ANTONIO CANOVA: “Il pugilatore Damosseno”, 1796
Piergiorgio Fanti
A
ntonio Canova (1757-1822) nasce a Possagno (Treviso) ed è avviato alle arti tra Asolo e Venezia nel decennio 1769 - 1779.
Quando nel ’79 si reca a Roma ha già al suo attivo l’Orfeo ed Euridice e il Dedalo e Icaro, due sculture che dimostrano il suo attento studio dal vero.
L’intento drammatico è raggiunto disponendo le figure a riscontro l’una
con l’altra, come sarà più tardi per i pugilatori, Creugante e
Damosseno.
L’opera che diede a Canova la celebrità è il monumento a Clemente XIV
benedicente, a cui seguì quello per papa Rezzonico in San Pietro,
inaugurato nel 1792.
La bella semplicità dello stile del Canova contrasta con la sovrabbondanza e agitazione della scultura barocca.
Più originale la serie di sculture iniziata negli stessi anni, tra cui il gruppo di Amore e Psiche,
in cui Canova tenta una trasposizione moderna di precise suggestioni
dall’antico. Da allora il successo artistico dello scultore è
travolgente: deve eseguire repliche, come per Venere che esce dal bagno o Ebe.
Il vero volto neoclassico del Canova (il dominio dell’idea porta
all’utopia del bello) si applica anche alle opere funerarie, come il
monumento per il Cavalier Emo e il monumento a Maria Cristina, e alla
serie successiva di ritratti – monumenti di Napoleone. Antonio Canova
muore a Venezia nel 1822.
|
|
EDITORIALE
Fabio Tolomelli
P
er il termine ‘rabbia’, tutti i dizionari cartacei e digitali che ho
consultato danno come primo significato la malattia dei cani e come
significato figurato l'irritazione violenta e spesso incontrollata. La
descrizione che mi è piaciuta di più è quella di Wikipedia, che pure fa
riferimento alla malattia canina, ma poi richiama al termine 'ira' e la
sua definizione è: “stato psichico alterato, in genere suscitato da
elementi di provocazione capaci di rimuovere i freni inibitori che
normalmente stemperano le scelte del soggetto coinvolto. L'iracondo
prova una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni
casi verso sé stesso”. La definizione mi è piaciuta, ma alcuni dubbi mi
sono rimasti. Perché la rabbia? Probabilmente è un sentimento legato
all'istinto di autoconservazione. Io mi arrabbio quando un insulto
esterno, o interno, mi colpisce. Ad esempio io mi arrabbio con me
stesso quando non riesco a raggiungere un obiettivo o quando commetto
errori che potevo evitare. La fonte di rabbia esterna è accesa quando
mi fanno un torto o un'offesa. Ma cosa mi succede quando mi arrabbio?
Alcune volte implodo, altre esplodo (quest'ultimo caso molto raro),
altre volte riesco a stare più o meno in equilibrio. Per quanto cerchi
di stare in equilibrio, però, alle volte il torto me lo lego a un dito.
In genere tendo ad implodere, perché dopo l'arrabbiatura mi sento in
colpa, non so bene il perché. Forse perché ho paura delle conseguenze
(cosa pensano di me se mi arrabbio), forse perché non so cosa potrebbe
accadere se liberassi i miei freni inibitori, forse perché ho paura di
ledere l’oggetto della mia rabbia con troppa aggressività. Sì, credo
siano questi i motivi per cui ho la tendenza ad implodere, ma forse ce
n’è uno più subdolo, che non avevo considerato: e se il soggetto con
cui mi sono arrabbiato per risposta mi mena? Sì, è meglio implodere,
che ne dite? Ma allora, perché quest’aggressività? Sì, perché la rabbia
è uno dei sentimenti che mi fanno stare peggio, forse ancora peggio
della depressione. Quando vengo colto da attacchi di rabbia provo una
sofferenza inferiore solo al mal di denti e a tutti i più grandi dolori
fisici. È una sensazione orribile essere arrabbiati, specie se senza
causa o motivo. Sembra di impazzire. Ho la tentazione di distruggere
tutto, ma so che ciò non servirebbe a nulla; forse è l'impulso a
distruggere ogni cosa l'aspetto che mi mette più paura. La rabbia è uno
stato d'animo che mi crea una grandissima sofferenza, che mi altera la
visione obiettiva della realtà. Questo grandissimo disagio mi porta
all'impellente necessità di rimuovere al più presto la causa di tanta
sofferenza. È questa necessità di sfogo che porta le persone ad
aggredire verbalmente o fisicamente l'altro, ma anche sé stesse. La mia
rabbia, comunque, non è sempre la stessa. Ci sono cose che mi fanno
arrabbiare di più, altre di meno, ci sono giorni in cui sono più
irascibile, altri meno. A parità di insulto ci sono poi persone che mi
fanno arrabbiare più di altre.
Il mio rapporto con la rabbia risente anche dell'educazione che ho
avuto. Laddove ho avuto in passato il permesso di canalizzare la rabbia
mi sento di poterla sfogare, laddove mi è stata repressa tendo a farla
implodere.
Anche la cultura in cui si è immersi è condizionante: la cultura
cristiana, predominante in Italia, tende al perdono (a porgere l'altra
guancia), mentre ad esempio la cultura americana tende a giustificare
la reazione distruttiva anche in caso di semplice minaccia. Questo non
solo nella politica internazionale, ma anche in quella interna, basta
pensare alla facilità con cui si possono acquistare armi.
Cari lettori non arrabbiatevi per la lunghezza dell'editoriale, ma
seguite il mio consiglio: quando è il caso, arrabbiatevi pure
liberamente, ma senza offendere o venire alle mani. In fondo c'è sempre
lo sfogatoio del Faro se volete dar luce alla vostra rabbia.
|
|
I VENDITORI DI COLOMBE
Antonio Marco Serra
Spogliate dalla furia e dal rumore, le emozioni
intese come cognizione non significano più niente,
o comunque niente di emozionante.
J. Le Doux, Il Cervello emotivo
C
antami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta…”. E davvero avrei
bisogno, in questo momento, di un aiutino da parte di Calliope, per
riuscire a buttar giù quest’articolo, perché ho tante idee riguardo
all’argomento di questo numero, ma proprio non ‘quagliano’ tra loro:
quasi quasi sto per… arrabbiarmi. Già che siamo in tema, inizio proprio
dall’Iliade
e dall’aspetto un po’ imbarazzante dell’ira (o rabbia, o collera, o
furore, che dir si voglia) del mitico figlio di Peleo. Diciamocela
tutta, almeno ai nostri occhi di moderni, il buon Achille non sembra
farci una bella figura: il suo comportamento ci sembra puerile, le
bizze di un bambino capriccioso. Eppure, a ben vedere, Achille ha
ragioni da vendere: il suo capoufficio (Agamennone), approfittando
della sua posizione di potere, gli sottrae la sua meritata parte di fringe benefit
(che poi essi consistano in una donna, una schiava, fingiamo di non
saperlo), onestamente guadagnati facendo gli straordinari
nell’accoppare Troiani a vagonate. E quasi ci dispiace che il pronto
intervento di Atena impedisca ad Achille (frenandone la rabbia con
promesse di premi futuri) di uccidere su due piedi il suo capo
fedifrago. Ma ciò non toglie che il comportamento di Achille ci appaia
come quello di un bambino offeso che si allontana esclamando: “Allora
non gioco più”. A dirla tutta, quella di Achille sembra connotarsi
addirittura come una rabbia patologica, l’unico sentimento che sia in
grado di provare, un sentimento foriero di morte: “lutti agli Achei”,
quando diserta il campo di battaglia e ancor maggiori lutti ai Troiani,
quando decide di farvi ritorno, in preda a una rabbia cieca per
l’uccisione dell’amico Patroclo. Persino quando, convinto dagli dei, si
decide a restituire a Priamo il corpo martoriato del figlio, appare
terribilmente preoccupato che una parola di troppo del vecchio, non
faccia scattare la rabbia in lui, costringendolo ad ucciderlo. Ha piena
coscienza che la sua ira è un sentimento incontrollabile, che neppure
un comando divino, e men che meno la sua volontà, ha il potere di
tenere sotto controllo. Alla fin fine Achille ci fa pena: gli dei
l’hanno subdolamente ingannato quando mettendolo a scegliere tra una
vita lunga ma dimenticata e una vita breve ma gloriosa, si sono
dimenticati di dirgli che quest’ultima sarebbe stata anche una vita di
schifo, perennemente annegata in una rabbia senza fine. E non riesco a
liberarmi del pensiero che quando la freccia avvelenata di Paride ha
trapassato il suo calcagno, Achille abbia pensato: “Finalmente! Paride,
non provo rabbia verso di te, ma, per la prima volta, riconoscenza”.
Abbiamo così visto due aspetti che possono caratterizzare la rabbia: da
un lato, a chi osserva dall’esterno, appare spesso come un sentimento
inadeguato e persino risibile; dall’altro, per chi la prova, appare
come qualcosa che lo domina e che la sua parte raziocinante non è
assolutamente in grado di controllare, ma forse è proprio questo che la
rende risibile agli occhi degli altri.
“Dies Irae, dies illa / solvet saeculum in favilla…”.
Il Cristianesimo sembra condannare senza mezze misure la rabbia: “Ma io
vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al
tribunale”, recita il Vangelo secondo Matteo, e addirittura l’ira è
finita nel catalogo dei sette peccati capitali. Ma c’è un’ira che
permea tutto il Vecchio e il Nuovo Testamento e che ovviamente non è
passibile di condanna alcuna: l’onnipresente ira divina che minaccia e
mette in atto sfracelli a non finire. Lo stesso Gesù, affinché non vi
siano dubbi al riguardo, ci ricorda: “Io non sono venuto a portare la
pace, ma la spada”. E certo chi pronuncia ripetutamente il “Guai a
voi…”, minacciando la Gehenna di fuoco a destra e a manca, non pare
davvero un mansueto.
E quando, fatto un flagello di corde, scaccia i mercanti dal Tempio,
rovesciando le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di
colombe, sembra davvero in preda a un attacco d’ira parossistico.
Sicuramente se da quelle parti si fosse trovato uno psichiatra, avrebbe
predisposto un immediato TSO, impedendone così la morte e resurrezione,
e mandando a catafascio l’intera storia salvifica dell’umanità
predisposta fin dall’inizio dei tempi. Non sembra, ma gli psichiatri a
volte possono essere davvero una potenza. Sempre che non si arrabbino.
Scherzi a parte, perché a molti l’ira di Achille appare ridicola e
quella di Gesù, invece, nobile ed elevata? Forse perché Gesù non sta
perorando per il proprio tornaconto personale (non vuole vendere lui le
colombe nel Tempio), né è irato per essere stato offeso personalmente
dai mercanti (tutto avrebbero fatto, i poveri venditori di colombe,
piuttosto che offenderlo, conoscendone il carattere iracondo). E qui
sta il punto: la rabbia ci pare nobile quando qualcuno percepisce come
un’offesa a sé stesso qualcosa che di fatto offende l’umanità di
qualcun altro, o l’umanità tout-court.
Ed è un sentimento che può essere indipendente da quel che noi possiamo
concretamente fare per rimediare a quella situazione che ha suscitato
la nostra collera, tanto da poter essere suscitata anche da eventi
passati: dopo oltre settant’anni molti ancora si indignano ripensando
agli orrori dei campi di concentramento nazisti, anche se
quest’indignazione è oramai del tutto inutile. Certo, qualcuno direbbe
che ricordare gli errori del passato può impedire che si ripetano nel
futuro, ma è solo una pia menzogna. Da quando il nazismo è stato
sconfitto quante altre pulizie etniche e barbarie d’ogni tipo sono
state commesse? La domanda è ovviamente retorica, la lista è quasi
infinita. Eppure, anche in questo caso, ci vuole una certa continuità
personale per poter provare rabbia. L’Europa degli anni quaranta è
molto diversa da quella attuale, ma in fondo è il mondo dove hanno
vissuto i nostri genitori o i nostri nonni, e di cui ci hanno
raccontato. Sfido chiunque a provare autentica rabbia per gli omicidi
di massa, non meno efferati, compiuti dagli eserciti di Gengis Khan;
altri tempi, altri costumi, pensiamo, e andiamo avanti. Grazie a Dio.
La rabbia può avere un’utilità solo se riguarda qualche situazione
presentemente in atto e se ci spinge ad un agire concreto, per
contribuire a porre rimedio a una situazione che percepiamo come
un’autentica ingiustizia. Altrimenti è un sentimento convenzionale e
inutile, che può servire, tutt’ al più, a tacitare la nostra cattiva
coscienza. E per di più ci rovina la vita, rendendoci il sangue amaro.
Ne vale la pena? Come cantava Renato Carosone: “Se crede 'ca me faccio 'o sangue amaro, se crede 'ca 'mpazzisco e po' me sparo”.
Ma è comunque inevitabile che la nostra storia personale la faccia da
padrona: siamo molto più disposti ad arrabbiarci se una data
situazione, pur non riguardandoci direttamente, evoca degli eventi del
nostro passato. Immagino, tanto per fare un esempio, che se qualcuno è
stato violentato da bambino (o lo è stata una persona che gli è cara)
sia molto più propenso di altri a scandalizzarsi e arrabbiarsi per il
fenomeno dei preti pedofili. Non esiste un senso di giustizia tout-court,
svincolato dal nostro vissuto personale o anche dalle nostre
convinzioni politiche, filosofiche, estetiche eccetera. Dimmi con
chi... ti arrabbi, e ti dirò chi sei. Eppure, siamo sinceri, questa
rabbia per interposta persona, è ben difficile che ci coinvolga e ci
stravolga come quando i destinatari della vera o presunta ingiustizia
siamo noi stessi, e bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di
riconoscerlo. Achille docet: “Restituitemi Briseide o vi riduco
tutti in minutissimi pezzetti!”. Per fare un esempio, è sicuramente per
nobilissimi motivi, e avendo di mira esclusivamente il bene supremo
dell’umanità, che io mi auguro che venga reintrodotta la pena di morte,
magari come conclusione di orripilanti sevizie, per coloro che vanno a
40 chilometri orari nelle strade in cui il limite di velocità è di 90
chilometri orari. Lo giuro, ho di mira solo il miglioramento della
qualità della vita dell’umanità tutta. Però, chissà come mai, mi
accontenterei che questa sin troppo misericordiosa misura venisse
adottata solo nei confronti degli automobilisti che percorrono la
statale ‘Porrettana’, strada che, guarda caso, percorro varie volte
alla settimana… Perdonate gli scherzi, ma oggi sono d’umore un po’
giocoso e un po’ macabro. Vorrei arrabbiarmi, per essere in tema, ma
non ci riesco. Ma domani, quando sarò di nuovo sulla Porrettana, con
davanti una ‘lumaca’, ci riuscirò sicuramente.
|
|
ARRABBIARSI SENZA SMETTERE DI AMARE
Patrizia Degli Esposti
uando
penso alla rabbia immagino una molla, qualcosa che ti dà la spinta per
andare avanti, per combattere, per affrontare le difficoltà. Questa per
me è la rabbia positiva.
Ma quando la rabbia è dominata dal fuoco, dalla paura, dall'odio, può
trasformarsi in una bomba nucleare che vuole distruggere tutto e tutti.
La rabbia è un sentimento che, se non viene espresso, resta
imprigionato nel nostro corpo e si trasforma in malessere e malattia.
Ma per esprimere la rabbia è necessario avere il controllo su di essa,
perché l'ira potrebbe imprigionarci e farci perdere il contatto con la
realtà, con l'educazione e il rispetto verso gli altri. Nella rabbia
traduciamo i nostri disagi, le nostre paure, le nostre fragilità.
Attacchiamo per non essere attaccati, per difesa. Ma la rabbia produce
altra rabbia. È difficile restare calmi e pacifici di fronte a
un’esplosione di aggressività, perché è arduo restare indifferenti e ci
si fa travolgere: vediamo chi urla più forte, vediamo chi picchia con
più vigore… Se riuscissimo a contare fino a dieci e restare
sufficientemente distaccati quando una persona reagisce con arroganza,
potremmo cercare di entrare in empatia con lei e scoprire cosa
realmente scatena questo fuoco, cioè cosa c'è nel cuore della persona
che non riesce a spiegarlo forse neppure a sé stessa. Lo psicologo
Marshall Rosenberg ha sviluppato e diffuso un processo di
comunicazione, chiamato ‘comunicazione non violenta’, che permette di
entrare in sintonia con il nostro interlocutore per comprenderne la
rabbia e la violenza, che può essere sia fisica che verbale, e
suggerisce come aprirsi ad una maggiore comprensione per accogliere i
bisogni e i sentimenti degli altri senza pregiudizi, ma con empatia. È
un processo semplice, ma non facile. Sicuramente una sfida con noi
stessi, con i nostri condizionamenti culturali e le etichette che siamo
abituati ad incollare sugli altri. In sintesi, secondo me, la rabbia
può rappresentare un momento di crescita, ma spesso nasce dall’esigenza
di difendere il proprio territorio, sia materiale che mentale, un
territorio dove non vogliamo fare entrare nessuno. Ma al tempo stesso è
una richiesta di aiuto e comprensione. Tutti gli operatori che si
occupano di terze persone, quali bambini, malati, anziani, dovrebbero
sempre riuscire ad entrare in empatia di fronte a comportamenti
rabbiosi, ma anche tutti noi possiamo esercitarci a comprendere la
nostra e l’altrui rabbia quando siamo alla guida o in fila al
supermercato o dal medico.
Concludo riportando una frase di Aristotele: “Tutti sono in grado di
arrabbiarsi, è facile… ma arrabbiarsi con la persona giusta, con la
giusta intensità, nel modo giusto, nel momento giusto e per un giusto
motivo, non è nella facoltà di tutti e non è un compito facile”. E
desidero ricordare l’insegnamento del filosofo indiano Osho Rajneesh e
cioè quanto sia meraviglioso far sentire l'altro rispettato, non
umiliato, non distrutto, ma sostenuto. Perché l'amore e la comprensione
per gli altri ci fa sentire nutriti, liberi e ci scalda l'anima in
profondità.
|
|
L’IRA PUÒ ESSERE POSITIVA?
Francesca
L'ira o rabbia è una forma di reazione
e/o risposta da parte di una persona a situazioni sfavorevoli. In
psicologia, si parla per lo più di ira e sono riconosciute tre
tipologie: la prima è denominata ‘rabbia frettolosa ed improvvisa’ e si
collega all'istinto di difesa o autoconservazione da parte dell’uomo e
dell’animale. Si manifesta in caso di pericolo quando il soggetto si
ritiene tormentato o intrappolato. La seconda forma, chiamata ‘rabbia
costante e deliberata’, è una reazione alla sensazione di subire un
trattamento ingiusto, o un danno da altri soggetti. Come la prima
forma, anche questa è episodica. La terza forma è invece legata più a
tratti caratteriali. Si parla di irritabilità, villania e scontrosità.
L’ira è in grado di mobilitare risorse psicologiche positive, che
correggono dei comportamenti sbagliati, ed è l’espressione di
sentimenti negativi sulle controversie da risolvere. D’altro canto
l’ira può rivelarsi ‘distruttiva’, quando non trova un adeguato sbocco
di espressione; una persona irata può infatti perdere oggettività,
empatia, prudenza e senso di riflessione e causare danni ad altre
persone o cose. L’ira si può manifestare con l’aggressività fisica e
verbale. Sono due cose distinte, anche se possono influenzarsi a
vicenda. Quando la rabbia è eccessiva e non giustificata da eventi
contingenti diventa cronica, cioè patologica.
La rabbia è una pulsione, un sentimento che ha un’energia in sé
incredibile, che porta a sfondare qualsiasi muro, perché è vitale e ti
dà la forza per combattere tutto.
La rabbia non espressa porta a un senso di frustrazione, di fronte al
quale o ti arrendi e anneghi nella negatività o reagisci con quella
dose di energia che ti fa affrontare la vita con la giusta forza. Si
tratta di quantità: una rabbia eccessiva ti preclude la possibilità di
vivere bene, perché può paralizzare, inquinando e di conseguenza
peggiorando il rapporto col mondo, con la vita in genere e con la
gente, perché allontana da tutto e isola, dato che la gente ha paura
delle persone troppo rabbiose che diventano aggressive. Mentre la
rabbia incanalata bene è quella che ti apre tutte le porte andando
nella direzione giusta per affrontare le situazioni frustranti con
maggiore equilibrio.
Si tratta di ‘trasformare’ le emozioni negative, co-me insegnano tutte
le tradizioni volte alla reale evoluzione interiore dell'uomo.
Il rancore è la rabbia repressa, non espressa. Utilizzare positivamente
il rancore mi sembra difficile, dato che a mio avviso accumulare rabbia
creando rancore fa appesantire ulteriormente l'energia, che diventa
inservibile per i nostri centri energetici, o ancora peggio potrebbe
invertire la tendenza a metabolizzare l’energia, il che porterebbe a
un’involuzione.
Diversi sono i motivi che portano ad avere un senso di frustrazione, ad
esempio le ingiustizie subite di ogni genere, o gli ostacoli che si
sono frapposti fra noi e i nostri obiettivi non raggiunti e che perciò
ci portano a sentirci impotenti e frustrati, quindi pieni di rabbia.
Probabilmente con un po’ di impegno si riesce a incanalare la rabbia,
trasformandola in energia, cioè si può usare questa forte emozione per
motivarsi in quello che si fa, nel perseguire un obiettivo. Chi sa ben
sfruttare rabbia, ira e odio può farsi pervadere da una forza
superiore. E siccome siamo umani, cerchiamo di sfruttare i nostri
sentimenti.
Un’osservazione: aggiungerei che Dio repelle, oltre all'odio, la
vuotezza che sempre di più sta prendendo piede all'interno dell'animo
dei nostri contemporanei, che si impadronisce di loro quando non sono
in grado di sentire più nulla, vessati dalle continue tragedie e
messaggi di odio. Potrebbe essere uno spunto di riflessione
interessante, almeno la rabbia e l'odio sono reazioni. L'impassibilità
e l'indifferenza di fronte a tutto non lo sono.
|
|
|
|
SENTIMENTO INGESTIBILE?
Paolo Majerù
La rabbia, un sentimento molte volte
ingestibile. È molto difficile da governare quando ti prende, e spesso
ci si mette nei guai per una sola parola detta per rabbia. Non è facile
riuscire a prevenirla, ma se ci si riesce è un dono molto grande. Ci si
può arrabbiare anche per niente, se si è già collerici per altri
motivi. Il trucco sta proprio nel mantenere la calma il più possibile
(cosa molto difficile). Purtroppo la vita oggi non è rose e fiori per
nessuno. Ci si arrabbia facilmente per un nonnulla, perché siamo sempre
sotto stress e sempre di corsa. Per un sorpasso in auto o per un
parcheggio o per cose molto banali, che si potrebbero gestire se solo
si contasse fino a dieci prima di rispondere a qualcosa che non ci va
bene, senza cadere nella rabbia. La rabbia fa male anche ai nostri
organi funzionali come fegato, stomaco eccetera. In poche parole,
conviene non arrabbiarsi per essere sempre in forma e sentirsi bene con
sé stessi e con gli altri. Per questo, come dice Renzi, ‘stiamo
sereni’, che è meglio.
|
|
LA RABBIA: ALCUNI CONSIGLI PER L’USO E NON SOLO
Mariangela
La rabbia è un’emozione che proviamo
intensamente dentro di noi, si manifesta in tutti, grandi e piccini,
per questo comprendiamo che è un’emozione innata.
Quando sentiamo rabbia vuol dire che sta succedendo qualcosa nel nostro
sistema nervoso e in tutto il nostro corpo si possono manifestare
variazioni fisiologiche come accelerazione del battito cardiaco,
aumento dell’afflusso del sangue nella periferia del corpo, maggiore
tensione muscolare ed ipersudorazione.
La rabbia può avere picchi in eccesso che definiamo ‘collera’,
‘esasperazione’, ‘furore’ ed ‘ira’; oppure di intensità minore che
chiamiamo ‘irritazione’, ‘fastidio’, ‘impazienza’. In ogni caso si
tratta di una risposta emotiva forte che, generalmente, si protrae per
brevi momenti. In casi estremi si esprime con comportamenti come
rompere oggetti, guidare l’auto velocemente, ma il più delle volte si
manifesta verbalmente con l’alterazione della voce, che diventa intensa
o minacciosa, ma poiché è una emozione che ci sfugge a volte sentiamo
di non poterla controllare!
Numerosi sono i motivi per cui è possibile perdere la calma, per
esempio quando consideriamo una persona responsabile di averci fatto un
torto o procurato un danno, oppure ci arrabbiamo con persone a cui
siamo legati, come genitori, figli e coniuge, in quanto proprio da loro
ci aspettiamo di essere capiti e ascoltati, ma questo non si verifica
sempre! Altre volte dirigiamo la rabbia contro noi stessi, ciò accade
quando questa emozione si attiva a causa di una situazione e non di una
persona, ma nemmeno la rabbia contro noi stessi ci libera da essa, anzi
ci fa sentire peggio!
Pur essendo consapevoli che la rabbia è un’emozione innata, è utile
imparare a gestirla, ma come farlo? Coloro che ambiscono ad una buona
salute mentale hanno il dovere di imparare ad affrontare i loro
attacchi di rabbia, lo scopo non è quello di imporsi di non arrabbiarsi
mai, sarebbe impossibile, quanto piuttosto quello di cercare di
sviluppare delle strategie per esprimere la rabbia nella maniera più
costruttiva possibile.
Ecco alcune strategie per affrontare in modo produttivo la propria rabbia!
1) Contare fino a dieci...
E anche di più, se necessario, e attendere alcuni istanti prima di iniziare a dire e a fare qualsiasi cosa.
2) Non offendere...
Talvolta possiamo ferire offendendo coloro che ci circondano nei
mo-menti in cui la rabbia ci assale, in questi casi si deve fare lo
sforzo di trattenersi: utilizzare toni vio-lenti non solo non è d’aiuto
per nessuno, ma aumenta la tensione danneggiando i nostri rapporti con
persone che amiamo o che si preoccupano di noi.
3) Concedersi un periodo di riflessione...
Staccare completamente la spina per alcune ore riducendo al mi-nimo
ogni stimolazione esterna, rifugiandosi in un ambiente tranquillo,
abbassare la luce e provare ad ascoltare un po’ di musica rilassante.
4) Fare esercizio fisico...
Sono sufficienti trenta minuti per tre volte la settimana, è
scientificamente provato che il movimento aiuta a dosare al meglio lo
stress e ad affrontare con più lucidità le situazioni più complicate.
5) Non arrabbiarsi quando abbiamo fretta...
Non avere il tempo sufficiente per valutare la gravità di una situazione può scatenare rabbia immotivata.
6) Cercare di non portarsi dietro la rabbia quando si va a dormire...
Significativa è questa citazione: “Il sole non tramonti sul vostro
stato di irritazione”. Benché non sia una prescrizione scientifica ma
soltanto evangelica credo sia un ottimo consiglio. Una verità è che la
rabbia interferisce seriamente sul nostro sonno, la nostra mente
continua a lavorare senza sosta e l’adrenalina ancora in circolo può
causare insonnia.
7) Giocare d’anticipo...
Quando certe situazioni non pos-sono essere evitate e si sa già che si
andrà incontro a un momento di tensione è bene prepararsi decidendo già
come gestire la situazione, questo esercizio può aiutare a vivere un
momento difficile in maniera più lucida. Il controllo di questa forte
emozione inoltre ci consente di continuare a mantenere una buona
relazione con gli altri, siano essi familiari o amici.
|
|
CANE ARRABBIATO OGNI TANTO - MEMORIAL
Augusto Mocella
Altri hanno trattato il tema della
rabbia dal punto di vista filologico, cioè approfondendo la parola
nella sua origine, sviluppo e articolazioni. Io cercherò invece di
riflettere nel mio vissuto, in quali periodi sono stato più dominato da
tale sentimento. Premetto che sono un tipo fondamentalmente pacifico.
Ripensando tuttavia a periodi della mia vita, ho indi-viduato due
stagioni. Una in cui, dopo l’elezione di Kennedy e la superata crisi
dei missili a Cuba, il mondo, almeno quello occidentale, sembrava
essersi rappacificato. In quel momento avevamo tre campioni di
pacifismo: a ovest Kennedy, a est Chruščëv e a Roma Papa Giovanni
XXIII. Il mondo sembrava incamminarsi per la pace mondiale, c’era solo
da proseguire il cammino. Questa era l’estate del 1963, poi il 22
novembre di quell’anno, quasi in diretta in televisione Kennedy fu
ucciso. Chruščëv, nonostante avesse avviato la destalinizzazione e
aperto il dialogo con l’occidente, proponendo la ‘coesistenza
competitiva’, fu deposto nel 1964. Le due potenze si accordarono per
evitare almeno gli esperimenti atomici nell’atmosfera, poi in quel
clima si lanciano nella gara per l’esplorazione dello spazio. Anche
nella Chiesa Giovanni XXIII diede solo inizio al concilio, che quando
finì sembrava già burocratizzato, ma morì poco dopo.
Ma la rabbia, dove sta? Sta che nonostante queste belle aspettative,
già nel 1967 il Medio Oriente ribolliva con la guerra dei sei giorni di
Israele e poi ci si accorgeva che era iniziata la guerra nel Vietnam.
Intanto nessuno, nemmeno i partiti più attenti al popolo riuscivano a
capire la rabbia giovanile. Già in America i vari Bob Dylan e Kerouac,
della beat generation, erano fermati dalla polizia per dei sit-in
contro la guerra. Come pure i campus universitari erano schierati
contro la guerra in Vietnam e la leva obbligatoria. Questi movimenti
accesero la miccia e nell’anno successivo, il 1968, scoppiò il maggio
francese. In Europa era una ribellione inizialmente pacifica contro la
guerra e in ambito universitario contro la distanza fra studenti e
cattedratici, detti ‘baroni’… La mia rabbia di riformista-progressista
fu anche poi contro il terrorismo, perché una generazione andava in
fumo così, con la violenza, mentre se tali energie fossero state
incanalate per degli obiettivi più realizzabili avrebbero potuto dare
molti frutti. Vi era molta incomprensione e poca comunicazione fra
padri e figli. Purtroppo è andata così. Un altro periodo di rabbia, ma
ero già padre a mia volta, è stato intorno alla fine del secolo e
l’inizio del nuovo millennio. Anche la cosiddetta ‘globalizzazione’ mi
ha fatto venire della rabbia, come tutte “le magnifiche sorti e
progressive”, cantate già da Leopardi ne La ginestra. Dal 1989, caduta
del muro di Berlino, fino al 2000, per circa un decennio abbiamo
sentito i cantori della globalizzazione, ma dalla divisione del mondo
fra est/ovest, contro i laudatori del pensiero unico, si è pervenuti
alla divisione nord/sud. La rabbia sta in questo, che non si può andare
avanti verso il cosiddetto progresso a occhi chiusi o mettendo la testa
sotto la sabbia come fanno gli struzzi. Il progresso va e viene. Ce lo
dicono le storie delle civiltà. Ora anche quella araba è calata ancora
nel suo medioevo. È necessaria una grande accortezza e lungimiranza
nell’affrontare i cambiamenti, per non pentirsene poi successivamente.
Ora la rabbia può venire anche per come è stato fatto crescere nel
tempo il terrorismo di matrice islamista. Chissà quante di queste
rabbie ci verranno ancora… A prescindere da papa Francesco… che non sia
la nostra unica speranza!
|
|
RABBIA RELIGIOSA (PARAFRASANDO ISAIA)
Augusto Mocella
Quando o Signore permetterai finalmente che
le lance e le spade diventino aratri?
Quando o Signore permetterai che il lupo
E l’agnello pascolino insieme sul prato?
Quando il leone mangerà la paglia come un bue
e il serpente si nutrirà di terra?
Quando o Signore creerai cieli nuovi e terra nuova?
|
|
|
|
|
|
LA SOCIETÀ MI FA VOMITARE
Darietto
Molto probabilmente una lattina è
pesantissima, perché buttarla nel cestino educatamente sembra una
missione impossibile, come pure le cicche di sigarette (che quando
vengono spente, peseranno delle tonnellate, perché a raccoglierle,
manco per sogno!!!), le buste della spesa, le brochure delle pubblicità
che mettono in buchetta e finiscono stese per terra come se fosse il
marciapiede a leggerne i contenuti, e tantissimo altro materiale. Sono
poche le persone gentili che ci stanno attente, i più hanno un elevato
grado di egoismo e menefreghismo. Ci sono oltretutto persone nei
livelli alti che dovrebbero pensare all’ambiente, ma pensano solo ai
soldi o chi sa a quale altro malvagio pensiero, come l’installazione di
pannelli solari.
Non solo. Ci sono comportamenti che danno un tal fastidio, che dentro
di me, la rabbia si accumula, come fa il magma dentro un vulcano e,
prima o poi, esploderà contro la prima persona che me la fa grossa. La
cosa più grave è nei comportamenti recenti delle ragazze, che si dice
che siano come dei fiori, ma altro che fiori!!! Le vedo come rovi, con
spine aguzze, estremamente appuntite, pronte ad attaccarti con le loro
risatine del c#22o o proprio con le loro lingue biforcute come quelle
dei serpenti. Quest’anno, sono stato colpito da un articolo di giornale
in cui si parlava dell’arresto della baby gang di Piazza Spadolini: chi
erano i capi? Ben tre ragazze! Sono come fiori? Non credo proprio. Il
modo in cui sono stato aggredito dimostra proprio la violenza e la
distruzione del lato femminile, cosa davvero inaspettata da parte di
femmine, diventate bulle.
A parte tutto questo, comunque, il mondo dall’anno 2000 è molto
cambiato ed in modo molto negativo. La TV è più scadente, l’euro ci è
stato imposto senza democrazia, la politica è peggiorata, con grave
conseguenza per l’economia e l’occupazione (quante menzogne
s’inventano, pur di conservare la poltrona attaccata al cμδo; i
cittadini non vengono nemmeno ascoltati e questa la chiamano
democrazia!!!), i rapporti sociali sono in gravissimo declino, la gente
‘comunica’ solo con quel c#22o di Facebook (che io chiamo 'Fakebook', cioè libro falso, dalle c#22ate che vengono scritte e dai tanti account fasulli che contiene), Twitter e molti altri social network: questo mi fa venire, oltre ad una rabbia incontenibile, uno schifo totale!!!
Vedo una rabbia potente ma anche una sorta di stanchezza morale negli
Italiani, tanto che i valori, tra cui l’amore e l’amicizia, vengono
spazzati via in favore della violenza e del menefreghismo.
Mi sono fatto una teoria, denominata ‘I campi del deserto’. Mi spiego meglio. Guarda meglio il seguente riquadro:
Fai conto che siamo prima del 2000: tutti i campi sono verdi,
rigogliosi e i proprietari sono persone altruiste e, oltre a curare il
proprio campo, si prestano per far sì che gli altri campi rimangano
verdi e rigogliosi. Ora guarda il prossimo riquadro in cui arriva
l’euro e siamo dopo il 2000:
Ogni campo è chiuso dall’egoismo e dal menefreghismo, ognuno pensa per
sé e se qualche campo muore a nessuno gliene frega un c#22o. Se
qualcuno, ad esempio, si suicida perché non ha più un lavoro, può
rattristare, sì, ma per poter cambiare lo stato delle cose, la gente
non si impegna… SÌ, SÌ!!! È decisamente più importante andare allo
stadio o ai concerti che manifestare, anche se ci si vede sottrarre il
lavoro e un sacco di diritti, e i negozi chiudono!!! Dai, tutti quanti
sul pulmino allo stadio o a un concerto!!! Dai, ma chi se ne frega se
ci hanno tolto, ad esempio, l’articolo 18 sul lavoro e ci possono
licenziare quando vogliono, no? E che dire della rabbia dei soldi che,
a mio parere, bloccano molto il potenziale dell’uomo? C’è chi ha troppo
e chi ha pochissimo e questo sbilanciamento è estremamente grave,
bloccando l’economia e portando ad un crollo sempre più certo della
libertà di commercio (vedi i negozi che ultimamente rimangono aperti
solo per poco tempo, poi chiudono).
Inoltre, lo Stato è stato ‘commissariato’ da quattro governi non eletti
(mentre saremmo dovuti andare a votare già dopo Monti; questo mi manda,
non in rabbia ma peggio: IN BESTIA!!! Perché insistono a dire che c’è
la democrazia, ma a mio parere, siamo sotto una partitocrazia, la quale
è solo una dittatura a tutti gli effetti). E continuano ad alternarsi
destra e sinistra… si sono visti i risultati… Arriva una nuova forza
politica: perché non provarla? Mi viene da dire che la gente è stupida,
continuerà a votare i dinosauri con le loro m&£%e: si vede che gli
piace che l’Italia venga governata da personaggetti inetti.
Le istituzioni pubbliche, poi, non fanno nulla per la protezione
dell’ambiente. Sul giornale ho letto che ci tengono alla lotta contro
il degrado, invece noto che l’immondizia dai parchi e dalla strada
rimane invariata; sono pochi gli spazzini che vedo ripulire: qui
qualcosa non quadra e mi viene il dubbio che ci sia un veleno che
scorre dall’alta alla bassa politica… Inoltre, alla faccia della
democrazia, i cittadini sono invisibili: come hanno fatto col T-Day di
sabato, domenica e nei giorni festivi, imposto senza chiedere a nessuno
(democraticamente) se metterlo o no, a danno di anziani, invalidi e
persone come me, che fanno fatica a camminare e hanno bisogno dei bus
per raggiungere il centro: che rabbia, ma che rabbia, porca paletta!!!
A Bologna un assessore ha deciso che i pedoni devono bere la Red Bull
per mettere le ali (risata: aaahhhhhaaaaahhh aahaaaaaaaaahhhhhaaaahhhh
aaaaahhhhhaaahhhh aaaaahhhaaahhaaa!!!!!!!!!!), a favore delle
biciclette: solo loro devono comandare sul marciapiede (a questo punto,
bisognerà chiamarlo ‘marciaruote’, non credi? risata: aahaaaaahhh
aaaaaaahhhh aaaaaaahh aaaaahhhh!!!!!!!!!!). In via Zanolini, ad
esempio, i pedoni devono infatti bere la Red Bull (che ti mette le ali;
risata: aaaaaaaaahhhhhh aaaaaaahhhh aaaahhaaaaahhhh
aaaahhaaaa!!!!!!!!!!) per volare nelle isole che hanno segnalato per
terra, mentre le biciclette possono tranquillamente sfrecciare su e giù
per il marciaruote… Oh Santo Cielo, aiutaci tu per favore; fai venire
un miracolo, altrimenti qui non sappiamo più come fare, con questa
gentaglia inutile ed incapace!!!
Lascio questo argomento per dire poi che, in teoria, dovremmo essere
noi giovani il futuro, ma a vedere la continua e imperterrita
‘invasione barbarica moderna’, ormai gli Italiani saranno solo un
ricordo e questo mi manda, non in rabbia, peggio: IN BESTIA!!! La mia
amica Miriam mi ha mandato una foto che dimostra come l’accoglienza sia
impossibile, dato il grande afflusso: è sufficiente osservare le
superfici dell’Italia e dell’Africa, come puoi vedere benissimo nella
figura seguente:
A parte i numeri che parlano chiaro, si capisce ormai che non è più
questione di cultura e di integrazione; gli immigrati e gli
extracomunitari saranno utili e rimpiazzeranno… ma, non voglio entrare
nell’argomento se no sembro razzista e non voglio… dico solo: POVERA
ITALIA, diventerà ITAFRICA!!!
Una volta, su un cartello, ho letto: “Viva la vita”, ma francamente se
debbo mettere in vita un figlio dico: “NO GRAZIE!!!”. Tempo fa, ho
pensato persino di suicidarmi, mi sentivo inutile, mi sentivo solo un
grave peso sui miei genitori, in quanto si vive di stenti: questo mi
manda IN BESTIA!!!
Un’altra cosa che mi fa rabbia, è la falsa amicizia. Ci sono certe
persone che dicono che gli manco, poi non mi chiamano e, peggio ancora,
non si esce insieme: se lo si fa, ci si vede quando c’è qualche
festicciola o una gita… Quindi a ogni morte di papa: questa non è
amicizia!!! La vera amicizia è quando ci si chiama reciprocamente, ci
si può parlare civilmente, con rispetto e senza vincoli, ci si può
passare dei segreti, si esce insieme spesso e con voglia di vedersi
(con affetto, con un abbraccio) e ci si aiuta: questa è la vera
amicizia, come lo sono, per me, Alessio, Massy, il mio dolce zietto
Francesco e, di recente, Maicon. Un affetto speciale lo voglio dedicare
alla mia amica Francesca Zucconi, che mi ha aiutato tantissimo in
questo periodo in cui ero pieno di rabbia, facendomi come da psicologa
privata e, come nella pubblicità del Lindor dove si vede il cioccolato
che scivola dentro un cioccolatino rotondo, lei mi ha insegnato a farmi
scivolare la rabbia dentro quel cioccolatino e lasciarla perdere
perché, come dice (credo) un proverbio, arrabbiandosi si fanno due
fatiche, quella di incazzarsi e poi quella di scazzarzi (risata:
aaaaahhh aaaaaaahhhh aaaaaaaahhhh aaahhaaaa
aaaaaaahahhhaaahhaaa!!!!!!!!!!).
|
|
DAZZENGER
Darietto
● Siamo
in un negozio di accessori per bici e moto. Un ragazzo inciampa e urla:
“Casco!” e il commesso: “Da ciclista o da motociclista?”
● Sapete dove si comprano i n-astri? In n-cielo…
● È sera e comincia a far buio. C’è una festa e un signore, per
aiutare, sta cercando un modo di illuminare le lampadine e chiede:
“Dove posso collegare questo cavo di prolunga per accendere le
lampadine?”. Un altro risponde: “Io ho trovato una spina… ma di rosa!”
● Mistero del cibo: Il mine-strone, è esplosivo?
● Sapete cos’è un romanzo? È un racconto scritto a Roma da un manzo.
● Data la crisi economica di 2000 anni fa, Maria fu 'assunta' in cielo? (ringrazio Giovanni Romagnani)
● Sapete cos’è la circonferenza? Una conferenza in un circo (ringrazio Luigi Zen)
● Ci sono due amici che si incontrano. Il primo: “Ehi… Ho saputo che ti
piace Enza”. E l’altro: “No, a Piacenza preferisco Bologna! “.
● Un signore si è perso e, incrociando un altro signore, tutto
disperato gli chiede: “Mi scusi, sto cercando una piantina… Dove posso
comprarne una?”. E l’altro: “Dal fioraio, qui all’angolo…”.
● Sapete cos'è un'amarena? Un'arena molto amata.
|
|
SE MI ARRABBIO VEDI!!!
Concy
L
a rabbia è un tema particolarmente sentito dalla sottoscritta: negli
anni è stato necessario un lavoro lungo e faticoso su me stessa,
affinché gli accessi rabbiosi non fossero troppo distruttivi e
demolitivi nei confronti dei destinatari di questo mio sentimento. Il
percorso ha avuto come scopo principale il raggiungimento di un
importante obiettivo: riuscire a non farsi possedere dalla rabbia, ma
essere in grado di possederla e gestirla. Come già ho avuto modo di
scrivere in passato, avendo avuto una mamma piuttosto autoritaria e
normativa, sin da piccola, pur di non incorrere in sgridate o
punizioni, avevo convenuto con me stessa, che la cosa migliore fosse
quella di osservare alla lettera le regole vigenti, in famiglia e negli
altri contesti di vita. Tradotto in soldoni: ‘dire sempre di sì’. Il
vantaggio è che così tutto è molto più semplice, perché dire dei no
comporta di dare motivazioni e spiegazioni. Col passar del tempo,
questa strategia si è rivelata dannosa nell’ambito delle mie relazioni
interpersonali: chinare la testa senza riuscire ad esprimere il mio
punto di vista e le mie ragioni si è tradotto in un sistematico mandar
giù ‘rospi’ sempre più grandi, agevolando l’insorgenza ed il
potenziamento di aspetti negativi quali insicurezza, frustrazione,
insoddisfazione e rinuncia. Poiché è acclarato che ogni contenitore ha
una determinata capacità, se il contenuto supera il volume del
contenitore, fuoriesce, trabocca. Trasferendo questa immagine
all’esperienza personale, quando i rospi ingoiati erano diventati
veramente troppi... BOOOOOM! Esplodevo…
Fino a qualche anno fa, accadeva che di fronte all’ennesima
prevaricazione, ingiustizia, imposizione di qualcosa da me non
condivisa, le mie reazioni rabbiose raggiungevano magnitudo talmente
elevate da far spavento, non solo agli interlocutori ma anche e
soprattutto a me stessa. Riflettendo e analizzando i costi e i benefici
di questo mio funzionamento, ho deciso di adottare la seguente
soluzione: esternare e verbalizzare, di volta in volta, il punto di
vista, il disaccordo e le insoddisfazioni personali, consentendo in
questo modo alla rabbia di fuoriuscire a dosi accettabili. Una pentola
a pressione difficilmente esploderà se la valvola di sicurezza
funzionante lascerà fuoriuscire pian piano il vapore formatosi.
|
|
QUANDO HO LA LUNA STORTA
Tina Gualandi
È tutta colpa della luna.
Quando si avvicina troppo
alla terra, fa impazzire tutti!
W. Shakespeare
uando
ho la luna storta (o mi alzo col piede sbagliato) non sopporto nulla e
nessuno. Chi mi ha vista in quei giorni mi ha detto che sono
indimenticabile (in tutti i sensi).
Generalmente mi alzavo con la luna storta quando ero indisposta, circa
una volta al mese, e non sapevo come vestirmi, non sopportavo le
persone che parlavano a voce alta in autobus, i colleghi che parlavano
di cazzate e – nel periodo in cui insegnavo – tutti o quasi i miei
studenti ‘pierini’.
Nei cinque anni in cui ho lavorato in Procura, dovevo combattere con la
luna storta del mio magistrato. In quei giorni lei era tremenda, non
sopportava niente e nessuno e se era molto incazzata arrivava a
digrignare i denti. Durante una di queste ‘belle giornatine’ le ho
sbattuto la porta sul muso e le ho detto che non si doveva permettere
di trattarmi come il suo zerbino personale. Per un giorno intero ci
siamo evitate come se lei e io avessimo la peste. Il giorno dopo
eravamo amiche come prima, ma nessuna delle due ha mai ricordato e
parlato di quanto era successo.
|
|
“CESARE, STAI CALMO!”
Cesare Riitano
esare,
stai calmo!”. Quante volte mi sono sentito dire da solerti energumeni
in camice bianco questo esplicito invito alla resa senza condizioni! Mi
sembra di rivedermi: accecato dall’alcol, con la voce rauca dopo la
millesima Marlboro, livido in volto per una rabbia impotente e suicida;
e poi sbraitante, furioso, allucinato, rissoso e titanicamente
proiettato contro nemici invisibili, resi invincibili dalla mia
inadeguata indole antagonista, ribelle, egocentrica… Stai calmo Cesare,
stai calmo… continuavo a ripetermi legato ai ceppi, senza trovare
consolazione. Un giorno, riacquistato parzialmente il senno, andai in
biblioteca; qui, scansando gli sguardi terrorizzati degli studenti
universitari, incrociai, nel reparto dei classici greci, un testo di
uno strano filosofo presocratico: Eraclito. Dopo aver scartabellato
annoiatamente per qualche secondo il tomo, il mio occhio si fermò su
una sacrilega, ma salvifica sottolineatura tracciata da un precedente
lettore, la quale, colpendomi direttamente al cervello, rimarcava
l’importanza capitale del pensiero del Filosofo di Efeso. “Il conflitto
è vita - diceva il testo - guai se una parte dovesse prevalere
sull’altra, sarebbe la fine, la morte”. Ricordo che, scioccato, mi
guardai intorno, sbalordito di quanto quelle poche righe disegnassero
perfettamente il profilo della mia sempre tesa proiezione verso il
mondo e gli altri. “Dunque – pensai - se combattere, lottare, essere
sempre in perenne conflitto è vita, allora io sono vivo! E la mia
rabbia – riflettei - è frutto di una naturale e giustificata guerra
interiore che ti spinge verso la bellezza del domani! Devo solo
adottare un piccolo accorgimento – proseguii, assorto come se fossi
stato trafitto dallo Spirito Santo - devo spostare, sublimare,
scaricare, sì, tutta la mia furente pulsione distruttiva e
autolesionistica verso qualcosa, qualcosa di bello, utile,
gratificante!”. Come scrivere quest’articolo per esempio! Spero vi sia
piaciuto.
|
|
|
|
VORREI STARE BENE
Simone
uanto
è importante credere di poter arrivare a una risoluzione del ‘disturbo
di personalità’? Da quello che ho capito è un brutto, brutto argomento
di cui parlare, ma riuscire ad uscirne sarebbe giusto. Sarebbe bello
avere meno ansia e non essere preda del panico. Sarebbe importante
riuscire a star meglio, prendendo medicine, per un ciclo, contro una
psicosi che galoppa, ed è stata curata finora con modesti risultati,
già. Riuscire ad adattarsi, rallentando il passo e cercare di non fare
mai troppo, forte!
D’altronde si deve pur mangiare.
Vorrei stare bene e avere una maggiore dignità. Una bella vita lavorativa, dove riuscire a tenere un’autonomia...
Nella vita è importante riuscire ad accontentarsi di quello che si ha, o di quello che si è.
|
|
QUALCOSA DI POSITIVO
Paula Mencarelli
S
ono affetta dal disturbo bipolare da più di vent’anni e in questo lungo
arco di tempo la rabbia che avevo dentro, per una serie di eventi
sfortunati, ha rappresentato un vero problema. Accadeva spesso che
agivo la mia rabbia proprio con le persone che amavo di più: mio
marito, i miei figli, i miei genitori, i miei fratelli, i miei suoceri.
Non riuscivo a gestirla. Questo sdegno, questa grande irritazione per
le cose del mondo, mi rendeva difficile la comunicazione con gli altri.
Non riuscivo a godere della vita e pensavo che il mondo intero ce
l’avesse con me. Il costante lavoro della dottoressa Caterina Bruschi e
delle ‘mie’ infermiere Giorgia e Lucia, mi ha insegnato a gestire la
mia rabbia e di conseguenza la mia malattia. La consapevolezza di tutto
questo è stato il primo passo per capirmi e ascoltarmi. Così è passata
anche la paura della mia rabbia. Ho accettato che avevo, sì, il diritto
di arrabbiarmi, ma non di ferire le persone che amavo; perché la rabbia
è un sentimento che ci permette anche di crescere, sempre però se
riusciamo a gestirla. Per questo è importante un continuo lavoro su sé
stessi, per cercare di incanalare la rabbia in qualcosa di positivo,
come può essere la pittura e l’arte in genere, o semplicemente la
lettura, lo sport, l’arte di cucinare, passeggiare... ciò che insomma
ci fa bene!
Da circa due anni faccio parte del Collettivo Artisti Irregolari, nato nel 2014 grazie all’appoggio del Comitato Nobel Disabili
di Jacopo Fo e al patrocinio dell’azienda AUSL di Bologna. Noi del
Collettivo abbiamo tutti qualcosa in comune: l’interesse per l’arte, se
si può definire tale, o comunque l’interesse di esprimere con la
pittura ciò che siamo. Credo che per me la pittura rappresenti la
libertà di essere quella che sono, giusto o sbagliato che sia; la mia
forza è proprio ciò che sono, con il mio disturbo bipolare, le voci che
sento, i miei errori e i farmaci a cui sono legata. Quando pitturo il
tempo non mi fa più paura, i fallimenti svaniscono, non mi appartengono
più, disegno, pasticcio con le dita… esprimendo il mio dolore, la mia
rabbia, ma soprattutto la mia grande voglia di vivere, e perché no,
anche la gioia. Mi sento speciale, unica… creatura splendida e
inaffidabile che si isola dal mondo reale per volare, e la pittura mi
permette di dare spazio alle mie ossessioni, alle mie paure e ai miei
desideri. Grazie alla galleria virtuale, all’appoggio del Comitato e
dei nostri educatori ci stiamo facendo conoscere e io spero che presto
raggiungeremo un grande obbiettivo: una sede ufficiale tutta per noi
con una mostra permanente del Collettivo Artisti Irregolari.
L’augurio che ci facciamo tutti noi è quello che il nostro bellissimo
gruppo continui a crescere, vada avanti e che questa meravigliosa
avventura del Collettivo Artisti Irregolari stimoli altri gruppi a fare altrettanto.
|
|
LETTERA ZEN SULL’ARRABBIARSI
Lu Zen pass
A
rrabbiarsi è da pensare dei cani arrabbiati.
All’uomo può capitare di sentire una tensione nervosa, il compito
difficile è gestire in modo buono la nostra tensione nervosa per non
fare del male a noi stessi e agli altri esseri viventi, come gli
animali e le piante, eccetera.
Se si diventa nervosi ci sono senz’altro delle cause o motivazioni,
comunque accade se si è persa la pace, la pazienza, la calma e così
via.
Solo quando la persona è sola può conoscere o toccare dei momenti di
pace, se sa rinunciare al proprio io e al proprio ego e fare così
meditazione, per scoprire solo la percezione del respiro.
Se invece si ha a che fare con altre persone, occorre sempre attivare
tanti accordi, come quelli degli strumenti musicali, altrimenti non si
suona della buona musica.
|
|
RABBIA E PAURA
Paolo Sanzani
Una volta di sfuggita incrociai il suo
sguardo, e la memoria ritornò a quei momenti in cui lui acconsentì al
mio T.S.O. Acconsentì senza sapere nulla di me, della mia vita dei miei
stati d’ animo, solo una veloce firma ‘burocratica’ stabilì che non ero
in grado di intendere e quindi dovevo essere rinchiuso da qualche
parte...
Rimase di stucco, sorpresa mista a sfida, nel sapere che probabilmente
lo psichiatra era stato troppo celere ad attivare il T.S.O… Mi fu
sostituito lo psichiatra. La ragione era: “Non si è prodigato troppo a
dialogare”… Ma così fu!!!...
Ammetto, non stavo troppo bene in quel periodo, ma credo e ne sono
convinto che spesso se ne abusi, di tale metodo (non per cattiveria, ma
per mancanza di tempo e soprattutto qualità del tempo da dedicare ai
pazienti).
…La paura trasuda dai tuoi gesti insicuri, dai tuoi occhi… È andata così!
Il rapporto con la psichiatria è stato un fallimento, quello psichiatra
ci è andato giù pesante con i T.S.O. Non ti ha ascoltato un attimo, un
momento in cui parlare di te… di tua madre, tuo padre. Che ne so dei
difficili rapporti interpersonali che non riesci ad avere. Menti e sai
di mentire, quando affermi che la terapia che hai interrotto
volontariamente ti ha portato a tale situazione… Si sarebbe potuto
ovviare con qualche colloquio in più, magari con la psicoterapia… Ma va
sempre così! Non hanno mai tempo di qualità da dedicarti… La
psichiatria non ha risposte.
...Lascio tracce del mio sentire… parole… parole se non decidi tu, decideranno gli altri per te!!!
CHE RABBIA! CHE RABBIA! CHE RABBIA!
Lucia
D
evo dire che una volta mi arrabbiavo più spesso, o meglio, mi
infervoravo verbalmente e alzavo i toni, soprattutto quando pensavo che
fossero calpestati i miei diritti. Ero polemica e combattiva anche se
si trattava semplicemente di discussioni ‘sui massimi sistemi’, perché
pensavo di difendere diritti universali e approfittavo della mia lingua
sciolta per cercare di metter nell’angolo gli interlocutori. Con l’età,
e con le ‘mazzate’, ci si smussa, si impara che il proprio punto di
vista è solo per l’appunto un punto di vista, da difendere, certo, ma
non da considerare sacro e immutabile. E si impara che conviene stare
un po’ più zitti, evitare di ‘saltar su’, per ascoltare e comprendere
gli altri prima di parlare. Ci si accorge finalmente, che è meglio
evitare lo scontro, non certo per viltà, ma perché non serve a
risolvere i problemi.
Cambiare atteggiamento mi ha sicuramente giovato: i miei rapporti in
genere sono sereni, non mi capita praticamente mai di inveire contro
qualcuno, né di ‘tirare piatti’ come dice il papa, né di andarmene
‘sbattendo l’uscio’ e se per caso qualcuno si agita non mi scompongo,
aspetto che passi la buriana senza serbar rancore. Le mie arrabbiature
di oggi, perciò, sono a freddo, praticamente corrispondono alle mie
tante frustrazioni. Vorrei che le cose andassero diversamente, ma… ho
dovuto imparare a prendere atto.
Però non ho rinunciato a combattere per le mie idee: lo faccio mettendo
‘le mani in pasta’, impegnandomi direttamente in ciò che mi sta a
cuore. E qui viene il riferimento al titolo di questo scritto. Che
rabbia, che rabbia, la storia del progetto ESP!!! È mai possibile che,
dopo esser riusciti a far andare a regime la retribuzione degli ESP
(c’è voluto un anno e mezzo per oliare l’organizzazione interna e per
espletare tutte le complesse pratiche burocratiche) ci fanno un decreto
che impedisce dall’oggi al domani di comprare i voucher?! E per giunta
lo pubblicano sulla Gazzetta Ufficiale in giornata!!!
Ma il governo si rende conto dell’enorme problema che ha creato alle
persone che contavano su quei poveri sudati soldini e a tutto il terzo
settore che utilizzava il sistema voucher per sostenere persone in
difficoltà?
E tutto ciò per puro calcolo di opportunità politica…
Che rabbia! Che rabbia! Che rabbia!
|
|
La giusta dose di rabbia
Gabriele Beghini
L
a rabbia è una reazione a uno stimolo. Nel relazionarci con gli altri o
con il mondo esterno ci troviamo esposti a una grande varietà di
sollecitazioni che possono produrre sensazioni negative. Sigmund Freud
nel corso del suo ampio studio sulle nevrosi ha spiegato che, nella
vita di ciascuno di noi, oggetti, parole ed eventi acquisiscono
particolare significato associati alle esperienze soprattutto
dell’infanzia. È così che un episodio può rappresentare uno stimolo che
rievoca ricordi sgraditi e scatena reazioni talvolta sproporzionate. Si
tratta quindi di reazioni soggettive, ogni individuo ha la propria
scala.
Si potrebbe fare un’indagine, un questionario con tante domande, ad
esempio: “Sei alla guida, fermo in fila, arriva il solito furbetto che
supera tutti da destra e tenta di rientrare stringendoti, quanta rabbia
in una scala da 1 a 10?”. Probabilmente qualcuno di noi nemmeno lo
nota, non si arrabbia, qualcun altro al contrario sente un
irrefrenabile bisogno di abbassare il finestrino e dirgli tutto quello
che pensa di lui…
Ma al di là della sfera individuale, genericamente che cosa ci fa
arrabbiare? Qualcuno che tenta di prendersi gioco di noi, un sopruso,
una prepotenza, un maltrattamento, una mancanza di rispetto, un
comportamento maleducato. Ci fa rabbia chi non sta alle regole, chi
vuole passare avanti, chi abusa del potere. Ma non ci si arrabbia
necessariamente con gli altri, può capitare di arrabbiarsi con sé
stessi: un’occasione persa, una decisione sbagliata, una risposta
affrettata, una gaffe. Oppure con il mondo intero: giornate negative,
tempo atmosferico avverso, contrattempi, fatalità. In generale le
reazioni possono essere esplicitate in vario modo, attraverso
delusione, sconforto, scatti di ira, imprecazioni, violenza. Oppure
nascoste dentro di noi. Nel primo caso siamo in presenza di uno sfogo
che potrebbe anche fare bene. Può bastare qualche urlo per sentirsi
meglio, talvolta è necessario, per far cessare un comportamento
sgradito o per superare un momento di sconforto. Se non si sfoga la
rabbia rimane dentro e causa malessere e perfino malattie
psicosomatiche.
Per quanto riguarda i rapporti sociali, normalmente fra persone adulte
e mature ci sono mille modi per comunicare e capirsi. Tanto che almeno
sul piano teorico non si dovrebbe mai giungere con i propri
comportamenti a scatenare reazioni di rabbia, o perlomeno chiarirsi con
modi educati prima che le situazioni degenerino. Ma di fatto le
casistiche sono estremamente variegate: rivalità, competizione,
concorrenza e interessi antitetici portano a posizioni di scontro. Si
usa dire: “Amico di tutti, amico di nessuno” a significare che prima o
poi è necessario schierarsi, prendere una posizione, crearsi alleati,
ma inevitabilmente anche nemici. Qualcuno sostiene che sopraggiungono i
nemici nel momento in cui contiamo qualcosa. Vogliamo parlare
dell’invidia? Non era ancora emersa in questa riflessione, ma ha un
ruolo chiave nelle relazioni umane. Se uno di noi raggiunge una
posizione di successo gli invidiosi prendono corpo e si scatenano.
All’invidioso fa rabbia il successo altrui e guarda caso all’invidiato
fanno rabbia gli invidiosi! Non è forse vero che ci fa rabbia qualcuno
che diffama, che cerca di sminuire il nostro valore o di infangare la
nostra immagine? Una posizione di successo ti espone. Per successo si
intende ciò che viene percepito dagli altri (in particolare
dall’invidioso, che è colui che ha tendenza distruttiva) e cioè
passione per ciò che fai, felicità, approccio positivo alla vita,
capacità, creatività, carisma. Divieni oggetto di provocazioni: è il
prezzo del successo stesso. In ogni caso gestire le provocazioni è
un’arte, per non cadere al livello del provocatore. Talvolta è meglio
non cogliere, altre volte saper reagire con energia e determinazione.
L’invidia è un brutto sentimento, parte dall’ammirazione ma poi
degenera, diventa voglia di distruggere, diventa rabbia. La trovo
talmente sgradevole che di tanto in tanto cerco di ripulire la mia
sfera di amicizie dagli invidiosi, semplicemente allontanandoli. Credo
fermamente che se un’amicizia diventa invidia vuol dire che oramai “è
andata a male”, non si ripara più. Abbiamo sbagliato qualcosa, o era
inevitabile? In ogni caso capire la causa non ne cambia l’effetto.
Ciascuno di noi costruisce la propria sfera di relazioni e in questo
modo diventa artefice del proprio destino. Secondo moderne teorie
l’universo sarebbe un immenso ologramma ove creiamo una nostra realtà o
una rappresentazione di essa. interagisce sul piano fisico ma anche
sociale, in cui ciascuno con la propria volontà o interagendo con la
volontà altrui modifica l’ologramma. Anche come ci proponiamo pare che
determini gli eventi. I nostri anziani hanno sempre detto: “Gente
allegra il ciel l’aiuta”, cioè… la fortuna sembra preferire chi è
allegro e ben disposto, mentre l’arrabbiato sembra quasi che si
auto-predisponga agli eventi negativi. Probabilmente la rabbia fa parte
di quell’ampio ventaglio di sentimenti primordiali che ci accompagnano
fin dall’infanzia. Con il sopraggiungere dell’età matura, con
l’educazione e l’esperienza impariamo a gestirla. Dovremmo forse
soffocare il sentimento di rabbia? Credo proprio di no, fa parte di
noi, del nostro quotidiano. Dominarla sì, soffocarla no. La rabbia va
vista come un segnale, un avvertimento. Sta a noi capirne la causa,
valutare l’entità del problema che l’ha generata e fronteggiarlo. È un
po’ come il dolore fisico, se non sentissimo dolore non ci accorgeremmo
delle ferite! Piccoli impulsi di rabbia accompagnano le nostre
giornate. Rabbia per una delusione, un rimpianto, per un’ingiustizia,
per qualcosa che non si trova, o per non riuscire a far qualcosa. Ecco,
proprio quest’ultima, la ‘rabbia di non riuscire a fare’, è un
sentimento particolare, da non sottovalutare e che merita qualche
riflessione. Contiene risvolti estremamente positivi, semplicemente
perché non necessariamente sfocia nello sconforto, ma al contrario può
rappresentare il giusto stimolo a impegnarsi di più. È una molla che si
carica dentro di noi, un amplificatore del nostro potenziale. Non è
forse vero che lo sportivo per arrivare a risultati eccellenti ci mette
la giusta dose di rabbia?
Finché c’è vita c’è… RABBIA
dott. Mariana Parera, psicologa e animatore sociale
L
a rabbia è un segnale di avvertimento che è bene non trascurare: ci
avvisa che qualcuno ci sta facendo del male, che i nostri diritti
vengono violati, che i nostri bisogni o desideri non sono adeguatamente
soddisfatti o, più semplicemente, che qualcosa non va”. Così inizia il
suo libro sul discorso della rabbia Harriet Lerner. Prenderò come
spunto questa definizione cercando di sviluppare l’argomento unitamente
alle mie osservazioni e alle testimonianze degli anziani con cui
lavoro. È mia intenzione illustrare in quale modo nelle strutture per
anziani l'animazione può contribuire a gestire l'emozione della rabbia.
Si noti che la parola ‘contribuire’ mette in rilievo l'idea di un
contributo che può dare l'animazione, in quanto inserita in un contesto
con altre aree (assistenziale, riabilitativa, medico-infermieristica,
coordinamento) che non sempre si integrano. La rabbia è evidentemente
un’emozione che si associa ad uno stato di disagio. Le fonti di disagio
possono essere originate da stimoli endogeni o esogeni. Ad esempio un
ricordo può modificare uno stato d’animo in bene o in male. Oppure
un’esperienza della giornata può migliorare o peggiorare il nostro
umore. Questo capita a tutti noi. La persona che arriva alle strutture
per anziani non autosufficienti deve affrontare una realtà molto
difficile da assimilare dal momento in cui non ha più la capacità di
gestirsi da sola e ha dovuto allontanarsi dalla propria abitazione.
Entra in un mondo dove la vita è di tipo comunitario, perde il contatto
con le cose materiali che le appartengono, stravolgendo anche la sua
vita di relazioni. Si pensi alle coppie in cui soltanto uno dei due si
trasferisce per ricevere le cure necessarie. Indubbiamente il
cambiamento colpisce anche la famiglia e non solamente il soggetto
ricoverato. Per ciò si sente parlare dell’attenzione rivolta ai care giver,
che sono coloro che seguono, coinvolti affettivamente, la persona in
difficoltà, in questo caso l’anziano. Solitamente si tratta dei
parenti. Un buon servizio assistenziale non perde mai di vista il
disagio che provano anche costoro e opera conseguentemente assumendo a
sua volta un ruolo di care giver nei loro confronti. All’avvio
di una vita comunitaria rimangono in sospeso la privacy e la serenità
della vita all’interno delle mura domestiche della propria casa, i
ritmi e rituali quotidiani a cui si è abituati, la libertà di decidere
come, quando, dove fare qualcosa o di non farla. Ci sono persone che
non hanno mai amato aggregarsi o uscire da casa per incontrare altra
gente. Eppure in breve tempo si trovano circondate da altri anziani in
simili condizioni e anche dalle diverse figure professionali che, per
la cura e il benessere dell’anziano istituzionalizzato, transitano
interferendo a vario titolo nella sua sfera individuale. In occasione
degli incontri di animazione, specie quando gli anziani si raccontano,
è possibile venire a conoscenza delle loro esperienze di disagio, anche
senza necessità di interpretarle. Mi sto riferendo alle persone che
hanno conservato la capacità di giudizio e che sono in grado di
riflettere e valutare da soli l’andamento della propria esistenza.
Talvolta persone con risorse cognitive ben conservate lamentano di
essere considerate poco capaci. In altri casi, in presenza di un
maggior deterioramento cognitivo, la persona esprime disagio facendo
uso del linguaggio non verbale, attraverso il corpo e la gestualità.
Nella realtà appare utopistico che l’anziano si trovi in uno stato di
agio assoluto. È così che la formazione per il personale che è in
stretto contatto con l’anziano deve prevedere un continuo aggiornamento
sul tema del dolore emozionale, per garantire la maggior qualità
possibile in ogni e qualsiasi interazione con loro. Questo vale per
tutte le figure professionali in campo. Il metodo Validation
offre un modo d’approccio privilegiato in merito. I professionisti
delle case residenza e dei centri diurni hanno a che fare con un’utenza
in qualche misura sofferente per i motivi che ho descritto. Le persone
mostrano il proprio disagio in vario modo. Con apatia, tristezza, ma
anche con rabbia, quindi reazioni di collera, furore, ira o quegli
stati di rabbia di minor intensità quali irritazione o fastidio. Può
capitare ad esempio che si oppongano o facciano resistenza nei
confronti di qualcosa che riteniamo opportuno o che è necessario fare.
Cure assistenziali, di igiene, nutrizione, ricreazione, mantenimento di
capacità. Mi riferisco ai nostri piani protocollari progettati per
garantire salute fisica, mentale o spirituale. Possono divenire
scontrosi, talvolta aggressivi, perché non accettano la realtà. Ovvero,
non avendo più la capacità o non trovando più la forza per esprimersi,
possono perdere il senso ultimo di voler continuare ad esistere. È ciò
che si osserva in persone che sembravano molto più competenti di altre
e manifestano improvvisi crolli. Noi siamo lì per aiutarli, per
interpretare il dolore e per provare ad alleggerire lo stato di
sofferenza. Per fortuna l’area specifica dedicata al benessere
psicologico nelle strutture sta prendendo una dimensione sempre più
ampia grazie alla presenza di animatori e di psicologi. In ogni modo,
il contributo di queste figure non è una garanzia assoluta soprattutto
in assenza di una filosofia ben definita e condivisa nel gruppo di
lavoro. Un’intesa per costruire modelli di interazione con gli anziani
e una buona predisposizione per arricchire le loro giornate. Per quanto
riguarda l’animazione, si cerca di accompagnare l’anziano nel processo
di adattamento alla vita comunitaria con azioni che mirano a promuovere
una buona qualità della vita durante la permanenza nella casa. Gli
interventi animativi non devono essere intesi solamente come l’arte di
intrattenere o divertire. Sebbene l’aspetto ricreativo rivesta
importanza significativa per agire sullo stato d’animo della persona,
non è l’unico.
La professione dell’animatore socio-culturale comprende una ventaglio
di mansioni tra cui la progettazione, la valutazione delle risorse e
delle condizioni per avviare un’attività, l’analisi del clima che si
respira nella casa (sereno, accogliente, amichevole, di unione, di
collaborazione), i bisogni, i desideri, le inclinazioni e le
preferenze, la forza di volontà e la predisposizione di un’utenza
complessa, varia e non sempre facile da coinvolgere. L’animatore nella
complessità del suo ruolo deve anche saper entrare ed uscire dai piani
ricreativi e della produzione di manufatti artigianali dei
laboratori.Saper andare oltre, perché ha il compito di aiutare
l’anziano ad assimilare ed elaborare una nuova realtà. In alcuni casi
tale compito è reso complicato, qualora l’anziano manifesti sfalsamento
della propria identità. Ad esempio, c’è chi conduceva una vita serena e
in piena autonomia, ed è bastato un ricovero in ospedale perché si
modificasse radicalmente la sua esistenza. Da soggetto autonomo è
passato a soggetto istituzionalizzato in casa residenza. In questo
senso si può parlare di nuova realtà. Lo sfalsamento della propria
identità si manifesta come discontinuità o mancanza di corrispondenza
tra l’identità percepita (legata al passato) e le potenzialità residue
attuali (legate al presente). Possiamo comprenderlo meglio con il
seguente ragionamento: i processi di declino fisico e mentali, come la
perdita della forza muscolare, le difficoltà di deglutizione, la
diminuzione progressiva di funzioni sensoriali, i problemi associati
con la memoria eccetera, non necessariamente corrono a pari ritmo del
cervello, che ha il compito di processare il cambiamento. Nella mente
spesso rimane impressa un’identità più giovane e vigorosa, dai tempi in
cui si era forte, capace e competente. Per non cadere nella dura realtà
c’è chi si difende afferrandosi alla vecchia identità. Può succedere
che l’anziano da tempo in carrozzina dica: “Aiutami a scendere che devo
andare via… a cucinare… mi aspettano i miei…”. Per lui/lei è chiaro che
qualcosa deve fare, ma di sicuro ciò non ha a che vedere con la
situazione attuale. Il rifugio nel passato, come spesso succede ad
alcune persone è sicuramente più accettabile e confortevole rispetto al
presente. Ma diventa anche fonte di rabbia e sconforto perché non
trovando il modo per esaudire il proprio desiderio la persona si sente
impotente. Non tutti presentano sfalsamento della propria identità, per
esempio in alcuni casi di disorientamento accentuato l’anziano può
vivere in un mondo tutto suo, senza che si osservino tracce di
sofferenza nel nuovo contesto abitativo. Come abbiamo visto
precedentemente, l’ombra della vecchia identità, cioè dell’essere
competente e vigoroso, spinge tanti anziani a dire: “Non sono più
capace”. Invece, una volta incoraggiati, quando riescono a vincere i
timori e le ansie da prestazione durante le attività di animazione
hanno una chance in più per ritrovarsi, accettarsi nella condizione
attuale, scoprire una passione di cui erano ignari, accrescere il
sentimento di tornare ad essere utile e percorrere esperienze che
contribuiscono nella direzione dell’autoaffermazione. Ricordo una
signora ultracentenaria che mi confessò: “Io dentro di me mi sento
giovanissima”. Infatti per me era un piacere starle vicino, per la sua
mentalità aperta. Provava a fare qualsiasi cosa, era di una gran
freschezza, vitalità ed energia, sfidava gli anni e sé stessa con
assoluta dignità. Questa signora elaborava in continuazione la
trasformazione del suo essere e l’arresto progressivo delle capacità,
aggiornando per così dire, la sua identità (vedi la mia precedente
pubblicazione sul Faro n. 3 del 2015 sul tema "Il coraggio e
l'Accettazione").
Attraverso e durante le nostre attività, non dobbiamo perdere di vista
questi fenomeni associati all’identità. In qualche maniera, con il
passaggio del tempo, l’identità ha bisogno di essere ‘aggiornata’. È
possibile, anzi è necessario, offrire sostegno per l’elaborazione delle
problematiche e per facilitare questo aggiornamento dell’identità. Le
proposte ludiche di carattere cognitivo sono un’occasione per trattare
argomenti associati ai fenomeni della memoria. Il vuoto di memoria è
un’esperienza che scompensa molto a livello emozionale. Mi affascina
vedere i partecipanti fare calcoli matematici in mezzo a un semplice
gioco o eseguire operazioni di classifica e riordino di elementi mentre
si ricreano. È un esercizio per l’attenzione, la comprensione, la
memoria e il recupero del vocabolario, nonché stimolo delle funzioni
sensoriali. Invece le attività ludiche che si orientano al mantenimento
di capacità motorie aprono una porta per lavorare sull’accettazione
delle menomazioni della fisicità. Condividendo le difficoltà e
valorizzando i risultati ottenuti in un qualsiasi gioco, facendo sì che
prevalga lo spirito di voler affrontare una sfida, si aiuta a
riconquistare il proprio corpo. Un corpo con il quale man mano che
passano gli anni si ‘dialoga’ sempre meno. Il fenomeno è facilmente
osservabile quando li vediamo che prendono una cosa in mano, ma dopo un
po’ non si ricordano più di averla. Sempre riflettendo per avere
consapevolezza di ciò che diciamo e facciamo, noi animatori creiamo le
condizioni perché il riconoscimento del corpo e delle capacità residue
avvenga in modo positivo e senza frustrazioni. E questo richiede
pianificazione accurata, creazione di giochi adatti, accostamenti di
partecipanti con un livello motorio affine quando si fanno le gare a
coppia, in poche parole: organizzazione. Ho illustrato minimamente come
possiamo intervenire in contesti di tipo ludico. Ricordo una volta che
nel salutare un ospite gli ho detto: “Buongiorno signore”, al che lui
mi ha risposto: “Il signore non c’è più”. Faccio presente che ha
parlato anche con il corpo. La sua espressione, il tono della voce
ispiravano disperazione e malessere, voleva piangere. Attraverso il
dialogo è stato possibile cogliere il senso polisemico della frase.
C’era una componente religiosa di un Dio che non ci guarda più e,
d’altra parte, la percezione di sé stesso con una dignità indebolita.
“Ho bisogno di una persona che stia con me tutto il giorno, non dico
per adesso, lo dico per un domani che avrò bisogno di fare le mie
cose”. Non aveva perso la speranza di recuperare l’autonomia per
riprendere la sua vita precedente. Per il momento non si sentiva in
grado e piangeva perché temeva di non riuscire ad esserlo in futuro. In
queste situazioni non c’è niente di ludico, ma deve esserci la persona
dell’animatore a disposizione per dare sostegno. Il suo ragionamento
esprimeva un forte disagio. Occorre un intervento adeguato alla
situazione che faciliti alla persona sofferente, l’accettazione di sé e
l’adattamento allo stato di vita attuale. Perciò l’animazione che si
svolge nelle strutture e centri per gli anziani, ha bisogno di un
adeguato inserimento e di supporto. Ho provato a mettere in rilievo
come attraverso il cinema, le attività occupazionali, la musica, la
letteratura e la ricreazione ludica, l’animazione socio - culturale
contribuisce a rallentare i processi di deterioramento mettendo a
disposizione stimoli e novità. Altrimenti saremmo costretti a pensare
alla vita come il mantenimento del funzionamento fisiologico della
persona in un contesto che ha più le sembianze di un ospedale che di
una casa. Come spesso mi fan capire gli anziani dopo un periodo di
assenza: “Una gran noia… una gran tristezza!”.
Ho anche parlato dell’importanza che ha la formazione per il personale
in generale e per l’animatore, affinché possa venire incontro
all’anziano aiutandolo a metabolizzare i processi associati
all’identità e per l’adattamento alla vita comunitaria. È per questo
motivo che ho introdotto l’argomento con la definizione di Harriet
Lerner, affinché sia un chiaro che la rabbia che qualcuno manifesta è
un ‘segnale di avvertimento’, che merita adeguati interventi a
complemento dell’eventuale terapia farmacologica.
Fonti e Bibliografia:
Harriet Lerner, La danza della rabbia TEA S.p.A, 2005
Naomi Feil, Validation - Il metodo Feil, Minerva Edizioni, 2008
www.regione.emilia-romagna.it: Sistema Regionale delle Qualifiche “Animatore Socio Culturale”.
Che rabbia!
L. L.
Un simpatico volume per bambini, Che rabbia!
di Mireille D’Allancé, trad. A. Morpurgo, Babalibri, dipinge la rabbia
come un grosso mostro rosso, che se si scatena spacca tutto. Però si
può riuscire a rinchiuderlo in una scatoletta e a conservarlo, pronto
per l'uso...
|
|
Un figlio dei fiori
Matteo Bosinelli
R
oberto Cosulich proveniva da una ricchissima famiglia di armatori
triestini che si trasferì presto, per motivi di lavoro, in Sud America.
Qui il giovane Roberto incontra il gioco degli scacchi, nella persona
del Grande Maestro Hermann Pilnik, che si rende presto conto del
notevole talento di questo giovane e lo segue perfezionandone le
capacità. Ritornato in Italia, Roberto si dà all’agonismo attivo,
conseguendo con rapidità straordinaria una posizione di vertice nello
scacchismo italiano: esistono foto che lo ritraggono a Venezia, per un
importante torneo, affiancato da una élite di fortissimi giocatori.
Poi, la svolta: si trasforma in hippie, dorme all’ addiaccio, indossa
maglioni rappezzati grossolanamente con fil di ferro, si fa crescere
oltremisura barba e capelli, vive grazie ai premi in denaro vinti con
le sue performance sulle sessantaquattro caselle.Inutile dire che su di
me, allora tredicenne, una figura così interessante e fuori dal comune
non potesse che generare una forte idealizzazione e suggestione e la
creazione di un ‘mito’. È per questa ragione che nel 1976, al Torneo di
La Spezia, dove allora vivevo, non perdevo occasione, ritagliando spazi
alla mia partita, di diventare spettatore di un suo memorabile scontro
contro il Maestro spezzino Marco Albano, formidabile giocatore anche
lui, che si era concesso il lusso, pochi anni prima, di pareggiare
contro Anatoly Karpov, futuro Campione del Mondo (Graz, 1972,
Campionato del Mondo Giovanile a Squadre).
Guardando la partita fra questi due colossi incrociavo spesso lo
sguardo di Cosulich: uno sguardo intelligentissimo e teso, per la
partita che si presentava senza esclusione di colpi, come una corsa ad
ostacoli sul ‘chi per primo riesce a precedere l’avversario e
infliggergli lo scacco matto’. Non scorderò mai lo sguardo di Cosulich,
rivolto a un bambino come me, che intuiva probabilmente solo qualche
dettaglio, e marginale, della partita.
Ed ecco, dunque, la partita.
|
|
RABBIA CRISTALLIZZATA IN LACRIME SILENZIOSE
Francesco
Da LiberaLaMente n° 48, dicembre 2012
I
n un inconsapevolmente conseguito silenzio dell’anima, abilmente
nascosto dietro un profluvio di parole sfuggenti che non vanno oltre la
superficie, ogni prospettiva si annulla. E la stasi si impone, a
limitare ogni passo entro uno stantio percorso circolare. Il bivio
della scelta, pur se minima, diventa angoscia, ansia, con il suo carico
di pensieri ad anticipare il futuro, sino a renderlo nebbia, uno
smarrirsi nel vuoto. Questa paralisi che raggela, che ci consegna
implacabile ad un pianto muto, fermenta occasioni perdute, persone
svanite ad un orizzonte sempre lontano, irraggiungibile.
La paura suggerisce distanze che diventano però distacchi, oculatezza
che si dimostra impotenza, pensiero che svela ferocemente e senza
pudori il suo tradimento nell’essere vischioso e tristemente sterile
arrovellarsi. E questa paura non tarda a tradursi in rabbia, in anelito
di vita che bussa alle porte del nostro pulsare.
Ma è una rabbia che ben presto ha imparato anch’essa a rimanere
cristallizzata in lacrime silenziose, che sanno scivolare in rivoli
nascosti nel ripetersi dei giorni. A stringere in un morso la mano che
non sa tendersi. A gettare parole le cui lettere leste si scompongono,
per perdersi nel vento distratto di un non esserci.
A cogliere foglie secche di un autunno che pare non avere termine. Fino
a che non ci si accorge che, nell'innocente leggerezza della danza di
quella foglia, pur se fatalmente destinata a spegnersi al suolo, si può
anche celare un inizio, il seme di un futuro leggersi con occhi
finalmente allargati.
ARRABBIARSI È UN DIRITTO
Milena Di Camillo
Da LiberaLaMente n° 48, dicembre 2012
L
a rabbia è una brutta cosa? Beh, certo bella non è. Né per chi la prova
né per chi la dovesse subire. Tanto più se si traduce in parole,
atteggiamenti o, peggio ancora, in azioni violente.
Precisato questo, mi sento però di dire che si ha anche il diritto di
essere arrabbiati. Non sempre e non comunque: sta senz’altro male chi
si alza arrabbiato col mondo e va a dormire arrabbiato. In questi casi
vale forse la pena di indagare le ragioni di quella rabbia costante.
Ma sta male anche chi non si permette di arrabbiarsi, chi si abitua
all’autocensura e si impone l’autocontrollo come stile di vita. Questo
non va bene. Tenersi dentro tutto, sublimando con un impeccabile self
control pulsioni ed emozioni, si traduce in sofferenza silente che fa
molti più danni di un salutare sfogo.
E poi non va bene nella relazione con gli altri. A me, anche per
lavoro, è capitato di incontrare persone così (non tante, per fortuna)
e ho avuto la sensazione di avere a che fare con robot, con alieni che
pensavano di “'accontentarmi' con frasi fatte, sorrisi impostati, garbo
di maniera, tutto secondo copione.
Talvolta ho provato pena per loro, talvolta mi sono sentita presa in giro. E mi sono arrabbiata.
|
|
Macigni di rabbia
Francesco Valgimigli
Mastico macigni di rabbia
e la mia testa cade giù
per le scale,
e tu ridi come un cane,
signora fortuna,
e io mi arrampico
in cima alla torre
e i mattoni sono parole
ed è quasi l’alba
nel mio vecchio mondo.
|
|
Tutto precipita
Francesco Valgimigli
Tutto precipita
e nella mente
piccoli pensieri
prendono l’abitudine
di bussare alla mia porta.
E io mi ritrovo
a tramare
un impossibile urlo
qui, dietro la porta.
|
|
La mia rabbia
Francesco Valgimigli
E tu ritorni,
ritornano le tue
parole dolci,
i tuoi silenzi
carichi di promesse,
e io pago
la mia consumazione,
la mia rabbia.
|
|
L’attesa
Matteo Bosinelli
Il lento e regolare scandire dei giorni,
nella speranza che il passato finalmente torni
nella successiva e mutevole seduta,
la costringeva a stare,
nel frattempo, dolorosamente muta.
|
|
La rabbia
Marisa Ventura
RABBIA per sfogarmi
RABBIA per paura
RABBIA per sensi di colpa
RABBIA dovuta allo sfruttamento
RABBIA per complessi di inferiorità
RABBIA per ingiustizie
RABBIA RABBIA sensi di RABBIA
RABBIA perché ho sbagliato
RABBIA per contrasto
RABBIA per contrarietà
RABBIA che si nasconde
RABBIA “sotto sotto”
RABBIA provata con odio
RABBIA provata con amore
RABBIA per non violenza
RABBIA per starsene in pace
PER LA PACE
NELLA PACE
QUANTA RABBIA !!! ???
QUANTA RABBIA ???
|
|
Filastrocca sciocca
Patrizia Degli Esposti
La rabbia
Ti mette in una gabbia
Se la trattieni
Ingoi dei veleni
Se la urli al mondo
Diventi iracondo
La rabbia
È come la sabbia
Granelli che pizzicano
Ed infastidiscono
Puoi scrollarla da addosso
Lasciarla in un fosso
Non farti tentare
Non urlare
Fai un lungo respiro
E fai come il ghiro...
Dormici su
E non arrabbiarti più
|
|
Scappo
Marcella colaci
Scappo da ogni guerra
scappo a piedi scalzi
scappo e non posso darti
se non l'amore eterno.
Guardami e non farmi male
guardami e asseconda il passo
guardami e non ti stupire
di questo incredulo divenire.
La guerra dentro mi confonde
la strada sul burrone
la strada impervia di sassi
che a piedi scalzi fa male
ma non mi fa sentire
le urla e il pianto magri
di questo lungo andare
di questa primavera infame.
La barca è arenata
la barca in mezzo al mare
di nulla si è appropriata
di nulla è ancorata
di nulla se non di sale.
Lasciata la terra al porto
dimenticare ancor non posso
se tutto è ancora da fare
se tutto è pur senza amore.
|
|
Scampo
Paola Scatola
Volevo che facesse scampo
ma vorrei che fosse triste.
Ed è così che nella penombra
mi appari bella.
Nel secondo ci sei tu,
nel soccorso ci sei tu.
L’immagine è rimasta funesta
ma il sole ricomparirà
sui tuoi occhi così
come ti lascio i miei:
nella rabbia profonda di un addio
ho lasciato anche Dio.
|
|
Giorni furiosi
Francesco Valgimigli
Perdo il lume
e poi mi aggiro
dentro giorni
furiosi
come un disperato
in cerca del proprio circo
dove trampoli e sirene
già ballano un valzer triste
e un bicchiere di acqua gelata
alla fine della giornata
è il premio che mi attende
all’uscita del tunnel.
|
|
IL FURIOSO
L
udovico Ariosto cominciò a scrivere L’Orlando Furioso
nel 1504 e si può dire che continuò sempre a lavorarci. Dopo aver
pubblicato una prima edizione in quaranta canti, nel 1516 cercò di
darvi un seguito, che restò tronco. Continuò poi ad attendere alla
pulitura e messa a punto della lingua e della versificazione, lavoro
già visibile nella seconda edizione del 1521 e ad ampliare l’opera,
fino alla vigilia della sua morte. L’edizione definitiva, in
quarantasei canti è del 1532.
Il poema racconta come Orlando, da innamorato sfortunato di Angelica,
divenne pazzo furioso, e come le armate cristiane, per l’assenza del
loro primo campione, rischiarono di perdere la Francia. Racconta infine
come la ragione smarrita del folle, contenuta in un recipiente, fu
ritrovata da Astolfo sulla luna e ricacciata in corpo al legittimo
proprietario, permettendogli di riprendere il suo posto nei ranghi.
Tema parallelo a quello principale è quello degli ostacoli al compiersi
del destino nuziale di Ruggero e Bradamante, perché il primo non riesce
a passare dal campo saraceno a quello franco per ricevere il battesimo
e sposare la sua amata.
Nel poema viene descritto molto bene come Orlando viene pervaso da una
rabbia improvvisa. Passeggiando in riva a un fiume, vede che i tronchi
degli alberi sono pieni di scritte e incisioni, pensa che quella
calligrafia la conosce e, come chi si annoia, prende a decifrare le
parole. Legge: “Angelica”… Ma certo, è la sua firma! Angelica dunque è
passata di lì. Intorno alla firma, cuori trafitti, nodi che si
intrecciano, colombe: Angelica innamorata. E di chi mai? Orlando non ha
dubbi: di lui… Ma su quei cuori e quei nodi c’è un altro nome
accoppiato a quello di Angelica; un nome sconosciuto: Medoro. Perché
Angelica ha scritto quel nome? Il nome di qualcuno che non si sa chi
sia, di qualcuno che non esiste? Forse nella sua fantasia amorosa lo ha
soprannominato Medoro, e scrive Medoro dappertutto perché non sa
scrivere Orlando…
Chi di noi non si è trovato in questa situazione? Sperare che il nostro
amato fosse innamorato di noi e ci avesse dedicato belle canzoni e
cuori trafitti per lanciarci segnali amorosi… e scoprire invece che
quelle canzoni, quei cuori trafitti non erano per noi, che quei segnali
ce li eravamo immaginati… Insomma, che ci eravamo fatti un film.
Quando Orlando scopre che Angelica in realtà è innamorata di Medoro, la
sua vita si trasforma in un rapido succedersi di sensazioni senza più
un filo che le colleghi. Il pazzo va a zig zag per fiumi e selve, dal
Rodano ai Pirenei, se un somaro gli capita davanti, lo prende per una
zampa e lo scaglia per aria, se acchiappa un boscaiolo, lo strappa in
due pezzi come se fosse di carta.
Anch’io quando sono arrabbiata me la prendo con chi capita, come il protagonista della nostra storia.
Orlando si è arrabbiato perché respinto, ma in realtà è stato punito da
Dio perché si è innamorato di una pagana. Gli è stato perciò tolto il
senno per tre mesi. Ma per fortuna Astolfo va sulla luna a recuperare
il senno e glielo riporta.
Questa vicenda mi ha fatto riflettere sul tema della rabbia, e
soprattutto sul fatto che contenerla è difficilissimo ed è facile
perdere il senno, come è successo al nostro eroe.
|
|
DATEMI UN MARTELLO
P
er il tema della rabbia ho pensato di ascoltare Datemi un martello
di Rita Pavone. Questa canzone è molto divertente, perché la
protagonista immagina di dare delle martellate a chi non le va. Però
questo non è riferito a ingiustizie sociali, come si potrebbe pensare
(e come invece era nell’originale statunitense, If I Had a Hammer di Pete Seeger e Lee Hays) ma a persone o fatti che possono suscitare rabbia in un’adolescente.
La cantante descrive quattro situazioni che si possono verificare in
una festa immaginaria. La prima situazione parla della classica ragazza
bellissima (quella smorfiosa con gli occhi dipinti) che tutti i ragazzi
invitano a ballare lasciando la protagonista a guardare. Quante volte
capita da adolescenti di sentirsi così… superate e umiliate da ragazze
bellissime! La seconda situazione descrive un fatto molto classico,
precisamente si parla dell’atmosfera che si crea nelle feste, quando le
coppie stanno appiccicate e ballano i lenti con le luci spente. Quante
adolescenti single provano dispiacere e si sentono sole quando vedono
le altre coetanee che hanno qualcuno da amare e con cui ballare! Nella
terza situazione Rita immagina di rompere il telefono con il fatidico
martello, perché le telefonerà la madre e le dirà di tornare a casa
perché suo padre sta per tornare; chi non lo farebbe nel momento in cui
si sta divertendo? La canzone si conclude con un’immagine ironicamente
truculenta: “Un colpo sulla testa a chi non è dei nostri, così la
nostra festa più bella sarà”. Io identifico “chi non è dei nostri” con
chi non ha voglia di divertirsi e trovo che questa ragazzina tutto pepe
sia molto simpatica. Quello che mi colpisce è che nonostante tutto (la
smorfiosa con gli occhi dipinti, le coppie appiccicate) la protagonista
dice: “Saremo tutti amici e saremo noi soli”. Forse per ‘soli’ intende
senza quegli scocciatori dei genitori… e cita alcuni balli dell’epoca,
che vorrebbe fare, cioè il surf e l’hully gully: una vera forza!
|
|
CHE COS’È LA RABBIA
LABORATORIO DI NARRATIVA - RTP Casa Mantovani
È uno scatto astioso d’infinito dispiacere.
Elena B.
La rabbia può accecare e far diminuire la nostra intelligenza: un buon antidoto è un esame di realtà.
Giampiero F.
La rabbia è una reazione a un torto subito, reale o immaginario.
Federico G.
La rabbia mi fa pensare a quando andavo a scuola e ai miei compagni di
classe che entravano in competizione con me o che non rispondevano alle
interrogazioni e si impegnavano per attirare le attenzioni dei
professori.
Ilia A.
Se uno offende un’altra persona scatta la rabbia e si può arrivare alle mani. A volte si fraintendono le parole.
Stefano G.
|
|
LA RABBIA
Centro Diurno di Casalecchio di Reno
Di rabbia io ne ho tanta. La provo spesso e più che volentieri, la vivo
mal volentieri. Cerco di rasserenarmi, ma non sempre è facile farlo. In
momenti di lucidità e di calma, e di riflessioni sul messaggio della
fede cristiana, mi rendo conto della duplice inutilità di questa
rabbia, per me e per gli altri. Ad esempio: la dipendenza cronica e
perdurante dall’assuefazione al tabagismo fa sì che mi senta
equilibrato e ben disposto alle relazioni umane quando dispongo delle
sigarette, viceversa quando mi mancano mi manca anche lo stimolo che
assume un ruolo primario nella conduzione della mia esistenza abituale.
È in questi momenti che la mia serenità va ‘in fumo’, crolla
l’impalcatura artificiale indotta dal tabacco. Sulle prime ne Drisento
e se non corro ai ripari finisco seriamente per arrabbiarmi. Mi capita
di alzare la voce e tirare pugni sui tavoli o sui muri. Non ne vado
fiero, ma al tempo stesso confesso che vivo questi episodi come piccole
prodezze, non avendo mai praticato lo sport della boxe.
Quando vedo l’aggressività degli altri non riesco a rimanere indifferente e quasi me ne sento contagiato.
Giovanni
Io mi arrabbio poco. È brutto quando uno si arrabbia, perché provoca la
lite. Ogni tanto mi è capitato di avere qualche piccolo litigio con i
miei genitori o mio fratello e abbiamo alzato la voce. Questo non mi è
piaciuto e mi ha fatto stare male. Quando vedo le persone che si
arrabbiano mi dà fastidio e vorrei che smettessero subito di discutere.
Certo è meglio alzare la voce invece che passare alla violenza, ai
pugni e ai calci. Quando vedo, ad esempio nei film, delle scene di
violenza, provo molto fastidio.
Antonella
La rabbia si sviluppa quando non si ottiene ciò che si desidera
ottenere. Per me spesso è così. La frustrazione in me può provocare
come reazione un atteggiamento rabbioso. A seconda delle situazioni ci
si può arrabbiare con sé stessi o con gli altri. Quando sono frustrato
vorrei liberarmi di un peso, anche sfogandomi su un'altra gente… mi
capita ogni tanto. Dopo di solito chiedo scusa.
Lorenzo
|
|
Cosa pensano i velisti della rabbia
...Mi arrabbio quando vedo le ingiustizie di questo mondo, ed anche quando non vedo riconosciuti i diritti.
...La rabbia, invece di quello che spesso si intende, ha anche
connotati certamente utili se non positivi, come l’esorcizzazione della
sofferenza e dei disagi interiormente e dolorosamente vissuti e non
elaborati. Quindi, con la corretta canalizzazione, aiuta a superare
gravi momenti.
...La rabbia è il fuoco dell'insoddisfazione che brucia nel vento dell'esistenza.
...La mia rabbia è non trovarmi in un pianeta solidale e rispettoso della natura stessa e dei propri simili.
...La rabbia per fortuna mi viene poco, però anziché esternarla nei
limiti del lecito me la tengo dentro di me, e questo è un danno alla
mia salute.
...La mia rabbia a volte mi fa pensare al suicidio?! E penso di portare con me le persone che mi hanno fatto arrabbiare.
...La mia rabbia personale invece è non sentirmi bello fuori quanto
dentro e non trovare una persona accanto con cui trovarci in sintonia
per un piccolo mondo felice, il mio, cioè un vero amore ricambiato.
|
|
I PROFETI
Gilda Pappalardo
Gli amatori della vera musica sono fans a rischio della vita il come successo dei beniamini che creano e suonano e cantano.
Gilda Maria Losanna Pappalardo nasce a La Chaux De Fonds (Svizzera) il
24 Febbraio 1961. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera
(scultura) e Bologna (scultura e pittura) dove si è diplomata.
Attualmente vive e lavora a Bologna.
|
|
DIMMI E DAMMI
Opola Resonive
Un bel giorno… “No, non dire così!”,
sbottò con fare malinconico il papa, mentre si trovava nelle sue stanze
private in Vaticano... Era rivolto al suo assistente, che desiderava
convincerlo di quanto la proposta ricevuta fosse da approvare
urgentemente. Il papa che era molto contrariato, non voleva dar seguito
a una cosa che istintivamente gli sembrava sbagliata. “Non sia mai che
faccia una cosa del genere”, aggiunse con decisione. Allora replicò
l’assistente: “Lo deve fare per il bene del popolo, non si può tirare
indietro… certamente… decide lei, però…”.
Con fare confuso, sua santità si mise a rileggere accuratamente i fogli
che gli avevano consegnato, ma la storia non cambiava, non gli piaceva.
“Non lo farò, non potete obbligarmi, non farò mai una cosa del genere,
non è approvata dalla mia coscienza, è contro ogni spirito cristiano e
cattolico, contro un modo di vivere civile e accettato da tutti…
All’apparenza la proposta può essere considerata giusta, ma non lo è,
la decisione si ripercuoterebbe su milioni di innocenti che credono in
me e nelle Chiesa come simbolo di giustizia, pace e carità!”.
L’assistente si fece insinuante: “Vorrei spiegare un attimo tutti i
punti: la creazione di un nuovo apparato a favore delle decisioni
vaticane favorirebbe i pensieri dei papi futuri, che così non
dovrebbero ragionare affaticandosi, avrebbero più facilità nello
svolgere il proprio compito, aiutati, senza cadere nell’inganno di cui
possono essere vittime. Non capisce? Se non può o deve fare qualcosa,
allora qualcun’altro la farà al suo posto… Non può mettersi contro...
Il papa ha troppi poteri, noi li ridurremo in cambio di una pace
migliore, per un destino soggetto a una vita che deve dare il buon
esempio alle pecorelle smarrite che cercano la strada per la salvezza.
Una luce nel loro cammino. Così lei sarà sicuro di non poter sbagliare
nei fatti e nelle parole e avrà l’appoggio dell’autorità
ecclesiastica...”.
Allora il papa: “Amore per amore, dolore per dolore, ricerca di una
felicità da donare a un popolo in cambio di un aspetto di burattino…
Non mi lascerò convincere a farmi muovere da altri, ma solo dalla luce
di Dio che mi dona la vita. Non voglio deludere i desideri e pensieri
di libertà che gli uomini hanno su di me, penso, rifletto, scrivo e
parlo senza essere condizionato da nessuno. Dimmi: chi sono io, perché
sono qui? Il disegno divino non può desiderare che l’odio si propaghi
fra gli uomini mascherato da amore. Insomma, cosa vuoi da me... Dammi
la possibilità di svolgere il mio compito in assoluta autonomia, in
ricerca della pace interiore, ma con la voglia di adirarmi per ciò che
non condivido, senza essere costretto ad accettare... Libero di
arrabbiarmi...”.
|
|
RICOMPONGO UN CANTO
Paola Scatola
Ti desidero: ricompongo un canto: il
mio. Se mi vuoi ancora, io ti voglio, se mi chiedi ancora io ti chiedo.
Così come viene, mi prendi e mi spendi. Ed è per qualcosa che mi sento,
e mi districo in te, con arroganza, con permissivismo: è la sola cosa
che mi chiami ‘Amore’.
Così vieni a me nella bell’ombra di un destino effimero, di un destino
particolare.Che... ‘amore’ è? L’amore dei poveri, che mi prende il
cuore, l’amore dell’umana gente che si spende in un minuto, per me e
per te, nell’esempio del dissenso umano che sei con me. Nella luce del
senso e dell’avverbio, che ti chiesi asilo, ‘Italia’!
Non solo, fu anche per l’amore di lui, ma per l’amore di lei, furono i
potenti a decidere di me per me. Ma fu anche il mio dissenso, così come
viene adesso l’amore dell’estrema unzione che ti tiene con me, che ti
tiene quella mano, quella mano su di me. Nella mano ho di te le comuni
cose che ti oppongono a me, e così ti appartengo nel bene e nel male,
nel desiderio di accendere quella lampada assortita di baci.
Ti obbedisco quando c’è il clamor di gloria, ma mi assento
nell’assenteismo più totale, quale l’ora dell’amore: così ti propongo
me nel nulla e nel vento che mi circonda, cantando insieme a me un’ode
che si chiama amore. Ti abbraccio con passione tra languide carezze e
baci, mi disapprovo solo se, unendomi al sacrificio umano dell’amore,
non t’assaggio nei baci di cattivo costume, che tu mi dai.
|
|
|
|
|
|
|
|
CIAO, IVONNE!
Lucia
Festeggiata e rifesteggiata, prima
dalle associazioni al Provvidone, poi da amici, utenti e colleghi nel
quadriportico del Roncati, anche la dottoressa Donegani è andata in
pensione…
In questi casi non si sa se rallegrarsi per l’amica che finalmente dopo
tanti anni di lavoro indefesso può finalmente godersi un po’ di
libertà, o mettere la bandiera a mezz’asta perché il fare insieme perde
una colonna portante... Cara Ivonne, la torta parla per noi: ricordati
che c’è il volontariato! Nelle nostre associazioni, che hai sempre
incoraggiato e sostenuto, fermamente convinta dell'importanza
dell'inclusione sociale nei percorsi di recovery, troverai un posto
caldo per te.
Non vogliamo farti fretta, ma siamo sicuri che prima o poi sentirai la
mancanza del mondo in cui per anni hai trascorso giornate senza fine,
rispondendo a tre persone alla volta e contemporaneamente… al
cellulare.
Ti abbiamo anche visto arrancare per i corridoi del Roncati, azzoppata
per un infortunio, ma decisa comunque ad essere presente.
Hai sostenuto per anni Psicoradio e il teatro di Arte e Salute... E sappiamo quanto ami il nostro Faro.
Tante volte, nonostante la stanchezza e le tensioni del tuo difficile
ruolo, prima di inforcare la bicicletta per tornare finalmente a casa a
tarda sera, hai trovato il tempo per fermarti a scambiare un saluto
cordiale. Noi qui abbiamo avuto la gradita sorpresa di veder tornare al
timone Angelo Fioritti, perciò non ci sentiamo troppo sperduti, ma ci
manchi… Vieni presto a trovarci!!!
Ciao, Ivonne! Tanti affettuosi auguri per questa nuova fase della tua vita.
|
|
OPERE DEGLI ARTISTI IRREGOLARI BOLOGNESI: PAULA
S
ono Paula Mencarelli, non ho titoli, umilmente mi sono avvicinata alla
pittura per puro divertimento, poi è nata la passione di migliorare e
mettermi in gioco. Di origini marchigiane, di Fano, sono nata in Canada
il 23/01/1964.
Ho lavorato per due anni come coordinatrice in un progetto di salute
comunitaria in Bolivia (Sud America) per la Cooperazione
Internazionale, poi per trentatrè anni come infermiera all'Istituto
Ortopedico Rizzoli di Bologna.
Ora mi dedico al volontariato come operatrice occasionale nel campo del disagio psichico.
Paula
I dipinti riprodotti qua sotto sono dell’artista Paula
|
|