di Convivenza, che abbiamo studiato, si trovano in ciascuno dei nove distretti amministrativi dalla municipalità. Sono coordinati, in maggioranza, da psicologhe che sono, per l’appunto, cinque. Uno di questi Centri è coordinato invece da una farmacista, che lavora in una prospettiva diversa da quella della sua disciplina e molto più simile a un atteggiamento psicosociale. Complessivamente però sono presenti anche altre professionalità, come i ‘terapeuti occupazionali’. Le psicologhe coordinatrici dipendenti del Comune sostengono un lavoro di rete tra di loro e con altri settori che sviluppano politiche sociali. Le équipe degli operatori dei centri sono costituite, in maggioranza, da professionisti di livello superiore, con una formazione artistica o con abilità artigianali o artistiche, tanto nel campo della pittura, del disegno, della scultura, quanto in quello della letteratura, della musica, della danza, del teatro, del video, della fotografia, del fumetto ecc. Questi dati ci consentono di mettere a fuoco una sorta di dinamica, che pone l’accento sull’importanza dei processi e non tanto, e soltanto, sul peso dei prodotti. Il processo fondamentale è infatti la costruzione di una ‘uscita soggettiva individuale’, sia che ci si riferisca al singolo, che al collettivo. Questo processo accade in uno spazio che appartiene a tutti, ma che è anche di ogni singolo soggetto. Ogni persona vi si muove a suo modo e non è fissata a una logica universale o normalizzatrice. La singolarità di ogni soggetto, del suo funzionamento psichico e della sua storia di vita sono rispettati. La convivenza creativa è enfatizzata perché provoca l’autonomia e stimola i legami sociali intersoggettivi: la fiducia, l’amicizia, la simpatia e tante altre possibilità. La ‘convivenza’ creativa è letteralmente il mezzo, lo strumento e il risultato permanente: non importa quale sia l’attività che, all’interno del laboratorio, viene offerta. Il soggetto deve trovarsi a suo agio nella situazione in cui si trova. Da questa complessa situazione nascono i progetti personali e collettivi, che possono costituire un appoggio per la ripresa della gioia di vivere e di relazionarsi con gli altri. Queste circostanze possono suscitare delle possibilità di reinserimento sociale. Un esempio che rende evidenti queste possibilità è rappresentato dal lavoro del SURICATO: un’associazione che apre la possibilità di lavoro e di produzione di reddito. Il principio che orienta le persone verso la costruzione di obiettivi di vita emerge da una condizione collettiva, nella quale si dialoga e ci si apre alla possibilità di ripresa di significati nei rapporti sociali. L’inserimento lavorativo tuttavia deve tener conto dei rischi di un mercato che generalmente non è per niente solidale e cooperativista. Siamo in presenza, invece, di un paese, dove i rapporti di sfruttamento sono una minaccia permanente. La situazione è particolarmente delicata in questo momento di forte crisi economica, ma questa difficoltà era già presente da molto tempo prima! L’esclusione dal mercato lavorativo è un grosso problema in Brasile (ma certamente non riguarda solo il nostro paese!). Se poi una persona ha anche una diagnosi psichiatrica, allora si può immaginare come le cose si complichino ulteriormente. C’è da fare anche una importante considerazione: al di là di ogni buona intenzione, il nostro paese non ha mai raggiunto una condizione di welfare state e la cittadinanza è un bene prezioso che non appartiene ancora a tutti.
Ritorniamo ai nostri Centri di Convivenza. I progetti vengono sviluppati dalle coordinatrici e dagli operatori in una realtà concreta di opportunità e di rischi. Si va da un caso a un altro, piano piano, riuscendo a produrre legami interpersonali e sociali. Il percorso dipende dalla specificità di ogni persona e dalle risorse di ogni Centro di Convivenza. Le azioni che si vengono sviluppando possono riguardare tanto l’acquisizione di una tecnica specifica, come l’organizzazione della grande sfilata di protesta della “Scuola di Samba Libertà anche se Tan Tan”, che coinvolge tantissime persone in un lavoro che dura almeno cinque mesi; quanto può riguardare la pubblicazione di un libro, o l’organizzazione di un festival della canzone. Le azioni possono riferirsi agli esercizi quotidiani di allungamento fatti collettivamente (il ‘Lian Gong’), come l’organizzazione di competizioni sportive come i giochi della primavera. Per non parlare delle attività di teatro, dei mercatini di vendita di prodotti di artigianato, delle gite, delle mostre di arte, dei processi di alfabetizzazione ecc. Gli esempi sono letteralmente infiniti perché gli obiettivi riabilitativi non sono prefissati. Le decisioni spesso sono prese in contemporaneità con le cose che emergono durante i processi di convivenza: c’è, in questi contesti, una permanente possibilità di cambiamento e di innovazione. Si cerca di valorizzare il “potere segreto e ammirabile di mescolare i codici, di sovvertire le regole del gioco e di spostare i limiti…” (Pelbart, 1990). Si apre il dialogo con la dimensione dell’estraneità, con l’alterità, attraverso la costruzione di potenti legami. Ovviamente, bisognerebbe parlare un po’ di più della struttura e dell’organizzazione dei Centri di Convivenza: e indubbiamente su questi argomenti parlerà con più competenza Marta Soares. Ma, ancora una volta, voglio ribadire che la ricchezza di questa pratica non si trova nell’organizzazione. Per usare uno slogan, si potrebbe dire che la ricchezza si trova nello stimolo alla scoperta e all’inventiva. “Non bisognerebbe insegnare al folle come diventare normale”! È questa l’opinione paradigmatica di uno degli operatori che abbiamo intervistato: in questo modo provocatorio ha enfatizzato lo stile di lavoro, volendo lasciar chiara una prospettiva non adattativa molto condivisa. Non si può perdere di vista anche un’altra funzione svolta da queste strutture: sono luoghi protettivi, luoghi di riferimento e di appoggio contro la violenza e lo sfruttamento. Questo vuol dire che chiunque può sempre rientrare, anche per prendere un caffè e salutare gli amici. Le porte sono sempre simbolicamente aperte. Questa, in sostanza, è la convivenza!
I laboratori dove nascono i progetti, personali e collettivi, non vincolano formalmente gli utenti. Loro hanno sempre la possibilità di sperimentazione, possono proporre cambiamenti, possono modificare le attività, costruendo attivamente la loro presenza.
C’è una grande enfasi nella dimensione dello scambio tra utente e operatore – sia costui un artista sia un artigiano. Ma di là da ogni scambio orizzontale, si promuove sempre l’idea di uno spazio ‘potenzializzante’ che costruisce risposte attraverso delle dinamiche creative. Verrebbe quasi da dire che si impara ‘l’arte di vivere’. La libertà e la creatività sono le parole di ordine che definiscono il tipo di empowerment che guida le pratiche nei Centri di Convivenza. La felicità e il benessere si associano con il principio della flessibilità che crea, a sua volta, le condizione per una ‘ripresa’ della voglia di vivere, di esserci, dentro la società. Cosi l’utente può trovare le possibilità e le vie di ricostruzione di nuovi rapporti: la sofferenza impone nuove condizioni e nuovi limiti... Per concludere: che cosa significa riabilitare? Per che e per chi? Quali sarebbero le mete da raggiungere in un processo riabilitativo? Come definire la dimensione ‘psicosociale’? Molti di questi quesiti rimangono ancora aperti. E tuttavia, i Centri di Convivenza, per gli utenti, sono, fondamentalmente, una nuova opportunità di ripresa della propria vita. Sono una possibilità di resistenza contro l’indifferenza e l’affermazione della singolarità che abbraccia la storia e la sofferenza personale e la ripropone produttivamente. È un esercizio di libertà, e questa, non c’è dubbio, è terapeutica!



BIBLIOGRAFIA
SARACENO, B. Discorso globale e sofferenze locale, Milano: Il saggiatore, 2014.
COSTA, J. F. História da psiquiatria no Brasil, Rio de Janeiro: Editora . Documentario, 1976.
PELBART, P. P. Manicômio mental: a outra face da clausura, São Paulo:Editora Hucitec, 1990.







CARTA DE BOLONHA

   ASUSSAM-MG, Belo Horizonte, 1 settembre 2015


Cari utenti e familiari, cari operatori dei servizi di salute mentale dell’Italia, noi vi ringraziamo molto per aver accolto Emílha e sua sorella Leida, all’interno delle attività di queste giornate. Durante questo periodo si potranno scambiare alcune esperienze sulla riabilitazione sociale per i portatori di sofferenza mentale, così come si sono realizzate in due diverse realtà: quella brasiliana e quella italiana. La realtà brasiliana è molto ricca e multiforme, ma presenta anche gravi diseguaglianze sociali. La politica anti manicomiale dei nostri servizi pubblici di salute mentale si prende cura dei suoi utenti con il proposito di alleviare anche queste diseguaglianze. Di conseguenza i suoi interventi sono intersettoriali e cercano di associarsi con altre politiche: con le politiche sociali, ad esempio, e, poi, con quelle culturali, di assistenza sociale, del lavoro ecc.
I Centri di Convivenza sono un nostro strumento riabilitativo, che agisce nel campo della salute e della cultura. In questi centri si favoriscono offerte di arte e di artigianato, che, intervenendo nella cultura, favoriscono l’inclusione della follia nella città. Sull’inserimento lavorativo per gli utenti in sofferenza mentale, esistono, in Brasile, alcune esperienze efficaci di produzione di lavoro e di reddito. Queste esperienze cercano, nell’ambito della ‘politica di economia solidale’ e di altre forme di organizzazione, di conquistare il diritto al lavoro, in un modo libero ed emancipatore.
L’attuale politica del governo brasiliano ha formalmente incluso gli utenti dei servizi di salute mentale all’interno delle iniziative rivolte ai disabili. Oggi tuttavia siamo preoccupati per la situazione economica del paese, che potrebbe portare a un cambiamento di questo indirizzo.
Siamo invece molto contenti della nostra militanza anti manicomiale. Attraverso la promulgazione delle leggi, abbiamo conquistato la garanzia che la politica della salute mentale sia riconosciuta, a tutti gli effetti, come una politica del nostro stato. Un ostacolo per la conquista dei diritti sono tuttavia i pregiudizi ancora presenti nella nostra società. Il pregiudizio è, particolarmente, proposto e rinforzato dai mezzi d’informazione, quando un paziente psichiatrico commette un crimine. Al contrario la chiusura degli ospedali psichiatrici e la costruzione della cittadinanza per gli utenti in disagio mentale, ha cambiato positivamente il tipo di convivenza tra la società e i portatori di disagio psichico. Ma è necessaria un’attiva militanza anti-manicomiale, poiché gli utenti psichiatrici, ancora, soffrono forti discriminazioni, proprio in campo sanitario, per il riconoscimento dei propri diritti, particolarmente quando si trovano in condizioni di crisi psicopatologiche. C’è dunque ancora molto da fare nella salute mentale, nonostante la nostra vivace militanza, per arrivare, in molti casi, a un’effettiva conquista dei diritti e della cittadinanza e per raggiungere la decostruzione dello stigma della pazzia. Per rispondere al diritto di trasporto dei pazienti per accedere ai servizi di salute mentale, il Servizio Sanitario Nazionale brasiliano (SUS) ha messo a nostra disposizione agevolazioni negli abbonamenti sui trasporti. Vorremo conoscere: come funziona l’accesso ai servizi di salute mentale da parte degli utenti, qui in Italia? Vorremmo conoscere anche: quali sono le esperienze d’inserimento lavorativo per gli utenti in disagio mentale, in Italia? Come gli utenti di Bologna affrontano i pregiudizi di cui sono vittime? Che cosa significa, per una persona, ‘impazzire’ nella vostra società?
L’ASUSSAM-MG (Associazione degli utenti dei servizi di salute mentale dello stato di Minas Gerais) ha compiuto ventun anni nel marzo di questo anno. Per tutti questi anni e per il futuro l’associazione continuerà il suo lavoro di denuncia delle violazioni dei diritti umani e lotterà contro ogni impianto di logiche manicomiali, attraverso il protagonismo degli utenti della salute mentale e dei loro familiari. Nell’anno 2014 abbiamo festeggiato a Belo Horizonte l’anniversario dei trentacinque anni della venuta di Franco Basaglia nella nostra città. Abbiamo ricordato come proprio i principi, che Basaglia ci ha trasmesso, siano diventati la forza che ha guidato la storia della nostra riforma della salute mentale. In conclusione vogliamo dirvi la nostra felicità perché si è realizzato questo incontro a Bologna. Speriamo che questo scambio sia molto ricco e redditizio.
Buon lavoro a tutti e forti “saluti anti-manicomiali”.


QUEL DESIDERIO DI SAPERE

   Michela Trigari


L a qualità principale del giornalista è la curiosità. Se non si è curiosi non si può fare questo mestiere. L’ho imparato facendo il cronista, che è il mestiere di base: il vero giornalista è quello che va sul posto a raccogliere le notizie. Non serve andare lontano. Se si estingue questa curiosità, a qualsiasi livello, dal cronista fino al grande editorialista, se si spegne questa scintilla, è finito il mestiere. Per fortuna, io sono ancora curioso». Sono le parole di Bernardo Valli, storico giornalista italiano, intervistato l’anno scorso a Torino dal direttore de La Stampa Mario Calabresi in occasione di un incontro organizzato dall’Ordine dei giornalisti e intitolato “Il destino dell’inviato speciale”. Nato a Parma nel 1930, Valli è stato infatti inviato del Corriere della Sera in Vietnam, India, Cina e Cambogia. Ha raccontato la rivoluzione di Khomeini in Iran e poi è diventato caporedattore della sede francese di La Repubblica.
Anche per Tiziano Terzani bastava «avere curiosità per le persone e le cose», per riuscire a fare questo mestiere, unita all’«umiltà per non anteporre se stessi ai fatti e alle notizie, al rispetto per i lettori, alla dignità da mantenere nei confronti del potere, a una cultura di base, alla disponibilità al sacrificio e alla verifica continua che ogni cosa che si scrive sia in linea con quel che si ritiene sia la verità». Lo disse a Giovanni Nardi durante l’intervista pubblicata sulla rivista Doc.
Ma la curiosità del giornalista, «che è l’elemento essenziale della sua professione, una curiosità intelligente, non pruriginosa o pettegola, lo spinge spesso a invadere terreni che sono al confine tra la sfera privata e la rilevanza pubblica della vicenda oggetto della notizia», scrive il giornalista Enzo Arcuri in Testo e paratesto: itinerari di linguaggio giornalistico (Rubettino Editore, 2002). Il desiderio di sapere, di conoscere e di vedere cosa stia dietro un fatto o una notizia, quindi, accompagnato dalla voglia di indagare, approfondire e ricercare, deve sempre rispettare il limite della dignità della persona umana.
Ma la curiosità è anche del lettore. Lo sa bene perfino lo scrittore. «Il bravo narratore sa che tutti noi abbiamo fame di storie e vogliamo sapere “come va a finire”. Dunque il bravo narratore conosce questa debolezza e ne approfitta. Ma deve farlo con abilità e astuzia, frase dopo frase, pagina dopo pagina. La santa protettrice di tutti coloro che raccontano storie è ovviamente Sheherazade», la protagonista di Le mille e una notte, l’unica moglie del sultano a non venire uccisa dopo la prima notte di nozze. «Per salvarsi, Sheherazade iniziò a raccontare al crudele marito una storia appassionante. Così si salvò la vita. Quando infatti arrivò l’alba, il sultano non sapeva ancora come andasse a finire quella storia così avvincente, e dunque la lasciò vivere per un altro giorno. Ma così accadde anche la sera successiva e quella dopo, e poi ancora e ancora...» (tratto da Ioscrittore.it, “Come suscitare la curiosità del lettore? Consigli e sorprese” di Editor 2.0).

IN RICERCA DEL TEMPO LASCIATO

   Opola Resonive

Dove posso trovare un campo di patate?" chiese, ormai stufo del dover aspettare per ore, il vecchio che vagava fra i poderi avendo ormai perso la memoria... Quelli che lo incontravano lo guardavano con compassione. "Va ben a casa, Eric, che tua moglie ti aspetta, ormai è tardi", disse Ludovico, il contadino proprietario di quel bel vigneto. "Non penso che mi sposerò", disse Eric, che non ricordava nulla "le donne... Bisogna starci il più lontano possibile!". Ludovico sorrise: "È un po‘ tardi, visto che sei sposato da sessantadue anni...", Eric rimase perplesso: "Io sposato? Ah, ah, ah non accadrà mai. Voglio girare il mondo finché sono giovane... A proposito, sai quanti anni ho?". Allora Ludovico: "Giovane non direi proprio, dovresti andare verso la novantina ormai!". Eric alzò le spalle: "Be’, potrei girare il mondo lo stesso, su un piccolo, ma piccolo aereo costruito coi lego, lo tengo a casa...". "Non avevo mai sentito nessuno parlare di un aereo costruito coi lego, ma vola? Non dire cose così irreali, potrebbero pensare che tu sia pazzo". Eric si allontanò, la discussione l'aveva intristito. "Voglio volare con un piccolo aereo nel mondo, finché non trovo il tempo che ho lasciato alle spalle... Adesso vado a casa, se la trovo, per riposarmi prima del gran giorno della partenza, che arriverà domani, domani, ancora domani...".
Girando, girando arrivò a casa dove lo aspettava già da ore la moglie preoccupata. Sonia appena lo vide gli cinse le mani al collo e iniziò a piangere: "Finalmente sei tornato a casa Eric, ti ho aspettato, la cena è ormai fredda e sta calando la notte. Sai che che non devi mai uscire da solo, perchè il mondo ti potrebbe portare via". Eric la guardò: "Sai che sei una bella donna? Se fossi libera ti sposerei!". Sonia sospirò: "Guarda che noi due stiamo assieme da più di cinquant‘anni!". Eric prese un’espressione curiosa: "E allora spogliati!". Sonia rise: "Se tu mi amassi e non tentassi sempre di fuggire, io sarei più tranquilla e vivremmo meglio! Se vuoi mangiare la cena è pronta". Dopo mangiato Eric si ritrovò in cucina da solo, la moglie era in sala a leggere, perciò decise di scendere in cantina a vedere il suo gioiellino, che riposava fra le bottiglie di vino. Era lungo tre metri per uno, le ali erano pronte, ma staccate, perché per far uscire l’aereo dalla porta doveva lasciarle smontate. Il problema principale era come farlo volare, cioè con che tipo di carburante. Il motore che ci aveva messo funzionava a benzina come quello di qualsiarsi altro aereo. Lo chiamò Libellula fatata, infatti doveva servire a realizzare i suoi sogni. Tornò in casa e andò a dormire in una cameretta separata da quella della moglie, infatti già da vari anni non condividevano lo stesso letto.
L‘indomani mattina al canto del gallo Eric si era già alzato, e ammirava l‘alba sui campi di grano, vicino al laghetto, dove c‘erano i castori... La luce stava crescendo e lui iniziò a posizionare i paletti per fare la pista di decollo. Aveva già lisciato il terreno i giorni precedenti, quindi passò dal pollaio, dove prese delle uova per prepararsi una frittata per colazione. Alternava momenti come il giono prima in cui non ricordava niente, a momenti come oggi, in cui il suo passato gli rimaneva ben fisso nella memoria. Fatta la frittata per sé e per la moglie andò a chiamare Sonia per fare colazione. Lei si alzò, contenta che oggi fosse un buon giorno, e andò in cucina a mangiare...
I loro figli erano lontani: dopo essere cresciuti con loro erano partiti per studi e lavori distanti dalla casa natia. Si chiamavano Tom, Dino ed Elisa. Tom si trovava ad Asterdam in Olanda, Dino abitava a Rio in Brasile ed Elisa a Buenos Aires in Argentina. Tre figli, tre destini diversi, città diverse li ospitavano, ma il cuore li teneva uniti. Sonia sospirò: "Eric la vita è sempre più difficile per me, oggi stai bene, ma domani?". A un tratto le venne in mente che il marito da mesi aveva accumulato una gran quantità di mattoncini di plastica e si era messo a giocarci come un bambino, perciò chiese a Eric: "Ma dove sono i lego?", Eric se ne uscì con una frase misterosa: "Cara moglie, il destino che mi attende è ignoto come quello di tutte le persone comuni; dirigere il destino è difficile oggigiorno, solo gli stolti sono sicuri di ciò che accadrà!". Sonia lo fissò con uno sguardo indagatore: "Vuoi partire?", Eric: "Perché?", Sonia: "Ho visto in cantina l‘aereo fatto coi lego, ti prego non mi lasciare, portami via con te!". Eric rimase perplesso a riflettere sull‘eventualità di portare con sé Sonia. Una vita insieme poteva continuare e potevano dirigersi insieme verso una nuova avventura. Lui disse: "Sonia, ti porto solo se mi prometti che non smetterai mai di credere alle favole!". Sonia lo guardò con tenerezza: "Ci ho sempre creduto alle favole, fin da bambina, anche se sono un po’ dura come persona, sono rimasta un grande sognatrice. Ti voglio molto bene e ti seguirò ovunque senza paura!". Eric sfoderò lo sguardo di quando era giovane: "Allora partiamo! Adesso!", Sonia si avviò verso la camera da letto: "Preparo la valigia e arrivo", Eric la trattenne: "Niente valigia solo un grande amore verso l‘avventura".
Andarono in cantina presero l'aereo e lo portarono sulla pista. Montarono le ali, il pieno era già fatto. Salirono a bordo e partirono. La loro casa si trovava in un paesino vicino a Madrid. Puntarono verso nord. Il tempo era bello e assolato, era ormai estate. Volavano basso per paura di scontrarsi con altri aerei. Il loro itinerario comprendeva l’Olanda, il Brasile e l’Argentina, allo scopo di andare a trovare i figli. "I figli sono pezzi di cuore", disse Eric alla moglie e continuò a parlare: "Siamo sopra Parigi, fra poco arriveremo da Tom". Era ormai sera quando arrivarono alla meta e atterrarono vicino a un campo di patate nei dintorni di Amsterdam. Era sempre andato a trovarli lui, da tanto desideravano andare loro a vedere dove viveva... Sapevano che la sua casa era nei pressi del famoso quartiere a luci rosse... Eric: "Sonia, adesso nascondiamo l'aereo e ci dirigiamo verso la città". Si incamminarono con fare deciso verso la grande metropoli. Erano meravigliati dai numerosi mulini a vento che li circondavano e dai campi pieni di tulipani. Eric: "Se dovessi morire vorrei morire qui". Sonia: "Se tu morissi qui io allora ti seguirei". Eric: "Non siamo ancora morti, un nuovo futuro ci aspetta". Presero un autobus diretti verso il centro della città. Il panorama era incantevole, case piccole e basse e tantissime ciclabili. Eric si rivolse all’autista per chiedere informazioni: "Scusi, signor autista, ci potrebbe dire quando arriviamo al quartiere a luci rosse?", "Volentieri, ma… dei signori come voi cosa ci vanno a fare in un posto del genere?", Sonia: "Andiamo a trovare uno dei nostri figli, è sempre venuto lui a trovarci gli vogliamo fare una sorpresa!".
L‘autobus procedeva per le strade, i due ammiravano con stupore soprattutto i canali che si trovavano nella città. Eric si guardava attorno stupito: "Ma quanti canali ha questa città?". L‘autista: "Amsterdam è chiamata la Venezia del nord! Alla prossima fermata dovete scendere". Era ormai sera e avevano fatto solo uno spuntino in aereo, quindi decisero di fermarsi a mangiare qualcosa in un ristorantino. Eric: "Che bella coppia siamo!", Sonia: "Belli e bravi." Raggiunsero una piazza con una fontana, ormai erano vicini alla meta. Il primo figlio che andavano a trovare abitava nella terza strada a destra, vicino a un canale, sopra a un locale notturno famoso per gli spettacoli di spogliarello. Così al numero 39 suonarono alla porta... Erano ormai le dieci di sera. Suonarono ancora, nessuna risposta. Eric: "Forse Tom è fuori: cosa facciamo?", Sonia:"Aspettiamo!". Dopo poco arrivò Tom, accompagnato da due ragazze vestite in modo succinto. Eric: "Ciao figliolo come va?". Tom: "Ciao cosa fate nella mia città?".
Eric: "Siamo venuti a trovarti, ma dove è tua moglie e chi sono queste ragazze?". Tom: "In verità non sono sposato e queste sono due ragazze che lavorano con me al locale qui sotto!". Sonia: "Ma non lavoravi in banca?". Tom: "Vi ho sempre mentito: non sono sposato e faccio il barista". Eric: "Perché ci hai sempre mentito? Noi ti abbiamo sempre accettato come sei..." Tom: "Avevo paura di non essere il figlio modello che avete sempre desiderato". Sonia: "Noi ti vogliamo bene sempre e comunque!". Tom: "Mamma, ti guardo e vedo che se da piccolo tu mi avessi lasciato più libero forse sarei potuto crescere meglio, comunque ora sto bene! Mi volete ancora bene anche se vi ho mentito?", Sonia: "Sì!", Tom: "Tu pa’?", Eric: "Il filo del destino ci guida verso un futuro felice, se possiamo seguire la nostra passione. Penso che tu stia facendo ciò che hai sempre desiderato, allora prega che chi ti circonda ti ami veramente. Io ti amo!". Tom: "Il lavoro che faccio mi piace molto... Non sarà dei più puritani, ma va bene così". Tom li portò a visitare il locale dove lavorava, che si trovava al piano di sotto. L‘impressione per la coppia non era delle più piacevoli. Eric però rassicurò la moglie:"Sonia, se è contento lui…". Sonia quindi propose: "Consegniamogli il regalo che gli abbiamo portato". Si era fatto tardi, perciò Eric chiese al figlio: "Puoi consigliarci un albergo vicino dove dormire?". Tom non ci pensò un momento: "Potete dormire da me! Quanto rimanete?". Sonia: "Fino a domani poi ripartiamo". Li lasciò dormire in una camera del suo appartamento. La mattina dopo fatta colazione Sonia ed Eric diedero a Tom una collanina con una scritta Trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri, ma anche nella loro anima. Tom: "È bellissima, grazie". Sonia: "Noi partiamo, è un po‘ come morire...". Eric: "Buon proseguimento della tua vita!".
Si diressero a prendere l‘aereo che era nascosto vicino a due mulini, lo liberarono dai cespugli, lo portarono sul campo vicino e partirono. Eric si accorse che la benzina era quasi finita, bisognava fare rifornimento nel vicino aereoporto di Berlino. Era enorme e con difficoltà riuscirono a ripartire dopo aver fatto vedere tutti i documenti. Si diressero così verso Madrid, dove si erano scordati di chiudere il gas di casa e pensarono di passare le notte nei loro letti. Arrivati a destinazione notarono subito che la loro casa era andata a fuoco, quindi piansero e piansero ed Eric disse: "Adesso non dobbiamo più preoccuparci degli oggetti del nostro passato, possiamo volgerci al futuro, decisamente l‘incendio è stato positivo. Il destino ci ha spinto a muoverci verso l‘avvenire". Sonia: "Però sono dispiaciuta, avevamo passato una vita in quella casa, tanti ricordi, piacevoli o spiacevoli". Eric: "Non pensare che tu sia già morta, abbiamo tempo di costruire altri ricordi, altre avventure, almeno fino a quando riusciremo a camminare", Sonia: "Si, però... Una vita passata ci guarda e ci vuole promettere che potremmo ancora divertirci...". Non erano stati mai così tristi, ma pensavano sempre al futuro.
Dormirono a casa di vicini e la mattina dopo, fatto il pieno, ripartirono verso un‘altra avventura, direzione Brasile per andare a trovare Dino. "Poi, poi, poi", pensavano, "l‘amore è l‘unica cosa che conta realmente". Il viaggio si pensava che sarebbe stato molto difficile, con un aereo così piccolo sorvolare l‘oceano per ore ed ore. I nostri prodi eroi ci riuscirono: decisamente stanchi e affaticati, ma arrivarono nel sud America. Rio è una città maestosa e quando arrivarono videro subito il Cristo Redentore, la statua che domina la città. Dino, il secondo figlio, aveva raccontato loro che era un ricco uomo d‘affari, che si occupava di vendita di barche; abitava vicino a un grande museo con una struttura cubica, una forma che lo caratterizzava. Atterrarono sulla spiaggia e raggiunto a piedi il museo, chiesero notizie su dove potesse abitare Dino. Vennero così a sapere che era il cassiere del museo e rimasero perlessi. Eric si rivolse a Sonia: "Anche lui ci ha mentito". Sonia annuì: "Forse non conosciamo così bene i nostri figli… andiamo a parlargli". Entrati nel museo lo videro e lui vide loro e rimase paralizzato dalla paura, vergognandosi delle menzogne raccontate per salvare un prestigio mai richiesto. "Ciao, cosa fate qui? Sì, sono solo un cassiere al museo, tutto quello che vi ho raccontato è stato solo per rendervi orgogliosi di me, avevo paura di deludervi. Mi perdonate?". Sonia: "Per adesso… due figli su tre si sono rivelati dei bugiardi: perchè?". Eric ormai rassegnato trovò le parole adatte: "Sorridi! Noi ti abbiamo voluto, cresciuto, ti abbiamo amato e ti continuiamo ad amare!".
Dino: "Mi viene da piangere! Posso abbracciarvi?". Così il figlio abbracciò i genitori e assieme piansero, piansero, poi piansero, poi risero e risero. Ora non c‘erano più segreti fra loro, l‘amore trionfava. Eric disse: "Siamo venuti per darti una catenina, prendila è per te!" Sonia gli diede la catenina con una scritta Trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri ma anche nella loro anima. Dino imbarazzato ringraziò e disse che sarebbe stato felice di ospitarli a casa sua. Eric rispose: "Il cammino è lungo, ma qualche ora assieme la passeremo volentieri".
Dino si fece sostituire al museo e accompagnò i genitori a casa sua, dove prima riposarono per il lungo viaggio, poi la sera uscirono a mangiare col figlio in un ristorantino e parlarono, parlarono senza più segreti... Era già sera, ormai era troppo tardi per partire quindi andarono a dormire a casa del figlio. Il giorno dopo Eric disse: "Noi partiamo, volevo chiederti una cosa: sei soddisfatto della tua vita?". Dino ci pensò un attimo, poi sussurrò: "È una vita umile, ma onesta e sincera, come ce ne sono tante, è la mia vita, una vita da vivere!", Sonia lo abbracciò: "Vivi felice, senza bugie, che possono essere solo strumenti di paura e falsità. Cerca di credere di più in te stesso e in quello che fai, senza vergognarti".
Eric si preparò a ripartire, meta Buenos Aires in Argentina: "Ci manca di andare a trovare Lisa, poi il destino sarà compiuto". Sonia sospirò: "La più piccolina, speriamo che la vita sia bella anche per lei...". Si diressero verso sud e dopo sole quattro ore di volo arrivarono nella enorme città con tantissima povertà, case piccole, baracche dove i più poveri vivevano: felici? Forse infelici, ma vivevano. Sapevano che la figlia abitava vicino all'obelisco nella piazza principale del quartiere di lusso della città, così atterrarono, questa volta all’aeroporto, contrariamente alle loro usanze. Si diressero poi con un pulman nella zona desiderata. Eric: "Siamo arrivati ecco l'obelisco scendiamo". Sonia: "Sappiamo che fa l‘indossatrice, vediamo se la troviamo dove ha detto che vive, nell'albergo lì vicino". Entrati nell'ingresso del lussuoso hotel chiesero alla reception se potevano vedere la signorina Lisa, famosa indossatrice. Scoprirono che lei lavorava come cameriera al ristorante. Eric: "Anche lei ci ha mentito, i nostri figli si assomigliano tutti quanti fra loro". Sonia scosse il capo: "Andiamo ad incontrarla!". Lisa seppe dell‘arrivo dei genitori e quando li vide iniziò a piangere... Così fecero loro e si abbracciarono e baciarono. Lisa: "Non volevo deludervi, non volevo tradirvi, volevo solo che mi amaste molto, non sono un'indossatrice, ma una semplice cameriera". Eric brontolò: "Perchè non ce l‘hai detto prima? Tutti questi segreti! Dove siamo in Beautiful?"… Sonia abbracciò la figlia: "Segreti, segreti, ma ti piace la vita che fai?". Lisa rispose di getto: "Sì, lavoro, non ho figli né marito, ma quello che faccio mi piace...". Sonia la guardava orgogliosa: "Bella, sei bella, anche se non sei modella!". Eric: "L‘amore è una cosa meravigliosa!", Lisa: "Mi amate lo stesso?", in coro i genitori risposero: "Sì, certo!", Lisa: "Sarete stanchi dal viaggio perchè non vi fermate qui qualche giorno?". Eric però preferiva ripartire: "No, rimaniamo solo a mangiare". Andarono a pranzare tutti e tre felici come una volta... Quando erano piccoli i figli, la famiglia era molto unita, poi ognuno aveva preso la sua strada e allora si erano un po' allontanati. Nel pomeriggio si salutarono ed Eric disse: "Prima di andare via, io e la mamma vogliamo regalarti una catenina con una scritta Trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri, ma anche nella loro anima", Sonia: "Noi saremo sempre con te... Addio!". Lisa aveva gli occhi lucidi: "Ci vediamo presto, altroché!", Eric le sorrise: "Addio...". E si allontanarono con un passo molto veloce. Sonia: "Abbiamo quasi finito il nostro tragitto, adesso è giunto il momento...". Eric: "Si, è l‘ora, facciamo benzina e allontaniamoci, prima che faccia buio". Sonia annuì: "Dobbiamo essere veloci".
Arrivarono all‘aereo e decollarono verso la loro nuova casa, una casa dove vivere gli ultimi anni della loro vita insieme... Eric: "Prima stavo male, dimenticavo chi ero e dove ero, perché mi trovavo in una situazione che non mi piaceva, questo viaggio mi ha fatto proprio bene!". Sonia: "Adesso siamo sereni e possiamo andare là dove volano i fenicotteri!". Salirono sull‘aereo di lego e dopo una notte in volo arrivarono in un villaggio sperduto e poverissimo, in Africa. Eric: "Qui inizia la nostra nuova vita, gli ultimi anni li trascorreremo qui". Sonia: "La povertà di queste persone dovrà essere una spinta per noi per aiutarle, amore per amore!". Eric: "Verità per verità". Passati alcuni giorni spedirono una lettera a ciascun figlio con tutte le loro intenzioni: avevano nuovi rapporti ai quali dare tutti sè stessi, i figli ormai non avevano più bisogno di loro.
Finire gli ultimi anni prodigandosi per gli altri, trovare ciò che puoi cercare non solo negli occhi degli altri, ma anche nella loro anima... Amore per amore...













UNA COPPA PER MARIANGELA

Al 5° concorso di poesia D. Corniolo indetto dal Comune di Baricella nell’ottobre di quest’anno, Mariangela, nostra redattrice storica, ha vinto il II premio per il racconto che vi presentiamo, breve, ma intenso, come il profumo delle violette che da settant’anni ancora aleggia attorno alla nostra amica, nel ricordo struggente di un’infanzia certo non facileeppure capace di piccole grandi gioie.




SIGNORA, UN MAZZOLIN DI VIOLETTE...!

   Mariangela Soavi

H o passato tutta la mia infanzia in un collegio di suore. Era il dopoguerra e il periodo fuori dal collegio era duro, ma signori miei, anche nel collegio non ho avuto un’infanzia rosa e fiori… Oggi che mi è stata fatta questa domanda devo rispondere che, nonostante tutto, i miei ricordi sono corsi a quel periodo non proprio piacevole della mia vita.
Il ricordo più felice va alla mattine di domenica dei giorni di aprile e maggio. Avevo circa sei, sette anni e Una suora, la più anziana di tutte, era la ‘supervisora’ del nostro buon comportamento.
Noi eravamo bambine e, come devo dire, erano così poche le distrazioni che il collegio ci offriva, che quella mattinata all’aperto per noi era la felicità più grande e il profumo, signori miei… io ho ancora il ricordo vivido del colore della violetta con le sue piccole foglie a cuore e del suo profumo così delicato.




con altre bambine ci mettevamo sotto il portico all’entrata del collegio con un bel bancone di legno dove mettevamo, dentro a delle ceste di vimini, ben disposti, tanti mazzolini di violette. Il sabato con le altre bambine le raccoglievamo nel parco del collegio e aiutate dalle suore preparavamo tanti mazzolini. Poco lontano c’era l’entrata della chiesa e le signore bene si fermavano al nostro richiamo sottomesso: - Signora, vuole un mazzolin di violette? Una piccola offerta per il collegio, grazie signora.