Piergiorgio Fanti

Raffaello: “Ritratto di Baldassarre Castiglione”

Fabio Tolomelli

Editoriale

Antonio Marco Serra

L’inafferrabile che ci afferra

Marco

Il mio pensiero

Stefy

Sensazioni

Luigi Zen pass

Proverbi e Freddura

Lucia

Come ci condiziona l’estetica

Luigi Zen pass

La poesì di gâtt

Luigi Zen pass

L’estetica e lo Zen

Lucia Monaco

La bellezza non rispecchia l’interiore

Concetta

Grazie a papà e mamma

Luigi Zen pass

L’indovinello

Francesca

La propria immagine

Lucia

Un binomio difficile: bellezza e malattia

Armando C.

Signore, la malattia…

Luigi Zen pass

La soluzione dell’indovinello

DEDICATO AD ARIANNA Lo spazio della poesia

 

      Mariangela     Come una stella
      Matteo Bosinelli     Quo vadis?
      Paola Scatola     Sei bella, sei bellissima
      Raffaele     15 luglio
      Raffaele     A Rita
      Loopa Sonivree     Bella
      Marcella Colaci     L’urlo dell’artista
      Matteo Bosinelli     Tramonto
      Marcella Colaci     Oh… l’Arte!
      Daniela Mariotti     Il mio ordine
      Paola Scatola     Sull’estetica

Cristicchi

La recensione: “Il ritratto di Dorian Gray”

Edoardo Bellanca

Lo sposalizio di Maria

AA.VV.

Lo sfogatoio

Costanza Tuor

Come un dipinto

Opola Resonive

Loro cercavano l’oro

Maria Chiara Reitani

Una donna coraggiosa

C.D. di Casalecchio

Considerazioni sull’estetica

RTP Casa Mantovani

Sull’estetica

UmanaMente L’estetica: parliamone
      ***     Brainstorming
      Elena Pasquali, Luca G.     Storia dell’estetica
      Antonio Metta     Il mio appassionante punto di vista
      Edoardo     Idoli, immagini, verità
      Luca G.     Cos’è la mia estetica
      Pino     Estetica nella modernità
      Luca G.     Il sogno
      Stefy     L’estetica della vita
      ***     I dieci consigli

Darietto

Dazzenger

Mariana Parera, Daniele Beghini

A noi la scelta… Quale bellezza?

Giovanni Romagnani

La note di note

Mariangela

L’estetica ieri e oggi

Diana Tura

Il lusso negato

***

La Posta

INSERTO
      Fabrizio Sinibaldi     Sull’arte contemporanea e sull’arte irregolare
      ***     Opere degli Artisti Irregolari Bolognesi
 
                                                                                                     
RAFFAELLO: “RITRATTO DI BALDASSARRE CASTIGLIONE”

   Piergiorgio Fanti


I l ritratto, uno dei più apprezzati del Rinascimento, sontuoso, eppur sobrio, ritrae Baldassarre Castiglione, letterato e scrittore di origini lombarde.
La figura è immersa in una luce vibrante, ed è espressione di una personalità dal raro acume. Il ritratto del Castiglione arriva così a incarnare quell’ideale di perfezione estetica e spirituale della cortigianeria espressa nel suo celebre trattato, Il Cortegiano. Il ritratto fu eseguito quando il Castiglione, a Roma, incontrò Raffaello; ed è il risultato di un’eccezionale affinità spirituale e comunanza di ideali tra il soggetto e il pittore.
Il Castiglione dice di aver scritto Il Cortegiano in pochi giorni, quando era a Urbino, dove si raccoglieva allora la più raffinata tra le corti italiane. Scrisse il trattato per il quale è considerato uno degli scrittori più rappresentativi del Rinascimento italiano.
Il carattere e la portata de Il Cortegiano si possono ben valutare, ove si metta in rapporto con le opere di due grandi storici e moralisti fiorentini del medesimo secolo: il Machiavelli e il Guicciardini. Questi svelano il triste retroscena delle corti, il Castiglione ritrae le belle apparenze e la serenità olimpica della vita che si conduceva nei palazzi del tempo, con un equilibrio spirituale che costituisce il maggior interesse del libro.

EDITORIALE

  Fabio Tolomelli


N on è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello!”, diceva Nino Frassica, alias frate Antonino da Scasazza, nella trasmissione televisiva Quelli della Notte. Storpiava, nel suo modo surreale, un detto universalmente noto e in genere condiviso: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. In effetti l’aspetto soggettivo del gusto è molto importante. Se prendiamo ad esempio un’automobile, anche molto costosa, a me può piacere molto, a un’altra persona per niente. Per arrivare a un’argomentazione pertinente sul tema ci viene in soccorso un ramo della filosofia: l’estetica, appunto. Questo settore filosofico si occupa della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico. Il bello naturale è quello delle persone, degli animali, dei paesaggi. Quello artistico si riferisce alla letteratura, pittura, musica, scultura, ballo, recitazione, architettura eccetera. L’ultima branca riguarda la perfezione delle scienze. Storicamente i primi scritti sul bello e sul ‘sublime’ nell’arte risalgono agli antichi Greci e all’ellenismo; ma il termine ‘estetica’ in senso moderno viene usato per la prima volta da Alexander Gottlieb Baumgarten nel 1750, con la pubblicazione del libro Aesthetica. Il termine ha origine dalla parola greca αἴσθησις, che significa ‘sensazione’. Originariamente infatti l’estetica non è una parte a sé stante della filosofia, ma l’aspetto della conoscenza che riguarda l’uso dei sensi. La prima teorizzazione sistematica si deve a Immanuel Kant con la Critica della facoltà di giudizio (o Critica del giudizio) del 1790. Ciò che caratterizza la riflessione estetica moderna è il riconoscimento che l’arte e il bello sono nozioni individuali e storiche e in quanto tali fanno appello non all’intelletto e alle sue regole bensì al sentimento. Personalmente, la cosa che più mi piace del conosciuto è la Terra vista dallo spazio. Anche i paesaggi naturali incontaminati possono arrivare a togliermi il fiato; mi emozionano molto meno le bellezze artistiche e scientifiche. In generale tutte le cose dopo un po’ mi stancano, solo un oggetto non finisce mai di piacermi: la mia moto. Per quanto riguarda le persone, la bellezza di una donna può provocarmi forti emozioni che passano sotto i termini di ‘attrazione’, ‘infatuazione’, ‘invaghimento’. Tuttavia, in me dopo un certo periodo queste emozioni cessano e si traducono in sentimenti come l’innamoramento, l’amicizia e talvolta anche l’odio. Credo che oltre alla bellezza fisica, in una persona sia molto più importante quella che viene definita bellezza interiore: questa non finisce mai di stupire, è sempre viva, prorompente nella sua serenità e semplicità. Certo, mi piace curare il mio aspetto con decoro, ma cadere nel culto della propria figura è molto pericoloso. Invecchiando l’aspetto si deteriora e non ci si può fare nulla, se non orribili lifting e rifacimenti chirurgici che personalmente trovo patetici. Questo genera una ingestibile frustrazione, che porta forte sofferenza in chi vorrebbe essere sempre bello e giovanile; il carattere, invece, può arricchirsi e crescere sempre. Anche per il carattere però mi sento di dire che c’è... un’estetica soggettiva: c’è chi preferisce l’allegro, estroverso; c’è chi preferisce il mite, introverso. Tornando all’aspetto, spesso dietro una cura troppo meticolosa, o un po’ ossessiva si nasconde il bisogno di essere apprezzati, riconosciuti e stimati. È un bisogno fondamentale dell’uomo. L’uomo è “un animale sociale”, affermava Rousseau, e ha bisogno di essere inserito nel gruppo in cui vive. Però anche se l’aspetto ha una sua importanza, il ruolo sociale è maggiormente legato all’intelligenza e personalità dell’individuo, a differenza di come frequentemente si crede. Comunque sia, un individuo può integrarsi perfettamente e piacere molto in un contesto, e avere molto meno successo in un altro, anche se è sempre la stessa persona. Concludo che non esiste un bello o una bellezza universale, ma un gusto, per cui il bello naturale, artistico, o scientifico è del tutto personale... Al massimo ci sono gusti più condivisi di altri. Detto questo, basandomi sul mio infallibile buon gusto, vi do un consiglio: leggete il Faro, che è sempre nuovo, è sempre bello, anzi... che bello che bello che bello!

L’INAFFERRABILE CHE CI AFFERRA

   Antonio Marco Serra

Il sublime trascina gli ascoltatori non alla persuasione ma all’estasi,
perché ciò che è meraviglioso si accompagna sempre a un senso di smarrimento.
Pseudo-Longino – Del sublime (trad. Guidorizzi)

Una premessa: se vogliano parlare di estetica, dobbiamo dare per scontato che “non è bello ciò che piace, è bello ciò che è bello”. Se, in omaggio a un malinteso relativismo, mettiamo sullo stesso piano lo scarabocchio che vergo soprappensiero sul mio block-notes, mentre faccio una telefonata, con l’Annunciazione di Leonardo da Vinci, solo perché qualcuno potrebbe preferirlo ad essa, è ovvio che una disciplina come l’estetica non avrebbe ragione di esistere. Come pure sarebbe privo di senso qualunque intento di educare il senso artistico delle persone. E dunque, semplicemente, non ci sarebbe materia su cui scrivere. Ovviamente ciascuno è libero di apprezzare ciò che gli aggrada, ma occorre rendersi conto che il fatto che molti di noi, dopo 2.800 anni, continuino a leggere con ammirazione l’Iliade (e questa ammirazione, sia pur con alti e bassi, non è praticamente mai venuta meno), non è dovuto a qualche bizzarro capriccio del caso, ma a qualche proprietà oggettivamente insita nell’opera o, per meglio dire, a qualche proprietà che lega oggettivamente l’Iliade alla nostra psiche. E proprio di ciò l’estetica si occupa.
Come possiamo desumere dalla citazione iniziale (estratta da un trattato di un autore anonimo, vissuto presumibilmente nella prima metà del I sec. d.C.) sin dall’antichità si ipotizzava che l’opera d’arte agisse a livello profondo sull’animo umano, causando anche un senso di destabilizzazione dello stesso ed eventualmente una sua reintegrazione (Aristotele a proposito delle tragedie greche parlava della ‘catarsi’ che esse inducono nell’ascoltatore). In realtà bisognerebbe distinguere tra ciò che è abitualmente considerato ‘bello’, che è stato storicamente associato alla misura e all’armonia (“La misura è tutto”, stava scritto nel tempio dedicato ad Apollo a Delfi), e ciò che è abitualmente considerato ‘sublime’, spesso associato a un qualcosa di ‘perturbante’, a qualcosa che proprio per la sua bellezza eccessiva e travolgente, può indurre in noi sgomento. E d’ora innanzi mi concentrerei soprattutto su questo secondo aspetto.
Questa distinzione bello/sublime ha anche avuto recenti conferme sperimentali da parte delle neuroscienze. In un recente esperimento(1) alcuni scienziati hanno osservato, tramite la risonanza magnetica, il cervello di un gruppo di volontari che guardavano immagini abitualmente associate al bello o al sublime ed hanno determinato quale aree cerebrali venivano interessate (vedi figura). Senza scendere in particolari, segnalo due risultati dell’esperimento. Primo, le aree cerebrali connesse all’esperienza del bello e a quella del sublime, sono tra loro disgiunte; secondo, e per me più importante, le aree cerebrali interessate dalle esperienze del sublime non sono solo quelle relative all’emotività ma anche quelle relative alla cognitività. Semplificando: l’esperienza del sublime è (anche o prima di tutto) un’esperienza di conoscenza. Ma conoscenza di cosa?
Intermezzo ricreativo. È curioso notare come di chi sia un conoscitore d’arte si dica che ‘ha gusto’ (o buon gusto), non che ‘ha vista’ o che ‘ha udito’, come ci si potrebbe aspettare, visto che le opere d’arte, siano esse di letteratura, di musica o di arti figurative, si colgono attraverso questi due sensi). È come se si preferisse un senso che in una certa qual misura è più privato e personale, meno condivisibile con gli altri; e come se si volesse introiettare l’opera d’arte all’interno di chi la giudica. Tra l’altro il gusto è un senso che è molto difficile da educare: è sicuramente possibile con un’adeguata sensibilizzazione artistica far cogliere la bellezza del Messia di Haendel, o di una Pietà di Michelangelo, a chi prima non l’apprezzava; ma è molto più difficile far sì che ci venga a piacere un cibo che prima ci faceva schifo. Fine dell’intermezzo.
Per quel che ne sappiamo, l’indissolubile legame tra l’uomo e l’arte che produce o che fruisce, qualunque cosa essa possa rappresentare, è più o meno antico come la nostra specie stessa. Io non ho idea del motivo per cui un uomo, 32.000 anni fa, abbia dipinto su una stalattite della grotta di Chauvet, nell’Ardèche, una figura con la testa di un bisonte dallo sguardo allucinato, e con la parte inferiore del corpo di una donna corpulenta, con i genitali chiaramente evidenziati, il tutto inserito o sovrastato da un grosso felino (si veda la foto). Qualcuno parla di riti di fertilità o di riti per propiziare una caccia fruttuosa, ma non conosceremo mai la verità. Quello che so è che guardando il documentario di Werner Herzog Cave of forgotten dreams, sulla grotta di Chauvet, le cui pareti sono letteralmente ricoperte da centinaia di graffiti, l’effetto che l’insieme della caverna e delle pitture che la decorano hanno suscitato in me è stato quasi ipnotico. E probabilmente l’effetto sarebbe stato assai più pronunciato, se avessi visto il tutto dal vero, alla luce di torce improvvisate, anziché dei potenti fari necessari per le riprese.
Ovviamente non so se anche gli uomini che frequentarono quella grotta, al momento i cui i graffiti vennero dipinti, provassero un sentimento analogo, ma mi piace pensare di sì. Ma se anche ciò non fosse, quest’esempio metterebbe in luce una ‘proprietà’ che a me sembra comune a tutte le autentiche opere d’arte, la capacità di riattualizzarsi nelle varie epoche storiche: quello che Achille o Agamennone, Elena o Cassandra hanno da dirci (o meglio: “hanno da farci”, come spiegherò tra breve) può essere diverso da quello che avevano da dire a dei contemporanei di Omero, eppure sembrano avere una parola anche per noi. I personaggi delle autentiche opere d’arte non sono mai afoni.
L’autore del trattato Del sublime, di cui sopra, parla, a proposito dell’opera d’arte, de “l’inafferrabile che ci afferra”, io, analogamente, parlerei “dell’indicibile che ci viene detto”.
Lungi da me l’idea di voler riassumere in poche parole quelli che potrebbero essere gli scopi dell’espressione artistica; presumibilmente ne esistono tanti, e tutti egualmente validi. Più modestamente mi piace evidenziare un aspetto che mi sta particolarmente a cuore. Noi esseri umani siamo abitualmente assai ‘pigri’; nel senso che la nostra psiche si modifica in continuazione, non passa giorno che nel nostro cervello non vengano attivate migliaia di nuove connessioni sinaptiche, eppure spesso restiamo legati ad opinioni, concezioni o mentalità elaborate molto tempo prima. È un po’ come se io, in una costruzione, iniziassi a spostare, poco alla volta, le fondamenta, lasciando però inalterato l’edificio soprastante: è ovvio che questo diverrebbe sempre più instabile e pericolante. Fuor di metafora, tra ciò che effettivamente siamo, e ciò che crediamo o ci sforziamo di essere, viene ad esistere uno scarto sempre più pronunciato. E ciò ci causa un senso di inadeguatezza che, il più delle volte, ci provoca un senso di disagio, se non addirittura di sofferenza, di cui però noi non siamo solitamente in grado di comprendere i motivi. Ebbene, a me sembra che una delle potenzialità delle grandi opere artistiche sia quella di far affiorare per vie misteriose ed in maniera ineludibile questo scarto e, così facendo, di renderci impossibile convivere con esso. Ed ecco che posso allora rispondere alla domanda che mi ponevo prima: la contemplazione del sublime ci porta a una più autentica conoscenza di noi stessi. Porta alla dissoluzione di ciò che credevamo di essere, di qui il senso di sgomento, ma non si tratta di un cupio dissolvi, perché ci traghetta anche verso ciò che siamo diventati. Distrugge senza pietà il nostro mondo mentale, ma facendone venire alla luce uno nuovo e più adeguato. E tutto ciò ci aiuta anche a capire quanto importanti siamo gli uni per gli altri, perché, in questo tragitto, in questa catastrofe mentale, che sembrerebbe quanto di più personale si possa concepire, non siamo stati soli, giacché un’opera d’arte, che è il frutto di un Io diverso dal nostro, vissuto magari in tempi lontani, ci ha preso per mano, aiutandoci a portarlo a termine. Un’empatia che addirittura attraversa i secoli e i millenni rendendoci coscienti di essere partecipi di un’unica umanità.
E chissà se forse i miti di morte e rigenerazione presenti agli albori di moltissime culture, che solitamente leggiamo come metafore del ciclo delle stagioni o del tramontare e del sorgere del sole, o come riti che esorcizzano la nostra paura della morte, promettendoci una rinascita futura, non possano invece essere riferiti a qualcosa di assai più privato e vicino: alla nostra personale esperienza intima di dissoluzione (di una vecchia modalità di pensiero) e rinascita (ad una nuova modalità di pensiero).

(1) Tomohiro Ishizu e Semir Zeki - “A neurobiological enquiry into the origins of our experience of the sublime and beautiful”, Frontiers in Human Neuroscience, nov. 2014 [Zeki è considerato il padre fondatore della Neuroestetica. (n.d.a.)]
IL MIO PENSIERO

   Marco


L ’estetica dipende dalla zona dell’Italia o in generale del mondo in cui ci si trova, quindi possiamo definirla una funzione dello spazio. L’estetica dipende anche dal periodo culturale in cui ci si trova, cioè essa è anche una funzione del tempo.
Inoltre dipende dal contesto in cui il soggetto dà un giudizio estetico, cioè il tipo di persone che hanno influenzato il soggetto, le vicissitudini da lui subite. La scienza moderna afferma che la genetica influisce sulle percezioni dell’individuo, quindi c’è anche quest’ultima variabile.
L’altro aspetto dell’estetica è che tutti ne possono parlare, ma alla fine della discussione ogni persona coinvolta di norma mantiene la sua idea. La mia personale idea d’estetica (che viene dal greco ‘sensazione’) è una sintesi delle varie anime che albergano in un uomo, che fanno stare bene l’uomo negli ambienti che frequenta e quando è solo con se stesso.



SENSAZIONI

   Stefy


La parola estetica significa sensazione e sono proprio le sensazioni che ci fanno vedere la bellezza delle cose! Sono le sensazioni, quelle che nascono dal profondo di noi, che ci fan vedere la bellezza nella bruttezza, la ragione nella sragionevolezza, l’equilibrio nello squilibrio, l’armonia nella disarmonia eccetera... L’importante è saper percepire questa sensazione, che da dentro di noi ci parla e ci fa trovare quello che a prima vista non vediamo! Le sensazioni nascono dal profondo di noi per poi risalire e uscire allo scoperto sulla nostra pelle. E così questa sensazione è capace di farci venire i brividi di fronte anche a una cosa brutta e lasciarci indifferenti di fronte alla bellezza più pura. È questa sensazione, quella che non ci lascia indifferenti, che ci fa dire se una cosa è bella o brutta. Quindi si può dire che non esistono canoni di bellezza, ma solo modi diversi di percepire sensazioni, che siano gioiose o tristi, e dall’importanza che vi si dà. Chi è più sensibile ne viene più volte colpito e non rimane indifferente. E da lì nascono i famosi ‘brividi a pelle’, quelli che non ti vanno via neanche con il maglione di lana più pesante, e che si rinnovano ad ogni incontro, che ti fanno accettare di fare cose assurde, che vanno contro i tuoi interessi, che… sai benissimo che l’altro sta usando questa sensazione che provi per i suoi interessi, e tu lotti con il tuo io e con questa sensazione, per essere coerente con i tuoi interessi… Ma cosa è che ci fa vivere seguendo questa sensazione? È forse la parte del nostro io dove risiede la nostra leggerezza dell’essere, che ci fa inseguire questa sensazione provocata dall’estetica? Ma se poi si pensa che vivere è un susseguirsi di emozioni e sensazioni e che se non le provassimo saremmo solo dei sopravviventi, allora l’estetica fa parte della vita e ne abbiamo bisogno.
P.S. se è vero che la parola ‘estetica’ significa sensazione allora i miei scritti sono esteticamente completi, perché sono le mie sensazioni, quelle che provo; né studiate, né ragionate, ma provate sul momento!

PROVERBI

    Luigi Zen pass


Non tutti i fratelli vengono per nuocere.
Non tutti i fratelli vengono per cuocere.
Fratello parente di coltello.




FREDDURA

   Luigi Zen pass


Com'è che sei arrivato in ritardo?
Perché non vedevo l'ora.

COME CI CONDIZIONA L’ESTETICA

   Lucia


Imiei gatti (attualmente cinque, più quattro dei vicini e due di passaggio) sono grandi cacciatori, come naturalmente si confà ai felini, anche se supernutriti a suon di croccantini. Perciò con mio gran disappunto fanno strage di bestiole e mi portano le prede in casa, convinti di meritare i miei elogi. Questo mi ha dato l’opportunità di fare una riflessione su quanto ci condiziona l’estetica. Se trovo sulla soglia il cadavere di un ratto o di una biscia, mi viene spontaneo un moto di disgusto, anche se mitigato da un po’ di pena; se a finire nelle grinfie dei gatti è un animaletto tipo un sorcio o una lucertola, mi impietosisco un po’ di più; molto diversa è la mia reazione se viene ucciso un pettirosso o uno scoiattolo. Lo strazio di creaturine così graziose mi provoca un dispiacere più intenso: oltre alla distruzione di una vita, evidentemente mi urta la distruzione della bellezza. Capisco che non è sensato avere più pietà per un pettirosso che per un piccolo merlo nero, più per uno scoiattolo che per un topolino, ma così mi accade. C’è dunque qualcosa nella bellezza (e nel suo contrario) che scatena reazioni irrazionali?
Tornando ai miei gatti, sono tutti felinamente belli: eleganti nel portamento, accattivanti nei modi, e naturalmente morbidi morbidi. Ho sempre amato i gatti e a ciascuno riconosco la dovuta quantità di coccole e cure, cercando di non fare preferenze. Certo, però… gli incantevoli occhi blu della siamesina riescono a farmi dimenticare il suo caratterino scorbutico, la soffice livrea della tigrotta ornata da candide ghette e pettorina attira carezze anche se lei non le gradisce più di tanto, la tavolozza di colori sulle forme alla Botero della miciona mamma mette allegria, il costume da suorina della silvestrina fa tenerezza… il maschietto, invece, non sarebbe niente di speciale, col suo manto ruvidino e banalmente a chiazze bianche e grigie, lo salva giusto la macchietta su metà del naso, che gli dà un tocco di originalità. Dunque lo trovo meno bello degli altri… Che se ne sia accorto? Guarda caso, lui mi ama alla follia. Anche adesso è qui che ronfa acciambellato fra il modem e il computer. Morale: se la bellezza è un po’ carente, occorre darsi da fare un po’ di più…
In ambito umano, le cose si complicano.
Penso che sia abbastanza probabile che le persone di bell’aspetto siano istintivamente e irrazionalmente preferite e quindi trattate con favore rispetto a quelle che non hanno avuto questo dono. Per qualcuno lo sforzo di piacere agli altri, anzi, di compiacerli fino al sacrificio di sé, può diventare un tratto patologico della personalità.
Di fronte al fascino della bellezza, poi, può instaurarsi un sentimento potente e rovinoso, l’invidia. Forse proprio perché si tende a considerare chi è bello un privilegiato, non è improbabile che sotto sotto gli si voglia male. Da qui nascono comportamenti tesi a mortificare la persona che spicca per le sue doti naturali e pur senza intenzione umilia la mediocrità altrui.
Il sentimento più pericoloso, però, è la gelosia. Dall’ammirazione nasce il desiderio di possesso e da questo la tendenza a vedere la persona come un oggetto da tenere solo per sé, da consumare. Penso alle varie forme di molestia a sfondo sessuale o addirittura di violenza a cui può essere sottoposta una persona proprio a causa della sua avvenenza. E dalla frustrazione può nascere la pulsione a sporcare, sfregiare, brutalizzare… Se non possiamo possedere l’oggetto del desiderio, possiamo arrivare a preferirne la distruzione.
Non è detto, insomma, che essere belli sia sempre vantaggioso.

LA POESÌ DI GÂT

   Luigi Zen pass


Quand la mästra la s’ gira
pr arspàndar a qui chi han dmandè quel,
chi èter i s’ préllen d’arpiàt
par dir i su fatt
ai su cumpagn ed scrana.
Propi cumpagn i gât
che quand te t’arspànd al telefon
i sèlten in vatta al tavel d’arpiàt,
par magnèr al mègher
in tal piat.

L’ESTETICA E LO ZEN

   Luigi Zen pass


L ’estetica deriva da due parole greche che vogliono dire sensazione e trascendentale, che io traduco, per motivi zen, una conseguenza di un disordine anormale (anche mentale) che potrebbe urtare noi e gli altri, attraverso la percezione dei sensi, per cui possono essere infinite le applicazioni nel mondo materiale; è comunque qualcosa che manca e che noi aggiungiamo e ordiniamo per ottenere una diversa sensazione, possibilmente più gradevole. Un esempio, oltre a quelli da me descritti nell’articolo di UmanaMente: se si cuoce qualcosa e viene ben cotto è estetica, se viene bruciato è mancanza di estetica. Un esempio estremo è la decorazione del defunto che viene preparato in un modo tale da togliere i segni e le tracce che aveva nel volto o nel corpo delle sofferenze prima di morire per malattia o incidente. Un esempio rapido di estetica è quello di un’automobile lavata, da sporca e infangata che era prima.
E se fosse un esempio trascendentale immagino che un pensiero religioso, che è invisibile, non abbia estetica, ma rendendo il concetto in parole attraverso un linguaggio estetico o, per esempio, un dipinto con angeli o altre forme divine materializzate in forme estetiche, attraverso i loro dipinti o attraverso altre forme d’arte. Anche l’amore è trascendentale, poiché è un pensiero invisibile, allora si materializza con espressioni che lo rappresentano, come le rose o i fiori; e chiudo.
Se si mangia in bianco è meno estetico che mangiare a colori.

LA BELLEZZA NON RISPECCHIA L’INTERIORE

   Lucia Monaco


L a bellezza. Cos’è la bellezza? Un alimento, un bel dolce che si mangia? Un bell’uomo con una bella moto da cross, una bella donna in bicicletta… La bellezza… Come si usa dire al mio paese, quando ti innamori anche l’occhio vuole la sua parte. Be’, io ne ho avute di storie con uomini belli, ma belli belli fuori, e brutti brutti dentro. Per me conta di più… non importano le prime impressioni di quando conosci una persona, oppure di quando acquisti un oggetto, che poi ti accorgi che l’acquisto che hai fatto è stata una bella fregatura. Così è per le persone, noi esseri umani, bisogna scoprire, conoscersi, prima di dirsi “quanto è bello!”. La bellezza interiore è molto più importante, per me, di quella esteriore. Sì, sì, per carità, l’occhio è verissimo che vuole la sua parte, ma io ho ricevuto molte delusioni, e non solo nella vita sentimentale, ma con parecchie conoscenze che esteriormente, nel primo approccio e anche col passar degli anni, sembravano angeli, ma poi… la grande delusione: questi che credevi angeli, invece delle ali per poter volare nell’immensità infinita di comunicazione morale e vissuto di vita… ti rendi conto che devi scappare via a gambe lunghe e distese, perché invece di ali per volare sono spuntate le corna: l’invidia, la forza per colpirti ben bene alle spalle.

GRAZIE PAPÀ E MAMMA

   Concetta


I lettori e le lettrici, aficionados del Faro, avranno potuto riscontrare la discontinuità della sottoscritta nella scrittura di elaborati da inserire nella rivista. Il motivo? Se l’argomento da sviluppare non è fonte di ispirazione, o meglio se non riesce a far risuonare le mie corde interiori, mai e poi mai mi riuscirebbe di produrre qualcosa che rientri nei limiti della decenza. L’estetica è un tema al quale, pur volendo, non riuscirei a sottarmi, essendo per me un aspetto importantissimo, parte integrante del mio modo di essere. Tra i ricordi, anche quelli più remoti, sovente tornano alla mia mente i frequenti litigi con mia madre, che stanca delle critiche dei paesani, che mal sopportavano le mie mise troppo all’avanguardia, provocatorie e veramente strane per quel contesto, mi minacciava e a volte mi impediva di uscire di casa. Col senno di poi, penso che queste persone non avessero tutti i torti, soprattutto se si tiene conto che si sta parlando di circa quarantacinque anni fa e di Rosciolo, minuscolo paese di montagna dell’entroterra abruzzese, in provincia dell’Aquila, con un’economia basata essenzialmente sull’agricoltura e sulla pastorizia. Successivamente, col passar degli anni ed il mio trasferimento in città, le cose sono nettamente migliorate, nel senso che le critiche sono andate via via scemando, il mio look eziandio ha iniziato a raccogliere consensi, approvazione e gran complimenti, sia per il gusto legato all’accostamento dei colori, sia per il taglio degli abiti, per nulla assimilabile alla moda corrente del periodo: non ho mai voluto essere, né mi sono mai sentita ‘massa’. Se si può parlare di ereditarietà in questo ambito, posso senza ombra di dubbio asserire che il buon gusto è uno di quei doni che mia madre, ma soprattutto papà, mi hanno fatto. Papà Nando, sarto raffinatissimo, uomo di gran classe ed eleganza, nel corso della sua vita, ha sempre indossato completi o spezzati comprensivi di gilet, camicia, cravatta e calzini in tinta; nel suo armadio sono sempre stati banditi i capi sportivi e/o casual. L’altra cosa di cui sono grata ai miei genitori è la capacità di saper rimettere a modello gli abiti, per renderli più giusti e adatti alle mie caratteristiche fisiche. Gli indumenti vintage, acquistati in negozio o nelle bancarelle dei mercatini dell’usato, una volta modificati, armata di ago e filo li cucio tassativamente a mano. Oggi più che mai, sono convinta, che non occorra fare spese pazze, né acquistare capi firmati di gran pregio per raggiungere buoni livelli estetici e di eleganza, ma saper valorizzare, ad esempio, un semplice abito con i giusti accessori: occhiali, sciarpe, foulard, orecchini, cappelli...



LA PROPRIA IMMAGINE

   Francesca

L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza
la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! …
La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza.
Fëdor Dostoevskij

L’estetica la si può intendere anche per come ci si presenta e propone agli altri. Chi ha cura del proprio corpo e vestiario, e chi meno. È così almeno che io penso. Il porsi in modo gradevole e adeguato è un buon biglietto da visita. Per esempio presentarsi al lavoro vestiti in modo ‘dignitoso’, per così dire, aiuta e quindi influenza positivamente la relazione con gli altri, oltre che col datore di lavoro a cui è bene far una buona impressione perché possa accettarti e infine assumerti, che stringendo è lo scopo da raggiungere. Ma c’è anche chi esagera con l’estetica, portandola a degli estremi assurdi che rasentano il ridicolo oltre che il cattivo gusto. Mi riferisco non solo al vestiario, piercing vari e tatuaggi, ma anche a chi sceglie la strada della chirurgia plastica per ringiovanire, che spesso ha risultati a dir poco disastrosi, perché cambia i lineamenti del viso peggiorandoli e trasformando in mostri coloro che vi si sottopongono, oltre al fatto che questi interventi possono essere molto dannosi per la salute. Non è detto che chi cura il proprio aspetto fisico curi altrettanto quello interiore, attraverso la cultura varia, il vissuto più o meno intenso dell’individuo nell’arco della sua vita, e il DNA (nel senso che è innato) che contribuiscono a sviluppare un bagaglio interiore più o meno ricco. E così pure una persona ricca interiormente non è detto che curi troppo la sua immagine, ossia il proprio lato esteriore, perché probabilmente è già così soddisfatta di sé e della sua personalità da non sentirne la necessità. Secondo me, la bellezza interiore di una persona è inevitabile che la si veda anche da fuori, perché si riflette all’esterno attraverso il modo di fare e agire con gli altri. Chi è bello dentro lo è anche fuori, a mio giudizio. Per esempio persone non belle esteticamente, ma interiormente sì, conoscendole a fondo, diventano persino belle ai nostri occhi. Essere sé stessi, ossia rimanere persone vere e pure, è un’altra grande dote che rende bella e speciale una persona, visto che non la si trova così facilmente.
La purezza e la sincerità oltre che l’umiltà, la semplicità, l’onestà, la bontà d’animo unite alla sensibilità e all’intelligenza e tanto altro rappresentano un aspetto estremamente importante , bello e interessante dell’individuo: lo portano a raggiungere una certa armonia con sé stesso e con gli altri e ne fanno una bellissima persona. Chi ostenta troppo è perché non si sente abbastanza gratificato dal proprio mondo interiore e dalla propria spiritualità. Si tratta di persone probabilmente superficiali e aride nel loro io, che allora cercano conferme e attenzioni all’esterno, curando eccessivamente la propria immagine, spesso, per nascondere un vuoto interiore o un’insicurezza e penso che, di fondo, costoro non si piacciono né si apprezzano abbastanza, altrimenti non avrebbero bisogno di richiamare l’attenzione degli altri su di sé. Ovviamente non è sempre così, perché questo può anche essere un modo per esprimere meglio la propria personalità e del resto bisogna piacere prima di tutto a sé stessi, così come bisogna piacersi per come ci si veste. Si dice che la bellezza sta negli occhi di chi guarda le cose e il mondo. Chi ha un certo gusto e il senso della bellezza in generale, apprezza tutto ciò che è bello e armonioso, come la buona musica, un bel quadro, quindi l’arte, dei bei paesaggi o un bel viso, e tanto altro che sta nel mondo che lo circonda, perché ha già in sé una grande armonia interiore, intesa come ricchezza di animo e spirito che lo rende più sensibile e attento a tutto ciò che è bello, perché il suo mondo interiore lo è, rispecchiandosi anche all’esterno. Lui riconosce in ciò che lo circonda, la parte più bella, proprio perché appartiene al suo animo e si identifica con essa. Un viso bello (secondo i canoni classici) ma che non esprime nulla, a me, per esempio non interessa e non piace, perché dietro non c’è uno spessore emotivo, ma solo un vuoto. Quindi bello non è, secondo il mio personalissimo gusto e parere. In pratica e concludendo, la bellezza interna si riflette e ci fa riconoscere il bello che ci circonda, perché in esso ci riconosciamo e rispecchiamo. Questo è il mio personale concetto di bellezza.

UN BINOMIO DIFFICILE BELLEZZA E MALATTIA

   Lucia


Tutti sappiamo quanto è bello aver la ‘faccia della salute’. Eppure non è possibile essere sempre belli e pimpanti, la vita è un cammino (si spera lungo, ma non si sa) irto di ostacoli. L’esperienza della malattia è anche esperienza di decadimento fisico: colorito che si appanna, occhiaie scure, capelli che cadono, tono muscolare che vien meno… insomma bellezza che sfiorisce. E anche se si guarirà, non è detto che si torni belli come prima, perché certe malattie lasciano deformazioni e segni permanenti. Persino le cure, indispensabili per recuperare la salute o almeno per evitare il peggio, possono contribuire a distruggere la bellezza. Penso alle amputazioni, alle cicatrici chirurgiche, agli effetti collaterali della chemioterapia e di tanti farmaci… Non è facile accettare di vedere il proprio fisico deturpato. Oggi, molto più che in passato, si tiene conto anche di questo. Si è capito, insomma, che limitare il più possibile i danni estetici e fare magari anche un po’ di cura di bellezza può contribuire a rinforzare l’attaccamento alla vita e a tener su l’umore della persona colpita dalla malattia (e di chi le sta attorno). Trovo che sia una conquista importante.
Così come mi sembra utile e opportuno curare molto l’aspetto e l’abbigliamento per mitigare (non mascherare) l’impatto visivo degli handicap fisici: una buona impressione iniziale aiuta, suscita simpatia, procura amicizia.
Da ultimo vengo al problema degli interventi effettuati non per motivi di salute o per eliminare inestetismi pregiudizievoli, ma solo per accontentare lo smodato desiderio di apparire più giovani, belli e sexy. Va be’, correggere un difettuccio congenito, limitare un po’ i segni del tempo… sono cose che, se vogliamo, possono anche dare un’iniezione di ottimismo, ma non bisogna esagerare! Nel mondo dello spettacolo e della moda, ma non solo, capita sempre più spesso di vedere autentici scempi dovuti a interventi massicci e ripetitivi sul viso e sul corpo. Secondo me i medici che per denaro si prestano a questi eccessi andrebbero radiati dall’ordine: primum non nocere (prima di tutto non far danno), anche se è l’interessato che te lo chiede!

SIGNORE, LA MALATTIA…

   preghiera inviataci da Armando C.


S ignore, la malattia ha bussato alla porta della mia vita, mi ha sradicato dal mio lavoro e mi ha trapiantato in un ‘altro mondo’, il mondo dei malati. Un’esperienza dura, Signore, una realtà difficile da accettare. Eppure, Signore, ti ringrazio proprio per questa malattia: mi ha fatto toccare con mano la fragilità e la precarietà della vita, mi ha liberato da tante illusioni. Ora guardo tutto con occhi diversi: quello che ho e che sono non mi appartiene, è un tuo dono. Ho scoperto che cosa vuol dire ‘dipendere’, aver bisogno di tutto e di tutti, non poter far nulla da solo. Ho provato la solitudine, l’angoscia, la disperazione, ma anche l’affetto, l’amore, l’amicizia di tante persone. Signore, anche se mi è difficile, ti dico: “Sia fatta la tua volontà”. Ti prego, benedici tutte le persone che mi assistono e soffrono con me. E se vuoi, dona la guarigione a me e agli altri.



Come una stella

   Mariangela


Bella dal sol baciata
come una stella brilli,
luce per i miei occhi
musica dolce e suoni,
fulgido il tuo sorriso
candide le tue mani,
rosse son le tue labbra
sposa per me agognata.

Quo vadis?

   Matteo Bosinelli


"Il futuro è buono"
disse allora il Saggio Esperto
all'incredulo uomo.

Trascorse tempo molto, molto incerto
e stagione su stagione.
Ma alla fine si capì
che il Saggio Esperto aveva ragione.

Sei bella, sei bellissima

   Paola Scatola


Sei bella, sei bellissima,
sei bella, sei fantastica.
Truccata così mi piaci molto
e sei mia.

Vado via dalla tua bellezza,
me ne vado dai tuoi occhi
d’amianto truccati a quel modo.
Sei bella e torni da me.

Sono tua e godo della tua bellezza,
godo delle tue labbra rosse così
bella da brivido.

15 Luglio

   Raffaele


Un compleanno divenuto banale
che vorrei si perdesse
senza rumore
nel buio del tempo.
Non c'è luce sulla mia strada
senza il tuo sorriso
ed inciampo ad ogni passo.
Non è giusto
ma non si sovverte
una legge eterna.
Rimane soltanto
ma è troppo poco
la speranza di ricominciare.
Ma quando?
Il tempo ha cancellato le mie orme
ed allora mi chiedo se esisto ancora
almeno nella memoria di qualcuno.
Compleanno senza candeline
ed allora sono felice
delle mie lacrime d'amore.

A Rita

   Raffaele


Nell’autunno della mia memoria
ho perduto i ricordi dei tuoi vent’anni
bruciati all’improvviso
in una notte di stelle.
Non vale interrogarsi
e chiedere al tempo
di restituirmi
oggi o domani
quel che mi è stato rubato;
non vale chiedere
con angoscia
che torni a splendere il sole.
Ricordo soltanto l’inguaribile ferita
che in una notte di stelle
mi trapassò l’anima.
Ricordo soltanto il silenzio atroce
di quella strada
che a tradimento t’aveva ingoiata.

Bella

   Loopa Sonivree


Sei bella
molto avvenente
la tua bellezza illumina
tutta la stanza...
Mi volto
e ti guardo,
non ti preoccupi
del giudizio degli altri,
ti diverti
e passi
ogni momento
con grande gioia!
Ti guardi intorno
l'aspetto può contare molto,
tu non ci fai caso,
vai avanti per la tua strada,
senza odio per gli altri,
con grande amore
da donare a tutti.
Sei una luce che illumina
il mondo che ti circonda...

L’urlo dell’artista

   Marcella Colaci (da "Poetica vitale a colori")


La passeggiata si fa tortuosa
inciampo,
rotolo giù, poi risalgo,
stando attenta alle sfumature
degli sguardi sconosciuti
mentre mi lancio
a raccogliere rami.
Il cuore si spezza,
forte l’urlo s’alza
di dolore.
Non muore,
ma ecco immenso vibrare
l’artista.

Follie passate
non tornate più,
dolori immondi
diventate spuma di mare,
antica credenza pronta all’uso
per convincermi di me
che l’urlo è sano
che l’urlo è silenzio
che l’urlo mio
è il vostro antenato.

Sano per fermare
Silenzio per ascoltare
Antenato per colmare.

Urlo di artista serio.

Impavido guerriero
umile al canto,
urla affranto,
spezzato.

Tramonto

   Matteo Bosinelli (1979)


Ultimo
messaggio
disperato
che si offusca nella notte.

Raggi celesti
tendono
verso di noi:
"Non addormentatevi, uomini!"

Sepolti
misteri
hanno abbagliato i nostri occhi,
per poi ricadere
nel nulla.

Oh… L’Arte

   Marcella Colaci (da "Poetica vitale a colori")


Un ‘Ricciolo di donna’
aggrovigliato ammasso nero
di fil di ferro.
E verso l’alto va quel ricciolo,
l’Arte ha da fare!
Poi l’‘Uccello nello spazio’,
snello pennino dorato,
mi compiaccio che sia nato,
avrà sfamato?
La Grande Mela ha battuto
all’asta 27.460.000 dollari
e da qualche parte
si muore di fame… Oh, l’Arte!

Il mio ordine

   Daniela Mariotti


Il mio ordine:
gentilezza, tenerezza, dolcezza e lux,
se volete scrivete il vostro;
qui l'Estetica è un'istituzione,
non esiste la parola severità, crudeltà.
Quando la curiosità viene meno
la poesia si innalza con la sua luce,
anche quando il cielo si fa luminoso
della sua giovane alba
della sua giovane vita, che è rimasta
come segno di luce della sua anima.
Estetica: fa luce a noi, poveri umani.

Sull’estetica

   Paola Scatola


Se son bello mi tirano le pietre,
se son brutto mi tirano le pietre.
Cosa è bello ?
Cosa è brutto?

Sono bella o sono brutta,
me lo devi dire tu.
Mi guardi e mi dici:
“Oggi sei in ordine”.
E io ti rispondo:
“Bisognerebbe esserlo anche dentro”.




IL RITRATTO DI DORIAN GRAY di Oscar Wilde (1890)

H o scelto questo romanzo di Oscar Wilde perché secondo me Dorian Gray, il protagonista di questo libro, è l’esteta per antonomasia. Dorian Gray fa della sua bellezza un rito insano. Egli si rende conto del suo fascino quando Basil Hallward pittore suo amico gli regala un ritratto. Mentre Basil gli fa il ritratto, Dorian conosce un suo amico, Lord Henry Wotton. Dopo un lungo discorso con quest’ultimo Dorian prova invidia per il suo stesso ritratto, ciò lo porta a stipulare una specie di ‘patto col demonio’, che consiste nel fatto che il quadro invecchi e si imbruttisca al posto suo. Nella sua vita Dorian si innamora di un’attrice, Sybil Vane, che si suicida perché lui la vuole lasciare. Dopo questo fatto, vedendo che la figura nel quadro assume smorfie spaventose tutte le volte che lui commette un atto feroce e ingiusto, come se fosse la rappresentazione della sua coscienza, Dorian nasconde il quadro in soffitta e si dà a una vita piena di piaceri, sempre convinto che il quadro si imbruttisca e invecchi al posto suo. Non rivela a nessuno l’esistenza del quadro, tranne al pittore Basil Hallward, che poi uccide a causa delle sue critiche e perché lo ritiene responsabile dei suoi mali, in quanto autore del ritratto. Dopo di ciò, ogni tanto si reca in soffitta a controllare il suo ritratto e un giorno, preso dai rimorsi, lacera il quadro con lo stesso coltello usato per uccidere Hallward. Dorian Gray viene trovato morto con un pugnale conficcato nel cuore, irriconoscibile, con ai suoi piedi il ritratto, ritornato meravigliosamente giovane e bello come quando era stato dipinto.
I personaggi di questo libro sono tutti interessanti, ma quello che mi ha colpito di più è lord Wotton, perché si esprime per aforismi e, per usare le stesse parole con cui l’autore lo descrive all’interno del romanzo, “sembra aver riassunto il mondo in una frase”. È un personaggio talmente forte che sembra il protagonista.
È descritto molto bene anche l’ambiente in cui si svolge il romanzo, cioè la Londra vittoriana del XIX secolo, che all’epoca era pervasa da una mentalità tipicamente borghese. Consiglio la lettura perché la trama è originale.

LO SPOSALIZIO DI MARIA

   Edoardo Bellanca


Avevo visto altre volte questo quadro di Raffaello Sanzio nel corso della mia vita… lo trovavo bello, ben pitturato… e finiva tutto qui. L’altro giorno ho sfogliato alcuni libri di pittura, dato che il prossimo argomento del Faro è “l’estetica”, e quando ho rivisto questo dipinto, subito il mio sguardo è stato attirato da una figura in primo piano, di un giovane che sta cercando di rompere una verga. Non ci avevo mai fatto caso! Quella figura, in un quadro dedicato al matrimonio della Vergine, mi risultava stonata, non era nascosta, ma in primo piano. Capivo che, se Raffaello l’aveva così messa in evidenza, una ragione doveva pur esserci. Intanto in me un effetto immediato lo fece: entrare più profondamente nel quadro.

LO SFOGATOIO

Un mondo vivo dentro di me

Ieri sera sono andata all’incontro del gruppo a.m.a. “Per un linguaggio comune”. Parlando un po’ di noi, mi sono resa conto della forza che ho dentro e che metto nelle cose che sono convinta di volere.
Frequento già il gruppo “Spazio e Amicizia” del venerdì, il laboratorio di scrittura creativa, e ora questo gruppo “Per un linguaggio comune” e non ho intenzione di limitare a ciò le mie iniziative. Seguo anche il progetto i.p.s. per vedere di trovare un lavoro adeguato a me, e la mia psichiatra sta pensando anche a un corso ESP per me, visto il mio carattere capace di comprensione, di mettermi nei panni degli altri. Tutto ciò mi fa piacere, perché significa che dentro di me c’è un mondo che ancora vive e che vuole uscire, anche la mia sensibilità (anche se è difficile spiegare i suoi limiti quasi infiniti). Questo dimostra che al mio CSM hanno sempre sbagliato a giudicarmi. Questa è un po’ la mia rivincita ma soprattutto la mia rinascita come persona. Questa mia capacità di ridere, piangere e offendermi con niente significa che ho ancora una cosa importante che fa di me un essere umano: il cuore e l’anima. Non importa se non ho grandi doti, ma avere quelle due cose lì mi rende già eccezionale, perché in una società come quella in cui viviamo sono cose rare. E così prendo la forza che trovo quotidianamente dentro di me e continuo il mio cammino verso un orizzonte che non è un tramonto, ma un’alba, un nuovo inizio per una come me!

Stefy





Un pessimo cocktail

Era un periodo che per motivi famigliari dormivo poco e non avendo tirocini formativi (benché richiesti più volte) avevo la giornata libera e volevo dormire nel pomeriggio. Sono andato al CSM per ottenere la prescrizione di un calmante-sonnifero; non c'era il mio medico di riferimento, ma la dottoressa di turno mi fatto fare un contenitore di soluzione fisiologica con il 2 % En. Io ho detto che tale farmaco su di me non ha effetto (me lo avevano dato tempo fa in una situazione simile) ma le mie parole sono state inascoltate e mi hanno detto di tornare a casa. Giunto a casa, per dormire ho preso un cocktail di dieci Flunox, una quantità imprecisata (versata in un bicchiere) di Trittico e un Lexotan. Per fortuna giungeva la telefonata di una mia amica che mi chiamava per sapere come stava mia madre. Le ho raccontato il fatto e lei mi detto di chiamare il CSM. L’operatore è venuto con un’ambulanza (tanto valeva che quando l’ho chiesto mi avesse dato un calmante più forte e poi mi avesse accompagnato a casa) che mi ha portato al Maggiore in codice giallo. Al pronto soccorso mi hanno prelevato il sangue e fatto una flebo di soluzione fisiologica per urinare; finita la flebo (con lo stupore dell’infermiere e di un altro medico che passava per l'ambulatorio) non mi hanno fatto la lavanda gastrica, né somministrato il carbone per assorbire le sostanze tossiche, ma mi hanno spedito a casa. Non riuscendo ad urinare correttamente nella giornata di venerdì, sabato sono tornato in PS dove mi hanno dato il codice verde e mi hanno detto che le sostanze erano ormai in circolo. Per farmi urinare mi hanno fatto tre sacche di soluzione fisiologica poi, dato l'esito negativo, mi hanno messo un catetere. Dopo circa quaranta minuti mi hanno dato la scelta di passare sabato e domenica al PS in attesa di un urologo che sarebbe venuto lunedì, o di andare a casa e prenotare una visita dall’urologo, cosa che ho scelto. Martedì sono andato dall’urologo, che mi ha prescritto un cura di trenta giorni. Visto che si parla tanto di un centro unico per gestire le emergenze, forse sarebbe l'ora di farlo. E di dare i tirocini formativi.

M.





Tenersi su

Mi dite di tenermi su, ma come faccio se a volte quello che sono non mi basta e mi tiene su solo un filo di pensiero che mi serve per non cadere nel fuoco e bruciarmi! Sono una piccola stella senza cielo, che corre da una parte all'altra per trovare il suo posto nella vita. Ma cosa vuoi che sia questo tempo, passa tutto quanto! Anche questo mio tempo di indecisione sulla vita che vivo (o sopravvivo) e su quella che sono… Quando questo tempo passerà, quando avrò trovato il mio pezzo di cielo allora ci riderò su! Ma ora, ogni giorno, quando apro gli occhi al mondo, mi dico, tra me e me: “Niente paura, passerà tutto quanto!”. Tornerò a credere in me, nelle mie doti, nelle mie qualità e scavando dentro di me non troverò solo difetti! Troverò anche dei pregi, che mi rendono unica e mi aiuteranno a trovare il mio angolo nel cielo, per poter brillare e trovare le parole che ho perso, che mi salveranno dal bruciarmi. Ma per ora: “NIENTE PAURA! Perché il meglio deve ancora venire!!!”

Stefy



Le ore contate

Richiesta di pubblicazione e massima diffusione. Ti.Fo. Quando la matematica delle ore lavorate è un'opinione. Facciamo un po’ di doxa. Mi sforzerò di avere un approccio platonico e non incazzarmi troppo. Al Superuranio di ognuno di Voi. Il Ti.Fo. viene pagato a percentuale di giorni lavorati. Per esempio. I giorni lavorativi previsti all'interno di un mese sono 18. Uno ne lavora 18… 100%. Mi spiego ancora meglio. La mia indennità di frequenza è 230 €… 230:18x18=230. Però il bello viene adesso. Se l'azienda è chiusa per ferie devi lavorare lo stesso. Certo, puoi fare festa, anzi devi fare festa, ma i giorni di festa vanno scalati. Se per esempio ce ne sono 3 devi fare 18-3? No, 18+3! Quindi i giorni che devi lavorare sono 21. Quelli che puoi lavorare 18. Il risultato è questo: 230:21x18=197,14 €… Quindi le feste mi sono costate 33,86 €. Se qualcuno mi dice “poco”, gli rispondo che fortunatamente ci sono i saldi-caldi. Ammetto di essere inferiormente surriscaldato. Chiamatemi Charlie… BrownS.

Giovanni





La presa di coscienza

Nell’altalena del “chi vede chi?” mi domando a chi giovi realmente l’incontro psichiatra/paziente. Il sottotitolo che mi salta agli occhi è la pericolosità sociale (esperienza personale) che deve essere controllata in modo capillare dal professionista (psico/carabiniere). Ma quanto interessa realmente la vita di una persona nella sua interezza (gioie, paure ed emozioni)? Credo che la cosa principale sia cosa ci può dire l’ascolto: di se stessi prima, e nel raccontarlo poi allo specialista, se solo ne fosse interessato. Paziente/psichiatra, situazione al limite del sovvertimento sociale, ruolo e posizione cambiano, è il paziente nel momento del bisogno reale che cerca il professionista (reale presa di coscienza dell’utente).

Paolo Sanzani



Dopo un 31 dicembre solitario

Oggi mi sento dissociato: FINALMENTE! Ieri sera non ho festeggiato, sono stato con me. Ed oggi il mondo degli altri mi sembra onirico, non mio. OGGI SONO! E se il mondo ha bisogno di esorcizzare il dolore ed il passato, vuole ESSERCI, io mi dissocio e voglio ESSERE! E sono. Da oggi, come ho scritto due numeri fa, metto, da utente psichiatrico, un apostrofo fra la M e la A: M' ATTO! E L' APOSTROFO NON HO INTENZIONE DI TOGLIERLO PIÙ.

Giovanni

COME UN DIPINTO

   Costanza Tuor


Le dita tamburellavano sul tavolino metallico di colore bianco, mentre con gli occhi Vincent leggeva di sfuggita le ultime notizie sul giornale di quel giorno. La sera cominciava a miscelare i suoi colori caldi e freddi, l’aria era tersa. Proprio davanti a lui una donna teneva un bambino di quattro anni per mano e se lo trascinava con sé lungo la via lasciando una parvenza consistente alle sue spalle. La minuscola forma umana del corpo del bimbo vestito di rosso porpora si perdeva lasciandosi fagocitare dal cremisi del cappotto della madre. Fu in quel momento che Vincent pensò alla maternità e all’infanzia come indivisibili movimenti, raffigurazioni del medesimo battito condiviso dalla madre e dal bambino. Fu nel colore rosso e nelle sue declinazioni che quel giorno si ricordò di quanto fosse piacevole essere trascinato da una mano sicura lungo le vie della città, senza consapevolezza alcuna né del colore, né del cielo, ma con la gioiosa vitalità della scoperta.
Girò poi leggermente il capo e si accorse che vicino al suo tavolo sedeva un vecchio signore piuttosto pingue che sorseggiava rumorosamente un tè fumante. L’uomo sembrava non accorgersi del fastidioso rumore che produceva assaporando la bevanda. Vestito di scuro, se non fosse stato per l’età avanzata, avrebbe tranquillamente potuto essere scambiato per un commerciante. Vincent lasciando i suoi pensieri liberi di andare dove volevano in piena anarchia si convinse che quel vecchio fosse un venditore di limoni. La sua vita si era svolta viaggiando tra l’Italia e la Grecia in un’eterna riscoperta delle temperature mediterranee, dei profumi pieni d’aria e sole, del giallo ocra dei frutti incastonati in irriverenti masse di foglie verdi. Nell’immagine che il pensiero evocava, disinvolta e stereotipata, Vincent riusciva a lasciar passare il respiro del sud attraverso l’asprezza del succo del frutto preferito dall’uomo vestito di scuro, portando così fino all’estremo limite la percezione personale di una realtà che appariva intangibile e che di fatto pareva esistere solo nei suoi sensi.
Raccolse il giornale e lesse un intero articoletto che trattava dei problemi agricoli senza trattenere nemmeno un concetto, tuttavia una parola attirò la sua attenzione, quella parola era 'meccanismo'. Curioso, sensibile e geniale non amava le spiegazioni troppo tecniche, che lasciavano poco spazio alla creatività e all’imprevisto. Eppure la parola 'meccanismo' lo interessava, forse perché riteneva che qualche sorta di meccanismo facesse muovere ogni cosa. Non si trattava in effetti di un ingranaggio ben oliato che andava mantenuto in attività e pulito da ogni intransigenza, ma piuttosto un sapere che riusciva a muovere i muscoli come i venti. Una sapienza di gesti e di voci che trovavano la loro naturale declinazione nella vita umana e del mondo. Un meccanismo cosmico capace di pompare il sangue della vita in ogni cosa. Era a causa di questo meccanismo se il battito dei cuori persisteva, se i cani scodinzolavano, se le abitazioni accoglievano le membra affaticate e, per via dello stesso meccanismo, incongruente, sobrio e sfavillante contemporaneamente, le persone lottavano per la vita.
C’era nei colori, nei profumi e nei gesti l’allusione alla profondità, la persistenza della creazione. C’era aria per respirare, conforto nelle pene e gioia di vivere.
Pochi istanti dopo con la mente completamente sgombra prese tra le dita la sua tazzina di caffè e bevve, mentre il cielo s’era fatto magenta.

LORO CERCAVANO L’ORO

   Opola Resonive


D ov’erano loro? Si trovavano vicino ad una miniera ricca d’oro? Era da tempo che la stavano cercando, ma invano, infatti non riuscivano a trovarla! Scavavano in diversi punti fra rocce e caverne, tutto il tempo l’impiegavano in una incessante ricerca...
Stavano impegnando tutta la loro esistenza nella ricerca di questo obiettivo, la possibilità di un fallimento non l’avevano considerata, erano fermi, decisi e sicuri, con una grande dose di speranza, quasi spregiudicatezza. Sicuramente erano aiutati da una grande coesione di gruppo, così i momenti di sconforto venivano superati con facilità. Uno sguardo, un sorriso, un gesto d’affetto e i problemi venivano messi da parte...
Dove si trovavano? Precisamente non si sa, comunque erano in una grande catena montuosa. Era l’alba, quando quel giorno si alzarono, come d’abitudine si prepararono in fretta e dopo una rapida colazione lasciarono il loro capanno e si diressero verso la zona degli scavi, ormai erano delusi dai cunicoli scavati perciò si avviarono in una zona ancora tutta da esplorare. Dovevano decidere da che parte iniziare a scavare e per farlo utilizzarono un bastoncino che fatto roteare indicò un muro di terra che si trovava leggermente spostato a sinistra della cima. Quindi bisognava stabilire i turni con i quali alternarsi fra i vari lavori, che comprendevano principalmente lo scavare, poi spostare la terra e infine posizionare travi per fermare la caduta della terra. Erano una decina di persone, tutte provenienti dallo stesso paese, sempre amici fin da giovani, ora ormai adulti speravano di realizzare il loro grande sogno. Con ordine e armonia iniziarono a lavorare, ognuno capiva l’altro da un piccolo movimento e sapeva come aiutarlo. Fra di loro non c’era sicuramente gelosia ed invidia! Vivevano in un piccolo mondo isolato da tutti, senza sentire la mancanza della civiltà, riuscendo a sopravvivere con grande dignità. Era ormai una decina d’anni che scavavano senza risultato. Quel giorno d’estate non faceva ancora molto caldo e nella valle deserta si riusciva solo a sentire il canto del gruppo compatto che così si teneva su di morale. Avevano investito tutti i loro risparmi in questa avventura, una vita dedicata a un progetto. L’idea era nata quando un lontano parente, che era stato un ricco cercatore d’oro, aveva lasciato loro in eredità il grande appezzamento di terra dove aveva fatto fortuna. Purtroppo però la miniera era esaurita e la ricchezza trovata, il parente, fortunato ma poco avveduto, l’aveva spesa in un paio di anni. Loro speravano di trovare quel giacimento che avrebbe reso a tutti loro la vita tranquilla ed agiata.
Nel giro di alcune settimane la nuova galleria fu scavata: avevano raggiunto una grande profondità, ma del minerale prezioso non si vedeva l’ombra... La sera nella baracca si trovavano tutti stanchi e affaticati e dopo una sostanziosa cena crollavano esausti per un meritato riposo. Avevano deciso che loro sarebbero rimasti lì, se non fosse bastato anche per tutta la vita! Le giornate passavano veloci, il lavoro era faticoso, loro amavano quel lavoro ed essendo così tanti anni che lo facevano, non sapevano fare altro; in fondo questa continua attività li teneva sempre impegnati, così i pensieri si volgevano su come avrebbero vissuto se avessero trovato l’oro. Volevano, raggiunta la ricchezza, abbandonare le fatiche, dedicarsi al riposo e a una vita agiata con ogni genere di lusso, quello che fino ad allora non avevano mai potuto avere. Questo desiderio di ricchezza era così presente nella loro vita da aver cancellato qualsiasi altro obiettivo. Lavoravano più di una decina d’ore al giorno, faticare, ormai per loro era diventato una cosa abituale. Cercare, cercare, cercare, passare la loro vita a cercare... Come ogni mese decisero di andare a far provviste, salirono tutti sul furgone e si diressero verso il più vicino centro abitato. Attorno c’erano molti campi coltivati, animali nelle fattorie. All’emporio fecero provviste che sarebbero durate un altro mese. Le persone che incontravano li giudicavano come un gruppo di pazzi che perdeva tutta la vita alla ricerca di una vana speranza… In effetti i loro grandi sacrifici non erano affatto ripagati. Loro a differenza di molti non avevano alcuna maschera, tutti sapevano il loro desiderio e questo essere troppo scoperti causava una grande vulnerabilità. Nella vita è necessario sicuramente avere diverse maschere da utilizzare a seconda delle situazioni, bisogna riuscire ad alternarsi fra le varie maschere e la nostra vera personalità per riuscire a vivere meglio. Dopo aver fatto provviste si diressero verso il capanno. In un paio d’ore arrivarono, quindi iniziarono a scaricare tutto riempiendo la dispensa. Il loro desiderio non si era finora avverato, se nell’impresa fossero stati soli avrebbero già abbandonato. Però il gruppo dava loro una grande carica d’energia e una grande dose di coraggio... Ovviamente non potevano essere certi della riuscita del loro progetto, avevano deciso di continuare ad avere quello stile di vita al quale s’erano abituati.
Scavavano, scavavano per ore, la loro ricerca aveva tolto loro la famiglia, gli interessi e la noia. Decisamente non riuscivano ad annoiarsi erano troppo presi dal lavoro! L’amicizia però quella non mancava, era l’arco portante del loro modo di vivere. Avevano imparato un lavoro nel quale erano sicuramente diventati degli assi, conoscendo ogni piccolo segreto della montagna. Però i soldi stavano finendo, quindi era necessario trovare un rimedio, se no sarebbero stati costretti a tornare a casa, ma quale casa? Erano tutti nel capanno riuniti quando Edo disse che avrebbe lasciato il gruppo e si sarebbe trasferito in città. Queste parole provocarono il panico fra tutti, perché veniva a mancare una tessera del mosaico, si poteva incrinare il gruppo… Ma il giorno dopo Edo con le sue poche cose se ne andò. Il gruppo s’era rotto, dopo la partenza del loro caro amico erano tutti presi dallo sconforto, nessuno aveva più voglia di lavorare, iniziarono a domandarsi se alla fine non si dovevano considerare dei pazzi nella loro vana ricerca, conclusero che probabilmente quelli che li denigravano avevano ragione. In tutti quegli anni avevano trovato solo qualche piccola pietra d’oro... Così lentamente le partenze aumentarono... Il gruppo si era diviso... Rimasero solo in due, Jim e Ted, loro decisero che avrebbero smesso di scavare, ma avrebbero continuato a vivere lì, si misero nel commercio di legname...
La vita del gruppo si dissolse, ognuno andò per la sua strada, comunque l’esperienza formò delle persone forti e sicure per poter affrontare la vita, anche se non riuscirono a realizzare il loro sogno capirono che attraverso un gruppo potevano superare difficoltà impensabili da soli... Un’esperienza che diede loro molto... Erano arrivati a un passo dal riuscire, l’importante era stato l’averci provato, aver rischiato... Alla fine ognuno andò per la sua strada, ma un forte legame li avrebbe tenuti sempre uniti: una grande amicizia.

UNA DONNA CORAGGIOSA

   Maria Chiara Reitani


Doveva aver guardato un cielo insolito tra foglie spaventevoli… Luisa, quel giorno di gennaio, era decisa ad andare avanti per la sua strada. Da anni coltivava il sogno di riuscire a vincere l’angoscia. Era una donna temprata dalle avversità e dalle contrarietà. Aveva combattuto molte battaglie nella sua vita ed era stanca di lottare, ma non si dava per vinta. La sua vita era costellata da tante positività. Aveva un compagno che la stimava e l’apprezzava e che non l’avrebbe abbandonata. Aveva due figli grandi, che portavano avanti i loro studi con caparbietà e decisione. Aveva una buona rete di amicizie vere. La sua battaglia contro l’angoscia era decennale. Non si dava per vinta. Il suo compagno le era vicino ma con discrezione. L’amava moltissimo e lei lo sapeva alla perfezione. Per diversi anni aveva insegnato ai ragazzi delle scuole medie, ma la malattia l’aveva portata ad abbandonare quel lavoro. Per diversi anni aveva fatto la bibliotecaria, per poi chiedere la pensione abbastanza presto e ritirarsi a vita privata. Alle soglie dei sessant’anni era abbastanza fiera del cammino intrapreso, ma anche molto insoddisfatta, per le contrarietà che aveva dovuto affrontare. Era volitiva e tenace ma anche molto sensibile e fragile nello stesso tempo. Era stata sottoposta a diversi interventi chirurgici con esito positivo. Un grosso dolore e una grave perdita era stata la morte di sua madre, con la quale aveva avuto un rapporto molto forte ma molto contraddittorio. Aveva un fratello di qualche anno più giovane che viveva in un’altra città e che per motivi di lavoro era spesso all’estero. Con lui dopo la morte delle mamma aveva intrecciato un rapporto intenso. Si sentivano quotidianamente e lei gli confidava le sue amarezze e le sue angosce. Si sentiva capita e compresa. Il suo compagno la sosteneva moralmente e psicologicamente. Cosa le riservava il futuro? Spesso si era posta questa domanda senza darsi una risposta, ma andava avanti con coraggio e determinazione. Aveva la fede che la sosteneva e la sorreggeva. Il domani non le faceva paura.

CONSIDERAZIONI SULL’ESTETICA

   Centro Diurno di Casalecchio di Reno


● La parola estetica deriva dal greco aisthesis che significa ‘sensazione’
● L’estetica è un fatto di vita che riguarda la fisica e la psicologia della persona.
● L’estetica può essere anche considerata un business: si spendono milioni di euro in palestre, creme, trucchi eccetera.
● Lo stile di cui si serve un fumatore per propinarsi una manciata di godimento da vizio (che rimane tale); ad esso il fumatore più intelligente cerca una compensazione mentre quello di minor calibro se ne accontenta.
● Estetica è ‘funzionabilità’.
● Nel mondo moderno e in particolare nel mondo occidentale è molto importante l’aspetto fisico della gente; le persone guardano se sei alto o basso, se sei grasso o magro, se hai i capelli ricci o lisci, di che colore hai gli occhi. Normalmente un uomo occidentale preferisce donne forti di petto e dai fianchi larghi; le donne preferiscono uomini che siano asciutti e muscolosi, intelligenti e con tanti soldi.
● L’estetica è quella percezione sensibile che ci fa tendere al bello.
● C’è l’estetica fisica e quella morale.
● L’estetica è: 1) l’acconciatura dei capelli, sia per gli uomini che per le donne e, solo per i primi, la lunghezza dei baffi e della barba; 2) il tipo di abbigliamento che, per entrambi i sessi, può essere inteso come esteticamente valido quasi esclusivamente a partire dalla concezione individuale, derivante dalla propria fantasia; 3) il tipo di lineamenti del viso (che è forse l’aspetto che risponde maggiormente a canoni abbastanza comuni) e una certa proporzione nella forma delle altre parti del corpo (che è forse il connotato estetico rispetto al quale è più difficile riscontrare un consenso unanime).
● L’estetica ha a che fare con il concetto di bello e di brutto; cosa sia bello e cosa sia brutto è spesso molto soggettivo e legato al contesto culturale.

SULL’ESTETICA…

   Laboratorio di Narrativa – RTP Casa Mantovani


La bellezza non rende felice colui che la possiede,
ma colui che la può amare e desiderare
Hermann Hesse

L L'estetica è un settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico, ovvero del giudizio morale e spirituale. In questa società della comunicazione di massa, l’estetica spesso viene confusa con la bellezza ad ogni costo che è diventata un imperativo categorico. In nome della vanità ci si espone a rischi seri e siamo continuamente bombardati da stereotipi semi-perfetti e quasi tutti uguali, abbiamo un fenomeno di omologazione anche della bellezza.
Noi vorremmo recuperare il concetto originario di estetica e parlarne secondo ciò che per noi è importante.

SCRIVI LA TUA OPINIONE SULL’ARGOMENTO

Werther : La bellezza è una cosa esteriore ed anche interiore.
Mariangela : La bellezza è tenersi in ordine, nessuno è perfetto, mettersi in ordine per gli altri.
Luciano: Se una persona, per esempio, desidera avere un corpo scolpito e muscoloso, deve amare sé stesso prima ed escogitare stratagemmi per fare ciò.
Alessandro : La cosa che per me rappresenta una bellezza estetica è stata Matera, una città di bellezza naturale, l’antichità della città e la cultura che rappresenta per me è sinonimo di estetica.
Giovanni : Secondo me la bellezza è fisica, se si è belli lo si è di fatto e di natura. La stessa bellezza si trasmette al vestire, agli oggetti, da lì si trasmette all’esterno, ma quella che rimane come bellezza concreta e tangibile viene dal fisico. Rapportato all’odierno sembra che basti un vestito a far bello, anche se di per sé non è. Bellezza compete con estetica, estetica con fisico, fisico con bellezza.
Maurizio : La bellezza è un insieme di cose che si può trovare oltre che negli individui, nella natura che ti circonda. Non confondere estetica con bellezza.


È STATO CHIESTO AL GRUPPO DI COMMENTARE LE SEGUENTI FRASI CHE VEDONO L’ESTETICA COME CONOSCENZA DELLA BELLEZZA; DEL GIUDIZIO MORALE E SPIRITUALE

Strappare la bellezza ovunque essa sia e regalarla a chi mi sta accanto. Per questo sono al mondo.
Alessandro d’Avenia

Werther: Io cerco di dare a quelli che mi stanno a cuore il meglio di me stesso.
Mariangela: Donare la bellezza a chi ci sta accanto. La bellezza è anche nei fiori e negli animali. Che si fa volere bene.
Luciano: A me capita di voler fare una bellezza ad una donna, come estrapolare un viso bello.
Alessandro: Trovo che questa frase sia corretta.
Giovanni: Bellezza porta a bellezza. Belli coi belli, brutti coi brutti. Più che un dono, per me, è un principio di equivalenza.
Maurizio: La bellezza è nei fiori, in un dono. In questo caso estetica coincide con bellezza.

Il mondo giudica gli uomini non dalle prove, ché non ha il tempo di ricercarle,
ma dalle apparenze, onde poco basta a passare per una perla e pochissimo per un briccone.

Aristide Gabelli

Werther: L’abito non fa il monaco, e invece lo fa. Viviamo in una società dove conta apparire, in pochi si fermano a pensare chi c’è dietro le maschere del perbenismo.
Mariangela: L’abito non fa il monaco. Io ci credo e cerco di apprezzare le persone per quello che sono guardando a come si comportano.
Luciano: Mi vengono in mente solo persone irascibili che litigano con tutti… forse hanno malesseri interiori di cui nessuno si accorge e ci si ferma alla loro irascibilità. Ci vorrebbe più empatia.
Alessandro: Mi lascio prendere dalle apparenze e a volte mi ricredo.
Giovanni: La prova porta a giudizio, positivo se è vinta, negativo se è persa. Non ho mai fallito una prova, giudicato un vincente sotto ogni aspetto, dipanando ogni apparenza, dimostrando ciò che sono in concreto. Una perla? Un briccone? Nient’affatto: un vincente.
Maurizio: Un esempio di questo pensiero è Berlusconi. Ha costruito il suo impero sulle apparenze e sull’estetica.

La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.
Jiddu Krishnamurti

Werther: Secondo me questa frase è vera.
Mariangela: L’intelligenza è importante per tutti.
Luciano: Sono d’accordo pienamente.
Alessandro: È giusto. È meglio non giudicare subito.
Giovanni: Penso che osservare sia uno, giudicare sia altro. Osservare è scrutare guardando, vedere in concreto. Giudicare è un insieme di giudizi, non è uno sguardo che porta a giudizio, così come un giudizio non porta ad osservare. Osservare vien dagli occhi, giudicare vien dal sentimento.
Maurizio: Non voglio sembrare pessimista, ma in questa società sono in pochi quelli che ci riescono.

La vera bellezza, dopo tutto, sta nella purezza di cuore.
Mahatma Gandhi

Werther: È vero. La purezza di cuore è una cosa che si trasmette sempre, è essere aperti all’altro.
Mariangela: La bellezza è pura per il cuore, ma non si giudica subito quando ci accorgiamo di qualcosa che non ci piace. Bisogna aspettare e mettersi nei panni dell’altro. Non sempre è facile, non tutti spendono del tempo per farlo.
Luciano: Un cuore vivo. La pulizia di cuore la si può conciliare con il cervello.
Giovanni: lo ripeto, la bellezza è fisica. Magari ho i peggiori intenti eppur son bello. Il cuore, tutto ciò che ti tiene in vita, la bellezza, tutto ciò che mostri. Che tu sia buono o cattivo, la bellezza è bellezza. Che tu sia bello o brutto, il tuo cuore è il tuo cuore.
Alessandro: Questa frase è comunicativa, è un invito a non fermarsi a ciò che appare.
Maurizio: Questa è una grande frase, dice tutto… difficile che le persone se ne accorgano però.


COMPONIMENTO DI GRUPPO IN VERSI SULL’ESTETICA
Bello è bello, ma brutto non s’ha da guardare.
Vedersi è come l’aria pura respirare, chiara e fresca del mattino… il tutto!
La bellezza è controllata dal modo di pensare, ragionare sul proprio corpo.
A volte, nella società di oggi, la bellezza interiore viene prima della bellezza esteriore.
Se una persona bella fa cattivo odore, allora è brutta? Forse il suo è solo un messaggio.
Il buon cuore del mio amico, un abbraccio è estetica.
Sfiorare i pensieri dell’altro, condividere i principi o meno di una società… è esteticamente corretto? Chissà…
Estetica? Guardare oltre ciò che si vede.




L’ESTETICA: PARLIAMONE

   Associazione UmanaMente


Filippo: Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace! Estetica come? Femminile, strutturale, architettonica, fisica?
Oriano: L’estetica mi fa pensare a Hegel, il filosofo tedesco. Penso all’eterno ritorno di Nietzsche e al nichilismo che può avere un collegamento con l’estetica.
Maurizio: L’estetica è apparenza, ciò che appare. Quello che è nella sua astrattezza, quello che sembra agli occhi di tutti.
Edoardo: Picasso, ha dato un nuovo significato all’estetica, ha distrutto la forma greca della bellezza. Ha cercato di ricostruire le forme. Essendo l’estetica apparenza e non sostanza, possiamo cambiarla.
Daniela: La vedo dal punto di vista fisico, comprende tutto quello che fa parte della donna, i capelli, le unghie, la pettinatura, la pulizia del viso, le creme, il lavarsi, profumarsi e tutte quelle tecniche estetiche come la chirurgia estetica. Mi riallaccio a Filippo dicendo che “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Poi però c’è la bellezza assoluta, che piace a molti, come quella delle star. L’estetica può essere intesa anche come cura di sé, è l’apparenza, il come appari che può essere ad esempio trasandato, non curato. Mi viene in mente l’estetica nei quadri dei pittori, nella donna, nei fiori. Si può passare dall’estetica alla bellezza e la si trova in natura.
Marco: All’estetica io associo il corpo femminile, la Venere che esce dalle acque. Ma possiamo dire che l’estetica cambia nel tempo, dall’antica Grecia, dove era presente un certo canone di bellezza che mirava alla perfezione, all’estetica romana, più naturalistica; e nelle culture, per esempio per certi popoli africani, la donna bella, che piace, è quella ‘giraffa’. Cambia anche da nazione a nazione, per esempio le donne cinesi si fasciavano i piedi per farli sembrare più belli e in questo caso, come in altri (es: piercing o tatuaggi) si può dire che la bellezza è associata al dolore.
Antonio: Inizialmente l’estetica è un fatto soggettivo del carattere, dipende dalla persona, dal modo di vedere la vita. Nasce a livello psicologico quando si è bambini, è dall’infanzia che si impara l’estetica anche in base al posto in cui si vive. Ad esempio noi Italiani ci vestiamo diversamente dagli Indiani. È soggettivo. Come dice Maurizio l’estetica è l’apparire anche attraverso le opere d’arte. Mi viene in mente l’estetica che aveva Papa Francesco quando fu eletto, non indossava abiti e cose preziose e questo dal popolo è stato visto bene. L’estetica come troppo apparire, si può esagerare con l’estetica.
Luigi: Ci sono persone che hanno dei pensieri disordinati che vorrebbero ordinare in senso estetico dentro e fuori da sé. Dal disordine interiore si procede mettendo in ordine. L’estetica non è da confondere con la bellezza. Se ad una donna manca la bellezza la sostituisce con l’estetica, con accorgimenti come il trucco. Se manca in sé quello che si pensa bello, si opera una trasformazione, dando il trucco di quello che viene a mancare. Si possono utilizzare mezzi estetici per conquistare la bellezza perduta. La bellezza è naturale, però se si utilizza l’estetica diventa artificiale. L’estetica può essere tale da chiamarsi eleganza. Utilizzando l’estetica si può diventare eleganti. Quando la persona utilizza l’estetica lo fa per conquistare la propria bellezza ideale oppure il prossimo.
Antonio: Penso al discorso della perfezione. Una donna non bella, cerca compensazione con l’estetica, ma non raggiunge la perfezione.
Filippo: A me fa venire in mente Micheal Jackson, che da nero è diventato bianco.
Nadia: Le persone danno troppa importanza all’estetica, quindi tendono a essere valutate per questo e non per il valore che hanno.
Antonio: Si può arrivare ad essere presuntuosi attraverso l’estetica.
Filippo: L’abito fa il monaco?
Daniela: L’estetica è fascino.






Brainstorming: Estetica e Salute Mentale

Stefania: Io sono sempre stata molto legata a mio padre e anche mio padre era molto legato a me. Era moro, occhi azzurri, pelle bruciata dal lavoro nei campi. Io tre anni fa ho conosciuto un uomo esteticamente molto simile a mio padre, ma con un comportamento totalmente opposto. L'ho lasciato già tre volte, però c'è sempre qualcosa che mi ricollega a lui, il mio io interiore mi riporta a lui malgrado l'atteggiamento che ha con me, perché in lui rivedo mio padre. Oltre tutto faccio molta più fatica a lasciarlo rispetto a un altro.
Oriano: C'è lo stereotipo di estetica nella bellezza femminile, capelli biondi, occhi azzurri. Ma per me l'estetica essenzialmente la riscontro nei libri. Una bella scrittura, qualunque libro scritto bene, come per esempio le opere di Oscar Wilde. Per me l'estetica è collegata ai libri.
Marco: Se io vedo a teatro una tragedia di Shakespeare che non mi piace, allora il mio senso estetico mi dice che devo fare qualcosa per rimediare, devo vedere qualcosa di bello che mi piaccia per riequilibrare quella sensazione spiacevole. Se vedo qualcosa di positivo va bene, ma se vedo qualcosa di negativo, devo bilanciarla con qualcosa di positivo. Io se vedo un film che non mi piace, sono più attento nella scelta successiva del film.
Stefania: L'estetica è quella che ci colpisce al primo sguardo, ma alla fine la ritroviamo nell’Io, nell’equilibrio interiore.
Antonio: Non è detto che un bell’uomo non possa essere cattivo e non è detto che un brutto uomo non possa essere buono.
Nadia: Secondo me quando stai bene ti vedi allo specchio in un certo modo e quando stai male ti vedi brutta. Cambia l'espressione. Stavo anche pensando che si può incontrare un uomo che magari esteticamente non corrisponde ai propri gusti, però poi conoscendolo emerge la bellezza interiore e diventa bello.
Marco: Io pensavo che se l'estetica la vediamo come un bisogno per la salute mentale e visto che l'estetica significa sensazione, questo vuol dire che cercare l'estetica è come un punto d'arrivo degli stati mentali, è lo star bene negli ambienti che si frequentano. Corrisponde alla sintesi di tutti i Marco, quello arrabbiato, quello gentile, e così via… Una sintesi delle emozioni, passioni e stati mentali che mi fa star bene ovunque mi trovo.
Stefania: Io sono stata ricoverata a Villa ai colli due volte, e leggevo Diario di una diversa di Alda Merini, così mi sentivo ‘esteticamente’ in equilibrio con l'ambiente in cui mi trovavo.
Oriano: Quando subentra un po' di depressione si può dire di un ambiente che è un po' kafkiano, quindi triste, malinconico.
Elena: È vero. D’altra parte a volte non ci accorgiamo di quello che abbiamo dentro ed intorno, di quanto sia esteticamente bello. Come dice la canzone di Modugno: “non ti accorgi di quanto è bello il mare, il sole… quanto è meraviglioso”.
Antonio: La canzone vuol dire che molte persone non sempre si accorgono di quanto la natura possa essere bella. Magari uno è così abituato ad andare al mare che non si accorge di quanto sia bello il mare. A mio parere la natura è bella ma non sempre, ad esempio se io vado in un deserto che non c'è niente da vedere solo sabbia, caldo atroce e non sai cosa fare, secondo me è tutt'altro che bello.
Nadia: A me succede che quando sono depressa non mi trucco, non mi curo i capelli e quando sto bene ci tengo tantissimo.
Antonio: Io vorrei aggiungere sull’estetica dei luoghi che quando andavo a scuola per me l'estetica incideva tanto, quando andavo in bagno e la porta non si chiudeva bene, cadeva a pezzi, non c'era il sapone, non funzionava il rubinetto. Mi offendevo un po’ perché mi aspettavo qualcos'altro, la vedevo da fuori e mi sembrava in un modo, poi la vedevo per bene da dentro e mi accorgevo che non c'era una bella estetica.
Elena: Mi chiedo cosa comporti stare in ambiente esteticamente brutto e con persone che si trascurano e che non sono ben curate?!
Nadia: Non fa salute mentale.
Antonio: Non mi fa star bene, fa un certo effetto. È disgustoso.
Marco: Divento triste.
Oriano: Quando vedo una casa diroccata mi viene un senso di frustrazione.
Stefania: Secondo me c'è un equilibrio nell'estetica, non solo visiva ma anche comportamentale.
Luca: La bellezza estetica non è uno scopo, ma una conseguenza: se una persona sta bene questo si riflette sull’aspetto estetico.





STORIA DELL’ESTETICA
Appunti di filosofia a cura della dott. Elena Pasquali e dello scrittore Luca G.
che ha sviluppato i contributi su Nietzsche, Freud e Jung


L a parola aesthetica ha origine dalla parola greca αἴσθησις, che significa ‘sensazione’ e dal verbo αἴσθησις, che significa ‘percepire attraverso la mediazione del senso’. Originariamente l’estetica è un aspetto della conoscenza che riguarda l’uso dei sensi, come il filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten la concepì coniando il termine nel 1750; solo successivamente l’estetica diviene un settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico, ovvero del giudizio morale e spirituale.
L’indagine estetica (riguardante la sensibilità, l’arte e la bellezza) ha avuto inizio in Europa oltre 2000 anni prima che fosse trovato per essa un termine specifico e si costituisse un campo di studi autonomo e non è possibile ignorare gli apporti del pensiero greco e romano, di quello medioevale e rinascimentale e dell’età barocca. L’antica civiltà greca (VI-V sec. a.C.) fu il primo ambito nel quale le attività artistiche acquistarono una loro definizione con il termine eleutherai technai (in latino artes liberales) che comprendeva le arti visive (quali architettura, scultura, pittura), quelle letterarie e quelle dello spettacolo. Per Platone il bello è ciò che offre all’occhio e alla mente proporzione e armonia, ordine e misura. L’arte dell’uomo non è altro che un’imitazione della natura, che a sua volta è un’imitazione dell’idea, quindi un’imitazione dell’imitazione, non un’espressione diretta del bello.
Aristotele esalta l’arte come imitazione della natura in quanto l’arte è un’imitazione creativa, una rielaborazione personale dell’artista. E costituisce una forma di conoscenza. Il bello implica proporzione, ordine e simmetria di parti. Nella Poetica (dove prende in esame la poesia tragica ed epica) considera due concetti fondamentali del fatto artistico: mimesi e catarsi: la mimesi è l’immedesimarsi dello spettatore nella vicenda che si sta svolgendo, la catarsi è la liberazione in senso morale e fisiologico delle passioni.
Nel mondo romano-cristiano, dopo l’editto di Costantino del 313, viene recuperata la cultura pagana all’interno della visione cristiana ed emergono alcuni concetti che riguardano il dibattito medioevale sull’estetica: a) Il concetto di pankalìa , cioè il concetto di bellezza dell’universo come un tutto unitario derivato dagli Stoici, assume un nuovo significato con l’innesto dell’idea di Dio: il mondo è bello, sì, ma non in sé stesso; è bello perché è opera di Dio; b) Se l’universo è bello perché è opera d’arte di Dio si profila un’identificazione tra bello e arte, con un superamento della distinzione tradizionale nella cultura antica; c) L’arte ha valore se avvia il pubblico alla contemplazione e all’imitazione di Cristo e dei santi: pertanto l’arte che interessa ai padri della Chiesa non è un’arte che afferma la propria autonomia, ma un’arte con capacità illustrative e didascaliche.
Nel Medioevo, dal IX al XII secolo, in assenza di una teoria unificatrice delle arti, si sviluppano teorie differenti per ciascun tipo di arte. Queste vanno ad inserirsi all’interno di: a) una concezione cosmologica: l’arte trova i suoi fondamenti non nell’uomo, ma nel cosmo: l’uomo arriva a tali fondamenti non con la creatività ma attraverso la conoscenza spirituale; b) una concezione matematica: l’armonia dell’universo è fatta di relazioni numeriche e l’arte deve riprodurre relazioni numeriche armoniche; c) una concezione teologica: l’artista (in particolare il pittore) deve rappresentare Dio, perché la bellezza perfetta sta in Dio, mentre il mondo, in quanto opera di Dio, è solo un riflesso della sua bellezza. L’arte è al servizio di Dio e deve dilettare il pubblico ed elevarlo. La Scolastica nasce con l’intento di elaborare un sistema concettuale strutturato e coerente per mettere in relazione, nella prospettiva cristiana, Dio, mondo e uomo. In questa filosofia il Bello viene definito come ciò che piace per sé stesso ed è capace di suscitare l’amore di sé, è oggettivo in quanto dotato di proprietà che non possono non piacere e, riprendendo una definizione di S. Agostino, sintetizzano queste proprietà in modus (misura), species (forma), ordo (ordine). Il bello non è uniforme ma può essere maggiore o minore, come c’è una bellezza immutabile ed una destinata a finire. Giudice di questi gradi non può essere l’uomo ma solo Dio, perché veramente bello è ciò che piace a Dio. Al bello corrisponde anche il concetto di bene. Un’identificazione tout court di ‘bello’ e ‘bene’.
Nell’Umanesimo e Rinascimento si avvia il distacco dell’arte dalle forme medievali e viene distinto il fine dell’arte da quello della morale e della religione, viene individuato nella bellezza il fine supremo. La bellezza del mondo è in gran parte opera dell’uomo, perché sono gli uomini a rendere con la loro attività più belle le cose create da Dio (Leon Battista Alberti e Piero della Francesca tra i massimi esponenti). Viene ripresa la concezione classicista di arte (Leonardo, Michelangelo e Raffaello).
Nel Seicento l’arte barocca sradica la tradizione metafisica e filosofi come Cartesio, Pascal, Spinoza, Hobbes e Leibnitz mettono in crisi sia la concezione oggettivistica che quella razionalistica dell’arte e del bello.
L’Illuminismo vede la nascita dell’estetica come disciplina autonoma ad opera di Baumgarten che la inserisce in una teoria della conoscenza insieme alla logica che riguarda la conoscenza intellettuale. L’estetica è la scienza della conoscenza sensitiva e comprende la teoria del bello e delle arti liberali. Autori come J.J.Winckelmann in Germania, J.B. Dubos e D. Diderot in Francia, A.A. Cooper, J. Addison e D. Hume in Inghilterra, G.B. Vico in Italia, solo per citarne alcuni, sviluppano la riflessione sull’estetica nella nuova accezione definita da Baumgarten.
A raccogliere tutti i pensieri precedenti, elaborando una poderosa sintesi delle idee e aprendo alla grande rivoluzione intellettuale che da lì a poco dilagherà in Europa, è I. Kant, considerato il primo grande teorico dell’estetica. L’intenzione del filosofo è di inserirsi nel dibattito sulla scienza e sui fondamenti della conoscenza, spostando l’indagine dall’ambito dell’oggetto (la natura, l’essere dell’ente) a quello del soggetto. Con la sua ‘rivoluzione copernicana’ egli cerca di stabilire una differenza non più discutibile tra ciò che è conoscibile (fenomeno) e ciò che non lo è (noumeno). Autore delle celebri critiche, Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica, Critica del Giudizio, in quest’ultima opera, pubblicata nel1790, mette in discussione il concetto di estetica di Baumgarten, considerato più come un “un giudizio di gusto che chiama bella una cosa soltanto per la sua proprietà di accordarsi col nostro modo di percepirla” e viene sviluppata l’idea di una estetica trascendentale come “scienza di tutti i principi a priori della sensibilità” dove le strutture ‘trascendentali’ della mente sono quelle strutture che preesistono alla conoscenza, che la determinano e la guidano. Al giudizio determinante della ragion pura che conosce gli oggetti attraverso le categorie dell’intelletto, si contrappone il giudizio riflettente in cui come in uno specchio viene riflessa la realtà interiore su quella esterna e la ragione non è più sottoposta alle leggi di causa-effetto, ma è libera di formulare i propri legami associativi e vivere la dimensione dell’Assoluto (dal composto latino ab + solutus, che significa ‘sciolto da’). Il giudizio riflettente si distingue in teleologico o finalistico e in estetico, e può essere soggettivo, quando si basa sul sentimento del bello, oppure oggettivo, quando si basa sul sentimento del sublime. Bello e sublime non esistono di per sé, ma sono caratteristiche attribuite dall’uomo. L’artista che crea arte bella viene definito genio, è una disposizione innata dell’animo mediante la quale la natura dà la regola all’arte. L’arte non è più imitazione, ma attività creativa e di conoscenza.
G.W.F. Hegel prova a sanare le contraddizioni intrinseche al criticismo kantiano e all’idealismo postkantiano che polarizzano l’Assoluto nella dualità soggetto-oggetto, l’uno contrapposto all’altro. Nell’Estetica (1770) sostiene che questa non deve essere intesa solo come una “scienza del sentire”, seguendo le tesi avanzate da Baumgarten, né solo come una disciplina che prende in considerazione i sentimenti suscitati dalle opere d’arte, bensì come una vera e propria “filosofia dell’arte”, che vede l’arte come un prodotto, una manifestazione dello spirito. Nel pensare l’arte, lo spirito, che è pensiero in divenire, pensa sé stesso in una delle proprie forme; il vero scopo dell’arte è rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile e di dare vita ad una prima forma di “conciliazione tra ciò che è semplicemente esterno, sensibile e transeunte, e il puro pensiero, tra la realtà finita (la natura) e l’infinita libertà del pensiero”. L’opera d’arte costituisce una delle forme del percorso lungo il quale lo spirito si libera dall’esteriorità della natura per ritornare alla piena comprensione di sé, essendo perciò l’arte fondata sul fare e il produrre, lo spirito viene istituito come ente finito e sensibile.
A partire dal Romanticismo la separazione tra il dominio dell’illusione e dell’apparenza, che sarebbe proprio dell’arte, e il dominio della verità, che sarebbe proprio della scienza, della filosofia, della religione viene definitivamente a cadere. La stessa figura dell’artista viene concepita come avente un'importante funzione nel mondo: è un asceta, un eroe prometeico, un demiurgo o un mediatore tra l’umano e il divino. J. G. Fiche porta l’idea della funzione profetica dell’arte e viene ripreso da H. Heine, poi dai fratelli Schlegel, da Novalis e da W. H. Wackenroder che vede nell’arte come nella natura il linguaggio cifrato di Dio. L. Tieck e E.T.A. Hoffmann arrivano ad assumere posizioni nichilista riguardo alla figura dell’artista che viene caratterizzata da alienazione e lacerazione. Schiller e Goethe guardano con nostalgia e insoddisfatta aspirazione alla classicità in senso estetico ed Hölderlin arriva all’idea di un’oscillazione tra l’impossibilità di tornare all’antico e l’impossibilità di vivere nel moderno, solo la poesia per Hölderlin sente l’infinito ed il divino ed il suo compito è quello di tenere “un filo ed una memoria all’interno dello scambio armonico”.
Del razionalismo metafisico sono le soluzioni trovate da K. Rosenkranz nella sua Estetica del brutto, quando afferma che “l’armonia si manifesta tanto più potente quanto più grande è la disarmonia su cui trionfa”. Il bello come il bene è un assoluto e il brutto (negativo estetico), come il male, è solo un relativo.
K.W.F. Solger individuerà invece proprio nell’esperienza estetica il luogo della crisi del razionalismo metafisico anticipando l’idea, radicalizzata in Kierkegaard e in Schopenhauer, che l’esperienza dell’arte e del bello sia ben lungi dal rinviare alla riconciliazione metafisica di finito e infinito, in quanto essa rappresenta piuttosto l’impossibilità e il fallimento. Kierkegaard vede nella disperazione la forma a priori della vita estetica perché è una vita basata sulla pura esteriorità, sul non essere mai sé stessi, sul nulla dell’esistenza senza valore estrinseco. Per Schopenhauer nell’arte c’è l’apparire del senso e cioè la rivelazione del senso del mondo che coincide con il suo dissolvimento. Il senso del mondo è la volontà intesa come lacerazione e sofferenza infinite. Cogliere questo senso del mondo significa pace, quiete perché in fondo è ritrovamento della volontà nella sua innocenza, al di là del bene e del male.
Per Nietzsche, l’estetica diventa il luogo proprio della crisi: la crisi dei valori, delle idee e della morale. Se il mondo può apparire vuoto di senso, di scopo, senza Dio, ciò è possibile perché l’uomo è esposto alla libera continua trasformazione di ogni cosa che l’arte e l’esperienza estetica lasciano venire alla luce. L’esperienza estetica è anche esperienza del tragico, perché mentre esibisce come fittizie le conoscenze ultraterrene e cancella gli archetipi che rassicurano, restituisce all’uomo la possibilità di vivere la vita, nella gioia e nel dolore, in uno spirito di ritrovata “fedeltà alla terra”. Del resto lui diceva in Ecce Homo: “Vengo dal tragico e vado verso il tragico”. Cosa vuol dire? In La nascita della tragedia, il tragico (nel senso del termine greco tragodìa) è il risultato di due impulsi estetici: l’impulso alla perdita dell’identità e al riunirsi con la natura (un impulso anche musicale), e l’impulso plastico alla raffigurazione dell’esistenza in forme solari e come sottratte alla dissipazione. Il primo è l’impulso dionisiaco, il secondo è l’impulso apollineo. L’impulso dionisiaco è un impulso di ebbrezza, orgiastico, il secondo è di una religiosità che risponde al ‘genio’ dei Greci, capace di contemplare la crudeltà della natura, senza però farsi prendere dal panico e negarsi la voglia di vivere, perché l’arte svolge quei pensieri di disgusto per l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere. I due impulsi si uniscono, dal coro dionisiaco dei satiri si stacca un coreuta (l’eroe tragico) ed esegue davanti a esso la sua stessa danza, mettendo in scena l’eterna vicenda del dio che soffre e intanto esulta del suo stesso soffrire: in fondo la vita è indistruttibilmente potente e gioiosa, quindi la tragedia è una consolazione metafisica. La tragedia nasce nello spirito musicale, ma muore nello spirito della forma, del logos. La tragedia rivela la sua verità contraddicendosi. La tragedia rivela l’ordine sicuro ma saldo nell’ordine dell’esistenza. Essa si fonda su una concezione irrazionale del mondo, ma ricorre alla ragione per esprimerla. Se ci riesce, il risultato è comico: la tragedia diviene commedia e muore, quindi a che serve che rinasca? Per mezzo della conoscenza della storia universale, la cui distruzione è contemplata dall’impulso apollineo, si esce dal tragico per andare verso il nichilismo della tragicità della vita, ma anche per tornare nel tragico. Il mondo diventa favola, e questo libera il tragico, perché emancipa il logos e restituisce la parola a sé stessa. La sdoppiamento metafisico mondo vero/favola riporta al tragico come nucleo dell’esperienza estetica. Quindi si può dire che per Nietzsche, l’essenza del tragico è l’essenza dell’estetica. La tesi fondamentale del Romanticismo, per cui l’arte è luogo di un’esperienza di verità, trova conferma lungo tutto l’arco che va dal Realismo al Naturalismo fino al Simbolismo. Dall’orizzonte del Positivismo è la sociologia dell’arte che si oppone al Romanticismo con l’idea che l’arte non sia solo “spirito del tempo”, ma che sveli il “contesto storico”. Scrive H. Taine: “Le opere d’arte sono fatti e prodotti di cui bisogna rilevare i caratteri e cercare le cause: null’altro. Intesa in tal modo la scienza non condanna né perdona, ma constata e spiega”.
Figlia del Positivismo è anche la psicologia dell’arte. Scrive T. Lipps: “Che l’opera d’arte mi guidi verso il profondo e me lo faccia vedere in luce chiara significa però, in particolare, che essa mi fa vedere e penetrare, in tutto ciò che è negativo, fastidioso e odioso, l’aspetto positivo che è nascosto alla sua base e nella sua profondità. [..] ovunque, anche in ciò che è orribile, l’opera d’arte mi fa sentire e sperimentare l’umano”.
Sigmund Freud è intervenuto spesso su faccende estetiche nei suoi testi. Egli ha analizzato l’operato di grandi artisti come Leonardo e ha concluso che l’arte raggiunge il profondo dell’uomo e ne rappresenta una liberazione catartica.
Da dove viene il fascino che l’arte esercita su di noi? L’artista, da dove prende la materia del suo fantasticare, che lo porta a fare le sue opere? In ciascuno di noi c’è un poeta, fin da bambino. L’attività numero uno del bambino, il gioco, ci permette di penetrare il significato dell’attività poetica, cioè il sistemare il mondo come si vuole, o meglio crearsi un mondo di fantasia, tutto proprio. Il poeta e il bambino prendono sul serio il mondo di invenzione, e non confondono reale e immaginario, l’investimento affettivo su qualcosa che esiste solo nella fantasia è possibile proprio distinguendo i due ambiti, come avviene nell’arte. Chi non è più bambino, il mondo interiore se lo tiene per sé, sogna a occhi aperti, il che per Freud è essenziale per l’arte, ma è anche un bisogno psichico essenziale. Poiché esibire estrinsecamente agli altri il mondo interiore suscita ripugnanza, ecco che l’arte si offre di mediare questo esibire, velandolo e trasfigurandolo. L’arte rende possibile ciò che è un gioco: la liberazione di tensioni nella nostra psiche. L’artista cerca un'autoliberazione, e con le sue opere la trasmette ad altri che soffrono dei suoi stessi desideri trattenuti.
Carl Gustav Jung affermava che non è possibile studiare l’essenza medesima dell’arte con un’indagine psicologica, ma con un esame estetico artistico. L’arte è la funzione di metterci in rapporto con il fondo originario del nostro essere. Jung distingue l’inconscio personale e l’inconscio collettivo, cioè la sfera dei residui fenomenici che si sottraggono alla coscienza dell’individuo e la sfera dei miti e delle figure che dominano l’individuo come trasmissione ereditaria dell’esperienza storica dell’umanità. Il primo può diventare cosciente, il secondo non può: in quanto collettivo, non è represso né dimenticato. L’inconscio personale può essere fatto uscire con la psicoanalisi, quello collettivo no: non lo possediamo, semmai ne siamo posseduti. Lo stesso vale con l’arte: ci viene trasmessa, irrompe in noi come una trascendenza. L’arte che pesca nell’inconscio personale ne tira fuori qualcosa di torbido, morboso, legatissimo alla nevrosi dell’individuo. L’arte è sintomatica, non simbolica. Quando l’arte parla per immagini universali e primordiali, in cui c’è un po’ di destino umano (in quanto infinita ripetizione di esperienze sempre uguali), tutti noi ci sentiamo come trasportati da una potenza sovrumana, perché è la voce dell’umanità che risuona in noi. Chi usa immagini primordiali afferra e domina, prende ciò che ha designato e lo eleva dallo stato di caducità e precarietà alla sfera delle cose eterne; innalza il destino personale a quello dell’umanità e libera tutte quelle forze che ci consentono di sopravvivere a tutto. Questo è il segreto dell’azione dell’arte, azione anche a carattere sociale, cioè tradurre nel linguaggio corrente la verità immemoriale che è il nostro destino, rendere possibile l’accesso alle fonti più profonde della vita, e trarre conclusioni sul carattere dell’epoca, cioè mettere in chiaro nell’attualità (il tempo presente, attuale) ciò che è apparso in un certo momento sulla scena del mondo come urgente ed essenziale.
Con l’Esistenzialismo di Heidegger la domanda “cos’è l’arte?” viene oltrepassata in quanto posta metafisicamente. Ne L'origine dell’opera d’arte (1935) Heidegger considera l’opera non già come prodotto, come cosa tra le cose, come oggetto preso dentro una certa rete di valori e di significati, bensì come evento che ogni volta irrompe nel mondo rifondandolo, come originaria possibilità di comunicare e quindi di istituire forme, come ‘origine’. A essere messa in questione è la possibilità del linguaggio di dire l’essere e la sua verità. “La verità come illuminazione e nascondimento dell’ente che si storicizza se viene poetata. Ogni arte, in quanto lascia che si storicizzi l’avvento della verità dell’ente come tale, è nella sua essenza poesia”. L’essenza dell’arte in cui risiedono contemporaneamente opera d’arte e artista, è il porsi in opera della verità e la verità se viene poetata, come rivelazione e nascondimento dell’ente, si storicizza. La poesia fa quello che non fanno né la metafisica, né la scienza, né la tecnica. L’arte schiude gli orizzonti all’interno dei quali il pensiero si interroga sul senso dell’essere e quindi mette in questione la realtà quale appare storicamente.
Gadamer come Heidegger ritiene che l’arte abbia valore di verità; l’arte non solo porta alla luce, da una latenza, qualcosa di nascosto e di non immediatamente visibile, ma così facendo produce la realtà stessa e cioè la presenta, la esibisce e l’immette nel circolo della comunicazione intersoggettiva come arricchita di significato e di peso ontologico. La realtà è data ed è la realtà della storia alla quale siamo consegnati come a un orizzonte intrascendibile.
A portare alle estreme conseguenze il paradosso gadameriano è Derrida che nella visione strutturalista vede un rivolgimento della realtà data fino a disfarla e a ricomporla in una forma irriconoscibile, stupefacente e rivelativa.
La linea Heidegger-Gadamer-Derrida ha contribuito al formarsi della convinzione odierna del Decostruzionismo e dell’Ermeneutica per cui il fare artistico sarebbe tutt’uno con l’interpretare, non essendo l’opera d’arte che interpretazione, anzi, interpretazione di un’interpretazione, e così via all’infinito, in un continuo gioco di rimandi, divagazioni e stravolgimenti testuali.





IL MIO APPASSIONANTE PUNTO DI VISTA

   Antonio Metta

Buongiorno miei cari e amatissimi lettori, oggi vi parlerò di un tema molto importante, interessante e intrigante che sicuramente resta sempre d’attualità che si riferisce all’Estetica; ve ne parlerò soprattutto secondo il mio appassionante punto di vista. Cominciamo dal fatto che a mio parere l’estetica è sinonimo di bellezza, la bellezza non solo per quanto riguarda noi esseri umani ma anche per quanto riguarda la natura o ad esempio un'opera d’arte, una poesia, un bel racconto, romanzo, testo teatrale eccetera. Ora concentriamoci sull’estetica in una persona, in questo caso mi viene in mente l’estetica di una donna: la donna in molti casi già è complicata di natura soprattutto dal punto di vista psicologico, perché le varie donne, al giorno d’oggi, pensano ad essere molto curate, puntano molto sulla precisione, mi riferisco ad esempio al truccarsi, al vestirsi (ovviamente il più affascinante ed elegante possibile, in molte occasioni…), al lavarsi e al mettersi creme su creme, profumi su profumi, sulla bellezza dei loro capelli e tanto altro ancora; insomma curano ogni dettaglio e se qualcosa, anche una minima cosa è fuori posto, apriti cielo! Non dico che diventi una tragedia, ma quasi, poi ovviamente dipende dalla donna in questione, ci può essere una donna che tende come ho detto poc’anzi a curar tutto e magari la donna un po’ più imperfetta che cura molto meno i dettagli, ma tendenzialmente al giorno d’oggi codeste sono la netta o nettissima minoranza rispetto a tutte le altre.
Quindi dopo questa accurata e dettagliata mia riflessione posso dire, nel mio piccolo, che le donne tendono soprattutto attraverso la loro bellezza esteriore ad apparire, non vedono l’ora di ricevere complimenti da altre persone come ad esempio: un uomo si avvicina ad una donna e le dice che sta benissimo con quel trucco, o magari che sta benissimo con il vestito che ha addosso, comunque gli esempi sono molteplici ma sicuramente la donna presa in questione sarà felicissima di aver ricevuto tali complimenti da quell’uomo. Questo però non significa che se una donna è bellissima, elegante ed affascinante esteriormente possa avere un fantastico carattere o viceversa; quindi a mio modo di vedere le cose l’estetica e la bellezza esteriore in una donna possono influenzare positivamente la persona stessa fino ad un certo punto.
Discorso leggermente diverso per quanto riguarda gli uomini: l’uomo nella maggior parte dei casi tende a curarsi di meno rispetto ad una donna nella bellezza esteriore, e cerca di curare di più l’aspetto caratteriale, anche se al giorno d’oggi ad esempio sono aumentati gli uomini che entrano a far parte del mondo della moda o magari inventano calendari o i calciatori non sono solo prestanti dal punto di vista sportivo, ma possono essere bellissimi anche dal punto di vista estetico, infatti tantissime ragazze o addirittura ragazzine perdono la testa per loro, talmente sono fighi e belli. Quindi dopo questa mia attenta analisi, si può dire che l’estetica o la bellezza esteriore di una persona può variare anche dal punto di vista soggettivo e non solo oggettivo.
Adesso vi parlo invece dell’estetica della natura: la natura è molto molto varia, a mio modo di vedere le cose ci sono principalmente due tipi di natura differenti fra loro, esiste quella natura che dal punto di vista estetico è incontaminata, ad esempio noi possiamo goderci un bellissimo panorama, un tramonto, un fantastico paesaggio (magari con vista mare)… poi esiste quella natura dove purtroppo l’uomo attraverso costruzioni o attraverso invenzioni per nulla belle esteticamente parlando, rovina la natura stessa. Inoltre la natura sempre esteticamente parlando ci può colpire ed affascinare attraverso luoghi meravigliosi come il mare (compresi fondali marini stupendi), la montagna, immensi e affascinanti campi di fiori eccetera, quindi a modo mio di vedere le cose, la natura è favolosa, ma al livello estetico e di bellezza è l’uomo che la rovina e distrugge in molti casi anche per sempre. Ora vi parlo dell’estetica attraverso le opere d’arte: ad esempio un quadro può risultare bello o brutto a seconda dei gusti personali e soggettivi, oppure una scultura o un affresco a seconda dei gusti di una persona può piacere o non piacere, quindi questo significa che le opere d’arte non sono apprezzate alla stessa maniera dalla persone. Cambiando genere d’estetica si può dire che per quanto riguarda una rappresentazione teatrale nell’ambito di una scena, non sempre quella scena al livello d’estetica può piacere al pubblico, quindi anche qui entra in gioco il gusto personale e soggettivo di una persona. Infine miei cari amatissimi lettori penso che l’estetica e la bellezza possono variare attraverso l’opinione di una persona e da come ci poniamo in una determinata situazione.





IDOLI, IMMAGINI, VERITÀ

   Edoardo

Quando lessi per la prima volta nella Bibbia, Antico Testamento, un passo della Legge data da Dio a Mosè sul Sinai (Esodo 20, 1 e segg.): “…Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”, certo rimasi notevolmente stupito: ero e sono stato sempre attorniato da immagini, da tutte le parti, nei libri, in riviste, nei musei, anche nelle chiese, oltre che nelle fonti di ‘immagini esclusive totali’ come il cinema e la televisione, tanto che potremmo chiamare la nostra civiltà come ‘civiltà dell’immagine’. Il termine estetica, riferito a una determinata disciplina filosofica, è usato per la prima volta da A.G. Baumgarten (1750) nel senso di teoria della conoscenza sensibile in generale e di quella specifica sua forma che è il gusto. Vari pensatori hanno cercato di approfondire questa ‘forma di conoscenza’: Platone denunciava l’irrealtà delle arti figurative, per la loro lontananza dall’Idea, che è la sede del vero e del reale, ma di cui esse, imitando il mondo sensibile che è già copia di quello ideale, forniscono solo la copia di una copia. Inoltre, per quanto riguarda la poesia e la musica, gravava il sospetto di esposizione pericolosa ed equivoca alle potenze irrazionali dell’anima.
Diversa è la téchne, che è disposizione a produrre manufatti che implica abilità, pieno possesso dello strumento e conoscenza dello scopo. Nel tempo, ad una concezione interamente basata sulla trascendenza di Dio e sulla svalutazione dell’agire dell’uomo viene generalmente opposta una concezione che esalta l’uomo e la sua capacità di dominare e asservire la natura. Per Kant (1700), arte e bellezza non hanno a che fare con la verità, perché la bellezza è apparenza, non riguarda la costituzione degli oggetti bensì unicamente una nostra reazione soggettiva all’atto di percepirli, e l’arte è un gioco, un libero esercizio delle facoltà, indipendentemente dal loro essere dirette a uno scopo. Per Hegel (1800) tutto quel che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale, l’essenza della bellezza risiede nell’arte in quanto prodotto dello spirito. Il fine dell’arte non è né l’imitazione della natura né il tentativo di suscitare sentimenti e purificare le passioni, né l’ammaestramento o il perfezionamento morale: il vero scopo dell’arte è “rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile”.
Nel periodo del Romanticismo e del primo Idealismo si riteneva che l’arte, svelando la verità nella bellezza, fosse il più adeguato e alto strumento di conoscenza, in quanto il falso, l’inganno, la finzione rivelano la verità stessa. L’opera d’arte attesta che l’infinito, cioè la verità, è nel finito. Ma il Romanticismo ha due anime: quella religiosa (es. Novalis) e quella nichilista (es. Schlegel). Nietzsche vedeva nell’estetica la contrapposizione tra un sapere filosofico e un sapere tragico. Certo, oggi si dice che l’estetica ha poco a che fare con la realtà dell’esistenza, con la vita, se non lontanamente. Ma io posso, e penso che chiunque possa più o meno testimoniare, che la lettura di una poesia o di un romanzo, o la visione di un film o di una commedia o anche di un dipinto, oppure l’ascolto di una musica, ha toccato a volte più o meno profondamente la nostra sensibilità, ha fatto affiorare ricordi, sentimenti, ci ha dato, fosse anche per un solo attimo, la sensazione di una verità che si svela.Però mi chiedo anche se, in questo nostro tempo, ha più valore una ‘persona’ o un’opera d’arte (fosse pure la Monna Lisa di Leonardo).





COS’È LA MIA ESTETICA

   Luca G.

L a mia estetica è una cosa fatta bene. È vero che non si può pretendere la perfezione assoluta, anzi si dice addirittura che la perfezione assoluta non esiste, ma non significa che non si possa tentare di avvicinarcisi il più possibile. Se una persona fa una cosa nel tentativo di farla per bene, non c’è niente di male. Più cura ci mette nel fare questa cosa, più significa che ci tiene, anzi si può dire che questa persona faccia la tal cosa con amore, con passione. Magari perché vuole far bella figura con gli amici o con la famiglia, o perché vuole soddisfare al massimo il suo datore di lavoro.
In ogni caso può succedere, o almeno è molto probabile che la tal persona voglia far sì che la cosa che sta preparando, che sta producendo, si avvicini il più possibile all’idea che si era fatto della cosa stessa da realizzare. Questa cosa, una volta ultimata, più si avvicina a come il suo creatore l’aveva immaginata, più è perfetta, ed esteticamente parlando è qualcosa di eccellente. Se questa cosa la trovano eccellente anche la maggior parte delle persone che la vedono, allora la tal cosa è ancora migliore dal punto di vista estetico. Non sto parlando solo di un’eventuale opera d’arte, ma l’esempio può essere applicato anche quando si tratta della stesura di una pratica in un ufficio, o di un articolo di giornale senza errori di battitura o parole e lettere messe nel posto sbagliato, o di un manifesto per promuovere un prodotto. O ancora di una squadra di calcio che fa un bel gioco. Prendiamo per esempio il Foggia di Zeman. È vero, prendeva molti gol, ma ne faceva altrettanti, e inoltre in campo faceva un gioco che a vedersi era uno spettacolo, che suscitava l’ammirazione di tutti. Calcio champagne, lo chiamavano. Quindi, esteticamente, era una cosa bella.
Ma anche una squadra che gioca male, in modo rozzo, senza tattiche precise, ma che ottiene vittorie su vittorie, è una squadra che ha qualcosa di estetico. Una squadra del genere, che pratica un gioco redditizio, è considerata forte, e questa sua forza fa parte del suo modo di essere bella. Anche una donna che ha partorito dodici volte, con un fisico da lavandaia, coi fianchi larghi quasi un metro, ma che canta in modo melodioso, è qualcosa che ha una sua bellezza. Spesso, proprio quel che ci sembra brutto ha in sé l’essenza del bello. Forse quindi anche la bruttezza ha una sua bellezza. Basta solo scoprirla. Un esempio? Honoré Fragonard (leggi 'Fregonard') era uno scultore un po’ particolare: costui prendeva dai cimiteri cadaveri o resti umani o animali, li sezionava e ne ricavava delle sculture terrificanti. Una di esse, equestre, fu la sua rovina perché considerata un po’ come la Morte in persona a cavallo. Eppure, queste raccapriccianti sculture, così lontane da quelle greche che mostravano corpi perfetti, ideali, avevano una loro bellezza, una loro valenza estetica, tant’è vero che Luigi XVI ne acquistò alcune per mostrarle ai conoscenti e sbalordirli. Questo significa che questo scultore, visto come eccentrico agli occhi degli altri, le sue opere le faceva proprio bene. Un altro esempio di estetica, un po’ più banale, è quella fisica delle donne, ma perché no, anche degli uomini. E anche qui è possibile trovare individui che sanno riconoscere la bellezza di qualcuno. Ci sono uomini che pur non restando indifferenti davanti alle belle donne, sanno rendersi pienamente conto che ci sono altri uomini che possono essere belli, accettabili dal punto di vista estetico, magari perché hanno bei muscoli, o uno sguardo rassicurante, o una voce calmante.
E allo stesso modo ci sono donne non appariscenti che sanno riconoscere quanto bella sia un’altra donna. Ciascuno ha un suo senso estetico, una sua capacità di vedere la bellezza altrui in chiunque, e in qualunque cosa, anche nelle persone dello stesso sesso, o in cose o persone che la maggior parte della gente trova disgustose. E chi ha questo senso estetico non è affatto da considerarsi ‘frocio’, oppure stupido, ma al contrario è da definirsi sensibile. Una persona che ha senso estetico e che trova bella l’obesità non è matta, tutt’al più si può dire che non pensa troppo alla sua salute o a quella delle persone obese. Se questa persona cerca di diventare obesa perché così si sente bella ma non bada alla propria salute, allora è solo dotata di senso estetico. Ma se questa persona ha anche un senso critico che la porta a rendersi conto che l’obesità è malsana, che può far male al fisico, allora è chiaro che deve raggiungere un compromesso, o almeno fare un sacrificio. Sacrificare il proprio ideale di bellezza per migliorare la propria salute è a mio parere una cosa positivissima, ma se devi sacrificarlo solo perché gli altri te lo impongono, o ti dicono alle tue spalle che sei brutto o ciccione, allora questa è una cosa veramente brutta. E devi andare a parlarne con qualcuno, perché ti aiuti a risolvere il problema, magari sopportando, oppure convincere queste malelingue perché si sbagliano. Ognuno deve essere bello come crede, senza badare a quel che dicono gli altri, magari perché sono invidiosi o non hanno niente da fare che insultarti. Ma è anche vero che ci sono ragazze e ragazzi che divengono eccessivamente magri, anoressici o bulimici, anche se nessuno gli va dietro e gli dice che sono grassi. Anche in questo caso ci vuole qualcuno che li aiuti. E scuotere il loro senso estetico, cambiarlo, è l’ultima cosa da fare, l’estrema risorsa, proprio perché far cambiare l’opinione sull’estetica a una persona è molto, molto delicato. Facendolo in modo sbagliato, si può fare un danno irreparabile, come appunto portare una persona a un estremo o all’altro, cioè portarlo a mangiare smisuratamente, tutte le ore, o a dimagrire in modo eccessivo. Ecco quindi dimostrato che far capire qual è l’ideale estetico è alquanto difficile, che ci vuole anche un intervento psicologico certe volte. Fare sport, curare l’alimentazione e il riposo rendono una persona bella da vedersi, ma non bisogna esagerare: quanti culturisti o wrestler che si fanno venire dei muscoli grossi grossi riescono poi a sopravvivere a lungo? Ci sono casi di persone muscolosissime, fatte di troppa carne, che non reggono a un infarto. E poi il muscolo fa massa grassa, tant’è vero che Schwarzenegger, invecchiando, è diventato assai meno attraente di quello che era all’inizio della sua carriera. Passiamo ora alle donne, e a come un uomo cerca la sua donna ideale puntando anche sull’aspetto fisico. Gli uomini sono portati a cercare la donna più bella possibile, o che si avvicini il più possibile al loro ideale di donna perfetta. Che può cambiare a seconda di molti fattori, esterni o interni, di tempo e di luogo, proprio come avviene nella storia dell’arte. Per questo motivo, può succedere che un uomo si innamori di una donna che si avvicina di molto al suo ideale di donna bella: bionda, zigomi alti, pelle chiara, occhi azzurri. Poi però quest’ipotetico uomo ne vede una che si avvicina ancora di più al suo ideale di bella donna, magari perché ha un viso meno spigoloso della precedente, un sorriso più allegro e uno sguardo che lui trova più dolce. Quindi non è impossibile che si innamori di quest’altra donna.
Peccato che gli uomini (ma anche le donne, per la verità) tendano a disamorarsi delle donne che hanno trovato, amato e sposato, quando esse diventano vecchie. Non tutte perdono la loro avvenenza con l’avanzare dell’età, ma quelle che la perdono come ci restano? Si può giustificare un uomo che sposa una ragazza solo per la sua avvenenza? E che quarant’anni dopo divorzia da essa per sposarne un’altra, che anagraficamente potrebbe essere sua figlia o sua nipote addirittura? L’estetica può e dev’essere anche la bellezza d’animo. Può capitare di sposare una bella donna e poi pentirsene perché non ha un altrettanto bel carattere. Anche l’occhio vuole la sua parte, sì, ma l’importante tra un uomo e una donna, nel rapporto di coppia, non è solo consumare amplessi a tutto spiano, mossi dalla bellezza e dall’attrazione reciproca. L’importante è stare insieme e vivere insieme, serenamente, ogni giorno che si passa insieme. Anzi, io dico che l’amore non è fare sesso, ma invecchiare insieme. Bisogna saper scegliere, ma anche saper convivere. Non siamo tutti uguali. E non siamo tutti perfetti. E ora voglio contestare apertamente un proverbio che tutti conoscono e dicono. Il proverbio “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”, secondo me è sbagliato. Semmai, dovrebbe essere corretto in questo modo: “Non è bello solo ciò che è bello, ma è bello anche ciò che piace a ognuno”.
Non è bello ciò che è bello… ma stiamo scherzando? Come può qualcosa essere bello e non bello nello stesso momento? E se quello che è bello non è bello, allora quello che è brutto com’è, che cos’è? Forse qualcosa è bello per qualcuno e non è bello per qualcun altro… magari questo è il significato del proverbio. Però io sono del parere che ci sono cose che sono belle a prescindere, come la perfezione, la serenità, la gioia, la speranza, e poi ci sono cose che piacciono. Il fatto che Homer Simpson trovi i musei noiosi e gli autodromi divertenti non vuol dire che sia per forza così. Se lui la pensa in questo modo, sono affari suoi. Ed egli non deve pensare che anche tutti gli altri la pensino come lui, o pretendere che tutti la pensino come lui. I musei e gli autodromi hanno una loro bellezza. Possono piacere e non piacere. C’è chi trova gli autodromi noiosi e i musei divertenti, per esempio. E queste persone vanno rispettate e tollerate. L’importante non è cosa è bello o non bello, cosa piace o non piace: l’importante è rispettare le idee e le opinioni altrui, anche in fatto d’estetica. Ripeto, ci sono però cose che a prescindere sono belle. Anche se piacciono o non piacciono. E ora, faccio un esempio rivolto a me stesso. Avete presente Jennifer Aniston, ex moglie di Brad Pitt, famosa per il ruolo di Rachel Green in Friends? Ebbene, a me non piace. Penserete che sono matto: è bionda, ha gli occhi azzurri, belle gambe, è vero. Però a me non piace, e sapete perché? Perché non si avvicina abbastanza al mio ideale di donna. Secondo me, lei ha i lineamenti del volto troppo marcati, e non l’ho vista quasi mai sorridere, quasi sempre seria. E quando l’ho sentita parlare, doppiata in italiano o in originale, mi è sempre parsa severa, come se avesse qualcosa. Una a cui c’è sempre qualcosa che non va bene, quindi. Ci sono attrici che hanno i lineamenti del volto più dolci. Non datemi addosso solo perché io di una donna guardo anche la faccia! Anzi, fatelo anche voi! Che razza di uomo è uno che guarda solo i seni, i fianchi, il sedere? La Aniston ha moltissimi fan in tutto il mondo, perciò piace. E quindi è bella. O meglio si dice che è bella. Ma ci sono anche uomini a cui non piace. E se qualcuno chiama ‘froci’ questi uomini, questo qualcuno è da biasimare e placare.
Ribadisco: Non è bello solo ciò che è bello, ma è bello anche ciò che piace a ognuno.
Tornando infine a una delle frasi cardini di questo mio scritto, cioè che la perfezione assoluta forse non esiste, questo può far pensare a qualcos’altro: per quale motivo gli esseri umani faticano a trovare l’uomo o la donna ideale. Sia nelle cose, che nelle altre persone. E se faticano a trovarla, probabilmente dev’essere perché l’uomo o la donna ideale non esistono. Anche se comunque le persone le cercano a tutto spiano. Fin dalla notte dei tempi uomini e donne cercano la donna e l’uomo perfetto. Ed è normale che continuino a cercarli in eterno. E se questo succede, forse è proprio perché nessuno di noi è perfetto, perché ciascuno di noi ha una sua estetica, e perché non siamo tutti uguali. Anzi, siamo tutti uguali e diversi. Come dice Laura Pausini in una delle sue ultime canzoni, siamo ‘simili’. E oltre ad avere un nostro senso estetico, dobbiamo scoprire, condividere e godere ‘la meraviglia di essere simili’.





ESTETICA DELLA MODERNITÀ

   Pino

A.G.Baumgarten (Berlino 1714 - Francoforte sull'Oder 1762), filosofo tedesco, è da considerare l'inventore dell'estetica in età moderna come disciplina filosofica che si occupa del bello e dell'arte. In età antica il bello e l'arte venivano disciplinati dalla poetica. Baumgarten riserva all'estetica il campo delle conoscenze che, provenendoci dalla percezione, non hanno per oggetto idee chiare e distinte, ma idee confuse e vaghe. Riconosce la possibilità attraverso la riflessione di individuare leggi che regolano questo ambito di conoscenze. Ritrovare leggi di comprensione della materia sensibile alla stregua di quello che aveva fatto Newton per la materia fisica. La materia sensibile è composta di una varietà confusa e indistinta quali: sensazioni, passioni, sentimenti.
Introduco il pensiero filosofico di Cartesio sulla sfera del sensibile e dell'affettività perché Kant in seguito gli opporrà delle critiche molto severe e si distanzierà profondamente dal filosofo francese che aveva condizionato fortemente la visione dominante della sensibilità e dell'affettività umana del suo tempo.
In una delle sue opere filosofiche, Passioni dell'anima, al tema dell'unione fra l'anima e il corpo nell'uomo è dedicata l'ultima stagione della sua attività filosofica. In un'altra sua opera filosofica, Trattato sulle passioni dell'anima, su argomenti di psicologia e di morale, il filosofo spiega il meccanismo fisiologico coinvolgente il cuore ed il cervello, che produce come effetto nell'anima i sentimenti; e questi ultimi vengono analizzati dal filosofo nella loro forma semplice, come meraviglia [stupore], amore, odio, desiderio, gioia e tristezza, dalla cui combinazione deriverebbero le varie passioni, nella prospettiva di un dominio razionale auspicabile delle passioni. Cartesio risente della tradizione stoica, riconoscendo la piena naturalità delle passioni. La filosofia delle passioni di Cartesio ha un duplice scopo: limitare l'influenza del sapere artistico che nasce dalla tragedia (con la sua mimesi, attraverso l'imitazione o l'immedesimazione, e la catarsi, come rivolgimento) e delineare accuratamente i confini della sensibilità e del sentimento nei processi conoscitivi. Infine distinguere la res cogitans o la conoscenza chiara e precisa dalla res extensa, dalle passioni cieche. Cartesio con il suo Discorso sul metodo rivela profondi sospetti sulla natura conoscitiva dell'arte, dal momento che il suo punto di avvio filosofico è il rifiuto del modello ‘umanistico’ di formazione, cioè la tragedia. Il fine del Discorso sul metodo non è raggiugere la chiarezza sulla genesi della propria personalità affettiva, bensì la comprensione di un metodo che per quanto soggettivo possa fondare una ‘oggettività’ conoscitiva. Per Cartesio la ‘leggiadria delle favole’ ravviva lo spirito, così come l'eloquenza si presenta come ‘forza e bellezza incomparabili’ e la poesia come ‘finezza e dolcezza che rapiscono’, però secondo il filosofo tali percezioni possono essere dannose per la conoscenza, perché ogni elemento favoloso fa immaginare ‘fatti impossibili’, sacrificando il ‘valore dei fatti', a favore di caratteri solo ‘interessanti’ e dunque capaci di destare attenzione emozionale nello spettatore.
Passioni dell'anima. Il rifiuto di Cartesio che s'esprime con la messa tra parentesi dei contenuti qualitativi ed affettivi ha delle conseguenze negative sulla soggettività umana fino a quando la psicoanalisi freudiana scoperchierà questa menzognera antropologia. La messa in discussione della soggettività cartesiana fondata sull'assioma cogito ergo sum (penso quindi sono) da parte degli analisti della psiche, giungerà a contrapposte conclusioni dopo l'affermazione perentoria di Sigmund Freud: “Nessuno è più sovrano a casa propria”, affermazioni pronunciate all'inizio del XX secolo, che getteranno nello sgomento gli intellettuali del tempo. Cartesio separando rigidamente qualità e quantità, affettività e pensabilità, rende implicitamente possibile l'autonomizzazione di quel terreno qualitativo di cui tanto sospettava la dimensione della corporeità o della sua res extensa). Sensibilità, immaginazione, passione, fantasia ma anche retorica, poesia ed arte sono spazi del sapere, come lo sono l'attività, la storia e le tradizioni, che però non sono facilmente inseribili nel nuovo edificio cartesiano. Lo dirà con un verso memorabile Leopardi in polemica con il tentativo del filosofo Cartesio di matematizzare l'infinito: “naufragar m’è dolce in questo mare”. Lewis Carrol con Alice dietro lo specchio rimanda ad un'immagine rovesciata, come passione o dimensione inconscia con un ruolo essenziale e perturbante. Perturbante perché rivela la presenza di un sapere altro, oscuro, confuso, che ricorda la retorica, ma non è più retorica come arte di disporre le cose e gli animi. Cartesio sospetta delle passioni, per le ‘animali passioni’ del corpo, ma anche per le passioni dell'anima, che sono pur sempre ‘segnale’, ‘sintomo’ della corporeità. Estende il termine ‘passione’ alla totalità della vita affettiva e al suo radicamento affettivo - res extensa - definendola in modo indistinto e confuso come percezione, sentimento ed emozione.
D. Hume (Edimburgo 1711-1776) si differenzierà fortemente da Cartesio. L'originalità della ricerca filosofica di Hume sta nel tentativo di applicare il metodo sperimentale allo studio della natura umana, come fondamento di una nuova sistematica generale del ‘sapere’. In una delle sue opere, il Trattato sulla natura umana, sostiene che la scienza dell'uomo è resa possibile dall'uniformità della natura umana. Questa è indagata a partire dall'universo mentale, caratterizzato dalla ‘percezione’, termine col quale Hume designa ogni contenuto psichico. Le percezioni vengono distinte poi in ‘impressioni’, passioni ed immagini immediatamente presenti alla mente, e le ‘idee’, che sono copie illanguidite delle impressioni. Hume pone così tra passioni ed idee una esclusiva differenza di forza, potenza e vivacità. Idee ed impressioni si corrispondono sempre, e le prime dipendono dalle seconde; è possibile approntare un metodo rigoroso di critica delle idee. Si dovrà controllare se le idee abbiano un corrispettivo reale nelle impressioni, dall'altro, le idee oscure possono venir chiarite e precisate attraverso il confronto con le impressioni corrispondenti.
Immanuel Kant (Koenigsberg ora Kaliningrad, 1724-1804), massimo rappresentante tedesco dell'Illuminismo, autore di una vera rivoluzione filosofica, distrugge la metafisica dogmatica, per lui impersonata dalla sistematica di Wolff, procedendo ad una critica della ragione che determina le condizioni di possibilità e i limiti di validità delle capacità conoscitive dell'uomo nei vari campi dell'attività: scienza, morale, arte eccetera. Kant nella Critica della ragion pura distingue la varietà del sensibile o del sentire umano attribuendo ad ognuna di esse una funzione positiva o negativa e attraverso queste distinzioni spingere al sentimento, al giudizio, al gusto, al senso comune (alla condivisione). L’emozione per Kant svolge una funzione di mediazione tra il ‘sensibile’, dimensione del sentire (che per le neuroscienze contemporanee riguarda la sotto-corteccia cerebrale o il sistema limbico viscerale [via bassa] e la corporeità nel suo insieme, con gli altri sistemi immunitario ed endocrino) e l’‘intelligibile’, dimensione del pensare - pesare e soppesare (che per le neuroscienze si riferisce all'area della corteccia cerebrale [via alta]).
Prima di Baumgarten e di Kant nell'Europa del XVII e XVIII secolo gli argomenti estetici - il bello ed il sublime - venivano trattati separatamente e non erano oggetto di una trattazione unitaria. Tali aspetti venivano analizzati da un lato dalla filosofica metafisica cartesiana e da specifiche tecniche poetiche: letteratura [poesia, tragedia], musica, arte, danza eccetera.
Kant distingue tra sensazioni e sentimento, distinzione che non è ontologica o sostanzialista bensì funzionalista, e porta all'interno di una unitaria concezione conoscitiva dell’estetica. È la sensazione e non il sentimento, per Kant, a non poter giudicare, cioè esprimere un giudizio, infatti, come si afferma nella Critica del Giudizio, non ha una funzione teoretico-scientifica. Quando però si rivolge a fenomeni come sentimento di piacere e di dispiacere può senza dubbio esercitare un giudizio. Il giudizio in quest'ultimo caso per il filosofo è extra-teorico ma non è extra-conoscitivo, poiché per Kant la funzione essenziale di una vera e propria ‘facoltà di giudicare’ si esplicita in una relazione conoscitiva-teorica tra il particolare e l'universale. Kant distingue funzionalmente tra passione, sensazione e sentimento.
Quando Kant parla di ‘antropologia’ intende in primo luogo un riferimento al mondo dell'esperienza umana, nel senso ampio del termine, al cui centro si pone la sensibilità, l'affettività, il sentimento. Il suo approccio non parte da un’analisi metafisica di un’anima immutabile, come fanno altri filosofi come Platone e Cartesio, né sulla ricerca delle costanti empiriche della natura umana, come fanno Burke e Hume. E neppure un’indagine puramente ‘fisiologica delle emozioni’, come fa il filosofo Cartesio nell'opera Le passioni dell'anima, a cui Kant rivolge una forte critica. Il mondo emozionale (sensibile) per Kant può essere compreso attraverso un attento esame di ciò che lo rende propriamente umano, cioè il sentimento, che si rivela allora strettamente connesso all'antropologia umana, la quale ci permette, a dire del filosofo, di portare anche una radicale revisione della psicologia cartesiana. Il sentimento è allora il Giudizio. Il termine ‘facoltà di giudicare’ emerge come capacità di ‘essere sensati’, nella capacità di applicare al particolare un sapere universale. Riguardo a sensazione e sentimento, Kant sospetta della perfezione sensitiva del filosofo Baumgarten, diverso è il suo punto di avvio per considerare la questione del sentimento, la cui genesi coincide con la comprensione dei significati che può assumere l'estetica trascendentale attraverso le molteplici funzioni della sensibilità operanti sia nella sensazione sia nel sentimento. La diversità deriva inoltre dal differente ruolo rivestito dall'antropologia in Kant. Quando Kant parla di antropologia intende in primo luogo un riferimento al mondo dell'esperienza comune, nel suo più ampio termine, al cui centro si pone la sensibilità, l'affettività ed il sentimento. Kant si avvale della psicologia empirica di Baumgarten, delle opere di Rousseau e dei ‘critici del gusto’ inglesi, in primo luogo Burke e Hume. Nella sua Critica del Giudizio, alla domanda “che cos'è l'uomo?” egli afferma che tale risposta spetta all'antropologia. Kant sospetta del termine ‘estetica’ coniato da Baumgarten, dichiarando di preferire l'espressione ‘critica del gusto’, che deriva dagli empiristi inglesi quali Hume. Kant polemizza poi con Cartesio quando il filosofo francese assimila sentimento, passioni ed emozioni che vanno invece distinte per Kant, per evidenziare il significato critico del gusto in quanto facoltà estetica, definito come ‘sentimento del bello’ puro e disinteressato che tende ad una dimensione formale. Infatti nel gusto ciò che produce il piacere non è soltanto la sensazione materiale della rappresentazione dell'oggetto [la modificazione fisiologica prodotta dalla sensazione], ma il modo in cui la libera immaginazione produttrice la compone nell'invenzione, cioè la ‘forma’, poiché solo la ‘forma’ può far valere la pretesa ad una regola universale per il ‘sentimento del piacere’. È questa pretesa che fornisce una validità universale al sentimento, che spinge Kant a differenziare sul piano antropologico il sentimento da altri aspetti dell’emozionalità, che rimangono invece chiusi nei limiti empirici o razionali della psicologia. Affermare che il sentimento è ‘il modo di sentire del gusto’ permette a Kant di definire altri modi dell'orizzonte ‘sensitivo’ che vanno distinti dall’intento conoscitivo proprio alla visione trascendentale dell’estetica. La passione è soltanto l’inclinazione che la ragione del soggetto non controlla o controlla con difficoltà, mentre l'emozione è quello ‘stato sentimentale che impedisce al soggetto di riflettere’. Le analogie con l’impostazione cartesiana si limitano all’esigenza di ‘controllare’ la sfera dell'affettività. Ma è proprio perché differenzia le funzioni all'interno di quella sfera dell'affettività, facendo di essa un banco di prova dei ‘poteri’ del soggetto, che non può negare che la dimensione affettiva sia genericamente una ‘predisposizione al giudizio’. Infatti, la passione è il contrario del giudizio, l'emozione ha un significato mediatore, mentre il sentimento è connesso ad una modalità giudicativa che rivela la capacità a priori, capacità antropologica che il soggetto possiede di giudicare la relazione tra le sue capacità conoscitive. Quando, invece, essere preda di passioni ed emozioni è una malattia dell'animo perché esse escludono il dominio della ragione, pur riconoscendo che, tra loro ‘differiscono in qualità’ e richiedono metodi completamente diversi ‘sia per prevenirle che per guarirle’.
La distinzione tra emozioni e passioni non è irrilevante. Se infatti l'emozione pregiudica momentaneamente la libertà e l'autocontrollo, la passione è una rinuncia definitiva all’esercizio del giudizio, è quindi segno di un piacere che si realizza nella schiavitù. Le passioni sono infatti sofferenze o malattie incurabili della ragione pratica e non svolgono alcuna funzione in quella che è l'autentica ‘destinazione’ di uno studio antropologico, cioè la capacità di comprendere i nessi tra l’esperienza ed il giudizio, legando la prassi particolare all’universalità del raziocinio, trovando regole universali anche là dove mancano norme assolute. Compito specifico e critico del sentimento è individuare queste regole, facendo comprendere quale è l'essenza dell'antropologia, che l’uomo è destinato dalla sua ragione a formare una società con gli altri e in questa società a coltivarsi e moralizzarsi mediante l’arte e la scienza. Ovvero l’uomo è destinato a formare un ‘senso comune’, che è il sentimento stesso ed è la sua destinazione antropologica. La centralità del sentimento è dunque quella di manifestare la ‘facoltà di giudicare’ come nel senso comune ove si legano esperienza e giudizio: un potere che non è empirico o normativo ma che, per esibire sue capacità e funzioni, deve procedere secondo un preciso apparato regolistico.
Grammatica del sentire: la ‘facoltà di giudicare’, Urteilskraft o giudizio, è stato notoriamente utilizzato prima di Kant, da Meier, l'allievo di Baumgarten, anche se, solo in Kant diventa baricentro sentimentale tra le facoltà umane. Questa facoltà, o capacità, ha un significato più ampio e comprensivo rispetto ai singoli giudizi, in senso estensivo la capacità di essere sensati nell’applicare un sapere universale.
Idealismo tedesco e dissoluzione dell'estetica. Il rapporto tra arte e storia (arte e società) è il modo caratteristico in cui nel XIX secolo si elabora il nesso raggiunto per vie diverse nel Settecento tra arte e bellezza. E cioè nel senso che la bellezza a cui l'arte mira non può essere altro che il carattere di una ‘umanità conciliata’ (Schiller), o nel senso che non c'è altra bellezza se non quella realizzata dall'arte, o altrimenti come uno dei momenti supremi della liberazione dello Spirito che si attiva come processo storico (Hegel, Fichte, Schelling). L'estetica appena costituita come disciplina autonoma con Baumgarten e poi ridefinita da Hume e Kant va incontro ad un processo di dissoluzione in quanto rientra nella filosofia della storia con la morte dell'arte. Hegel dirà di Napoleone vittorioso a Lipsia contro le monarchie assolute e conservatrici: “Ho visto lo Spirito cavalcare a Lipsia”. G. Lukacs e l'estetica marxista. In Arte e coscienza di classe Lukacs conferisce all’arte, nella misura in cui è autenticamente ‘realistica’, la funzione di rappresentare la dinamica profonda della società, assolvendo una funzione progressiva e rivoluzionaria.
E. Bloch - Lo spirito dell'utopia - L'arte si configura come una forma di coscienza anticipante, consapevolezza fantastica. Nel fine utopico che guida la storia dell'umanità verso l'emancipazione dall'alienazione. W. Benjamin, Adorno, Marcuse condivideranno questa visione utopica e critica di Bloch. Nietzsche e L'irrompere del dionisiaco. Con la fine della metafisica classica si concluderà anche il pensiero estetico apollineo che garantiva proporzione, misura, simmetria e razionalità e il comparire del dionisiaco in tutte le forme delle arti come filosofia ed estetica della dismisura, dell’asimmetria e dell'irrazionalità.





IL SOGNO

   Luca G.

Un tizio coi baffi spessi e folti aveva una strana caratteristica, un’autentica singolarità: tutte le volte che andava a dormire, sognava sempre di chiedere a qualcuno il significato di qualcosa. Una notte, come raccontò al suo psichiatra, aveva sognato di chiedere cosa fosse l’estetica. Il sogno era iniziato con il tizio baffuto che incontrava Pino, il suo logorroico vicino di casa. “Cos’è l’estetica?”, gli aveva chiesto d’impulso, pensando che lui gli avrebbe dato una definizione chiara e precisa, anzi stringata. “L’estetica è quel tipo di esperienza che facciamo quando troviamo bello o brutto qualcosa - aveva detto Pino - lo studio della bellezza e del sublime nascosto nelle cose, di come la bellezza ci colpisce. La bellezza - continuava imperterrito Pino - è insita nelle cose, tanto da essere presente anche nella mente e nello spirito degli individui. È innata”. Il tizio coi baffi aveva ascoltato tutto, però si era ritrovato a cercare nella sua mente qualcosa da chiedere. Stava per aprire bocca, ma Pino non l’aveva notato ed era andato avanti a parlare: “Gli antichi vedevano le persone esercitare e cercare il bello praticando l’arte, l’atto creativo dell’uomo per eccellenza in tutte le sue forme: danza, scultura, poesia, eccetera. In epoca moderna invece il bello veniva raffigurato dall’opera d’arte senza vincolo utilitaristico e morale”.
La definizione era parsa al tizio baffuto assai complicata. Avrebbe voluto chiedere a Pino di quale opera d’arte stesse parlando, però gli venne da dire: “Sì, ma cos’è l’estetica? Puoi spiegarmelo meglio, perché mi sono perso. L’estatica classica, specie greca, è difficile da dividere”… “Dividere in che cosa? - si era chiesto il tizio baffuto - perché per i Greci l’arte aveva a che fare con l’intelletto, e non con la sensibilità. Comunque, nel periodo arcaico, essi già avevano sviluppato una loro idea del bello”.
A quel punto, era apparso un vecchio rugoso, coi capelli bianchi e corti, che disse: “Signori, buongiorno… Permettete che mi presenti, sono Aristotele”. “Aristotele il filosofo?”, aveva chiesto Pino. “Ne conoscete un altro?”, aveva replicato il vecchio.
Senza che gli altri due potessero rispondere, Aristotele aveva preso a raccontare: “Mio nonno Socrate vedeva l’arte come rivelatrice e imitatrice della natura. E un po’ ha ragione, perché ha visto qui e là delle opere d’arte fatte dall’uomo che sono somiglianti al mondo che ci circonda. Mio padre Platone, invece, diceva che la bellezza era un’idea. Per lui, tutto era un’idea! Il bello era un bene, anzi, ‘il’ bene. Ma considerava anche la natura come una copia del bello. Quindi l’arte per lui era una copia di un’altra copia. La natura copia il bello, e l’arte copia la natura”. “E fin qui niente di male”, aveva detto Pino. “Più uno si avvicina all’idea del bello, più bella è la cosa da lui fatta”, aveva detto Aristotele. “Io invece sostengo che l’artista debba essere in grado di fare continuità tra la natura e l’arte... proprio perché l’oggetto artistico, come un vaso o una statua, è la copia della natura stessa”. Il tizio baffuto era rimasto a bocca aperta nel sentir dire da Aristotele che Socrate e Platone erano suoi parenti invece che filosofi, tanto da aver prestato pochissima attenzione alle parole da lui dette. E non sentendosi ancora soddisfatto, aveva detto di nuovo: “Sì, ma cos’è l’estetica?”. In quel momento, erano apparsi due individui vestiti con una tunica lunga e colorata, ma dall’aspetto molto più giovane di quello di Aristotele. Uno di essi si presentò col nome di Tommaso, l’altro col nome di Bonaventura. “È vero che l’arte imita il mondo visibile, infatti ciò che si dipinge è ispirato proprio da quel che si vede - aveva detto Tommaso - però il bello non è un’idea… il bello è Dio!”
Sopra la testa del tizio baffuto era apparso un gigantesco punto interrogativo, o almeno egli aveva avuto l’impressione che si fosse formato sopra di lui. “Il mondo è sì bello, ma è pur sempre un riflesso del divino”, aveva detto Bonaventura. “Il mondo è bello? Ma quando mai?”, si era chiesto il tizio baffuto, e ripensava al terrorismo, alla delinquenza, alla criminalità, alle guerre, all’inquinamento. “Quando l’arte tocca il corde dell’anima, è allora, e solo allora, che si percepisce il bello, il divino - aveva proseguito Tommaso - il centro del mondo è Dio e tutto ciò che è bello e divino, perché riconducibile a Dio”. “Anche se bene e bello rimangono pur sempre indistinti”, aveva aggiunto Bonaventura. “Ma questi qua dove sono stati tutto questo tempo? Ad ascoltare suonare l’arpa?”, si era chiesto il tizio baffuto. All’improvviso una voce risuonò fuori dal suo campo visivo, cogliendo tutti di sorpresa, anche Pino. “Voi due siete completamente fuori strada! - fecero le voci fuori campo, rivolte a Tommaso e Bonaventura - Dio al centro del mondo? Ma che cosa dite? Non c’è solo il mondo, attorno a noi e fuori di noi c’è l’universo! E i nostri astronomi possono dimostrarvelo! Inoltre al centro dell’universo non c’è Dio, ma c’è l’uomo! Non è Dio che è al centro del mondo, è l’uomo che è al centro dell’universo!”. Coloro che avevano parlato erano alcuni individui vestiti con abiti del ‘600. Per loro, almeno così era parso al tizio baffuto, tutto era un continuo confronto: l’arte si confrontava con la natura e con sé stessa, e quindi si modificavano e aggiungevano tecniche figure e rappresentative fino ad allora sconosciute. L’uomo si confrontava con la natura, l’esperienza con la ragione, il sacro con il mondano e il profano. “Ma cos’è, un torneo sportivo?!”, si era chiesto il tizio coi baffi folti. Di nuovo chiese: “Cos’è l’estetica?”. Tutti erano ammutoliti, tranne Pino, rimasto sempre tranquillo. “Un tizio di nome Baumgarten ci dice cos’è l’estetica…”… “Ah, finalmente!”…“Baumgarten definisce l’estetica come scienza del bello, che deve produrre la visione della perfezione. Attraverso i sensi, egli dice, è possibile scoprire il bello e il sublime e trovarlo in qualsiasi cosa”. Il tizio baffuto si sentiva già bell’e soddisfatto, quando Pino aveva preso a proseguire: “C’è pure l’accordo tra pensieri unificati in una cosa che si vede, l’ordine interno della cosa stessa e la continuità di senso tra pensiero e cosa”. “Va bene”, aveva tentato di fermarlo il tizio baffuto. “Kant, invece - aveva continuato Pino - è il primo teorico dell’estetica. E ne fa una visione tutta sua prendendo da tutti i filosofi che l’hanno preceduto”. Tutti gli individui apparsi attorno all’uomo baffuto e a Pino avevano cominciato a osservare attentamente quest’ultimo, sentendosi presi in causa. “Si diceva che l’arte svelasse la verità nella bellezza, e che quindi fosse strumento di conoscenza. Kant non ne era affatto convinto: per lui la bellezza è apparenza, qualcosa di soggettivo. L’arte per lui era solo un tramite”…
“Tra che cosa?”, aveva domandato il tizio baffuto, senza però venire ascoltato.
“Il piacere che si prova con la percezione porta a fare un giudizio estetico - aveva continuato Pino - l’arte coincide con la capacità di assimilare la natura, in modo che l’opera dell’uomo possa apparire come opera della natura medesima, grazie a un’operazione di prospettiva contemplativa”. “Basta”, aveva detto il tizio baffuto con voce ferma ma senza risultato. “Per Hegel, invece - aveva proseguito Pino - l’arte è superata dalla religione cristiana e dalla riflessione filosofica, che sono due cose che sono in grado di spiegare cosa sia l’assoluto, molto meglio di quanto possa fare l’arte”. Il tizio baffuto aveva iniziato a sentirsi montare dentro una gran rabbia, ma Pino non se n’era neanche accorto. “L’estetica deve mostrare l’arte, il bello - aveva proseguito - come manifestazione, apparizione sensibile dell’idea, ossia dell’intelligibile. e deve mostrare come tale manifestazione dia luogo nel tempo a una molteplicità eterogenea di forme.” “Basta! - aveva urlato l’uomo baffuto - io volevo solo sapere cos’è l’estetica! mi dici cos’è l’estetica?”… “Nietzsche, invece…” aveva continuato a dire Pino, ma subito dopo egli era stato finalmente interrotto. Non perché il tizio coi baffi folti lo aveva bloccato fisicamente, tappandogli la bocca con una mano, ma perché il sogno era finito di botto, proprio in quel momento, lasciando l’uomo baffuto a bocca aperta e con ancora in testa l’interrogativo irrisolto di cosa fosse realmente l’estetica.
Una volta finito di raccontare tutto questo, egli domandò: “Dottore, questo sogno che significa?”. Lo psichiatra lo guardò negli occhi un momento e poi disse: “Ma lei, non farebbe meglio a sognare belle donne?”… “Come! - sbottò l’uomo baffuto - Io le racconto un sogno, le parlo di un sogno nel quale appare un personaggio che mi angoscia, le chiedo cosa significa, e lei mi dà questa risposta banale?!” … “Scherzavo!- sorrise il dottore - volevo rasserenarla un po’…”. Quindi tornò serio: “Senta, non farebbe meglio a scendere a patti con questo Pino? A chiedergli di essere disposto più ad ascoltare che a parlare? Cerchi di imporsi un po’! È vero che lei non è al centro del mondo o dell’universo, ma neanche gli altri lo sono! Siamo tutti importanti. Conta l’opinione di tutti. Anche la sua”. L’uomo baffuto tirò un sospiro di sollievo, ma prima di uscire dallo studio dello psichiatra gli domandò: “Mi dica una cosa, se io avessi chiesto a lei cos’è l’estetica, mi avrebbe risposto come Pino?”. “Non lo so, non credo - disse lo psichiatra - le avrei dato una definizione più stringata come lei avrebbe voluto, penso”. “E se le capitasse di fare un sogno come il mio, che cosa farebbe?”… “Non lo so- ripeté lo psichiatra – ma le consiglio ugualmente di convincere Pino a parlare di meno e a dialogare di più, ad ascoltare di più, invece che fare monologhi”. “Grazie, dottore!”.





L’ESTETICA DELLA VITA

   Stefy

Stasera sono vestita in modo semplice perché è con gente che sa apprezzare la semplicità che esco. Non è dalle grandi cose complicate che vengono i consigli della vita ed è dalle menti semplici che ne viene esaltata. Non sono i grandi studiosi o filosofi a dare le dritte giuste e i consigli per vivere. Perché la vita anche se sembra complessa è semplice e pura e solo chi ha l’animo puro e una mente semplice può comprenderla e sa viverla bene, senza paranoie e sensi di colpa. Chi è semplice sa apprezzare l’essenza delle persone e non ne guarda l’esteriorità, perché l’esteriorità ti inganna e ti copre quella persona che sei e se hai bisogno di coprire ciò che sei vuol dire che non hai un animo pulito. Nella pulizia dell’anima si riesce a vivere bene la vita e ad ogni passo che fai, imparare qualcosa da lei.


I DIECI CONSIGLI UTILISSIMI E IMPORTANTISSIMI
PER MIGLIORARE SEMPRE DI PIÙ LA BELLEZZA E IL FASCINO DI UNA DONNA


1) Usare un trucco che si abbina bene al proprio viso, ma senza mai esagerare;
2) Indossare un abito molto elegante ed affascinante soprattutto per serate importanti;
3) indossare degli accessori (ad esempio: orecchini, collane, braccialetti…) di una certa qualità;
4) mai 'trasandarsi', ma sempre curarsi, lavarsi, usare creme, depilarsi eccetera;
5) avere un bel look di capelli abbinato al proprio genere di viso;
6) indossare delle belle scarpe o stivali di una certa qualità abbinate al vestito;
7) sorridere spesso ed avere dei fantastici denti bianchi;
8) far vedere in maniera raffinata la zona del petto con criterio, quindi senza esagerare;
9) indossare un bellissimo pantalone o gonna a seconda della maglia;
10) curare e modellare le ciglia e sopracciglia, lo ritengo importante!
A NOI LA SCELTA...


DAZZENGER

   Darietto


●Sapete cos'è un'amarena? Un'arena molto amata.
● Dopo un mese, il formaggio va a male? No, diventa forgiugno.
● Sapete cosa succede quando un collega 'rompe'? Viene scollegato.
● Sapete quale pesce starnutisce? L’acciuga…
● Mistero della natura: le tarta-rughe usano la crema antinvecchiamento?
● Mistero della natura: Il g-ufo può essere amico degli alieni?
● Mistero della natura: Cosa ci fa la lavanda sugli abiti? Va in lavanderia.
● Mistero dei luoghi: Dentro ai poli-ambulatori, fa freddo?
● Mistero della natura: I finocchi, hanno una vista fine?
● Sapete cos’è una lamentela? Il mento di un lama.
● Sapete cosa fa Nando in cucina? Sta cuci-nando.
● Sapete qual è la festa preferita dai macellai ? Il carnevale.
● Sapete cosa ci fa una mosca dentro una noce? La noce moscata.
● Un gruppo di studenti va a visitare un museo di storia. La guida mostra i vari pezzi storici poi mette alla prova i ragazzi con una domanda: “Sapete dirmi dove hanno combattuto i Crociati?”. Quindi uno di loro, tutto contento, alza la mano; la guida gli dà il permesso e lui risponde: “Facile! Negli incroci!”

A NOI LA SCELTA… QUALE BELLEZZA?

   Mariana Parera e Gabriele Beghini


BBuongiorno a tutti, belli e mai brutti!”, è una delle frasi con cui si può fare un bel saluto agli anziani. Estetica è ciò che appare agli occhi di chi osserva, è l’immagine che un essere umano, un animale o una cosa trasmette all’osservatore. Questa immagine viene colta, interpretata ed elaborata. Spesso da una superficiale osservazione ci formiamo opinioni e giudizi, anche molto elaborati. Una persona che veste bene e cura l’aspetto, ad esempio, fa sempre una bella impressione a un colloquio di lavoro, appuntamenti o relazioni sociali in genere. Eppure questi giudizi, che riguardano la parte superficiale di noi, cioè l’estetica, sono spesso affrettati e inaffidabili. Quante volte ci sarà capitato di cambiare idea? Persone belle, curate ed elegantemente vestite possono essere fredde e crudeli. Al contrario, dietro a un aspetto poco rassicurante può apparire un cuore immenso, una straordinaria bellezza interiore. Tanto da farci successivamente apprezzare anche quella esteriorità che non appariva degna di nota. Ci sono molti film che illustrano il fenomeno come La bella e la bestia, oppure Shrek.
L’estetica, così importante nella nostra cultura e nella nostra impostazione mentale, può essere elemento di confusione. Inoltre il giudizio estetico è influenzato da numerosi fattori soprattutto legati a cultura e tradizioni. Basti pensare a certe tribù africane che con fasce o altro modellano il corpo dei bambini per modificarne l’aspetto durante la crescita. Crani allungati, piedi piccoli, labbra e orecchie prominenti eccetera. Non troppo lontano da noi e nemmeno tanto tempo fa, si usavano busti per modellare e assottigliare la vita delle bambine, perché le curve accentuate facevano parte di un modello estetico a cui uniformarsi.
Ovviamente certi modelli non sono universalmente diffusi, il labbro prominente che certe tribù africane ottengono inserendosi dischi di osso, è più che lecito che a noi non appaia bello, è al di fuori della nostra tradizione e il nostro occhio non lo apprezza esteticamente. Succede anche all’interno di una stessa cultura che ci siano diversità di gusti, ad esempio il piercing amato da tanti adolescenti. Oltre alla realtà in cui siamo calati, anche il tempo può essere fattore che determina il nostro giudizio estetico. Un quadro alla prima osservazione può colpire, poi può capitare che stanchi e non piaccia più. O al contrario, lasciare indifferenti al primo sguardo e poi nascondere qualcosa che ad una osservazione più accurata appare.
Inoltre soffriamo tutti di deformazioni percettive, vediamo una cosa e ne percepiamo un’altra, perché consciamente o inconsciamente filtriamo quello che i nostri occhi mandano al cervello. Nonostante ciò l’estetica ricopre un ruolo importante, dedichiamo gran parte del nostro tempo a curarla. Non solo il nostro corpo, curiamo l’aspetto esteriore della nostra auto, della casa, dei nostri animali. Un oggetto grezzo o ben verniciato, quanto può apparire differente? Stessa cosa vale per noi. Un parrucchiere può trasformare una persona. Addirittura osserviamo un vero e proprio boom degli interventi estetici permanenti. La chirurgia estetica è in grado di intervenire per modellare e trasformare. Anche in questo caso il paziente che si sottopone ad un intervento chiede di modificare qualcosa di sé per uniformarsi a un modello estetico a cui vorrebbe somigliare. A parte interventi di ricostruzione post-lesioni, spesso si tratta di operazioni non strettamente necessarie. Il/la paziente si vede brutto/a, ma in realtà non lo è. Un naso prominente può essere a suo modo affascinante, se portato con naturalezza è un carattere distintivo di una personalità, un valore, non un difetto.
A volte dietro a queste esigenze interne della persona possono nascondersi altri tipi di problemi in particolare insicurezze, inibizioni, paure: bisogno di successo, vita sentimentale insoddisfacente, ansia di apparire, tante cause di insicurezza che portano a decidere di modificare il proprio corpo. Poi senza rendersi conto si rischia di trascurare una parte molto importante di noi, la nostra interiorità. La personalità, la cultura, la bontà, la gioia interiore, i valori della nostra anima sono elementi che ci fanno apprezzare molto più di un bel tatuaggio o di una acconciatura alla moda o di un seno prominente... Da considerare anche che la bellezza, seppure una natura generosa ce l’ha data, è un attributo evanescente, va via con gli anni. È così che l’estetica non deve diventare la parte più importante di noi. Possiamo apparire per quello che siamo veramente in mille modi.
Nelle case residenza per anziani, persone con deficit visivo confermano quanto detto comunicando sensazioni di agio o mostrando riconoscimento a seguito di gesti cortesi e/o azioni orientate al loro benessere. Ci vedono belli per come ci atteggiamo e non per come siamo fisicamente, per il trucco o il vestito.
Con queste osservazioni non c’è pretesa di annullare il ruolo che l’estetica e la cura dell’aspetto ricoprono nella nostra vita, si cerca semplicemente di dar loro la giusta dimensione. Anzi, tra le attività di animazione che si svolgono nelle residenze per anziani dai laboratori per la ‘Cura dell’Estetica’ si possono trarre benefici non indifferenti. Incontri finalizzati ad orientare lo sguardo verso la propria immagine. La semplice azione di guardarsi allo specchio attiva operazioni di riconoscimento, per l’acquisizione di una maggior consapevolezza della propria immagine (self). Attraverso l’osservazione guidata dei loro particolari si rimanda l’attenzione delle anziane sulle proprie mani, abiti, capelli e volto. Stimolando le azioni come pettinarsi, limarsi le unghie, levando o dandosi lo smalto, spalmandosi una crema, eccetera, l’attività può contribuire ad un miglioramento dell’autostima e al contempo favorire il mantenimento delle funzioni di autonomia. Così come la scelta di un colore di smalto o della fragranza di un profumo oltre che stimolare le funzioni sensoriali incita all’affermazione del sé. In un’atmosfera che ricrea ‘il salone di bellezza’, con riviste, socializzazione e fantasia, la proposta della cura del corpo va ben oltre l’abbellimento personale. Lo confermano i cambiamenti positivi sull’umore delle signore che si abbandonano ‘al gioco’, superando stati di noia e sviluppando un nuovo modo di relazionarsi con la propria immagine.
Potremo sempre dedicare tempo all’abbigliamento e all’aspetto pur valorizzando la cura dell’interiorità, contrastando così i comandi di un ambiente sociale e culturale che pretende di uniformarci a dei modelli, come quello dell’eterna giovinezza.
A noi la scelta di far tesoro dei nostri percorsi di vita con punti di forza e debolezze. Con tutto ciò che ci distingue e rende unici.

Fonti e Bibliografia:
Rizzoli Larousse - Enciclopedia Universale
Zingarelli - Vocabolario della lingua italiana - Zanichelli
Susan Jeffers - Conosci le tue paure e vincile - Oscar Mondadori

Produzioni cinematografiche:
La bella e la bestia – Disney
Shrek – Dreamworks
LA NOTTE DI NOTE

   Giovanni Romagnani


Television

In un bellissimo album di qualche anno fa Carmen Consoli dice di essere Mediamente Isterica. Almeno nel titolo. Io sono ‘medialmente’ isterico, nel senso che la televisione non la guardo proprio. Al massimo ascolto l'omonimo album di Paola e Chiara, Television, che ritengo bellissimo. Ritengo la programmazione delle reti Mediaset stupida e furba, votata al profitto. E tendente a slatentizzare gli istinti più bassi. Perché? Per vendere e vendersi, secondo me. Vendono la televisione privata come alternativa al Servizio Pubblico. Vendono, appunto.




L'anima viandante non ama i confini mediatici

“Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della ragione, non può mai sentirsi sulla terra nient’altro che un viandante, non un viaggiatore diretto a una meta finale (…). Quando silenziosamente, nell’equilibrio dell’anima mattinale, egli passeggerà sotto gli alberi, gli cadranno intorno dalle cime e dai recessi del fogliame solo cose buone e chiare, i doni di tutti quegli spiriti liberi che abitano sul monte, nel bosco e nella solitudine e che, simili a lui, nella loro maniera ora gioiosa e ora meditabonda sono viandanti e filosofi. Nati dai misteri del mattino, essi meditano come mai il giorno, fra il decimo e il dodicesimo rintocco di campana, possa avere un volto così puro, così luminoso, così trasfiguratamente sereno: essi cercano la filosofia del mattino”.
Friedrich Nietzsche, da Il viandante e la sua ombra, in Umano, troppo umano.

Collaboro con il Dottore Michele Filippi, non collaborerò mai con Maria De Filippi.
Circa un anno fa mi ha chiamato Michele: “Facciamo un laboratorio contro lo Stigma?”… “Sì - gli ho risposto - rimettiamo in viaggio le parole”. Non vogliamo cambiare il mondo, ma parlare di come è. Certi termini purtroppo sono magnetici, polarizzati. Poli negativi, in certi casi.
Mambo Latino: De+Ablativo = Complemento di Argomento.
Il problema è che, nonostante il cognome, tu di argomenti, Signora Maria De Filippi, non ne hai, ma usi quelli degli altri. La Tua è un’ Estetica Stitica. Meglio i Seminari di Michele Filippi. Vengo al punto. Mi rammarico ci siano persone che giocano con i sentimenti. I raggi del cuore sono delicati. L’anima viandante non ama i confini mediatici, con tutti i suoi limiti. Ed in questo senso vi chiedo questo: perché la signora Maria De Filippi fa quello che fa?
Mi piacerebbe mi scrivesse. Mi piacerebbe mi dicesse perché inganna e fa esporre le persone, facendo leva perlomeno sulla loro vanità. Adolescenziale, in alcuni casi. ‘Provabilmente’ ha capito Andy Warhol.
Parli di Eros & di Pathos. Anima Autocertificante. Urticante. Suor Ortica. Delusa? Dimmelo Tu. Amici? Nemici. Animati da sola. Con tutto il mondo fuori. Questo è un appello. Basta poco, Maria. Rispondimi. Basta poco a fare impressione, basta poco, basta andare in televisione che la gente subito ti riconosce per la strada, si fa presto a montarsi la testa e d’altronde è questa qui la realtà di questa vita, ci si guarda solo fuori, ci si accontenta delle impressioni, ci si fotte allegramente, come se fosse niente… Darei fuoco a casa tua, se passasse il mal di dente. E intanto il mondo rotola, e il mare sempre luccica… Basta poco a far bella figura, basta poco, basta esser buoni la domenica mattina, basta poco per esser furbi, basta poco oh!
Basta pensare che son tutti deficienti e d’altronde è questa qua la realtà di questa vita, di questa bella civiltà così nobile e così antica, e intanto il mondo rotola, e il mare sempre luccica, domani è già domenica, e forse forse nevica. Basta poco per essere intolleranti, basta poco, basta esser solo un po’ ignoranti, basta poco, per non capire e scappare via, basta poco perché ti dia fastidio uno pur che sia, e intanto il mondo rotola, e il mare sempre luccica, domani è già domenica, e forse forse NEVICAAAAAAA.




Più o meno

Nomadi che cercano gli angoli della tranquillità... canta Francesco Battiato detto Franco. Franco. In fondo anch'io la penso un po’ così. Ho scritto lo stretto angolo del disagio e di un po’ di tranquillità ne ho bisogno. Più o meno. Ho bisogno di prossimità algebrica. In algebra più per meno fa meno e più per più fa più. Ma non è questo che voglio sottolineare. È alla terza ipotesi che tengo. Meno per meno fa più. Quindi, accostando due esperienze negative, (-), se ne ottiene una positiva, (+). È bello crederlo. In fondo si dice mal comune mezzo gaudio. Accostarsi al meno può produrre un nuovo meno, se l'avvicinamento è sbilanciato verso il polo più positivo, delle volte si può aggredire il dolore come canta acutamente Carmen Consoli, che ha scritto una canzone bellissima, Contessa Miseria, dove si parla di mente ibernata a vent'anni, tipica delle Psichiatre Fredde.
La luce de Gli Angeli non filtra tra le Dannate Nuvole e l'unico modo è guardare Silvia prima che sia tardi sperando che Jenny non si sia già persa fra i suoi riflessi, mentre Sally balla con Susanna.




Dannate nuvole

Ho ascoltato Dannate Nuvole di Vasco Rossi sotto Depakin. Che dire. Niente è vero, niente e questo lo sai. E però continuerai. È un però difficile. L'esperienza del nulla è dura. È vero che il vuoto è anche una possibilità da riempire di senso, ma il senso va anche trovato. Lo devi mettere Tu! Ma quello che irrimediabilmente fanno tutti gli psicofarmaci è vuotare di senso le situazioni. E allora cosa rimane? Le persone con cui le hai vissute, da tenere strette. Credo che ogni utente psichiatrico debba avere dei riferimenti, credo che ogni operatore ed ogni Esp, quale da questo anno sono, di riferimenti ne debba dare, non dico il cellulare, ma almeno un indirizzo e-mail. Se uno nel vuoto è solo, il vuoto entra dentro di lui, lasciandolo SOLO con i suoi sogni, ma anche con le sue paure. Le nuvole allora sono davvero dannate. Perciò scrivetemi!
Allego il link del mio ultimo intervento a Radio Kairos dove parlo del Faro:
https://soundcloud.com/radiokairos/signore-e-signori-il-welfare-e-sparito-20151013




Stratagemmi

Zone rarefatte del pensiero, zone rarefatte dello spirito. br> Il potere del vulcano annullò il potere delle Giubbe Rosse. br> Mi ricorda Piero Pelù quando dice che con la natura non si scherza. E che quando avremo prosciugato anche l'ultima sacca di gas ci accorgeremo che i nostri soldi non li possiamo mangiare. Da cui traccia 8 dei Dieci Stratagemmi: dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva. L'eterno ritorno dell'identico pulsa nelle parole parallele degli artisti che in lui diventano perpendicolari. Inneres Auge




Dopo la malattia

Credo che gli Utenti Psichiatrici siano DEI Diversamente Abili. DEI maiuscolo? Errore? No! DEI, nel senso di divinità. Esiste un bellissimo libro alla Biblioteca Minguzzi su Carl Gustav Jung scritto da Innamorati. Parla di quantità psichica. Di quantità di stimoli. Senza giudicarli. Giusto. Lo dico da Esp, anzi da ESPer.
Numero Zero, come ho segnalato alla Dottoressa Francesca Guzzetta, Zero che non vuole viaggiare da solo. Quindi quello che scrive il Dottor Innamorati lo condivido. Vivo in un perenne stato sensoriale ricco ed abbondante, di cui non è sempre veloce la sintesi. Volendo sono un caso di politeismo percettivo. Giovanni>0
Mi ritengo una disequazione, un intervallo di valori, emersi dopo la malattia. Un cono di Bergson acuto, ma ottuso nel senso aperto. Avatar del mio angolo del disagio che voglio tenda a 360°. E ci arrivi. E quindi sparisca.
Nei miei primi cinque anni psichiatrici il mio angolo del disagio era a 90° e faceva male, l'ho scritto. Poi è diventato piatto, noioso:180°. Ora è a 270° e spruzza creatività. La mia mente fugge in diagonale per accelerare le calde influenze del sole. Diagonale espressa da un numero irrazionale, ma >0.Sono ripartito. Con retaggi diagonali di poca razionalità. Di normalità si può anche guarire. È un percorso che fa soffrire, ma bisogna pur partire, e durante il viaggio la luce del faro è vita e mi illumina. Anzi, mi il-luminasi. Grazie Lucia! La Notte di Note è merito tuo.




Mosaico

Una serie di note, poesie in prosa, storie, schegge di
commedia & dialogo, aforismi, epigrammi, saggi… Poesie? Certo.

James Douglas Morrison

C'è tanto in questa poesia di James Douglas Morrison detto Jim. James Douglas Morrison, voleva essere chiamato, quanto scriveva poesie, e non Jim. In fondo si era stancato di Re Lucertola, delle Porte della Percezione e, in fondo anche di William Blake. Voleva scrivere, comunicare. Capire e farsi capire. Trovare qualcuno che lo Vedesse e non semplicemente lo Guardasse. Io sono stanco di vivere solo per fare compagnia, io non ho voglia di ridere ed è tutta colpa mia. Canta Vasco in Quante Volte. ‘Quante volte’ mi è capitato. Quante volte ho fatto ridere. Quante volte mi è stato chiesto di scrivere. Senza nessuno che considerasse il dolore che ci stava dietro. Quante volte mi sono sentito un ‘cavallo di troia’ nel mondo psichiatrico, accecato dagli psicofarmaci. E quando gridavo: "Chi è stato!", tutti urlavano: "Nessuno!". Circe Terapia, Penelope E.C. mia terza psichiatra. Be’, sa Romagnani, in fondo il mio è il lavoro di Penelope con la sua tela. La faccio parlare, scaricare, passare dalla farmacia. Le darò un altro appuntamento. Ma tanto in fondo non servirà, non guarirà. La sua vita scorrerà così, cadenzata. MI RINGRAZI. Vede Dottoressa E.C. sono un cavallo di Troia, non sa quando dolore ho nel mio ventre, ma mi faccia un piacere, la smetta e si vergogni. Vede, io tra Achei e Troiani semplicemente scelgo i Troiani, non scelgo Lei. Sa quanti Troiani ci sono all'Ottonello, che Lei uccide con frasi come queste. Troiani che in fondo ancora credono in Lei, ma che Lei delude, che non ama. Mi verrebbe da dire che è Lei la città da espugnare, ma semplicemente non ne ho più voglia. Continui a credere che io non guarirò, continui a credere che sono io lo strano. Tuteli la sua normalità. Ma tenga presente che dalla sua normalità può anche guarire, che forse può rispondere al mio sguardo, che forse la storia non è infinita se iniziamo a raccontarla. Che io comunque cavalcherò il fortuna drago e che comunque è Lei che nelle paludi della tristezza è rimasta. Ci stia da sola. Non mi ci costringa. Io voglio cavalcare e sognare. Lascio a Lei gli angeli. Qui non arrivano. E non esiste più la città. Forse ritiene inutile quello che ho scritto, ma per me è importante.
E continuerò. Che le piaccia o no.
Poesie? Certo.




La necessità di un nuovo umanesimo individuale

Vento nelle vele del nuovo gruppo Faro Cultura voluto da Fabio Tolomelli.
Quando scrivo le mie Note mi ispiro principalmente a due movimenti poetici. Il Crepuscolarismo ed il Futurismo. Il Futurismo quando accelero, il Crepuscolarismo quando penso. Da entrambi emerge un unico fattore: SONO SOLO!
O tra i flutti dell'energia del futuro, o nella fessura tra gli ultimi raggi del sole e la Luna del crepuscolo. Qui non arrivano gli angeli, canta Vasco. Il sole mentre tramonta inghiotte secondo me i demoni della notte, che bruciano in me.
Credo che si debba tornare ad una sana individualità. Fatta di diritti ma soprattutto di doveri. La libertà è dispari, ho sostenuto a Radio Kairos, parlando anche di Vocazione Professionale. Citando Il Codice dell'Anima di James Hillman.
E singole debbono essere le responsabilità. Cioè. Ritengo che la vocazione emerga solo nell'individualità. Siamo ammalati di Noi che indeboliscono. Condividiamo tutto, anche il caffè. Nicianamente non mi sento una pecora, e al limite cerco di ballare coi lupi. Ricordando il mio passato da Lupetto. E bevo il caffè da solo. E non da Scout.
Giovanni Romagnani detto La Romagna




L’uccello azzurro

La Psichiatria ha carenza di Uccello Azzurro. Cosa avete capito? Non mi riferisco a quello del Grande Puffo, ma a quello della conoscenza del film K-Pax. Poi come nel film, di psichiatri perplessi ce ne sono sempre meno, pochi guardano le stelle, molti danno farmaci. Qualcuno fuma il sigaro e non ci crede più. Triste. Io mi limito a dire che all'uccello azzurro credo ed ambisco. Poi spero in Un Giorno Insieme come cantano i Nomadi. Augusto Daolio era un illuminato. Ed il mondo non deve perdere il suo ricordo. Perché in fondo, Noi Utenti Psichiatrici, l'Animo Vagabondo un po’ l'abbiamo.

Questo è il mio indirizzo e-mail: castanedaedonjuan@yahoo.it … scrivetemi!



L’ESTETICA IERI E OGGI

   Mariangela

F in dall’antichità l’estetica o bellezza è stata attentamente ricercata. A partire dagli antichi Egizi dal 3100 a.C. fino al 1070 a.C. l’importanza della bellezza del corpo aveva un fine religioso oltre che di cura di sé. Donne e uomini cercavano di migliorare il proprio aspetto usando unguenti e creme quotidianamente. Molte donne e uomini solevano radersi il capo per motivi igienici e utilizzare parrucche di capelli umani all’interno delle quali venivano inseriti coni profumati, abitudine degli alti ranghi le cui case erano provviste di camera da bagno. È noto che la regina d’Egitto Cleopatra avesse l’abitudine di fare il bagno nel latte d’asina per mantenere la sua avvenenza e lo splendore della propria pelle.
Nell’antica Roma la cura del corpo era considerata salute e bellezza, ritenuti impianti igienici sanitari erano le terme, a cui poteva accedere quasi chiunque, anche i più poveri, in quanto l’entrata era quasi gratuita; una delle abitudini era quella di versare nell’acqua profumi e vini speziati. Per il benessere fisico presso le terme si trovavano sale adibite a palestra e un tipo particolare di vasche in cui immergersi dopo essersi esercitati, dopo questo si poteva passare alle sale massaggi.
Nella Francia del XVII secolo la popolazione non usava l’acqua per lavarsi perché era ritenuta portatrice di malattie, in compenso erano appassionati di profumi che usavano per eliminare i cattivi odori del corpo.
Luigi XIV, detto il Re Sole per la sua splendente bellezza, fu soprannominato dalla sua corte “dolce profumo”, per la sua passione per i profumi, anche se si dice che il re si sia lavato solo tre volte nella vita.
Il XVIII secolo fu un’esplosione di eleganza di cappelli stravaganti, di parrucche e le acconciature delle appartenenti alle classi più agiate erano sontuose ed elaborate. Con l’avvento della cosmesi la cipria fu considerata l’elemento principale per truccare non solo il volto, ma anche mani, braccia, collo e decolleté. Una tendenza dell’epoca fu l’uso del busto quasi mozzafiato, fatto di nastri e stringhe, indumento che non mancava nel guardaroba delle nobildonne che lo indossavano sotto l’abito sfarzoso, per rendere sottile il giro-vita ed esaltare il decolleté che veniva messo in mostra dall’abbondante scollatura dell’abito.
Anche ai giorni nostri l’estetica desta attenzione e desiderio. Modelle e modelli dell’alta moda si attengono a diete ferree per ottenere un corpo slanciato adatto e richiesto per mettere in risalto la bellezza dell’abito indossato e renderlo desiderabile.
Divi del cinema e dello spettacolo, spinti dal desiderio di bellezza, si affidano alla chirurgia estetica per eliminare imperfezioni del naso, borse sotto gli occhi e rughe, per dare volume alle labbra, valorizzare gli zigomi, aumentare il seno e modellare glutei e cosce, interventi che suscitano perplessità riguardo al loro buon esito, ma che vengono praticati ugualmente, a costi elevati.
Sempre più persone considerano importante l’uso di cosmetici e creme, abbronzature, maschere facciali, depilazione, massaggi, sauna, diete dimagranti ed esercizi ginnici. Ritenuta una nemica da sconfiggere è la cellulite, difficile da debellare, la si può combattere con l’esercizio fisico e una corretta alimentazione, quest’ultima utile anche per evitare disturbi interni ed esterni come dermatite del viso, acne, invecchiamento della pelle e caduta dei capelli.
Da non sottovalutare è l’igiene personale che dona al corpo benessere e piacere. Si può concludere dicendo che un corpo curato e un abbigliamento adeguato facilitano la nostra relazione con gli altri, quindi è ragionevole affermare che la ricerca della bellezza si mostra efficace purché non sia esageratamente considerata!

IL LUSSO NEGATO
Regole e proibizioni per abbigliamento e cerimonie nel Medioevo

   Diana Tura (Archivista presso l'Archivio di Stato di Bologna)

Fra il 25 ed il 26 gennaio del 1401 il notaio bolognese Gandolfo Fantuzzi descriveva in un apposito registro, il cosiddetto “Registro della bollatura della vesti”, più di duecento vesti di donne bolognesi denunciate da mariti o servitori o dalle dame stesse. Con questo stratagemma il legislatore consentiva alle donne bolognesi di continuare ad indossare vesti vietate, in quanto ne erano in possesso da prima dell’entrata in vigore dei nuovi statuti che ne vietavano l’uso. Ma perché il legislatore interferiva nell’abbigliamento delle dame, qual era il significato di tale operazione?
Oggi un simile intervento sarebbe inaccettabile, perché ritenuto un’intrusione nella sfera privata: chi si sognerebbe di regolare l’abbigliamento ed il lusso delle persone e le principali occasioni di socialità come funerali, matrimoni e banchetti? Eppure per tutto il Medioevo e nella prima età moderna furono stabilite da parte di chi governava regole e proibizioni per mettere ordine nell’universo delle ‘apparenze’. Gli interventi di regolamentazione del lusso costituiscono la cosiddetta normativa ‘suntuaria’ (dal latino sumptus, cioè spesa), termine ormai inconsueto e forse ai più sconosciuto. Infatti da quando tale fenomeno è cessato, cioè da quando nel 1793 in Francia si teorizzò la libertà di vestire (“Nessuno potrà costringere un cittadino o una cittadina a vestirsi in maniera particolare… ognuno è libero di portare il vestito o la guarnizione che gli pare”) la parola è diventata muta.
Le norme suntuarie riguardavano prevalentemente coloro che avevano risorse economiche tali da permettersi ricchi convivi o abiti che costavano come appezzamenti di terreno o palazzi, ma in realtà coinvolgevano tutta la società medievale, perché la regolamentazione delle ‘apparenze’, quindi dell’abbigliamento e degli eventi sociali pubblici, consentiva anche, in alcuni casi, di identificare con immediatezza le varie categorie sociali di appartenenza: se le regole erano osservate da tutti, chiunque avrebbe potuto capire dall’abbigliamento chi aveva di fronte.
Oggi dalla lettura di queste leggi e dall’applicazione o meno delle stesse possiamo intuire molti aspetti della vita sociale di quel tempo: chi era ricco o no, quali oggetti forniva il mercato, quali erano le fogge degli abiti, chi contava e chi era emarginato, i rapporti tra uomini e categorie sociali, rapporti ‘segnati’ dalle vesti, rappresentati da elementi esteriori, come strascichi, gioielli, pellicce o tavole sontuosamente imbandite, con ripetute portate di cibi e con numerosi invitati.
L’interesse della legislazione comunale nei confronti delle vesti, degli ornamenti, dei banchetti, dei matrimoni e dei funerali non era un fenomeno della sola città di Bologna, ma era diffuso in tantissime altre città italiane ed europee, ed era iniziato alla fine del XIII secolo con il tentativo di autorità civili ed ecclesiastiche di limitare gli eccessi nel mondo delle ‘apparenze’.
Si possono individuare nel periodo compreso fra il XIII e il XVI secolo tre fasi diverse di questa normativa: quella compresa fra la metà del ’200 e la metà del ’300, caratterizzata da una sorta di invito generalizzato alla modestia, influenzato soprattutto dai discorsi dei predicatori che condannavano i fiori fra i capelli delle donne o l’uso ornamentale di “pietruzze, sassolini, minuzzoli” della terra, che anziché servire a “rendere sicure le fondamenta per erigere muri, per sostenere frontoni”, venivano usate a “edificare la stupida ammirazione delle donne”. Quella successiva, che arriva alla metà del XV vide fiorire una enorme ricchezza e varietà di norme e la possibilità di sanare le trasgressioni pagando multe, introducendo tra l’altro categorie di persone esentate dai divieti, le cosiddette “aree di privilegio”. Infine l'ultima fase, dalla metà del XV secolo in poi, in cui ad ogni categoria cittadina viene applicata un’estetica appropriata: a Bologna venne emanata nel 1453 una legge del cardinale Bessarione, poi recepita negli ultimi statuti comunali del 1454, che suddivideva la società cittadina in sei categorie sociali, ciascuna caratterizzata da norme estetiche ben precise e al cui vertice erano le mogli e le figlie dei cavalieri, seguite da quelle dei dottori.
A Bologna le prime norme suntuarie risalgono al 1250, in un momento di piena affermazione comunale, all’indomani della battaglia di Fossalta, e furono inserite negli statuti comunali, cioè nelle raccolte delle leggi che regolavano qualsiasi aspetto della vita cittadina. In particolare erano norme che ‘marcavano’, in quanto miravano a distinguere le donne dabbene da quelle di malaffare, indicando la lunghezza degli abiti e dei nastri delle une e delle altre. La prima vera e sistematica legislazione suntuaria si ha con gli statuti del 1288 e riguarda, oltre le vesti e gli ornamenti, anche le cerimonie nuziali ed i funerali. Da quell’anno in tutti gli statuti successivi fino all’ultima redazione del 1454, furono inseriti libri o rubriche che definivano, con maggiore o minore precisione, le tipologie di vesti e/o le quantità di gioielli che le donne potevano sfoggiare, talora suddivise secondo le categorie sociali di appartenenza, talora no. Negli statuti dei periodi signorili, per la prima volta in quelli del 1335, erano previste delle categorie privilegiate: le mogli e le figlie dei cavalieri, dottori ed avvocati non erano soggette a nessuna restrizione e potevano sfoggiare qualsiasi tipo di veste e gioielli. Gli statuti del 1376-78 , redatti all’indomani della rivolta bolognese contro la Chiesa ed espressione di una rinascita dell’autonomia comunale, non prevedevano esenzioni per nessuna categoria sociale, essendo il limite allo sfoggio imposto dalla condizione economica: chi poteva pagare la multa prevista poteva permettersi qualsiasi lusso. Ma tutte queste leggi, come il successivo statuto del 1454 e tutti i bandi e le provvisioni a proposito che seguirono ancora per oltre un secolo, e le relative multe applicate a chi trasgrediva a tali norme, non ci fanno conoscere solo la normativa in vigore, ma anche i tessuti, le fogge, gli ornamenti, i gioielli, l'uso di colori eccetera.
Partendo dalla lettura di un registro non particolarmente suggestivo come quello del notaio Fantuzzi, di cui dicevamo all’inizio, si scopre tutto un mondo. Il testo, conservato presso l'Archivio di Stato di Bologna, non miniato, cartaceo, con copertina pergamenacea, di sole 74 carte, costituisce un pezzo unico nella storia della legislazione suntuaria bolognese. Da esso si ricava l'elenco di 211 vesti accompagnate dal nome della proprietaria, affiancato spesso da quello del marito o del padre, la cappella cittadina di riferimento (ricordiamo che i quattro quartieri in cui Bologna era divisa dal XIII secolo, erano suddivisi in numerose cappelle, che erano la sottoscrizione amministrativa comunemente menzionata dai documenti che dovevano fornire l’indirizzo), e parziali descrizioni degli abiti denunciati. Sono descritti il colore della veste, la foggia, il tessuto, i particolari relativi ad ornamenti costituti da ricami o da applicazioni e sono usati i termini originali con cui venivano definiti i capi d’abbigliamento di quell’epoca.
Si trovano vesti definite “sacchi”, cioè sopravvesti invernali foderate e ricche di guarnizioni, “gabbani” un po' più pesanti, con maniche e cappucci foderati di pelliccia o di stoffa, “guarnacche” più ampie ma talora prive di maniche eccetera.
Così come per le fogge, anche per i tessuti sono utilizzati termini che non fanno più parte del linguaggio comune della nostra epoca , come lo “zetanino”, stoffa di seta che deriva il suo nome dalla città cinese di Tseutung o Zaitun per gli Arabi, di baldacchino, drappo prezioso di seta o broccato che deriva il nome dalla città di Bagdad, e così via.
Altro elemento che balza all’occhio è il colore che connotava immediatamente l’abito presentato per la bollatura e che è presente in tutte le descrizioni e che in alcuni casi sostituisce l’indicazione del tipo di tessuto: si trovano vesti di scarlatto, di nero… il colore diventa materia. Le vesti bollate sono in gran prevalenza rosse, o almeno recano un particolare rosso: se ne contano 120 su 211; non a caso il colore che denotava la ricchezza o la condizione sociale elevata era il rosso con tutte le sue gradazioni: scarlatto, paonazzo, cremisi, vermiglio... e poi vesti azzurre, verdi, bianche e nere, raramente vesti in tinta unita, ma con colori giustapposti in modi diversi e con gusti diversi da oggi. Ed ancora, vesti con decorazioni applicate come bottoni, frange, cordellette, vesti ricamate, o nelle quali emergevano figure diverse, vietatissime dalla normativa, come lettere, stelle, raggi, alberi, fiori, foglie, animali come cervi, leoni, leopardi, uccelli, animali fantastici... Ed infine, per impreziosire ancor più le vesti e per completare il quadro, maniche lunghissime e decorate, pelliccia di vari animali, fra cui il pregiato ermellino.
Certamente il notaio mentre descriveva queste vesti, quindi mentre esercitava la sua pur qualificata professione, non sapeva che stava lasciando ai posteri non solo la testimonianza scritta dell’applicazione di una legge, ma anche la memoria della moda, del gusto e dell’abilità artigianale di quell’epoca. Ed ecco allora che possiamo immaginare le donne bolognesi del '400 girare fra le strade cittadine orgogliose delle loro vesti e soddisfatte di poterle sfoggiare nonostante i divieti della legge...




Carissimi della Redazione,,
ci conosciamo da tempo e da lontano: dalla mia finestra qui al Centro di Salute Mentale vi guardo e ammiro la vostra forza di immaginare e i vostri colori, ma soprattutto la vostra inclinazione a saper sempre dire "qualcosa" a "qualcuno". Noi che siamo attori ed attrici della salute mentale sappiamo che è importante il poter de-scrivere/comunicare/accompagnare le emozioni, piccole e necessarie oppure grandi ed urgenti, comunque emozioni superstiti alla nostra vita quotidiana.
Mi piace quindi che voi possiate farlo e che voi possiate continuare a farlo.
Con affetto
Cristina Paolucci



Riceviamo da Giuseppe e volentieri pubblichiamo questo scritto in ricordo di un amico.

Maurizio "Plasmon" VIVE...
Ho conosciuto Maurizio nel 2014, come spesso avviene quando si entra in un azienda della tipologia di Asp (Azienda Servizi alla Persona): all'inizio, cambio o fine turno quando ci si incontra negli spogliatoi e ci si scambia un saluto e qualche chiacchiera. Il suo armadietto era di fronte al mio, con l'adesivo Usb (Unione Sindacale di Base) ben in mostra attaccato sopra. Impossibile non notarlo: alto, imponente, massiccio, barba e capelli bianchi. Gli argomenti erano prevalentemente i soliti per quelli che come ‘noi’ svolgono un lavoro assistenziale ed è difficile spiegare cosa ci sia effettivamente dietro certe frasi, esclamazioni, sfoghi, rabbia, risate, punti di vista e confronti a volte anche aspri tra colleghi, sia in reparto che fuori, nello spogliatoio per esempio, un luogo classico in cui non di rado ti ritrovi a fare il punto della giornata lavorativa e a volte anticipi al tuo collega che sta per entrare in turno novità o raccomandazioni.
Rincontrai poi Maurizio nell'estate del 2015 per un vertenza. Ci incontrammo in un bar, non lo vedevo da un anno, ricordo perfettamente come era vestito: jeans, t-shirt blu e zainetto. Era sensibilmente dimagrito e rimasi chiaramente colpito e sorpreso della sua trasformazione. A mia domanda sul forte calo del peso mi riferì che era stato attento al mangiare e al bere, probabilmente, pensandoci ora, non era questa la motivazione, ma in quel momento pensavo lo fosse, ovviamente. Voglio sottolineare che quel giorno era il suo riposo, chi fa questo lavoro sa bene quanto si desideri anche staccare la spina, mentalmente e fisicamente, eppure mi aveva dedicato alcune ore del suo tempo e ci eravamo confrontati su molti argomenti aziendali in tema di contratti, mansioni, politiche assunzionali, norme, leggi e chiaramente tavoli di trattativa sindacato - ente (passati, presenti e futuri). Non conosceva la mia problematica, ma ne rimase molto colpito, tanto da farmi presente che avrebbe fatto il possibile per aiutarmi; ci tengo a ribadire questo suo pensiero anche per rimarcare quello che poi ho visto rappresentato da tutti i suoi amici, compagni e colleghi: la sua profonda sete di giustizia e di affermazione dei diritti dei lavoratori. Effettivamente mi diede un aiuto e supporto morale, personale, del tutto franco, solidale e vero, come era lui del resto. Successivamente ci rivedemmo in sede sindacale e ci si sentiva per aggiornarci per telefono o e-mail. Maurizio era tra le rare persone che conosco che, in questa società attuale di consumismo esagerato e spesso superfluo, volutamente e convintamente era sprovvisto di telefonino. Mi diceva: “Chi vuol cercarmi mi chiami pure a casa o al lavoro” e ciò ha un senso, perché in fondo anche il suo reparto era la sua casa, il suo mondo per una vita! Ci saremmo dovuti vedere per una birra, insieme anche ad altri colleghi, in dicembre, ma problemi familiari mi portarono fuori Bologna. Lo risentii la vigilia di Natale per fargli gli auguri con la promessa di vederci al più presto per fare un brindisi al nuovo anno. La notte tra il 30 e 31 dicembre fu ricoverato in ospedale: andai a trovarlo, il giorno dopo la befana, rimanendo con lui varie ore, che in tutta franchezza volarono. Lo trovai bene, faceva le flebo diligentemente, non si alimentava da giorni e tutto sommato non aveva un cattivo umore nonostante il ricovero forzato e imprevisto. Parlammo veramente di tante cose: quotidiani, libri, politica, elezioni amministrative a Bologna, differenze generazionali (era degli anni Cinquanta, io dei Settanta). Lui aveva un percorso ideologico e formativo ben delineato, veniva dall'esperienza di Lotta Continua ed aveva vissuto pienamente e convintamente il periodo delle lotte e rivendicazioni sociali e operaie a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e inizio Settanta, un bagaglio di vita ed esperienza partecipata e autenticamente vissuta!
Quando lo salutai aveva finito la terapia farmacologica, si alzò dal letto per accompagnarmi fino agli ascensori. Mi raccomandò di tenere botta come sempre, lo salutai dicendo: “Esci presto da 'sto posto”. Sarebbe dovuto uscire di lì a pochi giorni, purtroppo fu l'ultimo attimo in cui lo vidi in vita. Il 22 gennaio 2016 è stato il giorno in cui numerosi ti abbiamo attribuito l'ultimo saluto, caro collega Maurizio, conosciuto da tutti come PLASMON, perché la tua imponenza fisica trasmetteva sicurezza a tutti i tuoi amici… Maurizio era una persona pulita, coerente ai suoi alti principi morali e professionali, sempre disponibile e profondamente altruista, schivo, riservato, ma persona anche spiritosa e di buona compagnia. Mi lascia un insegnamento che nel mio piccolo già sto percorrendo e continuerò con tutte le mie energie a perseguire: lottare fino allo stremo delle forze per il riconoscimento dei diritti, in particolare quelli degli ultimi! Un abbraccio affettuoso alla moglie Renata, al figlio Nicola e a tutti i parenti, amici e colleghi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e volergli bene. Ci siamo conosciuti per troppo poco tempo ma è stato comunque UN ONORE PER ME!!!
Giuseppe




SULL’ARTE CONTEMPORANEA E SULL’ARTE IRREGOLARE

   Fabrizio Sinibaldi

P remessa: a scanso di equivoci, e attraverso l’argomento estetica, questo testo è scritto per continuare a promuovere il lavoro degli artisti del CAIB (Collettivo Artisti Irregolari Bolognesi).
Io sono Fabrizio, sono un ex studente di chimica e ormai quasi trentacinque anni fa mi trovavo a Firenze con amici. Notai che la città era completamente tappezzata di manifesti che reclamizzavano la mostra in Orsanmichele di Roy Lichtenstein 1970-1980, così m'incuriosii e andai a vederla. Naturalmente non sapevo che si trattava della mostra di uno dei massimi artisti di ogni tempo, così come non sapevo nulla d’arte. Quando mi trovai di fronte ai lavori ebbi un vero e proprio shock che mi ha cambiato la vita. Non ho ancora capito se in meglio o peggio, dipende dai giorni. Comunque sia fu una vera e propria sindrome di Stendhal. La domenica successiva tornai a Firenze per potere rivedere tutto da solo e conservo ancora il manifesto della mostra e quello che è stato il mio primo libro d’arte. Come si dice, una ciliegia tira l’altra e dopo aver capito chi era il signor Lichtenstein ho cominciato a informarmi su tutto il resto a cominciare dalla storia dell’arte. L’ho fatto da autodidatta e anche attraverso le conoscenze che ho avuto in tutti questi anni in campo artistico. Termino questa premessa un po’ troppo personale dicendo che ormai sono tutti questi anni che l’arte e le arti applicate (in particolare il design grafico per il quale ho una seconda passione) fanno parte della mia vita quotidiana.
Proprio l’argomento estetica mi dà l’occasione di parlare dell’arte irregolare, perché, come cercherò (nel mio piccolo) di spiegare in seguito, l’arte irregolare può essere valida anche se può sembrare ‘non bella’, secondo quel luogo comune presente fra i profani secondo cui un dipinto deve essere fatto ‘ad arte’ (bel disegno, ben dipinto, immagini accattivanti e così via).
L’estetica è quella disciplina che si occupa del concetto di bello (e di conseguenza anche del concetto di brutto). Il primo scoglio che si deve superare con l’arte contemporanea (anche l’arte irregolare è moderna e contemporanea) è che il profano dà per scontato che l’arte deve essere per forza collegata al concetto di bello e di brutto. L’estetica può andare con l’arte, ma anche per i fatti suoi e non è un caso che nelle università di tutto il mondo vi siano corsi di estetica indipendenti. E magari sono all’interno dei dipartimenti di filosofia. Questa distinzione in realtà non nasce oggi, ma all’inizio del ventesimo secolo con le Avanguardie Storiche (per intenderci tutti quei movimenti artistici di totale rottura con l’immediato passato che sono stati ‘totali’, nel senso che per ognuno di questi movimenti si ha l’aspetto pittorico, musicale, teatrale, letterario e così via). Per esempio il Cubismo di Picasso e Braque che portano alle estreme conseguenze la compresenza di immagini bidimensionali e tridimensionali nella stessa immagine di Cézanne (uno degli impressionisti francesi): se si osserva la serie di dipinti sulla montagna Sainte-Victoire di Cézanne s’intuiranno i futuri quadri cubisti di Picasso e Braque… Il Futurismo italiano che con il proprio manifesto su Le Monde del 1909 esalta la velocità e le macchine della società industriale… Gli espressionisti tedeschi che, figli tutti di Van Gogh, esprimono un impeto contrario agli impressionisti francesi del secolo precedente: mentre questi ultimi ricevevano “un’impressione” dall’esterno attraverso una visione gli espressionisti tedeschi, in senso contrario, rivolgevano verso l’esterno quello che provavano internamente (questo è un movimento che concettualmente ha molto a che fare con l’arte irregolare)… E infine la nascita dell’arte astratta (che convenzionalmente viene fatta nascere con un acquerello del 1910 di Kandinskij): per la prima volta degli esseri umani decidono di creare delle immagini che non hanno nulla a che fare con la realtà che ci circonda (potete trovare delle immagini astratte sia geometriche che informali anche in dipinti antichi - per esempio un tappeto sotto il trono di una Madonna - ma l’intenzione di creare immagini astratte è un’invenzione del primo Novecento). E così oltre a Kandinskij abbiamo contemporaneamente la ricerca di Kazimir Malevich che dipinge addirittura quadrati bianchi su fondali bianchi e il grande Piet Mondriaan che arriva a concepire dipinti con quadrati e rettangoli all’interno di strutture ortogonali e li dipinge con bianco, i tre colori primari (rosso, giallo e blu) e grigio neutro che per i pigmenti non è altro che la somma dei tre primari (i neurofisiologi della visione hanno dimostrato che la visione di questa tonalità di colore rappresenta per il cervello umano uno stato di massimo benessere). Appare chiaro che tutta questa arte appena citata, per l’uomo della strada (si potrebbe fare un sondaggio) non appare ‘bella’, soprattutto se confrontata con l’arte rinascimentale più conosciuta dai più, come può essere una madonna di Raffaello o la Cappella Sistina di Michelangelo. Con l’arte contemporanea (perché in realtà molto di quello che riguarda le avanguardie storiche è già stato assimilato da molte persone che sanno comunque chi è Van Gogh o Picasso) tutto questo va estremizzato: gli argomenti su cui essa indaga sono infiniti e complessi, quanto è complesso il mondo contemporaneo, che volenti o nolenti è molto più complicato di quello con cui poteva avere a che fare un Caravaggio. A quest'ultimo non si poteva certo rimproverare di non occuparsi di immigrazione, di reti di computer, di informazione globalizzata, di problemi etici dovuti ai progressi scientifici, di problemi dovuti all’identità delle persone o delle minoranze sociali. Gli artisti contemporanei si possono rimproverare se non si occupano di queste cose per il semplice fatto che non vivono in un borgo toscano del Quattrocento. Non hanno scuse se non quella che la loro arte può permettersi di essere importante e interessante senza essere ‘bella’.
In verità tutti i grandi artisti di ogni tempo sono stati contemporanei, perché se si analizza bene il loro lavoro si vede che si sono occupati delle questioni del proprio tempo. A questo punto forse non c’è bisogno di molte spiegazioni per capire che anche l’arte irregolare (l’arte prodotta da persone con problemi psichici) può essere importante anche se in molti casi non è affatto ‘bella’. Esiste ormai una storia di questa sezione dell’arte: prende l’avvio con la fondazione da parte dello studioso James Brett di un museo senza sede fissa, itinerante e che spesso raccoglie le opere strada facendo. Brett ha chiamato questa inedita “istituzione” The Museum of Everything (www.musevery.com) dopo aver conosciuto un suo omonimo (l’anziano William Brett) che nell’isola di Wright, nella propria casa collezionava in una sorta di installazione oggetti di ogni tipo. Gli abitanti dell’isola chiamavano ‘Museo di Tutto’ la costruzione di William Brett, così il Brett giovane chiede l’autorizzazione al suo omonimo di potere utilizzare il nome aprendo una ‘filiale del museo’ a Londra. Nell’ottobre del 2009 inaugura la prima mostra in un ex studio di registrazione includendo i lavori di un centinaio di artisti irregolari. Contribuiscono all’esposizione la collezione di Art Brut di Losanna e alcuni ‘atelier protetti’, come il californiano Creative Growth. Questa mostra è stata visitata da circa trentamila persone. Nel 2010 il museo itinerante viene ospitato per cinque mesi dalla Pinacoteca Agnelli a Torino. In questa occasione partecipano alla realizzazione del catalogo artisti di fama mondiale come John Baldessari, Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli. Ancora a Londra nello stesso 2010 si espone alla Tate Modern. Dopodiché si avrà la collaborazione tra Brett e Peter Blake (il pioniere della pop art inglese che ha disegnato la copertina di Sargent Pepper Lonely Heart Club Band dei Beatles e anche quella di Stanley Road di Paul Weller) che riescono a esporre nel maggiore centro commerciale britannico nelle vetrine di Oxford Street accompagnando le esposizioni con workshop per persone con disabilità psichiche. Nel 2012 è stata la volta di Parigi in una ex scuola cattolica e quindi a Mosca. Nel 2013 la Biennale di Venezia è curata da Massimiliano Gioni il quale concepisce una mostra dell’Outsider Art nella sede della Serra dei Giardini. In questa rassegna vengono esposte all’aperto opere di artisti affermati insieme a opere di artisti irregolari per mettere in evidenza la linea sottile che le separa. L’arte irregolare, concepita all’esterno del mondo dell’arte esiste da sempre, ma la sua visualizzazione è relativamente recente e risale agli anni Venti in Germania con la collezione Prinzhorn, di lavori di pazienti psichiatrici. Negli anni Quaranta Jean Dubuffet comincia a collezionare e conia quest’arte con la definizione di Art Brut. Il termine Outsider Art è coniato dallo studioso britannico Roger Cardinal negli anni Settanta comprendendo nella definizione anche gli artisti autodidatti. The Museum of Everything è l’ultima espressione dell’interesse verso l’arte ‘irregolare’, ma ovviamente il suo scopo è di rimuovere questa etichetta.
A questo punto invito tutti quelli che hanno avuto la benevolenza di aver letto fin qui a visitare la galleria virtuale ospitata nel sito di Dario Fo, dove si possono visionare le opere (e avere tutte le informazioni) di tutti gli artisti membri del Collettivo Artisti Irregolari Bolognesi.
Questo è l’indirizzo della galleria virtuale:
http://arteirregolare.comitatonobeldisabili.it.
E questo, per chi volesse mettersi in contatto per qualsiasi motivazione, è l’indirizzo di posta elettronica:
collettivoartisti.irregolari@gmail.com.
E infine, per chi volesse approfondire ulteriormente, altri due link: www.workevery.com è il sito del network virtuale che lega tutti gli atelier nel mondo; www.eoaa.org è l’indirizzo dell’Associazione Europea dei Gruppi di arte irregolare.
Statemi bene e ciao.








OPERE DEGLI ARTISTI IRREGOLARI BOLOGNESI


Cristina Adriani - Mia figlia




Graziella Mattana - Nudo




Fausto A. - Nave nella tempesta




Andrea Giordani - Non sono corisposto




Fabrizio Sinibaldi - Brotha




Cri Artista - Aspettatemi




Sandra Aceresi - Donna indiana




Fly - Benessere




Stefano Regazzi - Campiture ocra




Gilda Pappalardo - Le bagnanti




MacKenzie - Chase & Catch the intrude (l'aragosta)




Lorenzo Scrima - L'umano, il divino, i trini e la speranza