Piergiorgio Fanti

Antonio Canova: “Il pugilatore Damosseno”

Fabio Tolomelli

Editoriale

Antonio Marco Serra

I venditori di colombe

Patrizia Degli Esposti

Arrabbiarsi senza smettere di amare

Francesca

L’ira può essere positiva?

Paolo Sanzani

Domanda da un milione di euro

Paolo Majerù

Sentimento ingestibile?

Mariangela

La rabbia: alcuni consigli per l’uso

Augusto Mocella

Cane arrabbiato ogni tanto - memorial

Augusto Mocella

Rabbia religiosa (parafrasando Isaia)

Paolo Sanzani

Vasco

***

La canzone

Darietto

La società mi fa vomitare

Darietto

Dazzenger

Concy

Se mi arrabbio vedi!!!

Tina Gualandi

Quando ho la luna storta

Cesare Riitano

“Cesare, stai calmo!”

Paolo Sanzani

Anni di Psichiatria

Simone

Vorrei stare bene

Paula Mencarelli

Qualcosa di positivo

Lu Zen pass

Lettera Zen sull’arrabbiarsi

LO SFOGATOIO
      Paolo Sanzani     Rabbia e paura
      Lucia     Che rabbia! Che rabbia! Che rabbia!
INSERTO: LA RABBIA
      Gabriele Beghini     La giusta dose di rabbia
      Mariana Parera     Finché c’è vita c’è… RABBIA
      L.L.     Che rabbia!

Matteo Bosinelli

Un figlio dei fiori

IL TIMONE
      Francesco     Rabbia cristallizzata in lacrime silenziose
      Milena Di Camillo     Arrabbiarsi è un diritto
DEDICATO AD ARIANNA LO SPAZIO DELLA POESIA

 

      Francesco Valgimigli     Macigni di rabbia
      Francesco Valgimigli     Tutto precipita
      Francesco Valgimigli     La mia rabbia
      Matteo Bosinelli     L’attesa
      Marisa Ventura     La rabbia
      Patrizia Degli Esposti     Filastrocca sciocca
      Marcella Colaci     Scappo
      Paola Scatola     Scampo
      Francesco Valgimigli     Giorni furiosi

Cristicchi

Il furioso

Cristicchi

Datemi un martello

DAI GRUPPI DI SCRITTURA
      RTP Casa Mantovani     Che cos’è la rabbia
      C.D. di Casalecchio     La rabbia
      Gruppo La Vela     Dal diario di bordo
                 ”          Cosa pensano i velisti della rabbia
                 ”          Lissa, la dea della rabbia

Gilda Pappalardo

I Profeti

Opola Resonive

Dimmi e dammi

Paola Scatola

Ricompongo un canto

Paola Scatola

È facile dire: è lei

Matteo Bosinelli

Arrabbiati

Paolo Sanzani

Rabbia e rancore

Lucia

Ciao, Ivonne!

Paula

Dipinti

                                                                                                   
ANTONIO CANOVA:
“Il pugilatore Damosseno”, 1796

   Piergiorgio Fanti


A ntonio Canova (1757-1822) nasce a Possagno (Treviso) ed è avviato alle arti tra Asolo e Venezia nel decennio 1769 - 1779.
Quando nel ’79 si reca a Roma ha già al suo attivo l’Orfeo ed Euridice e il Dedalo e Icaro, due sculture che dimostrano il suo attento studio dal vero.
L’intento drammatico è raggiunto disponendo le figure a riscontro l’una con l’altra, come sarà più tardi per i pugilatori, Creugante e Damosseno.
L’opera che diede a Canova la celebrità è il monumento a Clemente XIV benedicente, a cui seguì quello per papa Rezzonico in San Pietro, inaugurato nel 1792.
La bella semplicità dello stile del Canova contrasta con la sovrabbondanza e agitazione della scultura barocca.
Più originale la serie di sculture iniziata negli stessi anni, tra cui il gruppo di Amore e Psiche, in cui Canova tenta una trasposizione moderna di precise suggestioni dall’antico. Da allora il successo artistico dello scultore è travolgente: deve eseguire repliche, come per Venere che esce dal bagno o Ebe.
Il vero volto neoclassico del Canova (il dominio dell’idea porta all’utopia del bello) si applica anche alle opere funerarie, come il monumento per il Cavalier Emo e il monumento a Maria Cristina, e alla serie successiva di ritratti – monumenti di Napoleone. Antonio Canova muore a Venezia nel 1822.

EDITORIALE

  Fabio Tolomelli


P er il termine ‘rabbia’, tutti i dizionari cartacei e digitali che ho consultato danno come primo significato la malattia dei cani e come significato figurato l'irritazione violenta e spesso incontrollata. La descrizione che mi è piaciuta di più è quella di Wikipedia, che pure fa riferimento alla malattia canina, ma poi richiama al termine 'ira' e la sua definizione è: “stato psichico alterato, in genere suscitato da elementi di provocazione capaci di rimuovere i freni inibitori che normalmente stemperano le scelte del soggetto coinvolto. L'iracondo prova una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni casi verso sé stesso”. La definizione mi è piaciuta, ma alcuni dubbi mi sono rimasti. Perché la rabbia? Probabilmente è un sentimento legato all'istinto di autoconservazione. Io mi arrabbio quando un insulto esterno, o interno, mi colpisce. Ad esempio io mi arrabbio con me stesso quando non riesco a raggiungere un obiettivo o quando commetto errori che potevo evitare. La fonte di rabbia esterna è accesa quando mi fanno un torto o un'offesa. Ma cosa mi succede quando mi arrabbio? Alcune volte implodo, altre esplodo (quest'ultimo caso molto raro), altre volte riesco a stare più o meno in equilibrio. Per quanto cerchi di stare in equilibrio, però, alle volte il torto me lo lego a un dito.
In genere tendo ad implodere, perché dopo l'arrabbiatura mi sento in colpa, non so bene il perché. Forse perché ho paura delle conseguenze (cosa pensano di me se mi arrabbio), forse perché non so cosa potrebbe accadere se liberassi i miei freni inibitori, forse perché ho paura di ledere l’oggetto della mia rabbia con troppa aggressività. Sì, credo siano questi i motivi per cui ho la tendenza ad implodere, ma forse ce n’è uno più subdolo, che non avevo considerato: e se il soggetto con cui mi sono arrabbiato per risposta mi mena? Sì, è meglio implodere, che ne dite? Ma allora, perché quest’aggressività? Sì, perché la rabbia è uno dei sentimenti che mi fanno stare peggio, forse ancora peggio della depressione. Quando vengo colto da attacchi di rabbia provo una sofferenza inferiore solo al mal di denti e a tutti i più grandi dolori fisici. È una sensazione orribile essere arrabbiati, specie se senza causa o motivo. Sembra di impazzire. Ho la tentazione di distruggere tutto, ma so che ciò non servirebbe a nulla; forse è l'impulso a distruggere ogni cosa l'aspetto che mi mette più paura. La rabbia è uno stato d'animo che mi crea una grandissima sofferenza, che mi altera la visione obiettiva della realtà. Questo grandissimo disagio mi porta all'impellente necessità di rimuovere al più presto la causa di tanta sofferenza. È questa necessità di sfogo che porta le persone ad aggredire verbalmente o fisicamente l'altro, ma anche sé stesse. La mia rabbia, comunque, non è sempre la stessa. Ci sono cose che mi fanno arrabbiare di più, altre di meno, ci sono giorni in cui sono più irascibile, altri meno. A parità di insulto ci sono poi persone che mi fanno arrabbiare più di altre.
Il mio rapporto con la rabbia risente anche dell'educazione che ho avuto. Laddove ho avuto in passato il permesso di canalizzare la rabbia mi sento di poterla sfogare, laddove mi è stata repressa tendo a farla implodere.
Anche la cultura in cui si è immersi è condizionante: la cultura cristiana, predominante in Italia, tende al perdono (a porgere l'altra guancia), mentre ad esempio la cultura americana tende a giustificare la reazione distruttiva anche in caso di semplice minaccia. Questo non solo nella politica internazionale, ma anche in quella interna, basta pensare alla facilità con cui si possono acquistare armi.
Cari lettori non arrabbiatevi per la lunghezza dell'editoriale, ma seguite il mio consiglio: quando è il caso, arrabbiatevi pure liberamente, ma senza offendere o venire alle mani. In fondo c'è sempre lo sfogatoio del Faro se volete dar luce alla vostra rabbia.

I VENDITORI DI COLOMBE

   Antonio Marco Serra

Spogliate dalla furia e dal rumore, le emozioni
intese come cognizione non significano più niente,
o comunque niente di emozionante.
J. Le Doux, Il Cervello emotivo

C antami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta…”. E davvero avrei bisogno, in questo momento, di un aiutino da parte di Calliope, per riuscire a buttar giù quest’articolo, perché ho tante idee riguardo all’argomento di questo numero, ma proprio non ‘quagliano’ tra loro: quasi quasi sto per… arrabbiarmi. Già che siamo in tema, inizio proprio dall’Iliade e dall’aspetto un po’ imbarazzante dell’ira (o rabbia, o collera, o furore, che dir si voglia) del mitico figlio di Peleo. Diciamocela tutta, almeno ai nostri occhi di moderni, il buon Achille non sembra farci una bella figura: il suo comportamento ci sembra puerile, le bizze di un bambino capriccioso. Eppure, a ben vedere, Achille ha ragioni da vendere: il suo capoufficio (Agamennone), approfittando della sua posizione di potere, gli sottrae la sua meritata parte di fringe benefit (che poi essi consistano in una donna, una schiava, fingiamo di non saperlo), onestamente guadagnati facendo gli straordinari nell’accoppare Troiani a vagonate. E quasi ci dispiace che il pronto intervento di Atena impedisca ad Achille (frenandone la rabbia con promesse di premi futuri) di uccidere su due piedi il suo capo fedifrago. Ma ciò non toglie che il comportamento di Achille ci appaia come quello di un bambino offeso che si allontana esclamando: “Allora non gioco più”. A dirla tutta, quella di Achille sembra connotarsi addirittura come una rabbia patologica, l’unico sentimento che sia in grado di provare, un sentimento foriero di morte: “lutti agli Achei”, quando diserta il campo di battaglia e ancor maggiori lutti ai Troiani, quando decide di farvi ritorno, in preda a una rabbia cieca per l’uccisione dell’amico Patroclo. Persino quando, convinto dagli dei, si decide a restituire a Priamo il corpo martoriato del figlio, appare terribilmente preoccupato che una parola di troppo del vecchio, non faccia scattare la rabbia in lui, costringendolo ad ucciderlo. Ha piena coscienza che la sua ira è un sentimento incontrollabile, che neppure un comando divino, e men che meno la sua volontà, ha il potere di tenere sotto controllo. Alla fin fine Achille ci fa pena: gli dei l’hanno subdolamente ingannato quando mettendolo a scegliere tra una vita lunga ma dimenticata e una vita breve ma gloriosa, si sono dimenticati di dirgli che quest’ultima sarebbe stata anche una vita di schifo, perennemente annegata in una rabbia senza fine. E non riesco a liberarmi del pensiero che quando la freccia avvelenata di Paride ha trapassato il suo calcagno, Achille abbia pensato: “Finalmente! Paride, non provo rabbia verso di te, ma, per la prima volta, riconoscenza”. Abbiamo così visto due aspetti che possono caratterizzare la rabbia: da un lato, a chi osserva dall’esterno, appare spesso come un sentimento inadeguato e persino risibile; dall’altro, per chi la prova, appare come qualcosa che lo domina e che la sua parte raziocinante non è assolutamente in grado di controllare, ma forse è proprio questo che la rende risibile agli occhi degli altri.
Dies Irae, dies illa / solvet saeculum in favilla…”. Il Cristianesimo sembra condannare senza mezze misure la rabbia: “Ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale”, recita il Vangelo secondo Matteo, e addirittura l’ira è finita nel catalogo dei sette peccati capitali. Ma c’è un’ira che permea tutto il Vecchio e il Nuovo Testamento e che ovviamente non è passibile di condanna alcuna: l’onnipresente ira divina che minaccia e mette in atto sfracelli a non finire. Lo stesso Gesù, affinché non vi siano dubbi al riguardo, ci ricorda: “Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”. E certo chi pronuncia ripetutamente il “Guai a voi…”, minacciando la Gehenna di fuoco a destra e a manca, non pare davvero un mansueto.
E quando, fatto un flagello di corde, scaccia i mercanti dal Tempio, rovesciando le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe, sembra davvero in preda a un attacco d’ira parossistico. Sicuramente se da quelle parti si fosse trovato uno psichiatra, avrebbe predisposto un immediato TSO, impedendone così la morte e resurrezione, e mandando a catafascio l’intera storia salvifica dell’umanità predisposta fin dall’inizio dei tempi. Non sembra, ma gli psichiatri a volte possono essere davvero una potenza. Sempre che non si arrabbino.
Scherzi a parte, perché a molti l’ira di Achille appare ridicola e quella di Gesù, invece, nobile ed elevata? Forse perché Gesù non sta perorando per il proprio tornaconto personale (non vuole vendere lui le colombe nel Tempio), né è irato per essere stato offeso personalmente dai mercanti (tutto avrebbero fatto, i poveri venditori di colombe, piuttosto che offenderlo, conoscendone il carattere iracondo). E qui sta il punto: la rabbia ci pare nobile quando qualcuno percepisce come un’offesa a sé stesso qualcosa che di fatto offende l’umanità di qualcun altro, o l’umanità tout-court. Ed è un sentimento che può essere indipendente da quel che noi possiamo concretamente fare per rimediare a quella situazione che ha suscitato la nostra collera, tanto da poter essere suscitata anche da eventi passati: dopo oltre settant’anni molti ancora si indignano ripensando agli orrori dei campi di concentramento nazisti, anche se quest’indignazione è oramai del tutto inutile. Certo, qualcuno direbbe che ricordare gli errori del passato può impedire che si ripetano nel futuro, ma è solo una pia menzogna. Da quando il nazismo è stato sconfitto quante altre pulizie etniche e barbarie d’ogni tipo sono state commesse? La domanda è ovviamente retorica, la lista è quasi infinita. Eppure, anche in questo caso, ci vuole una certa continuità personale per poter provare rabbia. L’Europa degli anni quaranta è molto diversa da quella attuale, ma in fondo è il mondo dove hanno vissuto i nostri genitori o i nostri nonni, e di cui ci hanno raccontato. Sfido chiunque a provare autentica rabbia per gli omicidi di massa, non meno efferati, compiuti dagli eserciti di Gengis Khan; altri tempi, altri costumi, pensiamo, e andiamo avanti. Grazie a Dio.
La rabbia può avere un’utilità solo se riguarda qualche situazione presentemente in atto e se ci spinge ad un agire concreto, per contribuire a porre rimedio a una situazione che percepiamo come un’autentica ingiustizia. Altrimenti è un sentimento convenzionale e inutile, che può servire, tutt’ al più, a tacitare la nostra cattiva coscienza. E per di più ci rovina la vita, rendendoci il sangue amaro. Ne vale la pena? Come cantava Renato Carosone: “Se crede 'ca me faccio 'o sangue amaro, se crede 'ca 'mpazzisco e po' me sparo”. Ma è comunque inevitabile che la nostra storia personale la faccia da padrona: siamo molto più disposti ad arrabbiarci se una data situazione, pur non riguardandoci direttamente, evoca degli eventi del nostro passato. Immagino, tanto per fare un esempio, che se qualcuno è stato violentato da bambino (o lo è stata una persona che gli è cara) sia molto più propenso di altri a scandalizzarsi e arrabbiarsi per il fenomeno dei preti pedofili. Non esiste un senso di giustizia tout-court, svincolato dal nostro vissuto personale o anche dalle nostre convinzioni politiche, filosofiche, estetiche eccetera. Dimmi con chi... ti arrabbi, e ti dirò chi sei. Eppure, siamo sinceri, questa rabbia per interposta persona, è ben difficile che ci coinvolga e ci stravolga come quando i destinatari della vera o presunta ingiustizia siamo noi stessi, e bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscerlo. Achille docet: “Restituitemi Briseide o vi riduco tutti in minutissimi pezzetti!”. Per fare un esempio, è sicuramente per nobilissimi motivi, e avendo di mira esclusivamente il bene supremo dell’umanità, che io mi auguro che venga reintrodotta la pena di morte, magari come conclusione di orripilanti sevizie, per coloro che vanno a 40 chilometri orari nelle strade in cui il limite di velocità è di 90 chilometri orari. Lo giuro, ho di mira solo il miglioramento della qualità della vita dell’umanità tutta. Però, chissà come mai, mi accontenterei che questa sin troppo misericordiosa misura venisse adottata solo nei confronti degli automobilisti che percorrono la statale ‘Porrettana’, strada che, guarda caso, percorro varie volte alla settimana… Perdonate gli scherzi, ma oggi sono d’umore un po’ giocoso e un po’ macabro. Vorrei arrabbiarmi, per essere in tema, ma non ci riesco. Ma domani, quando sarò di nuovo sulla Porrettana, con davanti una ‘lumaca’, ci riuscirò sicuramente.

ARRABBIARSI SENZA SMETTERE DI AMARE

   Patrizia Degli Esposti


uando penso alla rabbia immagino una molla, qualcosa che ti dà la spinta per andare avanti, per combattere, per affrontare le difficoltà. Questa per me è la rabbia positiva. Ma quando la rabbia è dominata dal fuoco, dalla paura, dall'odio, può trasformarsi in una bomba nucleare che vuole distruggere tutto e tutti. La rabbia è un sentimento che, se non viene espresso, resta imprigionato nel nostro corpo e si trasforma in malessere e malattia. Ma per esprimere la rabbia è necessario avere il controllo su di essa, perché l'ira potrebbe imprigionarci e farci perdere il contatto con la realtà, con l'educazione e il rispetto verso gli altri. Nella rabbia traduciamo i nostri disagi, le nostre paure, le nostre fragilità. Attacchiamo per non essere attaccati, per difesa. Ma la rabbia produce altra rabbia. È difficile restare calmi e pacifici di fronte a un’esplosione di aggressività, perché è arduo restare indifferenti e ci si fa travolgere: vediamo chi urla più forte, vediamo chi picchia con più vigore… Se riuscissimo a contare fino a dieci e restare sufficientemente distaccati quando una persona reagisce con arroganza, potremmo cercare di entrare in empatia con lei e scoprire cosa realmente scatena questo fuoco, cioè cosa c'è nel cuore della persona che non riesce a spiegarlo forse neppure a sé stessa. Lo psicologo Marshall Rosenberg ha sviluppato e diffuso un processo di comunicazione, chiamato ‘comunicazione non violenta’, che permette di entrare in sintonia con il nostro interlocutore per comprenderne la rabbia e la violenza, che può essere sia fisica che verbale, e suggerisce come aprirsi ad una maggiore comprensione per accogliere i bisogni e i sentimenti degli altri senza pregiudizi, ma con empatia. È un processo semplice, ma non facile. Sicuramente una sfida con noi stessi, con i nostri condizionamenti culturali e le etichette che siamo abituati ad incollare sugli altri. In sintesi, secondo me, la rabbia può rappresentare un momento di crescita, ma spesso nasce dall’esigenza di difendere il proprio territorio, sia materiale che mentale, un territorio dove non vogliamo fare entrare nessuno. Ma al tempo stesso è una richiesta di aiuto e comprensione. Tutti gli operatori che si occupano di terze persone, quali bambini, malati, anziani, dovrebbero sempre riuscire ad entrare in empatia di fronte a comportamenti rabbiosi, ma anche tutti noi possiamo esercitarci a comprendere la nostra e l’altrui rabbia quando siamo alla guida o in fila al supermercato o dal medico. Concludo riportando una frase di Aristotele: “Tutti sono in grado di arrabbiarsi, è facile… ma arrabbiarsi con la persona giusta, con la giusta intensità, nel modo giusto, nel momento giusto e per un giusto motivo, non è nella facoltà di tutti e non è un compito facile”. E desidero ricordare l’insegnamento del filosofo indiano Osho Rajneesh e cioè quanto sia meraviglioso far sentire l'altro rispettato, non umiliato, non distrutto, ma sostenuto. Perché l'amore e la comprensione per gli altri ci fa sentire nutriti, liberi e ci scalda l'anima in profondità.

L’IRA PUÒ ESSERE POSITIVA?

   Francesca


L'ira o rabbia è una forma di reazione e/o risposta da parte di una persona a situazioni sfavorevoli. In psicologia, si parla per lo più di ira e sono riconosciute tre tipologie: la prima è denominata ‘rabbia frettolosa ed improvvisa’ e si collega all'istinto di difesa o autoconservazione da parte dell’uomo e dell’animale. Si manifesta in caso di pericolo quando il soggetto si ritiene tormentato o intrappolato. La seconda forma, chiamata ‘rabbia costante e deliberata’, è una reazione alla sensazione di subire un trattamento ingiusto, o un danno da altri soggetti. Come la prima forma, anche questa è episodica. La terza forma è invece legata più a tratti caratteriali. Si parla di irritabilità, villania e scontrosità.
L’ira è in grado di mobilitare risorse psicologiche positive, che correggono dei comportamenti sbagliati, ed è l’espressione di sentimenti negativi sulle controversie da risolvere. D’altro canto l’ira può rivelarsi ‘distruttiva’, quando non trova un adeguato sbocco di espressione; una persona irata può infatti perdere oggettività, empatia, prudenza e senso di riflessione e causare danni ad altre persone o cose. L’ira si può manifestare con l’aggressività fisica e verbale. Sono due cose distinte, anche se possono influenzarsi a vicenda. Quando la rabbia è eccessiva e non giustificata da eventi contingenti diventa cronica, cioè patologica.
La rabbia è una pulsione, un sentimento che ha un’energia in sé incredibile, che porta a sfondare qualsiasi muro, perché è vitale e ti dà la forza per combattere tutto.
La rabbia non espressa porta a un senso di frustrazione, di fronte al quale o ti arrendi e anneghi nella negatività o reagisci con quella dose di energia che ti fa affrontare la vita con la giusta forza. Si tratta di quantità: una rabbia eccessiva ti preclude la possibilità di vivere bene, perché può paralizzare, inquinando e di conseguenza peggiorando il rapporto col mondo, con la vita in genere e con la gente, perché allontana da tutto e isola, dato che la gente ha paura delle persone troppo rabbiose che diventano aggressive. Mentre la rabbia incanalata bene è quella che ti apre tutte le porte andando nella direzione giusta per affrontare le situazioni frustranti con maggiore equilibrio. Si tratta di ‘trasformare’ le emozioni negative, co-me insegnano tutte le tradizioni volte alla reale evoluzione interiore dell'uomo.
Il rancore è la rabbia repressa, non espressa. Utilizzare positivamente il rancore mi sembra difficile, dato che a mio avviso accumulare rabbia creando rancore fa appesantire ulteriormente l'energia, che diventa inservibile per i nostri centri energetici, o ancora peggio potrebbe invertire la tendenza a metabolizzare l’energia, il che porterebbe a un’involuzione.
Diversi sono i motivi che portano ad avere un senso di frustrazione, ad esempio le ingiustizie subite di ogni genere, o gli ostacoli che si sono frapposti fra noi e i nostri obiettivi non raggiunti e che perciò ci portano a sentirci impotenti e frustrati, quindi pieni di rabbia. Probabilmente con un po’ di impegno si riesce a incanalare la rabbia, trasformandola in energia, cioè si può usare questa forte emozione per motivarsi in quello che si fa, nel perseguire un obiettivo. Chi sa ben sfruttare rabbia, ira e odio può farsi pervadere da una forza superiore. E siccome siamo umani, cerchiamo di sfruttare i nostri sentimenti.
Un’osservazione: aggiungerei che Dio repelle, oltre all'odio, la vuotezza che sempre di più sta prendendo piede all'interno dell'animo dei nostri contemporanei, che si impadronisce di loro quando non sono in grado di sentire più nulla, vessati dalle continue tragedie e messaggi di odio. Potrebbe essere uno spunto di riflessione interessante, almeno la rabbia e l'odio sono reazioni. L'impassibilità e l'indifferenza di fronte a tutto non lo sono.

SENTIMENTO INGESTIBILE?

   Paolo Majerù



La rabbia, un sentimento molte volte ingestibile. È molto difficile da governare quando ti prende, e spesso ci si mette nei guai per una sola parola detta per rabbia. Non è facile riuscire a prevenirla, ma se ci si riesce è un dono molto grande. Ci si può arrabbiare anche per niente, se si è già collerici per altri motivi. Il trucco sta proprio nel mantenere la calma il più possibile (cosa molto difficile). Purtroppo la vita oggi non è rose e fiori per nessuno. Ci si arrabbia facilmente per un nonnulla, perché siamo sempre sotto stress e sempre di corsa. Per un sorpasso in auto o per un parcheggio o per cose molto banali, che si potrebbero gestire se solo si contasse fino a dieci prima di rispondere a qualcosa che non ci va bene, senza cadere nella rabbia. La rabbia fa male anche ai nostri organi funzionali come fegato, stomaco eccetera. In poche parole, conviene non arrabbiarsi per essere sempre in forma e sentirsi bene con sé stessi e con gli altri. Per questo, come dice Renzi, ‘stiamo sereni’, che è meglio.

LA RABBIA: ALCUNI CONSIGLI PER L’USO E NON SOLO

   Mariangela


La rabbia è un’emozione che proviamo intensamente dentro di noi, si manifesta in tutti, grandi e piccini, per questo comprendiamo che è un’emozione innata.
Quando sentiamo rabbia vuol dire che sta succedendo qualcosa nel nostro sistema nervoso e in tutto il nostro corpo si possono manifestare variazioni fisiologiche come accelerazione del battito cardiaco, aumento dell’afflusso del sangue nella periferia del corpo, maggiore tensione muscolare ed ipersudorazione.
La rabbia può avere picchi in eccesso che definiamo ‘collera’, ‘esasperazione’, ‘furore’ ed ‘ira’; oppure di intensità minore che chiamiamo ‘irritazione’, ‘fastidio’, ‘impazienza’. In ogni caso si tratta di una risposta emotiva forte che, generalmente, si protrae per brevi momenti. In casi estremi si esprime con comportamenti come rompere oggetti, guidare l’auto velocemente, ma il più delle volte si manifesta verbalmente con l’alterazione della voce, che diventa intensa o minacciosa, ma poiché è una emozione che ci sfugge a volte sentiamo di non poterla controllare!
Numerosi sono i motivi per cui è possibile perdere la calma, per esempio quando consideriamo una persona responsabile di averci fatto un torto o procurato un danno, oppure ci arrabbiamo con persone a cui siamo legati, come genitori, figli e coniuge, in quanto proprio da loro ci aspettiamo di essere capiti e ascoltati, ma questo non si verifica sempre! Altre volte dirigiamo la rabbia contro noi stessi, ciò accade quando questa emozione si attiva a causa di una situazione e non di una persona, ma nemmeno la rabbia contro noi stessi ci libera da essa, anzi ci fa sentire peggio!
Pur essendo consapevoli che la rabbia è un’emozione innata, è utile imparare a gestirla, ma come farlo? Coloro che ambiscono ad una buona salute mentale hanno il dovere di imparare ad affrontare i loro attacchi di rabbia, lo scopo non è quello di imporsi di non arrabbiarsi mai, sarebbe impossibile, quanto piuttosto quello di cercare di sviluppare delle strategie per esprimere la rabbia nella maniera più costruttiva possibile.
Ecco alcune strategie per affrontare in modo produttivo la propria rabbia!
1) Contare fino a dieci...
E anche di più, se necessario, e attendere alcuni istanti prima di iniziare a dire e a fare qualsiasi cosa.
2) Non offendere...
Talvolta possiamo ferire offendendo coloro che ci circondano nei mo-menti in cui la rabbia ci assale, in questi casi si deve fare lo sforzo di trattenersi: utilizzare toni vio-lenti non solo non è d’aiuto per nessuno, ma aumenta la tensione danneggiando i nostri rapporti con persone che amiamo o che si preoccupano di noi.
3) Concedersi un periodo di riflessione...
Staccare completamente la spina per alcune ore riducendo al mi-nimo ogni stimolazione esterna, rifugiandosi in un ambiente tranquillo, abbassare la luce e provare ad ascoltare un po’ di musica rilassante.
4) Fare esercizio fisico...
Sono sufficienti trenta minuti per tre volte la settimana, è scientificamente provato che il movimento aiuta a dosare al meglio lo stress e ad affrontare con più lucidità le situazioni più complicate.
5) Non arrabbiarsi quando abbiamo fretta...
Non avere il tempo sufficiente per valutare la gravità di una situazione può scatenare rabbia immotivata.
6) Cercare di non portarsi dietro la rabbia quando si va a dormire...
Significativa è questa citazione: “Il sole non tramonti sul vostro stato di irritazione”. Benché non sia una prescrizione scientifica ma soltanto evangelica credo sia un ottimo consiglio. Una verità è che la rabbia interferisce seriamente sul nostro sonno, la nostra mente continua a lavorare senza sosta e l’adrenalina ancora in circolo può causare insonnia.
7) Giocare d’anticipo...
Quando certe situazioni non pos-sono essere evitate e si sa già che si andrà incontro a un momento di tensione è bene prepararsi decidendo già come gestire la situazione, questo esercizio può aiutare a vivere un momento difficile in maniera più lucida. Il controllo di questa forte emozione inoltre ci consente di continuare a mantenere una buona relazione con gli altri, siano essi familiari o amici.

CANE ARRABBIATO OGNI TANTO - MEMORIAL

   Augusto Mocella


Altri hanno trattato il tema della rabbia dal punto di vista filologico, cioè approfondendo la parola nella sua origine, sviluppo e articolazioni. Io cercherò invece di riflettere nel mio vissuto, in quali periodi sono stato più dominato da tale sentimento. Premetto che sono un tipo fondamentalmente pacifico. Ripensando tuttavia a periodi della mia vita, ho indi-viduato due stagioni. Una in cui, dopo l’elezione di Kennedy e la superata crisi dei missili a Cuba, il mondo, almeno quello occidentale, sembrava essersi rappacificato. In quel momento avevamo tre campioni di pacifismo: a ovest Kennedy, a est Chruščëv e a Roma Papa Giovanni XXIII. Il mondo sembrava incamminarsi per la pace mondiale, c’era solo da proseguire il cammino. Questa era l’estate del 1963, poi il 22 novembre di quell’anno, quasi in diretta in televisione Kennedy fu ucciso. Chruščëv, nonostante avesse avviato la destalinizzazione e aperto il dialogo con l’occidente, proponendo la ‘coesistenza competitiva’, fu deposto nel 1964. Le due potenze si accordarono per evitare almeno gli esperimenti atomici nell’atmosfera, poi in quel clima si lanciano nella gara per l’esplorazione dello spazio. Anche nella Chiesa Giovanni XXIII diede solo inizio al concilio, che quando finì sembrava già burocratizzato, ma morì poco dopo.
Ma la rabbia, dove sta? Sta che nonostante queste belle aspettative, già nel 1967 il Medio Oriente ribolliva con la guerra dei sei giorni di Israele e poi ci si accorgeva che era iniziata la guerra nel Vietnam.
Intanto nessuno, nemmeno i partiti più attenti al popolo riuscivano a capire la rabbia giovanile. Già in America i vari Bob Dylan e Kerouac, della beat generation, erano fermati dalla polizia per dei sit-in contro la guerra. Come pure i campus universitari erano schierati contro la guerra in Vietnam e la leva obbligatoria. Questi movimenti accesero la miccia e nell’anno successivo, il 1968, scoppiò il maggio francese. In Europa era una ribellione inizialmente pacifica contro la guerra e in ambito universitario contro la distanza fra studenti e cattedratici, detti ‘baroni’… La mia rabbia di riformista-progressista fu anche poi contro il terrorismo, perché una generazione andava in fumo così, con la violenza, mentre se tali energie fossero state incanalate per degli obiettivi più realizzabili avrebbero potuto dare molti frutti. Vi era molta incomprensione e poca comunicazione fra padri e figli. Purtroppo è andata così. Un altro periodo di rabbia, ma ero già padre a mia volta, è stato intorno alla fine del secolo e l’inizio del nuovo millennio. Anche la cosiddetta ‘globalizzazione’ mi ha fatto venire della rabbia, come tutte “le magnifiche sorti e progressive”, cantate già da Leopardi ne La ginestra. Dal 1989, caduta del muro di Berlino, fino al 2000, per circa un decennio abbiamo sentito i cantori della globalizzazione, ma dalla divisione del mondo fra est/ovest, contro i laudatori del pensiero unico, si è pervenuti alla divisione nord/sud. La rabbia sta in questo, che non si può andare avanti verso il cosiddetto progresso a occhi chiusi o mettendo la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi. Il progresso va e viene. Ce lo dicono le storie delle civiltà. Ora anche quella araba è calata ancora nel suo medioevo. È necessaria una grande accortezza e lungimiranza nell’affrontare i cambiamenti, per non pentirsene poi successivamente. Ora la rabbia può venire anche per come è stato fatto crescere nel tempo il terrorismo di matrice islamista. Chissà quante di queste rabbie ci verranno ancora… A prescindere da papa Francesco… che non sia la nostra unica speranza!

RABBIA RELIGIOSA (PARAFRASANDO ISAIA)

   Augusto Mocella


Quando o Signore permetterai finalmente che
le lance e le spade diventino aratri?
Quando o Signore permetterai che il lupo
E l’agnello pascolino insieme sul prato?
Quando il leone mangerà la paglia come un bue
e il serpente si nutrirà di terra?
Quando o Signore creerai cieli nuovi e terra nuova?

LA SOCIETÀ MI FA VOMITARE

   Darietto


Molto probabilmente una lattina è pesantissima, perché buttarla nel cestino educatamente sembra una missione impossibile, come pure le cicche di sigarette (che quando vengono spente, peseranno delle tonnellate, perché a raccoglierle, manco per sogno!!!), le buste della spesa, le brochure delle pubblicità che mettono in buchetta e finiscono stese per terra come se fosse il marciapiede a leggerne i contenuti, e tantissimo altro materiale. Sono poche le persone gentili che ci stanno attente, i più hanno un elevato grado di egoismo e menefreghismo. Ci sono oltretutto persone nei livelli alti che dovrebbero pensare all’ambiente, ma pensano solo ai soldi o chi sa a quale altro malvagio pensiero, come l’installazione di pannelli solari.
Non solo. Ci sono comportamenti che danno un tal fastidio, che dentro di me, la rabbia si accumula, come fa il magma dentro un vulcano e, prima o poi, esploderà contro la prima persona che me la fa grossa. La cosa più grave è nei comportamenti recenti delle ragazze, che si dice che siano come dei fiori, ma altro che fiori!!! Le vedo come rovi, con spine aguzze, estremamente appuntite, pronte ad attaccarti con le loro risatine del c#22o o proprio con le loro lingue biforcute come quelle dei serpenti. Quest’anno, sono stato colpito da un articolo di giornale in cui si parlava dell’arresto della baby gang di Piazza Spadolini: chi erano i capi? Ben tre ragazze! Sono come fiori? Non credo proprio. Il modo in cui sono stato aggredito dimostra proprio la violenza e la distruzione del lato femminile, cosa davvero inaspettata da parte di femmine, diventate bulle.
A parte tutto questo, comunque, il mondo dall’anno 2000 è molto cambiato ed in modo molto negativo. La TV è più scadente, l’euro ci è stato imposto senza democrazia, la politica è peggiorata, con grave conseguenza per l’economia e l’occupazione (quante menzogne s’inventano, pur di conservare la poltrona attaccata al cμδo; i cittadini non vengono nemmeno ascoltati e questa la chiamano democrazia!!!), i rapporti sociali sono in gravissimo declino, la gente ‘comunica’ solo con quel c#22o di Facebook (che io chiamo 'Fakebook', cioè libro falso, dalle c#22ate che vengono scritte e dai tanti account fasulli che contiene), Twitter e molti altri social network: questo mi fa venire, oltre ad una rabbia incontenibile, uno schifo totale!!!
Vedo una rabbia potente ma anche una sorta di stanchezza morale negli Italiani, tanto che i valori, tra cui l’amore e l’amicizia, vengono spazzati via in favore della violenza e del menefreghismo.
Mi sono fatto una teoria, denominata ‘I campi del deserto’. Mi spiego meglio. Guarda meglio il seguente riquadro:
Fai conto che siamo prima del 2000: tutti i campi sono verdi, rigogliosi e i proprietari sono persone altruiste e, oltre a curare il proprio campo, si prestano per far sì che gli altri campi rimangano verdi e rigogliosi. Ora guarda il prossimo riquadro in cui arriva l’euro e siamo dopo il 2000:
Ogni campo è chiuso dall’egoismo e dal menefreghismo, ognuno pensa per sé e se qualche campo muore a nessuno gliene frega un c#22o. Se qualcuno, ad esempio, si suicida perché non ha più un lavoro, può rattristare, sì, ma per poter cambiare lo stato delle cose, la gente non si impegna… SÌ, SÌ!!! È decisamente più importante andare allo stadio o ai concerti che manifestare, anche se ci si vede sottrarre il lavoro e un sacco di diritti, e i negozi chiudono!!! Dai, tutti quanti sul pulmino allo stadio o a un concerto!!! Dai, ma chi se ne frega se ci hanno tolto, ad esempio, l’articolo 18 sul lavoro e ci possono licenziare quando vogliono, no? E che dire della rabbia dei soldi che, a mio parere, bloccano molto il potenziale dell’uomo? C’è chi ha troppo e chi ha pochissimo e questo sbilanciamento è estremamente grave, bloccando l’economia e portando ad un crollo sempre più certo della libertà di commercio (vedi i negozi che ultimamente rimangono aperti solo per poco tempo, poi chiudono).
Inoltre, lo Stato è stato ‘commissariato’ da quattro governi non eletti (mentre saremmo dovuti andare a votare già dopo Monti; questo mi manda, non in rabbia ma peggio: IN BESTIA!!! Perché insistono a dire che c’è la democrazia, ma a mio parere, siamo sotto una partitocrazia, la quale è solo una dittatura a tutti gli effetti). E continuano ad alternarsi destra e sinistra… si sono visti i risultati… Arriva una nuova forza politica: perché non provarla? Mi viene da dire che la gente è stupida, continuerà a votare i dinosauri con le loro m&£%e: si vede che gli piace che l’Italia venga governata da personaggetti inetti.
Le istituzioni pubbliche, poi, non fanno nulla per la protezione dell’ambiente. Sul giornale ho letto che ci tengono alla lotta contro il degrado, invece noto che l’immondizia dai parchi e dalla strada rimane invariata; sono pochi gli spazzini che vedo ripulire: qui qualcosa non quadra e mi viene il dubbio che ci sia un veleno che scorre dall’alta alla bassa politica… Inoltre, alla faccia della democrazia, i cittadini sono invisibili: come hanno fatto col T-Day di sabato, domenica e nei giorni festivi, imposto senza chiedere a nessuno (democraticamente) se metterlo o no, a danno di anziani, invalidi e persone come me, che fanno fatica a camminare e hanno bisogno dei bus per raggiungere il centro: che rabbia, ma che rabbia, porca paletta!!!
A Bologna un assessore ha deciso che i pedoni devono bere la Red Bull per mettere le ali (risata: aaahhhhhaaaaahhh aahaaaaaaaaahhhhhaaaahhhh aaaaahhhhhaaahhhh aaaaahhhaaahhaaa!!!!!!!!!!), a favore delle biciclette: solo loro devono comandare sul marciapiede (a questo punto, bisognerà chiamarlo ‘marciaruote’, non credi? risata: aahaaaaahhh aaaaaaahhhh aaaaaaahh aaaaahhhh!!!!!!!!!!). In via Zanolini, ad esempio, i pedoni devono infatti bere la Red Bull (che ti mette le ali; risata: aaaaaaaaahhhhhh aaaaaaahhhh aaaahhaaaaahhhh aaaahhaaaa!!!!!!!!!!) per volare nelle isole che hanno segnalato per terra, mentre le biciclette possono tranquillamente sfrecciare su e giù per il marciaruote… Oh Santo Cielo, aiutaci tu per favore; fai venire un miracolo, altrimenti qui non sappiamo più come fare, con questa gentaglia inutile ed incapace!!!
Lascio questo argomento per dire poi che, in teoria, dovremmo essere noi giovani il futuro, ma a vedere la continua e imperterrita ‘invasione barbarica moderna’, ormai gli Italiani saranno solo un ricordo e questo mi manda, non in rabbia, peggio: IN BESTIA!!! La mia amica Miriam mi ha mandato una foto che dimostra come l’accoglienza sia impossibile, dato il grande afflusso: è sufficiente osservare le superfici dell’Italia e dell’Africa, come puoi vedere benissimo nella figura seguente:
A parte i numeri che parlano chiaro, si capisce ormai che non è più questione di cultura e di integrazione; gli immigrati e gli extracomunitari saranno utili e rimpiazzeranno… ma, non voglio entrare nell’argomento se no sembro razzista e non voglio… dico solo: POVERA ITALIA, diventerà ITAFRICA!!!
Una volta, su un cartello, ho letto: “Viva la vita”, ma francamente se debbo mettere in vita un figlio dico: “NO GRAZIE!!!”. Tempo fa, ho pensato persino di suicidarmi, mi sentivo inutile, mi sentivo solo un grave peso sui miei genitori, in quanto si vive di stenti: questo mi manda IN BESTIA!!!
Un’altra cosa che mi fa rabbia, è la falsa amicizia. Ci sono certe persone che dicono che gli manco, poi non mi chiamano e, peggio ancora, non si esce insieme: se lo si fa, ci si vede quando c’è qualche festicciola o una gita… Quindi a ogni morte di papa: questa non è amicizia!!! La vera amicizia è quando ci si chiama reciprocamente, ci si può parlare civilmente, con rispetto e senza vincoli, ci si può passare dei segreti, si esce insieme spesso e con voglia di vedersi (con affetto, con un abbraccio) e ci si aiuta: questa è la vera amicizia, come lo sono, per me, Alessio, Massy, il mio dolce zietto Francesco e, di recente, Maicon. Un affetto speciale lo voglio dedicare alla mia amica Francesca Zucconi, che mi ha aiutato tantissimo in questo periodo in cui ero pieno di rabbia, facendomi come da psicologa privata e, come nella pubblicità del Lindor dove si vede il cioccolato che scivola dentro un cioccolatino rotondo, lei mi ha insegnato a farmi scivolare la rabbia dentro quel cioccolatino e lasciarla perdere perché, come dice (credo) un proverbio, arrabbiandosi si fanno due fatiche, quella di incazzarsi e poi quella di scazzarzi (risata: aaaaahhh aaaaaaahhhh aaaaaaaahhhh aaahhaaaa aaaaaaahahhhaaahhaaa!!!!!!!!!!).

DAZZENGER

   Darietto


● Siamo in un negozio di accessori per bici e moto. Un ragazzo inciampa e urla: “Casco!” e il commesso: “Da ciclista o da motociclista?”
● Sapete dove si comprano i n-astri? In n-cielo…
● È sera e comincia a far buio. C’è una festa e un signore, per aiutare, sta cercando un modo di illuminare le lampadine e chiede: “Dove posso collegare questo cavo di prolunga per accendere le lampadine?”. Un altro risponde: “Io ho trovato una spina… ma di rosa!”
● Mistero del cibo: Il mine-strone, è esplosivo?
● Sapete cos’è un romanzo? È un racconto scritto a Roma da un manzo.
● Data la crisi economica di 2000 anni fa, Maria fu 'assunta' in cielo? (ringrazio Giovanni Romagnani)
● Sapete cos’è la circonferenza? Una conferenza in un circo (ringrazio Luigi Zen)
● Ci sono due amici che si incontrano. Il primo: “Ehi… Ho saputo che ti piace Enza”. E l’altro: “No, a Piacenza preferisco Bologna! “.
● Un signore si è perso e, incrociando un altro signore, tutto disperato gli chiede: “Mi scusi, sto cercando una piantina… Dove posso comprarne una?”. E l’altro: “Dal fioraio, qui all’angolo…”.
● Sapete cos'è un'amarena? Un'arena molto amata.

SE MI ARRABBIO VEDI!!!

   Concy


L a rabbia è un tema particolarmente sentito dalla sottoscritta: negli anni è stato necessario un lavoro lungo e faticoso su me stessa, affinché gli accessi rabbiosi non fossero troppo distruttivi e demolitivi nei confronti dei destinatari di questo mio sentimento. Il percorso ha avuto come scopo principale il raggiungimento di un importante obiettivo: riuscire a non farsi possedere dalla rabbia, ma essere in grado di possederla e gestirla. Come già ho avuto modo di scrivere in passato, avendo avuto una mamma piuttosto autoritaria e normativa, sin da piccola, pur di non incorrere in sgridate o punizioni, avevo convenuto con me stessa, che la cosa migliore fosse quella di osservare alla lettera le regole vigenti, in famiglia e negli altri contesti di vita. Tradotto in soldoni: ‘dire sempre di sì’. Il vantaggio è che così tutto è molto più semplice, perché dire dei no comporta di dare motivazioni e spiegazioni. Col passar del tempo, questa strategia si è rivelata dannosa nell’ambito delle mie relazioni interpersonali: chinare la testa senza riuscire ad esprimere il mio punto di vista e le mie ragioni si è tradotto in un sistematico mandar giù ‘rospi’ sempre più grandi, agevolando l’insorgenza ed il potenziamento di aspetti negativi quali insicurezza, frustrazione, insoddisfazione e rinuncia. Poiché è acclarato che ogni contenitore ha una determinata capacità, se il contenuto supera il volume del contenitore, fuoriesce, trabocca. Trasferendo questa immagine all’esperienza personale, quando i rospi ingoiati erano diventati veramente troppi... BOOOOOM! Esplodevo…
Fino a qualche anno fa, accadeva che di fronte all’ennesima prevaricazione, ingiustizia, imposizione di qualcosa da me non condivisa, le mie reazioni rabbiose raggiungevano magnitudo talmente elevate da far spavento, non solo agli interlocutori ma anche e soprattutto a me stessa. Riflettendo e analizzando i costi e i benefici di questo mio funzionamento, ho deciso di adottare la seguente soluzione: esternare e verbalizzare, di volta in volta, il punto di vista, il disaccordo e le insoddisfazioni personali, consentendo in questo modo alla rabbia di fuoriuscire a dosi accettabili. Una pentola a pressione difficilmente esploderà se la valvola di sicurezza funzionante lascerà fuoriuscire pian piano il vapore formatosi.

QUANDO HO LA LUNA STORTA

   Tina Gualandi


È tutta colpa della luna.
Quando si avvicina troppo
alla terra, fa impazzire tutti!
W. Shakespeare

uando ho la luna storta (o mi alzo col piede sbagliato) non sopporto nulla e nessuno. Chi mi ha vista in quei giorni mi ha detto che sono indimenticabile (in tutti i sensi). Generalmente mi alzavo con la luna storta quando ero indisposta, circa una volta al mese, e non sapevo come vestirmi, non sopportavo le persone che parlavano a voce alta in autobus, i colleghi che parlavano di cazzate e – nel periodo in cui insegnavo – tutti o quasi i miei studenti ‘pierini’.
Nei cinque anni in cui ho lavorato in Procura, dovevo combattere con la luna storta del mio magistrato. In quei giorni lei era tremenda, non sopportava niente e nessuno e se era molto incazzata arrivava a digrignare i denti. Durante una di queste ‘belle giornatine’ le ho sbattuto la porta sul muso e le ho detto che non si doveva permettere di trattarmi come il suo zerbino personale. Per un giorno intero ci siamo evitate come se lei e io avessimo la peste. Il giorno dopo eravamo amiche come prima, ma nessuna delle due ha mai ricordato e parlato di quanto era successo.

“CESARE, STAI CALMO!”

   Cesare Riitano


esare, stai calmo!”. Quante volte mi sono sentito dire da solerti energumeni in camice bianco questo esplicito invito alla resa senza condizioni! Mi sembra di rivedermi: accecato dall’alcol, con la voce rauca dopo la millesima Marlboro, livido in volto per una rabbia impotente e suicida; e poi sbraitante, furioso, allucinato, rissoso e titanicamente proiettato contro nemici invisibili, resi invincibili dalla mia inadeguata indole antagonista, ribelle, egocentrica… Stai calmo Cesare, stai calmo… continuavo a ripetermi legato ai ceppi, senza trovare consolazione. Un giorno, riacquistato parzialmente il senno, andai in biblioteca; qui, scansando gli sguardi terrorizzati degli studenti universitari, incrociai, nel reparto dei classici greci, un testo di uno strano filosofo presocratico: Eraclito. Dopo aver scartabellato annoiatamente per qualche secondo il tomo, il mio occhio si fermò su una sacrilega, ma salvifica sottolineatura tracciata da un precedente lettore, la quale, colpendomi direttamente al cervello, rimarcava l’importanza capitale del pensiero del Filosofo di Efeso. “Il conflitto è vita - diceva il testo - guai se una parte dovesse prevalere sull’altra, sarebbe la fine, la morte”. Ricordo che, scioccato, mi guardai intorno, sbalordito di quanto quelle poche righe disegnassero perfettamente il profilo della mia sempre tesa proiezione verso il mondo e gli altri. “Dunque – pensai - se combattere, lottare, essere sempre in perenne conflitto è vita, allora io sono vivo! E la mia rabbia – riflettei - è frutto di una naturale e giustificata guerra interiore che ti spinge verso la bellezza del domani! Devo solo adottare un piccolo accorgimento – proseguii, assorto come se fossi stato trafitto dallo Spirito Santo - devo spostare, sublimare, scaricare, sì, tutta la mia furente pulsione distruttiva e autolesionistica verso qualcosa, qualcosa di bello, utile, gratificante!”. Come scrivere quest’articolo per esempio! Spero vi sia piaciuto.

VORREI STARE BENE

   Simone


uanto è importante credere di poter arrivare a una risoluzione del ‘disturbo di personalità’? Da quello che ho capito è un brutto, brutto argomento di cui parlare, ma riuscire ad uscirne sarebbe giusto. Sarebbe bello avere meno ansia e non essere preda del panico. Sarebbe importante riuscire a star meglio, prendendo medicine, per un ciclo, contro una psicosi che galoppa, ed è stata curata finora con modesti risultati, già. Riuscire ad adattarsi, rallentando il passo e cercare di non fare mai troppo, forte!
D’altronde si deve pur mangiare.
Vorrei stare bene e avere una maggiore dignità. Una bella vita lavorativa, dove riuscire a tenere un’autonomia...
Nella vita è importante riuscire ad accontentarsi di quello che si ha, o di quello che si è.

QUALCOSA DI POSITIVO

   Paula Mencarelli


S ono affetta dal disturbo bipolare da più di vent’anni e in questo lungo arco di tempo la rabbia che avevo dentro, per una serie di eventi sfortunati, ha rappresentato un vero problema. Accadeva spesso che agivo la mia rabbia proprio con le persone che amavo di più: mio marito, i miei figli, i miei genitori, i miei fratelli, i miei suoceri. Non riuscivo a gestirla. Questo sdegno, questa grande irritazione per le cose del mondo, mi rendeva difficile la comunicazione con gli altri. Non riuscivo a godere della vita e pensavo che il mondo intero ce l’avesse con me. Il costante lavoro della dottoressa Caterina Bruschi e delle ‘mie’ infermiere Giorgia e Lucia, mi ha insegnato a gestire la mia rabbia e di conseguenza la mia malattia. La consapevolezza di tutto questo è stato il primo passo per capirmi e ascoltarmi. Così è passata anche la paura della mia rabbia. Ho accettato che avevo, sì, il diritto di arrabbiarmi, ma non di ferire le persone che amavo; perché la rabbia è un sentimento che ci permette anche di crescere, sempre però se riusciamo a gestirla. Per questo è importante un continuo lavoro su sé stessi, per cercare di incanalare la rabbia in qualcosa di positivo, come può essere la pittura e l’arte in genere, o semplicemente la lettura, lo sport, l’arte di cucinare, passeggiare... ciò che insomma ci fa bene!
Da circa due anni faccio parte del Collettivo Artisti Irregolari, nato nel 2014 grazie all’appoggio del Comitato Nobel Disabili di Jacopo Fo e al patrocinio dell’azienda AUSL di Bologna. Noi del Collettivo abbiamo tutti qualcosa in comune: l’interesse per l’arte, se si può definire tale, o comunque l’interesse di esprimere con la pittura ciò che siamo. Credo che per me la pittura rappresenti la libertà di essere quella che sono, giusto o sbagliato che sia; la mia forza è proprio ciò che sono, con il mio disturbo bipolare, le voci che sento, i miei errori e i farmaci a cui sono legata. Quando pitturo il tempo non mi fa più paura, i fallimenti svaniscono, non mi appartengono più, disegno, pasticcio con le dita… esprimendo il mio dolore, la mia rabbia, ma soprattutto la mia grande voglia di vivere, e perché no, anche la gioia. Mi sento speciale, unica… creatura splendida e inaffidabile che si isola dal mondo reale per volare, e la pittura mi permette di dare spazio alle mie ossessioni, alle mie paure e ai miei desideri. Grazie alla galleria virtuale, all’appoggio del Comitato e dei nostri educatori ci stiamo facendo conoscere e io spero che presto raggiungeremo un grande obbiettivo: una sede ufficiale tutta per noi con una mostra permanente del Collettivo Artisti Irregolari.
L’augurio che ci facciamo tutti noi è quello che il nostro bellissimo gruppo continui a crescere, vada avanti e che questa meravigliosa avventura del Collettivo Artisti Irregolari stimoli altri gruppi a fare altrettanto.

LETTERA ZEN SULL’ARRABBIARSI

   Lu Zen pass


A rrabbiarsi è da pensare dei cani arrabbiati.
All’uomo può capitare di sentire una tensione nervosa, il compito difficile è gestire in modo buono la nostra tensione nervosa per non fare del male a noi stessi e agli altri esseri viventi, come gli animali e le piante, eccetera.
Se si diventa nervosi ci sono senz’altro delle cause o motivazioni, comunque accade se si è persa la pace, la pazienza, la calma e così via.
Solo quando la persona è sola può conoscere o toccare dei momenti di pace, se sa rinunciare al proprio io e al proprio ego e fare così meditazione, per scoprire solo la percezione del respiro.
Se invece si ha a che fare con altre persone, occorre sempre attivare tanti accordi, come quelli degli strumenti musicali, altrimenti non si suona della buona musica.




RABBIA E PAURA

   Paolo Sanzani


Una volta di sfuggita incrociai il suo sguardo, e la memoria ritornò a quei momenti in cui lui acconsentì al mio T.S.O. Acconsentì senza sapere nulla di me, della mia vita dei miei stati d’ animo, solo una veloce firma ‘burocratica’ stabilì che non ero in grado di intendere e quindi dovevo essere rinchiuso da qualche parte... Rimase di stucco, sorpresa mista a sfida, nel sapere che probabilmente lo psichiatra era stato troppo celere ad attivare il T.S.O… Mi fu sostituito lo psichiatra. La ragione era: “Non si è prodigato troppo a dialogare”… Ma così fu!!!...
Ammetto, non stavo troppo bene in quel periodo, ma credo e ne sono convinto che spesso se ne abusi, di tale metodo (non per cattiveria, ma per mancanza di tempo e soprattutto qualità del tempo da dedicare ai pazienti).

…La paura trasuda dai tuoi gesti insicuri, dai tuoi occhi… È andata così!
Il rapporto con la psichiatria è stato un fallimento, quello psichiatra ci è andato giù pesante con i T.S.O. Non ti ha ascoltato un attimo, un momento in cui parlare di te… di tua madre, tuo padre. Che ne so dei difficili rapporti interpersonali che non riesci ad avere. Menti e sai di mentire, quando affermi che la terapia che hai interrotto volontariamente ti ha portato a tale situazione… Si sarebbe potuto ovviare con qualche colloquio in più, magari con la psicoterapia… Ma va sempre così! Non hanno mai tempo di qualità da dedicarti… La psichiatria non ha risposte.

...Lascio tracce del mio sentire… parole… parole se non decidi tu, decideranno gli altri per te!!!






CHE RABBIA! CHE RABBIA! CHE RABBIA!

   Lucia


D evo dire che una volta mi arrabbiavo più spesso, o meglio, mi infervoravo verbalmente e alzavo i toni, soprattutto quando pensavo che fossero calpestati i miei diritti. Ero polemica e combattiva anche se si trattava semplicemente di discussioni ‘sui massimi sistemi’, perché pensavo di difendere diritti universali e approfittavo della mia lingua sciolta per cercare di metter nell’angolo gli interlocutori. Con l’età, e con le ‘mazzate’, ci si smussa, si impara che il proprio punto di vista è solo per l’appunto un punto di vista, da difendere, certo, ma non da considerare sacro e immutabile. E si impara che conviene stare un po’ più zitti, evitare di ‘saltar su’, per ascoltare e comprendere gli altri prima di parlare. Ci si accorge finalmente, che è meglio evitare lo scontro, non certo per viltà, ma perché non serve a risolvere i problemi.
Cambiare atteggiamento mi ha sicuramente giovato: i miei rapporti in genere sono sereni, non mi capita praticamente mai di inveire contro qualcuno, né di ‘tirare piatti’ come dice il papa, né di andarmene ‘sbattendo l’uscio’ e se per caso qualcuno si agita non mi scompongo, aspetto che passi la buriana senza serbar rancore. Le mie arrabbiature di oggi, perciò, sono a freddo, praticamente corrispondono alle mie tante frustrazioni. Vorrei che le cose andassero diversamente, ma… ho dovuto imparare a prendere atto.
Però non ho rinunciato a combattere per le mie idee: lo faccio mettendo ‘le mani in pasta’, impegnandomi direttamente in ciò che mi sta a cuore. E qui viene il riferimento al titolo di questo scritto. Che rabbia, che rabbia, la storia del progetto ESP!!! È mai possibile che, dopo esser riusciti a far andare a regime la retribuzione degli ESP (c’è voluto un anno e mezzo per oliare l’organizzazione interna e per espletare tutte le complesse pratiche burocratiche) ci fanno un decreto che impedisce dall’oggi al domani di comprare i voucher?! E per giunta lo pubblicano sulla Gazzetta Ufficiale in giornata!!!
Ma il governo si rende conto dell’enorme problema che ha creato alle persone che contavano su quei poveri sudati soldini e a tutto il terzo settore che utilizzava il sistema voucher per sostenere persone in difficoltà?
E tutto ciò per puro calcolo di opportunità politica…
Che rabbia! Che rabbia! Che rabbia!






La giusta dose di rabbia

   Gabriele Beghini

L a rabbia è una reazione a uno stimolo. Nel relazionarci con gli altri o con il mondo esterno ci troviamo esposti a una grande varietà di sollecitazioni che possono produrre sensazioni negative. Sigmund Freud nel corso del suo ampio studio sulle nevrosi ha spiegato che, nella vita di ciascuno di noi, oggetti, parole ed eventi acquisiscono particolare significato associati alle esperienze soprattutto dell’infanzia. È così che un episodio può rappresentare uno stimolo che rievoca ricordi sgraditi e scatena reazioni talvolta sproporzionate. Si tratta quindi di reazioni soggettive, ogni individuo ha la propria scala.
Si potrebbe fare un’indagine, un questionario con tante domande, ad esempio: “Sei alla guida, fermo in fila, arriva il solito furbetto che supera tutti da destra e tenta di rientrare stringendoti, quanta rabbia in una scala da 1 a 10?”. Probabilmente qualcuno di noi nemmeno lo nota, non si arrabbia, qualcun altro al contrario sente un irrefrenabile bisogno di abbassare il finestrino e dirgli tutto quello che pensa di lui…
Ma al di là della sfera individuale, genericamente che cosa ci fa arrabbiare? Qualcuno che tenta di prendersi gioco di noi, un sopruso, una prepotenza, un maltrattamento, una mancanza di rispetto, un comportamento maleducato. Ci fa rabbia chi non sta alle regole, chi vuole passare avanti, chi abusa del potere. Ma non ci si arrabbia necessariamente con gli altri, può capitare di arrabbiarsi con sé stessi: un’occasione persa, una decisione sbagliata, una risposta affrettata, una gaffe. Oppure con il mondo intero: giornate negative, tempo atmosferico avverso, contrattempi, fatalità. In generale le reazioni possono essere esplicitate in vario modo, attraverso delusione, sconforto, scatti di ira, imprecazioni, violenza. Oppure nascoste dentro di noi. Nel primo caso siamo in presenza di uno sfogo che potrebbe anche fare bene. Può bastare qualche urlo per sentirsi meglio, talvolta è necessario, per far cessare un comportamento sgradito o per superare un momento di sconforto. Se non si sfoga la rabbia rimane dentro e causa malessere e perfino malattie psicosomatiche.
Per quanto riguarda i rapporti sociali, normalmente fra persone adulte e mature ci sono mille modi per comunicare e capirsi. Tanto che almeno sul piano teorico non si dovrebbe mai giungere con i propri comportamenti a scatenare reazioni di rabbia, o perlomeno chiarirsi con modi educati prima che le situazioni degenerino. Ma di fatto le casistiche sono estremamente variegate: rivalità, competizione, concorrenza e interessi antitetici portano a posizioni di scontro. Si usa dire: “Amico di tutti, amico di nessuno” a significare che prima o poi è necessario schierarsi, prendere una posizione, crearsi alleati, ma inevitabilmente anche nemici. Qualcuno sostiene che sopraggiungono i nemici nel momento in cui contiamo qualcosa. Vogliamo parlare dell’invidia? Non era ancora emersa in questa riflessione, ma ha un ruolo chiave nelle relazioni umane. Se uno di noi raggiunge una posizione di successo gli invidiosi prendono corpo e si scatenano. All’invidioso fa rabbia il successo altrui e guarda caso all’invidiato fanno rabbia gli invidiosi! Non è forse vero che ci fa rabbia qualcuno che diffama, che cerca di sminuire il nostro valore o di infangare la nostra immagine? Una posizione di successo ti espone. Per successo si intende ciò che viene percepito dagli altri (in particolare dall’invidioso, che è colui che ha tendenza distruttiva) e cioè passione per ciò che fai, felicità, approccio positivo alla vita, capacità, creatività, carisma. Divieni oggetto di provocazioni: è il prezzo del successo stesso. In ogni caso gestire le provocazioni è un’arte, per non cadere al livello del provocatore. Talvolta è meglio non cogliere, altre volte saper reagire con energia e determinazione. L’invidia è un brutto sentimento, parte dall’ammirazione ma poi degenera, diventa voglia di distruggere, diventa rabbia. La trovo talmente sgradevole che di tanto in tanto cerco di ripulire la mia sfera di amicizie dagli invidiosi, semplicemente allontanandoli. Credo fermamente che se un’amicizia diventa invidia vuol dire che oramai “è andata a male”, non si ripara più. Abbiamo sbagliato qualcosa, o era inevitabile? In ogni caso capire la causa non ne cambia l’effetto. Ciascuno di noi costruisce la propria sfera di relazioni e in questo modo diventa artefice del proprio destino. Secondo moderne teorie l’universo sarebbe un immenso ologramma ove creiamo una nostra realtà o una rappresentazione di essa. interagisce sul piano fisico ma anche sociale, in cui ciascuno con la propria volontà o interagendo con la volontà altrui modifica l’ologramma. Anche come ci proponiamo pare che determini gli eventi. I nostri anziani hanno sempre detto: “Gente allegra il ciel l’aiuta”, cioè… la fortuna sembra preferire chi è allegro e ben disposto, mentre l’arrabbiato sembra quasi che si auto-predisponga agli eventi negativi. Probabilmente la rabbia fa parte di quell’ampio ventaglio di sentimenti primordiali che ci accompagnano fin dall’infanzia. Con il sopraggiungere dell’età matura, con l’educazione e l’esperienza impariamo a gestirla. Dovremmo forse soffocare il sentimento di rabbia? Credo proprio di no, fa parte di noi, del nostro quotidiano. Dominarla sì, soffocarla no. La rabbia va vista come un segnale, un avvertimento. Sta a noi capirne la causa, valutare l’entità del problema che l’ha generata e fronteggiarlo. È un po’ come il dolore fisico, se non sentissimo dolore non ci accorgeremmo delle ferite! Piccoli impulsi di rabbia accompagnano le nostre giornate. Rabbia per una delusione, un rimpianto, per un’ingiustizia, per qualcosa che non si trova, o per non riuscire a far qualcosa. Ecco, proprio quest’ultima, la ‘rabbia di non riuscire a fare’, è un sentimento particolare, da non sottovalutare e che merita qualche riflessione. Contiene risvolti estremamente positivi, semplicemente perché non necessariamente sfocia nello sconforto, ma al contrario può rappresentare il giusto stimolo a impegnarsi di più. È una molla che si carica dentro di noi, un amplificatore del nostro potenziale. Non è forse vero che lo sportivo per arrivare a risultati eccellenti ci mette la giusta dose di rabbia?








Finché c’è vita c’è… RABBIA

   dott. Mariana Parera, psicologa e animatore sociale


L a rabbia è un segnale di avvertimento che è bene non trascurare: ci avvisa che qualcuno ci sta facendo del male, che i nostri diritti vengono violati, che i nostri bisogni o desideri non sono adeguatamente soddisfatti o, più semplicemente, che qualcosa non va”. Così inizia il suo libro sul discorso della rabbia Harriet Lerner. Prenderò come spunto questa definizione cercando di sviluppare l’argomento unitamente alle mie osservazioni e alle testimonianze degli anziani con cui lavoro. È mia intenzione illustrare in quale modo nelle strutture per anziani l'animazione può contribuire a gestire l'emozione della rabbia. Si noti che la parola ‘contribuire’ mette in rilievo l'idea di un contributo che può dare l'animazione, in quanto inserita in un contesto con altre aree (assistenziale, riabilitativa, medico-infermieristica, coordinamento) che non sempre si integrano. La rabbia è evidentemente un’emozione che si associa ad uno stato di disagio. Le fonti di disagio possono essere originate da stimoli endogeni o esogeni. Ad esempio un ricordo può modificare uno stato d’animo in bene o in male. Oppure un’esperienza della giornata può migliorare o peggiorare il nostro umore. Questo capita a tutti noi. La persona che arriva alle strutture per anziani non autosufficienti deve affrontare una realtà molto difficile da assimilare dal momento in cui non ha più la capacità di gestirsi da sola e ha dovuto allontanarsi dalla propria abitazione. Entra in un mondo dove la vita è di tipo comunitario, perde il contatto con le cose materiali che le appartengono, stravolgendo anche la sua vita di relazioni. Si pensi alle coppie in cui soltanto uno dei due si trasferisce per ricevere le cure necessarie. Indubbiamente il cambiamento colpisce anche la famiglia e non solamente il soggetto ricoverato. Per ciò si sente parlare dell’attenzione rivolta ai care giver, che sono coloro che seguono, coinvolti affettivamente, la persona in difficoltà, in questo caso l’anziano. Solitamente si tratta dei parenti. Un buon servizio assistenziale non perde mai di vista il disagio che provano anche costoro e opera conseguentemente assumendo a sua volta un ruolo di care giver nei loro confronti. All’avvio di una vita comunitaria rimangono in sospeso la privacy e la serenità della vita all’interno delle mura domestiche della propria casa, i ritmi e rituali quotidiani a cui si è abituati, la libertà di decidere come, quando, dove fare qualcosa o di non farla. Ci sono persone che non hanno mai amato aggregarsi o uscire da casa per incontrare altra gente. Eppure in breve tempo si trovano circondate da altri anziani in simili condizioni e anche dalle diverse figure professionali che, per la cura e il benessere dell’anziano istituzionalizzato, transitano interferendo a vario titolo nella sua sfera individuale. In occasione degli incontri di animazione, specie quando gli anziani si raccontano, è possibile venire a conoscenza delle loro esperienze di disagio, anche senza necessità di interpretarle. Mi sto riferendo alle persone che hanno conservato la capacità di giudizio e che sono in grado di riflettere e valutare da soli l’andamento della propria esistenza. Talvolta persone con risorse cognitive ben conservate lamentano di essere considerate poco capaci. In altri casi, in presenza di un maggior deterioramento cognitivo, la persona esprime disagio facendo uso del linguaggio non verbale, attraverso il corpo e la gestualità. Nella realtà appare utopistico che l’anziano si trovi in uno stato di agio assoluto. È così che la formazione per il personale che è in stretto contatto con l’anziano deve prevedere un continuo aggiornamento sul tema del dolore emozionale, per garantire la maggior qualità possibile in ogni e qualsiasi interazione con loro. Questo vale per tutte le figure professionali in campo. Il metodo Validation offre un modo d’approccio privilegiato in merito. I professionisti delle case residenza e dei centri diurni hanno a che fare con un’utenza in qualche misura sofferente per i motivi che ho descritto. Le persone mostrano il proprio disagio in vario modo. Con apatia, tristezza, ma anche con rabbia, quindi reazioni di collera, furore, ira o quegli stati di rabbia di minor intensità quali irritazione o fastidio. Può capitare ad esempio che si oppongano o facciano resistenza nei confronti di qualcosa che riteniamo opportuno o che è necessario fare. Cure assistenziali, di igiene, nutrizione, ricreazione, mantenimento di capacità. Mi riferisco ai nostri piani protocollari progettati per garantire salute fisica, mentale o spirituale. Possono divenire scontrosi, talvolta aggressivi, perché non accettano la realtà. Ovvero, non avendo più la capacità o non trovando più la forza per esprimersi, possono perdere il senso ultimo di voler continuare ad esistere. È ciò che si osserva in persone che sembravano molto più competenti di altre e manifestano improvvisi crolli. Noi siamo lì per aiutarli, per interpretare il dolore e per provare ad alleggerire lo stato di sofferenza. Per fortuna l’area specifica dedicata al benessere psicologico nelle strutture sta prendendo una dimensione sempre più ampia grazie alla presenza di animatori e di psicologi. In ogni modo, il contributo di queste figure non è una garanzia assoluta soprattutto in assenza di una filosofia ben definita e condivisa nel gruppo di lavoro. Un’intesa per costruire modelli di interazione con gli anziani e una buona predisposizione per arricchire le loro giornate. Per quanto riguarda l’animazione, si cerca di accompagnare l’anziano nel processo di adattamento alla vita comunitaria con azioni che mirano a promuovere una buona qualità della vita durante la permanenza nella casa. Gli interventi animativi non devono essere intesi solamente come l’arte di intrattenere o divertire. Sebbene l’aspetto ricreativo rivesta importanza significativa per agire sullo stato d’animo della persona, non è l’unico.
La professione dell’animatore socio-culturale comprende una ventaglio di mansioni tra cui la progettazione, la valutazione delle risorse e delle condizioni per avviare un’attività, l’analisi del clima che si respira nella casa (sereno, accogliente, amichevole, di unione, di collaborazione), i bisogni, i desideri, le inclinazioni e le preferenze, la forza di volontà e la predisposizione di un’utenza complessa, varia e non sempre facile da coinvolgere. L’animatore nella complessità del suo ruolo deve anche saper entrare ed uscire dai piani ricreativi e della produzione di manufatti artigianali dei laboratori.Saper andare oltre, perché ha il compito di aiutare l’anziano ad assimilare ed elaborare una nuova realtà. In alcuni casi tale compito è reso complicato, qualora l’anziano manifesti sfalsamento della propria identità. Ad esempio, c’è chi conduceva una vita serena e in piena autonomia, ed è bastato un ricovero in ospedale perché si modificasse radicalmente la sua esistenza. Da soggetto autonomo è passato a soggetto istituzionalizzato in casa residenza. In questo senso si può parlare di nuova realtà. Lo sfalsamento della propria identità si manifesta come discontinuità o mancanza di corrispondenza tra l’identità percepita (legata al passato) e le potenzialità residue attuali (legate al presente). Possiamo comprenderlo meglio con il seguente ragionamento: i processi di declino fisico e mentali, come la perdita della forza muscolare, le difficoltà di deglutizione, la diminuzione progressiva di funzioni sensoriali, i problemi associati con la memoria eccetera, non necessariamente corrono a pari ritmo del cervello, che ha il compito di processare il cambiamento. Nella mente spesso rimane impressa un’identità più giovane e vigorosa, dai tempi in cui si era forte, capace e competente. Per non cadere nella dura realtà c’è chi si difende afferrandosi alla vecchia identità. Può succedere che l’anziano da tempo in carrozzina dica: “Aiutami a scendere che devo andare via… a cucinare… mi aspettano i miei…”. Per lui/lei è chiaro che qualcosa deve fare, ma di sicuro ciò non ha a che vedere con la situazione attuale. Il rifugio nel passato, come spesso succede ad alcune persone è sicuramente più accettabile e confortevole rispetto al presente. Ma diventa anche fonte di rabbia e sconforto perché non trovando il modo per esaudire il proprio desiderio la persona si sente impotente. Non tutti presentano sfalsamento della propria identità, per esempio in alcuni casi di disorientamento accentuato l’anziano può vivere in un mondo tutto suo, senza che si osservino tracce di sofferenza nel nuovo contesto abitativo. Come abbiamo visto precedentemente, l’ombra della vecchia identità, cioè dell’essere competente e vigoroso, spinge tanti anziani a dire: “Non sono più capace”. Invece, una volta incoraggiati, quando riescono a vincere i timori e le ansie da prestazione durante le attività di animazione hanno una chance in più per ritrovarsi, accettarsi nella condizione attuale, scoprire una passione di cui erano ignari, accrescere il sentimento di tornare ad essere utile e percorrere esperienze che contribuiscono nella direzione dell’autoaffermazione. Ricordo una signora ultracentenaria che mi confessò: “Io dentro di me mi sento giovanissima”. Infatti per me era un piacere starle vicino, per la sua mentalità aperta. Provava a fare qualsiasi cosa, era di una gran freschezza, vitalità ed energia, sfidava gli anni e sé stessa con assoluta dignità. Questa signora elaborava in continuazione la trasformazione del suo essere e l’arresto progressivo delle capacità, aggiornando per così dire, la sua identità (vedi la mia precedente pubblicazione sul Faro n. 3 del 2015 sul tema "Il coraggio e l'Accettazione").
Attraverso e durante le nostre attività, non dobbiamo perdere di vista questi fenomeni associati all’identità. In qualche maniera, con il passaggio del tempo, l’identità ha bisogno di essere ‘aggiornata’. È possibile, anzi è necessario, offrire sostegno per l’elaborazione delle problematiche e per facilitare questo aggiornamento dell’identità. Le proposte ludiche di carattere cognitivo sono un’occasione per trattare argomenti associati ai fenomeni della memoria. Il vuoto di memoria è un’esperienza che scompensa molto a livello emozionale. Mi affascina vedere i partecipanti fare calcoli matematici in mezzo a un semplice gioco o eseguire operazioni di classifica e riordino di elementi mentre si ricreano. È un esercizio per l’attenzione, la comprensione, la memoria e il recupero del vocabolario, nonché stimolo delle funzioni sensoriali. Invece le attività ludiche che si orientano al mantenimento di capacità motorie aprono una porta per lavorare sull’accettazione delle menomazioni della fisicità. Condividendo le difficoltà e valorizzando i risultati ottenuti in un qualsiasi gioco, facendo sì che prevalga lo spirito di voler affrontare una sfida, si aiuta a riconquistare il proprio corpo. Un corpo con il quale man mano che passano gli anni si ‘dialoga’ sempre meno. Il fenomeno è facilmente osservabile quando li vediamo che prendono una cosa in mano, ma dopo un po’ non si ricordano più di averla. Sempre riflettendo per avere consapevolezza di ciò che diciamo e facciamo, noi animatori creiamo le condizioni perché il riconoscimento del corpo e delle capacità residue avvenga in modo positivo e senza frustrazioni. E questo richiede pianificazione accurata, creazione di giochi adatti, accostamenti di partecipanti con un livello motorio affine quando si fanno le gare a coppia, in poche parole: organizzazione. Ho illustrato minimamente come possiamo intervenire in contesti di tipo ludico. Ricordo una volta che nel salutare un ospite gli ho detto: “Buongiorno signore”, al che lui mi ha risposto: “Il signore non c’è più”. Faccio presente che ha parlato anche con il corpo. La sua espressione, il tono della voce ispiravano disperazione e malessere, voleva piangere. Attraverso il dialogo è stato possibile cogliere il senso polisemico della frase. C’era una componente religiosa di un Dio che non ci guarda più e, d’altra parte, la percezione di sé stesso con una dignità indebolita. “Ho bisogno di una persona che stia con me tutto il giorno, non dico per adesso, lo dico per un domani che avrò bisogno di fare le mie cose”. Non aveva perso la speranza di recuperare l’autonomia per riprendere la sua vita precedente. Per il momento non si sentiva in grado e piangeva perché temeva di non riuscire ad esserlo in futuro. In queste situazioni non c’è niente di ludico, ma deve esserci la persona dell’animatore a disposizione per dare sostegno. Il suo ragionamento esprimeva un forte disagio. Occorre un intervento adeguato alla situazione che faciliti alla persona sofferente, l’accettazione di sé e l’adattamento allo stato di vita attuale. Perciò l’animazione che si svolge nelle strutture e centri per gli anziani, ha bisogno di un adeguato inserimento e di supporto. Ho provato a mettere in rilievo come attraverso il cinema, le attività occupazionali, la musica, la letteratura e la ricreazione ludica, l’animazione socio - culturale contribuisce a rallentare i processi di deterioramento mettendo a disposizione stimoli e novità. Altrimenti saremmo costretti a pensare alla vita come il mantenimento del funzionamento fisiologico della persona in un contesto che ha più le sembianze di un ospedale che di una casa. Come spesso mi fan capire gli anziani dopo un periodo di assenza: “Una gran noia… una gran tristezza!”.
Ho anche parlato dell’importanza che ha la formazione per il personale in generale e per l’animatore, affinché possa venire incontro all’anziano aiutandolo a metabolizzare i processi associati all’identità e per l’adattamento alla vita comunitaria. È per questo motivo che ho introdotto l’argomento con la definizione di Harriet Lerner, affinché sia un chiaro che la rabbia che qualcuno manifesta è un ‘segnale di avvertimento’, che merita adeguati interventi a complemento dell’eventuale terapia farmacologica.

Fonti e Bibliografia:
Harriet Lerner, La danza della rabbia TEA S.p.A, 2005
Naomi Feil, Validation - Il metodo Feil, Minerva Edizioni, 2008
www.regione.emilia-romagna.it: Sistema Regionale delle Qualifiche “Animatore Socio Culturale”.








Che rabbia!

   L. L.


Un simpatico volume per bambini, Che rabbia! di Mireille D’Allancé, trad. A. Morpurgo, Babalibri, dipinge la rabbia come un grosso mostro rosso, che se si scatena spacca tutto. Però si può riuscire a rinchiuderlo in una scatoletta e a conservarlo, pronto per l'uso...


Un figlio dei fiori

   Matteo Bosinelli


R oberto Cosulich proveniva da una ricchissima famiglia di armatori triestini che si trasferì presto, per motivi di lavoro, in Sud America. Qui il giovane Roberto incontra il gioco degli scacchi, nella persona del Grande Maestro Hermann Pilnik, che si rende presto conto del notevole talento di questo giovane e lo segue perfezionandone le capacità. Ritornato in Italia, Roberto si dà all’agonismo attivo, conseguendo con rapidità straordinaria una posizione di vertice nello scacchismo italiano: esistono foto che lo ritraggono a Venezia, per un importante torneo, affiancato da una élite di fortissimi giocatori. Poi, la svolta: si trasforma in hippie, dorme all’ addiaccio, indossa maglioni rappezzati grossolanamente con fil di ferro, si fa crescere oltremisura barba e capelli, vive grazie ai premi in denaro vinti con le sue performance sulle sessantaquattro caselle.Inutile dire che su di me, allora tredicenne, una figura così interessante e fuori dal comune non potesse che generare una forte idealizzazione e suggestione e la creazione di un ‘mito’. È per questa ragione che nel 1976, al Torneo di La Spezia, dove allora vivevo, non perdevo occasione, ritagliando spazi alla mia partita, di diventare spettatore di un suo memorabile scontro contro il Maestro spezzino Marco Albano, formidabile giocatore anche lui, che si era concesso il lusso, pochi anni prima, di pareggiare contro Anatoly Karpov, futuro Campione del Mondo (Graz, 1972, Campionato del Mondo Giovanile a Squadre).
Guardando la partita fra questi due colossi incrociavo spesso lo sguardo di Cosulich: uno sguardo intelligentissimo e teso, per la partita che si presentava senza esclusione di colpi, come una corsa ad ostacoli sul ‘chi per primo riesce a precedere l’avversario e infliggergli lo scacco matto’. Non scorderò mai lo sguardo di Cosulich, rivolto a un bambino come me, che intuiva probabilmente solo qualche dettaglio, e marginale, della partita. Ed ecco, dunque, la partita.




RABBIA CRISTALLIZZATA IN LACRIME SILENZIOSE

   Francesco
       Da LiberaLaMente n° 48, dicembre 2012


I n un inconsapevolmente conseguito silenzio dell’anima, abilmente nascosto dietro un profluvio di parole sfuggenti che non vanno oltre la superficie, ogni prospettiva si annulla. E la stasi si impone, a limitare ogni passo entro uno stantio percorso circolare. Il bivio della scelta, pur se minima, diventa angoscia, ansia, con il suo carico di pensieri ad anticipare il futuro, sino a renderlo nebbia, uno smarrirsi nel vuoto. Questa paralisi che raggela, che ci consegna implacabile ad un pianto muto, fermenta occasioni perdute, persone svanite ad un orizzonte sempre lontano, irraggiungibile.
La paura suggerisce distanze che diventano però distacchi, oculatezza che si dimostra impotenza, pensiero che svela ferocemente e senza pudori il suo tradimento nell’essere vischioso e tristemente sterile arrovellarsi. E questa paura non tarda a tradursi in rabbia, in anelito di vita che bussa alle porte del nostro pulsare.
Ma è una rabbia che ben presto ha imparato anch’essa a rimanere cristallizzata in lacrime silenziose, che sanno scivolare in rivoli nascosti nel ripetersi dei giorni. A stringere in un morso la mano che non sa tendersi. A gettare parole le cui lettere leste si scompongono, per perdersi nel vento distratto di un non esserci.
A cogliere foglie secche di un autunno che pare non avere termine. Fino a che non ci si accorge che, nell'innocente leggerezza della danza di quella foglia, pur se fatalmente destinata a spegnersi al suolo, si può anche celare un inizio, il seme di un futuro leggersi con occhi finalmente allargati.
 






ARRABBIARSI È UN DIRITTO

   Milena Di Camillo
       Da LiberaLaMente n° 48, dicembre 2012


L a rabbia è una brutta cosa? Beh, certo bella non è. Né per chi la prova né per chi la dovesse subire. Tanto più se si traduce in parole, atteggiamenti o, peggio ancora, in azioni violente. Precisato questo, mi sento però di dire che si ha anche il diritto di essere arrabbiati. Non sempre e non comunque: sta senz’altro male chi si alza arrabbiato col mondo e va a dormire arrabbiato. In questi casi vale forse la pena di indagare le ragioni di quella rabbia costante.
Ma sta male anche chi non si permette di arrabbiarsi, chi si abitua all’autocensura e si impone l’autocontrollo come stile di vita. Questo non va bene. Tenersi dentro tutto, sublimando con un impeccabile self control pulsioni ed emozioni, si traduce in sofferenza silente che fa molti più danni di un salutare sfogo.
E poi non va bene nella relazione con gli altri. A me, anche per lavoro, è capitato di incontrare persone così (non tante, per fortuna) e ho avuto la sensazione di avere a che fare con robot, con alieni che pensavano di “'accontentarmi' con frasi fatte, sorrisi impostati, garbo di maniera, tutto secondo copione.
Talvolta ho provato pena per loro, talvolta mi sono sentita presa in giro. E mi sono arrabbiata.


Macigni di rabbia

   Francesco Valgimigli


Mastico macigni di rabbia
e la mia testa cade giù
per le scale,
e tu ridi come un cane,
signora fortuna,
e io mi arrampico
in cima alla torre
e i mattoni sono parole
ed è quasi l’alba
nel mio vecchio mondo.

Tutto precipita

   Francesco Valgimigli


Tutto precipita
e nella mente
piccoli pensieri
prendono l’abitudine
di bussare alla mia porta.
E io mi ritrovo
a tramare
un impossibile urlo
qui, dietro la porta.

La mia rabbia

   Francesco Valgimigli


E tu ritorni,
ritornano le tue
parole dolci,
i tuoi silenzi
carichi di promesse,
e io pago
la mia consumazione,
la mia rabbia.

L’attesa

   Matteo Bosinelli


Il lento e regolare scandire dei giorni,
nella speranza che il passato finalmente torni
nella successiva e mutevole seduta,
la costringeva a stare,
nel frattempo, dolorosamente muta.

La rabbia

   Marisa Ventura


RABBIA per sfogarmi
RABBIA per paura
RABBIA per sensi di colpa
RABBIA dovuta allo sfruttamento
RABBIA per complessi di inferiorità
RABBIA per ingiustizie
RABBIA RABBIA sensi di RABBIA
RABBIA perché ho sbagliato
RABBIA per contrasto
RABBIA per contrarietà
RABBIA che si nasconde
RABBIA “sotto sotto”
RABBIA provata con odio
RABBIA provata con amore
RABBIA per non violenza
RABBIA per starsene in pace
PER LA PACE
NELLA PACE
QUANTA RABBIA !!! ???
QUANTA RABBIA ???

Filastrocca sciocca

   Patrizia Degli Esposti


La rabbia
Ti mette in una gabbia
Se la trattieni
Ingoi dei veleni
Se la urli al mondo
Diventi iracondo
La rabbia
È come la sabbia
Granelli che pizzicano
Ed infastidiscono
Puoi scrollarla da addosso
Lasciarla in un fosso
Non farti tentare
Non urlare
Fai un lungo respiro
E fai come il ghiro...
Dormici su
E non arrabbiarti più

Scappo

   Marcella colaci


Scappo da ogni guerra
scappo a piedi scalzi
scappo e non posso darti
se non l'amore eterno.
Guardami e non farmi male
guardami e asseconda il passo
guardami e non ti stupire
di questo incredulo divenire.
La guerra dentro mi confonde
la strada sul burrone
la strada impervia di sassi
che a piedi scalzi fa male
ma non mi fa sentire
le urla e il pianto magri
di questo lungo andare
di questa primavera infame.
La barca è arenata
la barca in mezzo al mare
di nulla si è appropriata
di nulla è ancorata
di nulla se non di sale.
Lasciata la terra al porto
dimenticare ancor non posso
se tutto è ancora da fare
se tutto è pur senza amore.

Scampo

   Paola Scatola


Volevo che facesse scampo
ma vorrei che fosse triste.
Ed è così che nella penombra
mi appari bella.
Nel secondo ci sei tu,
nel soccorso ci sei tu.
L’immagine è rimasta funesta
ma il sole ricomparirà
sui tuoi occhi così
come ti lascio i miei:
nella rabbia profonda di un addio
ho lasciato anche Dio.

Giorni furiosi

   Francesco Valgimigli


Perdo il lume
e poi mi aggiro
dentro giorni
furiosi
come un disperato
in cerca del proprio circo
dove trampoli e sirene
già ballano un valzer triste
e un bicchiere di acqua gelata
alla fine della giornata
è il premio che mi attende
all’uscita del tunnel.

IL FURIOSO

L udovico Ariosto cominciò a scrivere L’Orlando Furioso nel 1504 e si può dire che continuò sempre a lavorarci. Dopo aver pubblicato una prima edizione in quaranta canti, nel 1516 cercò di darvi un seguito, che restò tronco. Continuò poi ad attendere alla pulitura e messa a punto della lingua e della versificazione, lavoro già visibile nella seconda edizione del 1521 e ad ampliare l’opera, fino alla vigilia della sua morte. L’edizione definitiva, in quarantasei canti è del 1532.
Il poema racconta come Orlando, da innamorato sfortunato di Angelica, divenne pazzo furioso, e come le armate cristiane, per l’assenza del loro primo campione, rischiarono di perdere la Francia. Racconta infine come la ragione smarrita del folle, contenuta in un recipiente, fu ritrovata da Astolfo sulla luna e ricacciata in corpo al legittimo proprietario, permettendogli di riprendere il suo posto nei ranghi.
Tema parallelo a quello principale è quello degli ostacoli al compiersi del destino nuziale di Ruggero e Bradamante, perché il primo non riesce a passare dal campo saraceno a quello franco per ricevere il battesimo e sposare la sua amata.
Nel poema viene descritto molto bene come Orlando viene pervaso da una rabbia improvvisa. Passeggiando in riva a un fiume, vede che i tronchi degli alberi sono pieni di scritte e incisioni, pensa che quella calligrafia la conosce e, come chi si annoia, prende a decifrare le parole. Legge: “Angelica”… Ma certo, è la sua firma! Angelica dunque è passata di lì. Intorno alla firma, cuori trafitti, nodi che si intrecciano, colombe: Angelica innamorata. E di chi mai? Orlando non ha dubbi: di lui… Ma su quei cuori e quei nodi c’è un altro nome accoppiato a quello di Angelica; un nome sconosciuto: Medoro. Perché Angelica ha scritto quel nome? Il nome di qualcuno che non si sa chi sia, di qualcuno che non esiste? Forse nella sua fantasia amorosa lo ha soprannominato Medoro, e scrive Medoro dappertutto perché non sa scrivere Orlando…
Chi di noi non si è trovato in questa situazione? Sperare che il nostro amato fosse innamorato di noi e ci avesse dedicato belle canzoni e cuori trafitti per lanciarci segnali amorosi… e scoprire invece che quelle canzoni, quei cuori trafitti non erano per noi, che quei segnali ce li eravamo immaginati… Insomma, che ci eravamo fatti un film.
Quando Orlando scopre che Angelica in realtà è innamorata di Medoro, la sua vita si trasforma in un rapido succedersi di sensazioni senza più un filo che le colleghi. Il pazzo va a zig zag per fiumi e selve, dal Rodano ai Pirenei, se un somaro gli capita davanti, lo prende per una zampa e lo scaglia per aria, se acchiappa un boscaiolo, lo strappa in due pezzi come se fosse di carta.
Anch’io quando sono arrabbiata me la prendo con chi capita, come il protagonista della nostra storia.
Orlando si è arrabbiato perché respinto, ma in realtà è stato punito da Dio perché si è innamorato di una pagana. Gli è stato perciò tolto il senno per tre mesi. Ma per fortuna Astolfo va sulla luna a recuperare il senno e glielo riporta.
Questa vicenda mi ha fatto riflettere sul tema della rabbia, e soprattutto sul fatto che contenerla è difficilissimo ed è facile perdere il senno, come è successo al nostro eroe.

DATEMI UN MARTELLO

P er il tema della rabbia ho pensato di ascoltare Datemi un martello di Rita Pavone. Questa canzone è molto divertente, perché la protagonista immagina di dare delle martellate a chi non le va. Però questo non è riferito a ingiustizie sociali, come si potrebbe pensare (e come invece era nell’originale statunitense, If I Had a Hammer di Pete Seeger e Lee Hays) ma a persone o fatti che possono suscitare rabbia in un’adolescente.
La cantante descrive quattro situazioni che si possono verificare in una festa immaginaria. La prima situazione parla della classica ragazza bellissima (quella smorfiosa con gli occhi dipinti) che tutti i ragazzi invitano a ballare lasciando la protagonista a guardare. Quante volte capita da adolescenti di sentirsi così… superate e umiliate da ragazze bellissime! La seconda situazione descrive un fatto molto classico, precisamente si parla dell’atmosfera che si crea nelle feste, quando le coppie stanno appiccicate e ballano i lenti con le luci spente. Quante adolescenti single provano dispiacere e si sentono sole quando vedono le altre coetanee che hanno qualcuno da amare e con cui ballare! Nella terza situazione Rita immagina di rompere il telefono con il fatidico martello, perché le telefonerà la madre e le dirà di tornare a casa perché suo padre sta per tornare; chi non lo farebbe nel momento in cui si sta divertendo? La canzone si conclude con un’immagine ironicamente truculenta: “Un colpo sulla testa a chi non è dei nostri, così la nostra festa più bella sarà”. Io identifico “chi non è dei nostri” con chi non ha voglia di divertirsi e trovo che questa ragazzina tutto pepe sia molto simpatica. Quello che mi colpisce è che nonostante tutto (la smorfiosa con gli occhi dipinti, le coppie appiccicate) la protagonista dice: “Saremo tutti amici e saremo noi soli”. Forse per ‘soli’ intende senza quegli scocciatori dei genitori… e cita alcuni balli dell’epoca, che vorrebbe fare, cioè il surf e l’hully gully: una vera forza!

CHE COS’È LA RABBIA

   LABORATORIO DI NARRATIVA - RTP Casa Mantovani


È uno scatto astioso d’infinito dispiacere.
Elena B.

La rabbia può accecare e far diminuire la nostra intelligenza: un buon antidoto è un esame di realtà.
Giampiero F.

La rabbia è una reazione a un torto subito, reale o immaginario.
Federico G.

La rabbia mi fa pensare a quando andavo a scuola e ai miei compagni di classe che entravano in competizione con me o che non rispondevano alle interrogazioni e si impegnavano per attirare le attenzioni dei professori.
Ilia A.

Se uno offende un’altra persona scatta la rabbia e si può arrivare alle mani. A volte si fraintendono le parole.
Stefano G.

LA RABBIA

   Centro Diurno di Casalecchio di Reno


Di rabbia io ne ho tanta. La provo spesso e più che volentieri, la vivo mal volentieri. Cerco di rasserenarmi, ma non sempre è facile farlo. In momenti di lucidità e di calma, e di riflessioni sul messaggio della fede cristiana, mi rendo conto della duplice inutilità di questa rabbia, per me e per gli altri. Ad esempio: la dipendenza cronica e perdurante dall’assuefazione al tabagismo fa sì che mi senta equilibrato e ben disposto alle relazioni umane quando dispongo delle sigarette, viceversa quando mi mancano mi manca anche lo stimolo che assume un ruolo primario nella conduzione della mia esistenza abituale. È in questi momenti che la mia serenità va ‘in fumo’, crolla l’impalcatura artificiale indotta dal tabacco. Sulle prime ne Drisento e se non corro ai ripari finisco seriamente per arrabbiarmi. Mi capita di alzare la voce e tirare pugni sui tavoli o sui muri. Non ne vado fiero, ma al tempo stesso confesso che vivo questi episodi come piccole prodezze, non avendo mai praticato lo sport della boxe.
Quando vedo l’aggressività degli altri non riesco a rimanere indifferente e quasi me ne sento contagiato.
Giovanni

Io mi arrabbio poco. È brutto quando uno si arrabbia, perché provoca la lite. Ogni tanto mi è capitato di avere qualche piccolo litigio con i miei genitori o mio fratello e abbiamo alzato la voce. Questo non mi è piaciuto e mi ha fatto stare male. Quando vedo le persone che si arrabbiano mi dà fastidio e vorrei che smettessero subito di discutere. Certo è meglio alzare la voce invece che passare alla violenza, ai pugni e ai calci. Quando vedo, ad esempio nei film, delle scene di violenza, provo molto fastidio.
Antonella

La rabbia si sviluppa quando non si ottiene ciò che si desidera ottenere. Per me spesso è così. La frustrazione in me può provocare come reazione un atteggiamento rabbioso. A seconda delle situazioni ci si può arrabbiare con sé stessi o con gli altri. Quando sono frustrato vorrei liberarmi di un peso, anche sfogandomi su un'altra gente… mi capita ogni tanto. Dopo di solito chiedo scusa.
Lorenzo

Cosa pensano i velisti della rabbia

...Mi arrabbio quando vedo le ingiustizie di questo mondo, ed anche quando non vedo riconosciuti i diritti.

...La rabbia, invece di quello che spesso si intende, ha anche connotati certamente utili se non positivi, come l’esorcizzazione della sofferenza e dei disagi interiormente e dolorosamente vissuti e non elaborati. Quindi, con la corretta canalizzazione, aiuta a superare gravi momenti.

...La rabbia è il fuoco dell'insoddisfazione che brucia nel vento dell'esistenza.

...La mia rabbia è non trovarmi in un pianeta solidale e rispettoso della natura stessa e dei propri simili.

...La rabbia per fortuna mi viene poco, però anziché esternarla nei limiti del lecito me la tengo dentro di me, e questo è un danno alla mia salute.

...La mia rabbia a volte mi fa pensare al suicidio?! E penso di portare con me le persone che mi hanno fatto arrabbiare.

...La mia rabbia personale invece è non sentirmi bello fuori quanto dentro e non trovare una persona accanto con cui trovarci in sintonia per un piccolo mondo felice, il mio, cioè un vero amore ricambiato.


I PROFETI

   Gilda Pappalardo


Gli amatori della vera musica sono fans a rischio della vita il come successo dei beniamini che creano e suonano e cantano.





Gilda Maria Losanna Pappalardo nasce a La Chaux De Fonds (Svizzera) il 24 Febbraio 1961. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera (scultura) e Bologna (scultura e pittura) dove si è diplomata. Attualmente vive e lavora a Bologna.

DIMMI E DAMMI

   Opola Resonive


Un bel giorno… “No, non dire così!”, sbottò con fare malinconico il papa, mentre si trovava nelle sue stanze private in Vaticano... Era rivolto al suo assistente, che desiderava convincerlo di quanto la proposta ricevuta fosse da approvare urgentemente. Il papa che era molto contrariato, non voleva dar seguito a una cosa che istintivamente gli sembrava sbagliata. “Non sia mai che faccia una cosa del genere”, aggiunse con decisione. Allora replicò l’assistente: “Lo deve fare per il bene del popolo, non si può tirare indietro… certamente… decide lei, però…”. Con fare confuso, sua santità si mise a rileggere accuratamente i fogli che gli avevano consegnato, ma la storia non cambiava, non gli piaceva. “Non lo farò, non potete obbligarmi, non farò mai una cosa del genere, non è approvata dalla mia coscienza, è contro ogni spirito cristiano e cattolico, contro un modo di vivere civile e accettato da tutti… All’apparenza la proposta può essere considerata giusta, ma non lo è, la decisione si ripercuoterebbe su milioni di innocenti che credono in me e nelle Chiesa come simbolo di giustizia, pace e carità!”. L’assistente si fece insinuante: “Vorrei spiegare un attimo tutti i punti: la creazione di un nuovo apparato a favore delle decisioni vaticane favorirebbe i pensieri dei papi futuri, che così non dovrebbero ragionare affaticandosi, avrebbero più facilità nello svolgere il proprio compito, aiutati, senza cadere nell’inganno di cui possono essere vittime. Non capisce? Se non può o deve fare qualcosa, allora qualcun’altro la farà al suo posto… Non può mettersi contro... Il papa ha troppi poteri, noi li ridurremo in cambio di una pace migliore, per un destino soggetto a una vita che deve dare il buon esempio alle pecorelle smarrite che cercano la strada per la salvezza. Una luce nel loro cammino. Così lei sarà sicuro di non poter sbagliare nei fatti e nelle parole e avrà l’appoggio dell’autorità ecclesiastica...”.
Allora il papa: “Amore per amore, dolore per dolore, ricerca di una felicità da donare a un popolo in cambio di un aspetto di burattino… Non mi lascerò convincere a farmi muovere da altri, ma solo dalla luce di Dio che mi dona la vita. Non voglio deludere i desideri e pensieri di libertà che gli uomini hanno su di me, penso, rifletto, scrivo e parlo senza essere condizionato da nessuno. Dimmi: chi sono io, perché sono qui? Il disegno divino non può desiderare che l’odio si propaghi fra gli uomini mascherato da amore. Insomma, cosa vuoi da me... Dammi la possibilità di svolgere il mio compito in assoluta autonomia, in ricerca della pace interiore, ma con la voglia di adirarmi per ciò che non condivido, senza essere costretto ad accettare... Libero di arrabbiarmi...”.

RICOMPONGO UN CANTO

   Paola Scatola


Ti desidero: ricompongo un canto: il mio. Se mi vuoi ancora, io ti voglio, se mi chiedi ancora io ti chiedo. Così come viene, mi prendi e mi spendi. Ed è per qualcosa che mi sento, e mi districo in te, con arroganza, con permissivismo: è la sola cosa che mi chiami ‘Amore’.
Così vieni a me nella bell’ombra di un destino effimero, di un destino particolare.Che... ‘amore’ è? L’amore dei poveri, che mi prende il cuore, l’amore dell’umana gente che si spende in un minuto, per me e per te, nell’esempio del dissenso umano che sei con me. Nella luce del senso e dell’avverbio, che ti chiesi asilo, ‘Italia’!
Non solo, fu anche per l’amore di lui, ma per l’amore di lei, furono i potenti a decidere di me per me. Ma fu anche il mio dissenso, così come viene adesso l’amore dell’estrema unzione che ti tiene con me, che ti tiene quella mano, quella mano su di me. Nella mano ho di te le comuni cose che ti oppongono a me, e così ti appartengo nel bene e nel male, nel desiderio di accendere quella lampada assortita di baci.
Ti obbedisco quando c’è il clamor di gloria, ma mi assento nell’assenteismo più totale, quale l’ora dell’amore: così ti propongo me nel nulla e nel vento che mi circonda, cantando insieme a me un’ode che si chiama amore. Ti abbraccio con passione tra languide carezze e baci, mi disapprovo solo se, unendomi al sacrificio umano dell’amore, non t’assaggio nei baci di cattivo costume, che tu mi dai.

CIAO, IVONNE!

   Lucia


Festeggiata e rifesteggiata, prima dalle associazioni al Provvidone, poi da amici, utenti e colleghi nel quadriportico del Roncati, anche la dottoressa Donegani è andata in pensione…
In questi casi non si sa se rallegrarsi per l’amica che finalmente dopo tanti anni di lavoro indefesso può finalmente godersi un po’ di libertà, o mettere la bandiera a mezz’asta perché il fare insieme perde una colonna portante... Cara Ivonne, la torta parla per noi: ricordati che c’è il volontariato! Nelle nostre associazioni, che hai sempre incoraggiato e sostenuto, fermamente convinta dell'importanza dell'inclusione sociale nei percorsi di recovery, troverai un posto caldo per te.
Non vogliamo farti fretta, ma siamo sicuri che prima o poi sentirai la mancanza del mondo in cui per anni hai trascorso giornate senza fine, rispondendo a tre persone alla volta e contemporaneamente… al cellulare.
Ti abbiamo anche visto arrancare per i corridoi del Roncati, azzoppata per un infortunio, ma decisa comunque ad essere presente.
Hai sostenuto per anni Psicoradio e il teatro di Arte e Salute... E sappiamo quanto ami il nostro Faro. Tante volte, nonostante la stanchezza e le tensioni del tuo difficile ruolo, prima di inforcare la bicicletta per tornare finalmente a casa a tarda sera, hai trovato il tempo per fermarti a scambiare un saluto cordiale. Noi qui abbiamo avuto la gradita sorpresa di veder tornare al timone Angelo Fioritti, perciò non ci sentiamo troppo sperduti, ma ci manchi… Vieni presto a trovarci!!!
Ciao, Ivonne! Tanti affettuosi auguri per questa nuova fase della tua vita.





 

OPERE DEGLI ARTISTI IRREGOLARI BOLOGNESI: PAULA


S ono Paula Mencarelli, non ho titoli, umilmente mi sono avvicinata alla pittura per puro divertimento, poi è nata la passione di migliorare e mettermi in gioco. Di origini marchigiane, di Fano, sono nata in Canada il 23/01/1964.
Ho lavorato per due anni come coordinatrice in un progetto di salute comunitaria in Bolivia (Sud America) per la Cooperazione Internazionale, poi per trentatrè anni come infermiera all'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna.
Ora mi dedico al volontariato come operatrice occasionale nel campo del disagio psichico.

Paula




I dipinti riprodotti qua sotto sono dell’artista Paula