RAFFAELLO: “RITRATTO DI BALDASSARRE CASTIGLIONE”
Piergiorgio Fanti
I
l ritratto, uno dei più apprezzati del Rinascimento, sontuoso, eppur
sobrio, ritrae Baldassarre Castiglione, letterato e scrittore di
origini lombarde.
La figura è immersa in una luce vibrante, ed è espressione di una
personalità dal raro acume. Il ritratto del Castiglione arriva così a
incarnare quell’ideale di perfezione estetica e spirituale della
cortigianeria espressa nel suo celebre trattato, Il Cortegiano.
Il ritratto fu eseguito quando il Castiglione, a Roma, incontrò
Raffaello; ed è il risultato di un’eccezionale affinità spirituale e
comunanza di ideali tra il soggetto e il pittore.
Il Castiglione dice di aver scritto Il Cortegiano
in pochi giorni, quando era a Urbino, dove si raccoglieva allora la più
raffinata tra le corti italiane. Scrisse il trattato per il quale è
considerato uno degli scrittori più rappresentativi del Rinascimento
italiano.
Il carattere e la portata de Il Cortegiano si
possono ben valutare, ove si metta in rapporto con le opere di due
grandi storici e moralisti fiorentini del medesimo secolo: il
Machiavelli e il Guicciardini. Questi svelano il triste retroscena
delle corti, il Castiglione ritrae le belle apparenze e la serenità
olimpica della vita che si conduceva nei palazzi del tempo, con un
equilibrio spirituale che costituisce il maggior interesse del libro.
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EDITORIALE
Fabio Tolomelli
N
on è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello!”, diceva
Nino Frassica, alias frate Antonino da Scasazza, nella trasmissione
televisiva Quelli della Notte.
Storpiava, nel suo modo surreale, un detto universalmente noto e in
genere condiviso: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che
piace”. In effetti l’aspetto soggettivo del gusto è molto importante.
Se prendiamo ad esempio un’automobile, anche molto costosa, a me può
piacere molto, a un’altra persona per niente. Per arrivare a
un’argomentazione pertinente sul tema ci viene in soccorso un ramo
della filosofia: l’estetica, appunto. Questo settore filosofico si
occupa della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico. Il
bello naturale è quello delle persone, degli animali, dei paesaggi.
Quello artistico si riferisce alla letteratura, pittura, musica,
scultura, ballo, recitazione, architettura eccetera. L’ultima branca
riguarda la perfezione delle scienze. Storicamente i primi scritti sul
bello e sul ‘sublime’ nell’arte risalgono agli antichi Greci e
all’ellenismo; ma il termine ‘estetica’ in senso moderno viene usato
per la prima volta da Alexander Gottlieb Baumgarten nel 1750, con la
pubblicazione del libro Aesthetica. Il termine ha origine dalla parola greca αἴσθησις,
che significa ‘sensazione’. Originariamente infatti l’estetica non è
una parte a sé stante della filosofia, ma l’aspetto della conoscenza
che riguarda l’uso dei sensi. La prima teorizzazione sistematica si
deve a Immanuel Kant con la Critica della facoltà di giudizio (o Critica del giudizio)
del 1790. Ciò che caratterizza la riflessione estetica moderna è il
riconoscimento che l’arte e il bello sono nozioni individuali e
storiche e in quanto tali fanno appello non all’intelletto e alle sue
regole bensì al sentimento. Personalmente, la cosa che più mi piace del
conosciuto è la Terra vista dallo spazio. Anche i paesaggi naturali
incontaminati possono arrivare a togliermi il fiato; mi emozionano
molto meno le bellezze artistiche e scientifiche. In generale tutte le
cose dopo un po’ mi stancano, solo un oggetto non finisce mai di
piacermi: la mia moto. Per quanto riguarda le persone, la bellezza di
una donna può provocarmi forti emozioni che passano sotto i termini di
‘attrazione’, ‘infatuazione’, ‘invaghimento’. Tuttavia, in me dopo un
certo periodo queste emozioni cessano e si traducono in sentimenti come
l’innamoramento, l’amicizia e talvolta anche l’odio. Credo che oltre
alla bellezza fisica, in una persona sia molto più importante quella
che viene definita bellezza interiore: questa non finisce mai di
stupire, è sempre viva, prorompente nella sua serenità e semplicità.
Certo, mi piace curare il mio aspetto con decoro, ma cadere nel culto
della propria figura è molto pericoloso. Invecchiando l’aspetto si
deteriora e non ci si può fare nulla, se non orribili lifting e
rifacimenti chirurgici che personalmente trovo patetici. Questo genera
una ingestibile frustrazione, che porta forte sofferenza in chi
vorrebbe essere sempre bello e giovanile; il carattere, invece, può
arricchirsi e crescere sempre. Anche per il carattere però mi sento di
dire che c’è... un’estetica soggettiva: c’è chi preferisce l’allegro,
estroverso; c’è chi preferisce il mite, introverso. Tornando
all’aspetto, spesso dietro una cura troppo meticolosa, o un po’
ossessiva si nasconde il bisogno di essere apprezzati, riconosciuti e
stimati. È un bisogno fondamentale dell’uomo. L’uomo è “un animale
sociale”, affermava Rousseau, e ha bisogno di essere inserito nel
gruppo in cui vive. Però anche se l’aspetto ha una sua importanza, il
ruolo sociale è maggiormente legato all’intelligenza e personalità
dell’individuo, a differenza di come frequentemente si crede. Comunque
sia, un individuo può integrarsi perfettamente e piacere molto in un
contesto, e avere molto meno successo in un altro, anche se è sempre la
stessa persona. Concludo che non esiste un bello o una bellezza
universale, ma un gusto, per cui il bello naturale, artistico, o
scientifico è del tutto personale... Al massimo ci sono gusti più
condivisi di altri. Detto questo, basandomi sul mio infallibile buon
gusto, vi do un consiglio: leggete il Faro, che è sempre nuovo, è
sempre bello, anzi... che bello che bello che bello!
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L’INAFFERRABILE CHE CI AFFERRA
Antonio Marco Serra
Il sublime trascina gli ascoltatori non alla persuasione ma all’estasi,
perché ciò che è meraviglioso si accompagna sempre a un senso di smarrimento.
Pseudo-Longino – Del sublime (trad. Guidorizzi)
Una premessa: se vogliano parlare di
estetica, dobbiamo dare per scontato che “non è bello ciò che piace, è
bello ciò che è bello”. Se, in omaggio a un malinteso relativismo,
mettiamo sullo stesso piano lo scarabocchio che vergo soprappensiero
sul mio block-notes, mentre faccio una telefonata, con l’Annunciazione
di Leonardo da Vinci, solo perché qualcuno potrebbe preferirlo ad essa,
è ovvio che una disciplina come l’estetica non avrebbe ragione di
esistere. Come pure sarebbe privo di senso qualunque intento di educare
il senso artistico delle persone. E dunque, semplicemente, non ci
sarebbe materia su cui scrivere. Ovviamente ciascuno è libero di
apprezzare ciò che gli aggrada, ma occorre rendersi conto che il fatto
che molti di noi, dopo 2.800 anni, continuino a leggere con ammirazione
l’Iliade (e questa ammirazione, sia pur con alti e bassi, non è
praticamente mai venuta meno), non è dovuto a qualche bizzarro
capriccio del caso, ma a qualche proprietà oggettivamente insita
nell’opera o, per meglio dire, a qualche proprietà che lega
oggettivamente l’Iliade alla nostra psiche. E proprio di ciò l’estetica si occupa.
Come possiamo desumere dalla citazione iniziale (estratta da un
trattato di un autore anonimo, vissuto presumibilmente nella prima metà
del I sec. d.C.) sin dall’antichità si ipotizzava che l’opera d’arte
agisse a livello profondo sull’animo umano, causando anche un senso di
destabilizzazione dello stesso ed eventualmente una sua reintegrazione
(Aristotele a proposito delle tragedie greche parlava della ‘catarsi’
che esse inducono nell’ascoltatore). In realtà bisognerebbe distinguere
tra ciò che è abitualmente considerato ‘bello’, che è stato
storicamente associato alla misura e all’armonia (“La misura è tutto”,
stava scritto nel tempio dedicato ad Apollo a Delfi), e ciò che è
abitualmente considerato ‘sublime’, spesso associato a un qualcosa di
‘perturbante’, a qualcosa che proprio per la sua bellezza eccessiva e
travolgente, può indurre in noi sgomento. E d’ora innanzi mi
concentrerei soprattutto su questo secondo aspetto.
Questa distinzione bello/sublime ha anche avuto recenti conferme
sperimentali da parte delle neuroscienze. In un recente esperimento(1)
alcuni scienziati hanno osservato, tramite la risonanza magnetica, il
cervello di un gruppo di volontari che guardavano immagini abitualmente
associate al bello o al sublime ed hanno determinato quale aree
cerebrali venivano interessate (vedi figura).
Senza scendere in particolari, segnalo due risultati dell’esperimento.
Primo, le aree cerebrali connesse all’esperienza del bello e a quella
del sublime, sono tra loro disgiunte; secondo, e per me più importante,
le aree cerebrali interessate dalle esperienze del sublime non sono
solo quelle relative all’emotività ma anche quelle relative alla
cognitività. Semplificando: l’esperienza del sublime è (anche o prima
di tutto) un’esperienza di conoscenza. Ma conoscenza di cosa?
Intermezzo ricreativo. È curioso notare come di chi sia un
conoscitore d’arte si dica che ‘ha gusto’ (o buon gusto), non che ‘ha
vista’ o che ‘ha udito’, come ci si potrebbe aspettare, visto che le
opere d’arte, siano esse di letteratura, di musica o di arti
figurative, si colgono attraverso questi due sensi). È come se si
preferisse un senso che in una certa qual misura è più privato e
personale, meno condivisibile con gli altri; e come se si volesse
introiettare l’opera d’arte all’interno di chi la giudica. Tra l’altro
il gusto è un senso che è molto difficile da educare: è sicuramente
possibile con un’adeguata sensibilizzazione artistica far cogliere la
bellezza del Messia di Haendel, o di una Pietà di
Michelangelo, a chi prima non l’apprezzava; ma è molto più difficile
far sì che ci venga a piacere un cibo che prima ci faceva schifo. Fine dell’intermezzo.
Per quel che ne sappiamo, l’indissolubile legame tra l’uomo e l’arte
che produce o che fruisce, qualunque cosa essa possa rappresentare, è
più o meno antico come la nostra specie stessa. Io non ho idea del
motivo per cui un uomo, 32.000 anni fa, abbia dipinto su una stalattite
della grotta di Chauvet, nell’Ardèche, una figura con la testa di un
bisonte dallo sguardo allucinato, e con la parte inferiore del corpo di
una donna corpulenta, con i genitali chiaramente evidenziati, il tutto
inserito o sovrastato da un grosso felino (si veda la foto).
Qualcuno parla di riti di fertilità o di riti per propiziare una caccia
fruttuosa, ma non conosceremo mai la verità. Quello che so è che
guardando il documentario di Werner Herzog Cave of forgotten dreams,
sulla grotta di Chauvet, le cui pareti sono letteralmente ricoperte da
centinaia di graffiti, l’effetto che l’insieme della caverna e delle
pitture che la decorano hanno suscitato in me è stato quasi ipnotico. E
probabilmente l’effetto sarebbe stato assai più pronunciato, se avessi
visto il tutto dal vero, alla luce di torce improvvisate, anziché dei
potenti fari necessari per le riprese.
Ovviamente non so se anche gli uomini che frequentarono quella grotta,
al momento i cui i graffiti vennero dipinti, provassero un sentimento
analogo, ma mi piace pensare di sì. Ma se anche ciò non fosse,
quest’esempio metterebbe in luce una ‘proprietà’ che a me sembra comune
a tutte le autentiche opere d’arte, la capacità di riattualizzarsi
nelle varie epoche storiche: quello che Achille o Agamennone, Elena o
Cassandra hanno da dirci (o meglio: “hanno da farci”, come spiegherò
tra breve) può essere diverso da quello che avevano da dire a dei
contemporanei di Omero, eppure sembrano avere una parola anche per noi.
I personaggi delle autentiche opere d’arte non sono mai afoni.
L’autore del trattato Del sublime,
di cui sopra, parla, a proposito dell’opera d’arte, de “l’inafferrabile
che ci afferra”, io, analogamente, parlerei “dell’indicibile che ci
viene detto”.
Lungi da me l’idea di voler riassumere in poche parole quelli che
potrebbero essere gli scopi dell’espressione artistica; presumibilmente
ne esistono tanti, e tutti egualmente validi. Più modestamente mi piace
evidenziare un aspetto che mi sta particolarmente a cuore. Noi esseri
umani siamo abitualmente assai ‘pigri’; nel senso che la nostra psiche
si modifica in continuazione, non passa giorno che nel nostro cervello
non vengano attivate migliaia di nuove connessioni sinaptiche, eppure
spesso restiamo legati ad opinioni, concezioni o mentalità elaborate
molto tempo prima. È un po’ come se io, in una costruzione, iniziassi a
spostare, poco alla volta, le fondamenta, lasciando però inalterato
l’edificio soprastante: è ovvio che questo diverrebbe sempre più
instabile e pericolante. Fuor di metafora, tra ciò che effettivamente
siamo, e ciò che crediamo o ci sforziamo di essere, viene ad esistere
uno scarto sempre più pronunciato. E ciò ci causa un senso di
inadeguatezza che, il più delle volte, ci provoca un senso di disagio,
se non addirittura di sofferenza, di cui però noi non siamo solitamente
in grado di comprendere i motivi. Ebbene, a me sembra che una delle
potenzialità delle grandi opere artistiche sia quella di far affiorare
per vie misteriose ed in maniera ineludibile questo scarto e, così
facendo, di renderci impossibile convivere con esso. Ed ecco che posso
allora rispondere alla domanda che mi ponevo prima: la contemplazione
del sublime ci porta a una più autentica conoscenza di noi stessi.
Porta alla dissoluzione di ciò che credevamo di essere, di qui il senso
di sgomento, ma non si tratta di un cupio dissolvi, perché ci traghetta
anche verso ciò che siamo diventati. Distrugge senza pietà il nostro
mondo mentale, ma facendone venire alla luce uno nuovo e più adeguato.
E tutto ciò ci aiuta anche a capire quanto importanti siamo gli uni per
gli altri, perché, in questo tragitto, in questa catastrofe mentale,
che sembrerebbe quanto di più personale si possa concepire, non siamo
stati soli, giacché un’opera d’arte, che è il frutto di un Io diverso
dal nostro, vissuto magari in tempi lontani, ci ha preso per mano,
aiutandoci a portarlo a termine. Un’empatia che addirittura attraversa
i secoli e i millenni rendendoci coscienti di essere partecipi di
un’unica umanità.
E chissà se forse i miti di morte e rigenerazione presenti agli albori
di moltissime culture, che solitamente leggiamo come metafore del ciclo
delle stagioni o del tramontare e del sorgere del sole, o come riti che
esorcizzano la nostra paura della morte, promettendoci una rinascita
futura, non possano invece essere riferiti a qualcosa di assai più
privato e vicino: alla nostra personale esperienza intima di
dissoluzione (di una vecchia modalità di pensiero) e rinascita (ad una
nuova modalità di pensiero).
(1) Tomohiro Ishizu e Semir Zeki - “A neurobiological enquiry into
the origins of our experience of the sublime and beautiful”, Frontiers
in Human Neuroscience, nov. 2014 [Zeki è considerato il padre fondatore
della Neuroestetica. (n.d.a.)]
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IL MIO PENSIERO
Marco
L
’estetica dipende dalla zona dell’Italia o in generale del mondo in cui
ci si trova, quindi possiamo definirla una funzione dello spazio.
L’estetica dipende anche dal periodo culturale in cui ci si trova, cioè
essa è anche una funzione del tempo.
Inoltre dipende dal contesto in cui il soggetto dà un giudizio
estetico, cioè il tipo di persone che hanno influenzato il soggetto, le
vicissitudini da lui subite. La scienza moderna afferma che la genetica
influisce sulle percezioni dell’individuo, quindi c’è anche
quest’ultima variabile.
L’altro aspetto dell’estetica è che tutti ne possono parlare, ma alla
fine della discussione ogni persona coinvolta di norma mantiene la sua
idea. La mia personale idea d’estetica (che viene dal greco
‘sensazione’) è una sintesi delle varie anime che albergano in un uomo,
che fanno stare bene l’uomo negli ambienti che frequenta e quando è
solo con se stesso.
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SENSAZIONI
Stefy
La parola estetica significa sensazione
e sono proprio le sensazioni che ci fanno vedere la bellezza delle
cose! Sono le sensazioni, quelle che nascono dal profondo di noi, che
ci fan vedere la bellezza nella bruttezza, la ragione nella
sragionevolezza, l’equilibrio nello squilibrio, l’armonia nella
disarmonia eccetera... L’importante è saper percepire questa
sensazione, che da dentro di noi ci parla e ci fa trovare quello che a
prima vista non vediamo! Le sensazioni nascono dal profondo di noi per
poi risalire e uscire allo scoperto sulla nostra pelle. E così questa
sensazione è capace di farci venire i brividi di fronte anche a una
cosa brutta e lasciarci indifferenti di fronte alla bellezza più pura.
È questa sensazione, quella che non ci lascia indifferenti, che ci fa
dire se una cosa è bella o brutta. Quindi si può dire che non esistono
canoni di bellezza, ma solo modi diversi di percepire sensazioni, che
siano gioiose o tristi, e dall’importanza che vi si dà. Chi è più
sensibile ne viene più volte colpito e non rimane indifferente. E da lì
nascono i famosi ‘brividi a pelle’, quelli che non ti vanno via neanche
con il maglione di lana più pesante, e che si rinnovano ad ogni
incontro, che ti fanno accettare di fare cose assurde, che vanno contro
i tuoi interessi, che… sai benissimo che l’altro sta usando questa
sensazione che provi per i suoi interessi, e tu lotti con il tuo io e
con questa sensazione, per essere coerente con i tuoi interessi… Ma
cosa è che ci fa vivere seguendo questa sensazione? È forse la parte
del nostro io dove risiede la nostra leggerezza dell’essere, che ci fa
inseguire questa sensazione provocata dall’estetica? Ma se poi si pensa
che vivere è un susseguirsi di emozioni e sensazioni e che se non le
provassimo saremmo solo dei sopravviventi, allora l’estetica fa parte
della vita e ne abbiamo bisogno.
P.S. se è vero che la parola ‘estetica’ significa sensazione allora i
miei scritti sono esteticamente completi, perché sono le mie
sensazioni, quelle che provo; né studiate, né ragionate, ma provate sul
momento!
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PROVERBI
Luigi Zen pass
Non tutti i fratelli vengono per nuocere.
Non tutti i fratelli vengono per cuocere.
Fratello parente di coltello.
FREDDURA
Luigi Zen pass
Com'è che sei arrivato in ritardo?
Perché non vedevo l'ora.
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COME CI CONDIZIONA L’ESTETICA
Lucia
Imiei gatti (attualmente cinque, più
quattro dei vicini e due di passaggio) sono grandi cacciatori, come
naturalmente si confà ai felini, anche se supernutriti a suon di
croccantini. Perciò con mio gran disappunto fanno strage di bestiole e
mi portano le prede in casa, convinti di meritare i miei elogi. Questo
mi ha dato l’opportunità di fare una riflessione su quanto ci
condiziona l’estetica. Se trovo sulla soglia il cadavere di un ratto o
di una biscia, mi viene spontaneo un moto di disgusto, anche se
mitigato da un po’ di pena; se a finire nelle grinfie dei gatti è un
animaletto tipo un sorcio o una lucertola, mi impietosisco un po’ di
più; molto diversa è la mia reazione se viene ucciso un pettirosso o
uno scoiattolo. Lo strazio di creaturine così graziose mi provoca un
dispiacere più intenso: oltre alla distruzione di una vita,
evidentemente mi urta la distruzione della bellezza. Capisco che non è
sensato avere più pietà per un pettirosso che per un piccolo merlo
nero, più per uno scoiattolo che per un topolino, ma così mi accade.
C’è dunque qualcosa nella bellezza (e nel suo contrario) che scatena
reazioni irrazionali?
Tornando ai miei gatti, sono tutti felinamente belli: eleganti nel
portamento, accattivanti nei modi, e naturalmente morbidi morbidi. Ho
sempre amato i gatti e a ciascuno riconosco la dovuta quantità di
coccole e cure, cercando di non fare preferenze. Certo, però… gli
incantevoli occhi blu della siamesina riescono a farmi dimenticare il
suo caratterino scorbutico, la soffice livrea della tigrotta ornata da
candide ghette e pettorina attira carezze anche se lei non le gradisce
più di tanto, la tavolozza di colori sulle forme alla Botero della
miciona mamma mette allegria, il costume da suorina della silvestrina
fa tenerezza… il maschietto, invece, non sarebbe niente di speciale,
col suo manto ruvidino e banalmente a chiazze bianche e grigie, lo
salva giusto la macchietta su metà del naso, che gli dà un tocco di
originalità. Dunque lo trovo meno bello degli altri… Che se ne sia
accorto? Guarda caso, lui mi ama alla follia. Anche adesso è qui che
ronfa acciambellato fra il modem e il computer. Morale: se la bellezza
è un po’ carente, occorre darsi da fare un po’ di più…
In ambito umano, le cose si complicano.
Penso che sia abbastanza probabile che le persone di bell’aspetto siano
istintivamente e irrazionalmente preferite e quindi trattate con favore
rispetto a quelle che non hanno avuto questo dono. Per qualcuno lo
sforzo di piacere agli altri, anzi, di compiacerli fino al sacrificio
di sé, può diventare un tratto patologico della personalità.
Di fronte al fascino della bellezza, poi, può instaurarsi un sentimento
potente e rovinoso, l’invidia. Forse proprio perché si tende a
considerare chi è bello un privilegiato, non è improbabile che sotto
sotto gli si voglia male. Da qui nascono comportamenti tesi a
mortificare la persona che spicca per le sue doti naturali e pur senza
intenzione umilia la mediocrità altrui.
Il sentimento più pericoloso, però, è la gelosia. Dall’ammirazione
nasce il desiderio di possesso e da questo la tendenza a vedere la
persona come un oggetto da tenere solo per sé, da consumare. Penso alle
varie forme di molestia a sfondo sessuale o addirittura di violenza a
cui può essere sottoposta una persona proprio a causa della sua
avvenenza. E dalla frustrazione può nascere la pulsione a sporcare,
sfregiare, brutalizzare… Se non possiamo possedere l’oggetto del
desiderio, possiamo arrivare a preferirne la distruzione.
Non è detto, insomma, che essere belli sia sempre vantaggioso.
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LA POESÌ DI GÂT
Luigi Zen pass
Quand la mästra la s’ gira
pr arspàndar a qui chi han dmandè quel,
chi èter i s’ préllen d’arpiàt
par dir i su fatt
ai su cumpagn ed scrana.
Propi cumpagn i gât
che quand te t’arspànd al telefon
i sèlten in vatta al tavel d’arpiàt,
par magnèr al mègher
in tal piat.
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L’ESTETICA E LO ZEN
Luigi Zen pass
L
’estetica deriva da due parole greche che vogliono dire sensazione e
trascendentale, che io traduco, per motivi zen, una conseguenza di un
disordine anormale (anche mentale) che potrebbe urtare noi e gli altri,
attraverso la percezione dei sensi, per cui possono essere infinite le
applicazioni nel mondo materiale; è comunque qualcosa che manca e che
noi aggiungiamo e ordiniamo per ottenere una diversa sensazione,
possibilmente più gradevole. Un esempio, oltre a quelli da me descritti
nell’articolo di UmanaMente: se si cuoce qualcosa e viene ben cotto è
estetica, se viene bruciato è mancanza di estetica. Un esempio estremo
è la decorazione del defunto che viene preparato in un modo tale da
togliere i segni e le tracce che aveva nel volto o nel corpo delle
sofferenze prima di morire per malattia o incidente. Un esempio rapido
di estetica è quello di un’automobile lavata, da sporca e infangata che
era prima.
E se fosse un esempio trascendentale immagino che un pensiero
religioso, che è invisibile, non abbia estetica, ma rendendo il
concetto in parole attraverso un linguaggio estetico o, per esempio, un
dipinto con angeli o altre forme divine materializzate in forme
estetiche, attraverso i loro dipinti o attraverso altre forme d’arte.
Anche l’amore è trascendentale, poiché è un pensiero invisibile, allora
si materializza con espressioni che lo rappresentano, come le rose o i
fiori; e chiudo.
Se si mangia in bianco è meno estetico che mangiare a colori.
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LA BELLEZZA NON RISPECCHIA L’INTERIORE
Lucia Monaco
L
a bellezza. Cos’è la bellezza? Un alimento, un bel dolce che si mangia?
Un bell’uomo con una bella moto da cross, una bella donna in
bicicletta… La bellezza… Come si usa dire al mio paese, quando ti
innamori anche l’occhio vuole la sua parte. Be’, io ne ho avute di
storie con uomini belli, ma belli belli fuori, e brutti brutti dentro.
Per me conta di più… non importano le prime impressioni di quando
conosci una persona, oppure di quando acquisti un oggetto, che poi ti
accorgi che l’acquisto che hai fatto è stata una bella fregatura. Così
è per le persone, noi esseri umani, bisogna scoprire, conoscersi, prima
di dirsi “quanto è bello!”. La bellezza interiore è molto più
importante, per me, di quella esteriore. Sì, sì, per carità, l’occhio è
verissimo che vuole la sua parte, ma io ho ricevuto molte delusioni, e
non solo nella vita sentimentale, ma con parecchie conoscenze che
esteriormente, nel primo approccio e anche col passar degli anni,
sembravano angeli, ma poi… la grande delusione: questi che credevi
angeli, invece delle ali per poter volare nell’immensità infinita di
comunicazione morale e vissuto di vita… ti rendi conto che devi
scappare via a gambe lunghe e distese, perché invece di ali per volare
sono spuntate le corna: l’invidia, la forza per colpirti ben bene alle
spalle.
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GRAZIE PAPÀ E MAMMA
Concetta
I
lettori e le lettrici, aficionados
del Faro, avranno potuto riscontrare la discontinuità della
sottoscritta nella scrittura di elaborati da inserire nella rivista. Il
motivo? Se l’argomento da sviluppare non è fonte di ispirazione, o
meglio se non riesce a far risuonare le mie corde interiori, mai e poi
mai mi riuscirebbe di produrre qualcosa che rientri nei limiti della
decenza. L’estetica è un tema al quale, pur volendo, non riuscirei a
sottarmi, essendo per me un aspetto importantissimo, parte integrante
del mio modo di essere. Tra i ricordi, anche quelli più remoti, sovente
tornano alla mia mente i frequenti litigi con mia madre, che stanca
delle critiche dei paesani, che mal sopportavano le mie mise
troppo all’avanguardia, provocatorie e veramente strane per quel
contesto, mi minacciava e a volte mi impediva di uscire di casa. Col
senno di poi, penso che queste persone non avessero tutti i torti,
soprattutto se si tiene conto che si sta parlando di circa
quarantacinque anni fa e di Rosciolo, minuscolo paese di montagna
dell’entroterra abruzzese, in provincia dell’Aquila, con un’economia
basata essenzialmente sull’agricoltura e sulla pastorizia.
Successivamente, col passar degli anni ed il mio trasferimento in
città, le cose sono nettamente migliorate, nel senso che le critiche
sono andate via via scemando, il mio look eziandio ha iniziato a
raccogliere consensi, approvazione e gran complimenti, sia per il gusto
legato all’accostamento dei colori, sia per il taglio degli abiti, per
nulla assimilabile alla moda corrente del periodo: non ho mai voluto
essere, né mi sono mai sentita ‘massa’. Se si può parlare di
ereditarietà in questo ambito, posso senza ombra di dubbio asserire che
il buon gusto è uno di quei doni che mia madre, ma soprattutto papà, mi
hanno fatto. Papà Nando, sarto raffinatissimo, uomo di gran classe ed
eleganza, nel corso della sua vita, ha sempre indossato completi o
spezzati comprensivi di gilet, camicia, cravatta e calzini in tinta;
nel suo armadio sono sempre stati banditi i capi sportivi e/o casual.
L’altra cosa di cui sono grata ai miei genitori è la capacità di saper
rimettere a modello gli abiti, per renderli più giusti e adatti alle
mie caratteristiche fisiche. Gli indumenti vintage, acquistati in
negozio o nelle bancarelle dei mercatini dell’usato, una volta
modificati, armata di ago e filo li cucio tassativamente a mano. Oggi
più che mai, sono convinta, che non occorra fare spese pazze, né
acquistare capi firmati di gran pregio per raggiungere buoni livelli
estetici e di eleganza, ma saper valorizzare, ad esempio, un semplice
abito con i giusti accessori: occhiali, sciarpe, foulard, orecchini,
cappelli...
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LA PROPRIA IMMAGINE
Francesca
L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza
la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! …
La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza.
Fëdor Dostoevskij
L’estetica la si può intendere anche
per come ci si presenta e propone agli altri. Chi ha cura del proprio
corpo e vestiario, e chi meno. È così almeno che io penso. Il porsi in
modo gradevole e adeguato è un buon biglietto da visita. Per esempio
presentarsi al lavoro vestiti in modo ‘dignitoso’, per così dire, aiuta
e quindi influenza positivamente la relazione con gli altri, oltre che
col datore di lavoro a cui è bene far una buona impressione perché
possa accettarti e infine assumerti, che stringendo
è lo scopo da raggiungere. Ma c’è anche chi esagera con l’estetica,
portandola a degli estremi assurdi che rasentano il ridicolo oltre che
il cattivo gusto. Mi riferisco non solo al vestiario, piercing vari e
tatuaggi, ma anche a chi sceglie la strada della chirurgia plastica per
ringiovanire, che spesso ha risultati a dir poco disastrosi, perché
cambia i lineamenti del viso peggiorandoli e trasformando in mostri
coloro che vi si sottopongono, oltre al fatto che questi interventi
possono essere molto dannosi per la salute. Non è detto che chi cura il
proprio aspetto fisico curi altrettanto quello interiore, attraverso la
cultura varia, il vissuto più o meno intenso dell’individuo nell’arco
della sua vita, e il DNA (nel senso che è innato) che contribuiscono a
sviluppare un bagaglio interiore più o meno ricco. E così pure una
persona ricca interiormente non è detto che curi troppo la sua
immagine, ossia il proprio lato esteriore, perché probabilmente è già
così soddisfatta di sé e della sua personalità da non sentirne la
necessità. Secondo me, la bellezza interiore di una persona è
inevitabile che la si veda anche da fuori, perché si riflette
all’esterno attraverso il modo di fare e agire con gli altri. Chi è
bello dentro lo è anche fuori, a mio giudizio. Per esempio persone non
belle esteticamente, ma interiormente sì, conoscendole a fondo,
diventano persino belle ai nostri occhi. Essere sé stessi, ossia
rimanere persone vere e pure, è un’altra grande dote che rende bella e
speciale una persona, visto che non la si trova così facilmente.
La purezza e la sincerità oltre che l’umiltà, la semplicità, l’onestà,
la bontà d’animo unite alla sensibilità e all’intelligenza e tanto
altro rappresentano un aspetto estremamente importante , bello e
interessante dell’individuo: lo portano a raggiungere una certa armonia
con sé stesso e con gli altri e ne fanno una bellissima persona. Chi
ostenta troppo è perché non si sente abbastanza gratificato dal proprio
mondo interiore e dalla propria spiritualità. Si tratta di persone
probabilmente superficiali e aride nel loro io, che allora cercano
conferme e attenzioni all’esterno, curando eccessivamente la propria
immagine, spesso, per nascondere un vuoto interiore o un’insicurezza e
penso che, di fondo, costoro non si piacciono né si apprezzano
abbastanza, altrimenti non avrebbero bisogno di richiamare l’attenzione
degli altri su di sé. Ovviamente non è sempre così, perché questo può
anche essere un modo per esprimere meglio la propria personalità e del
resto bisogna piacere prima di tutto a sé stessi, così come bisogna
piacersi per come ci si veste. Si dice che la bellezza sta negli occhi
di chi guarda le cose e il mondo. Chi ha un certo gusto e il senso
della bellezza in generale, apprezza tutto ciò che è bello e armonioso,
come la buona musica, un bel quadro, quindi l’arte, dei bei paesaggi o
un bel viso, e tanto altro che sta nel mondo che lo circonda, perché ha
già in sé una grande armonia interiore, intesa come ricchezza di animo
e spirito che lo rende più sensibile e attento a tutto ciò che è bello,
perché il suo mondo interiore lo è, rispecchiandosi anche all’esterno.
Lui riconosce in ciò che lo circonda, la parte più bella, proprio
perché appartiene al suo animo e si identifica con essa. Un viso bello
(secondo i canoni classici) ma che non esprime nulla, a me, per esempio
non interessa e non piace, perché dietro non c’è uno spessore emotivo,
ma solo un vuoto. Quindi bello non è, secondo il mio personalissimo
gusto e parere. In pratica e concludendo, la bellezza interna si
riflette e ci fa riconoscere il bello che ci circonda, perché in esso
ci riconosciamo e rispecchiamo. Questo è il mio personale concetto di
bellezza.
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UN BINOMIO DIFFICILE BELLEZZA E MALATTIA
Lucia
Tutti sappiamo quanto è bello aver la
‘faccia della salute’. Eppure non è possibile essere sempre belli e
pimpanti, la vita è un cammino (si spera lungo, ma non si sa) irto di
ostacoli. L’esperienza della malattia è anche esperienza di decadimento
fisico: colorito che si appanna, occhiaie scure, capelli che cadono,
tono muscolare che vien meno… insomma bellezza che sfiorisce. E anche
se si guarirà, non è detto che si torni belli come prima, perché certe
malattie lasciano deformazioni e segni permanenti. Persino le cure,
indispensabili per recuperare la salute o almeno per evitare il peggio,
possono contribuire a distruggere la bellezza. Penso alle amputazioni,
alle cicatrici chirurgiche, agli effetti collaterali della
chemioterapia e di tanti farmaci… Non è facile accettare di vedere il
proprio fisico deturpato. Oggi, molto più che in passato, si tiene
conto anche di questo. Si è capito, insomma, che limitare il più
possibile i danni estetici e fare magari anche un po’ di cura di
bellezza può contribuire a rinforzare l’attaccamento alla vita e a
tener su l’umore della persona colpita dalla malattia (e di chi le sta
attorno). Trovo che sia una conquista importante.
Così come mi sembra utile e opportuno curare molto l’aspetto e
l’abbigliamento per mitigare (non mascherare) l’impatto visivo degli
handicap fisici: una buona impressione iniziale aiuta, suscita
simpatia, procura amicizia.
Da ultimo vengo al problema degli interventi effettuati non per motivi
di salute o per eliminare inestetismi pregiudizievoli, ma solo per
accontentare lo smodato desiderio di apparire più giovani, belli e
sexy. Va be’, correggere un difettuccio congenito, limitare un po’ i
segni del tempo… sono cose che, se vogliamo, possono anche dare
un’iniezione di ottimismo, ma non bisogna esagerare! Nel mondo dello
spettacolo e della moda, ma non solo, capita sempre più spesso di
vedere autentici scempi dovuti a interventi massicci e ripetitivi sul
viso e sul corpo. Secondo me i medici che per denaro si prestano a
questi eccessi andrebbero radiati dall’ordine: primum non nocere (prima di tutto non far danno), anche se è l’interessato che te lo chiede!
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SIGNORE, LA MALATTIA…
preghiera inviataci da Armando C.
S
ignore, la malattia ha bussato alla porta della mia vita, mi ha
sradicato dal mio lavoro e mi ha trapiantato in un ‘altro mondo’, il
mondo dei malati. Un’esperienza dura, Signore, una realtà difficile da
accettare. Eppure, Signore, ti ringrazio proprio per questa malattia:
mi ha fatto toccare con mano la fragilità e la precarietà della vita,
mi ha liberato da tante illusioni. Ora guardo tutto con occhi diversi:
quello che ho e che sono non mi appartiene, è un tuo dono. Ho scoperto
che cosa vuol dire ‘dipendere’, aver bisogno di tutto e di tutti, non
poter far nulla da solo. Ho provato la solitudine, l’angoscia, la
disperazione, ma anche l’affetto, l’amore, l’amicizia di tante persone.
Signore, anche se mi è difficile, ti dico: “Sia fatta la tua volontà”.
Ti prego, benedici tutte le persone che mi assistono e soffrono con me.
E se vuoi, dona la guarigione a me e agli altri.
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Come una stella
Mariangela
Bella dal sol baciata
come una stella brilli,
luce per i miei occhi
musica dolce e suoni,
fulgido il tuo sorriso
candide le tue mani,
rosse son le tue labbra
sposa per me agognata.
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Quo vadis?
Matteo Bosinelli
"Il futuro è buono"
disse allora il Saggio Esperto
all'incredulo uomo.
Trascorse tempo molto, molto incerto
e stagione su stagione.
Ma alla fine si capì
che il Saggio Esperto aveva ragione.
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Sei bella, sei bellissima
Paola Scatola
Sei bella, sei bellissima,
sei bella, sei fantastica.
Truccata così mi piaci molto
e sei mia.
Vado via dalla tua bellezza,
me ne vado dai tuoi occhi
d’amianto truccati a quel modo.
Sei bella e torni da me.
Sono tua e godo della tua bellezza,
godo delle tue labbra rosse così
bella da brivido.
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15 Luglio
Raffaele
Un compleanno divenuto banale
che vorrei si perdesse
senza rumore
nel buio del tempo.
Non c'è luce sulla mia strada
senza il tuo sorriso
ed inciampo ad ogni passo.
Non è giusto
ma non si sovverte
una legge eterna.
Rimane soltanto
ma è troppo poco
la speranza di ricominciare.
Ma quando?
Il tempo ha cancellato le mie orme
ed allora mi chiedo se esisto ancora
almeno nella memoria di qualcuno.
Compleanno senza candeline
ed allora sono felice
delle mie lacrime d'amore.
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A Rita
Raffaele
Nell’autunno della mia memoria
ho perduto i ricordi dei tuoi vent’anni
bruciati all’improvviso
in una notte di stelle.
Non vale interrogarsi
e chiedere al tempo
di restituirmi
oggi o domani
quel che mi è stato rubato;
non vale chiedere
con angoscia
che torni a splendere il sole.
Ricordo soltanto l’inguaribile ferita
che in una notte di stelle
mi trapassò l’anima.
Ricordo soltanto il silenzio atroce
di quella strada
che a tradimento t’aveva ingoiata.
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Bella
Loopa Sonivree
Sei bella
molto avvenente
la tua bellezza illumina
tutta la stanza...
Mi volto
e ti guardo,
non ti preoccupi
del giudizio degli altri,
ti diverti
e passi
ogni momento
con grande gioia!
Ti guardi intorno
l'aspetto può contare molto,
tu non ci fai caso,
vai avanti per la tua strada,
senza odio per gli altri,
con grande amore
da donare a tutti.
Sei una luce che illumina
il mondo che ti circonda...
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L’urlo dell’artista
Marcella Colaci (da "Poetica vitale a colori")
La passeggiata si fa tortuosa
inciampo,
rotolo giù, poi risalgo,
stando attenta alle sfumature
degli sguardi sconosciuti
mentre mi lancio
a raccogliere rami.
Il cuore si spezza,
forte l’urlo s’alza
di dolore.
Non muore,
ma ecco immenso vibrare
l’artista.
Follie passate
non tornate più,
dolori immondi
diventate spuma di mare,
antica credenza pronta all’uso
per convincermi di me
che l’urlo è sano
che l’urlo è silenzio
che l’urlo mio
è il vostro antenato.
Sano per fermare
Silenzio per ascoltare
Antenato per colmare.
Urlo di artista serio.
Impavido guerriero
umile al canto,
urla affranto,
spezzato.
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Tramonto
Matteo Bosinelli (1979)
Ultimo
messaggio
disperato
che si offusca nella notte.
Raggi celesti
tendono
verso di noi:
"Non addormentatevi, uomini!"
Sepolti
misteri
hanno abbagliato i nostri occhi,
per poi ricadere
nel nulla.
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Oh… L’Arte
Marcella Colaci (da "Poetica vitale a colori")
Un ‘Ricciolo di donna’
aggrovigliato ammasso nero
di fil di ferro.
E verso l’alto va quel ricciolo,
l’Arte ha da fare!
Poi l’‘Uccello nello spazio’,
snello pennino dorato,
mi compiaccio che sia nato,
avrà sfamato?
La Grande Mela ha battuto
all’asta 27.460.000 dollari
e da qualche parte
si muore di fame… Oh, l’Arte!
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Il mio ordine
Daniela Mariotti
Il mio ordine:
gentilezza, tenerezza, dolcezza e lux,
se volete scrivete il vostro;
qui l'Estetica è un'istituzione,
non esiste la parola severità, crudeltà.
Quando la curiosità viene meno
la poesia si innalza con la sua luce,
anche quando il cielo si fa luminoso
della sua giovane alba
della sua giovane vita, che è rimasta
come segno di luce della sua anima.
Estetica: fa luce a noi, poveri umani.
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Sull’estetica
Paola Scatola
Se son bello mi tirano le pietre,
se son brutto mi tirano le pietre.
Cosa è bello ?
Cosa è brutto?
Sono bella o sono brutta,
me lo devi dire tu.
Mi guardi e mi dici:
“Oggi sei in ordine”.
E io ti rispondo:
“Bisognerebbe esserlo anche dentro”.
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IL RITRATTO DI DORIAN GRAY di Oscar Wilde (1890)
H
o scelto questo romanzo di Oscar Wilde perché secondo me Dorian Gray,
il protagonista di questo libro, è l’esteta per antonomasia. Dorian
Gray fa della sua bellezza un rito insano. Egli si rende conto del suo
fascino quando Basil Hallward pittore suo amico gli regala un ritratto.
Mentre Basil gli fa il ritratto, Dorian conosce un suo amico, Lord
Henry Wotton. Dopo un lungo discorso con quest’ultimo Dorian prova
invidia per il suo stesso ritratto, ciò lo porta a stipulare una specie
di ‘patto col demonio’, che consiste nel fatto che il quadro invecchi e
si imbruttisca al posto suo. Nella sua vita Dorian si innamora di
un’attrice, Sybil Vane, che si suicida perché lui la vuole lasciare.
Dopo questo fatto, vedendo che la figura nel quadro assume smorfie
spaventose tutte le volte che lui commette un atto feroce e ingiusto,
come se fosse la rappresentazione della sua coscienza, Dorian nasconde
il quadro in soffitta e si dà a una vita piena di piaceri, sempre
convinto che il quadro si imbruttisca e invecchi al posto suo. Non
rivela a nessuno l’esistenza del quadro, tranne al pittore Basil
Hallward, che poi uccide a causa delle sue critiche e perché lo ritiene
responsabile dei suoi mali, in quanto autore del ritratto. Dopo di ciò,
ogni tanto si reca in soffitta a controllare il suo ritratto e un
giorno, preso dai rimorsi, lacera il quadro con lo stesso coltello
usato per uccidere Hallward. Dorian Gray viene trovato morto con un
pugnale conficcato nel cuore, irriconoscibile, con ai suoi piedi il
ritratto, ritornato meravigliosamente giovane e bello come quando era
stato dipinto.
I personaggi di questo libro sono tutti interessanti, ma quello che mi
ha colpito di più è lord Wotton, perché si esprime per aforismi e, per
usare le stesse parole con cui l’autore lo descrive all’interno del
romanzo, “sembra aver riassunto il mondo in una frase”. È un
personaggio talmente forte che sembra il protagonista.
È descritto molto bene anche l’ambiente in cui si svolge il romanzo,
cioè la Londra vittoriana del XIX secolo, che all’epoca era pervasa da
una mentalità tipicamente borghese. Consiglio la lettura perché la
trama è originale.
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LO SPOSALIZIO DI MARIA
Edoardo Bellanca
Avevo visto altre volte questo quadro
di Raffaello Sanzio nel corso della mia vita… lo trovavo bello, ben
pitturato… e finiva tutto qui. L’altro giorno ho sfogliato alcuni libri
di pittura, dato che il prossimo argomento del Faro è “l’estetica”, e
quando ho rivisto questo dipinto, subito il mio sguardo è stato
attirato da una figura in primo piano, di un giovane che sta cercando
di rompere una verga. Non ci avevo mai fatto caso! Quella figura, in un
quadro dedicato al matrimonio della Vergine, mi risultava stonata, non
era nascosta, ma in primo piano. Capivo che, se Raffaello l’aveva così
messa in evidenza, una ragione doveva pur esserci. Intanto in me un
effetto immediato lo fece: entrare più profondamente nel quadro.
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LO SFOGATOIO
Un mondo vivo dentro di me
Ieri
sera sono andata all’incontro del gruppo a.m.a. “Per un linguaggio
comune”. Parlando un po’ di noi, mi sono resa conto della forza che ho
dentro e che metto nelle cose che sono convinta di volere.
Frequento già il gruppo “Spazio e Amicizia” del venerdì, il laboratorio
di scrittura creativa, e ora questo gruppo “Per un linguaggio comune” e
non ho intenzione di limitare a ciò le mie iniziative. Seguo anche il
progetto i.p.s. per vedere di trovare un lavoro adeguato a me, e la mia
psichiatra sta pensando anche a un corso ESP per me, visto il mio
carattere capace di comprensione, di mettermi nei panni degli altri.
Tutto ciò mi fa piacere, perché significa che dentro di me c’è un mondo
che ancora vive e che vuole uscire, anche la mia sensibilità (anche se
è difficile spiegare i suoi limiti quasi infiniti). Questo dimostra che
al mio CSM hanno sempre sbagliato a giudicarmi. Questa è un po’ la mia
rivincita ma soprattutto la mia rinascita come persona. Questa mia
capacità di ridere, piangere e offendermi con niente significa che ho
ancora una cosa importante che fa di me un essere umano: il cuore e
l’anima. Non importa se non ho grandi doti, ma avere quelle due cose lì
mi rende già eccezionale, perché in una società come quella in cui
viviamo sono cose rare. E così prendo la forza che trovo
quotidianamente dentro di me e continuo il mio cammino verso un
orizzonte che non è un tramonto, ma un’alba, un nuovo inizio per una
come me!
Stefy
Un pessimo cocktail
Era un
periodo che per motivi famigliari dormivo poco e non avendo tirocini
formativi (benché richiesti più volte) avevo la giornata libera e
volevo dormire nel pomeriggio. Sono andato al CSM per ottenere la
prescrizione di un calmante-sonnifero; non c'era il mio medico di
riferimento, ma la dottoressa di turno mi fatto fare un contenitore di
soluzione fisiologica con il 2 % En. Io ho detto che tale farmaco su di
me non ha effetto (me lo avevano dato tempo fa in una situazione
simile) ma le mie parole sono state inascoltate e mi hanno detto di
tornare a casa. Giunto a casa, per dormire ho preso un cocktail di
dieci Flunox, una quantità imprecisata (versata in un bicchiere) di
Trittico e un Lexotan. Per fortuna giungeva la telefonata di una mia
amica che mi chiamava per sapere come stava mia madre. Le ho raccontato
il fatto e lei mi detto di chiamare il CSM. L’operatore è venuto con
un’ambulanza (tanto valeva che quando l’ho chiesto mi avesse dato un
calmante più forte e poi mi avesse accompagnato a casa) che mi ha
portato al Maggiore in codice giallo. Al pronto soccorso mi hanno
prelevato il sangue e fatto una flebo di soluzione fisiologica per
urinare; finita la flebo (con lo stupore dell’infermiere e di un altro
medico che passava per l'ambulatorio) non mi hanno fatto la lavanda
gastrica, né somministrato il carbone per assorbire le sostanze
tossiche, ma mi hanno spedito a casa. Non riuscendo ad urinare
correttamente nella giornata di venerdì, sabato sono tornato in PS dove
mi hanno dato il codice verde e mi hanno detto che le sostanze erano
ormai in circolo. Per farmi urinare mi hanno fatto tre sacche di
soluzione fisiologica poi, dato l'esito negativo, mi hanno messo un
catetere. Dopo circa quaranta minuti mi hanno dato la scelta di passare
sabato e domenica al PS in attesa di un urologo che sarebbe venuto
lunedì, o di andare a casa e prenotare una visita dall’urologo, cosa
che ho scelto. Martedì sono andato dall’urologo, che mi ha prescritto
un cura di trenta giorni. Visto che si parla tanto di un centro unico
per gestire le emergenze, forse sarebbe l'ora di farlo. E di dare i
tirocini formativi.
M.
Tenersi su
Mi dite
di tenermi su, ma come faccio se a volte quello che sono non mi basta e
mi tiene su solo un filo di pensiero che mi serve per non cadere nel
fuoco e bruciarmi! Sono una piccola stella senza cielo, che corre da
una parte all'altra per trovare il suo posto nella vita. Ma cosa vuoi
che sia questo tempo, passa tutto quanto! Anche questo mio tempo di
indecisione sulla vita che vivo (o sopravvivo) e su quella che sono…
Quando questo tempo passerà, quando avrò trovato il mio pezzo di cielo
allora ci riderò su! Ma ora, ogni giorno, quando apro gli occhi al
mondo, mi dico, tra me e me: “Niente paura, passerà tutto quanto!”.
Tornerò a credere in me, nelle mie doti, nelle mie qualità e scavando
dentro di me non troverò solo difetti! Troverò anche dei pregi, che mi
rendono unica e mi aiuteranno a trovare il mio angolo nel cielo, per
poter brillare e trovare le parole che ho perso, che mi salveranno dal
bruciarmi. Ma per ora: “NIENTE PAURA! Perché il meglio deve ancora
venire!!!”
Stefy
Le ore contate
Richiesta
di pubblicazione e massima diffusione.
Ti.Fo. Quando la matematica delle ore lavorate è un'opinione. Facciamo
un po’ di doxa. Mi sforzerò di avere un approccio platonico e non
incazzarmi troppo. Al Superuranio di ognuno di Voi. Il Ti.Fo. viene
pagato a percentuale di giorni lavorati. Per esempio. I giorni
lavorativi previsti all'interno di un mese sono 18. Uno ne lavora 18…
100%. Mi spiego ancora meglio. La mia indennità di frequenza è 230 €…
230:18x18=230. Però il bello viene adesso. Se l'azienda è chiusa per
ferie devi lavorare lo stesso. Certo, puoi fare festa, anzi devi fare
festa, ma i giorni di festa vanno scalati. Se per esempio ce ne sono 3
devi fare 18-3? No, 18+3! Quindi i giorni che devi lavorare sono 21.
Quelli che puoi lavorare 18. Il risultato è questo: 230:21x18=197,14 €…
Quindi le feste mi sono costate 33,86 €. Se qualcuno mi dice “poco”,
gli rispondo che fortunatamente ci sono i saldi-caldi. Ammetto di
essere inferiormente surriscaldato. Chiamatemi Charlie… BrownS.
Giovanni
La presa di coscienza
Nell’altalena
del “chi vede chi?” mi domando a chi giovi realmente l’incontro
psichiatra/paziente. Il sottotitolo che mi salta agli occhi è la
pericolosità sociale (esperienza personale) che deve essere controllata
in modo capillare dal professionista (psico/carabiniere). Ma quanto
interessa realmente la vita di una persona nella sua interezza (gioie,
paure ed emozioni)? Credo che la cosa principale sia cosa ci può dire
l’ascolto: di se stessi prima, e nel raccontarlo poi allo specialista,
se solo ne fosse interessato. Paziente/psichiatra, situazione al limite
del sovvertimento sociale, ruolo e posizione cambiano, è il paziente
nel momento del bisogno reale che cerca il professionista (reale presa
di coscienza dell’utente).
Paolo Sanzani
Dopo un 31 dicembre solitario
Oggi mi
sento dissociato: FINALMENTE! Ieri sera non ho festeggiato, sono stato
con me. Ed oggi il mondo degli altri mi sembra onirico, non mio. OGGI
SONO! E se il mondo ha bisogno di esorcizzare il dolore ed il passato,
vuole ESSERCI, io mi dissocio e voglio ESSERE! E sono. Da oggi, come ho
scritto due numeri fa, metto, da utente psichiatrico, un apostrofo fra
la M e la A: M' ATTO! E L' APOSTROFO NON HO INTENZIONE DI TOGLIERLO
PIÙ.
Giovanni
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COME UN DIPINTO
Costanza Tuor
Le dita tamburellavano sul tavolino
metallico di colore bianco, mentre con gli occhi Vincent leggeva di
sfuggita le ultime notizie sul giornale di quel giorno. La sera
cominciava a miscelare i suoi colori caldi e freddi, l’aria era tersa.
Proprio davanti a lui una donna teneva un bambino di quattro anni per
mano e se lo trascinava con sé lungo la via lasciando una parvenza
consistente alle sue spalle. La minuscola forma umana del corpo del
bimbo vestito di rosso porpora si perdeva lasciandosi fagocitare dal
cremisi del cappotto della madre. Fu in quel momento che Vincent pensò
alla maternità e all’infanzia come indivisibili movimenti,
raffigurazioni del medesimo battito condiviso dalla madre e dal
bambino. Fu nel colore rosso e nelle sue declinazioni che quel giorno
si ricordò di quanto fosse piacevole essere trascinato da una mano
sicura lungo le vie della città, senza consapevolezza alcuna né del
colore, né del cielo, ma con la gioiosa vitalità della scoperta.
Girò poi leggermente il capo e si accorse che vicino al suo tavolo
sedeva un vecchio signore piuttosto pingue che sorseggiava
rumorosamente un tè fumante. L’uomo sembrava non accorgersi del
fastidioso rumore che produceva assaporando la bevanda. Vestito di
scuro, se non fosse stato per l’età avanzata, avrebbe tranquillamente
potuto essere scambiato per un commerciante. Vincent lasciando i suoi
pensieri liberi di andare dove volevano in piena anarchia si convinse
che quel vecchio fosse un venditore di limoni. La sua vita si era
svolta viaggiando tra l’Italia e la Grecia in un’eterna riscoperta
delle temperature mediterranee, dei profumi pieni d’aria e sole, del
giallo ocra dei frutti incastonati in irriverenti masse di foglie
verdi. Nell’immagine che il pensiero evocava, disinvolta e
stereotipata, Vincent riusciva a lasciar passare il respiro del sud
attraverso l’asprezza del succo del frutto preferito dall’uomo vestito
di scuro, portando così fino all’estremo limite la percezione personale
di una realtà che appariva intangibile e che di fatto pareva esistere
solo nei suoi sensi.
Raccolse il giornale e lesse un intero articoletto che trattava dei
problemi agricoli senza trattenere nemmeno un concetto, tuttavia una
parola attirò la sua attenzione, quella parola era 'meccanismo'.
Curioso, sensibile e geniale non amava le spiegazioni troppo tecniche,
che lasciavano poco spazio alla creatività e all’imprevisto. Eppure la
parola 'meccanismo' lo interessava, forse perché riteneva che qualche
sorta di meccanismo facesse muovere ogni cosa. Non si trattava in
effetti di un ingranaggio ben oliato che andava mantenuto in attività e
pulito da ogni intransigenza, ma piuttosto un sapere che riusciva a
muovere i muscoli come i venti. Una sapienza di gesti e di voci che
trovavano la loro naturale declinazione nella vita umana e del mondo.
Un meccanismo cosmico capace di pompare il sangue della vita in ogni
cosa. Era a causa di questo meccanismo se il battito dei cuori
persisteva, se i cani scodinzolavano, se le abitazioni accoglievano le
membra affaticate e, per via dello stesso meccanismo, incongruente,
sobrio e sfavillante contemporaneamente, le persone lottavano per la
vita.
C’era nei colori, nei profumi e nei gesti l’allusione alla profondità,
la persistenza della creazione. C’era aria per respirare, conforto
nelle pene e gioia di vivere.
Pochi istanti dopo con la mente completamente sgombra prese tra le dita
la sua tazzina di caffè e bevve, mentre il cielo s’era fatto magenta.
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LORO CERCAVANO L’ORO
Opola Resonive
D
ov’erano loro? Si trovavano vicino ad una miniera ricca d’oro? Era da
tempo che la stavano cercando, ma invano, infatti non riuscivano a
trovarla! Scavavano in diversi punti fra rocce e caverne, tutto il
tempo l’impiegavano in una incessante ricerca...
Stavano impegnando tutta la loro esistenza nella ricerca di questo
obiettivo, la possibilità di un fallimento non l’avevano considerata,
erano fermi, decisi e sicuri, con una grande dose di speranza, quasi
spregiudicatezza. Sicuramente erano aiutati da una grande coesione di
gruppo, così i momenti di sconforto venivano superati con facilità. Uno
sguardo, un sorriso, un gesto d’affetto e i problemi venivano messi da
parte...
Dove si trovavano? Precisamente non si sa, comunque erano in una grande
catena montuosa. Era l’alba, quando quel giorno si alzarono, come
d’abitudine si prepararono in fretta e dopo una rapida colazione
lasciarono il loro capanno e si diressero verso la zona degli scavi,
ormai erano delusi dai cunicoli scavati perciò si avviarono in una zona
ancora tutta da esplorare. Dovevano decidere da che parte iniziare a
scavare e per farlo utilizzarono un bastoncino che fatto roteare indicò
un muro di terra che si trovava leggermente spostato a sinistra della
cima. Quindi bisognava stabilire i turni con i quali alternarsi fra i
vari lavori, che comprendevano principalmente lo scavare, poi spostare
la terra e infine posizionare travi per fermare la caduta della terra.
Erano una decina di persone, tutte provenienti dallo stesso paese,
sempre amici fin da giovani, ora ormai adulti speravano di realizzare
il loro grande sogno. Con ordine e armonia iniziarono a lavorare,
ognuno capiva l’altro da un piccolo movimento e sapeva come aiutarlo.
Fra di loro non c’era sicuramente gelosia ed invidia! Vivevano in un
piccolo mondo isolato da tutti, senza sentire la mancanza della
civiltà, riuscendo a sopravvivere con grande dignità. Era ormai una
decina d’anni che scavavano senza risultato. Quel giorno d’estate non
faceva ancora molto caldo e nella valle deserta si riusciva solo a
sentire il canto del gruppo compatto che così si teneva su di morale.
Avevano investito tutti i loro risparmi in questa avventura, una vita
dedicata a un progetto. L’idea era nata quando un lontano parente, che
era stato un ricco cercatore d’oro, aveva lasciato loro in eredità il
grande appezzamento di terra dove aveva fatto fortuna. Purtroppo però
la miniera era esaurita e la ricchezza trovata, il parente, fortunato
ma poco avveduto, l’aveva spesa in un paio di anni. Loro speravano di
trovare quel giacimento che avrebbe reso a tutti loro la vita
tranquilla ed agiata.
Nel giro di alcune settimane la nuova galleria fu scavata: avevano
raggiunto una grande profondità, ma del minerale prezioso non si vedeva
l’ombra... La sera nella baracca si trovavano tutti stanchi e
affaticati e dopo una sostanziosa cena crollavano esausti per un
meritato riposo. Avevano deciso che loro sarebbero rimasti lì, se non
fosse bastato anche per tutta la vita! Le giornate passavano veloci, il
lavoro era faticoso, loro amavano quel lavoro ed essendo così tanti
anni che lo facevano, non sapevano fare altro; in fondo questa continua
attività li teneva sempre impegnati, così i pensieri si volgevano su
come avrebbero vissuto se avessero trovato l’oro. Volevano, raggiunta
la ricchezza, abbandonare le fatiche, dedicarsi al riposo e a una vita
agiata con ogni genere di lusso, quello che fino ad allora non avevano
mai potuto avere.
Questo
desiderio di ricchezza era così presente nella loro vita da aver
cancellato qualsiasi altro obiettivo. Lavoravano più di una decina
d’ore al giorno, faticare, ormai per loro era diventato una cosa
abituale. Cercare, cercare, cercare, passare la loro vita a cercare...
Come ogni mese decisero di andare a far provviste, salirono tutti sul
furgone e si diressero verso il più vicino centro abitato. Attorno
c’erano molti campi coltivati, animali nelle fattorie. All’emporio
fecero provviste che sarebbero durate un altro mese. Le persone che
incontravano li giudicavano come un gruppo di pazzi che perdeva tutta
la vita alla ricerca di una vana speranza… In effetti i loro grandi
sacrifici non erano affatto ripagati. Loro a differenza di molti non
avevano alcuna maschera, tutti sapevano il loro desiderio e questo
essere troppo scoperti causava una grande vulnerabilità. Nella vita è
necessario sicuramente avere diverse maschere da utilizzare a seconda
delle situazioni, bisogna riuscire ad alternarsi fra le varie maschere
e la nostra vera personalità per riuscire a vivere meglio. Dopo aver
fatto provviste si diressero verso il capanno. In un paio d’ore
arrivarono, quindi iniziarono a scaricare tutto riempiendo la dispensa.
Il loro desiderio non si era finora avverato, se nell’impresa fossero
stati soli avrebbero già abbandonato. Però il gruppo dava loro una
grande carica d’energia e una grande dose di coraggio... Ovviamente non
potevano essere certi della riuscita del loro progetto, avevano deciso
di continuare ad avere quello stile di vita al quale s’erano abituati.
Scavavano, scavavano per ore, la loro ricerca aveva tolto loro la
famiglia, gli interessi e la noia. Decisamente non riuscivano ad
annoiarsi erano troppo presi dal lavoro! L’amicizia però quella non
mancava, era l’arco portante del loro modo di vivere. Avevano imparato
un lavoro nel quale erano sicuramente diventati degli assi, conoscendo
ogni piccolo segreto della montagna. Però i soldi stavano finendo,
quindi era necessario trovare un rimedio, se no sarebbero stati
costretti a tornare a casa, ma quale casa? Erano tutti nel capanno
riuniti quando Edo disse che avrebbe lasciato il gruppo e si sarebbe
trasferito in città. Queste parole provocarono il panico fra tutti,
perché veniva a mancare una tessera del mosaico, si poteva incrinare il
gruppo… Ma il giorno dopo Edo con le sue poche cose se ne andò. Il
gruppo s’era rotto, dopo la partenza del loro caro amico erano tutti
presi dallo sconforto, nessuno aveva più voglia di lavorare, iniziarono
a domandarsi se alla fine non si dovevano considerare dei pazzi nella
loro vana ricerca, conclusero che probabilmente quelli che li
denigravano avevano ragione. In tutti quegli anni avevano trovato solo
qualche piccola pietra d’oro... Così lentamente le partenze
aumentarono... Il gruppo si era diviso... Rimasero solo in due, Jim e
Ted, loro decisero che avrebbero smesso di scavare, ma avrebbero
continuato a vivere lì, si misero nel commercio di legname...
La vita del gruppo si dissolse, ognuno andò per la sua strada, comunque
l’esperienza formò delle persone forti e sicure per poter affrontare la
vita, anche se non riuscirono a realizzare il loro sogno capirono che
attraverso un gruppo potevano superare difficoltà impensabili da
soli... Un’esperienza che diede loro molto... Erano arrivati a un passo
dal riuscire, l’importante era stato l’averci provato, aver
rischiato... Alla fine ognuno andò per la sua strada, ma un forte
legame li avrebbe tenuti sempre uniti: una grande amicizia.
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UNA DONNA CORAGGIOSA
Maria Chiara Reitani
Doveva aver guardato un cielo insolito
tra foglie spaventevoli… Luisa, quel giorno di gennaio, era decisa ad
andare avanti per la sua strada. Da anni coltivava il sogno di riuscire
a vincere l’angoscia. Era una donna temprata dalle avversità e dalle
contrarietà. Aveva combattuto molte battaglie nella sua vita ed era
stanca di lottare, ma non si dava per vinta. La sua vita era costellata
da tante positività. Aveva un compagno che la stimava e l’apprezzava e
che non l’avrebbe abbandonata. Aveva due figli grandi, che portavano
avanti i loro studi con caparbietà e decisione. Aveva una buona rete di
amicizie vere. La sua battaglia contro l’angoscia era decennale. Non si
dava per vinta. Il suo compagno le era vicino ma con discrezione.
L’amava moltissimo e lei lo sapeva alla perfezione. Per diversi anni
aveva insegnato ai ragazzi delle scuole medie, ma la malattia l’aveva
portata ad abbandonare quel lavoro. Per diversi anni aveva fatto la
bibliotecaria, per poi chiedere la pensione abbastanza presto e
ritirarsi a vita privata. Alle soglie dei sessant’anni era abbastanza
fiera del cammino intrapreso, ma anche molto insoddisfatta, per le
contrarietà che aveva dovuto affrontare. Era volitiva e tenace ma anche
molto sensibile e fragile nello stesso tempo. Era stata sottoposta a
diversi interventi chirurgici con esito positivo. Un grosso dolore e
una grave perdita era stata la morte di sua madre, con la quale aveva
avuto un rapporto molto forte ma molto contraddittorio. Aveva un
fratello di qualche anno più giovane che viveva in un’altra città e che
per motivi di lavoro era spesso all’estero. Con lui dopo la morte delle
mamma aveva intrecciato un rapporto intenso. Si sentivano
quotidianamente e lei gli confidava le sue amarezze e le sue angosce.
Si sentiva capita e compresa. Il suo compagno la sosteneva moralmente e
psicologicamente. Cosa le riservava il futuro? Spesso si era posta
questa domanda senza darsi una risposta, ma andava avanti con coraggio
e determinazione. Aveva la fede che la sosteneva e la sorreggeva. Il
domani non le faceva paura.
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CONSIDERAZIONI SULL’ESTETICA
Centro Diurno di Casalecchio di Reno
● La parola estetica deriva dal greco aisthesis che significa ‘sensazione’
● L’estetica è un fatto di vita che riguarda la fisica e la psicologia della persona.
● L’estetica può essere anche considerata un business: si spendono milioni di euro in palestre, creme, trucchi eccetera.
● Lo stile di cui si serve un fumatore per propinarsi una manciata di
godimento da vizio (che rimane tale); ad esso il fumatore più
intelligente cerca una compensazione mentre quello di minor calibro se
ne accontenta.
● Estetica è ‘funzionabilità’.
● Nel mondo moderno e in particolare nel mondo occidentale è molto
importante l’aspetto fisico della gente; le persone guardano se sei
alto o basso, se sei grasso o magro, se hai i capelli ricci o lisci, di
che colore hai gli occhi. Normalmente un uomo occidentale preferisce
donne forti di petto e dai fianchi larghi; le donne preferiscono uomini
che siano asciutti e muscolosi, intelligenti e con tanti soldi.
● L’estetica è quella percezione sensibile che ci fa tendere al bello.
● C’è l’estetica fisica e quella morale.
● L’estetica è: 1) l’acconciatura dei capelli, sia per gli uomini che
per le donne e, solo per i primi, la lunghezza dei baffi e della barba;
2) il tipo di abbigliamento che, per entrambi i sessi, può essere
inteso come esteticamente valido quasi esclusivamente a partire dalla
concezione individuale, derivante dalla propria fantasia; 3) il tipo di
lineamenti del viso (che è forse l’aspetto che risponde maggiormente a
canoni abbastanza comuni) e una certa proporzione nella forma delle
altre parti del corpo (che è forse il connotato estetico rispetto al
quale è più difficile riscontrare un consenso unanime).
● L’estetica ha a che fare con il concetto di bello e di brutto; cosa
sia bello e cosa sia brutto è spesso molto soggettivo e legato al
contesto culturale.
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SULL’ESTETICA…
Laboratorio di Narrativa – RTP Casa Mantovani
La bellezza non rende felice colui che la possiede,
ma colui che la può amare e desiderare
Hermann Hesse
L
L'estetica è un settore della filosofia che si occupa della conoscenza
del bello naturale, artistico e scientifico, ovvero del giudizio morale
e spirituale.
In questa società della comunicazione di massa, l’estetica spesso viene
confusa con la bellezza ad ogni costo che è diventata un imperativo
categorico. In nome della vanità ci si espone a rischi seri e siamo
continuamente bombardati da stereotipi semi-perfetti e quasi tutti
uguali, abbiamo un fenomeno di omologazione anche della bellezza.
Noi vorremmo recuperare il concetto originario di estetica e parlarne secondo ciò che per noi è importante.
SCRIVI LA TUA OPINIONE SULL’ARGOMENTO
Werther : La bellezza è una cosa esteriore ed anche interiore.
Mariangela : La bellezza è tenersi in ordine, nessuno è perfetto, mettersi in ordine per gli altri.
Luciano: Se una persona, per esempio, desidera avere un corpo
scolpito e muscoloso, deve amare sé stesso prima ed escogitare
stratagemmi per fare ciò.
Alessandro : La cosa che per me rappresenta una bellezza
estetica è stata Matera, una città di bellezza naturale, l’antichità
della città e la cultura che rappresenta per me è sinonimo di estetica.
Giovanni : Secondo me la bellezza è fisica, se si è belli lo si
è di fatto e di natura. La stessa bellezza si trasmette al vestire,
agli oggetti, da lì si trasmette all’esterno, ma quella che rimane come
bellezza concreta e tangibile viene dal fisico. Rapportato all’odierno
sembra che basti un vestito a far bello, anche se di per sé non è.
Bellezza compete con estetica, estetica con fisico, fisico con bellezza.
Maurizio : La bellezza è un insieme di cose che si può trovare
oltre che negli individui, nella natura che ti circonda. Non confondere
estetica con bellezza.
È STATO CHIESTO AL GRUPPO DI COMMENTARE LE SEGUENTI FRASI CHE VEDONO
L’ESTETICA COME CONOSCENZA DELLA BELLEZZA; DEL GIUDIZIO MORALE E
SPIRITUALE
Strappare la bellezza ovunque essa sia e regalarla a chi mi sta accanto. Per questo sono al mondo.
Alessandro d’Avenia
Werther: Io cerco di dare a quelli che mi stanno a cuore il meglio di me stesso.
Mariangela: Donare la bellezza a chi ci sta accanto. La bellezza è anche nei fiori e negli animali. Che si fa volere bene.
Luciano: A me capita di voler fare una bellezza ad una donna, come estrapolare un viso bello.
Alessandro: Trovo che questa frase sia corretta.
Giovanni: Bellezza porta a bellezza. Belli coi belli, brutti coi brutti. Più che un dono, per me, è un principio di equivalenza.
Maurizio: La bellezza è nei fiori, in un dono. In questo caso estetica coincide con bellezza.
Il mondo giudica gli uomini non dalle prove, ché non ha il tempo di ricercarle,
ma dalle apparenze, onde poco basta a passare per una perla e pochissimo per un briccone.
Aristide Gabelli
Werther: L’abito non fa il monaco, e invece lo fa. Viviamo in
una società dove conta apparire, in pochi si fermano a pensare chi c’è
dietro le maschere del perbenismo.
Mariangela: L’abito non fa il monaco. Io ci credo e cerco di apprezzare le persone per quello che sono guardando a come si comportano.
Luciano: Mi vengono in mente solo persone irascibili che
litigano con tutti… forse hanno malesseri interiori di cui nessuno si
accorge e ci si ferma alla loro irascibilità. Ci vorrebbe più empatia.
Alessandro: Mi lascio prendere dalle apparenze e a volte mi ricredo.
Giovanni: La prova porta a giudizio, positivo se è vinta,
negativo se è persa. Non ho mai fallito una prova, giudicato un
vincente sotto ogni aspetto, dipanando ogni apparenza, dimostrando ciò
che sono in concreto. Una perla? Un briccone? Nient’affatto: un
vincente.
Maurizio: Un esempio di questo pensiero è Berlusconi. Ha costruito il suo impero sulle apparenze e sull’estetica.
La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.
Jiddu Krishnamurti
Werther: Secondo me questa frase è vera.
Mariangela: L’intelligenza è importante per tutti.
Luciano: Sono d’accordo pienamente.
Alessandro: È giusto. È meglio non giudicare subito.
Giovanni: Penso che osservare sia uno, giudicare sia altro.
Osservare è scrutare guardando, vedere in concreto. Giudicare è un
insieme di giudizi, non è uno sguardo che porta a giudizio, così come
un giudizio non porta ad osservare. Osservare vien dagli occhi,
giudicare vien dal sentimento.
Maurizio: Non voglio sembrare pessimista, ma in questa società sono in pochi quelli che ci riescono.
La vera bellezza, dopo tutto, sta nella purezza di cuore.
Mahatma Gandhi
Werther: È vero. La purezza di cuore è una cosa che si trasmette sempre, è essere aperti all’altro.
Mariangela: La bellezza è pura per il cuore, ma non si giudica
subito quando ci accorgiamo di qualcosa che non ci piace. Bisogna
aspettare e mettersi nei panni dell’altro. Non sempre è facile, non
tutti spendono del tempo per farlo.
Luciano: Un cuore vivo. La pulizia di cuore la si può conciliare con il cervello.
Giovanni: lo ripeto, la bellezza è fisica. Magari ho i peggiori
intenti eppur son bello. Il cuore, tutto ciò che ti tiene in vita, la
bellezza, tutto ciò che mostri. Che tu sia buono o cattivo, la bellezza
è bellezza. Che tu sia bello o brutto, il tuo cuore è il tuo cuore.
Alessandro: Questa frase è comunicativa, è un invito a non fermarsi a ciò che appare.
Maurizio: Questa è una grande frase, dice tutto… difficile che le persone se ne accorgano però.
COMPONIMENTO DI GRUPPO IN VERSI SULL’ESTETICA
Bello è bello, ma brutto non s’ha da guardare.
Vedersi è come l’aria pura respirare, chiara e fresca del mattino… il tutto!
La bellezza è controllata dal modo di pensare, ragionare sul proprio corpo.
A volte, nella società di oggi, la bellezza interiore viene prima della bellezza esteriore.
Se una persona bella fa cattivo odore, allora è brutta? Forse il suo è solo un messaggio.
Il buon cuore del mio amico, un abbraccio è estetica.
Sfiorare i pensieri dell’altro, condividere i principi o meno di una società… è esteticamente corretto? Chissà…
Estetica? Guardare oltre ciò che si vede.
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L’ESTETICA: PARLIAMONE
Associazione UmanaMente
Filippo: Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace! Estetica come? Femminile, strutturale, architettonica, fisica?
Oriano: L’estetica mi fa pensare a Hegel, il filosofo tedesco.
Penso all’eterno ritorno di Nietzsche e al nichilismo che può avere un
collegamento con l’estetica.
Maurizio: L’estetica è apparenza, ciò che appare. Quello che è nella sua astrattezza, quello che sembra agli occhi di tutti.
Edoardo: Picasso, ha dato un nuovo significato all’estetica, ha
distrutto la forma greca della bellezza. Ha cercato di ricostruire le
forme. Essendo l’estetica apparenza e non sostanza, possiamo cambiarla.
Daniela: La vedo dal punto di vista fisico, comprende tutto
quello che fa parte della donna, i capelli, le unghie, la pettinatura,
la pulizia del viso, le creme, il lavarsi, profumarsi e tutte quelle
tecniche estetiche come la chirurgia estetica. Mi riallaccio a Filippo
dicendo che “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”.
Poi però c’è la bellezza assoluta, che piace a molti, come quella delle
star. L’estetica può essere intesa anche come cura di sé, è
l’apparenza, il come appari che può essere ad esempio trasandato, non
curato. Mi viene in mente l’estetica nei quadri dei pittori, nella
donna, nei fiori. Si può passare dall’estetica alla bellezza e la si
trova in natura.
Marco: All’estetica io associo il corpo femminile, la Venere che
esce dalle acque. Ma possiamo dire che l’estetica cambia nel tempo,
dall’antica Grecia, dove era presente un certo canone di bellezza che
mirava alla perfezione, all’estetica romana, più naturalistica; e nelle
culture, per esempio per certi popoli africani, la donna bella, che
piace, è quella ‘giraffa’. Cambia anche da nazione a nazione, per
esempio le donne cinesi si fasciavano i piedi per farli sembrare più
belli e in questo caso, come in altri (es: piercing o tatuaggi) si può
dire che la bellezza è associata al dolore.
Antonio: Inizialmente l’estetica è un fatto soggettivo del
carattere, dipende dalla persona, dal modo di vedere la vita. Nasce a
livello psicologico quando si è bambini, è dall’infanzia che si impara
l’estetica anche in base al posto in cui si vive. Ad esempio noi
Italiani ci vestiamo diversamente dagli Indiani. È soggettivo. Come
dice Maurizio l’estetica è l’apparire anche attraverso le opere d’arte.
Mi viene in mente l’estetica che aveva Papa Francesco quando fu eletto,
non indossava abiti e cose preziose e questo dal popolo è stato visto
bene. L’estetica come troppo apparire, si può esagerare con l’estetica.
Luigi: Ci sono persone che hanno dei pensieri disordinati che
vorrebbero ordinare in senso estetico dentro e fuori da sé. Dal
disordine interiore si procede mettendo in ordine. L’estetica non è da
confondere con la bellezza. Se ad una donna manca la bellezza la
sostituisce con l’estetica, con accorgimenti come il trucco. Se manca
in sé quello che si pensa bello, si opera una trasformazione, dando il
trucco di quello che viene a mancare. Si possono utilizzare mezzi
estetici per conquistare la bellezza perduta. La bellezza è naturale,
però se si utilizza l’estetica diventa artificiale. L’estetica può
essere tale da chiamarsi eleganza. Utilizzando l’estetica si può
diventare eleganti. Quando la persona utilizza l’estetica lo fa per
conquistare la propria bellezza ideale oppure il prossimo.
Antonio: Penso al discorso della perfezione. Una donna non bella, cerca compensazione con l’estetica, ma non raggiunge la perfezione.
Filippo: A me fa venire in mente Micheal Jackson, che da nero è diventato bianco.
Nadia: Le persone danno troppa importanza all’estetica, quindi tendono a essere valutate per questo e non per il valore che hanno.
Antonio: Si può arrivare ad essere presuntuosi attraverso l’estetica.
Filippo: L’abito fa il monaco?
Daniela: L’estetica è fascino.
Brainstorming: Estetica e Salute Mentale
Stefania: Io sono sempre stata molto legata a mio padre e anche
mio padre era molto legato a me. Era moro, occhi azzurri, pelle
bruciata dal lavoro nei campi. Io tre anni fa ho conosciuto un uomo
esteticamente molto simile a mio padre, ma con un comportamento
totalmente opposto. L'ho lasciato già tre volte, però c'è sempre
qualcosa che mi ricollega a lui, il mio io interiore mi riporta a lui
malgrado l'atteggiamento che ha con me, perché in lui rivedo mio padre.
Oltre tutto faccio molta più fatica a lasciarlo rispetto a un altro.
Oriano: C'è lo stereotipo di estetica nella bellezza femminile,
capelli biondi, occhi azzurri. Ma per me l'estetica essenzialmente la
riscontro nei libri. Una bella scrittura, qualunque libro scritto bene,
come per esempio le opere di Oscar Wilde. Per me l'estetica è collegata
ai libri.
Marco: Se io vedo a teatro una tragedia di Shakespeare che non
mi piace, allora il mio senso estetico mi dice che devo fare qualcosa
per rimediare, devo vedere qualcosa di bello che mi piaccia per
riequilibrare quella sensazione spiacevole. Se vedo qualcosa di
positivo va bene, ma se vedo qualcosa di negativo, devo bilanciarla con
qualcosa di positivo. Io se vedo un film che non mi piace, sono più
attento nella scelta successiva del film.
Stefania: L'estetica è quella che ci colpisce al primo sguardo, ma alla fine la ritroviamo nell’Io, nell’equilibrio interiore.
Antonio: Non è detto che un bell’uomo non possa essere cattivo e non è detto che un brutto uomo non possa essere buono.
Nadia: Secondo me quando stai bene ti vedi allo specchio in un
certo modo e quando stai male ti vedi brutta. Cambia l'espressione.
Stavo anche pensando che si può incontrare un uomo che magari
esteticamente non corrisponde ai propri gusti, però poi conoscendolo
emerge la bellezza interiore e diventa bello.
Marco: Io pensavo che se l'estetica la vediamo come un bisogno
per la salute mentale e visto che l'estetica significa sensazione,
questo vuol dire che cercare l'estetica è come un punto d'arrivo degli
stati mentali, è lo star bene negli ambienti che si frequentano.
Corrisponde alla sintesi di tutti i Marco, quello arrabbiato, quello
gentile, e così via… Una sintesi delle emozioni, passioni e stati
mentali che mi fa star bene ovunque mi trovo.
Stefania: Io sono stata ricoverata a Villa ai colli due volte, e
leggevo Diario di una diversa di Alda Merini, così mi sentivo
‘esteticamente’ in equilibrio con l'ambiente in cui mi trovavo.
Oriano: Quando subentra un po' di depressione si può dire di un ambiente che è un po' kafkiano, quindi triste, malinconico.
Elena: È vero. D’altra parte a volte non ci accorgiamo di quello
che abbiamo dentro ed intorno, di quanto sia esteticamente bello. Come
dice la canzone di Modugno: “non ti accorgi di quanto è bello il mare,
il sole… quanto è meraviglioso”.
Antonio: La canzone vuol dire che molte persone non sempre si
accorgono di quanto la natura possa essere bella. Magari uno è così
abituato ad andare al mare che non si accorge di quanto sia bello il
mare. A mio parere la natura è bella ma non sempre, ad esempio se io
vado in un deserto che non c'è niente da vedere solo sabbia, caldo
atroce e non sai cosa fare, secondo me è tutt'altro che bello.
Nadia: A me succede che quando sono depressa non mi trucco, non mi curo i capelli e quando sto bene ci tengo tantissimo.
Antonio: Io vorrei aggiungere sull’estetica dei luoghi che
quando andavo a scuola per me l'estetica incideva tanto, quando andavo
in bagno e la porta non si chiudeva bene, cadeva a pezzi, non c'era il
sapone, non funzionava il rubinetto. Mi offendevo un po’ perché mi
aspettavo qualcos'altro, la vedevo da fuori e mi sembrava in un modo,
poi la vedevo per bene da dentro e mi accorgevo che non c'era una bella
estetica.
Elena: Mi chiedo cosa comporti stare in ambiente esteticamente brutto e con persone che si trascurano e che non sono ben curate?!
Nadia: Non fa salute mentale.
Antonio: Non mi fa star bene, fa un certo effetto. È disgustoso.
Marco: Divento triste.
Oriano: Quando vedo una casa diroccata mi viene un senso di frustrazione.
Stefania: Secondo me c'è un equilibrio nell'estetica, non solo visiva ma anche comportamentale.
Luca: La bellezza estetica non è uno scopo, ma una conseguenza: se una persona sta bene questo si riflette sull’aspetto estetico.
STORIA DELL’ESTETICA
Appunti di filosofia a cura della dott. Elena Pasquali e dello scrittore Luca G.
che ha sviluppato i contributi su Nietzsche, Freud e Jung
L
a parola aesthetica ha
origine dalla parola greca αἴσθησις, che significa ‘sensazione’ e dal
verbo αἴσθησις, che significa ‘percepire attraverso la mediazione del
senso’. Originariamente l’estetica è un aspetto della conoscenza che
riguarda l’uso dei sensi, come il filosofo tedesco Alexander Gottlieb
Baumgarten la concepì coniando il termine nel 1750; solo
successivamente l’estetica diviene un settore della filosofia che si
occupa della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico,
ovvero del giudizio morale e spirituale.
L’indagine estetica (riguardante la sensibilità, l’arte e la bellezza)
ha avuto inizio in Europa oltre 2000 anni prima che fosse trovato per
essa un termine specifico e si costituisse un campo di studi autonomo e
non è possibile ignorare gli apporti del pensiero greco e romano, di
quello medioevale e rinascimentale e dell’età barocca. L’antica civiltà
greca (VI-V sec. a.C.) fu il primo ambito nel quale le attività
artistiche acquistarono una loro definizione con il termine eleutherai technai (in latino artes liberales)
che comprendeva le arti visive (quali architettura, scultura, pittura),
quelle letterarie e quelle dello spettacolo. Per Platone il bello è ciò
che offre all’occhio e alla mente proporzione e armonia, ordine e
misura. L’arte dell’uomo non è altro che un’imitazione della natura,
che a sua volta è un’imitazione dell’idea, quindi un’imitazione
dell’imitazione, non un’espressione diretta del bello. Aristotele
esalta l’arte come imitazione della natura in quanto l’arte è
un’imitazione creativa, una rielaborazione personale dell’artista. E
costituisce una forma di conoscenza. Il bello implica proporzione,
ordine e simmetria di parti. Nella Poetica (dove prende in
esame la poesia tragica ed epica) considera due concetti fondamentali
del fatto artistico: mimesi e catarsi: la mimesi è l’immedesimarsi
dello spettatore nella vicenda che si sta svolgendo, la catarsi è la
liberazione in senso morale e fisiologico delle passioni.
Nel mondo romano-cristiano, dopo l’editto di Costantino del 313, viene
recuperata la cultura pagana all’interno della visione cristiana ed
emergono alcuni concetti che riguardano il dibattito medioevale
sull’estetica: a) Il concetto di pankalìa
, cioè il concetto di bellezza dell’universo come un tutto unitario
derivato dagli Stoici, assume un nuovo significato con l’innesto
dell’idea di Dio: il mondo è bello, sì, ma non in sé stesso; è bello
perché è opera di Dio; b) Se l’universo è bello perché è opera d’arte
di Dio si profila un’identificazione tra bello e arte, con un
superamento della distinzione tradizionale nella cultura antica; c)
L’arte ha valore se avvia il pubblico alla contemplazione e
all’imitazione di Cristo e dei santi: pertanto l’arte che interessa ai
padri della Chiesa non è un’arte che afferma la propria autonomia, ma
un’arte con capacità illustrative e didascaliche.
Nel Medioevo, dal IX al XII secolo, in assenza di una teoria
unificatrice delle arti, si sviluppano teorie differenti per ciascun
tipo di arte. Queste vanno ad inserirsi all’interno di: a) una
concezione cosmologica: l’arte trova i suoi fondamenti non nell’uomo,
ma nel cosmo: l’uomo arriva a tali fondamenti non con la creatività ma
attraverso la conoscenza spirituale; b) una concezione matematica:
l’armonia dell’universo è fatta di relazioni numeriche e l’arte deve
riprodurre relazioni numeriche armoniche; c) una concezione teologica:
l’artista (in particolare il pittore) deve rappresentare Dio, perché la
bellezza perfetta sta in Dio, mentre il mondo, in quanto opera di Dio,
è solo un riflesso della sua bellezza. L’arte è al servizio di Dio e
deve dilettare il pubblico ed elevarlo. La Scolastica nasce con
l’intento di elaborare un sistema concettuale strutturato e coerente
per mettere in relazione, nella prospettiva cristiana, Dio, mondo e
uomo. In questa filosofia il Bello viene definito come ciò che piace
per sé stesso ed è capace di suscitare l’amore di sé, è oggettivo in
quanto dotato di proprietà che non possono non piacere e, riprendendo
una definizione di S. Agostino, sintetizzano queste proprietà in modus (misura), species (forma), ordo
(ordine). Il bello non è uniforme ma può essere maggiore o minore, come
c’è una bellezza immutabile ed una destinata a finire. Giudice di
questi gradi non può essere l’uomo ma solo Dio, perché veramente bello
è ciò che piace a Dio. Al bello corrisponde anche il concetto di bene.
Un’identificazione tout court di ‘bello’ e ‘bene’.
Nell’Umanesimo e Rinascimento si avvia il distacco dell’arte dalle
forme medievali e viene distinto il fine dell’arte da quello della
morale e della religione, viene individuato nella bellezza il fine
supremo. La bellezza del mondo è in gran parte opera dell’uomo, perché
sono gli uomini a rendere con la loro attività più belle le cose create
da Dio (Leon Battista Alberti e Piero della Francesca tra i massimi
esponenti). Viene ripresa la concezione classicista di arte (Leonardo,
Michelangelo e Raffaello).
Nel Seicento l’arte barocca sradica la tradizione metafisica e filosofi
come Cartesio, Pascal, Spinoza, Hobbes e Leibnitz mettono in crisi sia
la concezione oggettivistica che quella razionalistica dell’arte e del
bello.
L’Illuminismo vede la nascita dell’estetica come disciplina autonoma ad
opera di Baumgarten che la inserisce in una teoria della conoscenza
insieme alla logica che riguarda la conoscenza intellettuale.
L’estetica è la scienza della conoscenza sensitiva e comprende la
teoria del bello e delle arti liberali.
Autori
come J.J.Winckelmann in Germania, J.B. Dubos e D. Diderot in Francia,
A.A. Cooper, J. Addison e D. Hume in Inghilterra, G.B. Vico in Italia,
solo per citarne alcuni, sviluppano la riflessione sull’estetica nella
nuova accezione definita da Baumgarten.
A raccogliere tutti i pensieri precedenti, elaborando una poderosa
sintesi delle idee e aprendo alla grande rivoluzione intellettuale che
da lì a poco dilagherà in Europa, è I. Kant, considerato il primo
grande teorico dell’estetica. L’intenzione del filosofo è di inserirsi
nel dibattito sulla scienza e sui fondamenti della conoscenza,
spostando l’indagine dall’ambito dell’oggetto (la natura, l’essere
dell’ente) a quello del soggetto. Con la sua ‘rivoluzione copernicana’
egli cerca di stabilire una differenza non più discutibile tra ciò che
è conoscibile (fenomeno) e ciò che non lo è (noumeno). Autore delle
celebri critiche, Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica, Critica del Giudizio,
in quest’ultima opera, pubblicata nel1790, mette in discussione il
concetto di estetica di Baumgarten, considerato più come un “un
giudizio di gusto che chiama bella una cosa soltanto per la sua
proprietà di accordarsi col nostro modo di percepirla” e viene
sviluppata l’idea di una estetica trascendentale come “scienza di tutti
i principi a priori della sensibilità” dove le strutture
‘trascendentali’ della mente sono quelle strutture che preesistono alla
conoscenza, che la determinano e la guidano. Al giudizio determinante
della ragion pura che conosce gli oggetti attraverso le categorie
dell’intelletto, si contrappone il giudizio riflettente in cui come in
uno specchio viene riflessa la realtà interiore su quella esterna e la
ragione non è più sottoposta alle leggi di causa-effetto, ma è libera
di formulare i propri legami associativi e vivere la dimensione
dell’Assoluto (dal composto latino ab + solutus, che
significa ‘sciolto da’). Il giudizio riflettente si distingue in
teleologico o finalistico e in estetico, e può essere soggettivo,
quando si basa sul sentimento del bello, oppure oggettivo, quando si
basa sul sentimento del sublime. Bello e sublime non esistono di per
sé, ma sono caratteristiche attribuite dall’uomo. L’artista che crea
arte bella viene definito genio, è una disposizione innata dell’animo
mediante la quale la natura dà la regola all’arte. L’arte non è più
imitazione, ma attività creativa e di conoscenza.
G.W.F. Hegel prova a sanare le contraddizioni intrinseche al criticismo
kantiano e all’idealismo postkantiano che polarizzano l’Assoluto nella
dualità soggetto-oggetto, l’uno contrapposto all’altro. Nell’Estetica
(1770) sostiene che questa non deve essere intesa solo come una
“scienza del sentire”, seguendo le tesi avanzate da Baumgarten, né solo
come una disciplina che prende in considerazione i sentimenti suscitati
dalle opere d’arte, bensì come una vera e propria “filosofia
dell’arte”, che vede l’arte come un prodotto, una manifestazione dello
spirito. Nel pensare l’arte, lo spirito, che è pensiero in divenire,
pensa sé stesso in una delle proprie forme; il vero scopo dell’arte è
rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile e
di dare vita ad una prima forma di “conciliazione tra ciò che è
semplicemente esterno, sensibile e transeunte, e il puro pensiero, tra
la realtà finita (la natura) e l’infinita libertà del pensiero”.
L’opera d’arte costituisce una delle forme del percorso lungo il quale
lo spirito si libera dall’esteriorità della natura per ritornare alla
piena comprensione di sé, essendo perciò l’arte fondata sul fare e il
produrre, lo spirito viene istituito come ente finito e sensibile.
A partire dal Romanticismo la separazione tra il dominio dell’illusione
e dell’apparenza, che sarebbe proprio dell’arte, e il dominio della
verità, che sarebbe proprio della scienza, della filosofia, della
religione viene definitivamente a cadere. La stessa figura dell’artista
viene concepita come avente un'importante funzione nel mondo: è un
asceta, un eroe prometeico, un demiurgo o un mediatore tra l’umano e il
divino. J. G. Fiche porta l’idea della funzione profetica dell’arte e
viene ripreso da H. Heine, poi dai fratelli Schlegel, da Novalis e da
W. H. Wackenroder che vede nell’arte come nella natura il linguaggio
cifrato di Dio. L. Tieck e E.T.A. Hoffmann arrivano ad assumere
posizioni nichilista riguardo alla figura dell’artista che viene
caratterizzata da alienazione e lacerazione. Schiller e Goethe guardano
con nostalgia e insoddisfatta aspirazione alla classicità in senso
estetico ed Hölderlin arriva all’idea di un’oscillazione tra
l’impossibilità di tornare all’antico e l’impossibilità di vivere nel
moderno, solo la poesia per Hölderlin sente l’infinito ed il divino ed
il suo compito è quello di tenere “un filo ed una memoria all’interno
dello scambio armonico”.
Del razionalismo metafisico sono le soluzioni trovate da K. Rosenkranz nella sua Estetica del brutto,
quando afferma che “l’armonia si manifesta tanto più potente quanto più
grande è la disarmonia su cui trionfa”. Il bello come il bene è un
assoluto e il brutto (negativo estetico), come il male, è solo un
relativo.
K.W.F. Solger individuerà invece proprio nell’esperienza estetica il
luogo della crisi del razionalismo metafisico anticipando l’idea,
radicalizzata in Kierkegaard e in Schopenhauer, che l’esperienza
dell’arte e del bello sia ben lungi dal rinviare alla riconciliazione
metafisica di finito e infinito, in quanto essa rappresenta piuttosto
l’impossibilità e il fallimento. Kierkegaard vede nella disperazione la
forma a priori della vita estetica perché è una vita basata sulla pura
esteriorità, sul non essere mai sé stessi, sul nulla dell’esistenza
senza valore estrinseco. Per Schopenhauer nell’arte c’è l’apparire del
senso e cioè la rivelazione del senso del mondo che coincide con il suo
dissolvimento. Il senso del mondo è la volontà intesa come lacerazione
e sofferenza infinite. Cogliere questo senso del mondo significa pace,
quiete perché in fondo è ritrovamento della volontà nella sua
innocenza, al di là del bene e del male.
Per Nietzsche, l’estetica diventa il luogo proprio della crisi: la
crisi dei valori, delle idee e della morale. Se il mondo può apparire
vuoto di senso, di scopo, senza Dio, ciò è possibile perché l’uomo è
esposto alla libera continua trasformazione di ogni cosa che l’arte e
l’esperienza estetica lasciano venire alla luce. L’esperienza estetica
è anche esperienza del tragico, perché mentre esibisce come fittizie le
conoscenze ultraterrene e cancella gli archetipi che rassicurano,
restituisce all’uomo la possibilità di vivere la vita, nella gioia e
nel dolore, in uno spirito di ritrovata “fedeltà alla terra”. Del resto
lui diceva in Ecce Homo: “Vengo dal tragico e vado verso il tragico”. Cosa vuol dire? In La nascita della tragedia, il tragico (nel senso del termine greco tragodìa)
è il risultato di due impulsi estetici: l’impulso alla perdita
dell’identità e al riunirsi con la natura (un impulso anche musicale),
e l’impulso plastico alla raffigurazione dell’esistenza in forme solari
e come sottratte alla dissipazione. Il primo è l’impulso dionisiaco, il
secondo è l’impulso apollineo. L’impulso dionisiaco è un impulso di
ebbrezza, orgiastico, il secondo è di una religiosità che risponde al
‘genio’ dei Greci, capace di contemplare la crudeltà della natura,
senza però farsi prendere dal panico e negarsi la voglia di vivere,
perché l’arte svolge quei pensieri di disgusto per l’atrocità o
l’assurdità dell’esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere.
I due impulsi si uniscono, dal coro dionisiaco dei satiri si stacca un
coreuta (l’eroe tragico) ed esegue davanti a esso la sua stessa danza,
mettendo in scena l’eterna vicenda del dio che soffre e intanto esulta
del suo stesso soffrire: in fondo la vita è indistruttibilmente potente
e gioiosa, quindi la tragedia è una consolazione metafisica. La
tragedia nasce nello spirito musicale, ma muore nello spirito della
forma, del logos. La tragedia rivela la sua verità
contraddicendosi. La tragedia rivela l’ordine sicuro ma saldo
nell’ordine dell’esistenza. Essa si fonda su una concezione irrazionale
del mondo, ma ricorre alla ragione per esprimerla. Se ci riesce, il
risultato è comico: la tragedia diviene commedia e muore, quindi a che
serve che rinasca? Per mezzo della conoscenza della storia universale,
la cui distruzione è contemplata dall’impulso apollineo, si esce dal
tragico per andare verso il nichilismo della tragicità della vita, ma
anche per tornare nel tragico. Il mondo diventa favola, e questo libera
il tragico, perché emancipa il logos e restituisce la parola a
sé stessa. La sdoppiamento metafisico mondo vero/favola riporta al
tragico come nucleo dell’esperienza estetica. Quindi si può dire che
per Nietzsche, l’essenza del tragico è l’essenza dell’estetica.
La tesi fondamentale del Romanticismo, per cui l’arte è luogo di
un’esperienza di verità, trova conferma lungo tutto l’arco che va dal
Realismo al Naturalismo fino al Simbolismo. Dall’orizzonte del
Positivismo è la sociologia dell’arte che si oppone al Romanticismo con
l’idea che l’arte non sia solo “spirito del tempo”, ma che sveli il
“contesto storico”. Scrive H. Taine: “Le opere d’arte sono fatti e
prodotti di cui bisogna rilevare i caratteri e cercare le cause:
null’altro. Intesa in tal modo la scienza non condanna né perdona, ma
constata e spiega”.
Figlia del Positivismo è anche la psicologia dell’arte. Scrive T.
Lipps: “Che l’opera d’arte mi guidi verso il profondo e me lo faccia
vedere in luce chiara significa però, in particolare, che essa mi fa
vedere e penetrare, in tutto ciò che è negativo, fastidioso e odioso,
l’aspetto positivo che è nascosto alla sua base e nella sua profondità.
[..] ovunque, anche in ciò che è orribile, l’opera d’arte mi fa sentire
e sperimentare l’umano”.
Sigmund Freud è intervenuto spesso su faccende estetiche nei suoi
testi. Egli ha analizzato l’operato di grandi artisti come Leonardo e
ha concluso che l’arte raggiunge il profondo dell’uomo e ne rappresenta
una liberazione catartica.
Da dove viene il fascino che l’arte esercita su di noi? L’artista, da
dove prende la materia del suo fantasticare, che lo porta a fare le sue
opere? In ciascuno di noi c’è un poeta, fin da bambino. L’attività
numero uno del bambino, il gioco, ci permette di penetrare il
significato dell’attività poetica, cioè il sistemare
il
mondo come si vuole, o meglio crearsi un mondo di fantasia, tutto
proprio. Il poeta e il bambino prendono sul serio il mondo di
invenzione, e non confondono reale e immaginario, l’investimento
affettivo su qualcosa che esiste solo nella fantasia è possibile
proprio distinguendo i due ambiti, come avviene nell’arte. Chi non è
più bambino, il mondo interiore se lo tiene per sé, sogna a occhi
aperti, il che per Freud è essenziale per l’arte, ma è anche un bisogno
psichico essenziale. Poiché esibire estrinsecamente agli altri il mondo
interiore suscita ripugnanza, ecco che l’arte si offre di mediare
questo esibire, velandolo e trasfigurandolo. L’arte rende possibile ciò
che è un gioco: la liberazione di tensioni nella nostra psiche.
L’artista cerca un'autoliberazione, e con le sue opere la trasmette ad
altri che soffrono dei suoi stessi desideri trattenuti.
Carl Gustav Jung affermava che non è possibile studiare l’essenza
medesima dell’arte con un’indagine psicologica, ma con un esame
estetico artistico.
L’arte è la funzione di metterci in rapporto con il fondo originario
del nostro essere. Jung distingue l’inconscio personale e l’inconscio
collettivo, cioè la sfera dei residui fenomenici che si sottraggono
alla coscienza dell’individuo e la sfera dei miti e delle figure che
dominano l’individuo come trasmissione ereditaria dell’esperienza
storica dell’umanità. Il primo può diventare cosciente, il secondo non
può: in quanto collettivo, non è represso né dimenticato. L’inconscio
personale può essere fatto uscire con la psicoanalisi, quello
collettivo no: non lo possediamo, semmai ne siamo posseduti. Lo stesso
vale con l’arte: ci viene trasmessa, irrompe in noi come una
trascendenza. L’arte che pesca nell’inconscio personale ne tira fuori
qualcosa di torbido, morboso, legatissimo alla nevrosi dell’individuo.
L’arte è sintomatica, non simbolica. Quando l’arte parla per immagini
universali e primordiali, in cui c’è un po’ di destino umano (in quanto
infinita ripetizione di esperienze sempre uguali), tutti noi ci
sentiamo come trasportati da una potenza sovrumana, perché è la voce
dell’umanità che risuona in noi. Chi usa immagini primordiali afferra e
domina, prende ciò che ha designato e lo eleva dallo stato di caducità
e precarietà alla sfera delle cose eterne; innalza il destino personale
a quello dell’umanità e libera tutte quelle forze che ci consentono di
sopravvivere a tutto. Questo è il segreto dell’azione dell’arte, azione
anche a carattere sociale, cioè tradurre nel linguaggio corrente la
verità immemoriale che è il nostro destino, rendere possibile l’accesso
alle fonti più profonde della vita, e trarre conclusioni sul carattere
dell’epoca, cioè mettere in chiaro nell’attualità (il tempo presente,
attuale) ciò che è apparso in un certo momento sulla scena del mondo
come urgente ed essenziale.
Con l’Esistenzialismo di Heidegger la domanda “cos’è l’arte?” viene oltrepassata in quanto posta metafisicamente. Ne L'origine dell’opera d’arte
(1935) Heidegger considera l’opera non già come prodotto, come cosa tra
le cose, come oggetto preso dentro una certa rete di valori e di
significati, bensì come evento che ogni volta irrompe nel mondo
rifondandolo, come originaria possibilità di comunicare e quindi di
istituire forme, come ‘origine’. A essere messa in questione è la
possibilità del linguaggio di dire l’essere e la sua verità. “La verità
come illuminazione e nascondimento dell’ente che si storicizza se viene
poetata. Ogni arte, in quanto lascia che si storicizzi l’avvento della
verità dell’ente come tale, è nella sua essenza poesia”. L’essenza
dell’arte in cui risiedono contemporaneamente opera d’arte e artista, è
il porsi in opera della verità e la verità se viene poetata, come
rivelazione e nascondimento dell’ente, si storicizza. La poesia fa
quello che non fanno né la metafisica, né la scienza, né la tecnica.
L’arte schiude gli orizzonti all’interno dei quali il pensiero si
interroga sul senso dell’essere e quindi mette in questione la realtà
quale appare storicamente.
Gadamer come Heidegger ritiene che l’arte abbia valore di verità;
l’arte non solo porta alla luce, da una latenza, qualcosa di nascosto e
di non immediatamente visibile, ma così facendo produce la realtà
stessa e cioè la presenta, la esibisce e l’immette nel circolo della
comunicazione intersoggettiva come arricchita di significato e di peso
ontologico. La realtà è data ed è la realtà della storia alla quale
siamo consegnati come a un orizzonte intrascendibile.
A portare alle estreme conseguenze il paradosso gadameriano è Derrida
che nella visione strutturalista vede un rivolgimento della realtà data
fino a disfarla e a ricomporla in una forma irriconoscibile,
stupefacente e rivelativa.
La linea Heidegger-Gadamer-Derrida ha contribuito al formarsi della
convinzione odierna del Decostruzionismo e dell’Ermeneutica per cui il
fare artistico sarebbe tutt’uno con l’interpretare, non essendo l’opera
d’arte che interpretazione, anzi, interpretazione di
un’interpretazione, e così via all’infinito, in un continuo gioco di
rimandi, divagazioni e stravolgimenti testuali.
IL MIO APPASSIONANTE PUNTO DI VISTA
Antonio Metta
Buongiorno miei cari e amatissimi
lettori, oggi vi parlerò di un tema molto importante, interessante e
intrigante che sicuramente resta sempre d’attualità che si riferisce
all’Estetica; ve ne parlerò soprattutto secondo il mio appassionante
punto di vista. Cominciamo dal fatto che a mio parere l’estetica è
sinonimo di bellezza, la bellezza non solo per quanto riguarda noi
esseri umani ma anche per quanto riguarda la natura o ad esempio
un'opera d’arte, una poesia, un bel racconto, romanzo, testo teatrale
eccetera. Ora concentriamoci sull’estetica in una persona, in questo
caso mi viene in mente l’estetica di una donna: la donna in molti casi
già è complicata di natura soprattutto dal punto di vista psicologico,
perché le varie donne, al giorno d’oggi, pensano ad essere molto
curate, puntano molto sulla precisione, mi riferisco ad esempio al
truccarsi, al vestirsi (ovviamente il più affascinante ed elegante
possibile, in molte occasioni…), al lavarsi e al mettersi creme su
creme, profumi su profumi, sulla bellezza dei loro capelli e tanto
altro ancora; insomma curano ogni dettaglio e se qualcosa, anche una
minima cosa è fuori posto, apriti cielo! Non dico che diventi una
tragedia, ma quasi, poi ovviamente dipende dalla donna in questione, ci
può essere una donna che tende come ho detto poc’anzi a curar tutto e
magari la donna un po’ più imperfetta che cura molto meno i dettagli,
ma tendenzialmente al giorno d’oggi codeste sono la netta o nettissima
minoranza rispetto a tutte le altre.
Quindi dopo questa accurata e dettagliata mia riflessione posso dire,
nel mio piccolo, che le donne tendono soprattutto attraverso la loro
bellezza esteriore ad apparire, non vedono l’ora di ricevere
complimenti da altre persone come ad esempio: un uomo si avvicina ad
una donna e le dice che sta benissimo con quel trucco, o magari che sta
benissimo con il vestito che ha addosso, comunque gli esempi sono
molteplici ma sicuramente la donna presa in questione sarà felicissima
di aver ricevuto tali complimenti da quell’uomo. Questo però non
significa che se una donna è bellissima, elegante ed affascinante
esteriormente possa avere un fantastico carattere o viceversa; quindi a
mio modo di vedere le cose l’estetica e la bellezza esteriore in una
donna possono influenzare positivamente la persona stessa fino ad un
certo punto.
Discorso leggermente diverso per quanto riguarda gli uomini: l’uomo
nella maggior parte dei casi tende a curarsi di meno rispetto ad una
donna nella bellezza esteriore, e cerca di curare di più l’aspetto
caratteriale, anche se al giorno d’oggi ad esempio sono aumentati gli
uomini che entrano a far parte del mondo della moda o magari inventano
calendari o i calciatori non sono solo prestanti dal punto di vista
sportivo, ma possono essere bellissimi anche dal punto di vista
estetico, infatti tantissime ragazze o addirittura ragazzine perdono la
testa per loro, talmente sono fighi e belli. Quindi dopo questa mia
attenta analisi, si può dire che l’estetica o la bellezza esteriore di
una persona può variare anche dal punto di vista soggettivo e non solo
oggettivo.
Adesso vi parlo invece dell’estetica della natura: la natura è molto
molto varia, a mio modo di vedere le cose ci sono principalmente due
tipi di natura differenti fra loro, esiste quella natura che dal punto
di vista estetico è incontaminata, ad esempio noi possiamo goderci un
bellissimo panorama, un tramonto, un fantastico paesaggio (magari con
vista mare)… poi esiste quella natura dove purtroppo l’uomo attraverso
costruzioni o attraverso invenzioni per nulla belle esteticamente
parlando, rovina la natura stessa. Inoltre la natura sempre
esteticamente parlando ci può colpire ed affascinare attraverso luoghi
meravigliosi come il mare (compresi fondali marini stupendi), la
montagna, immensi e affascinanti campi di fiori eccetera, quindi a modo
mio di vedere le cose, la natura è favolosa, ma al livello estetico e
di bellezza è l’uomo che la rovina e distrugge in molti casi anche per
sempre. Ora vi parlo dell’estetica attraverso le opere d’arte: ad
esempio un quadro può risultare bello o brutto a seconda dei gusti
personali e soggettivi, oppure una scultura o un affresco a seconda dei
gusti di una persona può piacere o non piacere, quindi questo significa
che le opere d’arte non sono apprezzate alla stessa maniera dalla
persone. Cambiando genere d’estetica si può dire che per quanto
riguarda una rappresentazione teatrale nell’ambito di una scena, non
sempre quella scena al livello d’estetica può piacere al pubblico,
quindi anche qui entra in gioco il gusto personale e soggettivo di una
persona. Infine miei cari amatissimi lettori penso che l’estetica e la
bellezza possono variare attraverso l’opinione di una persona e da come
ci poniamo in una determinata situazione.
IDOLI, IMMAGINI, VERITÀ
Edoardo
Quando lessi per la prima volta nella
Bibbia, Antico Testamento, un passo della Legge data da Dio a Mosè sul
Sinai (Esodo 20, 1 e segg.): “…Non ti farai idolo né immagine alcuna di
ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di
ciò che è nelle acque sotto la terra”, certo rimasi notevolmente
stupito: ero e sono stato sempre attorniato da immagini, da tutte le
parti, nei libri, in riviste, nei musei, anche nelle chiese, oltre che
nelle fonti di ‘immagini esclusive totali’ come il cinema e la
televisione, tanto che potremmo chiamare la nostra civiltà come
‘civiltà dell’immagine’.
Il termine estetica, riferito a una determinata disciplina filosofica,
è usato per la prima volta da A.G. Baumgarten (1750) nel senso di
teoria della conoscenza sensibile in generale e di quella specifica sua
forma che è il gusto. Vari pensatori hanno cercato di approfondire
questa ‘forma di conoscenza’: Platone denunciava l’irrealtà delle arti
figurative, per la loro lontananza dall’Idea, che è la sede del vero e
del reale, ma di cui esse, imitando il mondo sensibile che è già copia
di quello ideale, forniscono solo la copia di una copia. Inoltre, per
quanto riguarda la poesia e la musica, gravava il sospetto di
esposizione pericolosa ed equivoca alle potenze irrazionali dell’anima.
Diversa è la téchne,
che è disposizione a produrre manufatti che implica abilità, pieno
possesso dello strumento e conoscenza dello scopo. Nel tempo, ad una
concezione interamente basata sulla trascendenza di Dio e sulla
svalutazione dell’agire dell’uomo viene generalmente opposta una
concezione che esalta l’uomo e la sua capacità di dominare e asservire
la natura. Per Kant (1700), arte e bellezza non hanno a che fare con la
verità, perché la bellezza è apparenza, non riguarda la costituzione
degli oggetti bensì unicamente una nostra reazione soggettiva all’atto
di percepirli, e l’arte è un gioco, un libero esercizio delle facoltà,
indipendentemente dal loro essere dirette a uno scopo. Per Hegel (1800)
tutto quel che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale,
l’essenza della bellezza risiede nell’arte in quanto prodotto dello
spirito. Il fine dell’arte non è né l’imitazione della natura né il
tentativo di suscitare sentimenti e purificare le passioni, né
l’ammaestramento o il perfezionamento morale: il vero scopo dell’arte è
“rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile”.
Nel periodo del Romanticismo e del primo Idealismo si riteneva che
l’arte, svelando la verità nella bellezza, fosse il più adeguato e alto
strumento di conoscenza, in quanto il falso, l’inganno, la finzione
rivelano la verità stessa. L’opera d’arte attesta che l’infinito, cioè
la verità, è nel finito. Ma il Romanticismo ha due anime: quella
religiosa (es. Novalis) e quella nichilista (es. Schlegel). Nietzsche
vedeva nell’estetica la contrapposizione tra un sapere filosofico e un
sapere tragico. Certo, oggi si dice che l’estetica ha poco a che fare
con la realtà dell’esistenza, con la vita, se non lontanamente. Ma io
posso, e penso che chiunque possa più o meno testimoniare, che la
lettura di una poesia o di un romanzo, o la visione di un film o di una
commedia o anche di un dipinto, oppure l’ascolto di una musica, ha
toccato a volte più o meno profondamente la nostra sensibilità, ha
fatto affiorare ricordi, sentimenti, ci ha dato, fosse anche per un
solo attimo, la sensazione di una verità che si svela.Però mi chiedo
anche se, in questo nostro tempo, ha più valore una ‘persona’ o
un’opera d’arte (fosse pure la Monna Lisa di Leonardo).
COS’È LA MIA ESTETICA
Luca G.
L
a mia estetica è una cosa fatta bene. È vero che non si può pretendere
la perfezione assoluta, anzi si dice addirittura che la perfezione
assoluta non esiste, ma non significa che non si possa tentare di
avvicinarcisi il più possibile. Se una persona fa una cosa nel
tentativo di farla per bene, non c’è niente di male. Più cura ci mette
nel fare questa cosa, più significa che ci tiene, anzi si può dire che
questa persona faccia la tal cosa con amore, con passione. Magari
perché vuole far bella figura con gli amici o con la famiglia, o perché
vuole soddisfare al massimo il suo datore di lavoro.
In ogni caso può succedere, o almeno è molto probabile che la tal
persona voglia far sì che la cosa che sta preparando, che sta
producendo, si avvicini il più possibile all’idea che si era fatto
della cosa stessa da realizzare. Questa cosa, una volta ultimata, più
si avvicina a come il suo creatore l’aveva immaginata, più è perfetta,
ed esteticamente parlando è qualcosa di eccellente. Se questa cosa la
trovano eccellente anche la maggior parte delle persone che la vedono,
allora la tal cosa è ancora migliore dal punto di vista estetico. Non
sto parlando solo di un’eventuale opera d’arte, ma l’esempio può essere
applicato anche quando si tratta della stesura di una pratica in un
ufficio, o di un articolo di giornale senza errori di battitura o
parole e lettere messe nel posto sbagliato, o di un manifesto per
promuovere un prodotto. O ancora di una squadra di calcio che fa un bel
gioco. Prendiamo per esempio il Foggia di Zeman. È vero, prendeva molti
gol, ma ne faceva altrettanti, e inoltre in campo faceva un gioco che a
vedersi era uno spettacolo, che suscitava l’ammirazione di tutti.
Calcio champagne, lo chiamavano. Quindi, esteticamente, era una cosa
bella.
Ma anche una squadra che gioca male, in modo rozzo, senza tattiche
precise, ma che ottiene vittorie su vittorie, è una squadra che ha
qualcosa di estetico. Una squadra del genere, che pratica un gioco
redditizio, è considerata forte, e questa sua forza fa parte del suo
modo di essere bella. Anche una donna che ha partorito dodici volte,
con un fisico da lavandaia, coi fianchi larghi quasi un metro, ma che
canta in modo melodioso, è qualcosa che ha una sua bellezza. Spesso,
proprio quel che ci sembra brutto ha in sé l’essenza del bello. Forse
quindi anche la bruttezza ha una sua bellezza. Basta solo scoprirla. Un
esempio? Honoré Fragonard (leggi 'Fregonard') era uno scultore un po’
particolare: costui prendeva dai cimiteri cadaveri o resti umani o
animali, li sezionava e ne ricavava delle sculture terrificanti. Una di
esse, equestre, fu la sua rovina perché considerata un po’ come la
Morte in persona a cavallo. Eppure, queste raccapriccianti sculture,
così lontane da quelle greche che mostravano corpi perfetti, ideali,
avevano una loro bellezza, una loro valenza estetica, tant’è vero che
Luigi XVI ne acquistò alcune per mostrarle ai conoscenti e sbalordirli.
Questo significa che questo scultore, visto come eccentrico agli occhi
degli altri, le sue opere le faceva proprio bene. Un altro esempio di
estetica, un po’ più banale, è quella fisica delle donne, ma perché no,
anche degli uomini. E anche qui è possibile trovare individui che sanno
riconoscere la bellezza di qualcuno. Ci sono uomini che pur non
restando indifferenti davanti alle belle donne, sanno rendersi
pienamente conto che ci sono altri uomini che possono essere belli,
accettabili dal punto di vista estetico, magari perché hanno bei
muscoli, o uno sguardo rassicurante, o una voce calmante.
E allo stesso modo ci sono donne non appariscenti che sanno riconoscere
quanto bella sia un’altra donna. Ciascuno ha un suo senso estetico, una
sua capacità di vedere la bellezza altrui in chiunque, e in qualunque
cosa, anche nelle persone dello stesso sesso, o in cose o persone che
la maggior parte della gente trova disgustose. E chi ha questo senso
estetico non è affatto da considerarsi ‘frocio’, oppure stupido, ma al
contrario è da definirsi sensibile. Una persona che ha senso estetico e
che trova bella l’obesità non è matta, tutt’al più si può dire che non
pensa troppo alla sua salute o a quella delle persone obese. Se questa
persona cerca di diventare obesa perché così si sente bella ma non bada
alla propria salute, allora è solo dotata di senso estetico. Ma se
questa persona ha anche un senso critico che la porta a rendersi conto
che l’obesità è malsana, che può far male al fisico, allora è chiaro
che deve raggiungere un compromesso, o almeno fare un sacrificio.
Sacrificare il proprio ideale di bellezza per migliorare la propria
salute è a mio parere una cosa positivissima, ma se devi sacrificarlo
solo perché gli altri te lo impongono, o ti dicono alle tue spalle che
sei brutto o ciccione, allora questa è una cosa veramente brutta. E
devi andare a parlarne con qualcuno, perché ti aiuti a risolvere il
problema, magari sopportando, oppure convincere queste malelingue
perché si sbagliano. Ognuno deve essere bello come crede, senza badare
a quel che dicono gli altri, magari perché sono invidiosi o non hanno
niente da fare che insultarti. Ma è anche vero che ci sono ragazze e
ragazzi che divengono eccessivamente magri, anoressici o bulimici,
anche se nessuno gli va dietro e gli dice che sono grassi. Anche in
questo caso ci vuole qualcuno che li aiuti. E scuotere il loro senso
estetico, cambiarlo, è l’ultima cosa da fare, l’estrema risorsa,
proprio perché far cambiare l’opinione sull’estetica a una persona è
molto, molto delicato. Facendolo in modo sbagliato, si può fare un
danno irreparabile, come appunto portare una persona a un estremo o
all’altro, cioè portarlo a mangiare smisuratamente, tutte le ore, o a
dimagrire in modo eccessivo. Ecco quindi dimostrato che far capire qual
è l’ideale estetico è alquanto difficile, che ci vuole anche un
intervento psicologico certe volte. Fare sport, curare l’alimentazione
e il riposo rendono una persona bella da vedersi, ma non bisogna
esagerare: quanti culturisti o wrestler che si fanno venire dei muscoli
grossi grossi riescono poi a sopravvivere a lungo? Ci sono casi di
persone muscolosissime, fatte di troppa carne, che non reggono a un
infarto. E poi il muscolo fa massa grassa, tant’è vero che
Schwarzenegger, invecchiando, è diventato assai meno attraente di
quello che era all’inizio della sua carriera. Passiamo ora alle donne,
e a come un uomo cerca la sua donna ideale puntando anche sull’aspetto
fisico. Gli uomini sono portati a cercare la donna più bella possibile,
o che si avvicini il più possibile al loro ideale di donna perfetta.
Che può cambiare a seconda di molti fattori, esterni o interni, di
tempo e di luogo, proprio come avviene nella storia dell’arte. Per
questo motivo, può succedere che un uomo si innamori di una donna che
si avvicina di molto al suo ideale di donna bella: bionda, zigomi alti,
pelle chiara, occhi azzurri. Poi però quest’ipotetico uomo ne vede una
che si avvicina ancora di più al suo ideale di bella donna, magari
perché ha un viso meno spigoloso della precedente, un sorriso più
allegro e uno sguardo che lui trova più dolce. Quindi non è impossibile
che si innamori di quest’altra donna.
Peccato che gli uomini (ma anche le donne, per la verità) tendano a
disamorarsi delle donne che hanno trovato, amato e sposato, quando esse
diventano vecchie. Non tutte perdono la loro avvenenza con l’avanzare
dell’età, ma quelle che la perdono come ci restano? Si può giustificare
un uomo che sposa una ragazza solo per la sua avvenenza? E che
quarant’anni dopo divorzia da essa per sposarne un’altra, che
anagraficamente potrebbe essere sua figlia o sua nipote addirittura?
L’estetica può e dev’essere anche la bellezza d’animo. Può capitare di
sposare una bella donna e poi pentirsene perché non ha un altrettanto
bel carattere. Anche l’occhio vuole la sua parte, sì, ma l’importante
tra un uomo e una donna, nel rapporto di coppia, non è solo consumare
amplessi a tutto spiano, mossi dalla bellezza e dall’attrazione
reciproca. L’importante è stare insieme e vivere insieme, serenamente,
ogni giorno che si passa insieme. Anzi, io dico che l’amore non è fare
sesso, ma invecchiare insieme. Bisogna saper scegliere, ma anche saper
convivere. Non siamo tutti uguali. E non siamo tutti perfetti. E ora
voglio contestare apertamente un proverbio che tutti conoscono e
dicono. Il proverbio “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che
piace”, secondo me è sbagliato. Semmai, dovrebbe essere corretto in
questo modo: “Non è bello solo ciò che è bello, ma è bello anche ciò
che piace a ognuno”.
Non è bello ciò che è bello… ma stiamo scherzando? Come può qualcosa
essere bello e non bello nello stesso momento? E se quello che è bello
non è bello, allora quello che è brutto com’è, che cos’è? Forse
qualcosa è bello per qualcuno e non è bello per qualcun altro… magari
questo è il significato del proverbio. Però io sono del parere che ci
sono cose che sono belle a prescindere, come la perfezione, la
serenità, la gioia, la speranza, e poi ci sono cose che piacciono. Il
fatto che Homer Simpson trovi i musei noiosi e gli autodromi divertenti
non vuol dire che sia per forza così. Se lui la pensa in questo modo,
sono affari suoi. Ed egli non deve pensare che anche tutti gli altri la
pensino come lui, o pretendere che tutti la pensino come lui. I musei e
gli autodromi hanno una loro bellezza. Possono piacere e non piacere.
C’è chi trova gli autodromi noiosi e i musei divertenti, per esempio. E
queste persone vanno rispettate e tollerate. L’importante non è cosa è
bello o non bello, cosa piace o non piace: l’importante è rispettare le
idee e le opinioni altrui, anche in fatto d’estetica. Ripeto, ci sono
però cose che a prescindere sono belle. Anche se piacciono o non
piacciono. E ora, faccio un esempio rivolto a me stesso. Avete presente
Jennifer Aniston, ex moglie di Brad Pitt, famosa per il ruolo di Rachel
Green in Friends?
Ebbene, a me non piace. Penserete che sono matto: è bionda, ha gli
occhi azzurri, belle gambe, è vero. Però a me non piace, e sapete
perché? Perché non si avvicina abbastanza al mio ideale di donna.
Secondo me, lei ha i lineamenti del volto troppo marcati, e non l’ho
vista quasi mai sorridere, quasi sempre seria. E quando l’ho sentita
parlare, doppiata in italiano o in originale, mi è sempre parsa severa,
come se avesse qualcosa. Una a cui c’è sempre qualcosa che non va bene,
quindi. Ci sono attrici che hanno i lineamenti del volto più dolci. Non
datemi addosso solo perché io di una donna guardo anche la faccia!
Anzi, fatelo anche voi! Che razza di uomo è uno che guarda solo i seni,
i fianchi, il sedere? La Aniston ha moltissimi fan in tutto il mondo,
perciò piace. E quindi è bella. O meglio si dice che è bella. Ma ci
sono anche uomini a cui non piace. E se qualcuno chiama ‘froci’ questi
uomini, questo qualcuno è da biasimare e placare.
Ribadisco: Non è bello solo ciò che è bello, ma è bello anche ciò che piace a ognuno.
Tornando infine a una delle frasi cardini di questo mio scritto, cioè
che la perfezione assoluta forse non esiste, questo può far pensare a
qualcos’altro: per quale motivo gli esseri umani faticano a trovare
l’uomo o la donna ideale. Sia nelle cose, che nelle altre persone. E se
faticano a trovarla, probabilmente dev’essere perché l’uomo o la donna
ideale non esistono. Anche se comunque le persone le cercano a tutto
spiano. Fin dalla notte dei tempi uomini e donne cercano la donna e
l’uomo perfetto. Ed è normale che continuino a cercarli in eterno. E se
questo succede, forse è proprio perché nessuno di noi è perfetto,
perché ciascuno di noi ha una sua estetica, e perché non siamo tutti
uguali. Anzi, siamo tutti uguali e diversi. Come dice Laura Pausini in
una delle sue ultime canzoni, siamo ‘simili’. E oltre ad avere un
nostro senso estetico, dobbiamo scoprire, condividere e godere ‘la
meraviglia di essere simili’.
ESTETICA DELLA MODERNITÀ
Pino
A.G.Baumgarten (Berlino 1714 -
Francoforte sull'Oder 1762), filosofo tedesco, è da considerare
l'inventore dell'estetica in età moderna come disciplina filosofica che
si occupa del bello e dell'arte. In età antica il bello e l'arte
venivano disciplinati dalla poetica. Baumgarten riserva all'estetica il
campo delle conoscenze che, provenendoci dalla percezione, non hanno
per oggetto idee chiare e distinte, ma idee confuse e vaghe. Riconosce
la possibilità attraverso la riflessione di individuare leggi che
regolano questo ambito di conoscenze. Ritrovare leggi di comprensione
della materia sensibile alla stregua di quello che aveva fatto Newton
per la materia fisica. La materia sensibile è composta di una varietà
confusa e indistinta quali: sensazioni, passioni, sentimenti.
Introduco il pensiero filosofico di Cartesio sulla sfera del sensibile
e dell'affettività perché Kant in seguito gli opporrà delle critiche
molto severe e si distanzierà profondamente dal filosofo francese che
aveva condizionato fortemente la visione dominante della sensibilità e
dell'affettività umana del suo tempo.
In una delle sue opere filosofiche, Passioni dell'anima,
al tema dell'unione fra l'anima e il corpo nell'uomo è dedicata
l'ultima stagione della sua attività filosofica. In un'altra sua opera
filosofica, Trattato sulle passioni dell'anima, su argomenti di psicologia e di morale, il filosofo spiega il meccanismo
fisiologico coinvolgente il cuore ed il cervello, che produce come
effetto nell'anima i sentimenti; e questi ultimi vengono analizzati dal
filosofo nella loro forma semplice, come meraviglia [stupore], amore,
odio, desiderio, gioia e tristezza, dalla cui combinazione
deriverebbero le varie passioni, nella prospettiva di un dominio
razionale auspicabile delle passioni. Cartesio risente della tradizione
stoica, riconoscendo la piena naturalità delle passioni. La filosofia
delle passioni di Cartesio ha un duplice scopo: limitare l'influenza
del sapere artistico che nasce dalla tragedia (con la sua mimesi,
attraverso l'imitazione o l'immedesimazione, e la catarsi, come
rivolgimento) e delineare accuratamente i confini della sensibilità e
del sentimento nei processi conoscitivi. Infine distinguere la res cogitans o la conoscenza chiara e precisa dalla res extensa, dalle passioni cieche. Cartesio con il suo Discorso sul metodo
rivela profondi sospetti sulla natura conoscitiva dell'arte, dal
momento che il suo punto di avvio filosofico è il rifiuto del modello
‘umanistico’ di formazione, cioè la tragedia. Il fine del Discorso sul metodo
non è raggiugere la chiarezza sulla genesi della propria personalità
affettiva, bensì la comprensione di un metodo che per quanto soggettivo
possa fondare una ‘oggettività’ conoscitiva. Per Cartesio la
‘leggiadria delle favole’ ravviva lo spirito, così come l'eloquenza si
presenta come ‘forza e bellezza incomparabili’ e la poesia come
‘finezza e dolcezza che rapiscono’, però secondo il filosofo tali
percezioni possono essere dannose per la conoscenza, perché ogni
elemento favoloso fa immaginare ‘fatti impossibili’, sacrificando il
‘valore dei fatti', a favore di caratteri solo ‘interessanti’ e dunque
capaci di destare attenzione emozionale nello spettatore.
Passioni dell'anima. Il rifiuto di Cartesio che s'esprime con la messa
tra parentesi dei contenuti qualitativi ed affettivi ha delle
conseguenze negative sulla soggettività umana fino a quando la
psicoanalisi freudiana scoperchierà questa menzognera antropologia. La
messa in discussione della soggettività cartesiana fondata sull'assioma
cogito ergo sum
(penso quindi sono) da parte degli analisti della psiche, giungerà a
contrapposte conclusioni dopo l'affermazione perentoria di Sigmund
Freud: “Nessuno è più sovrano a casa propria”, affermazioni pronunciate
all'inizio del XX secolo, che getteranno nello sgomento gli
intellettuali del tempo. Cartesio separando rigidamente qualità e
quantità, affettività e pensabilità, rende implicitamente possibile
l'autonomizzazione di quel terreno qualitativo di cui tanto sospettava
la dimensione della corporeità o della sua res extensa). Sensibilità,
immaginazione, passione, fantasia ma anche retorica, poesia ed arte
sono spazi del sapere, come lo sono l'attività, la storia e le
tradizioni, che però non sono facilmente inseribili nel nuovo edificio
cartesiano. Lo dirà con un verso memorabile Leopardi in polemica con il
tentativo del filosofo Cartesio di matematizzare l'infinito: “naufragar
m’è dolce in questo mare”. Lewis Carrol con Alice dietro lo specchio
rimanda ad un'immagine rovesciata, come passione o dimensione inconscia
con un ruolo essenziale e perturbante. Perturbante perché rivela la
presenza di un sapere altro, oscuro, confuso, che ricorda la retorica,
ma non è più retorica come arte di disporre le cose e gli animi.
Cartesio sospetta delle passioni, per le ‘animali passioni’ del corpo,
ma anche per le passioni dell'anima, che sono pur sempre ‘segnale’,
‘sintomo’ della corporeità. Estende il termine ‘passione’ alla totalità
della vita affettiva e al suo radicamento affettivo - res extensa - definendola in modo indistinto e confuso come percezione, sentimento ed emozione.
D. Hume (Edimburgo 1711-1776) si differenzierà fortemente da Cartesio.
L'originalità della ricerca filosofica di Hume sta nel tentativo di
applicare il metodo sperimentale allo studio della natura umana, come
fondamento di una nuova sistematica generale del ‘sapere’. In una delle
sue opere, il Trattato sulla natura umana,
sostiene che la scienza dell'uomo è resa possibile dall'uniformità
della natura umana. Questa è indagata a partire dall'universo mentale,
caratterizzato dalla ‘percezione’, termine col quale Hume designa ogni
contenuto psichico. Le percezioni vengono distinte poi in
‘impressioni’, passioni ed immagini immediatamente presenti alla mente,
e le ‘idee’, che sono copie illanguidite delle impressioni. Hume pone
così tra passioni ed idee una esclusiva differenza di forza, potenza e
vivacità. Idee ed impressioni si corrispondono sempre, e le prime
dipendono dalle seconde; è possibile approntare un metodo rigoroso di
critica delle idee. Si dovrà controllare se le idee abbiano un
corrispettivo reale nelle impressioni, dall'altro, le idee oscure
possono venir chiarite e precisate attraverso il confronto con le
impressioni corrispondenti.
Immanuel Kant (Koenigsberg ora Kaliningrad, 1724-1804), massimo
rappresentante tedesco dell'Illuminismo, autore di una vera rivoluzione
filosofica, distrugge la metafisica dogmatica, per lui impersonata
dalla sistematica di Wolff, procedendo ad una critica della ragione che
determina le condizioni di possibilità e i limiti di validità delle
capacità conoscitive dell'uomo nei vari campi dell'attività: scienza,
morale, arte eccetera. Kant nella Critica della ragion pura
distingue la varietà del sensibile o del sentire umano attribuendo ad
ognuna di esse una funzione positiva o negativa e attraverso queste
distinzioni
spingere
al sentimento, al giudizio, al gusto, al senso comune (alla
condivisione). L’emozione per Kant svolge una funzione di mediazione
tra il ‘sensibile’, dimensione del sentire (che per le neuroscienze
contemporanee riguarda la sotto-corteccia cerebrale o il sistema
limbico viscerale [via bassa] e la corporeità nel suo insieme, con gli
altri sistemi immunitario ed endocrino) e l’‘intelligibile’, dimensione
del pensare - pesare e soppesare (che per le neuroscienze si riferisce
all'area della corteccia cerebrale [via alta]).
Prima di Baumgarten e di Kant nell'Europa del XVII e XVIII secolo gli
argomenti estetici - il bello ed il sublime - venivano trattati
separatamente e non erano oggetto di una trattazione unitaria. Tali
aspetti venivano analizzati da un lato dalla filosofica metafisica
cartesiana e da specifiche tecniche poetiche: letteratura [poesia,
tragedia], musica, arte, danza eccetera.
Kant distingue tra sensazioni e sentimento, distinzione che non è
ontologica o sostanzialista bensì funzionalista, e porta all'interno di
una unitaria concezione conoscitiva dell’estetica. È la sensazione e
non il sentimento, per Kant, a non poter giudicare, cioè esprimere un
giudizio, infatti, come si afferma nella Critica del Giudizio,
non ha una funzione teoretico-scientifica. Quando però si rivolge a
fenomeni come sentimento di piacere e di dispiacere può senza dubbio
esercitare un giudizio. Il giudizio in quest'ultimo caso per il
filosofo è extra-teorico ma non è extra-conoscitivo, poiché per Kant la
funzione essenziale di una vera e propria ‘facoltà di giudicare’ si
esplicita in una relazione conoscitiva-teorica tra il particolare e
l'universale. Kant distingue funzionalmente tra passione, sensazione e
sentimento.
Quando Kant parla di ‘antropologia’ intende in primo luogo un
riferimento al mondo dell'esperienza umana, nel senso ampio del
termine, al cui centro si pone la sensibilità, l'affettività, il
sentimento. Il suo approccio non parte da un’analisi metafisica di
un’anima immutabile, come fanno altri filosofi come Platone e Cartesio,
né sulla ricerca delle costanti empiriche della natura umana, come
fanno Burke e Hume. E neppure un’indagine puramente ‘fisiologica delle
emozioni’, come fa il filosofo Cartesio nell'opera Le passioni dell'anima,
a cui Kant rivolge una forte critica. Il mondo emozionale (sensibile)
per Kant può essere compreso attraverso un attento esame di ciò che lo
rende propriamente umano, cioè il sentimento, che si rivela allora
strettamente connesso all'antropologia umana, la quale ci permette, a
dire del filosofo, di portare anche una radicale revisione della
psicologia cartesiana. Il sentimento è allora il Giudizio. Il termine
‘facoltà di giudicare’ emerge come capacità di ‘essere sensati’, nella
capacità di applicare al particolare un sapere universale.
Riguardo a sensazione e sentimento, Kant sospetta della perfezione
sensitiva del filosofo Baumgarten, diverso è il suo punto di avvio per
considerare la questione del sentimento, la cui genesi coincide con la
comprensione dei significati che può assumere l'estetica trascendentale
attraverso le molteplici funzioni della sensibilità operanti sia nella
sensazione sia nel sentimento. La diversità deriva inoltre dal
differente ruolo rivestito dall'antropologia in Kant. Quando Kant parla
di antropologia intende in primo luogo un riferimento al mondo
dell'esperienza comune, nel suo più ampio termine, al cui centro si
pone la sensibilità, l'affettività ed il sentimento. Kant si avvale
della psicologia empirica di Baumgarten, delle opere di Rousseau e dei
‘critici del gusto’ inglesi, in primo luogo Burke e Hume. Nella sua Critica del Giudizio,
alla domanda “che cos'è l'uomo?” egli afferma che tale risposta spetta
all'antropologia. Kant sospetta del termine ‘estetica’ coniato da
Baumgarten, dichiarando di preferire l'espressione ‘critica del gusto’,
che deriva dagli empiristi inglesi quali Hume. Kant polemizza poi con
Cartesio quando il filosofo francese assimila sentimento, passioni ed
emozioni che vanno invece distinte per Kant, per evidenziare il
significato critico del gusto in quanto facoltà estetica, definito come
‘sentimento del bello’ puro e disinteressato che tende ad una
dimensione formale. Infatti nel gusto ciò che produce il piacere non è
soltanto la sensazione materiale della rappresentazione dell'oggetto
[la modificazione fisiologica prodotta dalla sensazione], ma il modo in
cui la libera immaginazione produttrice la compone nell'invenzione,
cioè la ‘forma’, poiché solo la ‘forma’ può far valere la pretesa ad
una regola universale per il ‘sentimento del piacere’. È questa pretesa
che fornisce una validità universale al sentimento, che spinge Kant a
differenziare sul piano antropologico il sentimento da altri aspetti
dell’emozionalità, che rimangono invece chiusi nei limiti empirici o
razionali della psicologia. Affermare che il sentimento è ‘il modo di
sentire del gusto’ permette a Kant di definire altri modi
dell'orizzonte ‘sensitivo’ che vanno distinti dall’intento conoscitivo
proprio alla visione trascendentale dell’estetica. La passione è
soltanto l’inclinazione che la ragione del soggetto non controlla o
controlla con difficoltà, mentre l'emozione è quello ‘stato
sentimentale che impedisce al soggetto di riflettere’. Le analogie con
l’impostazione cartesiana si limitano all’esigenza di ‘controllare’ la
sfera dell'affettività. Ma è proprio perché differenzia le funzioni
all'interno di quella sfera dell'affettività, facendo di essa un banco
di prova dei ‘poteri’ del soggetto, che non può negare che la
dimensione affettiva sia genericamente una ‘predisposizione al
giudizio’. Infatti, la passione è il contrario del giudizio, l'emozione
ha un significato mediatore, mentre il sentimento è connesso ad una
modalità giudicativa che rivela la capacità a priori, capacità
antropologica che il soggetto possiede di giudicare la relazione tra le
sue capacità conoscitive. Quando, invece, essere preda di passioni ed
emozioni è una malattia dell'animo perché esse escludono il dominio
della ragione, pur riconoscendo che, tra loro ‘differiscono in qualità’
e richiedono metodi completamente diversi ‘sia per prevenirle che per
guarirle’.
La distinzione tra emozioni e passioni non è irrilevante. Se infatti
l'emozione pregiudica momentaneamente la libertà e l'autocontrollo, la
passione è una rinuncia definitiva all’esercizio del giudizio, è quindi
segno di un piacere che si realizza nella schiavitù. Le passioni sono
infatti sofferenze o malattie incurabili della ragione pratica e non
svolgono alcuna funzione in quella che è l'autentica ‘destinazione’ di
uno studio antropologico, cioè la capacità di comprendere i nessi tra
l’esperienza ed il giudizio, legando la prassi particolare
all’universalità del raziocinio, trovando regole universali anche là
dove mancano norme assolute. Compito specifico e critico del sentimento
è individuare queste regole, facendo comprendere quale è l'essenza
dell'antropologia, che l’uomo è destinato dalla sua ragione a formare
una società con gli altri e in questa società a coltivarsi e
moralizzarsi mediante l’arte e la scienza. Ovvero l’uomo è destinato a
formare un ‘senso comune’, che è il sentimento stesso ed è la sua
destinazione antropologica. La centralità del sentimento è dunque
quella di manifestare la ‘facoltà di giudicare’ come nel senso comune
ove si legano esperienza e giudizio: un potere che non è empirico o
normativo ma che, per esibire sue capacità e funzioni, deve procedere
secondo un preciso apparato regolistico.
Grammatica del sentire: la ‘facoltà di giudicare’, Urteilskraft
o giudizio, è stato notoriamente utilizzato prima di Kant, da Meier,
l'allievo di Baumgarten, anche se, solo in Kant diventa baricentro
sentimentale tra le facoltà umane. Questa facoltà, o capacità, ha un
significato più ampio e comprensivo rispetto ai singoli giudizi, in
senso estensivo la capacità di essere sensati nell’applicare un sapere
universale.
Idealismo tedesco e dissoluzione dell'estetica. Il rapporto tra arte e
storia (arte e società) è il modo caratteristico in cui nel XIX secolo
si elabora il nesso raggiunto per vie diverse nel Settecento tra arte e
bellezza. E cioè nel senso che la bellezza a cui l'arte mira non può
essere altro che il carattere di una ‘umanità conciliata’ (Schiller), o
nel senso che non c'è altra bellezza se non quella realizzata
dall'arte, o altrimenti come uno dei momenti supremi della liberazione
dello Spirito che si attiva come processo storico (Hegel, Fichte,
Schelling). L'estetica appena costituita come disciplina autonoma con
Baumgarten e poi ridefinita da Hume e Kant va incontro ad un processo
di dissoluzione in quanto rientra nella filosofia della storia con la
morte dell'arte. Hegel dirà di Napoleone vittorioso a Lipsia contro le
monarchie assolute e conservatrici: “Ho visto lo Spirito cavalcare a
Lipsia”.
G. Lukacs e l'estetica marxista. In Arte e coscienza di classe
Lukacs conferisce all’arte, nella misura in cui è autenticamente
‘realistica’, la funzione di rappresentare la dinamica profonda della
società, assolvendo una funzione progressiva e rivoluzionaria.
E. Bloch - Lo spirito dell'utopia
- L'arte si configura come una forma di coscienza anticipante,
consapevolezza fantastica. Nel fine utopico che guida la storia
dell'umanità verso l'emancipazione dall'alienazione. W. Benjamin,
Adorno, Marcuse condivideranno questa visione utopica e critica di
Bloch.
Nietzsche e L'irrompere del dionisiaco. Con la fine della
metafisica classica si concluderà anche il pensiero estetico apollineo
che garantiva proporzione, misura, simmetria e razionalità e il
comparire del dionisiaco in tutte le forme delle arti come filosofia ed
estetica della dismisura, dell’asimmetria e dell'irrazionalità.
IL SOGNO
Luca G.
Un tizio coi baffi spessi e folti aveva
una strana caratteristica, un’autentica singolarità: tutte le volte che
andava a dormire, sognava sempre di chiedere a qualcuno il significato
di qualcosa. Una notte, come raccontò al suo psichiatra, aveva sognato
di chiedere cosa fosse l’estetica. Il sogno era iniziato con il tizio
baffuto che incontrava Pino, il suo logorroico vicino di casa. “Cos’è
l’estetica?”, gli aveva chiesto d’impulso, pensando che lui gli avrebbe
dato una definizione chiara e precisa, anzi stringata. “L’estetica è
quel tipo di esperienza che facciamo quando troviamo bello o brutto
qualcosa - aveva detto Pino - lo studio della bellezza e del sublime
nascosto nelle cose, di come la bellezza ci colpisce. La bellezza -
continuava imperterrito Pino - è insita nelle cose, tanto da essere
presente anche nella mente e nello spirito degli individui. È innata”.
Il tizio coi baffi aveva ascoltato tutto, però si era ritrovato a
cercare nella sua mente qualcosa da chiedere. Stava per aprire bocca,
ma Pino non l’aveva notato ed era andato avanti a parlare: “Gli antichi
vedevano le persone esercitare e cercare il bello praticando l’arte,
l’atto creativo dell’uomo per eccellenza in tutte le sue forme: danza,
scultura, poesia, eccetera. In epoca moderna invece il bello veniva
raffigurato dall’opera d’arte senza vincolo utilitaristico e morale”.
La definizione era parsa al tizio baffuto assai complicata. Avrebbe
voluto chiedere a Pino di quale opera d’arte stesse parlando, però gli
venne da dire: “Sì, ma cos’è l’estetica? Puoi spiegarmelo meglio,
perché mi sono perso. L’estatica classica, specie greca, è difficile da
dividere”… “Dividere in che cosa? - si era chiesto il tizio baffuto -
perché per i Greci l’arte aveva a che fare con l’intelletto, e non con
la sensibilità. Comunque, nel periodo arcaico, essi già avevano
sviluppato una loro idea del bello”.
A quel punto, era apparso un vecchio rugoso, coi capelli bianchi e
corti, che disse: “Signori, buongiorno… Permettete che mi presenti,
sono Aristotele”. “Aristotele il filosofo?”, aveva chiesto Pino. “Ne
conoscete un altro?”, aveva replicato il vecchio.
Senza che gli altri due potessero rispondere, Aristotele aveva preso a
raccontare: “Mio nonno Socrate vedeva l’arte come rivelatrice e
imitatrice della natura. E un po’ ha ragione, perché ha visto qui e là
delle opere d’arte fatte dall’uomo che sono somiglianti al mondo che ci
circonda. Mio padre Platone, invece, diceva che la bellezza era
un’idea. Per lui, tutto era un’idea! Il bello era un bene, anzi, ‘il’
bene. Ma considerava anche la natura come una copia del bello. Quindi
l’arte per lui era una copia di un’altra copia. La natura copia il
bello, e l’arte copia la natura”. “E fin qui niente di male”, aveva
detto Pino. “Più uno si avvicina all’idea del bello, più bella è la
cosa da lui fatta”, aveva detto Aristotele. “Io invece sostengo che
l’artista debba essere in grado di fare continuità tra la natura e
l’arte... proprio perché l’oggetto artistico, come un vaso o una
statua, è la copia della natura stessa”. Il tizio baffuto era rimasto a
bocca aperta nel sentir dire da Aristotele che Socrate e Platone erano
suoi parenti invece che filosofi, tanto da aver prestato pochissima
attenzione alle parole da lui dette. E non sentendosi ancora
soddisfatto, aveva detto di nuovo: “Sì, ma cos’è l’estetica?”. In quel
momento, erano apparsi due individui vestiti con una tunica lunga e
colorata, ma dall’aspetto molto più giovane di quello di Aristotele.
Uno di essi si presentò col nome di Tommaso, l’altro col nome di
Bonaventura. “È vero che l’arte imita il mondo visibile, infatti ciò
che si dipinge è ispirato proprio da quel che si vede - aveva detto
Tommaso - però il bello non è un’idea… il bello è Dio!”
Sopra la testa del tizio baffuto era apparso un gigantesco punto
interrogativo, o almeno egli aveva avuto l’impressione che si fosse
formato sopra di lui. “Il mondo è sì bello, ma è pur sempre un riflesso
del divino”, aveva detto Bonaventura. “Il mondo è bello? Ma quando
mai?”, si era chiesto il tizio baffuto, e ripensava al terrorismo, alla
delinquenza, alla criminalità, alle guerre, all’inquinamento. “Quando
l’arte tocca il corde dell’anima, è allora, e solo allora, che si
percepisce il bello, il divino - aveva proseguito Tommaso - il centro
del mondo è Dio e tutto ciò che è bello e divino, perché riconducibile
a Dio”. “Anche se bene e bello rimangono pur sempre indistinti”, aveva
aggiunto Bonaventura. “Ma questi qua dove sono stati tutto questo
tempo? Ad ascoltare suonare l’arpa?”, si era chiesto il tizio baffuto.
All’improvviso una voce risuonò fuori dal suo campo visivo, cogliendo
tutti di sorpresa, anche Pino. “Voi due siete completamente fuori
strada! - fecero le voci fuori campo, rivolte a Tommaso e Bonaventura -
Dio al centro del mondo? Ma che cosa dite? Non c’è solo il mondo,
attorno a noi e fuori di noi c’è l’universo! E i nostri astronomi
possono dimostrarvelo! Inoltre al centro dell’universo non c’è Dio, ma
c’è l’uomo! Non è Dio che è al centro del mondo, è l’uomo che è al
centro dell’universo!”. Coloro che avevano parlato erano alcuni
individui vestiti con abiti del ‘600. Per loro, almeno così era parso
al tizio baffuto, tutto era un continuo confronto: l’arte si
confrontava con la natura e con sé stessa, e quindi si modificavano e
aggiungevano tecniche figure e rappresentative fino ad allora
sconosciute. L’uomo si confrontava con la natura, l’esperienza con la
ragione, il sacro con il mondano e il profano. “Ma cos’è, un torneo
sportivo?!”, si era chiesto il tizio coi baffi folti. Di nuovo chiese:
“Cos’è l’estetica?”. Tutti erano ammutoliti, tranne Pino, rimasto
sempre tranquillo. “Un tizio di nome Baumgarten ci dice cos’è
l’estetica…”… “Ah, finalmente!”…“Baumgarten definisce l’estetica come
scienza del bello, che deve produrre la visione della perfezione.
Attraverso i sensi, egli dice, è possibile scoprire il bello e il
sublime e trovarlo in qualsiasi cosa”. Il tizio baffuto si sentiva già
bell’e soddisfatto, quando Pino aveva preso a proseguire: “C’è pure
l’accordo tra pensieri unificati in una cosa che si vede, l’ordine
interno della cosa stessa e la continuità di senso tra pensiero e
cosa”. “Va bene”, aveva tentato di fermarlo il tizio baffuto. “Kant,
invece - aveva continuato Pino - è il primo teorico dell’estetica. E ne
fa una visione tutta sua prendendo da tutti i filosofi che l’hanno
preceduto”. Tutti gli individui apparsi attorno all’uomo baffuto e a
Pino avevano cominciato a osservare attentamente quest’ultimo,
sentendosi presi in causa. “Si diceva che l’arte svelasse la verità
nella bellezza, e che quindi fosse strumento di conoscenza. Kant non ne
era affatto convinto: per lui la bellezza è apparenza, qualcosa di
soggettivo. L’arte per lui era solo un tramite”…
“Tra che cosa?”, aveva domandato il tizio baffuto, senza però venire ascoltato.
“Il piacere che si prova con la percezione porta a fare un giudizio
estetico - aveva continuato Pino - l’arte coincide con la capacità di
assimilare la natura, in modo che l’opera dell’uomo possa apparire come
opera della natura medesima, grazie a un’operazione di prospettiva
contemplativa”. “Basta”, aveva detto il tizio baffuto con voce ferma ma
senza risultato. “Per Hegel, invece - aveva proseguito Pino - l’arte è
superata dalla religione cristiana e dalla riflessione filosofica, che
sono due cose che sono in grado di spiegare cosa sia l’assoluto, molto
meglio di quanto possa fare l’arte”. Il tizio baffuto aveva iniziato a
sentirsi montare dentro una gran rabbia, ma Pino non se n’era neanche
accorto. “L’estetica deve mostrare l’arte, il bello - aveva proseguito
- come manifestazione, apparizione sensibile dell’idea, ossia
dell’intelligibile. e deve mostrare come tale manifestazione dia luogo
nel tempo a una molteplicità eterogenea di forme.” “Basta! - aveva
urlato l’uomo baffuto - io volevo solo sapere cos’è l’estetica! mi dici
cos’è l’estetica?”… “Nietzsche, invece…” aveva continuato a dire Pino,
ma subito dopo egli era stato finalmente interrotto. Non perché il
tizio coi baffi folti lo aveva bloccato fisicamente, tappandogli la
bocca con una mano, ma perché il sogno era finito di botto, proprio in
quel momento, lasciando l’uomo baffuto a bocca aperta e con ancora in
testa l’interrogativo irrisolto di cosa fosse realmente l’estetica.
Una volta finito di raccontare tutto questo, egli domandò: “Dottore,
questo sogno che significa?”. Lo psichiatra lo guardò negli occhi un
momento e poi disse: “Ma lei, non farebbe meglio a sognare belle
donne?”… “Come! - sbottò l’uomo baffuto - Io le racconto un sogno, le
parlo di un sogno nel quale appare un personaggio che mi angoscia, le
chiedo cosa significa, e lei mi dà questa risposta banale?!” …
“Scherzavo!- sorrise il dottore - volevo rasserenarla un po’…”. Quindi
tornò serio: “Senta, non farebbe meglio a scendere a patti con questo
Pino? A chiedergli di essere disposto più ad ascoltare che a parlare?
Cerchi di imporsi un po’! È vero che lei non è al centro del mondo o
dell’universo, ma neanche gli altri lo sono! Siamo tutti importanti.
Conta l’opinione di tutti. Anche la sua”. L’uomo baffuto tirò un
sospiro di sollievo, ma prima di uscire dallo studio dello psichiatra
gli domandò: “Mi dica una cosa, se io avessi chiesto a lei cos’è
l’estetica, mi avrebbe risposto come Pino?”. “Non lo so, non credo -
disse lo psichiatra - le avrei dato una definizione più stringata come
lei avrebbe voluto, penso”. “E se le capitasse di fare un sogno come il
mio, che cosa farebbe?”… “Non lo so- ripeté lo psichiatra – ma le
consiglio ugualmente di convincere Pino a parlare di meno e a dialogare
di più, ad ascoltare di più, invece che fare monologhi”. “Grazie,
dottore!”.
L’ESTETICA DELLA VITA
Stefy
Stasera sono vestita in modo semplice
perché è con gente che sa apprezzare la semplicità che esco. Non è
dalle grandi cose complicate che vengono i consigli della vita ed è
dalle menti semplici che ne viene esaltata. Non sono i grandi studiosi
o filosofi a dare le dritte giuste e i consigli per vivere. Perché la
vita anche se sembra complessa è semplice e pura e solo chi ha l’animo
puro e una mente semplice può comprenderla e sa viverla bene, senza
paranoie e sensi di colpa. Chi è semplice sa apprezzare l’essenza delle
persone e non ne guarda l’esteriorità, perché l’esteriorità ti inganna
e ti copre quella persona che sei e se hai bisogno di coprire ciò che
sei vuol dire che non hai un animo pulito. Nella pulizia dell’anima si
riesce a vivere bene la vita e ad ogni passo che fai, imparare qualcosa
da lei.
I DIECI CONSIGLI UTILISSIMI E IMPORTANTISSIMI
PER MIGLIORARE SEMPRE DI PIÙ LA BELLEZZA E IL FASCINO DI UNA DONNA
1) Usare un trucco che si abbina bene al proprio viso, ma senza mai esagerare;
2) Indossare un abito molto elegante ed affascinante soprattutto per serate importanti;
3) indossare degli accessori (ad esempio: orecchini, collane, braccialetti…) di una certa qualità;
4) mai 'trasandarsi', ma sempre curarsi, lavarsi, usare creme, depilarsi eccetera;
5) avere un bel look di capelli abbinato al proprio genere di viso;
6) indossare delle belle scarpe o stivali di una certa qualità abbinate al vestito;
7) sorridere spesso ed avere dei fantastici denti bianchi;
8) far vedere in maniera raffinata la zona del petto con criterio, quindi senza esagerare;
9) indossare un bellissimo pantalone o gonna a seconda della maglia;
10) curare e modellare le ciglia e sopracciglia, lo ritengo importante!
A NOI LA SCELTA...
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DAZZENGER
Darietto
●Sapete cos'è un'amarena? Un'arena molto amata.
● Dopo un mese, il formaggio va a male? No, diventa forgiugno.
● Sapete cosa succede quando un collega 'rompe'? Viene scollegato.
● Sapete quale pesce starnutisce? L’acciuga…
● Mistero della natura: le tarta-rughe usano la crema antinvecchiamento?
● Mistero della natura: Il g-ufo può essere amico degli alieni?
● Mistero della natura: Cosa ci fa la lavanda sugli abiti? Va in lavanderia.
● Mistero dei luoghi: Dentro ai poli-ambulatori, fa freddo?
● Mistero della natura: I finocchi, hanno una vista fine?
● Sapete cos’è una lamentela? Il mento di un lama.
● Sapete cosa fa Nando in cucina? Sta cuci-nando.
● Sapete qual è la festa preferita dai macellai ? Il carnevale.
● Sapete cosa ci fa una mosca dentro una noce? La noce moscata. ●
Un gruppo di studenti va a visitare un museo di storia. La guida mostra
i vari pezzi storici poi mette alla prova i ragazzi con una domanda:
“Sapete dirmi dove hanno combattuto i Crociati?”. Quindi uno di loro,
tutto contento, alza la mano; la guida gli dà il permesso e lui
risponde: “Facile! Negli incroci!”
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A NOI LA SCELTA… QUALE BELLEZZA?
Mariana Parera e Gabriele Beghini
BBuongiorno a tutti, belli e mai
brutti!”, è una delle frasi con cui si può fare un bel saluto agli
anziani. Estetica è ciò che appare agli occhi di chi osserva, è
l’immagine che un essere umano, un animale o una cosa trasmette
all’osservatore. Questa immagine viene colta, interpretata ed
elaborata. Spesso da una superficiale osservazione ci formiamo opinioni
e giudizi, anche molto elaborati. Una persona che veste bene e cura
l’aspetto, ad esempio, fa sempre una bella impressione a un colloquio
di lavoro, appuntamenti o relazioni sociali in genere. Eppure questi
giudizi, che riguardano la parte superficiale di noi, cioè l’estetica,
sono spesso affrettati e inaffidabili. Quante volte ci sarà capitato di
cambiare idea? Persone belle, curate ed elegantemente vestite possono
essere fredde e crudeli. Al contrario, dietro a un aspetto poco
rassicurante può apparire un cuore immenso, una straordinaria bellezza
interiore. Tanto da farci successivamente apprezzare anche quella
esteriorità che non appariva degna di nota. Ci sono molti film che
illustrano il fenomeno come La bella e la bestia, oppure Shrek.
L’estetica, così importante nella nostra cultura e nella nostra
impostazione mentale, può essere elemento di confusione. Inoltre il
giudizio estetico è influenzato da numerosi fattori soprattutto legati
a cultura e tradizioni. Basti pensare a certe tribù africane che con
fasce o altro modellano il corpo dei bambini per modificarne l’aspetto
durante la crescita. Crani allungati, piedi piccoli, labbra e orecchie
prominenti eccetera. Non troppo lontano da noi e nemmeno tanto tempo
fa, si usavano busti per modellare e assottigliare la vita delle
bambine, perché le curve accentuate facevano parte di un modello
estetico a cui uniformarsi.
Ovviamente certi modelli non sono universalmente diffusi, il labbro
prominente che certe tribù africane ottengono inserendosi dischi di
osso, è più che lecito che a noi non appaia bello, è al di fuori della
nostra tradizione e il nostro occhio non lo apprezza esteticamente.
Succede anche all’interno di una stessa cultura che ci siano diversità
di gusti, ad esempio il piercing amato da tanti adolescenti. Oltre alla
realtà in cui siamo calati, anche il tempo può essere fattore che
determina il nostro giudizio estetico. Un quadro alla prima
osservazione può colpire, poi può capitare che stanchi e non piaccia
più. O al contrario, lasciare indifferenti al primo sguardo e poi
nascondere qualcosa che ad una osservazione più accurata appare.
Inoltre soffriamo tutti di deformazioni percettive, vediamo una cosa e
ne percepiamo un’altra, perché consciamente o inconsciamente filtriamo
quello che i nostri occhi mandano al cervello. Nonostante ciò
l’estetica ricopre un ruolo importante, dedichiamo gran parte del
nostro tempo a curarla. Non solo il nostro corpo, curiamo l’aspetto
esteriore della nostra auto, della casa, dei nostri animali. Un oggetto
grezzo o ben verniciato, quanto può apparire differente? Stessa cosa
vale per noi. Un parrucchiere può trasformare una persona. Addirittura
osserviamo un vero e proprio boom degli interventi estetici permanenti.
La chirurgia estetica è in grado di intervenire per modellare e
trasformare. Anche in questo caso il paziente che si sottopone ad un
intervento chiede di modificare qualcosa di sé per uniformarsi a un
modello estetico a cui vorrebbe somigliare. A parte interventi di
ricostruzione post-lesioni, spesso si tratta di operazioni non
strettamente necessarie. Il/la paziente si vede brutto/a, ma in realtà
non lo è. Un naso prominente può essere a suo modo affascinante, se
portato con naturalezza è un carattere distintivo di una personalità,
un valore, non un difetto.
A volte dietro a queste esigenze interne della persona possono
nascondersi altri tipi di problemi in particolare insicurezze,
inibizioni, paure: bisogno di successo, vita sentimentale
insoddisfacente, ansia di apparire, tante cause di insicurezza che
portano a decidere di modificare il proprio corpo. Poi senza rendersi
conto si rischia di trascurare una parte molto importante di noi, la
nostra interiorità. La personalità, la cultura, la bontà, la gioia
interiore, i valori della nostra anima sono elementi che ci fanno
apprezzare molto più di un bel tatuaggio o di una acconciatura alla
moda o di un seno prominente... Da considerare anche che la bellezza,
seppure una natura generosa ce l’ha data, è un attributo evanescente,
va via con gli anni. È così che l’estetica non deve diventare la parte
più importante di noi. Possiamo apparire per quello che siamo veramente
in mille modi.
Nelle case residenza per anziani, persone con deficit visivo confermano
quanto detto comunicando sensazioni di agio o mostrando riconoscimento
a seguito di gesti cortesi e/o azioni orientate al loro benessere. Ci
vedono belli per come ci atteggiamo e non per come siamo fisicamente,
per il trucco o il vestito.
Con queste osservazioni non c’è pretesa di annullare il ruolo che
l’estetica e la cura dell’aspetto ricoprono nella nostra vita, si cerca
semplicemente di dar loro la giusta dimensione. Anzi, tra le attività
di animazione che si svolgono nelle residenze per anziani dai
laboratori per la ‘Cura dell’Estetica’ si possono trarre benefici non
indifferenti. Incontri finalizzati ad orientare lo sguardo verso la
propria immagine. La semplice azione di guardarsi allo specchio attiva
operazioni di riconoscimento, per l’acquisizione di una maggior
consapevolezza della propria immagine (self). Attraverso l’osservazione
guidata dei loro particolari si rimanda l’attenzione delle anziane
sulle proprie mani, abiti, capelli e volto. Stimolando le azioni come
pettinarsi, limarsi le unghie, levando o dandosi lo smalto, spalmandosi
una crema, eccetera, l’attività può contribuire ad un miglioramento
dell’autostima e al contempo favorire il mantenimento delle funzioni di
autonomia. Così come la scelta di un colore di smalto o della fragranza
di un profumo oltre che stimolare le funzioni sensoriali incita
all’affermazione del sé. In un’atmosfera che ricrea ‘il salone di
bellezza’, con riviste, socializzazione e fantasia, la proposta della
cura del corpo va ben oltre l’abbellimento personale. Lo confermano i
cambiamenti positivi sull’umore delle signore che si abbandonano ‘al
gioco’, superando stati di noia e sviluppando un nuovo modo di
relazionarsi con la propria immagine.
Potremo sempre dedicare tempo all’abbigliamento e all’aspetto pur
valorizzando la cura dell’interiorità, contrastando così i comandi di
un ambiente sociale e culturale che pretende di uniformarci a dei
modelli, come quello dell’eterna giovinezza.
A noi la scelta di far tesoro dei nostri percorsi di vita con punti di
forza e debolezze. Con tutto ciò che ci distingue e rende unici.
Fonti e Bibliografia:
Rizzoli Larousse - Enciclopedia Universale
Zingarelli - Vocabolario della lingua italiana - Zanichelli
Susan Jeffers - Conosci le tue paure e vincile - Oscar Mondadori
Produzioni cinematografiche:
La bella e la bestia – Disney
Shrek – Dreamworks
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LA NOTTE DI NOTE
Giovanni Romagnani
Television
In un bellissimo album di qualche anno fa Carmen Consoli dice di essere Mediamente Isterica.
Almeno nel titolo. Io sono ‘medialmente’ isterico, nel senso che la
televisione non la guardo proprio. Al massimo ascolto l'omonimo album
di Paola e Chiara, Television, che ritengo bellissimo. Ritengo
la programmazione delle reti Mediaset stupida e furba, votata al
profitto. E tendente a slatentizzare gli istinti più bassi. Perché? Per
vendere e vendersi, secondo me. Vendono la televisione privata come
alternativa al Servizio Pubblico. Vendono, appunto.
L'anima viandante non ama i confini mediatici
“Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della
ragione, non può mai sentirsi sulla terra nient’altro che un viandante,
non un viaggiatore diretto a una meta finale (…). Quando
silenziosamente, nell’equilibrio dell’anima mattinale, egli passeggerà
sotto gli alberi, gli cadranno intorno dalle cime e dai recessi del
fogliame solo cose buone e chiare, i doni di tutti quegli spiriti
liberi che abitano sul monte, nel bosco e nella solitudine e che,
simili a lui, nella loro maniera ora gioiosa e ora meditabonda sono
viandanti e filosofi. Nati dai misteri del mattino, essi meditano come
mai il giorno, fra il decimo e il dodicesimo rintocco di campana, possa
avere un volto così puro, così luminoso, così trasfiguratamente sereno:
essi cercano la filosofia del mattino”.
Friedrich Nietzsche, da Il viandante e la sua ombra, in Umano, troppo umano.
Collaboro con il Dottore Michele Filippi, non collaborerò mai con Maria De Filippi.
Circa un anno fa mi ha chiamato Michele: “Facciamo un laboratorio
contro lo Stigma?”… “Sì - gli ho risposto - rimettiamo in viaggio le
parole”. Non vogliamo cambiare il mondo, ma parlare di come è. Certi
termini purtroppo sono magnetici, polarizzati. Poli negativi, in certi
casi.
Mambo Latino: De+Ablativo = Complemento di Argomento.
Il problema è che, nonostante il cognome, tu di argomenti, Signora
Maria De Filippi, non ne hai, ma usi quelli degli altri. La Tua è un’
Estetica Stitica. Meglio i Seminari di Michele Filippi. Vengo al punto.
Mi rammarico ci siano persone che giocano con i sentimenti. I raggi del
cuore sono delicati. L’anima viandante non ama i confini mediatici, con
tutti i suoi limiti. Ed in questo senso vi chiedo questo: perché la
signora Maria De Filippi fa quello che fa?
Mi piacerebbe mi scrivesse. Mi piacerebbe mi dicesse perché inganna e
fa esporre le persone, facendo leva perlomeno sulla loro vanità.
Adolescenziale, in alcuni casi. ‘Provabilmente’ ha capito Andy Warhol.
Parli di Eros & di Pathos. Anima Autocertificante. Urticante. Suor
Ortica. Delusa? Dimmelo Tu. Amici? Nemici. Animati da sola. Con tutto
il mondo fuori.
Questo è un appello. Basta poco, Maria. Rispondimi. Basta poco a fare
impressione, basta poco, basta andare in televisione che la gente
subito ti riconosce per la strada, si fa presto a montarsi la testa e
d’altronde è questa qui la realtà di questa vita, ci si guarda solo
fuori, ci si accontenta delle impressioni, ci si fotte allegramente,
come se fosse niente… Darei fuoco a casa tua, se passasse il mal di
dente. E intanto il mondo rotola, e il mare sempre luccica… Basta poco
a far bella figura, basta poco, basta esser buoni la domenica mattina,
basta poco per esser furbi, basta poco oh!
Basta pensare che son tutti deficienti e d’altronde è questa qua la
realtà di questa vita, di questa bella civiltà così nobile e così
antica, e intanto il mondo rotola, e il mare sempre luccica, domani è
già domenica, e forse forse nevica. Basta poco per essere intolleranti,
basta poco, basta esser solo un po’ ignoranti, basta poco, per non
capire e scappare via, basta poco perché ti dia fastidio uno pur che
sia, e intanto il mondo rotola, e il mare sempre luccica, domani è già
domenica, e forse forse NEVICAAAAAAA.
Più o meno
Nomadi
che cercano gli angoli della tranquillità... canta Francesco Battiato
detto Franco. Franco. In fondo anch'io la penso un po’ così. Ho scritto
lo stretto angolo del disagio e di un po’ di tranquillità ne ho
bisogno. Più o meno. Ho bisogno di prossimità algebrica. In algebra più
per meno fa meno e più per più fa più. Ma non è questo che voglio
sottolineare. È alla terza ipotesi che tengo. Meno per meno fa più.
Quindi, accostando due esperienze negative, (-), se ne ottiene una
positiva, (+). È bello crederlo. In fondo si dice mal comune mezzo
gaudio. Accostarsi al meno può produrre un nuovo meno, se
l'avvicinamento è sbilanciato verso il polo più positivo, delle volte
si può aggredire il dolore come canta acutamente Carmen Consoli, che ha
scritto una canzone bellissima, Contessa Miseria, dove si parla di mente ibernata a vent'anni, tipica delle Psichiatre Fredde.
La luce de Gli Angeli non filtra tra le Dannate Nuvole e l'unico modo è
guardare Silvia prima che sia tardi sperando che Jenny non si sia già
persa fra i suoi riflessi, mentre Sally balla con Susanna.
Dannate nuvole
Ho ascoltato Dannate Nuvole
di Vasco Rossi sotto Depakin. Che dire. Niente è vero, niente e questo
lo sai. E però continuerai. È un però difficile. L'esperienza del nulla
è dura. È vero che il vuoto è anche una possibilità da riempire di
senso, ma il senso va anche trovato. Lo devi mettere Tu! Ma quello che
irrimediabilmente fanno tutti gli psicofarmaci è vuotare di senso le
situazioni. E allora cosa rimane? Le persone con cui le hai vissute, da
tenere strette. Credo che ogni utente psichiatrico debba avere dei
riferimenti, credo che ogni operatore ed ogni Esp, quale da questo anno
sono, di riferimenti ne debba dare, non dico il cellulare, ma almeno un
indirizzo e-mail. Se uno nel vuoto è solo, il vuoto entra dentro di
lui, lasciandolo SOLO con i suoi sogni, ma anche con le sue paure. Le
nuvole allora sono davvero dannate. Perciò scrivetemi!
Allego il link del mio ultimo intervento a Radio Kairos dove parlo del Faro:
https://soundcloud.com/radiokairos/signore-e-signori-il-welfare-e-sparito-20151013
Stratagemmi
Zone rarefatte del pensiero, zone rarefatte dello spirito. br>
Il potere del vulcano annullò il potere delle Giubbe Rosse. br>
Mi ricorda Piero Pelù quando dice che con la natura non si scherza. E
che quando avremo prosciugato anche l'ultima sacca di gas ci
accorgeremo che i nostri soldi non li possiamo mangiare. Da cui traccia
8 dei Dieci Stratagemmi:
dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva.
L'eterno ritorno dell'identico pulsa nelle parole parallele degli
artisti che in lui diventano perpendicolari. Inneres Auge
Dopo la malattia
Credo che gli Utenti Psichiatrici siano DEI Diversamente Abili. DEI
maiuscolo? Errore? No! DEI, nel senso di divinità.
Esiste un bellissimo libro alla Biblioteca Minguzzi su Carl Gustav Jung
scritto da Innamorati. Parla di quantità psichica. Di quantità di
stimoli. Senza giudicarli. Giusto. Lo dico da Esp, anzi da ESPer.
Numero Zero, come ho segnalato alla Dottoressa Francesca Guzzetta, Zero
che non vuole viaggiare da solo. Quindi quello che scrive il Dottor
Innamorati lo condivido. Vivo in un perenne stato sensoriale ricco ed
abbondante, di cui non è sempre veloce la sintesi. Volendo sono un caso
di politeismo percettivo. Giovanni>0
Mi ritengo una disequazione, un intervallo di valori, emersi dopo la
malattia. Un cono di Bergson acuto, ma ottuso nel senso aperto. Avatar
del mio angolo del disagio che voglio tenda a 360°. E ci arrivi. E
quindi sparisca.
Nei miei primi cinque anni psichiatrici il mio angolo del disagio era a
90° e faceva male, l'ho scritto. Poi è diventato piatto, noioso:180°.
Ora è a 270° e spruzza creatività. La mia mente fugge in diagonale per
accelerare le calde influenze del sole. Diagonale espressa da un numero
irrazionale, ma >0.Sono ripartito. Con retaggi diagonali di poca
razionalità. Di normalità si può anche guarire. È un percorso che fa
soffrire, ma bisogna pur partire, e durante il viaggio la luce del faro
è vita e mi illumina. Anzi, mi il-luminasi. Grazie Lucia! La Notte di Note è merito tuo.
Mosaico
Una serie di note, poesie in prosa, storie, schegge di
commedia & dialogo, aforismi, epigrammi, saggi… Poesie? Certo.
James Douglas Morrison
C'è tanto in questa poesia di James Douglas Morrison detto Jim. James
Douglas Morrison, voleva essere chiamato, quanto scriveva poesie, e non
Jim.
In fondo si era stancato di Re Lucertola, delle Porte della Percezione
e, in fondo anche di William Blake. Voleva scrivere, comunicare. Capire
e farsi capire. Trovare qualcuno che lo Vedesse e non semplicemente lo
Guardasse. Io sono stanco di vivere solo per fare compagnia, io non ho
voglia di ridere ed è tutta colpa mia. Canta Vasco in Quante Volte.
‘Quante volte’ mi è capitato. Quante volte ho fatto ridere. Quante
volte mi è stato chiesto di scrivere. Senza nessuno che considerasse il
dolore che ci stava dietro. Quante volte mi sono sentito un ‘cavallo di
troia’ nel mondo psichiatrico, accecato dagli psicofarmaci. E quando
gridavo: "Chi è stato!", tutti urlavano: "Nessuno!". Circe Terapia,
Penelope E.C. mia terza psichiatra. Be’, sa Romagnani, in fondo il mio
è il lavoro di Penelope con la sua tela. La faccio parlare, scaricare,
passare dalla farmacia. Le darò un altro appuntamento. Ma tanto in
fondo non servirà, non guarirà. La sua vita scorrerà così, cadenzata.
MI RINGRAZI. Vede Dottoressa E.C. sono un cavallo di Troia, non sa
quando dolore ho nel mio ventre, ma mi faccia un piacere, la smetta e
si vergogni. Vede, io tra Achei e Troiani semplicemente scelgo i
Troiani, non scelgo Lei. Sa quanti Troiani ci sono all'Ottonello, che
Lei uccide con frasi come queste. Troiani che in fondo ancora credono
in Lei, ma che Lei delude, che non ama. Mi verrebbe da dire che è Lei
la città da espugnare, ma semplicemente non ne ho più voglia. Continui
a credere che io non guarirò, continui a credere che sono io lo strano.
Tuteli la sua normalità. Ma tenga presente che dalla sua normalità può
anche guarire, che forse può rispondere al mio sguardo, che forse la
storia non è infinita se iniziamo a raccontarla. Che io comunque
cavalcherò il fortuna drago e che comunque è Lei che nelle paludi della
tristezza è rimasta. Ci stia da sola. Non mi ci costringa. Io voglio
cavalcare e sognare. Lascio a Lei gli angeli. Qui non arrivano. E non
esiste più la città. Forse ritiene inutile quello che ho scritto, ma
per me è importante.
E continuerò. Che le piaccia o no.
Poesie? Certo.
La necessità di un nuovo umanesimo individuale
Vento nelle vele del nuovo gruppo Faro Cultura voluto da Fabio Tolomelli.
Quando scrivo le mie Note mi ispiro principalmente a due movimenti
poetici. Il Crepuscolarismo ed il Futurismo. Il Futurismo quando
accelero, il Crepuscolarismo quando penso. Da entrambi emerge un unico
fattore: SONO SOLO!
O tra i flutti dell'energia del futuro, o nella fessura tra gli ultimi
raggi del sole e la Luna del crepuscolo. Qui non arrivano gli angeli,
canta Vasco. Il sole mentre tramonta inghiotte secondo me i demoni
della notte, che bruciano in me.
Credo che si debba tornare ad una sana individualità. Fatta di diritti
ma soprattutto di doveri. La libertà è dispari, ho sostenuto a Radio
Kairos, parlando anche di Vocazione Professionale. Citando Il Codice dell'Anima di James Hillman.
E singole debbono essere le responsabilità. Cioè. Ritengo che la
vocazione emerga solo nell'individualità. Siamo ammalati di Noi che
indeboliscono. Condividiamo tutto, anche il caffè. Nicianamente non mi
sento una pecora, e al limite cerco di ballare coi lupi. Ricordando il
mio passato da Lupetto. E bevo il caffè da solo. E non da Scout.
Giovanni Romagnani detto La Romagna
L’uccello azzurro
La Psichiatria ha carenza di Uccello Azzurro. Cosa avete capito? Non mi
riferisco a quello del Grande Puffo, ma a quello della conoscenza del
film K-Pax. Poi come nel film, di psichiatri perplessi ce ne sono
sempre meno, pochi guardano le stelle, molti danno farmaci. Qualcuno
fuma il sigaro e non ci crede più. Triste. Io mi limito a dire che
all'uccello azzurro credo ed ambisco. Poi spero in Un Giorno Insieme
come cantano i Nomadi. Augusto Daolio era un illuminato. Ed il mondo
non deve perdere il suo ricordo. Perché in fondo, Noi Utenti
Psichiatrici, l'Animo Vagabondo un po’ l'abbiamo.
Questo è il mio indirizzo e-mail: castanedaedonjuan@yahoo.it … scrivetemi!
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L’ESTETICA IERI E OGGI
Mariangela
F
in dall’antichità l’estetica o bellezza è stata attentamente ricercata.
A partire dagli antichi Egizi dal 3100 a.C. fino al 1070 a.C.
l’importanza della bellezza del corpo aveva un fine religioso oltre che
di cura di sé. Donne e uomini cercavano di migliorare il proprio
aspetto usando unguenti e creme quotidianamente. Molte donne e uomini
solevano radersi il capo per motivi igienici e utilizzare parrucche di
capelli umani all’interno delle quali venivano inseriti coni profumati,
abitudine degli alti ranghi le cui case erano provviste di camera da
bagno. È noto che la regina d’Egitto Cleopatra avesse l’abitudine di
fare il bagno nel latte d’asina per mantenere la sua avvenenza e lo
splendore della propria pelle.
Nell’antica Roma la cura del corpo era considerata salute e bellezza,
ritenuti impianti igienici sanitari erano le terme, a cui poteva
accedere quasi chiunque, anche i più poveri, in quanto l’entrata era
quasi gratuita; una delle abitudini era quella di versare nell’acqua
profumi e vini speziati. Per il benessere fisico presso le terme si
trovavano sale adibite a palestra e un tipo particolare di vasche in
cui immergersi dopo essersi esercitati, dopo questo si poteva passare
alle sale massaggi.
Nella Francia del XVII secolo la popolazione non usava l’acqua per
lavarsi perché era ritenuta portatrice di malattie, in compenso erano
appassionati di profumi che usavano per eliminare i cattivi odori del
corpo.
Luigi XIV, detto il Re Sole per la sua splendente bellezza, fu
soprannominato dalla sua corte “dolce profumo”, per la sua passione per
i profumi, anche se si dice che il re si sia lavato solo tre volte
nella vita.
Il XVIII secolo fu un’esplosione di eleganza di cappelli stravaganti,
di parrucche e le acconciature delle appartenenti alle classi più
agiate erano sontuose ed elaborate. Con l’avvento della cosmesi la
cipria fu considerata l’elemento principale per truccare non solo il
volto, ma anche mani, braccia, collo e decolleté. Una tendenza
dell’epoca fu l’uso del busto quasi mozzafiato, fatto di nastri e
stringhe, indumento che non mancava nel guardaroba delle nobildonne che
lo indossavano sotto l’abito sfarzoso, per rendere sottile il giro-vita
ed esaltare il decolleté che veniva messo in mostra dall’abbondante
scollatura dell’abito.
Anche ai giorni nostri l’estetica desta attenzione e desiderio. Modelle
e modelli dell’alta moda si attengono a diete ferree per ottenere un
corpo slanciato adatto e richiesto per mettere in risalto la bellezza
dell’abito indossato e renderlo desiderabile.
Divi del cinema e dello spettacolo, spinti dal desiderio di bellezza,
si affidano alla chirurgia estetica per eliminare imperfezioni del
naso, borse sotto gli occhi e rughe, per dare volume alle labbra,
valorizzare gli zigomi, aumentare il seno e modellare glutei e cosce,
interventi che suscitano perplessità riguardo al loro buon esito, ma
che vengono praticati ugualmente, a costi elevati.
Sempre più persone considerano importante l’uso di cosmetici e creme,
abbronzature, maschere facciali, depilazione, massaggi, sauna, diete
dimagranti ed esercizi ginnici. Ritenuta una nemica da sconfiggere è la
cellulite, difficile da debellare, la si può combattere con l’esercizio
fisico e una corretta alimentazione, quest’ultima utile anche per
evitare disturbi interni ed esterni come dermatite del viso, acne,
invecchiamento della pelle e caduta dei capelli.
Da non sottovalutare è l’igiene personale che dona al corpo benessere e
piacere. Si può concludere dicendo che un corpo curato e un
abbigliamento adeguato facilitano la nostra relazione con gli altri,
quindi è ragionevole affermare che la ricerca della bellezza si mostra
efficace purché non sia esageratamente considerata!
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IL LUSSO NEGATO Regole e proibizioni per abbigliamento e cerimonie nel Medioevo
Diana Tura (Archivista presso l'Archivio di Stato di Bologna)
Fra il 25 ed il 26 gennaio del 1401 il
notaio bolognese Gandolfo Fantuzzi descriveva in un apposito registro,
il cosiddetto “Registro della bollatura della vesti”, più di duecento
vesti di donne bolognesi denunciate da mariti o servitori o dalle dame
stesse. Con questo stratagemma il legislatore consentiva alle donne
bolognesi di continuare ad indossare vesti vietate, in quanto ne erano
in possesso da prima dell’entrata in vigore dei nuovi statuti che ne
vietavano l’uso. Ma perché il legislatore interferiva
nell’abbigliamento delle dame, qual era il significato di tale
operazione?
Oggi un simile intervento sarebbe inaccettabile, perché ritenuto
un’intrusione nella sfera privata: chi si sognerebbe di regolare
l’abbigliamento ed il lusso delle persone e le principali occasioni di
socialità come funerali, matrimoni e banchetti? Eppure per tutto il
Medioevo e nella prima età moderna furono stabilite da parte di chi
governava regole e proibizioni per mettere ordine nell’universo delle
‘apparenze’. Gli interventi di regolamentazione del lusso costituiscono
la cosiddetta normativa ‘suntuaria’ (dal latino sumptus,
cioè spesa), termine ormai inconsueto e forse ai più sconosciuto.
Infatti da quando tale fenomeno è cessato, cioè da quando nel 1793 in
Francia si teorizzò la libertà di vestire (“Nessuno potrà costringere
un cittadino o una cittadina a vestirsi in maniera particolare… ognuno
è libero di portare il vestito o la guarnizione che gli pare”) la
parola è diventata muta.
Le norme suntuarie riguardavano prevalentemente coloro che avevano
risorse economiche tali da permettersi ricchi convivi o abiti che
costavano come appezzamenti di terreno o palazzi, ma in realtà
coinvolgevano tutta la società medievale, perché la regolamentazione
delle ‘apparenze’, quindi dell’abbigliamento e degli eventi sociali
pubblici, consentiva anche, in alcuni casi, di identificare con
immediatezza le varie categorie sociali di appartenenza: se le regole
erano osservate da tutti, chiunque avrebbe potuto capire
dall’abbigliamento chi aveva di fronte.
Oggi dalla lettura di queste leggi e dall’applicazione o meno delle
stesse possiamo intuire molti aspetti della vita sociale di quel tempo:
chi era ricco o no, quali oggetti forniva il mercato, quali erano le
fogge degli abiti, chi contava e chi era emarginato, i rapporti tra
uomini e categorie sociali, rapporti ‘segnati’ dalle vesti,
rappresentati da elementi esteriori, come strascichi, gioielli,
pellicce o tavole sontuosamente imbandite, con ripetute portate di cibi
e con numerosi invitati.
L’interesse della legislazione comunale nei confronti delle vesti,
degli ornamenti, dei banchetti, dei matrimoni e dei funerali non era un
fenomeno della sola città di Bologna, ma era diffuso in tantissime
altre città italiane ed europee, ed era iniziato alla fine del XIII
secolo con il tentativo di autorità civili ed ecclesiastiche di
limitare gli eccessi nel mondo delle ‘apparenze’.
Si possono individuare nel periodo compreso fra il XIII e il XVI secolo
tre fasi diverse di questa normativa: quella compresa fra la metà del
’200 e la metà del ’300, caratterizzata da una sorta di invito
generalizzato alla modestia, influenzato soprattutto dai discorsi dei
predicatori che condannavano i fiori fra i
capelli delle donne o l’uso ornamentale di “pietruzze, sassolini,
minuzzoli” della terra, che anziché servire a “rendere sicure le
fondamenta per erigere muri, per sostenere frontoni”, venivano usate a
“edificare la stupida ammirazione delle donne”. Quella successiva, che
arriva alla metà del XV vide fiorire una enorme ricchezza e varietà di
norme e la possibilità di sanare le trasgressioni pagando multe,
introducendo tra l’altro categorie di persone esentate dai divieti, le
cosiddette “aree di privilegio”. Infine l'ultima fase, dalla metà del
XV secolo in poi, in cui ad ogni categoria cittadina viene applicata
un’estetica appropriata: a Bologna venne emanata nel 1453 una legge del
cardinale Bessarione, poi recepita negli ultimi statuti comunali del
1454, che suddivideva la società cittadina in sei categorie sociali,
ciascuna caratterizzata da norme estetiche ben precise e al cui vertice
erano le mogli e le figlie dei cavalieri, seguite da quelle dei
dottori.
A Bologna le prime norme suntuarie risalgono al 1250, in un momento di
piena affermazione comunale, all’indomani della battaglia di Fossalta,
e furono inserite negli statuti comunali, cioè nelle raccolte delle
leggi che regolavano qualsiasi aspetto della vita cittadina. In
particolare erano norme che ‘marcavano’, in quanto miravano a
distinguere le donne dabbene da quelle di malaffare, indicando la
lunghezza degli abiti e dei nastri delle une e delle altre. La prima
vera e sistematica legislazione suntuaria si ha con gli statuti del
1288 e riguarda, oltre le vesti e gli ornamenti, anche le cerimonie
nuziali ed i funerali. Da quell’anno in tutti gli statuti successivi
fino all’ultima redazione del 1454, furono inseriti libri o rubriche
che definivano, con maggiore o minore precisione, le tipologie di vesti
e/o le quantità di gioielli che le donne potevano sfoggiare, talora
suddivise secondo le categorie sociali di appartenenza, talora no.
Negli statuti dei periodi signorili, per la prima volta in quelli del
1335, erano previste delle categorie privilegiate: le mogli e le figlie
dei cavalieri, dottori ed avvocati non erano soggette a nessuna
restrizione e potevano sfoggiare qualsiasi tipo di veste e gioielli.
Gli statuti del 1376-78 , redatti all’indomani della rivolta bolognese
contro la Chiesa ed espressione di una rinascita dell’autonomia
comunale, non prevedevano esenzioni per nessuna categoria sociale,
essendo il limite allo sfoggio imposto dalla condizione economica: chi
poteva pagare la multa prevista poteva permettersi qualsiasi lusso. Ma
tutte queste leggi, come il successivo statuto del 1454 e tutti i bandi
e le provvisioni a proposito che seguirono ancora per oltre un secolo,
e le relative multe applicate a chi trasgrediva a tali norme, non ci
fanno conoscere solo la normativa in vigore, ma anche i tessuti, le
fogge, gli ornamenti, i gioielli, l'uso di colori eccetera.
Partendo dalla lettura di un registro non particolarmente suggestivo
come quello del notaio Fantuzzi, di cui dicevamo all’inizio, si scopre
tutto un mondo. Il testo, conservato presso l'Archivio di Stato di
Bologna, non miniato, cartaceo, con copertina pergamenacea, di sole 74
carte, costituisce un pezzo unico nella storia della legislazione
suntuaria bolognese. Da esso si ricava l'elenco di 211 vesti
accompagnate dal nome della proprietaria, affiancato spesso da quello
del marito o del padre, la cappella cittadina di riferimento
(ricordiamo che i quattro quartieri in cui Bologna era divisa dal XIII
secolo, erano suddivisi in numerose cappelle, che erano la
sottoscrizione amministrativa comunemente menzionata dai documenti che
dovevano fornire l’indirizzo), e parziali
descrizioni degli abiti denunciati. Sono descritti il colore della
veste, la foggia, il tessuto, i particolari relativi ad ornamenti
costituti da ricami o da applicazioni e sono usati i termini originali
con cui venivano definiti i capi d’abbigliamento di quell’epoca.
Si trovano vesti definite “sacchi”, cioè sopravvesti invernali foderate
e ricche di guarnizioni, “gabbani” un po' più pesanti, con maniche e
cappucci foderati di pelliccia o di stoffa, “guarnacche” più ampie ma
talora prive di maniche eccetera.
Così come per le fogge, anche per i tessuti sono utilizzati termini che
non fanno più parte del linguaggio comune della nostra epoca , come lo
“zetanino”, stoffa di seta che deriva il suo nome dalla città cinese di
Tseutung o Zaitun per gli Arabi, di baldacchino, drappo prezioso di
seta o broccato che deriva il nome dalla città di Bagdad, e così via.
Altro elemento che balza all’occhio è il colore che connotava
immediatamente l’abito presentato per la bollatura e che è presente in
tutte le descrizioni e che in alcuni casi sostituisce l’indicazione del
tipo di tessuto: si trovano vesti di scarlatto, di nero… il colore
diventa materia. Le vesti bollate sono in gran prevalenza rosse, o
almeno recano un particolare rosso: se ne contano 120 su 211; non a
caso il colore che denotava la ricchezza o la condizione sociale
elevata era il rosso con tutte le sue gradazioni: scarlatto, paonazzo,
cremisi, vermiglio... e poi vesti azzurre, verdi, bianche e nere,
raramente vesti in tinta unita, ma con colori giustapposti in modi
diversi e con gusti diversi da oggi. Ed ancora, vesti con decorazioni
applicate come bottoni, frange, cordellette, vesti ricamate, o nelle
quali emergevano figure diverse, vietatissime dalla normativa, come
lettere, stelle, raggi, alberi, fiori, foglie, animali come cervi,
leoni, leopardi, uccelli, animali fantastici... Ed infine, per
impreziosire ancor più le vesti e per completare il quadro, maniche
lunghissime e decorate, pelliccia di vari animali, fra cui il pregiato
ermellino.
Certamente il notaio mentre descriveva queste vesti, quindi mentre
esercitava la sua pur qualificata professione, non sapeva che stava
lasciando ai posteri non solo la testimonianza scritta
dell’applicazione di una legge, ma anche la memoria della moda, del
gusto e dell’abilità artigianale di quell’epoca.
Ed ecco allora che possiamo immaginare le donne bolognesi del '400
girare fra le strade cittadine orgogliose delle loro vesti e
soddisfatte di poterle sfoggiare nonostante i divieti della legge...
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Carissimi della Redazione,, ci conosciamo da tempo e da
lontano: dalla mia finestra qui al Centro di Salute Mentale vi guardo e
ammiro la vostra forza di immaginare e i vostri colori, ma soprattutto
la vostra inclinazione a saper sempre dire "qualcosa" a "qualcuno". Noi
che siamo attori ed attrici della salute mentale sappiamo che è
importante il poter de-scrivere/comunicare/accompagnare le emozioni,
piccole e necessarie oppure grandi ed urgenti, comunque emozioni
superstiti alla nostra vita quotidiana.
Mi piace quindi che voi possiate farlo e che voi possiate continuare a farlo.
Con affetto
Cristina Paolucci
Riceviamo da Giuseppe e volentieri pubblichiamo questo scritto in ricordo di un amico.
Maurizio "Plasmon" VIVE...
Ho conosciuto Maurizio nel 2014, come spesso avviene quando si entra in
un azienda della tipologia di Asp (Azienda Servizi alla Persona):
all'inizio, cambio o fine turno quando ci si incontra negli spogliatoi
e ci si scambia un saluto e qualche chiacchiera. Il suo armadietto era
di fronte al mio, con l'adesivo Usb (Unione Sindacale di Base) ben in
mostra attaccato sopra. Impossibile non notarlo: alto, imponente,
massiccio, barba e capelli bianchi. Gli argomenti erano prevalentemente
i soliti per quelli che come ‘noi’ svolgono un lavoro assistenziale ed
è difficile spiegare cosa ci sia effettivamente dietro certe frasi,
esclamazioni, sfoghi, rabbia, risate, punti di vista e confronti a
volte anche aspri tra colleghi, sia in reparto che fuori, nello
spogliatoio per esempio, un luogo classico in cui non di rado ti
ritrovi a fare il punto della giornata lavorativa e a volte anticipi al
tuo collega che sta per entrare in turno novità o raccomandazioni.
Rincontrai poi Maurizio nell'estate del 2015 per un vertenza. Ci
incontrammo in un bar, non lo vedevo da un anno, ricordo perfettamente
come era vestito: jeans, t-shirt blu e zainetto. Era sensibilmente
dimagrito e rimasi chiaramente colpito e sorpreso della sua
trasformazione. A mia domanda sul forte calo del peso mi riferì che era
stato attento al mangiare e al bere, probabilmente, pensandoci ora, non
era questa la motivazione, ma in quel momento pensavo lo fosse,
ovviamente. Voglio sottolineare che quel giorno era il suo riposo, chi
fa questo lavoro sa bene quanto si desideri anche staccare la spina,
mentalmente e fisicamente, eppure mi aveva dedicato alcune ore del suo
tempo e ci eravamo confrontati su molti argomenti aziendali in tema di
contratti, mansioni, politiche assunzionali, norme, leggi e chiaramente
tavoli di trattativa sindacato - ente (passati, presenti e futuri). Non
conosceva la mia problematica, ma ne rimase molto colpito, tanto da
farmi presente che avrebbe fatto il possibile per aiutarmi; ci tengo a
ribadire questo suo pensiero anche per rimarcare quello che poi ho
visto rappresentato da tutti i suoi amici, compagni e colleghi: la sua
profonda sete di giustizia e di affermazione dei diritti dei
lavoratori. Effettivamente mi diede un aiuto e supporto morale,
personale, del tutto franco, solidale e vero, come era lui del resto.
Successivamente ci rivedemmo in sede sindacale e ci si sentiva per
aggiornarci per telefono o e-mail. Maurizio era tra le rare persone che
conosco che, in questa società attuale di consumismo esagerato e spesso
superfluo, volutamente e convintamente era sprovvisto di telefonino. Mi
diceva: “Chi vuol cercarmi mi chiami pure a casa o al lavoro” e ciò ha
un senso, perché in fondo anche il suo reparto era la sua casa, il suo
mondo per una vita! Ci saremmo dovuti vedere per una birra, insieme
anche ad altri colleghi, in dicembre, ma problemi familiari mi
portarono fuori Bologna. Lo risentii la vigilia di Natale per fargli
gli auguri con la promessa di vederci al più presto per fare un
brindisi al nuovo anno. La notte tra il 30 e 31 dicembre fu ricoverato
in ospedale: andai a trovarlo, il giorno dopo la befana, rimanendo con
lui varie ore, che in tutta franchezza volarono. Lo trovai bene, faceva
le flebo diligentemente, non si alimentava da giorni e tutto sommato
non aveva un cattivo umore nonostante il ricovero forzato e imprevisto.
Parlammo veramente di tante cose: quotidiani, libri, politica, elezioni
amministrative a Bologna, differenze generazionali (era degli anni
Cinquanta, io dei Settanta). Lui aveva un percorso ideologico e
formativo ben delineato, veniva dall'esperienza di Lotta Continua ed
aveva vissuto pienamente e convintamente il periodo delle lotte e
rivendicazioni sociali e operaie a cavallo tra la fine degli anni
Sessanta e inizio Settanta, un bagaglio di vita ed esperienza
partecipata e autenticamente vissuta!
Quando lo salutai aveva finito la terapia farmacologica, si alzò dal
letto per accompagnarmi fino agli ascensori. Mi raccomandò di tenere
botta come sempre, lo salutai dicendo: “Esci presto da 'sto posto”.
Sarebbe dovuto uscire di lì a pochi giorni, purtroppo fu l'ultimo
attimo in cui lo vidi in vita. Il 22 gennaio 2016 è stato il giorno in
cui numerosi ti abbiamo attribuito l'ultimo saluto, caro collega
Maurizio, conosciuto da tutti come PLASMON, perché la tua imponenza
fisica trasmetteva sicurezza a tutti i tuoi amici… Maurizio era una
persona pulita, coerente ai suoi alti principi morali e professionali,
sempre disponibile e profondamente altruista, schivo, riservato, ma
persona anche spiritosa e di buona compagnia. Mi lascia un insegnamento
che nel mio piccolo già sto percorrendo e continuerò con tutte le mie
energie a perseguire: lottare fino allo stremo delle forze per il
riconoscimento dei diritti, in particolare quelli degli ultimi! Un
abbraccio affettuoso alla moglie Renata, al figlio Nicola e a tutti i
parenti, amici e colleghi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e
volergli bene. Ci siamo conosciuti per troppo poco tempo ma è stato
comunque UN ONORE PER ME!!!
Giuseppe
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SULL’ARTE CONTEMPORANEA E SULL’ARTE IRREGOLARE
Fabrizio Sinibaldi
P
remessa: a scanso di equivoci, e attraverso l’argomento estetica,
questo testo è scritto per continuare a promuovere il lavoro degli
artisti del CAIB (Collettivo Artisti Irregolari Bolognesi).
Io sono Fabrizio, sono un ex studente di chimica e ormai quasi
trentacinque anni fa mi trovavo a Firenze con amici. Notai che la città
era completamente tappezzata di manifesti che reclamizzavano la mostra
in Orsanmichele di Roy Lichtenstein 1970-1980, così m'incuriosii e
andai a vederla. Naturalmente non sapevo che si trattava della mostra
di uno dei massimi artisti di ogni tempo, così come non sapevo nulla
d’arte. Quando mi trovai di fronte ai lavori ebbi un vero e proprio
shock che mi ha cambiato la vita. Non ho ancora capito se in meglio o
peggio, dipende dai giorni. Comunque sia fu una vera e propria sindrome
di Stendhal. La domenica successiva tornai a Firenze per potere
rivedere tutto da solo e conservo ancora il manifesto della mostra e
quello che è stato il mio primo libro d’arte. Come si dice, una
ciliegia tira l’altra e dopo aver capito chi era il signor Lichtenstein
ho cominciato a informarmi su tutto il resto a cominciare dalla storia
dell’arte. L’ho fatto da autodidatta e anche attraverso le conoscenze
che ho avuto in tutti questi anni in campo artistico. Termino questa
premessa un po’ troppo personale dicendo che ormai sono tutti questi
anni che l’arte e le arti applicate (in particolare il design grafico
per il quale ho una seconda passione) fanno parte della mia vita
quotidiana.
Proprio l’argomento estetica mi dà l’occasione di parlare dell’arte
irregolare, perché, come cercherò (nel mio piccolo) di spiegare in
seguito, l’arte irregolare può essere valida anche se può sembrare ‘non
bella’, secondo quel luogo comune presente fra i profani secondo cui un
dipinto deve essere fatto ‘ad arte’ (bel disegno, ben dipinto, immagini
accattivanti e così via).
L’estetica è quella disciplina che si occupa del concetto di bello (e
di conseguenza anche del concetto di brutto). Il primo scoglio che si
deve superare con l’arte contemporanea (anche l’arte irregolare è
moderna e contemporanea) è che il profano dà per scontato che l’arte
deve essere per forza collegata al concetto di bello e di brutto.
L’estetica può andare con l’arte, ma anche per i fatti suoi e non è un
caso che nelle università di tutto il mondo vi siano corsi di estetica
indipendenti. E magari sono all’interno dei dipartimenti di filosofia.
Questa distinzione in realtà non nasce oggi, ma all’inizio del
ventesimo secolo con le Avanguardie Storiche (per intenderci tutti quei
movimenti artistici di totale rottura con l’immediato passato che sono
stati ‘totali’, nel senso che per ognuno di questi movimenti si ha
l’aspetto pittorico, musicale, teatrale, letterario e così via). Per
esempio il Cubismo di Picasso e Braque che portano alle estreme
conseguenze la compresenza di immagini bidimensionali e tridimensionali
nella stessa immagine di Cézanne (uno degli impressionisti francesi):
se si osserva la serie di dipinti sulla montagna Sainte-Victoire di
Cézanne s’intuiranno i futuri quadri cubisti di Picasso e Braque… Il
Futurismo italiano che con il proprio manifesto su Le Monde
del 1909 esalta la velocità e le macchine della società industriale…
Gli espressionisti tedeschi che, figli tutti di Van Gogh, esprimono un
impeto contrario agli impressionisti francesi del secolo precedente:
mentre questi ultimi ricevevano “un’impressione” dall’esterno
attraverso una visione gli espressionisti tedeschi, in senso contrario,
rivolgevano verso l’esterno quello che provavano internamente (questo è
un movimento che concettualmente ha molto a che fare con l’arte
irregolare)… E infine la nascita dell’arte astratta (che
convenzionalmente viene fatta nascere con un acquerello del 1910 di
Kandinskij): per la prima volta degli esseri umani decidono di creare
delle immagini che non hanno nulla a che fare con la realtà che ci
circonda (potete trovare delle immagini astratte sia geometriche che
informali anche in dipinti antichi - per esempio un tappeto sotto il
trono di una Madonna - ma l’intenzione di creare immagini astratte è
un’invenzione del primo Novecento). E così oltre a Kandinskij abbiamo
contemporaneamente la ricerca di Kazimir Malevich che dipinge
addirittura quadrati bianchi su fondali bianchi e il grande Piet
Mondriaan che arriva a concepire dipinti con quadrati e rettangoli
all’interno di strutture ortogonali e li dipinge con bianco, i tre
colori primari (rosso, giallo e blu) e grigio neutro che per i pigmenti
non è altro che la somma dei tre primari (i neurofisiologi della
visione hanno dimostrato che la visione di questa tonalità di colore
rappresenta per il cervello umano uno stato di massimo benessere).
Appare chiaro che tutta questa arte appena citata, per l’uomo della
strada (si potrebbe fare un sondaggio) non appare ‘bella’, soprattutto
se confrontata con l’arte rinascimentale più conosciuta dai più, come
può essere una madonna di Raffaello o la Cappella Sistina di
Michelangelo. Con l’arte contemporanea (perché in realtà molto di
quello che riguarda le avanguardie storiche è già stato assimilato da
molte persone che sanno comunque chi è Van Gogh o Picasso) tutto questo
va estremizzato: gli argomenti su cui essa indaga sono infiniti e
complessi, quanto è complesso il mondo contemporaneo, che volenti o
nolenti è molto più complicato di quello con cui poteva avere a che
fare un Caravaggio. A quest'ultimo non si poteva certo rimproverare di
non occuparsi di immigrazione, di reti di computer, di informazione
globalizzata, di problemi etici dovuti ai progressi scientifici, di
problemi dovuti all’identità delle persone o delle minoranze sociali.
Gli artisti contemporanei si possono rimproverare se non si occupano di
queste cose per il semplice fatto che non vivono in un borgo toscano
del Quattrocento. Non hanno scuse se non quella che la loro arte può
permettersi di essere importante e interessante senza essere ‘bella’.
In verità tutti i grandi artisti di ogni tempo sono stati
contemporanei, perché se si analizza bene il loro lavoro si vede che si
sono occupati delle questioni del proprio tempo. A questo punto forse
non c’è bisogno di molte spiegazioni per capire che anche l’arte
irregolare (l’arte prodotta da persone con problemi psichici) può
essere importante anche se in molti casi non è affatto ‘bella’. Esiste
ormai una storia di questa sezione dell’arte: prende l’avvio con la
fondazione da parte dello studioso James Brett di un museo senza sede
fissa, itinerante e che spesso raccoglie le opere strada facendo. Brett
ha chiamato questa inedita “istituzione” The Museum of Everything (www.musevery.com)
dopo aver conosciuto un suo omonimo (l’anziano William Brett) che
nell’isola di Wright, nella propria casa collezionava in una sorta di
installazione oggetti di ogni tipo. Gli abitanti dell’isola chiamavano
‘Museo di Tutto’ la costruzione di William Brett, così il Brett giovane
chiede l’autorizzazione al suo omonimo di potere utilizzare il nome
aprendo una ‘filiale del museo’ a Londra. Nell’ottobre del 2009
inaugura la prima mostra in un ex studio di registrazione includendo i
lavori di un centinaio di artisti irregolari. Contribuiscono
all’esposizione la collezione di Art Brut di Losanna e alcuni ‘atelier protetti’, come il californiano Creative Growth.
Questa mostra è stata visitata da circa trentamila persone. Nel 2010 il
museo itinerante viene ospitato per cinque mesi dalla Pinacoteca
Agnelli a Torino. In questa occasione partecipano alla realizzazione
del catalogo artisti di fama mondiale come John Baldessari, Maurizio
Cattelan, Francesco Vezzoli. Ancora a Londra nello stesso 2010 si
espone alla Tate Modern. Dopodiché si avrà la collaborazione tra Brett
e Peter Blake (il pioniere della pop art inglese che ha disegnato la
copertina di Sargent Pepper Lonely Heart Club Band dei Beatles e anche quella di Stanley Road
di Paul Weller) che riescono a esporre nel maggiore centro commerciale
britannico nelle vetrine di Oxford Street accompagnando le esposizioni
con workshop per persone con disabilità psichiche. Nel 2012 è stata la
volta di Parigi in una ex scuola cattolica e quindi a Mosca. Nel 2013
la Biennale di Venezia è curata da Massimiliano Gioni il quale
concepisce una mostra dell’Outsider Art nella sede della Serra
dei Giardini. In questa rassegna vengono esposte all’aperto opere di
artisti affermati insieme a opere di artisti irregolari per mettere in
evidenza la linea sottile che le separa. L’arte irregolare, concepita
all’esterno del mondo dell’arte esiste da sempre, ma la sua
visualizzazione è relativamente recente e risale agli anni Venti in
Germania con la collezione Prinzhorn, di lavori di pazienti
psichiatrici. Negli anni Quaranta Jean Dubuffet comincia a collezionare
e conia quest’arte con la definizione di Art Brut. Il termine Outsider Art
è coniato dallo studioso britannico Roger Cardinal negli anni Settanta
comprendendo nella definizione anche gli artisti autodidatti. The Museum of Everything è l’ultima espressione dell’interesse verso l’arte ‘irregolare’, ma ovviamente il suo scopo è di rimuovere questa etichetta.
A questo punto invito tutti quelli che hanno avuto la benevolenza di
aver letto fin qui a visitare la galleria virtuale ospitata nel sito di
Dario Fo, dove si possono visionare le opere (e avere tutte le
informazioni) di tutti gli artisti membri del Collettivo Artisti
Irregolari Bolognesi.
Questo è l’indirizzo della galleria virtuale: http://arteirregolare.comitatonobeldisabili.it.
E questo, per chi volesse mettersi in contatto per qualsiasi motivazione, è l’indirizzo di posta elettronica:
collettivoartisti.irregolari@gmail.com.
E infine, per chi volesse approfondire ulteriormente, altri due link: www.workevery.com è il sito del network virtuale che lega tutti gli atelier nel mondo; www.eoaa.org è l’indirizzo dell’Associazione Europea dei Gruppi di arte irregolare.
Statemi bene e ciao.
OPERE DEGLI ARTISTI IRREGOLARI BOLOGNESI
Cristina Adriani - Mia figlia
Graziella Mattana - Nudo
Fausto A. - Nave nella tempesta
Andrea Giordani - Non sono corisposto
Fabrizio Sinibaldi - Brotha
Cri Artista - Aspettatemi
Sandra Aceresi - Donna indiana
Fly - Benessere
Stefano Regazzi - Campiture ocra
Gilda Pappalardo - Le bagnanti
MacKenzie - Chase & Catch the intrude (l'aragosta)
Lorenzo Scrima - L'umano, il divino, i trini e la speranza
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