Piergiorgio Fanti

Carlo Bossoli: “Danza tartara”

Fabio Tolomelli

Editoriale

L. V.

La festa: un patrimonio dell’umanità

Mariangela

La festa

Augusto Mocella

Gioia, giubilo, baldoria

Gabriele Beghini

Festa e divertimento

Francesca

Il mio compleanno e l’anno nuovo

Concetta

Che cos’è per me la festa

Enomis

Un amico nascosto

Lu Zen pass

Pensierino Zen sulla festa

Luca G.

I miei compleanni

Lucia

La fatica di festeggiare

Patrizia Degli Esposti

Prendere l’autobus

Paula Mencarelli

Cerca la festa

Aruma Sebastian Yanez

La festa

Anna Maria Pareschi

La festa del cuore

Paolo Majerù

Dov’è la festa?

IL TIMONE
      Valeria Cimonetti     Una festa da pazzi
INSERTO: LA COMUNICAZIONE
      Mariana Elena Parera     La festa… quel tocco di emozione
      Diana Tura     La festa della porchetta
DEDICATO AD ARIANNA LO SPAZIO DELLA POESIA

 

      Marcella Colaci     Mi piace credere
      Marisa V.     Risata
      Piergiorgio Fanti     San Remo junior
      Annarita Baratti     Donna
      Annarita Baratti     Sei il sole
      Annarita Baratti     Le donne
      Enomis     Amici del cuore
      Marcella Colaci     Che regalo mi hai portato?
      Annarita Baratti     Il mare con le sue onde
      Elena Baragatti     Sai e sai essere…
      Annarita Baratti     Sognando di stare insieme a te
      Enomis     Pianto
      Maurizio     Gli alberi e la neve
      Piergiorgio Fanti     Una festa che resta
      Maurizio Leggeri     Per te donna
      Filippo Fenara     Soli insieme
      Maurizio Leggeri     Il tuo respiro
      Maurizio Leggeri     Amore platonico
      Giacomo Corticelli     Un mondo stupendo

Cristicchi

Il sabato del villaggio

Francesco Valgimigli

Un giocattolo dispettoso

Luca G.

Come ho passato l’ultimo giorno del 2017

Paolo Sanzani

I Post-it

Matteo Bosinelli

Un campione proveniente da La Spezia

LO SFOGATOIO
      Marshal Monaco     Fumare
      Simone Riva     Per la cronaca

Ghiaccio Sinistro

Traiettorie trasversali

Franco Battiato

Testi di canzoni

DAI GRUPPI DI SCRITTURA
      Casa san Giacomo     Aria di festa
      C.D. di Casalecchio     La festa
      R.T.P. Casa Mantovani     Festa è…
      Gruppo La Vela     Dal diario di bordo
I RACCONTI
      Chiara     Nel tempo dei tempi
      Patrizia Degli Esposti     Novella in festa
      Opola Resonive     Ride per la ridda

Fly

Il fumetto : Orizzontali e verticali

Andrea Giordani

Dipinti

                                                                                                                     
CARLO BOSSOLI:
“Danza Tartara”

   Piergiorgio Fanti




I l luganese Carlo Bossoli (1815-1884) cercò di superare gli stilemi romantici, nei suoi quadri brulicanti di figure, dedicandosi a un’attività per così dire di pittore ‘reporter’ (anche di guerre), con un’attenta e sapiente resa della prospettiva.
Pittore di grande talento, lavorò con fare esatto e di attentissima illustrazione a dare testimonianza, con personale tecnica coloristica, degli avvenimenti e dei panorami a lui contemporanei. I suoi numerosissimi dipinti e disegni trattarono pure temi risorgimentali. Negli ultimi anni di vita il Bossoli si stabilì a Torino e in questa stessa città morì. Pittore sensibile al vero, cercò una via personale alla resa delle sue sensazioni ed emozioni, non dimenticando il dato oggettivo. Qui l’arte trovò vertici assai raffinati e significativi.

EDITORIALE

  Fabio Tolomelli


D a quando sono uscito dalla morsa asfissiante della depressione ogni giorno è una festa e ogni momento è buono per stare in allegria. Però non sempre è stato così: durante i giorni più bui, quando a causa della malattia non potevo fare alcun tipo di lavoro, tutti i giorni erano uguali. Tutti tristi e privi di significato. Se potessi dare un consiglio a quello che ero, non mi direi “la vita è bella”, anche se in realtà lo è, ma mi consiglierei di fare un ciclo di terapie posturali per tornare in armonia col mio corpo. Nel mio caso anche la respirazione a causa della malattia si era bloccata per le tensioni emotive, ma soprattutto era viziata da un controllo ossessivo del tono della voce. In sostanza cercavo di evitare che nella mia voce si sentissero segni dell’emotività. Lo stesso vale per quanto riguarda la corporeità: non accettavo di avere tic e nevrosi motorie ed ero in continuo autocontrollo del mio corpo e dei miei movimenti. Cari lettori, se pensate a quanti problemi mi facevo, potete immaginare quante energie sprecate o mal investite avevo. Poi c’erano tutte le ossessioni, le compulsioni, le varie psicosi e tutta la vita sociale profondamente compromessa. Non avevo una compagna e vivevo di ricordi. Il ‘qui e ora’ era troppo soffocante da accettare: sensi di colpa, paura del futuro, aspetto… ‘rincoglionito’ per effetto dei farmaci. In questo contesto per lungo tempo non c’è stata festa. Ma cos’è la festa? Secondo Wikipedia, per ‘festa’ “si intende la ricorrenza spesso a cadenza calendariale di un importante evento laico o religioso della vita pubblica o privata. I modi, i motivi e il calendario delle festività variano a seconda delle tradizioni dei popoli”. Il termine ‘festa’ ora lo associo ad altri che sono: ‘felicità’, ‘libertà’ e ‘riposo’. Purtroppo non tutti hanno la possibilità e la fortuna di fare festa durante il weekend. Le feste che preferisco sono quelle religiose di Natale e Pasqua: quando la famiglia si riunisce, ci si scambiano i regali e il calore affettivo aleggia nella tavola imbandita per la festa. Anche le vacanze estive hanno un ruolo importante nella mia vita. La possibilità di staccare e interrompere la quotidianità per starmene in serenità con mia moglie lontano dai problemi è una sensazione molto gradevole. In effetti quando ero piccolo vivevo in modo differente le feste, sicuramente erano più spensierate. Pensavano a tutto i miei genitori o i miei nonni. La cosa più bella era non andare a scuola: poco mi cambiava se andare al mare, o dai nonni, o restarmene a casa e incontrarmi con gli amici, l’importante era non avere compiti da fare, cosa che rimandavo sempre a domani. La mia tendenza a rimandare la soluzione dei problemi da adulto mi ha messo in difficoltà, creando un ‘ingorgo’ di problemi intricati, di troppe cose rimandate… In sintesi, i nodi prima o poi vengono al pettine… La festa trasmette la pace e tranquillità necessaria per mettere a posto le cose. Quando si è di buon umore, anche i problemi più dolorosi si vedono con maggior distacco, divenendo di più facile soluzione. Il divertimento è un’altra caratteristica della festa. A volte è un evento casuale, come può essere un goal della mia squadra preferita, a farmi festeggiare, anche se capita in un giorno feriale. Altre volte è la ricorrenza in sé a offrirmene l’occasione. Ora posso fare il lavoro che ho sempre sognato, fortuna enorme al giorno d’oggi, e non sento tanto il bisogno di staccare, perché sono molto gratificato da quello che faccio e ogni giorno è festa. Riconosco che se facessi l’operaio in fabbrica vivrei in un altro modo il weekend. Lo so che non è facile poter dire che la vita è bella in termini assoluti. È questione di punti di vista. Il dubbio viene quando subiamo lutti di diversa natura. Ma se la prendiamo nel suo complesso la vita è fantasticamente meravigliosa e ogni giorno che passa è effettivamente una festa. Leggiamo Il Faro che parla di festa e apprenderemo punti di vista diversi per come rendere più festosa la nostra esistenza. Divertirsi fa bene!

LA FESTA: UN PATRIMONIO DELL’UMANITÀ

   L. V.

A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di
casa e attraversare la strada, e tutto era bello…
Cesare Pavese La bella estate

N on succede spesso a un giornalista di essere accolto con feste, musica e danze. A me e al collega fotoreporter è capitato in Nigeria ogni volta che abbiamo visitato qualcuno dei numerosi villaggi nascosti nell’immensa foresta che si estende nel delta del Niger. Eravamo lì per realizzare un reportage sulla presenza dell’Eni in quest’area ricca di giacimenti petroliferi. Per arrivare a questi villaggi le uniche vie di collegamento erano le acque ramificate del fiume Niger da percorrere in barca. Il primo contatto con un villaggio nigeriano è stato per me una sorpresa: appena siamo scesi dall’imbarcazione, ci sono venuti incontro sul pontile decine di bambini con grida festose, gli abitanti sono usciti dalle capanne per salutarci, il capo del villaggio ci ha offerto una bevanda e volentieri ha fatto una chiacchierata con noi. Poi, nel piazzale, un gruppo di ragazzi e ragazze, accompagnati dal ritmo dei tamburi, ci ha dedicato una tradizionale danza di benvenuto che ci ha sorpreso per la perfetta sincronia e naturalezza. Nei villaggi del delta del Niger la cultura della festa fa parte di un’antica tradizione che, in varie occasioni, coinvolge tutta la comunità: si festeggia l’ospite, la nascita, la morte, il matrimonio o avvenimenti particolari. La festa, la musica e i balli fanno parte anche del rito funebre. Lo abbiamo scoperto arrivando in un villaggio durante il funerale di un vecchio. “Festeggiamo il bene che ha compiuto nella sua lunga vita”, ha spiegato un parente. Ed è tradizione che una vita ben vissuta debba essere ricordata e festeggiata con molta musica e balli, che accompagnano il defunto nel suo viaggio verso una vita migliore nell’aldilà.

Funiculì, funiculà Ma non ci saremmo mai aspettati una festa di musiche e danze lungo una pista che attraversava la foresta congiungendo via terra due villaggi vicini che fino ad allora potevano essere raggiunti solo con barche. La pista era stata realizzata da una compagnia petrolifera che aveva abbattuto gli alberi per posare un oleodotto. Si trattava di strada effimera che in pochi mesi la fertile foresta avrebbe ricoperto con la sua folta vegetazione, tuttavia per gli abitanti dei due villaggi la novità del passaggio attraverso la foresta era diventata un evento da festeggiare insieme. A me venne in mente la canzone Funiculì, funiculà con la quale, alla festa di Piedigrotta del 1880, i napoletani festeggiarono la funivia del Vesuvio: tutto il mondo è paese. E tutto il mondo cambia. Nei paesi più ‘evoluti’, le trasformazioni della società industriale hanno progressivamente intaccato quella dimensione comunitaria e popolare che si ritrova ancora nelle feste di alcune comunità etniche. Ma anche queste comunità sono sempre più raggiunte dai cambiamenti epocali della globalizzazione culturale, economica e tecnologica che coinvolgono tutte le aree del mondo. In diversi villaggi nigeriani sono arrivati la luce, il frigorifero, il televisore, la scuola, pompe per l’acqua, e ambulatori medici. Molti giovani trovano lavoro nell’industria petrolifera, lasciano le capanne e vanno ad abitare nelle case in cemento delle città, ma conservano un forte legame con la propria tribù. Nessuna nostalgia perché, nonostante enormi problemi e contraddizioni, anche in paesi come la Nigeria il progresso sta progressivamente migliorando gli indici della durata e della qualità della vita. Ma tra le sfide della globalizzazione c’è anche quella di salvaguardare culture e tradizioni che – come molte feste, musiche e danze africane - l’Unesco ha inserito nel patrimonio immateriale dell’umanità.

Un incontro gioioso La tradizione italiana è ricca di feste mariane e patronali, molte delle quali sono state riconosciute dall’Unesco. Anche i numerosi carnevali, con le loro maschere e carri, fanno parte delle feste popolari da salvaguardare. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, con l’ingresso massiccio della cultura del consumo, la società italiana è stata coinvolta da una profonda trasformazione che ha modificato anche la nozione di ‘feste popolari’, allora considerate da molti una consuetudine in via estinzione. Ma da diversi anni - forse per reazione alla globalizzazione - molte regioni, città, e paesi italiani hanno cercato di rivitalizzare antiche feste tradizionali. Contemporaneamente è cresciuta la consapevolezza dei cittadini e degli amministratori che, nei nuovi scenari caratterizzati da forti e continui cambiamenti sociali e culturali, questa rivitalizzazione debba essere accompagnata da moderne iniziative che consentano di recuperare il senso della festa. Non è una sfida facile, tuttavia diverse città hanno avviato iniziative in questa direzione. Come la pedonalizzazione del centro di Bologna dove, nelle strade libere da auto durante i weekend e le giornate festive, la folla rumorosa, i gruppi musicali, i mimi, i giocolieri, gli artisti di strada, i bambini che giocano, i cani scodinzolanti, danno vita alla festa gioiosa e gratuita dell’incontro fra tante persone che si percepiscono amiche.

LA FESTA

   Mariangela


D a sempre uomini e gruppi sociali sentono il bisogno di interrompere lo scorrere del tempo e la quotidianità degli eventi con momenti di festa. La festa è un’occasione per rinsaldare i legami familiari e di amicizia. Si festeggia per ringraziare, per ritrovare riti e gesti, per vivificare simboli e significati. La festa può essere espressione individuale o collettiva, per quanto si è ricevuto: possiamo ricordare ad esempio gli antichi riti per il raccolto e la mietitura. In Italia sono molte le occasioni per festeggiare, ricorrenze religiose solennizzate da riti e cerimonie come Pasqua, Natale, feste patronali, e poi sagre paesane, la festa della donna, della mamma, del papà… La festa può comprendere intrattenimento pubblico, come il capodanno, o privato, come compleanni, battesimi, cresime, matrimoni, lauree… In ogni caso si esprimono manifestazioni di allegria, gioia, esultanza. Riguardo al tema qui trattato, la mia curiosità è andata oltre: da una ricerca per mezzo di internet ho appreso l’esistenza di una festività che si svolge nelle Filippine, un arcipelago dell’Oceano Pacifico che comprende settemilacentosette isole. È un’area frequentemente colpita da terremoti e tifoni, ma anche piena di risorse e una delle zone più ricche di biodiversità del mondo. Il nome le fu imposto dall’esploratore Ray Lopez de Villalobos in onore di Filippo II, re di Spagna dal 1556 al 1598. Un tempo le Filippine erano sotto la dominazione spagnola, oggi sono un grande paese, il dodicesimo più popoloso del mondo, e nelle isole convivono varie etnie, che condividono usanze, tradizioni e festività. Una di queste è il tradizionale ‘festival dei fiori’, che ogni anno si tiene per l’intero mese di febbraio a Baguio, una città che si trova sulle montagne a un’altitudine di oltre 1500 metri sul livello del mare, che viene completamente decorata con fiori.
Il festival ha nome panagbenga, che significa ‘stagione di fioritura’ e si riferisce alla primavera, la stagione del risveglio della natura dopo il freddo invernale. È un evento che regala immagini di allegria, per la cascata di colori che lo caratterizza. Il festival è nato per rendere omaggio alla generosità della natura, ma è diventato anche un modo per festeggiare la ripresa dopo il terribile terremoto del 1990. Spettacolari sfilate si svolgono con carri allegorici decorati con fiori coloratissimi e seguiti da ballerini che indossano costumi ispirati alle piante e ai fiori e danzano nelle strade. Oltre ai tanti Filippini che arrivano dalle altre isole, turisti provenienti da tutto il mondo visitano Baguio e si lasciano piacevolmente trascinare negli allegri festeggiamenti.
E voi, volete festeggiare? Venite alla ‘Trottola’! Che cos’è? È un progetto dell’associazione I Diavoli Rossi, supportato dal DSM di Bologna. È un momento di incontro che si tiene ogni due settimane a Casalecchio di Reno, presso il Centro Sociale di via Canonica. Si svolge di sabato, per evitare la solitudine del fine settimana e per decidere assieme il programma domenicale. È un’attività di integrazione sociale, pensata soprattutto per coloro che non hanno possibilità di accedere a occasioni di svago e hanno difficoltà a gestire il tempo libero. Oltre a vari momenti culturali, la ‘Trottola’ promuove attività ricreative. Gite in città d’arte o al mare, balli di gruppo e partecipazione a spettacoli di ballo popolare internazionale, visite alla fattoria didattica, cinema, teatro, karaoke, e la tradizionale festa natalizia. Un programma all’insegna del divertimento, motivo di festa e di gioia, ma anche un modo per stare insieme, per trascorrere il tempo in modo costruttivo, e dimenticare per un momento i nostri problemi. Quando la festa è condivisa, la soddisfazione è maggiore, e maggiore è anche la forza per affrontare le difficoltà quotidiane.
Buone feste!

GIOIA, GIUBILO, BALDORIA

   Augusto Mocella


P er ‘festa’ si intende la ricorrenza annuale di un importante evento laico o religioso della vita pubblica o privata.
Il significato etimologico viene dall’aggettivo latino festus, ‘solenne’ e dall’espressione dies festa, ‘giornata solenne’, gioia pubblica, giubilo, baldoria.
C’è festa religiosa come il Natale o la Pasqua; c’è festa popolare come il carnevale. C’è poi la festa civile come la festa della Repubblica, il 2 giugno. La festa comunque è una pausa gioiosa nel trascorrere dei giorni, uno iato tra i giorni ordinari.
C’è soprattutto l’astensione dal lavoro obbligatorio. Quindi è anche un momento per raccogliersi in famiglia con parenti, amici. Anche le feste civili si passano, ordinariamente, insieme a persone consone, che la pensino in modo unanime.
La festa vissuta in famiglia è un momento di intimità e raccoglimento per ripetere antiche tradizioni e riti. Questo fa sì che anche nella cucina e nei pasti vengano seguite le ricorrenze, con cibi particolari e tradizionali. Questa ripetitività fa ritornare nella memoria e nel gusto quanto è stato fatto negli anni passati. Alcune feste sono anche occasione per scambiarsi regali e ciò fa sì che tutti si ricordino delle feste: Natale, Befana, Capodanno.

FESTA E DIVERTIMENTO

   Gabriele Beghini


N on è necessaria un’occasione speciale o una ricorrenza, si può far festa anche in un giorno qualsiasi. L’importante è portar con sé lo spirito di chi ama la vita sociale, di chi si vuole divertire in compagnia e dimenticare per qualche ora i problemi quotidiani. ‘Festa’ è una parola che immediatamente associamo a qualcosa di piacevole, solo a pronunciarla suscita entusiasmo, a ogni età. Indimenticabili le prime feste da bambini o da adolescenti, giocavamo ad essere grandi con le musiche di Grease e Saturday Night Fever. Poi con il crescere le feste hanno assunto aspetti goliardici, motivi di incontro, di ricreazione, di concertazione. Fra compagni di scuola, gruppi sportivi, universitari, colleghi di lavoro, gruppi culturali eccetera... Tanti modi di far festa, ma con un denominatore comune: il divertimento.
Ridere, gioire, star sereni fa parte dei nostri bisogni primari come nutrirsi e dormire e, soprattutto, aiuta a stare in salute. Le feste private sono quelle destinate a una ristretta lista di invitati; le pubbliche, invece, aperte a tutti: è il caso ad esempio delle feste paesane, in cui gli spettacoli fanno da coronamento alla promozione di attività turistiche e prodotti locali. Folclore, religione, usanze e specialità costituiscono il filo conduttore delle feste di paese. Gli spettacoli si combinano con stand e bancarelle, le strade si riempiono di gente. Le autorità locali si adoperano in ogni modo per valorizzare il territorio: gli eventi attirano i partecipanti, si promuovono così le attività artigianali, agricole e commerciali, contribuendo in poche parole allo sviluppo dell’attività economica territoriale. Le feste private, invece, nascono con l’intento di riunire amici o conoscerne di nuovi. Quando si è in pochi si può organizzare in casa, altrimenti in giardino o in un locale. Ma gli ingredienti sono sempre gli stessi: invitati ben assortiti, ambientazione, addobbi, bevande, accompagnamento musicale, programma. Tutti elementi che concorrono in varia misura alla buona riuscita dell’evento, alcuni marginali, improvvisabili, altri da programmare con cura, da non trascurare affatto. Agli organizzatori il compito di creare le condizioni per far sì che tra gli invitati si instauri una sensazione di agio, la giusta atmosfera che favorisca situazioni divertenti e serenità. Tutti noi, per star bene e divertirci, abbiamo bisogno di un giusto mix di ambientazione e stimoli. Siamo ‘animali sociali’ con una forte tendenza ad adeguarci al contesto. Capaci di esser crudeli e distruttivi se collocati in un ambiente inadeguato oppure al contrario positivi, ben disposti e perfino comici se la condizione è stimolante. Mai capitato di accorgersi che solo con alcune persone o in alcuni contesti ci escono con facilità le battute divertenti? In realtà facciamo parte di un sistema sociale in cui tutto è interconnesso. Chi ci sta intorno trasmette segnali che possono essere incoraggianti, di approvazione, che in poche parole influenzano favorevolmente la nostra emotività. Ma è sufficiente la presenza di un individuo invidioso, inaffidabile, negativo insomma, per rompere l’incantesimo. Ci poniamo sulle difensive, si genera una condizione di disagio che può cambiarci l’umore, ostacolare o addirittura inibire la nostra naturale espressione. Sui rapporti interpersonali ci sarebbe tanto da dire, è un argomento molto ampio e interessante. Ci sono persone che si capiscono con uno sguardo, che ridono delle stesse cose. Altri che inizialmente si respingono e poi successivamente, conoscendosi meglio, si attraggono. Ma anche individui completamente incompatibili, che si sopportano a fatica, che si evitano per non scontrarsi. Amicizie difficili, parentele, rapporti di interesse, perfetti sconosciuti, semplici conoscenti, ma anche amicizie sincere, incondizionate, tutto insieme a rappresentare un sociogramma complesso, con una fitta rete di interrelazioni. Situazioni dinamiche, in continua ridefinizione che contribuiscono a creare la magia della festa oppure, talvolta, a contrastarne la buona riuscita.
contribuire al successo dell’evento ci possono esser figure più o meno formalizzate: presentatori, trascinatori, animatori, ma anche cabarettisti, comici, barzellettieri. Ruoli che richiedono il giusto carattere e soprattutto la capacità di mettersi in gioco. Preziosissimi i talenti di coloro che sanno organizzare, coinvolgere, trasmettere entusiasmo e divertire. La festa inizia, si parte bendisposti, con l’abito elegante e l’aspetto curato. Poi si entra nel vivo, si incominciano a formare gruppi, è così che ci si relaziona: seguendo le indicazioni dettate dalle affinità. È proprio con le persone preferite che chi ama la compagnia e crede nell’amicizia trova modo di condividere i momenti piacevoli. La festa segue un percorso, assume nuove connotazioni, evolve. Si balla, si canta, si raccontano episodi e barzellette. Ma purtroppo non tutto riesce sempre bene, la perfezione non esiste: può capitare una torta mal riuscita, oppure la musica che distorce, la stufa non scalda, un cantante con il mal di gola, manca qualche invitato a cui tenevamo, il caminetto fa fumo... Basterà un’avversità a rovinare la nostra festa? C’è chi sostiene che l’effetto positivo o negativo di ciò che accade dipenda in gran parte dal nostro modo di reagire. Cioè siamo noi che modifichiamo la realtà, o quantomeno l’impatto che suscita. In effetti una situazione avversa, se affrontata con l’umore giusto, può anche scatenare una bella risata, generare cioè una situazione divertente, perfino capace di mutare una festicciola insipida in un evento memorabile. Sta nell’abilità di chi conduce il gioco coglierne le sfaccettature, i retroscena, gli aspetti ludici. Non si può negare che un episodio può presentarsi sfortunato e comico allo stesso tempo. L’amico che non riesce a infilare il rubinettino nella tanica intanto che la birra continua a fuoriuscire in pressione, forse non ride molto, ma fa sicuramente ridere chi lo sta osservando!
E pure lui, se sa stare allo scherzo, si divertirà nel prosieguo o quando si riguarderà nei filmati! Ogni festa contiene entrambi gli embrioni: del successo e dell’insuccesso. Uno solo dei due si svilupperà e sarà opera nostra. È proprio così: la vita non è mai perfetta, e neanche le nostre feste lo saranno mai, ma la buona riuscita dipende da noi stessi, dal nostro approccio, dal nostro atteggiamento. Semplicemente direi che il divertimento è già dentro di noi, dobbiamo solo consentirgli di materializzarsi.

IL MIO COMPLEANNO E L’ANNO NUOVO

   Francesca



C ompio gli anni il 1° gennaio, quindi questo giorno è per me una doppia festa: il primo dell’anno e il mio compleanno. ‘Festa’, si fa per dire, perché per me ogni anno che passa è un supplizio, pensando che alla fine ‘invecchio’. In sostanza il mio compleanno, da quando ho compiuto trent’anni, lo vivo male, perché non fa che ricordarmi che mi sto avvicinando a un’età più ‘matura’, o peggio ancora, che mi sto allontanando dall’età giovanile. Ma solo da un punto di vista biologico, togliendomi qualsiasi entusiasmo… Se tralascio questo aspetto, e penso invece al fatto che gli anni passano per tutti, ma che sono quelli che ci sentiamo che contano, allora mi sento sollevata. Agli auguri di buon compleanno preferisco quelli di un felice anno nuovo, perché il capodanno mi fa pensare a un rinnovo, un cambiamento sempre in meglio del futuro, quindi a un senso di continuità e di vita. La maturità e il buon senso, che la vita insegna inevitabilmente a sviluppare, fanno apprezzare quello che si è, così come la personalità, lo spirito e il nostro animo col tempo si arricchiscono con l’esperienza di vita con i suoi alti e bassi. Il nostro ‘aspetto’ interiore si riflette anche su quello esterno. Abbiamo una bellezza diversa da quella ‘dell’asino’, cioè dell’età giovanile, ma più profonda, che ci rende molto più interessanti. E vedendola da questo punto di vista… non è poi così male. Fra l’altro io credo che dopo la morte ci sia una nuova vita che ci aspetta. Termino con questa citazione: “Il male non è che fuori si invecchia, è che molti non rimangono giovani dentro” (Oscar Wilde).

CHE COS’È PER ME LA FESTA

   Concetta

L a parola ‘festa’ riconduce in automatico a un evento allegro, gioioso, che in molti casi è così importante da sottintendere e sottolineare: fatti e ricorrenze storiche, culturali, folcloristiche, scoperte, innovazioni, fasi della vita… Il Natale è una festività importantissima, che racchiude in sé diversi eventi religiosi che si traducono concretamente in circa due settimane di vacanze in moltissimi paesi del mondo. Per noi cattolici ci sono poi i battesimi, le cresime ed i matrimoni e le feste dei santi patroni. E ancora: compleanni, feste e sagre paesane, le manifestazioni in ricordo di fatti di grande risonanza, come la scoperta dell’America, il 2 giugno, il 25 aprile, la presa della Bastiglia eccetera. Purtroppo la mia esperienza, risalente al periodo delle elementari, ha condizionato non poco e in maniera negativa la percezione e il vissuto in corrispondenza di eventi festivi. Vi racconterò il perché: ogni anno, nel periodo delle vacanze scolastiche, il mio paesello subiva, sistematicamente, un ripopolamento sostanziale, dovuto alla riapertura delle seconde case di famiglie native del luogo, ma trasferitesi a Roma anni prima per lavoro, che in coincidenza della chiusura delle scuole si godevano circa tre mesi di vacanza. Solitamente arrivavano ai primi di giugno, per ripartire il lunedì successivo alla prima domenica di settembre, giorno della festa di Santa Costanza, patrona di Rosciolo. Per tutti i bambini residenti, ogni giorno diventava una festa, gli orari delle uscite, ma soprattutto dei rientri, erano super elastici. I vicoletti del paese erano tutti occupati da piccole comitive di ragazzini, dediti ai nuovi giochi importati dalla capitale, ma anche ai giochi paesani all’aria aperta: salta cavallo, il gioco con le ‘schiazze’ (schegge piatte di rocce), il fatidico gioco della bottiglia per cui i bacini sancivano e giustificavano l’inizio della storia di coppiette di fidanzatini, le scampagnate, i pic-nic, i ‘gavettoni’, la palla prigioniera, la palla avvelenata eccetera. Già da dopo ferragosto iniziavano le prime avvisaglie della fine dell’estate, così ero sopraffatta da momenti di tristezza nel pensare che la festa patronale era alle porte e, con lei, lo svuotamento di Rosciolo, l’arrivo del freddo, delle abbondanti nevicate…
Sì, perché voglio ricordare che il mio paese è a mille metri di quota ed è situato alla base della terza vetta più alta dell’Appennino Abruzzese, il monte Velino, e quindi il ritorno alla noiosa routine, con la riapertura delle scuole, i vecchi orari. Il lunedì dell’esodo, tutti tristi, gli occhi inumiditi dalle lacrime, a mo’ di vedette ci schieravamo sul balcone del bar di Olimpietta, da dove si poteva osservare lo snodarsi lento del serpentone di macchine stipate di persone e di cose, ben composte e assicurate al portabagagli da corde di vario materiale, che con un incedere lento come in un corteo funebre via via scompariva dalla nostra visuale. Dopo la perdita dei miei genitori, questo disagio è aumentato, soprattutto durante le festività natalizie che, se dipendesse da lei, la sottoscritta le salterebbe a piè pari, a causa del valore intrinseco e del peso emotivo che la società, ma anche la religione, ha attribuito a questo periodo.

UN AMICO NASCOSTO

   Enomis


ome mai sono bambino?” e poi guardai avanti e vidi un uomo in abito scuro che risaliva un palazzo con una corda; pensai a un ladro, ma poi si voltò verso me e gli vidi la faccia; era una maschera scura con due parti rette sopra, era Batman. D’improvviso da sopra il tetto comparve un antagonista che gli tranciò la corda e lui cadde verso il basso, ma poco prima di toccare il suolo un nuovo personaggio lo abbrancò e lo mise in salvo, era Robin. Io con i miei occhi da bambino feci un applauso, felice che fosse andata bene. Mi voltai e la sveglia stava suonando; mi stropicciai gli occhi e mi resi conto che Batman e Robin li avevo solo sognati. Quel giorno non avevo voglia di andare a lavorare e consapevole che l’orario era ancora giovane, mi voltai dalla parte opposta nel letto. Poi, attanagliato dai sensi di colpa, mi preparai ed uscii per andare a lavorare. Mentre ero in macchina, nel traffico, mi resi conto che era il giorno del mio compleanno, ma al lavoro non lo sapevano. Essendo una persona timida, certe cose le tenevo per me. Arrivai al parcheggio. Entrai in ufficio e mi misi nel mio angolo con le dita sulla tastiera ed il volto verso lo schermo.
Arrivò presto l’orario di pranzo e nell’ora della pausa ricevei qualche chiamata d’auguri, in prevalenza di parenti. Durante la giornata ero sempre più depresso, perché nessuno mi faceva gli auguri. “Grande stupido - pensai - se non lo dici!”. Ma ero troppo timido per annunciarlo, poi in quel posto, dove lavoravo da poco. L’apice della mia amarezza l’ebbi quando venni a sapere che quel giorno compiva gli anni anche il Papa. Mi rimaneva l’ultima ora di lavoro, finalmente. Sarei dovuto andare con un ragazzo, amico da tempo, del reparto montature ma sapevo che anche lui si sarebbe scordato degli auguri, tanto che quando l’avevo intravisto nella mattinata, mi aveva salutato normalmente senza alludere al mio compleanno. Appuntamento al Bar H; io entrai e ordinai una birra non filtrata. Ne feci due sorsi e arrivò l’amico. Dopo due chiacchiere solite, sull’andamento del clima e sul campionato di basket, ci mettemmo seduti a un tavolino. Nel contempo, mai una volta che alludesse al compleanno. Dopo avere parlato di un po’ di cose, venne fuori il discorso che il weekend successivo sarebbe stato il compleanno di un’amica e lui disse: “Anche te, se non sbaglio, compi gli anni di ’sti giorni… Perché non unire i compleanni in un’unica serata?”. Io voltai la testa e cambiai discorso e chiesi all’amico se poteva suggerirmi una birra da prendere e lui me ne indicò una con l’aroma del caffè. Dopo avere parlato tanto, lui mi chiese se avessi fretta e io risposi di no in particolare. Disse di seguirlo fino a casa sua, che si trovava su per una strada in salita dietro al bar e ci recammo alla sua dimora perché voleva farmi vedere la sua collezione di minerali.
Io avevo bevuto un paio di birre e non ero ubriaco, ma mi sarebbe piaciuto esserlo, vista la disperazione del compleanno non festeggiato. Mentre lo seguivo ero già proiettato col pensiero sul divano di casa mia. Avrei voluto che mi avesse già fatto vedere ciò che voleva, in fretta… Salimmo le scale, due rampe nell’odore delle varie cene in corso e poi arrivammo alla sua porta. Aprì la porta e mi invitò ad entrare e all’improvviso si accese la luce e volarono coriandoli e tante persone unite che urlavano “Tanti auguri”. Io non ci credevo e dall’emozione mi misi a piangere, poi ringraziai le persone sorridendo e infine piansi ancora e dissi all’amico: “Ora ti vedo veramente come un amico, grazie”. Poi aggiunsi: “Io, che credevo te ne fossi dimenticato!”. Lui mi interruppe: “E invece, hai visto! Una settimana per preparare la festa a sorpresa dei tuoi ventitré anni”. Da persona sola e desolata che ero si modificò tutto e scoprii che avevo molte persone a cui stavo a cuore. Ma il più importante fu questo mio collega e amico che mi preparò tutto questo a mia insaputa, di nascosto.

PENSIERINO ZEN SULLA FESTA

   Lu Zen pass


C La festa è come fermarsi e non far niente, ritirarsi dal mondo e smettere di fare quello che si fa abitualmente. Chi sogna di diventare un ‘carnevalista’, ossia colui che partecipa in ogni forma e fa di sé un personaggio attivo nelle diverse feste dei carnevali d’Italia e del mondo può partecipare a sfilate, balletti, orchestre, bande, può diventare danzatore, mangiafuoco, andare sui carri allegorici con maschere o personaggi che in migliaia di forme d’arte rappresentano i titoli dei carri eccetera. Ovvero se preferiamo essere solo spettatori possiamo rievocare la nostra infanzia e fantasticare di essere in un altro mondo.

I MIEI COMPLEANNI

   Luca G.


O ggi è il mio compleanno, e purtroppo sono costretto a passarlo dentro casa, perché ho preso un raffreddore terribile e alcuni sintomi che se trascurati mi porteranno ad avere la febbre, o l’influenza. L’altro ieri ho sudato mentre facevo una corsa per strada, ieri sono andato dal barbiere e ho preso altro freddo, così ho deciso di stare in casa e riguardarmi. Peccato, però, che debba passare il compleanno dentro casa. A me piacciono i compleanni, sono una cosa a cui tengo molto.
Per alcune persone il compleanno è solo una convenzione. Che obbligo c’è di festeggiarlo, perché bisogna festeggiare il proprio invecchiamento, il fatto che dal giorno che collima con la propria nascita si ha un anno di più? Addirittura festeggiare il compleanno sarebbe inutile, tanto varrebbe festeggiare una volta al mese. Ma come? Una volta al mese? Allora si chiamerebbe complemese! E poi, dove sta scritto che il giorno del proprio compleanno bisogna per forza aspettarsi un gruppo di persone che mettono su i festoni, ti preparano la torta con le candeline, ti fanno i regali? Ci sono persone che il compleanno non vogliono festeggiarlo, perché non gli piace, senza un motivo preciso, o perché c’è qualcosa che li ha traumatizzati.
Io, in tutti i casi, do al compleanno una grande importanza, e non solo al mio. Anzi, quando vengo a sapere che qualcuno compie gli anni, sento che fargli gli auguri è il minimo che possa fare. Io percepisco il compleanno come un giorno speciale, e mi comporto di conseguenza. Mi viene anche spontaneo pensare che se a una persona nessuno, dico nessuno, fa gli auguri o gli dice qualcosa, questo possa pensare che nessuno si sia ricordato del suo compleanno, o che tutti se ne freghino, e questo lo potrebbe ferire, e lo stesso discorso se ci pensate vale anche per onomastico, Natale e tutto il resto. Per me il compleanno è una giornata importante, un’occasione per dimostrare affetto verso chi lo festeggia, ma anche come il giorno in cui inizia un capitolo nuovo della tua vita, durante il quale maturi esperienze e convinzioni nuove, fai cose nuove e diverse, te ne lasci alle spalle altre. E visto che ogni compleanno è sinonimo di crescita, cerco di vivere questo giorno comportandomi bene, cercando di mostrarmi maturo e sereno, senza che mi capitino intoppi o cose brutte, senza fare cose che mi innervosiscano.
Alcuni compleanni sono stati belli per come li ho vissuti, altri meno. Mi ritrovo qui, seduto alla mia scrivania, a fare un brainstorming per un’eventuale nuova storia da raccontare, ma soprattutto a ripensare ad alcuni dei miei compleanni precedenti.
Io sono nato l’11 febbraio 1987. Mio padre mi raccontò che era nella sala d’aspetto della clinica pediatrica in via D’Azeglio quando sentì un forte pianto provenire dalla stanza in cui a mia madre era stato fatto il cesareo. La città era tutta imbiancata dalla neve e io, così mi disse il babbo, ero l’unico di tutti i bambini a strillare e piangere. Già allora avevo una gran voglia di far sentire la mia voce, la mia opinione, di sicuro quello è stato il momento in cui ho cominciato a vedere. Ed era anche un giorno di festa per la mia famiglia. Nel 1988 compii un anno. Mia madre mi ha raccontato che soffiai sulla candelina della torta, tutti quanti mangiarono, e una volta finito tutto mi misero a dormire. Ricordo di aver visto una foto con una zia che mi teneva in braccio, forse risale proprio a quella prima festa di compleanno. Uno dei primi ricordi che ho risale a quando avevo tre anni. Il mio primissimo ricordo è un quadro di famiglia che sta in camera da letto, tra quelli seguenti c’è il giorno che ruppi il biberon, forse lo feci cadere apposta oppure mi cadde dalle mani, di sicuro strillai molto forte, e dopo di allora non lo usai più. E questo è già un segno che stavo cambiando, che stavo crescendo. Non ricordo se era il giorno del mio compleanno, devo ammetterlo. Quando ho compiuto cinque anni ed ero ancora all’asilo, mi fecero la torta e una foto davanti a essa, per la prima volta indossavo una camicia e una cravatta, e io la cravatta non l’ho indossata quasi mai in tutta la vita.
Penso che il primo compleanno che ho passato con piena consapevolezza sia stato quello del 1995. All’età di otto anni vidi i miei genitori che fecero di tutto per farmi sentire quel giorno di festa come molto speciale, oppure fecero sentire me speciale. Mi cantarono “Tanti auguri a te”, mi fecero soffiare sulla candelina della torta, mi regalarono una scatola piccola di “Meccano” che conteneva una serie di pezzi da montare per costruire un’automobilina. Lo desideravo da parecchio tempo, a me le macchinine sono sempre piaciute, e mi piaceva molto tenerle sulla mano e far girare velocemente le ruote. Una coinquilina mi regalò anche un libro illustrato, Il mondo in cui viviamo. C’era scritto il mio nome, la data, ed era un libro di formazione di base, che spiegava com’era il mondo, com’erano gli habitat, le città, descrivendo i mestieri, e così via. Ecco, quello di quando ho compiuto otto anni è stato il compleanno di cui ho sentito l’importanza per la prima volta. Ci sono altri compleanni di cui potrei parlare, come quelli alle elementari, ricordo che c’era qualcuno tra i compagni e le maestre che mi portavano qualcosa da mangiare. I compagni mi facevano gli auguri gentilmente, nessuno mi metteva pressione, perché sapevano che non mi piaceva che mi cantassero “Tanti auguri a te” a volume troppo alto e che poi battessero le mani urlando ancora più forte. Anzi, qualche volta sono andato ad altre feste di compleanno, e a una di esse stetti fuori dalla casa di un mio compagno di scuola proprio perché quel momento mi terrorizzava.
Dirò di più, al compleanno di Elio, un altro mio compagno di classe, io non riuscii a reggere la cantata di tutti e sentendomi spaventato arrivai a pestare con la mano la torta piangendo e gridando: “NO! NO! IL COMPLEANNO NO!”. Avevo rovinato la festa, lo ammetto, e infatti sono stato allontanato e ripulito della crema della torta che nessuno avrebbe più mangiato. Non odio l’idea che gli altri possano festeggiare un compleanno che non sia il mio, solamente mi davano fastidio le urla degli altri, specie quando erano allegri e si aspettavano che lo fossi pure io.
Un altro compleanno che ricordo bene fu l’undicesimo. Facevo parte di un gruppo che frequentava un laboratorio teatrale al quale ero stato costretto perché imparassi a socializzare. Avevamo preparato la favola di Cappuccetto Rosso. A un bambino down era stata data la parte del cacciatore (non so se per farlo contento o farlo sentire speciale), a me avevano dato quella del lupo. Ovviamente non l’avevo presa molto bene, a quasi nessuno piace fare la parte del cattivo. Però quando facemmo la prova generale, ebbi la mia rivalsa. Poiché compivo gli anni, dopo la recita mi fecero una festicciola con rinfresco e un mio cugino mi regalò un libro illustrato sulla geologia, che confesso di non avere mai letto, forse perché l’argomento non mi ha mai attratto. Di sicuro in quel laboratorio feci anche un’altra esperienza assai più positiva. Ricordo che mi fecero fare la parte del sovrano in un’altra recita, tratta da Il vestito nuovo dell’imperatore, e lì mi divertii molto di più, anche se non era il mio compleanno. E poi le ragazze che interpretavano i lestofanti che si erano presentati come sarti non mi avevano denudato, altra cosa importante. Sempre per i miei primi undici anni, la mia insegnante di sostegno, a me molto affezionata, mi regalò un libro su Paul Gauguin con alcune sue opere ben descritte e le sue lettere indirizzate all’amico Van Gogh.
Non tutti i compleanni purtroppo sono belli. Il numero dodici, quello del 1999, era uno di quelli su cui contavo molto. Purtroppo pochi giorni prima scoprii di avere la febbre: fui costretto a rimanere a casa e i miei compagni delle scuole medie rimasero ignari del fatto che compivo gli anni. Già dodici anni è un compleanno importante, che ti affranca dall’infanzia in modo definitivo, passarlo a casa perché sei malato non è il massimo. Fu anche un compleanno a due facce. Prima io e il babbo guardammo una videocassetta che parlava di alcune edizioni della Coppa del Mondo, poi a pranzo il babbo fece un urlaccio e io piansi. Non ricordo perché, forse avevo detto qualcosa che non gli piaceva, o avevamo litigato. Ci rimasi davvero male, due volte di più proprio perché sentivo che quel compleanno era stato rovinato.
Anche quello del 2000 non fu bellissimo. Quel giorno mi ero tolto la soddisfazione di far sapere in giro che compivo gli anni e la maestra di musica mi volle baciare. Glielo concessi, non sulle guance ma in testa, fra i capelli. Verso la fine della giornata tutti mi cantarono “Tanti auguri a te”, io ne rimasi contento, ma durante l’ultima ora stemmo tutti a visionare alcune scene di un vecchio film che avevamo visto la settimana precedente, commentate da una signora che aveva presieduto la proiezione. Il film si chiamava Tir na nog – è vietato portare cavalli in città, parlava di due bambini che si andavano a riprendere un cavallo rubato loro da un uomo ricco e finiva con una carrozza che veniva bruciata. E una volta usciti dalla stanza buia, Brando, un compagno di classe con il quale fino a quel momento ero andato abbastanza d’accordo, mi aggredì dicendomi per scherzo che il cavallo del film era andato bruciato e sarebbe finito come le bistecche. Io scoppiai a piangere, un’altra compagna mi chiese stupita perché facessi così e io rimasi traumatizzato. Da quel giorno diedi ancora più importanza al compleanno e cominciai a provare sempre meno simpatia per quel ragazzo che nel giro di solo un mese avrei preso a odiare a morte, troppi erano gli scherzacci che mi faceva, e sempre più spesso.
Il giorno in cui compii quattordici anni ero ancora sconvolto per la morte del giovane calciatore Niccolò Galli, era domenica, quel giorno il Bologna e la Roma avrebbero fatto un minuto di raccoglimento per lui. E io, con la prospettiva di frequentare un giorno il liceo Sabin e contento del monopattino che mi avevano comprato poco tempo prima, volli fare un esperimento. Volevo vedere quanto tempo avrei impiegato in monopattino ad andare da casa a scuola. Ebbene, ci misi circa un’ora, percorrendo la strada del 35. Mi parve un risultato eccellente. Ma come avrei potuto usare il monopattino senza calcolare il freddo, il traffico, gli eventuali incidenti, il peso della cartella sulle spalle, il babbo che mai mi avrebbe permesso di usare il monopattino per questo scopo? E quando tornai a casa ero stanco e accaldato. Quindi, l’idea di usare il monopattino per andare a scuola era da non considerare affatto.
Nel 2002, il giorno che compii quindici anni, per prima cosa offersi alle compagne di classe dei cioccolatini a forma di Mars. La prof di lettere mi fece gli auguri, rimanendo incredula quando le dissi che compivo gli anni, poi per ben due volte vennero fatti circolare i vassoi di paste che mi ero portato da casa e la prof di matematica convinse tutti a cantarmi “Tanti auguri”, mettendomi un po’ in imbarazzo. Imbarazzo che aumentò ancora di più quando per ben due volte dovetti reimparare un’operazione da fare nel corso della lezione. Tornai a casa, feci a mia madre una battuta che la fece ridere mentre tagliava la torta, feci un po’ di compiti, giocai a un gioco manageriale, poi quella sera volli andare in via Bainsizza, presso un centro dove mia madre lavorava part time e dove venivano accolti i parenti dei ricoverati all’Ospedale Maggiore, e nella mia solita voglia di comportarmi da persona grande, o di mostrarmi più maturo di quel che ero, volli a tutti i costi imparare come ci si gestisce coi bambini piccoli. Mi misi quindi a chiacchierare con due bimbe, figlie del cuoco del centro, che avevo conosciuto in un momento precedente. Il risultato fu che le piccole mi presero in giro nel vedermi con l’apparecchio ai denti e non capirono niente quando io tentai di spiegare loro a cosa serviva. Ma la cosa peggiore fu che mia madre e il cuoco mi scoprirono a voler imitare a tutti i costi Johnny Stecchino davanti a loro. Credettero che volessi infastidire le due bambine, e rimasero talmente delusi e infuriati per questa convinzione che fui rimproverato severamente, al punto da credere di aver rovinato irreparabilmente l’intera giornata e tornare a casa mogio mogio. Da allora comunque ho creato un muro tra me e i bambini, proprio per evitare equivoci e incidenti.
Nel 2005 compii diciott’anni. Ero diventato maggiorenne. Volevo a tutti i costi onorare anche quest’evento nel migliore dei modi, ma non ci riuscii appieno.
Arrivai a scuola un po’ stizzito, non solo perché avevo con me due sporte piene di paste, ma pure perché mia madre aveva voluto per forza accompagnarmi. Ricordo che a scuola io e i miei compagni passammo quasi tutta la giornata senza fare niente, visto che molti insegnanti erano assenti, e che io e l’amico L. giocammo a pallone in una stanza che non era la palestra, dentro la quale intanto A. provava un videogame d’azione. Entrai in classe, con addosso una camicia giallastra a losanghe, che non mi piaceva molto, si cominciò a mangiare, e poi a giocare a Trivial Pursuit (ricordo che mi fecero delle domande a cui non sempre risposi in modo pertinente). Ed ecco il momento esatto in cui il compleanno mi venne irreparabilmente alterato: stavo raccontando al professore di storia e filosofia che a fine marzo avrei visto il concerto di Laura Pausini, e lui rispose: “E chi è?”. A quel punto rimasi incredulo, senza parole, tanto da inalberarmi. Non seppi come reagire, non riuscii a trovare le parole, mi ritrovai a fare versi inarticolati. L’idea che qualcuno non conoscesse la Pausini, la più nota cantante italiana al mondo e che tanto ammiravo, era un’eventualità che non avevo mai preso in considerazione. Dissi che era assurdo che il prof non ne sapesse nulla, e lui a sua volta mi rimbeccò dicendo che era assurdo che io non conoscessi i suoi compositori preferiti (tre giorni prima ci aveva accompagnati ad assistere all’esecuzione di alcuni brani di musica classica, il suo genere preferito). Io mi sentii una merda, l’insegnante continuò a chiedere chi fosse la Pausini, se fosse carina come ragazza, io la paragonai alla mia compagna di banco Serena, e il prof lo prese come un complimento verso di lei e a me disse di non sentirmi una merda (parola di cui fece lo spelling). Alle 12.05 in punto, ora in cui ero nato quel giorno del 1987, diventai ufficialmente maggiorenne, e fu allora che C. mi fece gli auguri, aveva aspettato apposta quell’ora per farmeli essendo sicura che avessi diciott’anni tondi tondi, non un minuto di più, non un minuto di meno. Poco dopo mi fece gli auguri anche il nuovo prof di scienze, stringendomi la mano e sorridendomi. Ma la giornata non finì lì: quel giorno mi regalarono un gioco che avrei usato una o due volte e non di più, trattandosi di un altro gioco manageriale, ma molto più noioso di quello che avevo prima, tanto da soppiantarlo qualche mese dopo con il più pratico FIFA 2005. La sera del mio compleanno si concluse con una partita a bowling e una a biliardo in via San Felice. Non sono mai stato bravissimo a biliardo, però i compagni di scuola trovarono molto professionale il gesto con cui gessavo la stecca prima di giocare. Essendo loro nota la mia passione per i libri, mi regalarono Col cavolo della Littizzetto (lo divorai in tre giorni) e Chiedi alla polvere di John Fante (lo lessi in tre settimane).
11 febbraio 2007. In occasione dei miei primi vent’anni, i miei genitori mi portarono a San Benedetto Val di Sambro, dove c’è un posto in cui si fa dell’ottima carne d’allevamento. Mio padre mi mostrò la stazione e mi raccontò che quando c’era la neve tutti si divertivano all’idea che i treni passando e la spruzzassero tutta addosso a loro! Dopo aver pranzato in una bella trattoria, andammo a visitare la casa natale e la tomba di Guglielmo Marconi. Io ero felice pure perché la giornata era serena e sentivo che di lì a poco avrei avuto una svolta nella vita,iniziando a fare il primo di vari tirocini e terminando la prima stesura del mio primo romanzo, La Terra è femmina!
11 febbraio 2008. Centocinquantesimo anniversario dell’apparizione della Madonna di Lourdes alla giovane Bernadette. Quel giorno ho compiuto ventun anni, età che un tempo era considerata in Italia quella in cui si diventa maggiorenni. Speravo di far passare bene anche questo giorno, ma non fu così. Dopo essere stato in Sala Borsa a sfogliare un libro tratto dal film Il quinto elemento, salii su un autobus e mi imbattei in un maleducato che sembrava non sapere cosa volesse da me. Prima mi rimproverò perché stavo seduto su una poltrona oblunga, di quelle riservate agli obesi, che sembrano per due e poi non lo sono, e poi mi rimproverò perché non ci stavo seduto. E mi mise pure una mano addosso quando cercai di fargli notare che si contraddiceva. “Mi lasci stare!” gli dissi mantenendo la calma, ma molto infastidito. E lui, pochi minuti dopo, si mise a parlare con gli altri passeggeri come se nulla fosse successo. E questa cosa mi fece male, molto male.
Il 2011 fu il primo anno durante il quale passai il compleanno sul posto di lavoro. Per essere esatti, mi trovavo a San Lazzaro. Mentre stavo lavorando un collega mi fece gli auguri, e poco dopo un’altra collega chiese a voce alta: “È il tuo compleanno?! Quanti anni compi?!” “Ventiquattro”, avrei potuto dirle, però non le risposi. Non avevo tanta voglia di interrompere la mia mansione di archivista per vedere una festa collettiva organizzata su due piedi.
2012. Per il mio venticinquesimo compleanno, io e mia madre ci eravamo organizzati per mettere in pratica un vecchio progetto, quello di andare a fare una breve vacanza a Londra. Il primo giorno salimmo sulla ruota panoramica in riva al Tamigi. Ci rendemmo conto che più che passeggiare, si finiva con il correre per la metropoli. Quante cose da vedere, quanto poco tempo a disposizione! L’11 febbraio, il secondo giorno di permanenza, vedemmo parecchi posti, in alcuni non entrammo perché l’ingresso costava troppo per noi. Guardammo la Torre di Londra, il Tower Bridge, Trafalgar Square, visitammo il British Museum, e presso un ristorante discutemmo su cosa scrivere su una cartolina raffigurante la regina Elisabetta da spedire a una conoscente.
Purtroppo noi italioti siamo così: stereotipati fino al midollo, tanto da andare in Inghilterra e pretendere di vedere la regina e parlarle, come anche avere la pretesa di fotografare una delle guardie reali con la divisa rossa e il copricapo nero in testa. Io avevo capito benissimo che non era il caso di affannarsi troppo a cercare di riuscirci, ma paradossalmente finii dalla parte del torto, perché non ero riuscito a spiegarlo. Altra caratteristica dell’italiano all’estero è quella di gesticolare e parlare subito in italiano senza nemmeno tentare di tradurre, vista l’impellenza di parlare. Sono le cose che mi piacciono meno quando si viaggia. Però mi ricordo che volli farmi fare una foto vicino a una mappa di Londra. Erano le 11.05 ora locale, 12.05 ora italiana. In quel momento, io compivo esattamente venticinque anni. Il giorno dopo visitammo Hyde Park, poi ripartimmo per Bologna e vi ritrovammo tutta la neve che ci eravamo lasciati alle spalle. Peccato, però io ero molto contento di aver trascorso il giorno del mio primo quarto di secolo in una grande città europea che volevo visitare da lungo tempo.
L’11 febbraio 2013 è stata una giornata importantissima per la storia della chiesa, per la storia in generale: infatti Papa Benedetto XVI, Josef Ratzinger, si dimise. Era dal 1415 che non succedeva una cosa del genere. In molti esultarono di gioia, specie con dei post su Facebook, da cui lo ero venuto a sapere. Io personalmente non riuscivo a capire tutto quest’odio verso Ratzinger, mi era sempre parso un papa un po’ retrogrado, più teologo che conservatore, di sicuro non all’altezza di Papa Wojtyla. Nel frattempo io compivo ventisei anni. All’epoca lavoravo nel magazzino dell’ufficio acquisti dell’Università, io e il collega che lo gestiva avevamo in comune la passione per i libri.
Io gli avevo regalato qualcuno dei miei preferiti, e lui per quel giorno mi regalò uno dei suoi, Buona Apocalisse a tutti!. All’interno c’era una scritta con “tanti auguri al mio collega preferito”. Confesso che il libro non mi è piaciuto un granché, nonostante sia per molti appassionati un capolavoro d’umorismo.
Anche per il mio ventisettesimo compleanno Enrico mi regalò un altro libro. Sapendo che H. G. Wells è uno dei miei scrittori preferiti, mi aveva portato stavolta un libriccino contenente due suoi racconti di stampo entomologico, La valle dei ragni, che racconta di alcuni tizi che si imbattono in ragni abnormi e L’impero delle formiche, ambientato in Brasile, in cui i protagonisti scoprono quanto siano organizzate e spietate delle colonie di formiche che sembrano addirittura i lillipuziani incontrati da Gulliver durante i suoi viaggi. Non li ricordo benissimo, in compenso mi piacquero un po’ più del libro precedente, anche se gli animali non sono esattamente la mia passione.
Per il 2015, il mio ventottesimo compleanno, Enrico mi regalò un altro libro ancora, di fantascienza come quello di Wells, ma stavolta scritto da due autori russi: Picnic sul ciglio della strada – Stalker, di Arkadi e Boris Strugatzki. Conosco i due autori, avendoli citati nella mia tesina di maturità, ma non sapevo che il titolo niente avesse a che fare con quelli che perseguitano le donne. Gli stalker del titolo si pronunciano come si scrivono e sono cacciatori di oggetti alieni smarriti dai visitatori dello spazio. Quel pomeriggio andai dal medico, per fargli vedere i risultati di alcune analisi, e feci amicizia con un anziano che mi raccontò di essersi procurato una ferita alla mano durante la guerra che gli era costata due dita. “Quale guerra? La seconda?” gli chiesi io simpaticamente. “Ma certo, la seconda!” rispose lui, ridendo. “Perché, pensavi che mi riferissi alla prima?”… “Perché, non può essere?” domandai io. “Non sono così vecchio!”, disse lui, sempre ridendo. E subito dopo io risposi dicendo che non escludevo quella possibilità, e che lui dimostrava molti meno anni di quanti ne aveva.
Il medico poi mi chiamò, andai da lui, questi esaminò le analisi e mi disse che avevo poca vitamina D e dovevo riprendere a bere latte, cosa che non facevo da anni, da quando avevo scoperto di non digerirlo bene. Questa carenza l’avrei poi compensata con dei farmaci da assumere una volta ogni due settimane. Quella sera io e mia madre andammo a mangiare qualcosa al pub Victoria Station. Durante la cena ebbi una bella sorpresa: incontrai Elisa, una ex compagna di scuola delle elementari che non vedevo da anni.
L’11 febbraio 2016 è stato il primo compleanno sul nuovo posto di lavoro. Per l’occasione, mi portai dietro due sporte contenenti biscotti e dolcetti acquistati in un negozio di via Battindarno. Non che morissi dalla voglia di portarle, a dire la verità, perché non le avevo comprate io, mia madre aveva avuto l’idea di fare sì che le portassi ai colleghi per fare un po’ di festa. Uscito di casa vidi l’autobus andare verso la fermata e dovetti fare una corsa e bussare alla porta d’entrata per riuscire a prenderlo. Per fortuna l’autista mi aprì, poteva anche darsi che non fosse in giornata buona o che fosse troppo pignolo. Durante tutta la mattinata, che mi vide più impegnato del solito a usare il levapunti su alcuni fascicoli vecchi (questa era la mia primissima mansione), mi ritrovai a ricevere auguri da un po’ tutti i colleghi, che alle 11 gradirono e non poco quello che avevo portato. Contenti di tenersi i vassoi per altre eventuali merende, mi resero il pratico sacchetto di biscotti che avevo portato. Uno di loro voleva anche cantarmi la canzone, ma io fui abbastanza lesto da chiedergli di non farlo. Si accontentò di dirmi che il suo compleanno cadeva il 30 settembre. La voglia dei colleghi di fare un po’ di festa era comunque forte, anzi quasi credetti che volessero invitarmi ad andare con loro a mangiare in mensa. Non accadde, io non ci feci caso e volli andarci da solo. Non per attirare l’attenzione, ma per concedermi un pranzo fuori casa, in particolare mangiai un piatto di risotto che forse era un po’ abbondante. Quella sera mi guardai su Internet una recensione del film Eternal sunshine of the spotless mind, tradotto malamente in italiano con Se mi lasci ti cancello.
Di lì a poco tempo avrei imparato che quasi tutte le volte che qualcuno fra i miei colleghi compiva gli anni, veniva sempre organizzata una piccola merenda con torte salate, pizzette, sfrappole, acqua, tè e quant’altro. Così ebbi l’idea di cercare e segnarmi i compleanni di tutti i colleghi per non perdermi queste merende, fare loro gli auguri e nell’evenienza regalare loro qualche copia dei miei libri. Quanto a Enrico, pochi giorni prima mi aveva regalato A Bologna piace giallo, una raccolta di racconti ambientati nella mia città, di cui uno scritto da due miei amici, Nicola e Massimo.
11 febbraio 2017. I miei primi trent’anni. Speravo di festeggiarli in tutta tranquillità, ma non fu così. Infatti pochi giorni prima ero venuto a sapere da mia madre che avremmo dovuto ospitare proprio per quel giorno mio zio Tonino e i suoi figli Giuseppe e Maria, che lo accompagnavano perché doveva andare a Reggio Emilia a vedere un camion che aveva intenzione di acquistare. Se non la presi bene era perché sapevo che la giornata sarebbe stata condizionata dalla loro presenza. Da una parte non volevo essere festeggiato con troppa enfasi, dall’altra non avevo tanta voglia di accompagnare gli zii di qua e di là, non volevo stressarmi troppo. Arrivati la sera prima, zio Tonino e i miei cugini aspettarono che mi alzassi dal letto e mi fecero subito gli auguri. Era sabato, e io dovevo già svegliarmi presto per doverli accompagnare e non fargli perdere troppo tempo, poiché dovevano essere a Reggio a un orario già fissato. In seguito ci siamo messi in viaggio. Tutto bene finché non siamo arrivati. Credevo fosse a Reggio città, l’appuntamento, invece era fuori. Dove, però? Dove stava questo camion? Prima siamo andati nella frazione di Rivalta, poi a Forche. E io stavo già sospettando che la mamma e lo zio non sapessero dove andare, perché giravamo già a lungo per trovare il tizio col camion, che per di più si spostava di continuo. Anzi, mia madre si chiese ad alta voce: “Non poteva dire il nome del posto dove stava, invece di dare tutte quelle indicazioni, che è più semplice?” Fortunatamente il posto non era troppo distante e il camion l’abbiamo trovato: usato, ma ancora buono, col cassone che si può inclinare. Non volli salirci sopra per fare un giro con zio Tonino, e oggi ne sono pentito. Se l’avessi fatto, mi sarei divertito, e avrei anche visto che giro facevano e quanto stavano via. Sono stato come uno sciocco ad aspettare che tornassero al parcheggio dove ci eravamo fermati. Avevo paura che si attardassero troppo, anzi mi stavo già agitando perché mia madre, rimasta con me ad aspettare, aveva paura di non fare in tempo a tornare indietro a ritirare la torta che aveva ordinato.
Ecco quindi un esempio di come la presenza di zio Tonino mi aveva condizionato quella giornata. Una volta tornato, egli mi raccontò che aveva dovuto provare il cambio e le altre manopole del camion e andare a fare la fotocopia del libretto. Tornati a casa, ecco un momento dedicato a me: il pranzo. Non aspettatevi nulla di eclatante. Abbiamo solo mangiato i tortellini in brodo, un po’ di carne e poi la torta, un pan di spagna bello decorato. Purtroppo io non sono abituato a esprimere un desiderio, e non sono riuscito a esprimerlo al momento giusto. L’ho elaborato ed espresso solo dopo che avevo fatto le fette a tutti, riaccendendo la candela e soffiando di nuovo. Le foto che mi hanno fatto, mi ritraggono tutt’altro che sorridente. Sentivo di non avere motivi per sorridere. Infatti quell’epocale scadenza la stavo tutta sacrificando per lo zio e i cugini, venuti in visita per il camion. Senza contare che quando mi facevano le foto, io ero occupato a mangiare ed ero sicuro di sfigurare, infatti quando si mangia i muscoli del viso fanno fare delle strane smorfie, che non sono proprio belle da vedere, specie quando si mastica. Nel pomeriggio, dopo mangiato, abbiamo accompagnato zio Tonino e i cugini su fino a San Luca, e poi in centro. Ma tutto questo lo facevamo per loro, invece che per me. Non sono egoista, però un po’ ho sofferto per questo, e non ero allegro come per i miei primi quindici, venti, venticinque anni. Anzi. Sentivo di passare il mio tempo più con loro e per loro, e soprattutto sentivo con gran dispiacere al fatto che ormai avevo trent’anni suonati e sentivo che quei sentimenti spensierati che avevo quando ero ventenne non sarebbero mai più tornati, non li avrei mai più provati. Questa era la cosa che mi dispiaceva di più. Per fortuna il mio sforzo fatto con i parenti ad accompagnarli a Reggio Emilia fu ricompensato: non solo lo zio aveva accettato di buon grado di non cantare “Tanti auguri a te”, che ormai dopo tanti anni mi mette sempre in imbarazzo, ma mi ero anche goduto un’altra cena al Victoria Station, dove ciascuno aveva preso una pizza diversa. Mamma, zio e cugini della pizze originali, io una col prosciutto crudo, volevo tenermi leggero senza prendere la margherita. Dopodiché passeggiai in giro per il pub guardando un aeroplano finto appeso al soffitto, coperto da magliette sportive, sfogliai un quotidiano interessandomi a un articolo su Mauro Corona e poi mi prestai a qualche foto con mia madre, stavolta venuta meglio delle altre perché non occupati a mangiare, ma sorridenti e rilassati. Una bella serata, buon coronamento di una giornata più per loro che per me. Forse anche un po’ meglio di questo compleanno passato oggi senza uscire di casa, senza fare nulla che agli occhi di qualcun altro potesse sembrare particolare: solo una giornata fosca come tante, senza aver affatto l’aria di un compleanno.
Mi fa piacere che qualcuno mi faccia gli auguri, ma senza enfasi, senza esagerare o sfociare nell’infantile. Ripeto, il compleanno è per me una giornata importante, un’ottima occasione per mostrare affetto verso chi lo compie. E poi a una festa di compleanno si fa per fare un piacere al festeggiato, non per mangiare una torta o dei pasticcini. Altrimenti si fa la figura dei golosi e dei profittatori, e non è esattamente una cosa bellissima.

LA FATICA DI FESTEGGIARE

   Lucia


H o provato a compilare un campo semantico a partire dalla parola ‘festa’, ed ecco il risultato: festa… festoso, festivo, festante… festeggiare… allegria, gioia, gioco… soddisfazione, sollievo, liberazione… successo, vittoria, trionfo… ricorrenza, occasione, solennità… celebrazione, rito, precetto… fatica. Fatica? Già, fatica. Perché dietro a ogni festa c’è per forza qualcuno che progetta, prepara, organizza, intrattiene… e alla fine della festa, rassetta.
Nella mia esperienza di vita ricordo diverse fasi: l’infanzia, in cui la festa è stata per me puro e spensierato godimento, l’adolescenza, in cui la gioia si accompagnava a volte alle lacrime delle aspettative deluse o della tensione finalmente allentata, l’età adulta, in cui il compito di festeggiare si è fatto un bell’impegno. Per anni l’ho fatto con piacere, piena com’ero di energia trascinante e di entusiasmo, felice di vedere la gioia dei bimbi e dei grandi, dei nonni, degli amici. Poi lentamente mi si è incistato nell’idea di festa un piccolo tarlo: che fatica... Sì, perché il festeggiamento alla fin fine può diventare uno dei tanti compiti, ripetitivi e stressanti, a cui non ci si può facilmente sottrarre. Affrontare un pranzo di Natale o un compleanno in certi momenti bui può diventare uno sforzo sovrumano, addirittura eroico, ma non c’è scusa che tenga. Anche se non ci si sente proprio al top, bisogna attaccarsi al telefono per gli inviti, strologare formule spiritose, inventare giochi originali, trovare regali mirati, confezionare cibi e torte, saper sorprendere, coinvolgere, magari anche commuovere… E naturalmente bisogna pure tirarsi a lucido (casa compresa) e soprattutto sorridere, prendere con spirito i contrattempi, non mostrare mai la corda, costi quel che costi. Così, dai e dai, più che un piacere la festa diventa un dovere. Ma non averne voglia ti riempie di sensi di colpa… No, non si può trascurare la festa, però, che stress! Non parliamo poi dei giorni in cui la festeggiata dovrei essere io… Autofesteggiarsi, per carità!
Finché, magicamente, qualcuno viene in soccorso. Uno dei momenti più belli della mia vita è stato un paio d’anni fa, quando le mie figlie mi hanno ‘rapita’ caricandomi in macchina a tradimento e mi hanno portata a festeggiare il mio compleanno alla Rocchetta Mattei. Avevano organizzato tutto a sorpresa, addirittura pagando in anticipo la visita guidata e preparando di nascosto il cesto del picnic. Secondo me avevano prenotato perfino il sole. I maschi (marito, figlio, genero) a casa a badare il bimbo, le femmine via col vento… Che meraviglia, l’inversione dei ruoli! Quel giorno la festeggiata ero proprio io, come da bambina, affettuosamente compresa nei gusti e desideri, coccolata, sollevata dalla quotidiana fatica…
Mi viene in mente che già nella formula cattolica della ‘festa comandata’, rispetto all’idea del ‘riposo’ prevale l’idea del ‘precetto’, cioè il dovere di ‘santificare la festa’, non solo astenendosi dalle attività lavorative, ma partecipando obbligatoriamente a una funzione religiosa. Per i praticanti non è ammessa la pigrizia, saltare la messa domenicale è peccato. Negli ultimi cinquant’anni, però, la società italiana è molto cambiata, si è fatta più laica, scanzonata, edonista. Il senso del dovere e il senso di colpa si sono parecchio attenuati. Nel frattempo però siamo stati tutti ‘precettati’ da un altro imperativo categorico, certo meno ‘alto’, ma purtroppo insidioso, pervasivo e impellente: il consumismo. Più che in chiesa, le domeniche si passano negli shopping center e le grandi festività religiose si sono trasformate in occasioni mondane, sinonimo di crapule, divertimenti e spese folli. Condizionati dalla pubblicità e da modelli ‘internazionali’ abbiamo imparato ad aver bisogno di un sacco di cose e soprattutto ci siamo convinti che ne abbiano assolutamente bisogno i nostri figli. Nemmeno la crisi economica è riuscita ad arginare l’alluvione di giocattoli che invade le camerette dei bambini: impossibile rinunciare a fare l’ennesimo ‘regalino’, a cercare la sorpresa nell’ovetto, a collezionare i gadget del supermercato, anche se tutto finirà nel grande mucchio delle carabattole (se non nella spazzatura). Da qui il fastidio, lo stress che mi coglie quando si tratta di ‘andare per regali’. A volte evidentemente il fardello di primavere mi pesa e impaccia le ali della fantasia… È un senso di assuefazione, negativo, ombroso, uno stato d’animo ‘guastafeste’. Ma per fortuna l’antidoto è pronto e a portata di mano: il nipotino! Il delizioso stupore degli occhi di bimbo, in quattro e quattr’otto ti fa la magia ed ecco le cose più semplici, usuali e scontate diventano meravigliose novità.

PRENDERE L’AUTOBUS

   Patrizia Degli Esposti


M i piace scrivere e quando scrivo per me è una festa. Le dita si muovono leggere sui tasti del computer, come se suonassi una melodia che accompagna le parole che si formano e riempiono il vuoto della pagina. Anche se uso la penna, la mano si muove come seguisse un suo ritmo e le parole si susseguono a formare frasi. ‘Festa’, meravigliosa parola che viene associata ad un evento mondano, ad una ricorrenza religiosa o privata. Un giorno di festa accomuna la gente che si ritrova per festeggiare, è un momento sociale di incontro e di condivisione. Lanciamo stelle filanti e coriandoli, accendiamo luci colorate e ascoltiamo musica ballando, brindiamo facendo ‘cin cin’ con i bicchieri per propiziarci il futuro. Ma festa, per me, è anche la gioia di un gesto inatteso che riempie di piacere, la compagnia di un’amica, le chiacchiere piacevoli con una tazza di caffè. Una festa riuscita ci scalda il cuore, ci offre letizia e spensieratezza. Ma la festa del cuore, dell’anima non ha bisogno di artifizi. Basta un nulla, una parola gentile e la nostra giornata si trasforma in qualche cosa di prezioso; ed anche un piccolo gesto, che può essere un sorriso, un abbraccio, un “ti voglio bene”, fa eco nel nostro cuore e batte come un tamburo in un concerto, donandoci piccole, ma grandi, emozioni.
Riscrivo con piacere l’inizio del testo di una lettera: “Ricevere il tuo messaggio e i tuoi saluti ha illuminato la mia giornata, che da buia e nebbiosa si è trasformata in una giornata di festa. La gioia e la voglia di abbracciare il mio prossimo mi ha tenuto compagnia e anche le solite incombenze noiose si sono trasformate, tutto mi sembrava più luminoso e colorato”...
Mi viene spontaneo pensare che condividendo un sorriso o un saluto con il nostro prossimo anche prendere l’autobus può diventare una festa.

CERCA LA FESTA

   Paula Mencarelli


L a festa ce la portiamo dentro di noi... Il problema è che spesso non abbiamo niente da festeggiare. Come scrisse Guido Ceronetti (poeta, filosofo, scrittore, traduttore, giornalista e drammaturgo, nato a Torino nel 1927), anch’io sento spesso “la necessità di isolarmi non per stupido desiderio di singolarità, ma semplicemente per non sentirsi sopraffatti dalla quotidianità a volte insostenibile”. Per molti l’isolamento libera dalla banalità, mentre è importante condividere e avere come obiettivo il bene di sé stessi e degli altri. Soprattutto direi che bisognerebbe cercare di ricevere e donare l’amore, che tutti, indifferentemente dal genere sessuale, dalla religione, dalla razza, dalla lingua, cerchiamo, alla fine della festa.
Ripropongo un pensiero di Fëdor Dostoevskij: Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice... Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani.
Io aggiungo: “Quel giorno porterai la festa dentro di te! E la porterai anche alle persone che ami. Cerca la festa”. Questo è l’augurio che faccio in primis a me stessa e a chiunque leggerà queste note.

LA FESTA

   Aruma Sebastian Yanez


P er festa io intendo tutto ciò che è divertimento. Sono pienamente d’accordo con quelli che dicono che ci si può divertire anche senza andare in discoteca, perché l’ho sperimentato sulla mia pelle. Tante sono state le sere in cui magari io non potevo uscire perché ricoverato e non l’ho mai rinfacciato veramente a nessuno. O meglio, ne soffrivo e lo rinfacciavo solo alla persona cui volevo più bene, cioè mia madre, a cui raccontavo sempre tutto e che mi sapeva leggere come un libro aperto. Pensavo sempre come sarebbe stata la mia vita senza farmaci, proprio mentre li assumevo, sentendo sotto casa passare una macchina con lo stereo a palla… Però non mi scoraggiavo. poi sono cresciuto e ho imparato a divertirmi con piccoli passi, cercando sempre di trovare una misura, anche se non ci sono mai riuscito in pieno. Nella mia cittadina in particolare si adottava questo metodo: si raggiungeva il pub del posto, che si chiama Filo, e da lì si decideva cosa fare. Se facevi parte di una compagnia o avevi anche solo un amico, però vero, allora potevi ambire alla discoteca, se no ‘ciccia’. Siccome non ero automunito venivo considerato l’ultimo degli ultimi e nessuno mi regalava mai un passaggio, anche perché avevo un educatore molto rigido, che non mi è mai andato a genio del tutto, se proprio devo essere sincero. Così, giocoforza, mi sono dovuto accontentare solo di qualche serata vera. Però un insegnamento il mio educatore me l’ha dato, cioè che chi si accontenta gode. Concludo dicendo che a volte basta avere un interlocutore simpatico per divertirsi, tutto qua.

LA FESTA DEL CUORE

   Anna Maria Pareschi


R icorderò sempre la mia adolescenza ricca di amici, feste, viaggi, arte… Di piccoli amori che non si incontravano. Finché ho trovato l’Amore, quello che ti fa palpitare il cuore e tremare le gambe. Quell’amore che ti fa vedere solo lui e nessun altro e non pensi che a quando lo incontrerai di nuovo. È un sentimento talmente forte che ti prende anima e corpo ed è una grandissima festa. Vedi solo pregi in lui. Poi scopri che è un essere umano, con pregi e difetti, esattamente come te… Ma si supera tutto, affinché questo bel rapporto non si spezzi, anche dopo anni. L’amore è così… Ti benda gli occhi e tu continui a restare bendata, perché così hai scelto. È come un grande falò acceso, che brucia, fa calore e non si consuma mai… Anche quando il falò diventa un fiammifero acceso, è come un faro che ti indica la strada giusta.

DOV’È LA FESTA

   Paolo Majerù


L a festa non è altro che un motivo per stare insieme agli altri. Tutti festeggiano qualsiasi situazione. Ormai non si pensa ad altro (dov’è la festa stasera?). Molti la festa la considerano una scusa per alzare un po’ il gomito, sperando di non essere giudicati più di tanto (poiché è festa!). Comunque è sempre bello trovarsi a una festa: il tempo passa meglio; anche se pure a una festa bella e divertente c’è sempre qualcuno che si sconquassa con qualche droga, e sia per lui che per gli altri la festa si sminuisce, provocando dei problemi che non sempre si possono risolvere con una risata. Oggi per i giovani purtroppo è così l’idea di divertirsi il più possibile, almeno è quello che pensano. Ma non sempre si finisce con una risata. Ad esempio, quando si festeggia il Capodanno a Napoli (la mia città natale), lì sì che c’è poco da ridere, anzi, sono anche troppi a piangere.




UNA FESTA DA PAZZI
LA PASQUA IN REPARTO CONTRO TUTTE LE BARRIERE

   Valeria Cimonetti


A rrivammo con venti minuti di anticipo. Dai vetri del corridoio si intravedevano alcuni attori mentre provavano le ultime battute, indistinguibili con il viso truccato di bianco. I più impazienti avevano già preso posto nelle file centrali e attendevano immobili l’inizio dello spettacolo. Notai che avevano oscurato appositamente le finestre, accumulando più sedie possibile e posizionando due fari a illuminare il lato della stanza ritagliato appositamente per il palco. Entrando i toni si fecero più bassi mentre gli sguardi si intrufolavano curiosi tra la gente, alla ricerca di volti conosciuti. Prendemmo posto in penultima fila. Da un angolo il chitarrista provava gli ultimi accordi. Indossava un paio di Ray- Ban neri e pensai assomigliasse a un poliziotto di un telefilm americano anni ’70. La stanza si riempì in fretta, alcuni rimasero in piedi, altri si sedettero raggomitolandosi a terra. Pochi minuti dopo, lo spettacolo ebbe inizio. L’attenzione si concentrò addensandosi nell’aria, già carica di curiosità ed emozione, quando gli attori iniziarono ad esibirsi. Si susseguirono quattro monologhi comici, tra veli colorati svolazzanti, coreografie danzanti, computer parlanti e valigie colme di vestiti viventi, il tutto sempre accompagnato dal suono melodico della chitarra. Tra il pubblico c’era chi sorrideva divertito, chi guardava affascinato, chi mormorava stupito, ammirando in persone conosciute abilità inaspettate. Si percepivano espressioni nuove, sguardi diversi, sorrisi aperti. Dalla sola interpretazione, più o meno riuscita, veniva sprigionata un’energia particolare che lasciava, negli occhi di chi osservava, un piacevole stupore. Terminato lo spettacolo, ci riunimmo tutti insieme per una piccola merenda, e non c’erano formalità, timidezza, paura o chiusura che potessero trattenere, incrociando gli sguardi, un sorriso sincero. Il gruppo che si è esibito il 5 aprile nel reparto psichiatrico di diagnosi e cura è la Compagnia instabile del centro diurno del Servizio di salute mentale di Trento. Nata a gennaio di quest’anno, era al suo primo esordio. Aperta a chiunque voglia divertirsi e mettersi in gioco (io ne faccio parte da un mese), vi invita al prossimo spettacolo, il 16 giugno al teatro Rosmini di Rovereto. Per stupirvi ancora, piacevolmente.

(tratto da LiberaLaMente n.41, maggio2012)






LA FESTA… QUEL TOCCO DI EMOZIONE

   Mariana Elena Parera, psicologa e animatore sociale

I n ogni mio articolo cerco sempre di aggiungere un granellino di sabbia, per fornire una visione sul contributo che l’area animazione offre per migliorare la qualità della vita degli anziani nelle strutture residenziali. Lungo gli anni di esperienza sul campo ho potuto constatare che i festeggiamenti arricchiscono molto la vita delle persone, rappresentano occasioni per stare in compagnia in un’atmosfera amichevole con molteplici effetti positivi. Nel caso delle residenze per anziani l’animazione svolge un ruolo determinante sia nella fase progettuale di una festa, sia nel corso dell’evento stesso. Tali strutture si presentano come luoghi abitativi piuttosto affollati. Ospiti, personale che lavora, persone provenienti dall’esterno (parenti e amici): un affollamento che non necessariamente garantisce all’anziano la percezione di piacevole compagnia, anzi potrebbe generare disagio. Fin dal suo arrivo egli si trova circondato da un mondo di sconosciuti con i quali dovrà condividere spazi e momenti della giornata, a tavola, nelle aree comuni, nelle camere eccetera. L’animazione l’accoglie, introducendolo in una logica di relazione e di incontro e non di semplice aggregazione. Costruisce ponti che rendono possibile far nuove conoscenze che talvolta divengono rapporti intensi e affettuosi. Le distanze interpersonali si accorciano nella realtà della vita comunitaria. L’animazione presta servizio in questa direzione, creando le condizioni per introdurre il nuovo arrivato in un mondo di relazione, l’esatto contrario di quel mondo di sconosciuti di cui si accennava precedentemente. Ogni giorno attraverso il lavoro di gruppo si alimentano e si curano determinati valori: l’amore, il rispetto, il garbo, l’amicizia, la pazienza, la comprensione empatica… A poco a poco tutti si ritrovano in possesso di una filosofia costruita insieme più o meno condivisa. Con il passar del tempo l’anziano diventa attore, svolge un ruolo da protagonista nella storia della comunità. È un argomento che senz’altro meriterebbe uno sviluppo più ampio. I festeggiamenti, sono eventi sociali che si allacciano alla vita della casa e ad altre esperienze come quelle laboratoriali nella fase preparatoria del gran giorno. In questo senso, organizzare feste per anziani riveste un’importanza da non sottovalutare. Introducono fantasia ed emozione nella vita istituzionalizzata creando una discontinuità con la routine. Per questa ragione è più che consigliabile realizzarle con cadenza perlomeno mensile.
La festa, secondo Laura Tussi, “Risulta un momento della vita sociale di durata variabile, che interrompe la sequenza delle normali attività quotidiane, opponendovisi come periodo di particolare effervescenza”. In una sua acuta elaborazione teorica dell’argomento, da un approccio antropologico e sociale lei fa riferimento alla funzione che i festeggiamenti hanno nell’immaginario popolare, come “momenti dell’eccesso, della trasgressione e infrazione di norme e divieti precostituiti”. Qualcosa del genere si trasmette durante la promozione dell’evento nella casa struttura… “oggi ci si diverte, mangeremo la torta, ascolteremo e canteremo con la bella musica…”. Nelle strutture l’istituzionalizzazione è ciò che caratterizza lo stile di vita e come tale è colmo di regole non sempre facili da assimilare specialmente per le persone che hanno ancora un forte legame con il loro passato. Perciò l’aspetto ‘trasgressivo’ della festa ha un suo fascino: torta, musica, euforia, novità… Un evento festivo allegro aiuta gli anziani ad allentare le tensioni con lo svago, a contrastare con il divertimento lo stato di noia e a sciogliere la sensazione di solitudine grazie al clima di riunione e di condivisione. L’animatore, che conosce le persone e il relativo sistema di rapporti, le accoglie e favorisce una collocazione nello spazio tesa a soddisfare preferenze, interessi e relazioni. D’altra parte, Marsilio Parolini, un altro autore molto esaustivo, dice che la festa, perché non perda di contenuto sociale e umano, deve essere costruita e partecipata da tutti. Si riferisce al coinvolgimento che si ottiene riuscendo a creare nelle persone l’interesse di essere parte viva o attiva nella realizzazione della festa. In questo modo essa permane come un vissuto esperienziale molto diverso da quello delle feste in cui tutto e già pronto. Quindi si diviene artefice della festa come se si trattasse della realizzazione di un’opera con il contributo di tutti. Resta inteso che un festeggiamento orientato a partecipanti anziani deve essere pianificato senza perdere di vista le particolarità del tipo di utenza. L’organizzazione preventiva offre all’evento maggiori probabilità di successo. La buona riuscita, in questo caso, è rappresentata dalla soddisfazione dei partecipanti, si capisce dai commenti, dalle espressioni, dai comportamenti di chi, dopo aver trascorso qualche ora insieme, saluta calorosamente e va via soddisfatto. Si capisce che si son divertiti, hanno il sorriso sulle labbra, non è poca cosa... Invece quando a regnare è l’improvvisazione, la festa è soggetta a ogni tipo di incidente, il che evidenzia una specifica mancanza di sintonia. Purtroppo la disarticolazione ovvero la ‘disorganizzazione’ è più facile che sia avvertita rispetto al suo opposto, vale a dire, quando tutto scorre liscio e si ottiene un ‘prodotto festa’ armonioso. L’improvvisazione è un aspetto artistico e di grande valore, ma dovrebbe trovare sempre un appoggio su una base di organizzazione già strutturata. Non che debba essere tutto pianificato ai millesimi, perché il fattore elasticità in una programmazione è importantissimo, soprattutto quando si avverte qualche anomalia: un calo dell’entusiasmo dei partecipanti, un’atmosfera di nervosismo, un ritardo inatteso che altera la continuità o la sequenza di ciò che era stato programmato. Inoltre, secondo la logica della festa costruita da tutti, è importante saper cogliere le proposte dei partecipanti più motivati e di coloro che hanno un atteggiamento attivo. Bisogna essere pronti a dover affrontare nel qui e ora della festa queste ‘devianze’ che probabilmente andranno a sostituire altri elementi della nostra scaletta. Siamo lì per soddisfare i loro interessi. L’organizzazione di una festa in una casa residenza per anziani richiede certi adeguamenti. Seguendo il nostro autore Marsilio Parolini, ci sono da contemplare quattro passaggi: l’analisi e la valutazione di risorse per la stesura di un programma ben fatto che renda possibile una realizzazione di una festa senza intoppi e che al momento di fare delle verifiche ci sia almeno la conferma che si sta procedendo nella giusta direzione, semmai con qualche piccolo aggiustamento per i successivi festeggiamenti. Ho cercato di riassumere in una frase i quattro punti per presentare l’idea in modo articolato, si capirà meglio con alcuni esempi. L’analisi come primo step consiste in una serie di valutazioni sui partecipanti (fascia di età, quantità di persone, interessi, stato di salute fisica, capacità motorie e mentali, aspetti culturali eccetera). Si esegue un calcolo stimato tenendo conto delle risorse: spazio, tempo, personale di servizio, materiali e apparecchiatura a disposizione o da acquistare, rinfresco, costi eccetera. In seguito alle valutazioni, il programma comprende un insieme di decisioni che daranno forma ai vari momenti dello sviluppo o realizzazione della festa, ma anche al prima, creando aspettativa e al dopo, quando si fa la verifica dei risultati. Nei giorni che precedono l’evento si lavora nella direzione delle aspettative, si fanno associazioni tematiche e gastronomiche. Per Carnevale: maschere, sfrappole, stelle filanti, musica allegra. Per Natale: nascita del bambino Gesù, panettone, allestimenti, doni, canzoni della chiesa. Per Pasqua: resurrezione, uova di cioccolato, chioccia, pulcini, conigli… e così via. Ogni festa ha il suo repertorio. Dopo la realizzazione della festa si va alla ricerca di una verifica per capire come stiamo procedendo. L’opinione degli anziani e degli esterni (parenti, amici) è la prima ad essere presa in considerazione. Come si è trovato il personale durante lo svolgimento, si valuta cosa va mantenuto, migliorato, evitato. In generale durante la programmazione della festa si includono tre tipi di componenti: ludica, espressiva e lavoro manuale. Quella ludica, nel caso della presenza di un pubblico anziano, si riferisce a proposte molto semplici come seguire il ritmo della musica con il movimento o con l’aiuto di oggettistica adatta (trombette, pompom a strisce, eccetera), palloncini da spingere in un gioco interattivo, riconoscimento del titolo di brani a loro ben noti. Sul ballo ci può essere qualche perplessità fondata principalmente sullo stato fisico e motorio dell’utenza. Una buona percentuale è in sedia a rotelle, inoltre il ricordo carico d’affetto di quando erano in condizioni di ballare potrebbe generare emozioni tristi, di conseguenza il ballo non dovrebbe essere il punto di forza di tali feste. Semmai si può includere un numero di ballo eseguito in maniera più professionale o preparato dall’equipe a modo di spettacolo che possa svegliare la loro attenzione e curiosità. La presenza di un cantante che sappia interpretare le loro preferenze e cogliere le proposte, i musicisti, i comici, sono elementi preziosi. Altre attività ludiche di grande attrattiva sono le lotterie e le gare organizzate. Per quanto riguarda la componente espressiva, la festa diventa partecipata quando ad esempio ci sono anziani che fanno richiesta di canzoni che vogliono ascoltare. Questo va molto stimolato, come nel caso in cui qualcuno, che è in grado di farlo, vuole ballare, cantare, recitare. La proiezione di foto e di filmati con immagini che rispecchiano la vita nella casa (situazioni in cui socializzano, sono in compagnia di un parente, compiono gli anni, ricevono un premio). La visione di fotografie genera profonda emozione soprattutto nei parenti. Quando non c’è spettacolo dal vivo le proiezioni sono comunque molto gradite, in questo caso la rete internet offre molto materiale anche per un varieté. L’aspetto espressivo si manifesta quando appare il soggetto. Con le sue inclinazioni, livelli di coinvolgimento e predisposizioni che qualificano la festa come costrutto condiviso. Trovo un’ulteriore conferma di partecipazione attiva quando, verso la fine del festeggiamento, durante il riordino, si rendono disponibili per la raccolta di elementi che fanno parte dell’allestimento che ha rallegrato l’incontro. Tali oggetti, in realtà sono stati realizzati da alcuni di loro, che quindi tengono molto alla conservazione per il riutilizzo in successivi festeggiamenti. Si tratta di oggetti familiari, elaborazioni proprie, ormai parte di un nostro folclore. Ecco che ci troviamo con l’ultima delle componenti, il lavoro manuale. La maggior parte delle decorazioni e degli allestimenti, cartelli per l’annuncio dell’evento, oggettistica e premi della lotteria con doni per i parenti e per le persone che vengono dall’esterno, biglietti, costumi e maschere, ceste decorative eccetera, sono il risultato del lavoro manuale (nonché cognitivo) degli anziani. Essi si impegnano durante l’elaborazione il che è un buon segno del loro coinvolgimento. La costruzione di qualcosa, finalizzata a raggiungere obiettivi (rallegrare, arricchire, donare...), crea un senso e inoltre c’è da rispettare una tempistica, con reminescenza del loro passato lavorativo. Attraverso laboratori organizzati con consapevolezza, in modo che siano adatti al tipo di utenza, si cerca di mantenere allenate le capacità stimolandole. Si cura l’aspetto estetico di ciò che si fa, dato che l’anziano non ha perso questo criterio, trova solo più difficoltà nel fare qualcosa. La festa è l’ambiente ideale per coronare gli sforzi fatti insieme, per mostrare i risultati dei lavori fatti. Ma soprattutto per rendere pubblici, davanti a tutti, gli sforzi e i risultati dell’impegno. Esplicitamente un ringraziamento speciale, nell’implicito un riconoscimento per la volontà di continuare a mettersi in gioco nella vita.

Bibliografia :
           Marsilio Parolini Come si organizza UNA FESTA Edizioni PIEMME Spa, 1994.
           Laura Tussi Aspetti antropologici, storici e sociali della festa da www.ildialogo.org








LA FESTA DELLA PORCHETTA

   Diana Tura, Archivio di Stato di Bologna


L a festa della Porchetta veniva celebrata il giorno di san Bartolomeo, cioè il 24 agosto e si svolgeva a Bologna in Piazza Maggiore; secondo la tradizione la celebrazione solenne di questa festa sarebbe stata istituita per ricordare la sconfitta dei Lambertazzi e la conquista di Faenza da parte dell’esercito bolognese, avvenute il 24 agosto 1281. La centralità della porchetta nella festa sarebbe stato poi un tributo al ruolo che il porcello ebbe nella vicenda, dato che secondo la tradizione proprio il furto di quell’animale, subito da Tebaldello Zambrasi ad opera dei Lamberatzzi rifugiatisi a Faenza, avrebbe indotto il traditore ad aprire nottetempo le porte della città agli assedianti bolognesi, favorendo così la vittoria della parte geremea. Dunque la periodica distribuzione della porchetta divenne una sorta di rituale collettivo di ringraziamento per la ‘riconquistata libertà’, come dicono le relazioni, ossia per la definitiva conquista dell’egemonia politica da parte dei guelfi Geremei. In realtà le vere origini della festa sono altre, infatti è ormai noto che la festa di san Bartolomeo si celebrasse a Bologna già alla metà del Duecento, con un palio in cui il porcello era uno dei premi per i vincitori. Con tutta probabilità l’origine storica della festa è quindi da ricollegarsi alla vittoria della Fossalta del 1249 e alla traduzione in carcere di re Enzo, catturato dai Bolognesi e condotto a Bologna il 24 agosto di quell’anno. Nonostante le sue origini medievali, la festa della Porchetta raggiunse il suo più compiuto sviluppo ed acquisì un ruolo centrale nella società cittadina soltanto fra Sei e Settecento. Lo spazio urbano in cui si svolgeva era la piazza Maggiore, in cui venivano allestiti scenari talvolta di straordinaria complessità strutturale, generalmente sullo sfondo del palazzo dei Banchi, in modo da offrire un punto di osservazione ideale al pubblico affacciato ai balconi e alle finestre del palazzo pubblico, cioè gli Anziani e i loro nobili ospiti. Parte della fortuna storiografica della festa dipende certamente dalla bellezza delle fonti iconografiche che l’hanno tramandata: le incisioni che accompagnavano le relazioni a stampa, ora conservate alla Biblioteca dell’Archiginnasio e soprattutto le Insignia conservate all’Archivio di Stato, costituite da sedici volumi che raccolgono incisioni e miniature che coprono un arco cronologico compreso fra i primi decenni del XVI secolo e gli ultimi del XVIII e che furono commissionate a vari artisti dagli Anziani Consoli di Bologna, magistratura di epoca comunale, che in epoca moderna aveva perso pressoché ogni potere politico, conservando quasi esclusivamente la giurisdizione annonaria e l’organizzazione di feste ed eventi collettivi.
Tale organizzazione raggiungeva la massima espressione nell’allestimento della festa della Porchetta a cui partecipavano, chiamati dagli Anziani, architetti, scultori, pittori, muratori, falegnami, indoratori, che riuscivano a realizzare gli apparati scenografici più complessi: porticati, rovine, ameni boschetti, orridi dirupi, palazzi balconati, strutture per funamboli ed acrobati, naumachie… Ma non meno importante degli scenari offerti era lo spettacolo che le autorità ed i loro ospiti offrivano alla piazza nel grande gioco di apparenze che è la festa, infatti un rituale rigoroso assegna ruoli e spazi propri ad ogni componente sociale: autorità, nobili, ceti medi e plebe hanno ciascuno una precisa collocazione nel teatro della piazza. Anziani ed aristocratici si mostrano alla festa dai balconi e dalle finestre del palazzo, sede dei poteri cittadini. Fra lo spazio gerarchico dei nobili, in alto nel palazzo, e lo spazio proprio della plebe, il selciato della piazza, esiste uno spazio intermedio, le tribune e i palchi del pubblico pagante, costituito in gran parte dal ceto mercantile bolognese, che nel momento della sparsio, cioè del gettito di cibarie dalle finestre del palazzo, mantiene un ruolo sostanzialmente passivo. Le attese della città convergevano sul pomeriggio e la sera del 24 agosto; nel pomeriggio l’azione teatrale era intervallata da giochi equestri, acrobatici e pirotecnici e da qualche anticipo del gettito. La sparsio vera e propria aveva luogo alla fine della rappresentazione e vedeva coinvolti gli Anziani stessi e i loro ospiti, il cardinale legato e la nobiltà cittadina, tutti impegnati a lanciare dall’alto di balconi e finestre cibo (pagnotte, formaggi, oche, galline) e monete. Il lancio della porchetta arrosto, vero clou della festa, era invece prilegio del cuoco di palazzo, effettuato con gesto teatrale dalla ringhiera verso il centro della piazza. Le risse che seguivano inevitabilmente al gettito erano una componente essenzialissima della festa. Dilettati a lungo dalle ‘piacevoli pugne’ della plebe, i nobili si ritiravano infine all’interno del palazzo in cui le autorità offrivano ai loro ospiti un rinfresco adeguato, caratterizzato da cibi adatti a palati ed organismi aristocratici: carni bianche, confetture, canditi, sorbetti e cioccolata. Anche il momento gastronomico serviva così a definire in modo inequivocabile le gerarchie sociali, attraverso la successiva, pubblica distribuzione di cibi ‘per poveri’ e cibi ‘per nobili’. Offerti i doni alle dame intervenute, gli Anziani aprivano le danze, che fino a tarda notte animavano il palazzo.

Mi piace credere

   Marcella Colaci


Mi piace credere che il mondo
sia perfetto nella sua imperfezione
tutto combacia, tutto traspare
e diviene semplice contorno
di noi che non possiamo non fare
la nostra parte, se di parte si può parlare.
Mi piace credere di noi
che osserviamo la strada
per poi incamminarci
senza opporre resistenza
senza farci del male
sempre ad osservare
quel che di noi si può avverare.
Mi piace credere che l’anima esista
che durerà in eterno
ma poi so che non potrò salvarla
dallo stesso tempo, immortale lei
sempre in uno stato attento.
Mi piace credere all’amore
che sconfiggerà il confine
dell’odio e del disprezzo
del dolore e dell’abbandono.
Mi piace credere che la stella cometa
segnerà il cammino
di ogni più piccolo bambino
di ogni donna madre figlia
in quella stella e riverita
saprà illuminare la ragione
di questa grigia stagione.
Faremo in modo di vegliare
in questa notte di Natale
in questa notte che oramai passata
sarà la notte per noi incantata.
Per il prossimo anno se ci arriviamo
vi auguro di guardare il bello e raro
della vita che lascia la terra
e che ci dice: “LA VITA È BELLA”
ma non per tutti io lo so
non per tutti ahimè però.
Le disgrazie le sento e sono
solo un tragico percorso
di noi che poi alla fine siamo
solo dolore e lo sappiamo.

Risata

   Marisa V. (CD Tasso)


Risata scoppiettante
Risata al centro della festa
Risata che ama
Risata che odia
Risata che aggredisce
Risata che fa soffrire
Risata mia
Risata bella
Risata che non offende
Risata che difende
Risata che comunica
Risata per amore
Risata per come sono
Risata per una carezza
Risata per scrivere
Risata perché è auto
Risata per rabbia
Risata che non capisco
Risata per vendetta
Risata contagiosa
ha ha ha - Risata

San Remo junior

   Piergiorgio Fanti


Quella di San Remo
è una gran festa
in Italia tutti masticano
canzoni e minestra.

Quella di San Remo
è una gran festa
poco importa se ti
versano in testa la minestra.

Ed è una gran festa
poco importa se ti
incollano la gomma sulla mano destra.

Quella di San Remo
è una festa anche per la testa
ed è festa anche per le mani
perché la chitarra si suona
con la sinistra e con la destra.

Donna

   Annarita Baratti


Donna come la prima donna
come lei nessuna
solo lei
dolce lei
il suo viso
le sue mani
il suo sorriso.

Sei il sole

   Annarita Baratti

Sei il sole che splende al mattino
arcobaleno
per vedere tutti i colori del mondo.
Sei stella per illuminare
il mio cammino.
Sei sogno.
E donna reale
nei giorni della mia vita.

Le donne

   Annarita Baratti


Le donne sono
come ali di farfalla
colorate e delicate,
ma hanno il loro carattere.
Sono come un fiore
che quando cade un petalo
non fa rumore,
ma si nota il colore.
Vedono il mondo oltre,
e tutto ciò che lo circonda.
Con o senza
sofferenza
nei loro occhi c’è amore
e un po’ di gelosia,
ma non tutto è così
nella via sono raggianti
tutto va e tutto passa,
ma l’amore resta.

Amici del cuore

   Enomis


Io sto bene insieme a me
E non cerco le amicizie
Però piango alle notizie
Di qualcuno che non c’è.
Le amicizie sono quattro
Come gli angoli del cuore
Ma nel centro esso è fatto
Dall’amico che è il migliore.
Riconosco il più importante
Al mio sesso appartenente
Io con lui ne ho fatte tante
Come a dire che ne so
Come iene mai coese
Come rane mai sorprese
In un senso in cui col gruppo
Non ci si è mai amati troppo
Ci rendeva a sguardo brutto
Ma da soli in gran galoppo.
L’energia con gli altri amici
Ci rendeva sì felici
Ma era cosa personale
Come a dire cambia canale
Ma se amo quel programma
Ed a te non interessa
Si risolve il dilemma
A pubblicità trasmessa.
Questo è il cuore coi suoi angoli
Ed al centro c’è l’amore
Sento i differenti spigoli
L’amicizia e il suo valore.

Che regalo mi hai portato?

   Marcella Colaci


Che regalo porti
da lontano
nel vagone dell’amicizia
nel desiderio della speranza.
Dolci, dolcetti, grande abbuffata.
Portami il cuore
portami l’amore
portami quello che senti
oppure nulla ma solo un abbraccio.
Solo? non solo, non è da poco un abbraccio.
I Re Magi sono tre
e la Befana è ancor per te
carbone nero ma sfizioso
come dolce appetitoso.
Che regalo mi hai portato
nella valigia pesante
sento odore di carteddhate
che poi son farfalle o rondelle
oppure il buon gusto del caffè
che dal sud non può sfuggire.
Fra pasticciotti lo puoi dire
sono tutti per me lo so
fammi dare un morso e un sorso
a quel regalo grandioso
senza fare ancora il fiocco
me lo doni e so perché
indovino quel che era.
Babbo Natale lo sai che c’è?
Portami pace sorrisi e affini
portami ancora amore
porta perdono
tu lo sai che è un gran dono
porta la gioia, la felicità ed un sogno
che si avveri in questo mondo
ancora a piedi
fra le guerre e la povertà
fammi dono di lavoro
fammi sentire la bellezza
della prosperità
e del pane
di un guanciale caldo
di un amico che sia vicino
di quel che farà la vita
vendemmia e amore
fammi sentire nell’abbraccio il cuore.

Il mare con le sue onde

   Annarita Baratti


Piccole e grandi
Così profondo
Pericoloso ma bello
La sabbia
che odora di salsedine
è bello sognare il mare
passeggiando vicino alle onde.

Sai e sai essere

   Elena Baragatti


Il cristallo nella neve…
La brillantezza nel gioiello…
Il ritmo nella musica…
Il sentimento più bello nella melodia più bella…
Sei un essere incantevole e sai essere incantevole!

Sognando di stare insieme a te

   Annarita Baratti


Sognando la vita in due
e la felicità
aspettando il matrimonio,
il sole splende su di noi.
C’è una luce nei tuoi occhi
c’è un legame profondo tra di noi
che ci unisce
amore come un fiore che sboccia
e la sua bellezza
mi sbalordisce,
come l’amore della vita.

Gli alberi e la neve

   Maurizio


Soffici, candidi, bianchi fiocchi di neve,
scendono in inverno dalle altissime nubi,
con una musicalità, appena lieve lieve,
per farci dimenticare i nostri momenti bui.

Gli alberi, però, non ne beneficiano tanto,
loro in inverno stanno dolcemente riposando:
sentono parlare del loro bel bianco manto,
dagli altri esseri che commentano godendo.

Decidono, allora, di parlarne al Monarca,
chiedendo per la terra giustizia in vista,
affinché ognuno abbia gioie, vita e parca.

Il Tempo, clemente, apprezza la richiesta,
nevica a ferragosto su siepi, erba e frasca
e così, in tutto il mondo, è giorno di festa.

Una festa che resta

   Piergiorgio Fanti


Di una festa che ti resta?
Un sapore dolce-amaro
ma sinuosamente raro.

Una ventata d’aria fresca
che ti dà un po’ alla testa
(coriandoli di luce alla finestra).

Un profumatissimo fiore nella mano
la voce melodiosa da soprano,
non stare, ti prego, da me lontano.

Che sia una festa tutta nostra
che sia una festa che per sempre resta.

Pianto

   Enomis


Amico mio non essere affranto
non perderti in questo insensato pianto
le lacrime sono fatte per essere piante invano
perché quel che è successo
non si può cambiare e lo sappiamo.
Quel che sappiamo invece
è che il tempo corre veloce
ed è inesorabile e spietato
questo tempo che è passato.
Se proprio lacrime vuoi versare
fallo sul tempo che non si vuol fermare
e ci porta via persone e situazioni
sentimenti, storie e reali emozioni.
Quel che ancora sappiamo
è la grossa fortuna che abbiamo
cioè quella di gioire per le cose
che a noi appaiono meravigliose.
Se proprio lacrime vuoi versare
fallo perché hai imparato ad amare
fallo per regali che ti sembrano divini
fallo per i tuoi cari quando ti sono vicini.
Quel che infine sappiamo
e che a questo mondo in cui stiamo
ci sono grandi ingiustizie
coperte da false notizie.
Se proprio lacrime vuoi versare
fallo per quella gente che non si riesce ad aiutare
quelli che vivono in mondi più sfortunati
che gli uomini potenti li han confinati
che muoiono la vita anzi che viverla
che vivono in una terra lontana
che non sarà mai libera.
Amico mio ora piangi se vuoi
il mondo fa schifo a volte
ma non lo cambieremo noi
ma spero che ti vadano bene le cose
e che piangerai anche per situazioni gioiose.

Per te donna

   Maurizio Leggeri


Al primo sbocciar della primavera
per te donna una carezza… di mimosa
un candido fiore bianco… di camelia
un filiforme bagliore di luce… dell’alba
un garrulo della prima rondine… nella sera
una varietà di tenui profumi… della natura
un tremolio di fiori di mandorlo… nell’aria
una comunanza di raggi femminei… della luna
e una passione d’amore forte e vera
dell’uomo che tu ami e che lui ti ama
al primo sbocciar della primavera

Soli insieme

   Filippo Fenara


T’inùmo d’amore
Mentre l’arte del tempo
Scolpisce verità
Tra le righe della coscienza
T’adorno di ricordi,
Indosso il tuo spirito
Quando pensieri plumbei
Languono all’imbrunire.
L’eternità di quell’attimo
In cui asciughi il mio rimpianto,
Origlio tra le falle del cielo
Per scorgerti tra le nuvole.
Tu mi sai e, improvvisamente, mi sei
Accarezzi i miei giorni,
Diapositive sbiadite
Di un vissuto effetto seppia
Imploro un frammento del sempre
Per ghermire le tue spalle
Ed una volta ancora
Modellare un eufemismo di ieri.
Colmo di lacrime mai piante
Implode il dolore
Che ci ha reso soli,
Come due, sorti in un’unica alba,
Soli come musicisti virtuosi
In un brano senza centro
Abbandonati, oltraggiati, smarriti,
Inesorabilmente soli, insieme.

Il tuo respiro

   Maurizio Leggeri


È notte. Ascolto il tuo respiro
cadenzato e tranquillo;
segna bonaccia, come il fumo
non agitato di un comignolo
di una casa di campagna.
Lo confronto con lo scandire
del tempo della sveglia del comodino,
il tuo battere del cuore
ci fa bella figura, è altrettanto regolare,
comunque a me più vicino.
Riverbera calma interiore;
mi rimembra l’effetto
tranquillizzante e protettivo,
che mi comunicava
la campana dell’Annunziata
a Palestrina, quando fanciullo
udivo sul far della sera.
La tua calma riesce a coniugare
gli effetti benefici
della profondità della notte,
con la quiete di un meriggio estivo,
che concilia il sonno
e ti mette in armonia col mondo,
mentre le bambine giocano
serenamente accanto.
Il tuo respiro placido
è per me dolce companatico,
che dona completa sazietà,
alla mia voglia di serenità.

Amore platonico

   Maurizio Leggeri


Il desiderio
di bagnarsi
con la pioggia
che scende
dal corpo
d’un cielo
di donna.
Sentirne
l’intenso
profumo
custodito
nella scorza
e… dentro
il melograno.
Rimirare
lo specchio
di segrete
voglie
impresse
nella venustà
di occhi puri.
Ascoltarne
l’insistente
silenzio
percepito
quale scoppio
di passioni
d’amore.
è il momento
del piacere
vago
vissuto
con tenerezza
sulle ali
del vento.

Un mondo stupendo (a Paolo T.)

   Giacomo Corticelli


Con te ogni leggenda è vera
nella mia vita nera…
Tu la luce
che dovunque mi conduce.
Nella triste realtà
tu sei la splendida verità,
mentre nella fantasia
tu sei la più bella che ci sia.
Tra le cure
tu hai usato su di me le più pure
e la mia malattia
tu la stai portando lentamente via…
Grazie, Paolo!

Il sabato del villaggio

P er questo numero del Faro che tratta della festa, ho letto per voi una delle poesie più belle di Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio. Questa poesia fa parte della raccolta dei grandi Idilli e comincia con l’immagine di una contadinella che torna dalla campagna col suo mazzolino di rose e viole, raccolto per ornare i capelli l’indomani, giorno festivo. Poi si parla di una vecchierella che, seduta sulla scala a filare, racconta alle vicine i giorni della sua giovinezza, quando anche lei si recava a danzare con i suoi coetanei. In seguito il poeta introduce immagini visive e uditive: scende la sera e le campane preannunciano con il loro suono festoso il giorno festivo, i fanciulli giocano lietamente nella piazzetta, lo zappatore ritorna alla sua povera mensa fischiettando, allegro al pensiero che l’indomani è giorno di riposo. Poi, quando è scesa la notte e ogni lume è spento, si ode il rumore della sega del falegname che si affretta a finire. Il poeta prosegue dicendo che il sabato è il giorno più gradito della settimana, perché allietato dalla speranza dell’imminente festa, la quale, però, trascorrerà nella noia e nella tristezza, perché ognuno penserà al momento in cui dovrà riprendere il lavoro. Perciò il poeta invita a godere la spensierata fanciullezza, che è come un giorno pieno di allegria e a non rammaricarsi se l’età adulta tarda a venire, perché come il giorno festivo porterà soltanto noia. La giovinezza, insomma, è l’età più felice a cui segue l’età matura, che porterà tristezza e delusione.
Tema centrale della poesia è il concetto secondo cui il piacere sta nell’attesa di una felicità avvenire, che poi risulterà illusoria.
Anche questo idillio, come La quiete dopo la tempesta, può essere suddiviso in due parti:
a) un momento descrittivo, in cui con ingenua semplicità il poeta presenta una serie di quadri dove tutto è realtà e tutto è ideale. Come ho detto prima si hanno impressioni visive (la donzelletta col suo fascio d’erbe e un mazzolino di fiori; la vecchierella che fila e racconta; l’aria che imbruna, le ombre che scendono; la luna che biancheggia; i fanciulli che saltano) e impressioni uditive (la campana che suona, le grida e il lieto rumore dei fanciulli, il picchiare del martello, lo stridio della sega).
b) un momento riflessivo e meditativo in cui si afferma che il sabato è il giorno più bello della settimana perché è il momento dell’attesa dell’imminente festa, così come la giovinezza è l’età più lieta perché precorre la festa della vita, che poi risulterà diversa dalle aspettative.
In questo canto la gioia dell’attesa è stupendamente concretizzata nelle immagini. Per quanto riguarda la metrica, il poeta ha utilizzato una mescolanza di endecasillabi e settenari a rima libera, il suo metro preferito.
Consiglio la lettura specialmente ai giovani, perché la poesia invita a godere la vita. Quando ero giovane ho studiato un poeta latino che ha scritto: “Cogli l’attimo fuggente, il meno fiducioso possibile in ciò che succederà domani”… Sul fatto che bisogna godere la vita finché si è vivi, sono abbastanza d’accordo. Non sono d’accordo sul fatto che l’età adulta come il giorno di festa porti noia e delusione, anzi, essa è una fase della vita molto importante e affascinante. Sì, è vero, durante l’età adulta si hanno responsabilità che nell’adolescenza non si avevano, però sono compiti che ti cambiano il carattere.
Infine, per quanto riguarda la festa, devo dire che per me la domenica non trascorre per forza nella noia e nella tristezza, proprio perché penso al momento in cui dovrò riprendere il mio lavoro. Adesso ho un’occupazione che mi piace e durante la domenica, oltre a divertirmi penso con piacere che l’indomani inizierà una settimana nuova.

UN GIOCATTOLO DISPETTOSO

   Francesco Valgimigli


E ro un bambino di cinque anni e abitavo ad Ariccia, un paese dei castelli romani. Mancavano pochi giorni a Natale e la neve scendeva generosa. Quel giorno arrivò nonno Gerio. Come un moderno Babbo Natale lo vedevo avanzare affondando nella neve e apparire alla porta con tanti pacchi di regali per me, per mio fratello e mia sorella. Entrò dalla porta come tutti gli uomini normali, ma forse nella mia fantasia sarebbe potuto scendere dal camino. Dopo aver distribuito i regali a mio fratello e a mia sorella posò sul tavolo la scatola che gli era rimasta. Era una scatola grande e conteneva il mio regalo. Mio nonno cominciò a scartarla, poi apri la scatola su cui era scritto ‘montagne russe’ e rovesciò il contenuto: c’erano pezzi di binari, le strutture per sostenerli, tre vagoncini di colori diversi, blu, giallo e rosso, e altri ‘affari’ non meglio identificati. Canticchiando a voce bassa cominciò a frugare tra i vari componenti sparpagliandoli ulteriormente, poi dopo averli osservati attentamente si mise al lavoro ed era una festa per gli miei occhi guardare ammirato quella struttura crescere un pezzo dopo l’altro. Finalmente apparve la struttura completa. Il nonno prese il libretto delle istruzioni e iniziò a leggere, poi dopo qualche minuto cercò di far funzionare il meccanismo di quel giocattolo, che era più complicato di quello che pensava. Mio fratello e mia sorella erano impegnati con i loro giochi, e così quel momento era tutto mio. Intanto il nonno guardava preoccupato quell’aggeggio che gli stava davanti, come se fosse davanti a una bestia ostile. Tentava ogni tanto di far andare i tre vagoncini sulle montagne russe, ma questi avevano qualcosa che non andava, non salivano nelle salite e si fermavano prima del dovuto. Il nonno li guardava, ma non riusciva a capire cosa non funzionasse. Allora cercava di scoprire dei difetti in quella sua costruzione, riprovava a far andare i vagoni disponendoli uno alla volta, ma questi per una ragione o per l’altra non gli davano mai soddisfazione: o erano lenti o andavano a singhiozzo, e il nonno si intestardiva ancora di più a capire. Provava a rileggere il libretto delle istruzioni, ma scuoteva la testa, poi dava ancora uno sguardo al marchingegno come se si trattasse di una sua invenzione. Era sera e la neve continuava a cadere, il nonno si intestardiva a voler capire cosa non andasse in quel suo dono, ogni tanto riprovava a far partire qualche vagone, ma non lo guardava neanche, immerso com’era nella lettura del libretto delle istruzioni. Il camino era acceso e il salotto era avvolto nel calore. Più volte il nonno sollevò lo sguardo dal libretto e fece cadere uno sguardo severo su quel giocattolo ribelle, poi con meticolosità verificò che tutta la costruzione fosse montata bene e per prova rifece partire un vagone… ma questo si fermava senza aver completato il giro. E allora il nonno ricominciava a trafficarci, e quel suo lavoro è andato avanti per ore, ma non si trovava mai la soluzione al problema. Ora non l’ho più quel gioco meccanico di latta (peccato perché quei giocattoli non esistono più, sostituiti da apparecchi elettronici), è andato perso o forse è stato buttato via, ma quel lambiccarsi il cervello di mio nonno di fronte a quel suo dono, il calore che c’era in ogni suo gesto, mi è rimasto dentro come un ricordo che funziona ancora oggi.

COME HO PASSATO L’ULTIMO GIORNO DEL 2017

   Luca G.


tradizione che il 31 dicembre ci si metta eleganti per aspettare la mezzanotte e salutare l’anno nuovo, che si ceni con tutta la famiglia o con gli amici a casa o in qualche locale, che si mangi lo zampone con le lenticchie, che si giochi a tombola e che poi, quando sta per arrivare la mezzanotte ci si metta qualcosa di buffo in testa e si riempiano i calici di spumante per poi fare il conto alla rovescia con voce sempre più forte, quasi agitata, fino a esplodere gridando: “BUON ANNO!!!”… E spesso succede che dopo la mezzanotte la festa non finisca qui: anzi, si resta alzati a ballare, a guardare i fuochi d’artificio e a sparare i petardi anche fino all’una di notte, per poi andare a dormire solo quando tutti, ma proprio tutti si sentono stanchi, ad orari improponibili per il resto dell’anno. E chi prende l’iniziativa di andare a casa prima rischia di venire convinto dagli altri a restare. Non è sempre stato il mio caso, anzi un tempo non lo era quasi mai. Io da ragazzino non ero solito restare alzato fino a mezzanotte, un po’ perché mi metteva ansia l’idea di aspettare la fine di un anno appena trascorso, un po’ perché condizionato da mio padre, il quale andava a lavorare anche sotto le feste e aveva bisogno di andare a letto presto per alzarsi anche prima dell’alba, e quindi l’idea di fare un po’ di festa era a casa nostra fuori questione, sia per non disturbare il suo sonno, sia perché non voleva che facessimo del baccano che desse fastidio ai vicini. Per mio padre tutte le mosse che si fanno quando si aspetta la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo erano solo delle sciocchezze, e io mi trovavo d’accordo con lui. Molte volte ho preferito andare a letto a dormire piuttosto che stare alzato, è più comodo e rapido. E poi si restava a dormire per ore, oppure si veniva svegliati dai botti fuori dalla finestra che erano comunque attutiti e non assordanti, si appurava che era iniziato il nuovo anno e ci si riaddormentava.
Ma non tutti gli anni sono andato a dormire, anzi qualche volta sono rimasto sveglio insieme ai parenti, anche quando mio padre era ancora vivo. Con il tempo ho anche imparato a non essere troppo ansioso per lo scorrere del tempo che manca alla mezzanotte, anche grazie alle tante distrazioni compiute durante la serata.
Ecco quindi il mio resoconto su come ho passato l’ultimo giorno (e soprattutto l’ultima notte) del 2017. Io e mia madre ci siamo alzati di buon’ora, anche se non prima dell’alba, per partire da Bologna e andare a Foggia, dai nostri parenti. Avevo preso con me poche cose, giusto qualche ricambio, le medicine, uno o due libri e un gioco da tavolo ispirato alla saga di Ritorno al futuro da provare con qualche zio o cugino.
Il viaggio in autostrada è andato bene, era domenica e non abbiamo trovato macchine o brutto tempo. Forse a qualcuno può sembrare un’idea sciocca mettersi in viaggio proprio l’ultimo dell’anno, invece è un’idea furba, dal momento che quel giorno di solito c’è meno traffico rispetto a quando iniziano o finiscono le vacanze. Inoltre mia madre temeva che se ci fossimo messi in viaggio il primo gennaio, avremmo trovato chiusi i distributori di metano, e così il viaggio è stato buono. Appena arrivati a Foggia, siamo entrati nel residence di famiglia (un terreno in campagna che il mio nonno paterno aveva diviso in pezzi più piccoli, uno per ciascuno dei suoi figli), abbiamo controllato che uno zio avesse provveduto ad accendere la caldaia prima del nostro arrivo in modo da non trovare la nostra cascina fredda e umida, poi abbiamo messo a posto bagagli e oggetti e ci siamo dati una sistemata. Sono poi andato a salutare gli altri zii, soprattutto zio Damiano e zia Rosa, per tutti Rosetta. Quindi, avendo saputo che quella sera ci sarebbe stata da loro il cenone di Capodanno, le ho chiesto se potevamo venire anch’io e la mamma, in pratica ci siamo autoinvitati. Forse zia Rosetta è rimasta un po’ sorpresa dalla cosa, non se lo aspettava, però ha detto di sì, pure perché ha ottimi rapporti con mia madre. Infatti lei, tutte le volte che andiamo a Foggia, si reca a casa sua quasi tutti i giorni, anche solo per fare due chiacchiere. E poi negli ultimi tre anni avevamo già festeggiato il Capodanno con loro altre due volte. Abbiamo rimandato la visita della tomba del babbo al cimitero, e ci siamo preparati per andare appunto da zia Rosetta. Siamo arrivati attorno alle 20, o poco più tardi, io mi portavo dietro una sporta con dentro il gioco da tavolo. Il salotto con il tavolo da pranzo apparecchiato di rosso era illuminato dalle lampade e dal televisore, e riscaldato dal camino acceso, al quale mi sono subito avvicinato dopo essermi tolto il cappotto e aver poggiato la sporta sul divano. C’erano nove posti a tavola. Oltre agli zii Damiano e Rosetta e al loro figlio minore Carlo saremmo stati io, la mamma, zia Giovanna, mia cugina Alessandra, sua figlia Rosanna di sei anni e infine Anna, una signora dai capelli biondi e ricci amica di zia Rosetta. C’erano anche Ivan, fratello maggiore di Carlo, e sua moglie Emiliana con i figli, ma sono rimasti solo per farci un saluto veloce, poi sono andati via. Ricordo che una delle prime cose che ho fatto prima di metterci a tavola è stata guardarmi intorno, prendere il telecomando e consultare l’elenco dei canali del televisore. Zio Damiano mi lasciava fare, perché con loro avevamo confidenza e pure perché aveva notato che, come lui, non avevo voglia di stare ad ascoltare il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, trasmesso come di consueto a reti unificate. Anzi, fece pure una battuta nel commentare che dovunque si andasse col televisore, qualunque canale si cercasse, non c’era scampo, si trovava sempre lui. Al massimo poco prima di mangiare aveva detto una cosa che sul momento mi parve assurda, cioè che dopo il Tg5 avrebbero dato “Paperissima” come tutte le domeniche dell’anno, il che è non è vero sempre. Io lo dissi, ma zio confermò la sua opinione, io rimasi perplesso. Solo in seguito ho concluso che voleva sicuramente dire “Paperissima sprint”, la versione breve del noto programma, e che se ero rimasto stupito, doveva essere perché da molto tempo non consulto più i palinsesti dei canali e non mi interessa vedere che cosa danno su Canale 5, se “Striscia la notizia” o appunto “Paperissima sprint”. Io però sapevo che ci sono canali in cui non lo si vede, e capitai per caso su un canale sportivo di SKY. Avevo digitato 21, ero convinto che ci fosse Rai 4, e allora lo zio mi ha fatto vedere quale fosse il numero che dovevo digitare sul telecomando (avendo il satellitare, lo zio aveva una lista di canali palinsesto molto più ricca e variegata della nostra, con i canali disposti in modo diverso). Nessuno chiese spiegazioni sul perché volessi andare proprio su Rai 4, e io non lasciai trapelare nessuna emozione né dissi nulla. O almeno non ne volli parlare in quel momento. Nel frattempo, mia madre aveva iniziato a parlare con gli ospiti, Carlo si era disteso sul divano, zio Damiano continuava a guardare la TV. Io presi un mezzo Xanax con un po’ d’acqua per rilassarmi e iniziai ad aspettare che si cominciasse la cena. Non che avessi intenzione di stare dalla zia solo per mangiare, anzi, avevo voglia di stare con i parenti e fare qualcosa che mi potesse svagare, però il 31 dicembre si fa anche quello. La cena è stata buona da gustare, ma anche un po’ disordinata. Infatti abbiamo cominciato con salumi e formaggio che credevo fossero l’antipasto. E invece erano l’antipasto dell’antipasto! Il vero antipasto si rivelò essere una crèpe ripiena di carciofi. Poi è arrivato il secondo. E non erano bistecche o simili, ma spiedini di salsicce. E solo alla fine è venuto il primo piatto, le farfalle col salmone, l’unica portata che non ho neanche toccato: le farfalle sono e restano un tipo di pasta che non mi piace. E poi di solito quando c’è una festa, non sto sempre a riempirmi lo stomaco di cibo, sto anche a parlare con gli altri invitati, dipende pure da quello che c’è da mangiare. Nel corso della serata, Rosanna ha dichiarato che non le piacevano i carciofi. Però in compenso le piacciono le cose dei negozi dei cinesi. Non solo, ha anche detto una frase che ho sentito così: “Il paese dei cinesi si chiama Latina!”, Sempre che non volesse dire o abbia detto “La Cina”. Comunque è una cosa che a pensarci, fa sorridere. Come sottofondo, ascoltavamo dalla televisione le star che si esibivano al Capodanno in Musica, che Federica Panicucci presentava su Canale 5. Noi non siamo stati a badare troppo a chi cantava, o meglio identificavamo gli ospiti che riconoscevamo e li commentavamo (per esempio io ho riconosciuto Noemi), ma più che altro i nostri commenti erano tutti sul loro aspetto fisico, specialmente se erano cantanti troppo magre, o sulla loro età, nel vedere se dimostravano o no gli anni che avevano, o sui vestiti che indossavano. A un certo punto Rosanna disse che avrebbe voluto indossarli. Le piacevano molto, anche se alcuni non erano belli, o sembravano tovaglie da picnic. Durante la cena, Alessandra ha voluto parlare di Anna Pia, la figlia di sua sorella Daniela, e di come diversamente si comporti rispetto a Rosanna. Ha detto in particolare che Anna Pia è chiassosa e che a tavola sporca molto. Però mia madre ha detto che anche Daniela alla sua età era vivace come lei. Anzi, ha raccontato un aneddoto, cioè che Daniela era venuta con la famiglia a trovarla a Bologna un anno prima della mia nascita e che era saltata sul comò. Il racconto mi lasciò stupito. Quando il concerto di capodanno andava in pubblicità, io mi impossessavo del telecomando e andavo sempre su Rai 4. Zio Damiano non protestava, ma mi lasciava fare. Anzi, sembrava che non gli importasse che stessi a guardare alcune scene di un film di nome Upside Down, che io avevo già visto in precedenza e che sapevo già da qualche giorno che avrebbero trasmesso l’ultimo dell’anno. A un certo punto Alessandra volse la testa verso il televisore e presa dalla curiosità, mi chiese: “Perché quell’uomo cammina al contrario?”. In quel momento stavamo guardando un uomo che percorreva un corridoio a testa in giù con i piedi attaccati al soffitto. Cominciai a spiegarle che quel film era ambientato in due mondi collegati da un grattacielo e che in uno di essi si camminava con la testa rivolta verso il basso, e notai che anche Rosanna, nonostante la sua età, tentava di capire qualcosa di quello che dicevo. Alessandra mi chiese se avevo già visto quel film. “Eh!” dissi io, rispondendo che l’avevo visto e rivisto altre volte e che l’avevo fatto pure vedere ai miei amici del gruppo Galapagos, che avevano allestito un cineforum a Sabbiuno, vicino a Castel Maggiore, e di cui anche la mamma disse qualcosa. Quindi cambiai canale, ma quando di nuovo tornò la pubblicità, misi il televisore di nuovo su Rai 4, e rimasi estasiato nel vedere la protagonista femminile, al punto che chiamai mia cugina e le feci cenno con la testa di guardare lo schermo. E allora vide che c’era “l’attrice che piace a te”. Lo ammetto, se Kirsten Dunst non fosse stata nel cast di Upside Down, forse il film non l’avrei neanche considerato. Poco dopo le 23 era già finito, e io non mi sintonizzai più su Rai 4, e una volta sgomberata una parte della tavola proposi a mia madre di fare insieme una partita col gioco di Ritorno al futuro, e anche Alessandra volle unirsi a noi. Il gioco era diviso in round, e prevedeva che noi tenessimo in mano quattro carte raffiguranti i personaggi, sul tavolo ne erano disposte altre che descrivevano varie scene della saga ambientate nel 1955, nel 1985 o nel 2015, a cui dovevamo abbinare i nomi corrispondenti dei personaggi coinvolti. Chi completava gli abbinamenti degli eventi, prendeva la carta dell’evento e i punti messi in palio, e chi accumulava più punti sarebbe stato il vincitore. Questo in linea di massima è il regolamento. Lo ammetto, nel loro insieme le regole sono un po’ complicate, io stesso non le capisco appieno, e le semplifico per non rendere il gioco troppo noioso agli amici e ai parenti. Ricordo che durante la partita, che vinsi io, Rosanna si divertì molto e ripeteva di continuo alla madre: “Concentrati!”. Ma anche Alessandra si divertì, e mi chiese di poterci rigiocare alla prossima occasione e io guardando l’orologio mi avvidi che mancavano 25 minuti dalla mezzanotte. Non sapendo più come passare il tempo, mi misi a ciondolare un po’ per la casa. Prima della mezzanotte zia Rosetta portò lo spumante, il pandoro e le lenticchie (di solito si mangiano molto prima, durante il cenone), e noi ci mettemmo in attesa, senza però darci troppa importanza. Intanto zio Damiano aveva cambiato canale, mettendosi a guardare un altro concerto di Capodanno, stavolta quello su Raiuno. Ricordo che proprio durante l’ultimo minuto, Al Bano stava cantando Felicità mentre dietro a lui scorrevano i secondi del conto alla rovescia (erano avanti di cinque secondi rispetto al mio orologio, ma non mi importava). Quando Al Bano smise di cantare, eravamo tutti pronti a festeggiare. I flute furono riempiti di spumante: “Ci siamo!” gridai io. “10… 9…” contammo tutti insieme. “8... 7... 6... 5... 4... 3... 2... 1… BUON ANNO!”. Il 2018 era appena iniziato.
Tutti quanti esultammo, io applaudii, quindi facemmo un brindisi e qualcuno mangiò anche un pezzetto di pandoro e un po’ di lenticchie (io non li volli toccare). L’unica che piangeva era Rosanna. Anche se può sembrare strano, io la capivo. Anch’io da piccolo durante le feste piangevo, perché le urla degli altri mi spaventavano. Anzi, Rosanna aveva anche gridato: “È il Capodanno più brutto della mia vita!”. Non temere Rosanna, pensai sorridendo. Ne conoscerai di più belli e di più brutti. Poco dopo salutai di nuovo tutti quanti, presi la sporta dentro cui avevo messo il gioco da tavolo, mi misi il cappotto e me ne andai a dormire, incurante dei fuochi d’artificio che si sparavano nelle vicinanze, fuori dai confini del residence. Io e la mamma saremmo rimasti ospiti dei vari zii, sia paterni che materni, fino al successivo 5 gennaio.


Doppio cieco

Trovando un lui o una lei, che ci passino tutte le fisime legate ad un presunto disagio mentale?!?



Concomitanze

Comportamento curioso quello delle associazioni, le quali in modo fotocopia, propongono gli stessi (quasi) programmi di intrattenimento... A ben guardare, ho la vaga sensazione di stare dentro a una sorta di gabbia gigante (lo è pure il mondo dei normali). Divertimento o no, anche un funerale è una ‘festa’, a volte… di liberazione.



Gli ultimi arrivati ti fanno le pulci

Succede sovente che l’ultimo arrivato, specialmente l’infermiere di turno, si dimostri il più pignolo nella distribuzione dei farmaci, non tenendo minimamente conto della vasta esperienza che tu puoi avere in materia...



Tradimento??? (dipende dal ruolo)

Credo sia la madre la prima traditrice in seno alla famiglia!!! Dopo di che possiamo tranquillamente, visto l’insegnamento impartitoci, tradire noi stessi e il mondo.



Contesto

Credo che più si esclude il contesto più il linguaggio diventa autoreferenziale... psichiatria inclusa.



Complotto farmaceutico

Psicofarmaci scorrono a fiumi, le ricadute di tutto ciò sono a dir poco discutibili, mi sento a terra!!! Incontrassi la donna della mia vita, avessi il lavoro ideale e il rapporto con i miei fosse idilliaco... Ma, per la psichiatria, il disturbo di cui soffro mi preclude ogni collegamento sano e non viziato con il mondo che mi circonda. Il mondo, per nulla facile da vivere, con una miriade di problemi da affrontare e con una costante: la ‘solitudine’... Sarà mica che la colpa è del complotto delle case farmaceutiche o degli ebrei???



Non voglio morire

Ossessione per il tempo che passa... Cristallizzazione del particolare.



Input

Gli input che gli educatori dovrebbero trasmettere agli utenti, quasi sempre riflettono l’indole degli educatori stessi...



La sottrazione

Con la modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere, di rilanciare, abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che dall’assenza nasce la potenza. E per il fatto di non essere più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, oggi siamo immersi nell’illusione inversa, quella, disincantata, della proliferazione degli schermi e delle immagini.
Jean Baudrillard



Reciproci favori

La sinistra italiana riformista è incline a svolgere il lavoro sporco in ambito di materia del lavoro a favore della destra.



Marasma

La sottile linea rossa che separa il carattere dal disturbo psichico... Azioni, gesti e parole vengono condizionati reciprocamente...



Comunque, scegli!

Se ti manca l’io, prendi Dio.



Cattolici

Non è bastato Pasolini… Non facciamo che rincorrerli in ogni campagna elettorale... neanche fossimo in uno stato teocratico.



Cercasi psichiatra POP

In futuro tutti saranno famosi per quindici minuti.
Andy Wharol



Cynar… per tutti

Quando la realtà ci va un tantino stretta e non ci piace, tendiamo per un attimo o per sempre a fuggire nella zona franca dell’irrazionale... (buon viatico allo stress della vita moderna).



Borghesia aristocratica

Mi chiedo quale sia la nuova borghesia aristocratica... In questo paese.



Tieni botta!!!

Buon banco di prova per testare la nostra tenuta psicologica è quello della famiglia di origine…



docg

Saranno quelli non certificati dal CSM a creare una miriade di problemi a quelli certificati?!?



Senza ritegno

Magna magna è una cuccagna!



4 marzo 2018

Voto de panza, voto de sostanza.



Di nicchia o di maggioranza

È anacronistico pensare che in Italia possa esistere una forza politica di maggioranza e rivoluzionaria che possa ambire ad un governo del paese???
Saluti...



Gelosie e quant’altro

Chi si occupa del materiale umano nei C.S.M., ovvero del rapporto con gli utenti (incontri, dialoghi di supporto eccetera) nutre uno strano sospetto nei confronti degli E.S.P. che sono stati accreditati con un corso riconosciuto dall’AUSL stessa. Probabilmente il lignaggio è differente: non si è educatori o infermieri, ma esperti alla pari. La differenza probabilmente non sta nei titoli accademici (avuti con un lungo studio) ma nel fatto che forse il rapporto tra pari è in qualche modo più ‘genuino’, toglie steccati (diffidenza e soggezione nei confronti dei camici bianchi). La preoccupazione di certuni, è quella di credere di essere detentori della verità teorica, infischiandosene di quella parte che si acquisisce avendo esperienza e affinandosi, magari con l’aiuto degli operatori stessi, e che porterebbe un più concreto aiuto agli utenti.



La festa

Non sono mai stato invitato alla Festa!!!



La foto perfetta

L’istantanea che si scatta, quasi in maniera casuale, ma forse perché predisposti dopo anni di conflitto, è veramente sconfortante... I dettagli sono completi, la luce è perfetta, i protagonisti ci sono, e ci sei pure tu!!! Non capivi il perché, ma le cose sono state sempre così da una eternità…



Dov’è la verità???

Dati cifre e statistiche non vanno tirate per la giacchetta.



Quando sarà???

Sono scelte radicali quelle che ci dividono tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.



Nord sud ovest est

Trovo che l’esercizio della scrittura sia una bussola per determinare la mia posizione nel sistema mondo.



Il salmone

Come una cascata cristallizzata la difficoltà di andare contro corrente, la difficile vita di un salmone in amore.



Il tentativo

Vano è il tentativo di controllare le cose in questa cazzo di vita...



C’è chi dice no

Chi non sa dire no, non è uomo libero.

UN CAMPIONE PROVENIENTE DA LA SPEZIA

   Matteo Bosinelli


S Marco Albano era un maestro di scacchi di La Spezia che, con dolore di molti, fra cui il sottoscritto, è scomparso lo scorso anno. La sua maggiore ‘eredità’ scacchistica è stato un impegnativo pareggio con il noto fuoriclasse russo Anatolij Karpov (Graz 1972, campionato del mondo giovanile a squadre), poco prima che quest’ultimo divenisse campione del mondo.
Il mio ricordo di Marco è intriso di tenerezza, perché lo frequentai per diversi anni nel Circolo Scacchistico della nostra comune bella città, La Spezia, e perché vincemmo ad Alessandria, nel 1974, un torneo a squadre di una certa rilevanza. Nel viaggio di ritorno da questo torneo, tutti noi componenti della squadra spezzina, eravamo eccitati e in preda a una feroce euforia: ricordavamo i momenti clou del torneo, oppure parlavamo in generale di scacchi: cos’è il talento, cosa fare per tenersi allenato e così via. L’atmosfera ‘festaiola’ era molto piacevole e si era impadronita un po’ di tutti noi. L’interlocutore principale era sempre Marco, che rispondeva alle domande, esprimeva concetti e dava consigli, con una calma e una modestia che lasciavano sbalorditi. L’ultimo ricordo che ho di lui è di molti anni dopo: ritornato a La Spezia per un paio di giorni, andai al Circolo Scacchistico a trovare gli amici con i quali avevo condiviso, per anni, la passione per gli scacchi. Marco, anche se impegnato in una partita, e toccava a lui muovere, si alzò, mi sorrise bonario e conversammo per un po’ amichevolmente.
Ha lasciato una moglie (anche lei insegnante di matematica) e due figli, di cui ho però un ricordo molto sfumato: avranno seguìto le orme paterne?
A questo punto, credo che a qualche lettore possa interessare la sopracitata partita contro Karpov: eccola qui, allora, di seguito.

Albano – Karpov (Graz, 1972)

1) e4 c5
2) Cf3 e6
3) d4 cxd4
4) Cxd4 Cc6
5) g3 a6
6) Ag2 Cxd4
7) Dxd4 Ce7
8) 0-0 Cc6
9) Dc3 d6
10) Ae3 Ad7
11) Cd2 Tc8
12) a4 b5
13) axb5 axb5
14) Tfc1 Ae7
15) Af1 Ce5
16) Da5 0-0
17) Axb5 Dxa5
18) Txa5 Axb5
19) Txb5




19) ... Cd3
20) Ta1 Txc2
21) Ta7 Af6
22) Td7 Cxb2
23) Txd6 Cd1
24) Tb3 g5
25) Cf1 Cc3
26) Td2 Txd2
27) Cxd2 g4
28) Cb1 Ce2+
29) Rf1 Cd4
30) Axd4 Axd4
31) Td3 e5
32) Cc3 Ta8
33) Cd5 Ta1+
34) Rg2 h5
35) Td2 Ta7
36) h3 Rg7
37) hxg hxg




38) f3 Rg6
39) fxg4 Rg5
40) Rh3 Ta1
41) Te2 Th1+
42) Rg2 Th8
43) Te1 Rxg4
44) Tf1 Ta8
45) Txf7 Ta2+
46) Rf1 Rxg3
47) Tf5 Aa1
48) Cf6 Td2
49) Ch5+ Rh4
50) Cf6

e i due giocatori si accordano sulla patta: 1/2-1/2







FUMARE

   Marshal Monaco


I l fumo, il fumare sigarette, fumare in senso stretto, non ha alcun risvolto positivo, poiché costituisce unicamente una fonte di patemi, dolori, malattie mentali e fisiche, perdita di tempo, di risorse economiche e di energia vitale. Fumare sigarette e altro esala odori sgradevolissimi, che ammantano organismo, indumenti, ambiente domestico e ambiente globale e non è dannoso solo per la salute, dato che evidenti dati perorano ciò che vado ora ad elencare: il fumare ingiallisce le unghie rendendole più fragili e deboli, facili da rompere quindi meno resistenti; ingiallisce le mura domestiche cagionando un raccapricciante aspetto estetico; deteriora lo stato di salute dei denti, ingiallendoli e favorendo il sorgere di carie, tartaro e placca; comporta una perdita di efficacia delle papille gustative, cosicché non si possa gioire a pieno delle prelibatezze del cibo, e fa incamerare sporcizia e agenti patogeni per la flora batterica dell’intestino; rovina la cute, l’epidermide, favorisce il sorgere della forfora che si può si debellare solo a brevissimo termine, sintomo anche di un cattivo stato del fegato; accorcia il respiro, porta ad avere il fiato corto, ossia riduce l’efficienza operativa dei polmoni e riducendo l’apporto di ossigeno favorisce il sorgere di infarti e ictus. L’ictus porta ad uno stato di demenza, malattia mentale che impedisce di realizzare in tempi celeri, ragionevoli ciò che è positivo e utile per sé stessi. Il fumare sigarette riduce drasticamente l’efficacia operativa dell’apparato muscolare e scheletrico rendendoli ancora più sensibili ad agenti patogeni o radicali liberi. Diventano così più frequenti, anche col trascorrere del tempo che non attenua i risvolti negativi del fumare, i dolori al torace, il dolore ai denti, alla testa (emicrania), epistassi (perdita del sangue dal naso), pruriti… Sì perché fumare è causa di scarsa igiene, non solo per ciò di cui è costituita materialmente una semplice sigaretta. Diversi interventi delle forze dell’ordine, concretizzatisi in controlli, hanno portato alla luce che nelle fabbriche dove avviene la lavorazione dei tabacchi si usano veleni, inoltre si trovano nelle sigarette feci di roditori, capelli umani, polvere e residui organici in avanzato stato di decomposizione. Il fumare non rilassa ma irretisce i nervi e rende più nervosi e irascibili e non è affatto vero che fumare favorisca la concentrazione poiché come già detto riduce l’apporto di ossigeno anche al cerebro.
Perché togliersi i piaceri della vita, e impedire a quest’ultima di avere il suo corso? Il fumare rende impotenti. Le parti periferiche del corpo sono esposte a maggior rischio di perderne l’uso. Si rischia di perdere l’uso di gambe, braccia, piedi.
Si pensi a quante sigarette si fumano nell’arco di una giornata e nell’arco di due, cinque, dieci, quindici anni. Durante questi lustri le risorse allocate nel consumo di sigarette sono le stesse che si possono impiegare per usi di gran lunga più efficienti ed utili come l’acquisto di un’unità immobiliare, una baita, si può visitare in lungo e in largo un continente come l’Africa (che è il terzo più esteso al mondo), impiegarle per la formazione. Il fumo è cancerogeno perché inquina l’aria, la combustione di sigarette che non sono che dei veleni e droghe, fa aumentare la presenza di polveri sottili. I costi sanitari aumentano anche a causa del fumo di sigarette, tabagismo (il fumare è una tossicodipendenza). Le malattie è meglio prevenirle. Il fumare sigarette di contrabbando foraggia, alimenta il crimine. Come anche fumare altre sostanze psicotrope (tabacco, eroina, cocaina, hashishina, tetra cannabinolo, lsd e altre schifezze immonde) rinforza il crimine che ci impedisce di gioire di una vita serena, tranquilla, democratica, e di vivere appieno la nostra vita. Se piuttosto che coltivare tabacco, piantumassimo alberi, piante, fiori e frutti…

PER LA CRONACA

   Simone Riva


importante riuscire a pensare al presente, a non mettersi dei pensieri per il domani, anche perché un grosso futuro, purtroppo, non lo vedo al momento e andando avanti mi sa che andrà sempre peggio. È già buono quando noi disabili possiamo avere una famiglia su cui contare e una buona pensione correlata con le borse lavoro, che arriva abbastanza puntuale. Continuando a chiedermi dove sbaglio, senza trovare una risposta, bisogna che io la trovi; mi faccio un sacco di paranoie su cosa fare, o come passarmi il tempo, in particolare su cosa succederà nel mio domani, anche se so che non succederà niente di nuovo, e continuerà la solita routine o almeno lo spero.
È bene che io mi metta di punta a dimagrire, perché sono molto grosso come corporatura, ed è bene anche che io mi metta di buona volontà a fare qualcosa come un buon passatempo che possa aiutarmi a passare qualche ora fuori di casa. Senz’altro potrebbe aiutarmi a stare meglio. Guardo in faccia la realtà e vedo che ho problemi cardiaci e un braccio tutto rotto, compreso anche un problema psichico non da poco, che sicuramente non riesco a risolvere, nonostante i miei sforzi. Mi piacerebbe darmi da fare e avere più occasioni sociali, credo che vorrei essere trattato come gli altri a volte anche se mi rendo conto di non essere all’altezza di altri che fanno certi mestieri, gente di un certo livello competitivo sul lavoro.
Lamento anche che, col fatto che questo cavolo di mercato del lavoro ci offre un livello di sopravvivenza non esagerato, è anche difficile mettersi in testa di realizzare qualcosa nella vita, come una famiglia o una casa; che forse resta un sogno impossibile per molti, anche che non sono disabili. Quello di cui avrei bisogno è qualcosa di interattivo con cui passarmi il tempo…
Tenete conto che questi pensieri sono tutti per la cronaca…

TRAIETTORIE TRASVERSALI

   Ghiaccio Sinistro (ghiaccio.sinistro@gmail.com)


I o vagabondo. Lo sono stato per circa un anno. Poi mi sono ritrovato. Tornando a un episodio della mia infanzia. “Hai gli stessi Occhi di Augusto Daolio”, mi disse mio Nonno Domenico detto Nenno. Ricordandolo i miei occhi hanno iniziato a brillare di nuovo. Hanno riiniziato a osservare e vedere. E allora torniamo al ‘Suono della Domenica’, mi sono detto, che è un bel libro di Zucchero. Ma non in senso religioso. Io a Messa non ci vado e nemmeno credo in un dio. Da un punto di vista cattolico sono ateo. Da un punto di vista spirituale buddista. Ma non credo nella reincarnazione. La ritengo una favoletta. Non mi interessa. Non voglio rimandare. Voglio Esserci. Quando è utile, quando è necessario.
Poi voglio stare anche da Solo. In cinque parole: “amo farmi i cazzi miei”.
ANGELI, NO GRAZIE!
STARE DA SOLO…
Eh... già. Vasco. Un tema da riprendere. Epurandomi. Da troppe citazioni. Da troppi riferimenti. Stordenti. Psichedelici. Senza recinto. Ho sbagliato ma non rinnego. Rilancio e riparto. Sapendo che nei territori della ragione ci sarà anche la mia normalità, da cui scrivendo cercherò di guarire, tenendo presente che ognuno di noi ha una parte oscura che chiede luce e che Franco Battiato chiama ‘L’animale’.
Tra qualche sigaretta e qualche caffè non dimenticando mai di avere momenti di leggerezza e stupidità.
Rieccomi.

ARIA DI FESTA

   Casa San Giacomo

Me ne ero dimenticata,
ma ora me lo ricordo:
una festa ha senso solo
se si sta tutti insieme
Hikari - Special A

FESTA È…
● La festa è un momento di gioia per riunirsi con gli amici.
● È movimento, ma non per forza ballo, è stare insieme per divertirsi, ma anche per lavorare.
● È rivedere persone dopo tanto tempo ed è ricordare delle occasioni importanti.
● Nella nostra esperienza festa è tutto questo.

Prima di entrare in comunità, non c’era festa a Gossolengo senza di me: io partecipavo a tutte le feste di paese ed ero nello staff organizzativo; con gli amici andavo a lavorare alle feste per sistemare i tavoli ed era divertente stare con gli altri ragazzi con i quali scherzavo fino all’arrivo dei clienti. Quando lavoravamo eravamo serissimi, ma appena possibile trovavamo il modo per stare insieme allegramente e, anche alla fine, non era poi così faticoso risistemare tutto a festa finita, anche se era quasi mezzanotte.
TB

Io ho festeggiato il mio compleanno qualche giorno fa con la comunità al ristorante e sono stato felice perché ero in un posto bello con persone che tengono a me e che mi hanno anche preparato una torta buonissima. Mi è piaciuto anche tornare dai miei compagni di scuola che non vedevo da un mese perché sono stato malato, rivedere i loro volti felici e sentire i loro abbracci mi ha fatto stare molto bene.
CB

A luglio compirò diciotto anni ed ho chiesto alla coordinatrice di invitare la radio M2O a Porto Recanati perché vorrei fare una festa in spiaggia. Per me è importante perché diventerò maggiorenne e sarà una data da ricordare.È bello trascorrere insieme alle persone che sono nella mia vita questo evento.
MCB

LA FESTA

   Centro Diurno di Casalecchio di Reno


L a parola ‘festa’ mi fa pensare a una mascherata pirandelliana… Apparire ciò che non si è. E mi fa pensare in particolare al giorno del mio compleanno: in questa occasione mi sento come un pesce fuor d’acqua e prigioniero di una maschera di felicità e bontà dalla quale vorrei liberarmi, riaffermando i diritti della parte oscura che è in me, quella pessimistica e materialistica, quella cattiva… Più che stare con chi mi vorrebbe festeggiare vorrei stare per i fatti miei e godermi solo i beni materiali, come una fetta di torta o un bicchiere in più di bibita. Non sono un tipo adatto a calarmi nel ruolo di chi è festeggiato, anche quando ricorre il mio giorno, il mio compleanno… Questa occasione (l’11 marzo) è per me solitamente una rottura di palle… Mi rendo perfettamente conto che in certi momenti sopporto a malapena me stesso e non ho quindi voglia alcuna di festeggiarmi; sto lì e faccio atto di presenza per cibarmi della torta e non dovere rinunciare alle bibite… Non colgo l’atmosfera gaia di questo giorno che ricorre una volta all’anno, così caro e gradito a molti. E vorrei comportarmi come il passero solitario del Leopardi. Confesso che si profila però in me una marcata antitesi rispetto a quanto ho detto finora: in occasione di una festa cerco di solito di polarizzare l’attenzione degli altri, in particolare di chi costituisce quello che per me rappresenta un harem, composto da esclusive e primeggianti figure femminili (tentando poi per converso di distogliere il mio sguardo dalla visione crassa e torbida del materialismo sopra citato e di volare verso un estatico nirvana).

Giovanni

FESTA È …

   LABORATORIO DI NARRATIVA - RTP Casa Mantovani


…terminare il mio percorso in comunità ed essere autonomo.
Rolando C.

…essere innamorato, vorrei una fidanzata, andare a ballare al Tuiga.
Enrico B.

...un momento di aggregazione per le persone in cui si esprime gioia e felicità. Si può fare festa per tanti motivi: Natale, Capodanno o più semplicemente si può festeggiare per qualsiasi momento della vita significativo per noi. Forse la festa più bella non è rappresentata dalle feste ‘comandate’, ma piuttosto da uno stato mentale positivo che ci induce ad essere contenti con noi stessi e con gli altri. Festa per me è condividere un momento gioioso con qualcuno.
Federico G.

...un periodo non troppo vasto per riposare in cui la contemplazione di sé stessi si basa sul rilassamento o sull’astenersi da qualcosa di più impegnativo. Prende valore nel momento stesso in cui sparisce questa ipotetica attività impegnativa anche se è scontata come cosa.
Davide P.

...quando tu sei troppo dolce con me.
Ilia A.

Cosa pensano i velisti della festa?
Che non c’è nulla da festeggiare.

● La festa patronale a metà settembre a san Biagio. Le luminarie, la statua portata in processione, i cori e i fuochi d’artificio: una ricorrenza annuale dove ci si rincontrava in spensieratezza...
● Il carnevale a Cento, i carri mascherati aspettando il lancio dei palloni, coriandoli ogni dove, l’odore del cibo di bancarella, dalla finestra di mia zia la battaglia di caramelle con i bambini dell’altro palazzo...
● La festa è dare addio, chiudere un capitolo della propria vita, liberarsi e iniziare.

NEL TEMPO DEI TEMPI

   Chiara


N el tempo dei tempi si scorgevano in lontananza i resti di un’antica statua. Il vecchio patriarca che abbiamo incontrato ce l’ha confermato… Io comincio a raccontare… Era il 1980, avevo ventidue anni e un vissuto che rifiutavo, che mi portò per due volte a un’esplosione, a un ricovero nel reparto psichiatrico di una casa di cura e due anni più tardi, nel 1982, alla cura sotto stretto controllo medico del dott. Vittorio Melega dell’Ospedale Malpighi di Bologna. Alla base del mio malessere c’era il conflitto con mia madre. L’ho ‘riabilitata’ solo dopo la sua morte, avvenuta in un anno che non ricordo, forse il 2012. Mi aveva trasmesso la sua malattia, la sindrome bipolare, cioè l’alternanza di stati depressivi ansiosi e all’opposto euforici. Soffrivo tantissimo per questa patologia, devo riconoscere che mia madre, malgrado tutto, mi aveva fatto curare. Mi era stato detto che dalla mia malattia non si guarisce, ma si poteva stare meglio. Sono passati trentasette anni e un vissuto di rinunce, grosse contraddizioni e malessere generale. A completare il mio disagio si era aggiunto un ‘idrocefalo normoteso’, che non so bene cosa significhi, ma che rendeva particolarmente complessa la mia situazione. Mi sono sposata a cinquantatré anni, con un uomo più giovane di me di cinque anni. Sono molto legata a lui e non riuscirei a concepire la sua assenza. È come se ci fosse stato da sempre. Mi ha accettata malgrado tutto e gli sono fortemente riconoscente. Ho fatto l’insegnante di lettere dal 1984 al 2000, poi la mia malattia me l’ha impedito e sono passata a fare la bibliotecaria, lavoro che non mi è mai piaciuto, ma che ho fatto per circa tre anni. Mentre scrivo mi rendo conto di come la mia memoria vacilli. Per tamponare questa situazione avevo messo in atto delle strategie. Scrivevo tutto quello che dovevo fare. Ero sotto stretto controllo psichiatrico, prendevo psicofarmaci con regolarità e facevo colloqui con una psichiatra. La mia vita era difficile e mi aveva portato a delle grosse rotture sociali e alla perdita di rapporti affettivi ed amichevoli anche di grossa importanza. Mi rendo conto che molte volte facevo i capricci, ma è più forte di me. Avevo perso mio padre a quindici anni e questo è un ricordo indelebile, che è impossibile dimenticare. Conoscevo bene la solitudine e anche la disperazione e nello stesso tempo la speranza. Ora smetto di scrivere perché mi sento esausta. Ripercorrere il proprio vissuto è faticoso da morire.

NOVELLA IN FESTA

   Patrizia Degli Esposti


A Novella piacevano le feste, le organizzava ed era al settimo cielo quando vi partecipava: feste di compleanno, matrimoni, battesimi. Per lei era una meraviglia prendere parte a qualche festa, una gioia per il suo cuore e la sua mente. Novella era una trovatella ed era cresciuta in un orfanotrofio, ma aveva avuto tanto amore intorno a sé e questo amore lo voleva distribuire e regalare durante le feste. Novella oltre ad amare le feste era uno spirito libero e la sua ambizione consisteva nel benessere sia del corpo che della mente. Per mantenersi stirava, perché le piaceva e non sentiva la noia e la fatica. Nonostante si fosse laureata in ingegneria, Novella ben presto decise che la sua allegria non poteva essere contaminata da colleghi tristi ed arrabbiati. Meno soldi, ma molti meno affanni e gastrite. Aveva un giro di signore che se la contendevano, perché era precisa e decisamente affidabile. Quel giorno aveva ricevuto l’invito al matrimonio di una sua compagna di scuola che si sarebbe celebrato dopo tre mesi e mentre si recava al lavoro pensava a cosa avrebbe potuto indossare e guardava le vetrine di abbigliamento per farsi venire un’idea. Giunse a casa della signora Agnese, una nota avvocatessa, e si mise all’opera con il ferro da stiro e il cesto della biancheria. Fra le varie camicette eccone una di seta color pervinca che subito le parve bellissima, la stirò in modo impeccabile e... beh Novella non resistette e la indossò. Si guardava allo specchio e, sì, le stava proprio bene, sembrava fatta apposta per lei. Mentre Novella si sorrideva allo specchio la signora Agnese entrò in casa sbattendo la porta. Ops… Novella ebbe un sussulto, sapeva che non era corretto quello che stava facendo e in fretta si tolse la camicetta, ma talmente in fretta che strappò la cucitura della manica all’altezza della spalla. Cominciò a sudare e il cuore aveva i battiti accelerati. Che fare? Poteva nascondere la camicia nel cesto e fare finta di niente... probabilmente la signora Agnese non se ne sarebbe accorta... probabilmente... Ma Novella optò per la confessione. Andò incontro alla signora Agnese sorridendo: “Bentornata, è rientrata presto oggi”. La signora Agnese rispose con un mugugno e quasi non la guardò in faccia. Novella si fece coraggio e mostrando la camicetta le disse che aveva trovato quella camicetta così bella che non aveva resistito e l’aveva indossata, ma quando l’aveva sentita rientrare aveva compreso di avere commesso un errore e nel toglierla l’aveva strappata e che, ovviamente, gliel’avrebbe ripagata. La signora Agnese alzò lo sguardo e finalmente la guardò negli occhi e anziché rimproverarla sorrise e mentre sorrideva le si avvicinò e l’abbracciò “Novella non è bello quello che hai fatto, ma la tua sincerità mi offre il primo spiraglio di luce in questa brutta giornata. Tutti a mentire, a trovare scuse. Con la tua onestà mi fai sentire meglio. Guarda te la regalo la camicetta, ma prima la farò sistemare. E ora fammi compagnia che preparo un caffè e festeggiamo questo bel momento”. Raccontata così, questa storia sembra una favola a lieto fine, ma è semplicemente la festa del coraggio della verità..

RIDE PER LA RIDDA

   Opola Resonive


S i balla stasera alla festa, tutti sono in pista, tutti giovani e belli, è una festa paesana. Ma dove si trova esattamente questo paese? Sul mare! La musica sulla spiaggia è riservata ai giovani, giovani che scalzi ballano sulla spiaggia, musica molto alta, troppo alta, sono quasi tutti sordi, cosa? Ho detto sordi!
Vogliono lo sballo, divertimento allo stato puro, aiutati da alcool e droghe... La vita è un continuo scorrere. Tu, che non vuoi fermarti un attimo, hai paura di rimanere a pensare che in fondo sei solo una persona con grossi limiti fisici e mentali. Tutto questo ti spaventa, corri, corri veloce senza voltarti! È giusto questo? Chi sono io per poter giudicare? L’importante è amare gli altri, capire cosa si sta facendo, farlo perché lo si desidera. Non fare male agli altri. Nella vita tutto quello che fai ti torna indietro, se fai del bene ti torna il bene, se fai del male ti torna il male, prima o poi i tuoi comportamenti si ripercuoteranno su di te... I ricordi sono parte integrante del tempo, che ci dà un cammino alcune volte agevole, altre meno. Quello che è passato rimarrà sempre in noi dandoci più sicurezza e forza.
Ami vivere, per vivere, non pensare che sei solo, si nasce soli si muore soli! Sarà vero? Corri, balla, corri e balla, sono già tutti in pista, non pensare che gli altri non ti vogliono bene.
Non pensare, questo ti riesce facile! Non piangere, questo ti rende triste! Non parlare troppo, non sei un...
Non tacere... Vai alla festa e ridi, ridi, ridi, ridi...
Il futuro è oggi, il futuro non esiste, vivi oggi, ma non esagerare, fai scorrere gli attimi piacevoli. La ridda è la vita... Partecipa, comportati, saluta, siediti, alzati, guarda dalla finestra, poi scendi in strada... Voglio che tu mi guardi negli occhi e mi sorrida, mi sorrida felice, pensando che il peggio è passato. L’ottimismo trasmette piacere di vivere, piacere della compagnia degli altri, dona il cuore a tutti, se ti si spezza potrai sempre incerottarlo, il tempo fa passare tutto. Un battito d’ali e passa tutto! Un rumore nella notte... E passa tutto! Un bacio rubato? No, un bacio d’amore ti rende la vita, una vita da vivere felice...

ORIZZONTALI E VERTICALI

   Fly


OPERE DEGLI ARTISTI IRREGOLARI BOLOGNESI:
ANDREA GIORDANI


A ndrea Giordani nasce a Bologna il 6 febbraio 1970. Fin da bambino ha amato disegnare, è cresciuto come autodidatta, dall’età di dieci anni disegna in modo continuativo, ha fatto diverse mostre a Bologna, le più importanti alla Carisbo e per due anni alla Pinacoteca di Bologna. Ha avuto esperienze all’estero in Polonia e in Austria.




I dipinti riprodotti qua sotto sono dell’artista Matteo Giorgini