CARLO BOSSOLI: “Danza Tartara”
Piergiorgio Fanti
I
l luganese Carlo Bossoli (1815-1884) cercò di superare gli stilemi romantici, nei suoi quadri brulicanti
di figure, dedicandosi a un’attività per così dire di pittore ‘reporter’ (anche di guerre), con un’attenta e
sapiente resa della prospettiva.
Pittore di grande talento, lavorò con fare esatto e di attentissima illustrazione a dare testimonianza, con
personale tecnica coloristica, degli avvenimenti e dei panorami a lui contemporanei. I suoi numerosissimi
dipinti e disegni trattarono pure temi risorgimentali. Negli ultimi anni di vita il Bossoli si stabilì a Torino e
in questa stessa città morì. Pittore sensibile al vero, cercò una via personale alla resa delle sue sensazioni ed
emozioni, non dimenticando il dato oggettivo. Qui l’arte trovò vertici assai raffinati e significativi.
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EDITORIALE
Fabio Tolomelli
D
a quando sono uscito dalla morsa asfissiante della depressione ogni
giorno è una festa e ogni momento è buono
per stare in allegria. Però non sempre è stato così: durante i giorni
più bui, quando a causa della malattia non
potevo fare alcun tipo di lavoro, tutti i giorni erano uguali. Tutti
tristi e privi di significato. Se potessi dare un consiglio
a quello che ero, non mi direi “la vita è bella”, anche se in realtà lo
è, ma mi consiglierei di fare un ciclo di
terapie posturali per tornare in armonia col mio corpo. Nel mio caso
anche la respirazione a causa della malattia
si era bloccata per le tensioni emotive, ma soprattutto era viziata da
un controllo ossessivo del tono della voce. In sostanza
cercavo di evitare che nella mia voce si sentissero segni
dell’emotività. Lo stesso vale per quanto riguarda la corporeità: non
accettavo di avere tic e nevrosi motorie ed ero in continuo
autocontrollo del mio corpo e dei miei movimenti. Cari lettori, se
pensate a quanti problemi mi facevo, potete immaginare quante energie
sprecate o mal investite avevo. Poi c’erano tutte le
ossessioni, le compulsioni, le varie psicosi e tutta la vita sociale
profondamente compromessa. Non avevo una compagna e
vivevo di ricordi. Il ‘qui e ora’ era troppo soffocante da accettare:
sensi di colpa, paura del futuro, aspetto… ‘rincoglionito’
per effetto dei farmaci. In questo contesto per lungo tempo non c’è
stata festa. Ma cos’è la festa? Secondo Wikipedia, per
‘festa’ “si intende la ricorrenza spesso a cadenza calendariale di un
importante evento laico o religioso della vita pubblica o
privata. I modi, i motivi e il calendario delle festività variano a
seconda delle tradizioni dei popoli”. Il termine ‘festa’ ora lo associo
ad altri che sono: ‘felicità’, ‘libertà’ e ‘riposo’. Purtroppo non
tutti hanno la possibilità e la fortuna di fare festa durante
il weekend. Le feste che preferisco sono quelle religiose di Natale e
Pasqua: quando la famiglia si riunisce, ci si scambiano
i regali e il calore affettivo aleggia nella tavola imbandita per la
festa. Anche le vacanze estive hanno un ruolo importante
nella mia vita. La possibilità di staccare e interrompere
la quotidianità per starmene in serenità con mia moglie
lontano dai problemi è una sensazione molto gradevole.
In effetti quando ero piccolo vivevo in modo differente
le feste, sicuramente erano più spensierate. Pensavano
a tutto i miei genitori o i miei nonni. La cosa più bella
era non andare a scuola: poco mi cambiava se andare
al mare, o dai nonni, o restarmene a casa e incontrarmi
con gli amici, l’importante era non avere compiti da
fare, cosa che rimandavo sempre a domani. La mia tendenza
a rimandare la soluzione dei problemi da adulto
mi ha messo in difficoltà, creando un ‘ingorgo’ di problemi
intricati, di troppe cose rimandate… In sintesi, i
nodi prima o poi vengono al pettine… La festa trasmette
la pace e tranquillità necessaria per mettere a posto
le cose. Quando si è di buon umore, anche i problemi
più dolorosi si vedono con maggior distacco, divenendo
di più facile soluzione. Il divertimento è un’altra caratteristica
della festa. A volte è un evento casuale, come
può essere un goal della mia squadra preferita, a farmi
festeggiare, anche se capita in un giorno feriale. Altre volte
è la ricorrenza in sé a offrirmene l’occasione. Ora posso fare
il lavoro che ho sempre sognato, fortuna enorme al giorno
d’oggi, e non sento tanto il bisogno di staccare, perché sono
molto gratificato da quello che faccio e ogni giorno è festa.
Riconosco che se facessi l’operaio in fabbrica vivrei in un altro
modo il weekend. Lo so che non è facile poter dire che la
vita è bella in termini assoluti. È questione di punti di vista.
Il dubbio viene quando subiamo lutti di diversa natura. Ma
se la prendiamo nel suo complesso la vita è fantasticamente
meravigliosa e ogni giorno che passa è effettivamente una
festa. Leggiamo Il Faro che parla di festa e apprenderemo
punti di vista diversi per come rendere più festosa la nostra
esistenza. Divertirsi fa bene!
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LA FESTA: UN PATRIMONIO DELL’UMANITÀ
L. V.
A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di
casa e attraversare la strada, e tutto era bello…
Cesare Pavese La bella estate
N
on succede spesso a un giornalista di
essere accolto con feste, musica e danze.
A me e al collega fotoreporter è capitato
in Nigeria ogni volta che abbiamo
visitato qualcuno dei numerosi villaggi
nascosti nell’immensa foresta che si estende nel
delta del Niger. Eravamo lì per realizzare un reportage
sulla presenza dell’Eni in quest’area ricca di
giacimenti petroliferi. Per arrivare a questi villaggi le
uniche vie di collegamento erano le acque ramificate
del fiume Niger da percorrere in barca. Il primo contatto
con un villaggio nigeriano è stato per me una
sorpresa: appena siamo scesi dall’imbarcazione, ci
sono venuti incontro sul pontile decine di bambini
con grida festose, gli abitanti sono usciti dalle capanne
per salutarci, il capo del villaggio ci ha offerto
una bevanda e volentieri ha fatto una chiacchierata
con noi. Poi, nel piazzale, un gruppo di ragazzi e
ragazze, accompagnati dal ritmo dei tamburi, ci ha
dedicato una tradizionale danza di benvenuto che ci
ha sorpreso per la perfetta sincronia e naturalezza.
Nei villaggi del delta del Niger la cultura della festa
fa parte di un’antica tradizione che, in varie occasioni,
coinvolge tutta la comunità: si festeggia l’ospite,
la nascita, la morte, il matrimonio o avvenimenti
particolari. La festa, la musica e i balli fanno
parte anche del rito funebre. Lo abbiamo scoperto
arrivando in un villaggio durante il funerale di
un vecchio. “Festeggiamo il bene che ha compiuto
nella sua lunga vita”, ha spiegato un parente. Ed è
tradizione che una vita ben vissuta debba essere ricordata
e festeggiata con molta musica e balli, che
accompagnano il defunto nel suo viaggio verso una
vita migliore nell’aldilà.
Funiculì, funiculà
Ma non ci saremmo mai aspettati una festa di musiche
e danze lungo una pista che attraversava la foresta
congiungendo via terra due villaggi vicini che
fino ad allora potevano essere raggiunti solo con
barche. La pista era stata realizzata da una compagnia
petrolifera che aveva abbattuto gli alberi per
posare un oleodotto. Si trattava di strada effimera
che in pochi mesi la fertile foresta avrebbe ricoperto
con la sua folta vegetazione, tuttavia per gli abitanti
dei due villaggi la novità del passaggio attraverso la
foresta era diventata un evento da festeggiare insieme.
A me venne in mente la canzone Funiculì, funiculà
con la quale, alla festa di Piedigrotta del 1880,
i napoletani festeggiarono la funivia del Vesuvio:
tutto il mondo è paese. E tutto il mondo cambia. Nei
paesi più ‘evoluti’, le trasformazioni della società industriale
hanno progressivamente intaccato quella
dimensione comunitaria e popolare che si ritrova
ancora nelle feste di alcune comunità etniche. Ma
anche queste comunità sono sempre più raggiunte
dai cambiamenti epocali della globalizzazione culturale,
economica e tecnologica che coinvolgono
tutte le aree del mondo. In diversi villaggi nigeriani
sono arrivati la luce, il frigorifero, il televisore,
la scuola, pompe per l’acqua, e ambulatori medici.
Molti giovani trovano lavoro nell’industria petrolifera,
lasciano le capanne e vanno ad abitare nelle
case in cemento delle città, ma conservano un forte
legame con la propria tribù. Nessuna nostalgia perché,
nonostante enormi problemi e contraddizioni,
anche in paesi come la Nigeria il progresso sta progressivamente
migliorando gli indici della durata e
della qualità della vita. Ma tra le sfide della globalizzazione
c’è anche quella di salvaguardare culture e
tradizioni che – come molte feste, musiche e danze
africane - l’Unesco ha inserito nel patrimonio immateriale
dell’umanità.
Un incontro gioioso
La tradizione italiana è ricca di feste mariane e patronali,
molte delle quali sono state riconosciute
dall’Unesco. Anche i numerosi carnevali, con le loro
maschere e carri, fanno parte delle feste popolari da
salvaguardare. A partire dagli anni Settanta del secolo
scorso, con l’ingresso massiccio della cultura
del consumo, la società italiana è stata coinvolta da una profonda trasformazione che ha modificato anche
la nozione di ‘feste popolari’, allora considerate
da molti una consuetudine in via estinzione. Ma da
diversi anni - forse per reazione alla globalizzazione
- molte regioni, città, e paesi italiani hanno cercato
di rivitalizzare antiche feste tradizionali. Contemporaneamente
è cresciuta la consapevolezza dei cittadini
e degli amministratori che, nei nuovi scenari
caratterizzati da forti e continui cambiamenti sociali
e culturali, questa rivitalizzazione debba essere accompagnata
da moderne iniziative che consentano
di recuperare il senso della festa. Non è una sfida
facile, tuttavia diverse città hanno avviato iniziative
in questa direzione. Come la pedonalizzazione
del centro di Bologna dove, nelle strade libere da
auto durante i weekend e le giornate festive, la folla
rumorosa, i gruppi musicali, i mimi, i giocolieri, gli
artisti di strada, i bambini che giocano, i cani scodinzolanti,
danno vita alla festa gioiosa e gratuita
dell’incontro fra tante persone che si percepiscono
amiche.
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LA FESTA
Mariangela
D
a sempre uomini e gruppi sociali sentono
il bisogno di interrompere lo scorrere
del tempo e la quotidianità degli eventi
con momenti di festa. La festa è un’occasione
per rinsaldare i legami familiari e
di amicizia. Si festeggia per ringraziare, per ritrovare
riti e gesti, per vivificare simboli e significati. La festa
può essere espressione individuale o collettiva, per
quanto si è ricevuto: possiamo ricordare ad esempio
gli antichi riti per il raccolto e la mietitura. In Italia
sono molte le occasioni per festeggiare, ricorrenze
religiose solennizzate da riti e cerimonie come Pasqua,
Natale, feste patronali, e poi sagre paesane, la
festa della donna, della mamma, del papà… La festa
può comprendere intrattenimento pubblico, come il
capodanno, o privato, come compleanni, battesimi,
cresime, matrimoni, lauree… In ogni caso si esprimono
manifestazioni di allegria, gioia, esultanza.
Riguardo al tema qui trattato, la mia curiosità è andata
oltre: da una ricerca per mezzo di internet ho
appreso l’esistenza di una festività che si svolge nelle
Filippine, un arcipelago dell’Oceano Pacifico che
comprende settemilacentosette isole. È un’area frequentemente
colpita da terremoti e tifoni, ma anche
piena di risorse e una delle zone più ricche di biodiversità
del mondo. Il nome le fu imposto dall’esploratore
Ray Lopez de Villalobos in onore di Filippo II,
re di Spagna dal 1556 al 1598. Un tempo le Filippine
erano sotto la dominazione spagnola, oggi sono un
grande paese, il dodicesimo più popoloso del mondo,
e nelle isole convivono varie etnie, che condividono
usanze, tradizioni e festività. Una di queste è il
tradizionale ‘festival dei fiori’, che ogni anno si tiene
per l’intero mese di febbraio a Baguio, una città che
si trova sulle montagne a un’altitudine di oltre 1500
metri sul livello del mare, che viene completamente
decorata con fiori.
Il festival ha nome panagbenga, che significa ‘stagione
di fioritura’ e si riferisce alla primavera, la
stagione del risveglio della natura dopo il freddo invernale.
È un evento che regala immagini di allegria,
per la cascata di colori che lo caratterizza. Il festival
è nato per rendere omaggio alla generosità della
natura, ma è diventato anche un modo per festeggiare
la ripresa dopo il terribile terremoto del 1990. Spettacolari sfilate si svolgono con carri allegorici
decorati con fiori coloratissimi e seguiti da ballerini
che indossano costumi ispirati alle piante e ai fiori e
danzano nelle strade. Oltre ai tanti Filippini che arrivano
dalle altre isole, turisti provenienti da tutto il mondo visitano Baguio e si lasciano piacevolmente
trascinare negli allegri festeggiamenti.
E voi, volete festeggiare? Venite alla ‘Trottola’! Che
cos’è? È un progetto dell’associazione I Diavoli
Rossi, supportato dal DSM di Bologna. È un momento
di incontro che si tiene ogni due settimane
a Casalecchio di Reno, presso il Centro Sociale di
via Canonica. Si svolge di sabato, per evitare la solitudine
del fine settimana e per decidere assieme il
programma domenicale. È un’attività di integrazione
sociale, pensata soprattutto per coloro che non
hanno possibilità di accedere a occasioni di svago e
hanno difficoltà a gestire il tempo libero. Oltre a vari
momenti culturali, la ‘Trottola’ promuove attività ricreative.
Gite in città d’arte o al mare, balli di gruppo
e partecipazione a spettacoli di ballo popolare
internazionale, visite alla fattoria didattica, cinema,
teatro, karaoke, e la tradizionale festa natalizia. Un
programma all’insegna del divertimento, motivo di
festa e di gioia, ma anche un modo per stare insieme,
per trascorrere il tempo in modo costruttivo,
e dimenticare per un momento i nostri problemi.
Quando la festa è condivisa, la soddisfazione è maggiore,
e maggiore è anche la forza per affrontare le
difficoltà quotidiane.
Buone feste!
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GIOIA, GIUBILO, BALDORIA
Augusto Mocella
P
er ‘festa’ si intende la ricorrenza annuale
di un importante evento laico o religioso
della vita pubblica o privata.
Il significato etimologico viene dall’aggettivo
latino festus, ‘solenne’ e dall’espressione
dies festa, ‘giornata solenne’, gioia pubblica,
giubilo, baldoria.
C’è festa religiosa come il Natale o la Pasqua; c’è festa
popolare come il carnevale. C’è poi la festa civile
come la festa della Repubblica, il 2 giugno.
La festa comunque è una pausa gioiosa nel trascorrere
dei giorni, uno iato tra i giorni ordinari.
C’è soprattutto l’astensione dal lavoro obbligatorio.
Quindi è anche un momento per raccogliersi in famiglia
con parenti, amici. Anche le feste civili si passano,
ordinariamente, insieme a persone consone, che
la pensino in modo unanime.
La festa vissuta in famiglia è un momento di intimità
e raccoglimento per ripetere antiche tradizioni e
riti. Questo fa sì che anche nella cucina e nei pasti
vengano seguite le ricorrenze, con cibi particolari
e tradizionali. Questa ripetitività fa ritornare nella
memoria e nel gusto quanto è stato fatto negli
anni passati. Alcune feste sono anche occasione per
scambiarsi regali e ciò fa sì che tutti si ricordino delle
feste: Natale, Befana, Capodanno.
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FESTA E DIVERTIMENTO
Gabriele Beghini
N
on è necessaria un’occasione speciale o
una ricorrenza, si può far festa anche in
un giorno qualsiasi. L’importante è portar
con sé lo spirito di chi ama la vita sociale,
di chi si vuole divertire in compagnia e dimenticare
per qualche ora i problemi quotidiani. ‘Festa’
è una parola che immediatamente associamo a qualcosa
di piacevole, solo a pronunciarla suscita entusiasmo, a
ogni età. Indimenticabili le prime feste da bambini o da
adolescenti, giocavamo ad essere grandi con le musiche
di Grease e Saturday Night Fever. Poi con il crescere le
feste hanno assunto aspetti goliardici, motivi di incontro,
di ricreazione, di concertazione. Fra compagni di scuola,
gruppi sportivi, universitari, colleghi di lavoro, gruppi
culturali eccetera... Tanti modi di far festa, ma con un
denominatore comune: il divertimento.
Ridere, gioire, star sereni fa parte dei nostri bisogni primari
come nutrirsi e dormire e, soprattutto, aiuta a stare
in salute. Le feste private sono quelle destinate a una ristretta
lista di invitati; le pubbliche, invece, aperte a tutti:
è il caso ad esempio delle feste paesane, in cui gli spettacoli
fanno da coronamento alla promozione di attività
turistiche e prodotti locali. Folclore, religione, usanze e
specialità costituiscono il filo conduttore delle feste di
paese. Gli spettacoli si combinano con stand e bancarelle,
le strade si riempiono di gente. Le autorità locali
si adoperano in ogni modo per valorizzare il territorio:
gli eventi attirano i partecipanti, si promuovono così le
attività artigianali, agricole e commerciali, contribuendo
in poche parole allo sviluppo dell’attività economica territoriale.
Le feste private, invece, nascono con l’intento
di riunire amici o conoscerne di nuovi. Quando si è in
pochi si può organizzare in casa, altrimenti in giardino
o in un locale. Ma gli ingredienti sono sempre gli stessi:
invitati ben assortiti, ambientazione, addobbi, bevande,
accompagnamento musicale, programma. Tutti elementi
che concorrono in varia misura alla buona riuscita dell’evento,
alcuni marginali, improvvisabili, altri da programmare
con cura, da non trascurare affatto. Agli organizzatori
il compito di creare le condizioni per far sì che tra
gli invitati si instauri una sensazione di agio, la giusta
atmosfera che favorisca situazioni divertenti e serenità.
Tutti noi, per star bene e divertirci, abbiamo bisogno di
un giusto mix di ambientazione e stimoli. Siamo ‘animali
sociali’ con una forte tendenza ad adeguarci al contesto.
Capaci di esser crudeli e distruttivi se collocati in un
ambiente inadeguato oppure al contrario positivi, ben
disposti e perfino comici se la condizione è stimolante.
Mai capitato di accorgersi che solo con alcune persone
o in alcuni contesti ci escono con facilità le battute divertenti?
In realtà facciamo parte di un sistema sociale
in cui tutto è interconnesso. Chi ci sta intorno trasmette
segnali che possono essere incoraggianti, di approvazione,
che in poche parole influenzano favorevolmente
la nostra emotività. Ma è sufficiente la presenza di un
individuo invidioso, inaffidabile, negativo insomma, per
rompere l’incantesimo. Ci poniamo sulle difensive, si
genera una condizione di disagio che può cambiarci l’umore,
ostacolare o addirittura inibire la nostra naturale
espressione. Sui rapporti interpersonali ci sarebbe tanto
da dire, è un argomento molto ampio e interessante.
Ci sono persone che si capiscono con uno sguardo, che
ridono delle stesse cose. Altri che inizialmente si respingono
e poi successivamente, conoscendosi meglio, si
attraggono. Ma anche individui completamente incompatibili,
che si sopportano a fatica, che si evitano per
non scontrarsi. Amicizie difficili, parentele, rapporti di
interesse, perfetti sconosciuti, semplici conoscenti, ma
anche amicizie sincere, incondizionate, tutto insieme a
rappresentare un sociogramma complesso, con una fitta
rete di interrelazioni. Situazioni dinamiche, in continua
ridefinizione che contribuiscono a creare la magia della
festa oppure, talvolta, a contrastarne la buona riuscita.
contribuire al successo dell’evento ci possono esser
figure più o meno formalizzate: presentatori, trascinatori,
animatori, ma anche cabarettisti, comici, barzellettieri.
Ruoli che richiedono il giusto carattere e soprattutto
la capacità di mettersi in gioco. Preziosissimi i talenti di
coloro che sanno organizzare, coinvolgere, trasmettere
entusiasmo e divertire. La festa inizia, si parte bendisposti,
con l’abito elegante e l’aspetto curato. Poi si entra
nel vivo, si incominciano a formare gruppi, è così che ci si
relaziona: seguendo le indicazioni dettate dalle affinità.
È proprio con le persone preferite che chi ama la compagnia
e crede nell’amicizia trova modo di condividere i
momenti piacevoli. La festa segue un percorso, assume
nuove connotazioni, evolve. Si balla, si canta, si raccontano
episodi e barzellette. Ma purtroppo non tutto riesce
sempre bene, la perfezione non esiste: può capitare
una torta mal riuscita, oppure la musica che distorce, la
stufa non scalda, un cantante con il mal di gola, manca
qualche invitato a cui tenevamo, il caminetto fa fumo...
Basterà un’avversità a rovinare la nostra festa? C’è chi
sostiene che l’effetto positivo o negativo di ciò che accade
dipenda in gran parte dal nostro modo di reagire.
Cioè siamo noi che modifichiamo la realtà, o quantomeno
l’impatto che suscita. In effetti una situazione
avversa, se affrontata con l’umore giusto, può anche
scatenare una bella risata, generare cioè una situazione
divertente, perfino capace di mutare una festicciola
insipida in un evento memorabile. Sta nell’abilità di chi
conduce il gioco coglierne le sfaccettature, i retroscena,
gli aspetti ludici. Non si può negare che un episodio può
presentarsi sfortunato e comico allo stesso tempo. L’amico
che non riesce a infilare il rubinettino nella tanica
intanto che la birra continua a fuoriuscire in pressione,
forse non ride molto, ma fa sicuramente ridere chi lo sta
osservando!
E pure lui, se sa stare allo scherzo, si divertirà nel prosieguo
o quando si riguarderà nei filmati! Ogni festa
contiene entrambi gli embrioni: del successo e dell’insuccesso.
Uno solo dei due si svilupperà e sarà opera
nostra. È proprio così: la vita non è mai perfetta, e
neanche le nostre feste lo saranno mai, ma la buona
riuscita dipende da noi stessi, dal nostro approccio,
dal nostro atteggiamento. Semplicemente direi che il
divertimento è già dentro di noi, dobbiamo solo consentirgli
di materializzarsi.
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IL MIO COMPLEANNO E L’ANNO NUOVO
Francesca
C
ompio gli anni il 1° gennaio, quindi questo
giorno è per me una doppia festa: il primo
dell’anno e il mio compleanno. ‘Festa’, si fa
per dire, perché per me ogni anno che passa
è un supplizio, pensando che alla fine
‘invecchio’. In sostanza il mio compleanno, da quando
ho compiuto trent’anni, lo vivo male, perché non fa che
ricordarmi che mi sto avvicinando a un’età più ‘matura’,
o peggio ancora, che mi sto allontanando dall’età giovanile.
Ma solo da un punto di vista biologico, togliendomi
qualsiasi entusiasmo… Se tralascio questo aspetto, e
penso invece al fatto che gli anni passano per tutti, ma
che sono quelli che ci sentiamo che contano, allora mi
sento sollevata. Agli auguri di buon compleanno preferisco
quelli di un felice anno nuovo, perché il capodanno
mi fa pensare a un rinnovo, un cambiamento sempre in
meglio del futuro, quindi a un senso di continuità e di
vita. La maturità e il buon senso, che la vita insegna inevitabilmente
a sviluppare, fanno apprezzare quello che
si è, così come la personalità, lo spirito e il nostro animo
col tempo si arricchiscono con l’esperienza di vita con
i suoi alti e bassi. Il nostro ‘aspetto’ interiore si riflette
anche su quello esterno. Abbiamo una bellezza diversa
da quella ‘dell’asino’, cioè dell’età giovanile, ma più profonda,
che ci rende molto più interessanti. E vedendola
da questo punto di vista… non è poi così male. Fra l’altro
io credo che dopo la morte ci sia una nuova vita che
ci aspetta. Termino con questa citazione: “Il male non è
che fuori si invecchia, è che molti non rimangono giovani
dentro” (Oscar Wilde).
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CHE COS’È PER ME LA FESTA
Concetta
L
a parola ‘festa’ riconduce in automatico a un
evento allegro, gioioso, che in molti casi è così
importante da sottintendere e sottolineare:
fatti e ricorrenze storiche, culturali, folcloristiche,
scoperte, innovazioni, fasi della vita…
Il Natale è una festività importantissima, che racchiude
in sé diversi eventi religiosi che si traducono concretamente
in circa due settimane di vacanze in moltissimi
paesi del mondo. Per noi cattolici ci sono poi i battesimi,
le cresime ed i matrimoni e le feste dei santi patroni. E
ancora: compleanni, feste e sagre paesane, le manifestazioni
in ricordo di fatti di grande risonanza, come la
scoperta dell’America, il 2 giugno, il 25 aprile, la presa
della Bastiglia eccetera. Purtroppo la mia esperienza,
risalente al periodo delle elementari, ha condizionato
non poco e in maniera negativa la percezione e il vissuto
in corrispondenza di eventi festivi. Vi racconterò
il perché: ogni anno, nel periodo delle vacanze scolastiche,
il mio paesello subiva, sistematicamente, un ripopolamento
sostanziale, dovuto alla riapertura delle
seconde case di famiglie native del luogo, ma trasferitesi
a Roma anni prima per lavoro, che in coincidenza
della chiusura delle scuole si godevano circa tre mesi
di vacanza. Solitamente arrivavano ai primi di giugno,
per ripartire il lunedì successivo alla prima domenica di
settembre, giorno della festa di Santa Costanza, patrona
di Rosciolo. Per tutti i bambini residenti, ogni giorno
diventava una festa, gli orari delle uscite, ma soprattutto
dei rientri, erano super elastici. I vicoletti del paese
erano tutti occupati da piccole comitive di ragazzini,
dediti ai nuovi giochi importati dalla capitale, ma anche
ai giochi paesani all’aria aperta: salta cavallo, il gioco
con le ‘schiazze’ (schegge piatte di rocce), il fatidico
gioco della bottiglia per cui i bacini sancivano e giustificavano
l’inizio della storia di coppiette di fidanzatini, le
scampagnate, i pic-nic, i ‘gavettoni’, la palla prigioniera,
la palla avvelenata eccetera. Già da dopo ferragosto
iniziavano le prime avvisaglie della fine dell’estate, così
ero sopraffatta da momenti di tristezza nel pensare che
la festa patronale era alle porte e, con lei, lo svuotamento
di Rosciolo, l’arrivo del freddo, delle abbondanti
nevicate…
Sì, perché voglio ricordare che il mio paese è a mille
metri di quota ed è situato alla base della terza vetta
più alta dell’Appennino Abruzzese, il monte Velino, e
quindi il ritorno alla noiosa routine, con la riapertura
delle scuole, i vecchi orari. Il lunedì dell’esodo, tutti tristi,
gli occhi inumiditi dalle lacrime, a mo’ di vedette ci
schieravamo sul balcone del bar di Olimpietta, da dove
si poteva osservare lo snodarsi lento del serpentone di
macchine stipate di persone e di cose, ben composte e
assicurate al portabagagli da corde di vario materiale,
che con un incedere lento come in un corteo funebre
via via scompariva dalla nostra visuale. Dopo la perdita
dei miei genitori, questo disagio è aumentato, soprattutto
durante le festività natalizie che, se dipendesse
da lei, la sottoscritta le salterebbe a piè pari, a causa
del valore intrinseco e del peso emotivo che la società,
ma anche la religione, ha attribuito a questo periodo.
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UN AMICO NASCOSTO
Enomis
ome mai sono bambino?” e poi guardai
avanti e vidi un uomo in abito scuro che risaliva
un palazzo con una corda; pensai a
un ladro, ma poi si voltò verso me e gli vidi
la faccia; era una maschera scura con due
parti rette sopra, era Batman. D’improvviso da sopra il
tetto comparve un antagonista che gli tranciò la corda
e lui cadde verso il basso, ma poco prima di toccare il
suolo un nuovo personaggio lo abbrancò e lo mise in
salvo, era Robin. Io con i miei occhi da bambino feci un
applauso, felice che fosse andata bene. Mi voltai e la
sveglia stava suonando; mi stropicciai gli occhi e mi resi
conto che Batman e Robin li avevo solo sognati. Quel
giorno non avevo voglia di andare a lavorare e consapevole
che l’orario era ancora giovane, mi voltai dalla parte
opposta nel letto. Poi, attanagliato dai sensi di colpa, mi
preparai ed uscii per andare a lavorare. Mentre ero in
macchina, nel traffico, mi resi conto che era il giorno del mio compleanno, ma al lavoro non lo sapevano. Essendo
una persona timida, certe cose le tenevo per me. Arrivai
al parcheggio. Entrai in ufficio e mi misi nel mio angolo
con le dita sulla tastiera ed il volto verso lo schermo.
Arrivò presto l’orario di pranzo e nell’ora della pausa ricevei
qualche chiamata d’auguri, in prevalenza di parenti.
Durante la giornata ero sempre più depresso, perché
nessuno mi faceva gli auguri. “Grande stupido - pensai
- se non lo dici!”. Ma ero troppo timido per annunciarlo,
poi in quel posto, dove lavoravo da poco. L’apice della
mia amarezza l’ebbi quando venni a sapere che quel
giorno compiva gli anni anche il Papa. Mi rimaneva l’ultima
ora di lavoro, finalmente. Sarei dovuto andare con
un ragazzo, amico da tempo, del reparto montature ma
sapevo che anche lui si sarebbe scordato degli auguri,
tanto che quando l’avevo intravisto nella mattinata,
mi aveva salutato normalmente senza alludere al mio
compleanno. Appuntamento al Bar H; io entrai e ordinai
una birra non filtrata. Ne feci due sorsi e arrivò l’amico.
Dopo due chiacchiere solite, sull’andamento del clima
e sul campionato di basket, ci mettemmo seduti a un
tavolino. Nel contempo, mai una volta che alludesse al
compleanno. Dopo avere parlato di un po’ di cose, venne
fuori il discorso che il weekend successivo sarebbe stato
il compleanno di un’amica e lui disse: “Anche te, se non
sbaglio, compi gli anni di ’sti giorni… Perché non unire
i compleanni in un’unica serata?”. Io voltai la testa e
cambiai discorso e chiesi all’amico se poteva suggerirmi
una birra da prendere e lui me ne indicò una con l’aroma
del caffè. Dopo avere parlato tanto, lui mi chiese se
avessi fretta e io risposi di no in particolare. Disse di seguirlo
fino a casa sua, che si trovava su per una strada in
salita dietro al bar e ci recammo alla sua dimora perché
voleva farmi vedere la sua collezione di minerali.
Io avevo bevuto un paio di birre e non ero ubriaco, ma mi
sarebbe piaciuto esserlo, vista la disperazione del compleanno
non festeggiato. Mentre lo seguivo ero già proiettato col pensiero sul divano di casa mia. Avrei voluto
che mi avesse già fatto vedere ciò che voleva, in fretta…
Salimmo le scale, due rampe nell’odore delle varie cene
in corso e poi arrivammo alla sua porta. Aprì la porta e
mi invitò ad entrare e all’improvviso si accese la luce e
volarono coriandoli e tante persone unite che urlavano
“Tanti auguri”. Io non ci credevo e dall’emozione mi misi
a piangere, poi ringraziai le persone sorridendo e infine
piansi ancora e dissi all’amico: “Ora ti vedo veramente
come un amico, grazie”. Poi aggiunsi: “Io, che credevo te
ne fossi dimenticato!”. Lui mi interruppe: “E invece, hai
visto! Una settimana per preparare la festa a sorpresa
dei tuoi ventitré anni”. Da persona sola e desolata che
ero si modificò tutto e scoprii che avevo molte persone
a cui stavo a cuore. Ma il più importante fu questo mio
collega e amico che mi preparò tutto questo a mia insaputa,
di nascosto.
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PENSIERINO ZEN SULLA FESTA
Lu Zen pass
C
La festa è come fermarsi e non far
niente, ritirarsi dal mondo e smettere
di fare quello che si fa abitualmente.
Chi sogna di diventare un ‘carnevalista’,
ossia colui che partecipa in ogni
forma e fa di sé un personaggio attivo
nelle diverse feste dei carnevali
d’Italia e del mondo può partecipare
a sfilate, balletti, orchestre, bande,
può diventare danzatore, mangiafuoco,
andare sui carri allegorici con maschere
o personaggi che in migliaia di
forme d’arte rappresentano i titoli dei carri eccetera. Ovvero se preferiamo essere solo spettatori
possiamo rievocare la nostra infanzia e fantasticare di essere in un altro mondo.
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I MIEI COMPLEANNI
Luca G.
O
ggi è il mio compleanno,
e purtroppo sono
costretto a passarlo
dentro casa, perché
ho preso un raffreddore
terribile e alcuni sintomi che
se trascurati mi porteranno ad
avere la febbre, o l’influenza. L’altro
ieri ho sudato mentre facevo
una corsa per strada, ieri sono andato
dal barbiere e ho preso altro
freddo, così ho deciso di stare in
casa e riguardarmi. Peccato, però,
che debba passare il compleanno
dentro casa. A me piacciono i
compleanni, sono una cosa a cui
tengo molto.
Per alcune persone il compleanno
è solo una convenzione. Che
obbligo c’è di festeggiarlo, perché
bisogna festeggiare il proprio
invecchiamento, il fatto che dal
giorno che collima con la propria
nascita si ha un anno di più? Addirittura
festeggiare il compleanno
sarebbe inutile, tanto varrebbe
festeggiare una volta al mese. Ma
come? Una volta al mese? Allora
si chiamerebbe complemese! E
poi, dove sta scritto che il giorno
del proprio compleanno bisogna
per forza aspettarsi un gruppo di
persone che mettono su i festoni,
ti preparano la torta con le candeline,
ti fanno i regali? Ci sono
persone che il compleanno non
vogliono festeggiarlo, perché non
gli piace, senza un motivo preciso,
o perché c’è qualcosa che li ha
traumatizzati.
Io, in tutti i casi, do al compleanno
una grande importanza, e non
solo al mio. Anzi, quando vengo
a sapere che qualcuno compie gli
anni, sento che fargli gli auguri è
il minimo che possa fare. Io percepisco
il compleanno come un
giorno speciale, e mi comporto
di conseguenza. Mi viene anche
spontaneo pensare che se a una
persona nessuno, dico nessuno, fa
gli auguri o gli dice qualcosa, questo
possa pensare che nessuno si
sia ricordato del suo compleanno,
o che tutti se ne freghino, e questo
lo potrebbe ferire, e lo stesso
discorso se ci pensate vale anche
per onomastico, Natale e tutto il
resto. Per me il compleanno è una
giornata importante, un’occasione
per dimostrare affetto verso chi lo
festeggia, ma anche come il giorno
in cui inizia un capitolo nuovo della
tua vita, durante il quale maturi
esperienze e convinzioni nuove, fai
cose nuove e diverse, te ne lasci
alle spalle altre. E visto che ogni
compleanno è sinonimo di crescita,
cerco di vivere questo giorno
comportandomi bene, cercando di
mostrarmi maturo e sereno, senza
che mi capitino intoppi o cose
brutte, senza fare cose che mi innervosiscano.
Alcuni compleanni sono stati belli
per come li ho vissuti, altri meno.
Mi ritrovo qui, seduto alla mia scrivania,
a fare un brainstorming per
un’eventuale nuova storia da raccontare,
ma soprattutto a ripensare
ad alcuni dei miei compleanni
precedenti.
Io sono nato l’11 febbraio 1987.
Mio padre mi raccontò che era
nella sala d’aspetto della clinica
pediatrica in via D’Azeglio quando
sentì un forte pianto provenire
dalla stanza in cui a mia madre era
stato fatto il cesareo. La città era
tutta imbiancata dalla neve e io,
così mi disse il babbo, ero l’unico
di tutti i bambini a strillare e piangere.
Già allora avevo una gran
voglia di far sentire la mia voce,
la mia opinione, di sicuro quello
è stato il momento in cui ho cominciato
a vedere. Ed era anche
un giorno di festa per la mia famiglia.
Nel 1988 compii un anno.
Mia madre mi ha raccontato che
soffiai sulla candelina della torta,
tutti quanti mangiarono, e una volta
finito tutto mi misero a dormire.
Ricordo di aver visto una foto con
una zia che mi teneva in braccio,
forse risale proprio a quella prima
festa di compleanno. Uno dei primi
ricordi che ho risale a quando
avevo tre anni. Il mio primissimo
ricordo è un quadro di famiglia che
sta in camera da letto, tra quelli
seguenti c’è il giorno che ruppi il
biberon, forse lo feci cadere apposta
oppure mi cadde dalle mani, di
sicuro strillai molto forte, e dopo
di allora non lo usai più. E questo
è già un segno che stavo cambiando,
che stavo crescendo. Non
ricordo se era il giorno del mio
compleanno, devo ammetterlo.
Quando ho compiuto cinque anni
ed ero ancora all’asilo, mi fecero
la torta e una foto davanti a essa,
per la prima volta indossavo una
camicia e una cravatta, e io la cravatta
non l’ho indossata quasi mai
in tutta la vita.
Penso che il primo compleanno
che ho passato con piena consapevolezza
sia stato quello del
1995. All’età di otto anni vidi i miei
genitori che fecero di tutto per
farmi sentire quel giorno di festa
come molto speciale, oppure fecero
sentire me speciale. Mi cantarono
“Tanti auguri a te”, mi fecero
soffiare sulla candelina della torta,
mi regalarono una scatola piccola
di “Meccano” che conteneva una
serie di pezzi da montare per costruire
un’automobilina. Lo desideravo
da parecchio tempo, a me
le macchinine sono sempre piaciute,
e mi piaceva molto tenerle sulla
mano e far girare velocemente le
ruote. Una coinquilina mi regalò
anche un libro illustrato, Il mondo
in cui viviamo. C’era scritto il mio
nome, la data, ed era un libro di
formazione di base, che spiegava
com’era il mondo, com’erano
gli habitat, le città, descrivendo i
mestieri, e così via. Ecco, quello
di quando ho compiuto otto anni
è stato il compleanno di cui ho
sentito l’importanza per la prima
volta. Ci sono altri compleanni di
cui potrei parlare, come quelli alle
elementari, ricordo che c’era qualcuno
tra i compagni e le maestre
che mi portavano qualcosa da
mangiare. I compagni mi facevano
gli auguri gentilmente, nessuno
mi metteva pressione, perché
sapevano che non mi piaceva che
mi cantassero “Tanti auguri a te”
a volume troppo alto e che poi
battessero le mani urlando ancora
più forte.
Anzi, qualche volta sono
andato ad altre feste di compleanno,
e a una di esse stetti fuori dalla
casa di un mio compagno di scuola
proprio perché quel momento
mi terrorizzava.
Dirò di più, al compleanno di Elio,
un altro mio compagno di classe,
io non riuscii a reggere la cantata
di tutti e sentendomi spaventato
arrivai a pestare con la mano la
torta piangendo e gridando: “NO!
NO! IL COMPLEANNO NO!”. Avevo
rovinato la festa, lo ammetto,
e infatti sono stato allontanato e
ripulito della crema della torta che
nessuno avrebbe più mangiato.
Non odio l’idea che gli altri possano
festeggiare un compleanno che
non sia il mio, solamente mi davano
fastidio le urla degli altri, specie
quando erano allegri e si aspettavano
che lo fossi pure io.
Un altro compleanno che ricordo
bene fu l’undicesimo. Facevo parte
di un gruppo che frequentava un
laboratorio teatrale al quale ero
stato costretto perché imparassi
a socializzare. Avevamo preparato
la favola di Cappuccetto Rosso. A
un bambino down era stata data la
parte del cacciatore (non so se per
farlo contento o farlo sentire speciale),
a me avevano dato quella
del lupo. Ovviamente non l’avevo
presa molto bene, a quasi nessuno
piace fare la parte del cattivo. Però
quando facemmo la prova generale,
ebbi la mia rivalsa. Poiché compivo
gli anni, dopo la recita mi fecero
una festicciola con rinfresco
e un mio cugino mi regalò un libro
illustrato sulla geologia, che confesso
di non avere mai letto, forse
perché l’argomento non mi ha mai
attratto. Di sicuro in quel laboratorio
feci anche un’altra esperienza
assai più positiva. Ricordo che mi
fecero fare la parte del sovrano in
un’altra recita, tratta da Il vestito
nuovo dell’imperatore, e lì mi divertii
molto di più, anche se non
era il mio compleanno. E poi le ragazze
che interpretavano i lestofanti
che si erano presentati come
sarti non mi avevano denudato,
altra cosa importante. Sempre per
i miei primi undici anni, la mia insegnante
di sostegno, a me molto
affezionata, mi regalò un libro su
Paul Gauguin con alcune sue opere
ben descritte e le sue lettere indirizzate
all’amico Van Gogh.
Non tutti i compleanni purtroppo
sono belli. Il numero dodici, quello
del 1999, era uno di quelli su cui
contavo molto. Purtroppo pochi
giorni prima scoprii di avere la febbre:
fui costretto a rimanere a casa
e i miei compagni delle scuole medie
rimasero ignari del fatto che
compivo gli anni. Già dodici anni è
un compleanno importante, che ti
affranca dall’infanzia in modo definitivo,
passarlo a casa perché sei
malato non è il massimo. Fu anche
un compleanno a due facce. Prima
io e il babbo guardammo una videocassetta
che parlava di alcune
edizioni della Coppa del Mondo,
poi a pranzo il babbo fece un urlaccio
e io piansi. Non ricordo perché,
forse avevo detto qualcosa
che non gli piaceva, o avevamo litigato.
Ci rimasi davvero male, due
volte di più proprio perché sentivo
che quel compleanno era stato rovinato.
Anche quello del 2000 non fu bellissimo.
Quel giorno mi ero tolto la
soddisfazione di far sapere in giro
che compivo gli anni e la maestra
di musica mi volle baciare. Glielo
concessi, non sulle guance ma in
testa, fra i capelli. Verso la fine
della giornata tutti mi cantarono
“Tanti auguri a te”, io ne rimasi
contento, ma durante l’ultima ora
stemmo tutti a visionare alcune
scene di un vecchio film che avevamo
visto la settimana precedente,
commentate da una signora che
aveva presieduto la proiezione. Il
film si chiamava Tir na nog – è vietato
portare cavalli in città, parlava
di due bambini che si andavano
a riprendere un cavallo rubato loro
da un uomo ricco e finiva con una carrozza che veniva bruciata. E
una volta usciti dalla stanza buia,
Brando, un compagno di classe
con il quale fino a quel momento
ero andato abbastanza d’accordo,
mi aggredì dicendomi per scherzo
che il cavallo del film era andato
bruciato e sarebbe finito come le
bistecche. Io scoppiai a piangere,
un’altra compagna mi chiese
stupita perché facessi così e io rimasi
traumatizzato. Da quel giorno
diedi ancora più importanza al
compleanno e cominciai a provare
sempre meno simpatia per quel
ragazzo che nel giro di solo un
mese avrei preso a odiare a morte,
troppi erano gli scherzacci che mi
faceva, e sempre più spesso.
Il giorno in cui compii quattordici
anni ero ancora sconvolto per la
morte del giovane calciatore Niccolò
Galli, era domenica, quel giorno
il Bologna e la Roma avrebbero
fatto un minuto di raccoglimento
per lui. E io, con la prospettiva di
frequentare un giorno il liceo Sabin
e contento del monopattino
che mi avevano comprato poco
tempo prima, volli fare un esperimento.
Volevo vedere quanto tempo
avrei impiegato in monopattino
ad andare da casa a scuola. Ebbene,
ci misi circa un’ora, percorrendo
la strada del 35. Mi parve un risultato
eccellente. Ma come avrei
potuto usare il monopattino senza
calcolare il freddo, il traffico, gli
eventuali incidenti, il peso della
cartella sulle spalle, il babbo che
mai mi avrebbe permesso di usare
il monopattino per questo scopo?
E quando tornai a casa ero stanco
e accaldato. Quindi, l’idea di usare
il monopattino per andare a scuola
era da non considerare affatto.
Nel 2002, il giorno che compii
quindici anni, per prima cosa offersi
alle compagne di classe dei
cioccolatini a forma di Mars. La
prof di lettere mi fece gli auguri,
rimanendo incredula quando le
dissi che compivo gli anni, poi per
ben due volte vennero fatti circolare
i vassoi di paste che mi ero
portato da casa e la prof di matematica
convinse tutti a cantarmi
“Tanti auguri”, mettendomi un po’
in imbarazzo. Imbarazzo che aumentò
ancora di più quando per
ben due volte dovetti reimparare
un’operazione da fare nel corso
della lezione. Tornai a casa, feci a
mia madre una battuta che la fece
ridere mentre tagliava la torta, feci
un po’ di compiti, giocai a un gioco
manageriale, poi quella sera volli
andare in via Bainsizza, presso un
centro dove mia madre lavorava
part time e dove venivano accolti
i parenti dei ricoverati all’Ospedale
Maggiore, e nella mia solita
voglia di comportarmi da persona
grande, o di mostrarmi più maturo
di quel che ero, volli a tutti i costi
imparare come ci si gestisce coi
bambini piccoli. Mi misi quindi a
chiacchierare con due bimbe, figlie
del cuoco del centro, che avevo
conosciuto in un momento precedente.
Il risultato fu che le piccole
mi presero in giro nel vedermi con
l’apparecchio ai denti e non capirono
niente quando io tentai di
spiegare loro a cosa serviva. Ma la
cosa peggiore fu che mia madre e
il cuoco mi scoprirono a voler imitare
a tutti i costi Johnny Stecchino
davanti a loro. Credettero che
volessi infastidire le due bambine,
e rimasero talmente delusi e infuriati
per questa convinzione che
fui rimproverato severamente, al
punto da credere di aver rovinato
irreparabilmente l’intera giornata
e tornare a casa mogio mogio.
Da allora comunque ho creato un
muro tra me e i bambini, proprio
per evitare equivoci e incidenti.
Nel 2005 compii diciott’anni. Ero
diventato maggiorenne. Volevo a
tutti i costi onorare anche quest’evento
nel migliore dei modi, ma
non ci riuscii appieno.
Arrivai a scuola un po’ stizzito,
non solo perché avevo con me
due sporte piene di paste, ma pure
perché mia madre aveva voluto
per forza accompagnarmi. Ricordo
che a scuola io e i miei compagni
passammo quasi tutta la giornata
senza fare niente, visto che molti
insegnanti erano assenti, e che io
e l’amico L. giocammo a pallone
in una stanza che non era la palestra,
dentro la quale intanto A.
provava un videogame d’azione.
Entrai in classe, con addosso una
camicia giallastra a losanghe, che
non mi piaceva molto, si cominciò
a mangiare, e poi a giocare a Trivial
Pursuit (ricordo che mi fecero
delle domande a cui non sempre
risposi in modo pertinente). Ed
ecco il momento esatto in cui il
compleanno mi venne irreparabilmente
alterato: stavo raccontando
al professore di storia e filosofia
che a fine marzo avrei visto il concerto
di Laura Pausini, e lui rispose:
“E chi è?”. A quel punto rimasi
incredulo, senza parole, tanto da
inalberarmi. Non seppi come reagire,
non riuscii a trovare le parole,
mi ritrovai a fare versi inarticolati.
L’idea che qualcuno non conoscesse
la Pausini, la più nota cantante
italiana al mondo e che tanto
ammiravo, era un’eventualità che
non avevo mai preso in considerazione.
Dissi che era assurdo che il
prof non ne sapesse nulla, e lui a
sua volta mi rimbeccò dicendo che
era assurdo che io non conoscessi
i suoi compositori preferiti (tre
giorni prima ci aveva accompagnati
ad assistere all’esecuzione di
alcuni brani di musica classica, il
suo genere preferito). Io mi sentii
una merda, l’insegnante continuò
a chiedere chi fosse la Pausini, se
fosse carina come ragazza, io la
paragonai alla mia compagna di
banco Serena, e il prof lo prese
come un complimento verso di lei
e a me disse di non sentirmi una
merda (parola di cui fece lo spelling).
Alle 12.05 in punto, ora in
cui ero nato quel giorno del 1987,
diventai ufficialmente maggiorenne,
e fu allora che C. mi fece gli
auguri, aveva aspettato apposta
quell’ora per farmeli essendo sicura
che avessi diciott’anni tondi
tondi, non un minuto di più, non
un minuto di meno. Poco dopo mi
fece gli auguri anche il nuovo prof
di scienze, stringendomi la mano e
sorridendomi. Ma la giornata non
finì lì: quel giorno mi regalarono
un gioco che avrei usato una o due
volte e non di più, trattandosi di un
altro gioco manageriale, ma molto
più noioso di quello che avevo prima,
tanto da soppiantarlo qualche
mese dopo con il più pratico FIFA
2005. La sera del mio compleanno
si concluse con una partita a
bowling e una a biliardo in via San
Felice. Non sono mai stato bravissimo
a biliardo, però i compagni
di scuola trovarono molto professionale
il gesto con cui gessavo la stecca prima di giocare. Essendo
loro nota la mia passione per i libri,
mi regalarono Col cavolo della
Littizzetto (lo divorai in tre giorni)
e Chiedi alla polvere di John Fante
(lo lessi in tre settimane).
11 febbraio 2007. In occasione
dei miei primi vent’anni, i miei genitori
mi portarono a San Benedetto
Val di Sambro, dove c’è un
posto in cui si fa dell’ottima carne
d’allevamento. Mio padre mi
mostrò la stazione e mi raccontò
che quando c’era la neve tutti
si divertivano all’idea che i treni
passando e la spruzzassero tutta
addosso a loro! Dopo aver pranzato
in una bella trattoria, andammo
a visitare la casa natale e la tomba
di Guglielmo Marconi. Io ero felice
pure perché la giornata era serena
e sentivo che di lì a poco avrei
avuto una svolta nella vita,iniziando
a fare il primo di vari tirocini e
terminando la prima stesura del
mio primo romanzo, La Terra è
femmina!
11 febbraio 2008. Centocinquantesimo
anniversario dell’apparizione
della Madonna di Lourdes alla
giovane Bernadette. Quel giorno
ho compiuto ventun anni, età che
un tempo era considerata in Italia
quella in cui si diventa maggiorenni.
Speravo di far passare bene anche
questo giorno, ma non fu così.
Dopo essere stato in Sala Borsa a
sfogliare un libro tratto dal film Il
quinto elemento, salii su un autobus
e mi imbattei in un maleducato
che sembrava non sapere cosa volesse
da me. Prima mi rimproverò
perché stavo seduto su una poltrona
oblunga, di quelle riservate
agli obesi, che sembrano per due
e poi non lo sono, e poi mi rimproverò
perché non ci stavo seduto. E
mi mise pure una mano addosso
quando cercai di fargli notare che
si contraddiceva. “Mi lasci stare!”
gli dissi mantenendo la calma, ma
molto infastidito. E lui, pochi minuti
dopo, si mise a parlare con gli
altri passeggeri come se nulla fosse
successo. E questa cosa mi fece
male, molto male.
Il 2011 fu il primo anno durante
il quale passai il compleanno sul
posto di lavoro. Per essere esatti,
mi trovavo a San Lazzaro. Mentre
stavo lavorando un collega mi
fece gli auguri, e poco dopo un’altra
collega chiese a voce alta: “È
il tuo compleanno?! Quanti anni
compi?!” “Ventiquattro”, avrei potuto
dirle, però non le risposi. Non
avevo tanta voglia di interrompere
la mia mansione di archivista per
vedere una festa collettiva organizzata
su due piedi.
2012. Per il mio venticinquesimo
compleanno, io e mia madre ci
eravamo organizzati per mettere
in pratica un vecchio progetto,
quello di andare a fare una breve
vacanza a Londra. Il primo giorno
salimmo sulla ruota panoramica in
riva al Tamigi. Ci rendemmo conto
che più che passeggiare, si finiva
con il correre per la metropoli.
Quante cose da vedere, quanto
poco tempo a disposizione! L’11
febbraio, il secondo giorno di permanenza,
vedemmo parecchi posti,
in alcuni non entrammo perché
l’ingresso costava troppo per noi.
Guardammo la Torre di Londra, il
Tower Bridge, Trafalgar Square,
visitammo il British Museum, e
presso un ristorante discutemmo
su cosa scrivere su una cartolina
raffigurante la regina Elisabetta da
spedire a una conoscente.
Purtroppo noi italioti siamo così:
stereotipati fino al midollo, tanto
da andare in Inghilterra e pretendere
di vedere la regina e parlarle,
come anche avere la pretesa di
fotografare una delle guardie reali
con la divisa rossa e il copricapo
nero in testa. Io avevo capito
benissimo che non era il caso di
affannarsi troppo a cercare di riuscirci,
ma paradossalmente finii
dalla parte del torto, perché non
ero riuscito a spiegarlo. Altra caratteristica
dell’italiano all’estero
è quella di gesticolare e parlare
subito in italiano senza nemmeno
tentare di tradurre, vista l’impellenza
di parlare. Sono le cose
che mi piacciono meno quando si
viaggia. Però mi ricordo che volli
farmi fare una foto vicino a una
mappa di Londra. Erano le 11.05
ora locale, 12.05 ora italiana. In
quel momento, io compivo esattamente
venticinque anni. Il giorno
dopo visitammo Hyde Park, poi
ripartimmo per Bologna e vi ritrovammo
tutta la neve che ci eravamo
lasciati alle spalle. Peccato,
però io ero molto contento di aver
trascorso il giorno del mio primo
quarto di secolo in una grande città
europea che volevo visitare da
lungo tempo.
L’11 febbraio 2013 è stata una
giornata importantissima per la
storia della chiesa, per la storia in
generale: infatti Papa Benedetto
XVI, Josef Ratzinger, si dimise. Era
dal 1415 che non succedeva una
cosa del genere. In molti esultarono
di gioia, specie con dei post
su Facebook, da cui lo ero venuto
a sapere. Io personalmente non
riuscivo a capire tutto quest’odio
verso Ratzinger, mi era sempre
parso un papa un po’ retrogrado,
più teologo che conservatore,
di sicuro non all’altezza di Papa
Wojtyla. Nel frattempo io compivo
ventisei anni. All’epoca lavoravo
nel magazzino dell’ufficio acquisti
dell’Università, io e il collega che
lo gestiva avevamo in comune la
passione per i libri.
Io gli avevo regalato qualcuno dei miei preferiti, e lui per quel giorno
mi regalò uno dei suoi, Buona
Apocalisse a tutti!. All’interno c’era
una scritta con “tanti auguri al
mio collega preferito”. Confesso
che il libro non mi è piaciuto un
granché, nonostante sia per molti
appassionati un capolavoro d’umorismo.
Anche per il mio ventisettesimo
compleanno Enrico mi regalò
un altro libro. Sapendo che H. G.
Wells è uno dei miei scrittori preferiti,
mi aveva portato stavolta
un libriccino contenente due suoi
racconti di stampo entomologico,
La valle dei ragni, che racconta di
alcuni tizi che si imbattono in ragni
abnormi e L’impero delle formiche,
ambientato in Brasile, in cui i protagonisti
scoprono quanto siano
organizzate e spietate delle colonie
di formiche che sembrano addirittura
i lillipuziani incontrati da
Gulliver durante i suoi viaggi. Non
li ricordo benissimo, in compenso
mi piacquero un po’ più del libro
precedente, anche se gli animali
non sono esattamente la mia passione.
Per il 2015, il mio ventottesimo
compleanno, Enrico mi regalò un
altro libro ancora, di fantascienza
come quello di Wells, ma stavolta
scritto da due autori russi: Picnic
sul ciglio della strada – Stalker, di
Arkadi e Boris Strugatzki. Conosco
i due autori, avendoli citati nella
mia tesina di maturità, ma non sapevo
che il titolo niente avesse a
che fare con quelli che perseguitano
le donne. Gli stalker del titolo
si pronunciano come si scrivono
e sono cacciatori di oggetti alieni
smarriti dai visitatori dello spazio.
Quel pomeriggio andai dal medico,
per fargli vedere i risultati di alcune
analisi, e feci amicizia con un
anziano che mi raccontò di essersi
procurato una ferita alla mano durante
la guerra che gli era costata
due dita. “Quale guerra? La seconda?”
gli chiesi io simpaticamente.
“Ma certo, la seconda!” rispose
lui, ridendo. “Perché, pensavi che
mi riferissi alla prima?”… “Perché,
non può essere?” domandai io.
“Non sono così vecchio!”, disse lui,
sempre ridendo. E subito dopo io
risposi dicendo che non escludevo
quella possibilità, e che lui dimostrava
molti meno anni di quanti
ne aveva.
Il medico poi mi chiamò, andai da
lui, questi esaminò le analisi e mi
disse che avevo poca vitamina D
e dovevo riprendere a bere latte,
cosa che non facevo da anni, da
quando avevo scoperto di non digerirlo
bene. Questa carenza l’avrei
poi compensata con dei farmaci
da assumere una volta ogni
due settimane. Quella sera io e
mia madre andammo a mangiare
qualcosa al pub Victoria Station.
Durante la cena ebbi una bella
sorpresa: incontrai Elisa, una ex
compagna di scuola delle elementari
che non vedevo da anni.
L’11 febbraio 2016 è stato il primo
compleanno sul nuovo posto
di lavoro. Per l’occasione, mi portai
dietro due sporte contenenti
biscotti e dolcetti acquistati in un
negozio di via Battindarno. Non
che morissi dalla voglia di portarle,
a dire la verità, perché non le avevo
comprate io, mia madre aveva
avuto l’idea di fare sì che le portassi
ai colleghi per fare un po’ di
festa. Uscito di casa vidi l’autobus
andare verso la fermata e dovetti
fare una corsa e bussare alla porta
d’entrata per riuscire a prenderlo.
Per fortuna l’autista mi aprì, poteva
anche darsi che non fosse in
giornata buona o che fosse troppo
pignolo. Durante tutta la mattinata,
che mi vide più impegnato del
solito a usare il levapunti su alcuni
fascicoli vecchi (questa era la mia
primissima mansione), mi ritrovai
a ricevere auguri da un po’ tutti i
colleghi, che alle 11 gradirono e
non poco quello che avevo portato.
Contenti di tenersi i vassoi per
altre eventuali merende, mi resero
il pratico sacchetto di biscotti che
avevo portato. Uno di loro voleva
anche cantarmi la canzone, ma io
fui abbastanza lesto da chiedergli
di non farlo. Si accontentò di dirmi
che il suo compleanno cadeva
il 30 settembre. La voglia dei colleghi
di fare un po’ di festa era comunque
forte, anzi quasi credetti
che volessero invitarmi ad andare
con loro a mangiare in mensa. Non
accadde, io non ci feci caso e volli
andarci da solo. Non per attirare
l’attenzione, ma per concedermi
un pranzo fuori casa, in particolare
mangiai un piatto di risotto
che forse era un po’ abbondante.
Quella sera mi guardai su Internet
una recensione del film Eternal
sunshine of the spotless mind,
tradotto malamente in italiano con
Se mi lasci ti cancello.
Di lì a poco tempo avrei imparato
che quasi tutte le volte che qualcuno
fra i miei colleghi compiva
gli anni, veniva sempre organizzata
una piccola merenda con torte
salate, pizzette, sfrappole, acqua,
tè e quant’altro. Così ebbi l’idea di
cercare e segnarmi i compleanni
di tutti i colleghi per non perdermi
queste merende, fare loro gli auguri
e nell’evenienza regalare loro
qualche copia dei miei libri. Quanto
a Enrico, pochi giorni prima mi
aveva regalato A Bologna piace
giallo, una raccolta di racconti
ambientati nella mia città, di cui
uno scritto da due miei amici, Nicola
e Massimo.
11 febbraio 2017. I miei primi
trent’anni. Speravo di festeggiarli
in tutta tranquillità, ma non fu
così. Infatti pochi giorni prima ero
venuto a sapere da mia madre che
avremmo dovuto ospitare proprio
per quel giorno mio zio Tonino e i
suoi figli Giuseppe e Maria, che lo
accompagnavano perché doveva
andare a Reggio Emilia a vedere un
camion che aveva intenzione di acquistare.
Se non la presi bene era
perché sapevo che la giornata sarebbe
stata condizionata dalla loro
presenza. Da una parte non volevo
essere festeggiato con troppa
enfasi, dall’altra non avevo tanta
voglia di accompagnare gli zii di
qua e di là, non volevo stressarmi
troppo. Arrivati la sera prima, zio
Tonino e i miei cugini aspettarono
che mi alzassi dal letto e mi fecero
subito gli auguri. Era sabato, e io
dovevo già svegliarmi presto per
doverli accompagnare e non fargli
perdere troppo tempo, poiché dovevano
essere a Reggio a un orario
già fissato. In seguito ci siamo
messi in viaggio. Tutto bene finché
non siamo arrivati. Credevo fosse
a Reggio città, l’appuntamento,
invece era fuori. Dove, però? Dove
stava questo camion? Prima siamo
andati nella frazione di Rivalta, poi
a Forche. E io stavo già sospettando
che la mamma e lo zio non sapessero dove andare, perché
giravamo già a lungo per trovare
il tizio col camion, che per di più
si spostava di continuo. Anzi, mia
madre si chiese ad alta voce: “Non
poteva dire il nome del posto dove
stava, invece di dare tutte quelle
indicazioni, che è più semplice?”
Fortunatamente il posto non era
troppo distante e il camion l’abbiamo
trovato: usato, ma ancora
buono, col cassone che si può inclinare.
Non volli salirci sopra per
fare un giro con zio Tonino, e oggi
ne sono pentito. Se l’avessi fatto,
mi sarei divertito, e avrei anche
visto che giro facevano e quanto
stavano via. Sono stato come uno
sciocco ad aspettare che tornassero
al parcheggio dove ci eravamo
fermati. Avevo paura che si
attardassero troppo, anzi mi stavo
già agitando perché mia madre, rimasta
con me ad aspettare, aveva
paura di non fare in tempo a tornare
indietro a ritirare la torta che
aveva ordinato.
Ecco quindi un esempio di come
la presenza di zio Tonino mi aveva
condizionato quella giornata. Una
volta tornato, egli mi raccontò che
aveva dovuto provare il cambio
e le altre manopole del camion e
andare a fare la fotocopia del libretto.
Tornati a casa, ecco un
momento dedicato a me: il pranzo.
Non aspettatevi nulla di eclatante.
Abbiamo solo mangiato i tortellini
in brodo, un po’ di carne e poi la
torta, un pan di spagna bello decorato.
Purtroppo io non sono abituato
a esprimere un desiderio, e
non sono riuscito a esprimerlo al
momento giusto. L’ho elaborato
ed espresso solo dopo che avevo
fatto le fette a tutti, riaccendendo
la candela e soffiando di nuovo.
Le foto che mi hanno fatto, mi ritraggono
tutt’altro che sorridente.
Sentivo di non avere motivi per sorridere.
Infatti quell’epocale scadenza
la stavo tutta sacrificando
per lo zio e i cugini, venuti in visita
per il camion. Senza contare che
quando mi facevano le foto, io ero
occupato a mangiare ed ero sicuro
di sfigurare, infatti quando si mangia
i muscoli del viso fanno fare
delle strane smorfie, che non sono
proprio belle da vedere, specie
quando si mastica. Nel pomeriggio,
dopo mangiato, abbiamo accompagnato
zio Tonino e i cugini
su fino a San Luca, e poi in centro.
Ma tutto questo lo facevamo per
loro, invece che per me. Non sono
egoista, però un po’ ho sofferto
per questo, e non ero allegro come
per i miei primi quindici, venti,
venticinque anni. Anzi. Sentivo di
passare il mio tempo più con loro e
per loro, e soprattutto sentivo con
gran dispiacere al fatto che ormai
avevo trent’anni suonati e sentivo
che quei sentimenti spensierati
che avevo quando ero ventenne
non sarebbero mai più tornati, non
li avrei mai più provati. Questa era
la cosa che mi dispiaceva di più.
Per fortuna il mio sforzo fatto con i
parenti ad accompagnarli a Reggio
Emilia fu ricompensato: non solo lo
zio aveva accettato di buon grado
di non cantare “Tanti auguri a te”,
che ormai dopo tanti anni mi mette
sempre in imbarazzo, ma mi ero
anche goduto un’altra cena al Victoria
Station, dove ciascuno aveva
preso una pizza diversa. Mamma,
zio e cugini della pizze originali, io
una col prosciutto crudo, volevo
tenermi leggero senza prendere la
margherita. Dopodiché passeggiai
in giro per il pub guardando un
aeroplano finto appeso al soffitto,
coperto da magliette sportive, sfogliai
un quotidiano interessandomi
a un articolo su Mauro Corona e
poi mi prestai a qualche foto con
mia madre, stavolta venuta meglio
delle altre perché non occupati a
mangiare, ma sorridenti e rilassati.
Una bella serata, buon coronamento
di una giornata più per
loro che per me. Forse anche un
po’ meglio di questo compleanno
passato oggi senza uscire di casa,
senza fare nulla che agli occhi di
qualcun altro potesse sembrare
particolare: solo una giornata fosca
come tante, senza aver affatto
l’aria di un compleanno.
Mi fa piacere che qualcuno mi faccia
gli auguri, ma senza enfasi,
senza esagerare o sfociare nell’infantile.
Ripeto, il compleanno è
per me una giornata importante,
un’ottima occasione per mostrare
affetto verso chi lo compie. E poi
a una festa di compleanno si fa
per fare un piacere al festeggiato,
non per mangiare una torta o dei
pasticcini. Altrimenti si fa la figura
dei golosi e dei profittatori, e non è
esattamente una cosa bellissima.
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LA FATICA DI FESTEGGIARE
Lucia
H
o provato a compilare
un campo semantico a
partire dalla parola ‘festa’,
ed ecco il risultato:
festa… festoso, festivo,
festante… festeggiare… allegria,
gioia, gioco… soddisfazione, sollievo,
liberazione… successo, vittoria,
trionfo… ricorrenza, occasione, solennità…
celebrazione, rito, precetto…
fatica. Fatica? Già, fatica. Perché
dietro a ogni festa c’è per forza
qualcuno che progetta, prepara,
organizza, intrattiene… e alla fine
della festa, rassetta.
Nella mia esperienza di vita ricordo
diverse fasi: l’infanzia, in cui la festa
è stata per me puro e spensierato
godimento, l’adolescenza, in cui la
gioia si accompagnava a volte alle
lacrime delle aspettative deluse o
della tensione finalmente allentata,
l’età adulta, in cui il compito di festeggiare
si è fatto un bell’impegno.
Per anni l’ho fatto con piacere, piena
com’ero di energia trascinante
e di entusiasmo, felice di vedere la
gioia dei bimbi e dei grandi, dei nonni,
degli amici. Poi lentamente mi si
è incistato nell’idea di festa un piccolo
tarlo: che fatica... Sì, perché il
festeggiamento alla fin fine può diventare
uno dei tanti compiti, ripetitivi
e stressanti, a cui non ci si può
facilmente sottrarre. Affrontare un
pranzo di Natale o un compleanno
in certi momenti bui può diventare
uno sforzo sovrumano, addirittura
eroico, ma non c’è scusa che tenga.
Anche se non ci si sente proprio
al top, bisogna attaccarsi al telefono
per gli inviti, strologare formule
spiritose, inventare giochi originali,
trovare regali mirati, confezionare
cibi e torte, saper sorprendere,
coinvolgere, magari anche commuovere…
E naturalmente bisogna
pure tirarsi a lucido (casa compresa)
e soprattutto sorridere, prendere
con spirito i contrattempi, non
mostrare mai la corda, costi quel
che costi. Così, dai e dai, più che un
piacere la festa diventa un dovere.
Ma non averne voglia ti riempie di
sensi di colpa… No, non si può trascurare
la festa, però, che stress!
Non parliamo poi dei giorni in cui la
festeggiata dovrei essere io… Autofesteggiarsi,
per carità!
Finché, magicamente, qualcuno viene
in soccorso. Uno dei momenti più
belli della mia vita è stato un paio
d’anni fa, quando le mie figlie mi
hanno ‘rapita’ caricandomi in macchina
a tradimento e mi hanno portata
a festeggiare il mio compleanno
alla Rocchetta Mattei. Avevano
organizzato tutto a sorpresa, addirittura
pagando in anticipo la visita
guidata e preparando di nascosto il
cesto del picnic. Secondo me avevano
prenotato perfino il sole. I maschi
(marito, figlio, genero) a casa a
badare il bimbo, le femmine via col
vento… Che meraviglia, l’inversione
dei ruoli! Quel giorno la festeggiata
ero proprio io, come da bambina,
affettuosamente compresa nei gusti
e desideri, coccolata, sollevata
dalla quotidiana fatica…
Mi viene in mente che già nella formula
cattolica della ‘festa comandata’,
rispetto all’idea del ‘riposo’
prevale l’idea del ‘precetto’, cioè il
dovere di ‘santificare la festa’, non
solo astenendosi dalle attività lavorative,
ma partecipando obbligatoriamente
a una funzione religiosa.
Per i praticanti non è ammessa la pigrizia,
saltare la messa domenicale
è peccato. Negli ultimi cinquant’anni,
però, la società italiana è molto
cambiata, si è fatta più laica, scanzonata,
edonista. Il senso del dovere
e il senso di colpa si sono parecchio
attenuati. Nel frattempo però
siamo stati tutti ‘precettati’ da un
altro imperativo categorico, certo
meno ‘alto’, ma purtroppo insidioso,
pervasivo e impellente: il consumismo.
Più che in chiesa, le domeniche
si passano negli shopping center e
le grandi festività religiose si sono
trasformate in occasioni mondane,
sinonimo di crapule, divertimenti e
spese folli. Condizionati dalla pubblicità
e da modelli ‘internazionali’
abbiamo imparato ad aver bisogno
di un sacco di cose e soprattutto
ci siamo convinti che ne abbiano
assolutamente bisogno i nostri figli.
Nemmeno la crisi economica è
riuscita ad arginare l’alluvione di
giocattoli che invade le camerette
dei bambini: impossibile rinunciare
a fare l’ennesimo ‘regalino’, a cercare
la sorpresa nell’ovetto, a collezionare
i gadget del supermercato,
anche se tutto finirà nel grande
mucchio delle carabattole (se non
nella spazzatura). Da qui il fastidio,
lo stress che mi coglie quando si
tratta di ‘andare per regali’. A volte
evidentemente il fardello di primavere
mi pesa e impaccia le ali della
fantasia… È un senso di assuefazione,
negativo, ombroso, uno stato
d’animo ‘guastafeste’. Ma per fortuna
l’antidoto è pronto e a portata di
mano: il nipotino! Il delizioso stupore
degli occhi di bimbo, in quattro e
quattr’otto ti fa la magia ed ecco le
cose più semplici, usuali e scontate
diventano meravigliose novità.
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PRENDERE L’AUTOBUS
Patrizia Degli Esposti
M
i piace scrivere e quando scrivo per
me è una festa. Le dita si muovono
leggere sui tasti del computer,
come se suonassi una melodia che
accompagna le parole che si formano
e riempiono il vuoto della pagina. Anche se uso
la penna, la mano si muove come seguisse un suo
ritmo e le parole si susseguono a formare frasi.
‘Festa’, meravigliosa parola che viene associata ad
un evento mondano, ad una ricorrenza religiosa o
privata. Un giorno di festa accomuna la gente che
si ritrova per festeggiare, è un momento sociale di
incontro e di condivisione. Lanciamo stelle filanti e
coriandoli, accendiamo luci colorate e ascoltiamo
musica ballando, brindiamo facendo ‘cin cin’ con i
bicchieri per propiziarci il futuro. Ma festa, per me,
è anche la gioia di un gesto inatteso che riempie di
piacere, la compagnia di un’amica, le chiacchiere
piacevoli con una tazza di caffè. Una festa riuscita
ci scalda il cuore, ci offre letizia e spensieratezza.
Ma la festa del cuore, dell’anima non ha bisogno di
artifizi. Basta un nulla, una parola gentile e la nostra
giornata si trasforma in qualche cosa di prezioso;
ed anche un piccolo gesto, che può essere
un sorriso, un abbraccio, un “ti voglio bene”, fa
eco nel nostro cuore e batte come un tamburo in
un concerto, donandoci piccole, ma grandi, emozioni.
Riscrivo con piacere l’inizio del testo di una lettera:
“Ricevere il tuo messaggio e i tuoi saluti ha illuminato
la mia giornata, che da buia e nebbiosa si è
trasformata in una giornata di festa. La gioia e la
voglia di abbracciare il mio prossimo mi ha tenuto
compagnia e anche le solite incombenze noiose si
sono trasformate, tutto mi sembrava più luminoso
e colorato”...
Mi viene spontaneo pensare che condividendo un
sorriso o un saluto con il nostro prossimo anche
prendere l’autobus può diventare una festa.
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CERCA LA FESTA
Paula Mencarelli
L
a festa ce la portiamo dentro di noi...
Il problema è che spesso non abbiamo
niente da festeggiare. Come scrisse Guido
Ceronetti (poeta, filosofo, scrittore, traduttore,
giornalista e drammaturgo, nato a
Torino nel 1927), anch’io sento spesso “la necessità
di isolarmi non per stupido desiderio di singolarità,
ma semplicemente per non sentirsi sopraffatti dalla
quotidianità a volte insostenibile”. Per molti l’isolamento
libera dalla banalità, mentre è importante
condividere e avere come obiettivo il bene di sé
stessi e degli altri. Soprattutto direi che bisognerebbe
cercare di ricevere e donare l’amore, che tutti, indifferentemente
dal genere sessuale, dalla religione,
dalla razza, dalla lingua, cerchiamo, alla fine della
festa.
Ripropongo un pensiero di Fëdor Dostoevskij: Un
giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci
sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido.
Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà
semplice... Non ci credi? Io sono sicuro. E presto.
Anche domani.
Io aggiungo: “Quel giorno porterai la festa dentro di
te! E la porterai anche alle persone che ami. Cerca la
festa”. Questo è l’augurio che faccio in primis a me
stessa e a chiunque leggerà queste note.
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LA FESTA
Aruma Sebastian Yanez
P
er festa io intendo tutto ciò che è divertimento.
Sono pienamente d’accordo con
quelli che dicono che ci si può divertire
anche senza andare in discoteca, perché
l’ho sperimentato sulla mia pelle. Tante
sono state le sere in cui magari io non potevo
uscire perché ricoverato e non l’ho mai rinfacciato
veramente a nessuno. O meglio, ne soffrivo e lo rinfacciavo
solo alla persona cui volevo più bene, cioè
mia madre, a cui raccontavo sempre tutto e che
mi sapeva leggere come un libro aperto. Pensavo
sempre come sarebbe stata la mia vita senza farmaci,
proprio mentre li assumevo, sentendo sotto
casa passare una macchina con lo stereo a palla…
Però non mi scoraggiavo. poi sono cresciuto e ho
imparato a divertirmi con piccoli passi, cercando
sempre di trovare una misura, anche se non ci sono
mai riuscito in pieno. Nella mia cittadina in particolare
si adottava questo metodo: si raggiungeva il
pub del posto, che si chiama Filo, e da lì si decideva
cosa fare. Se facevi parte di una compagnia o avevi
anche solo un amico, però vero, allora potevi ambire
alla discoteca, se no ‘ciccia’. Siccome non ero
automunito venivo considerato l’ultimo degli ultimi
e nessuno mi regalava mai un passaggio, anche
perché avevo un educatore molto rigido, che non
mi è mai andato a genio del tutto, se proprio devo
essere sincero. Così, giocoforza, mi sono dovuto
accontentare solo di qualche serata vera. Però un
insegnamento il mio educatore me l’ha dato, cioè
che chi si accontenta gode. Concludo dicendo che
a volte basta avere un interlocutore simpatico per
divertirsi, tutto qua.
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LA FESTA DEL CUORE
Anna Maria Pareschi
R
icorderò sempre la mia adolescenza ricca
di amici, feste, viaggi, arte… Di piccoli
amori che non si incontravano. Finché ho
trovato l’Amore, quello che ti fa palpitare
il cuore e tremare le gambe. Quell’amore
che ti fa vedere solo lui e nessun altro e non pensi
che a quando lo incontrerai di nuovo. È un sentimento
talmente forte che ti prende anima e corpo ed è
una grandissima festa. Vedi solo pregi in lui. Poi scopri
che è un essere umano, con pregi e difetti, esattamente
come te… Ma si supera tutto, affinché questo
bel rapporto non si spezzi, anche dopo anni. L’amore
è così… Ti benda gli occhi e tu continui a restare
bendata, perché così hai scelto. È come un grande
falò acceso, che brucia, fa calore e non si consuma
mai… Anche quando il falò diventa un fiammifero acceso,
è come un faro che ti indica la strada giusta.
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DOV’È LA FESTA
Paolo Majerù
L
a festa non è altro che un motivo per stare insieme
agli altri. Tutti festeggiano qualsiasi situazione.
Ormai non si pensa ad altro (dov’è la festa
stasera?). Molti la festa la considerano una scusa
per alzare un po’ il gomito, sperando di non essere
giudicati più di tanto (poiché è festa!). Comunque
è sempre bello trovarsi a una festa: il tempo passa
meglio; anche se pure a una festa bella e divertente
c’è sempre qualcuno che si sconquassa con
qualche droga, e sia per lui che per gli altri la festa
si sminuisce, provocando dei problemi che non
sempre si possono risolvere con una risata. Oggi
per i giovani purtroppo è così l’idea di divertirsi
il più possibile, almeno è quello che pensano. Ma
non sempre si finisce con una risata. Ad esempio, quando si festeggia il Capodanno a Napoli (la mia
città natale), lì sì che c’è poco da ridere, anzi, sono
anche troppi a piangere.
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UNA FESTA DA PAZZI
LA PASQUA IN REPARTO CONTRO TUTTE LE BARRIERE
Valeria Cimonetti
A
rrivammo con venti minuti
di anticipo. Dai vetri
del corridoio si intravedevano
alcuni attori
mentre provavano le
ultime battute, indistinguibili con il
viso truccato di bianco. I più impazienti
avevano già preso posto nelle
file centrali e attendevano immobili
l’inizio dello spettacolo. Notai che
avevano oscurato appositamente
le finestre, accumulando più sedie
possibile e posizionando due fari a
illuminare il lato della stanza ritagliato
appositamente per il palco.
Entrando i toni si fecero più bassi
mentre gli sguardi si intrufolavano
curiosi tra la gente, alla ricerca di
volti conosciuti. Prendemmo posto
in penultima fila. Da un angolo
il chitarrista provava gli ultimi accordi.
Indossava un paio di Ray-
Ban neri e pensai assomigliasse a
un poliziotto di un telefilm americano
anni ’70. La stanza si riempì
in fretta, alcuni rimasero in piedi,
altri si sedettero raggomitolandosi
a terra. Pochi minuti dopo, lo spettacolo
ebbe inizio. L’attenzione si
concentrò addensandosi nell’aria,
già carica di curiosità ed emozione,
quando gli attori iniziarono ad
esibirsi. Si susseguirono quattro
monologhi comici, tra veli colorati
svolazzanti, coreografie danzanti,
computer parlanti e valigie colme
di vestiti viventi, il tutto sempre accompagnato
dal suono melodico
della chitarra. Tra il pubblico c’era
chi sorrideva divertito, chi guardava
affascinato, chi mormorava stupito,
ammirando in persone conosciute
abilità inaspettate. Si percepivano
espressioni nuove, sguardi diversi,
sorrisi aperti. Dalla sola interpretazione,
più o meno riuscita, veniva
sprigionata un’energia particolare
che lasciava, negli occhi di chi
osservava, un piacevole stupore.
Terminato lo spettacolo, ci riunimmo
tutti insieme per una piccola
merenda, e non c’erano formalità,
timidezza, paura o chiusura che
potessero trattenere, incrociando
gli sguardi, un sorriso sincero. Il
gruppo che si è esibito il 5 aprile
nel reparto psichiatrico di diagnosi
e cura è la Compagnia instabile del
centro diurno del Servizio di salute
mentale di Trento. Nata a gennaio
di quest’anno, era al suo primo
esordio. Aperta a chiunque voglia
divertirsi e mettersi in gioco (io ne
faccio parte da un mese), vi invita al
prossimo spettacolo, il 16 giugno al
teatro Rosmini di Rovereto. Per stupirvi
ancora, piacevolmente.
(tratto da LiberaLaMente n.41, maggio2012)
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LA FESTA… QUEL TOCCO DI EMOZIONE
Mariana Elena Parera, psicologa e animatore sociale
I
n ogni mio articolo cerco sempre di aggiungere un granellino di
sabbia, per fornire una visione sul contributo che l’area animazione
offre per migliorare la qualità della vita degli anziani nelle strutture
residenziali. Lungo gli anni di esperienza sul campo ho potuto constatare
che i festeggiamenti arricchiscono molto la vita delle persone,
rappresentano occasioni per stare in compagnia in un’atmosfera amichevole
con molteplici effetti positivi. Nel caso delle residenze per anziani
l’animazione svolge un ruolo determinante sia nella fase progettuale di una
festa, sia nel corso dell’evento stesso. Tali strutture si presentano come
luoghi abitativi piuttosto affollati. Ospiti, personale che lavora, persone
provenienti dall’esterno (parenti e amici): un affollamento che non necessariamente
garantisce all’anziano la percezione di piacevole compagnia,
anzi potrebbe generare disagio. Fin dal suo arrivo egli si trova circondato
da un mondo di sconosciuti con i quali dovrà condividere spazi e momenti
della giornata, a tavola, nelle aree comuni, nelle camere eccetera. L’animazione
l’accoglie, introducendolo in una logica di relazione e di incontro
e non di semplice aggregazione. Costruisce ponti che rendono possibile
far nuove conoscenze che talvolta divengono rapporti intensi e affettuosi.
Le distanze interpersonali si accorciano nella realtà della vita comunitaria.
L’animazione presta servizio in questa direzione, creando le condizioni per
introdurre il nuovo arrivato in un mondo di relazione, l’esatto contrario
di quel mondo di sconosciuti di cui si accennava precedentemente. Ogni
giorno attraverso il lavoro di gruppo si alimentano e si curano determinati
valori: l’amore, il rispetto, il garbo, l’amicizia, la pazienza, la comprensione
empatica… A poco a poco tutti si ritrovano in possesso di una filosofia
costruita insieme più o meno condivisa. Con il passar del tempo l’anziano
diventa attore, svolge un ruolo da protagonista nella storia della comunità.
È un argomento che senz’altro meriterebbe uno sviluppo più ampio. I
festeggiamenti, sono eventi sociali che si allacciano alla vita della casa e
ad altre esperienze come quelle laboratoriali nella fase preparatoria del
gran giorno. In questo senso, organizzare feste per anziani riveste un’importanza
da non sottovalutare. Introducono fantasia ed emozione nella
vita istituzionalizzata creando una
discontinuità con la routine. Per
questa ragione è più che consigliabile
realizzarle con cadenza perlomeno
mensile.
La festa, secondo Laura Tussi, “Risulta
un momento della vita sociale
di durata variabile, che interrompe
la sequenza delle normali attività
quotidiane, opponendovisi come
periodo di particolare effervescenza”.
In una sua acuta elaborazione
teorica dell’argomento, da un approccio
antropologico e sociale lei
fa riferimento alla funzione che i
festeggiamenti hanno nell’immaginario
popolare, come “momenti
dell’eccesso, della trasgressione e
infrazione di norme e divieti precostituiti”.
Qualcosa del genere si
trasmette durante la promozione
dell’evento nella casa struttura…
“oggi ci si diverte, mangeremo la
torta, ascolteremo e canteremo
con la bella musica…”. Nelle strutture
l’istituzionalizzazione è ciò
che caratterizza lo stile di vita e
come tale è colmo di regole non
sempre facili da assimilare specialmente
per le persone che hanno
ancora un forte legame con il loro
passato. Perciò l’aspetto ‘trasgressivo’
della festa ha un suo fascino:
torta, musica, euforia, novità… Un
evento festivo allegro aiuta gli anziani
ad allentare le tensioni con lo
svago, a contrastare con il divertimento
lo stato di noia e a sciogliere
la sensazione di solitudine grazie al
clima di riunione e di condivisione.
L’animatore, che conosce le persone
e il relativo sistema di rapporti,
le accoglie e favorisce una collocazione
nello spazio tesa a soddisfare
preferenze, interessi e relazioni.
D’altra parte, Marsilio Parolini, un
altro autore molto esaustivo, dice
che la festa, perché non perda di
contenuto sociale e umano, deve
essere costruita e partecipata da
tutti. Si riferisce al coinvolgimento
che si ottiene riuscendo a creare
nelle persone l’interesse di essere parte viva o attiva nella realizzazione della festa. In
questo modo essa permane come un vissuto esperienziale
molto diverso da quello delle feste in cui tutto e
già pronto. Quindi si diviene artefice della festa come
se si trattasse della realizzazione di un’opera con il
contributo di tutti. Resta inteso che un festeggiamento
orientato a partecipanti anziani deve essere pianificato
senza perdere di vista le particolarità del tipo di utenza.
L’organizzazione preventiva offre all’evento maggiori
probabilità di successo. La buona riuscita, in questo
caso, è rappresentata dalla soddisfazione dei
partecipanti, si capisce dai commenti, dalle espressioni,
dai comportamenti di chi, dopo aver trascorso
qualche ora insieme, saluta calorosamente e va via
soddisfatto. Si capisce che si son divertiti, hanno il
sorriso sulle labbra, non è poca cosa... Invece quando
a regnare è l’improvvisazione, la festa è soggetta a
ogni tipo di incidente, il che evidenzia una specifica
mancanza di sintonia. Purtroppo la disarticolazione
ovvero la ‘disorganizzazione’ è più facile che sia avvertita
rispetto al suo opposto, vale a dire, quando tutto
scorre liscio e si ottiene un ‘prodotto festa’ armonioso.
L’improvvisazione è un aspetto artistico e di grande
valore, ma dovrebbe trovare sempre un appoggio su
una base di organizzazione già strutturata. Non che
debba essere tutto pianificato ai millesimi, perché il
fattore elasticità in una programmazione è importantissimo,
soprattutto quando si avverte qualche anomalia:
un calo dell’entusiasmo dei partecipanti, un’atmosfera
di nervosismo, un ritardo inatteso che altera la
continuità o la sequenza di ciò che era stato programmato.
Inoltre, secondo la logica della festa costruita
da tutti, è importante saper cogliere le proposte dei
partecipanti più motivati e di coloro che hanno un atteggiamento
attivo. Bisogna essere pronti a dover affrontare
nel qui e ora della festa queste ‘devianze’ che
probabilmente andranno a sostituire altri elementi della
nostra scaletta. Siamo lì per soddisfare i loro interessi.
L’organizzazione di una festa in una casa residenza
per anziani richiede certi adeguamenti. Seguendo
il nostro autore Marsilio Parolini, ci sono da
contemplare quattro passaggi: l’analisi e la valutazione
di risorse per la stesura di un programma ben fatto
che renda possibile una realizzazione di una festa senza
intoppi e che al momento di fare delle verifiche ci sia
almeno la conferma che si sta procedendo nella giusta
direzione, semmai con qualche piccolo aggiustamento
per i successivi festeggiamenti. Ho cercato di riassumere
in una frase i quattro punti per presentare l’idea
in modo articolato, si capirà meglio con alcuni esempi.
L’analisi come primo step consiste in una serie di valutazioni
sui partecipanti (fascia di età, quantità di persone,
interessi, stato di salute fisica, capacità motorie
e mentali, aspetti culturali eccetera). Si esegue un calcolo
stimato tenendo conto delle risorse: spazio, tempo,
personale di servizio, materiali e apparecchiatura a
disposizione o da acquistare, rinfresco, costi eccetera.
In seguito alle valutazioni, il programma comprende
un insieme di decisioni che daranno forma ai vari momenti
dello sviluppo o realizzazione della festa, ma anche
al prima, creando aspettativa e al dopo, quando si
fa la verifica dei risultati. Nei giorni che precedono l’evento
si lavora nella direzione delle aspettative, si fanno
associazioni tematiche e gastronomiche. Per Carnevale:
maschere, sfrappole, stelle filanti, musica
allegra. Per Natale: nascita del bambino Gesù, panettone,
allestimenti, doni, canzoni della chiesa. Per Pasqua:
resurrezione, uova di cioccolato, chioccia, pulcini,
conigli… e così via. Ogni festa ha il suo repertorio.
Dopo la realizzazione della festa si va alla ricerca di
una verifica per capire come stiamo procedendo. L’opinione
degli anziani e degli esterni (parenti, amici) è la
prima ad essere presa in considerazione. Come si è
trovato il personale durante lo svolgimento, si valuta
cosa va mantenuto, migliorato, evitato. In generale durante
la programmazione della festa si includono tre
tipi di componenti: ludica, espressiva e lavoro manuale.
Quella ludica, nel caso della presenza di un pubblico
anziano, si riferisce a proposte molto semplici come
seguire il ritmo della musica con il movimento o con
l’aiuto di oggettistica adatta (trombette, pompom a strisce, eccetera), palloncini da spingere in un gioco
interattivo, riconoscimento del titolo di brani a loro
ben noti. Sul ballo ci può essere qualche perplessità
fondata principalmente sullo stato fisico e motorio
dell’utenza. Una buona percentuale è in sedia a rotelle,
inoltre il ricordo carico d’affetto di quando erano in
condizioni di ballare potrebbe generare emozioni tristi,
di conseguenza il ballo non dovrebbe essere il punto di
forza di tali feste. Semmai si può includere un numero
di ballo eseguito in maniera più professionale o preparato
dall’equipe a modo di spettacolo che possa svegliare
la loro attenzione e curiosità. La presenza di un
cantante che sappia interpretare le loro preferenze e
cogliere le proposte, i musicisti, i comici, sono elementi
preziosi. Altre attività ludiche di grande attrattiva
sono le lotterie e le gare organizzate. Per quanto riguarda
la componente espressiva, la festa diventa partecipata
quando ad esempio ci sono anziani che fanno
richiesta di canzoni che vogliono ascoltare. Questo va
molto stimolato, come nel caso in cui qualcuno, che è
in grado di farlo, vuole ballare, cantare, recitare. La
proiezione di foto e di filmati con immagini che rispecchiano
la vita nella casa (situazioni in cui socializzano,
sono in compagnia di un parente, compiono gli anni,
ricevono un premio). La visione di fotografie genera
profonda emozione soprattutto nei parenti. Quando
non c’è spettacolo dal vivo le proiezioni sono comunque molto gradite, in questo caso la rete internet offre
molto materiale anche per un varieté. L’aspetto espressivo
si manifesta quando appare il soggetto. Con le sue
inclinazioni, livelli di coinvolgimento e predisposizioni
che qualificano la festa come costrutto condiviso. Trovo
un’ulteriore conferma di partecipazione attiva quando,
verso la fine del festeggiamento, durante il riordino,
si rendono disponibili per la raccolta di elementi
che fanno parte dell’allestimento che ha rallegrato l’incontro.
Tali oggetti, in realtà sono stati realizzati da
alcuni di loro, che quindi tengono molto alla conservazione
per il riutilizzo in successivi festeggiamenti. Si
tratta di oggetti familiari, elaborazioni proprie, ormai
parte di un nostro folclore. Ecco che ci troviamo con
l’ultima delle componenti, il lavoro manuale. La maggior
parte delle decorazioni e degli allestimenti, cartelli
per l’annuncio dell’evento, oggettistica e premi della
lotteria con doni per i parenti e per le persone che vengono
dall’esterno, biglietti, costumi e maschere, ceste
decorative eccetera, sono il risultato del lavoro manuale
(nonché cognitivo) degli anziani. Essi si impegnano
durante l’elaborazione il che è un buon segno
del loro coinvolgimento. La costruzione di qualcosa,
finalizzata a raggiungere obiettivi (rallegrare, arricchire,
donare...), crea un senso e inoltre c’è da rispettare
una tempistica, con reminescenza del loro passato lavorativo.
Attraverso laboratori organizzati con consapevolezza,
in modo che siano adatti al tipo di utenza, si
cerca di mantenere allenate le capacità stimolandole.
Si cura l’aspetto estetico di ciò che si fa, dato che l’anziano non ha perso questo criterio, trova solo più difficoltà
nel fare qualcosa. La festa è l’ambiente ideale per
coronare gli sforzi fatti insieme, per mostrare i risultati
dei lavori fatti. Ma soprattutto per rendere pubblici, davanti
a tutti, gli sforzi e i risultati dell’impegno. Esplicitamente
un ringraziamento speciale, nell’implicito un
riconoscimento per la volontà di continuare a mettersi
in gioco nella vita.
Bibliografia :
Marsilio Parolini Come si organizza UNA FESTA Edizioni PIEMME Spa, 1994.
Laura Tussi Aspetti antropologici, storici e sociali della festa da www.ildialogo.org
LA FESTA DELLA PORCHETTA
Diana Tura, Archivio di Stato di Bologna
L
a festa della Porchetta veniva celebrata il giorno di san Bartolomeo,
cioè il 24 agosto e si svolgeva a Bologna in Piazza
Maggiore; secondo la tradizione la celebrazione solenne di
questa festa sarebbe stata istituita per ricordare la sconfitta
dei Lambertazzi e la conquista di Faenza da parte dell’esercito
bolognese, avvenute il 24 agosto 1281. La centralità della porchetta
nella festa sarebbe stato poi un tributo al ruolo che il porcello
ebbe nella vicenda, dato che secondo la tradizione proprio il furto
di quell’animale, subito da Tebaldello
Zambrasi ad opera dei
Lamberatzzi rifugiatisi a Faenza,
avrebbe indotto il traditore ad
aprire nottetempo le porte della
città agli assedianti bolognesi, favorendo
così la vittoria della parte
geremea. Dunque la periodica
distribuzione della porchetta divenne
una sorta di rituale collettivo
di ringraziamento per la ‘riconquistata
libertà’, come dicono
le relazioni, ossia per la definitiva
conquista dell’egemonia politica
da parte dei guelfi Geremei. In
realtà le vere origini della festa
sono altre, infatti è ormai noto
che la festa di san Bartolomeo
si celebrasse a Bologna già alla
metà del Duecento, con un palio
in cui il porcello era uno dei premi
per i vincitori. Con tutta probabilità
l’origine storica della festa è
quindi da ricollegarsi alla vittoria
della Fossalta del 1249 e alla traduzione in carcere di re Enzo, catturato dai Bolognesi
e condotto a Bologna il 24 agosto di quell’anno.
Nonostante le sue origini medievali, la festa della
Porchetta raggiunse il suo più compiuto sviluppo ed
acquisì un ruolo centrale nella società cittadina soltanto
fra Sei e Settecento. Lo spazio urbano in cui
si svolgeva era la piazza Maggiore, in cui venivano
allestiti scenari talvolta di straordinaria complessità
strutturale, generalmente sullo sfondo del palazzo
dei Banchi, in modo da offrire un punto di osservazione
ideale al pubblico affacciato ai balconi e alle
finestre del palazzo pubblico, cioè gli Anziani e i loro
nobili ospiti. Parte della fortuna storiografica della
festa dipende certamente dalla bellezza delle fonti
iconografiche che l’hanno tramandata: le incisioni
che accompagnavano le relazioni a stampa, ora
conservate alla Biblioteca dell’Archiginnasio e soprattutto
le Insignia conservate all’Archivio di Stato,
costituite da sedici volumi che raccolgono incisioni
e miniature che coprono un arco cronologico compreso
fra i primi decenni del XVI secolo e gli ultimi
del XVIII e che furono commissionate a vari artisti
dagli Anziani Consoli di Bologna, magistratura di
epoca comunale, che in epoca moderna aveva perso
pressoché ogni potere politico, conservando quasi
esclusivamente la giurisdizione annonaria e l’organizzazione
di feste ed eventi collettivi.
Tale organizzazione raggiungeva la massima espressione
nell’allestimento della festa della Porchetta a
cui partecipavano, chiamati dagli Anziani, architetti,
scultori, pittori, muratori, falegnami, indoratori, che
riuscivano a realizzare gli apparati scenografici più
complessi: porticati, rovine, ameni boschetti, orridi
dirupi, palazzi balconati, strutture per funamboli ed
acrobati, naumachie… Ma non meno importante degli
scenari offerti era lo spettacolo che le autorità ed
i loro ospiti offrivano alla piazza nel grande gioco di
apparenze che è la festa, infatti un rituale rigoroso
assegna ruoli e spazi propri ad ogni componente
sociale: autorità, nobili, ceti medi e plebe hanno
ciascuno una precisa collocazione nel teatro della
piazza. Anziani ed aristocratici si mostrano alla festa
dai balconi e dalle finestre del palazzo, sede dei
poteri cittadini. Fra lo spazio gerarchico dei nobili,
in alto nel palazzo, e lo spazio proprio della plebe, il
selciato della piazza, esiste uno spazio intermedio,
le tribune e i palchi del pubblico pagante, costituito
in gran parte dal ceto mercantile bolognese, che
nel momento della sparsio, cioè del gettito di cibarie
dalle finestre del palazzo, mantiene un ruolo sostanzialmente
passivo. Le attese della città convergevano
sul pomeriggio e la sera del 24 agosto; nel pomeriggio
l’azione teatrale era intervallata da giochi
equestri, acrobatici e pirotecnici e da qualche anticipo
del gettito. La sparsio vera e propria aveva luogo
alla fine della rappresentazione e vedeva coinvolti gli
Anziani stessi e i loro ospiti, il cardinale legato e la
nobiltà cittadina, tutti impegnati a lanciare dall’alto
di balconi e finestre cibo (pagnotte, formaggi, oche,
galline) e monete. Il lancio della porchetta arrosto,
vero clou della festa, era invece prilegio del cuoco di
palazzo, effettuato con gesto teatrale dalla ringhiera
verso il centro della piazza. Le risse che seguivano
inevitabilmente al gettito erano una componente essenzialissima
della festa. Dilettati a lungo dalle ‘piacevoli
pugne’ della plebe, i nobili si ritiravano infine
all’interno del palazzo in cui le autorità offrivano ai
loro ospiti un rinfresco adeguato, caratterizzato da
cibi adatti a palati ed organismi aristocratici: carni
bianche, confetture, canditi, sorbetti e cioccolata.
Anche il momento gastronomico serviva così a definire
in modo inequivocabile le gerarchie sociali, attraverso
la successiva, pubblica distribuzione di cibi
‘per poveri’ e cibi ‘per nobili’. Offerti i doni alle dame
intervenute, gli Anziani aprivano le danze, che fino a
tarda notte animavano il palazzo.
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Mi piace credere
Marcella Colaci
Mi piace credere che il mondo
sia perfetto nella sua imperfezione
tutto combacia, tutto traspare
e diviene semplice contorno
di noi che non possiamo non fare
la nostra parte, se di parte si può parlare.
Mi piace credere di noi
che osserviamo la strada
per poi incamminarci
senza opporre resistenza
senza farci del male
sempre ad osservare
quel che di noi si può avverare.
Mi piace credere che l’anima esista
che durerà in eterno
ma poi so che non potrò salvarla
dallo stesso tempo, immortale lei
sempre in uno stato attento.
Mi piace credere all’amore
che sconfiggerà il confine
dell’odio e del disprezzo
del dolore e dell’abbandono.
Mi piace credere che la stella cometa
segnerà il cammino
di ogni più piccolo bambino
di ogni donna madre figlia
in quella stella e riverita
saprà illuminare la ragione
di questa grigia stagione.
Faremo in modo di vegliare
in questa notte di Natale
in questa notte che oramai passata
sarà la notte per noi incantata.
Per il prossimo anno se ci arriviamo
vi auguro di guardare il bello e raro
della vita che lascia la terra
e che ci dice: “LA VITA È BELLA”
ma non per tutti io lo so
non per tutti ahimè però.
Le disgrazie le sento e sono
solo un tragico percorso
di noi che poi alla fine siamo
solo dolore e lo sappiamo.
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Risata
Marisa V. (CD Tasso)
Risata scoppiettante
Risata al centro della festa
Risata che ama
Risata che odia
Risata che aggredisce
Risata che fa soffrire
Risata mia
Risata bella
Risata che non offende
Risata che difende
Risata che comunica
Risata per amore
Risata per come sono
Risata per una carezza
Risata per scrivere
Risata perché è auto
Risata per rabbia
Risata che non capisco
Risata per vendetta
Risata contagiosa
ha ha ha - Risata
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San Remo junior
Piergiorgio Fanti
Quella di San Remo
è una gran festa
in Italia tutti masticano
canzoni e minestra.
Quella di San Remo
è una gran festa
poco importa se ti
versano in testa la minestra.
Ed è una gran festa
poco importa se ti
incollano la gomma sulla mano destra.
Quella di San Remo
è una festa anche per la testa
ed è festa anche per le mani
perché la chitarra si suona
con la sinistra e con la destra.
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Donna
Annarita Baratti
Donna come la prima donna
come lei nessuna
solo lei
dolce lei
il suo viso
le sue mani
il suo sorriso.
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Sei il sole
Annarita Baratti
Sei il sole che splende al mattino
arcobaleno
per vedere tutti i colori del mondo.
Sei stella per illuminare
il mio cammino.
Sei sogno.
E donna reale
nei giorni della mia vita.
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Le donne
Annarita Baratti
Le donne sono
come ali di farfalla
colorate e delicate,
ma hanno il loro carattere.
Sono come un fiore
che quando cade un petalo
non fa rumore,
ma si nota il colore.
Vedono il mondo oltre,
e tutto ciò che lo circonda.
Con o senza
sofferenza
nei loro occhi c’è amore
e un po’ di gelosia,
ma non tutto è così
nella via sono raggianti
tutto va e tutto passa,
ma l’amore resta.
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Amici del cuore
Enomis
Io sto bene insieme a me
E non cerco le amicizie
Però piango alle notizie
Di qualcuno che non c’è.
Le amicizie sono quattro
Come gli angoli del cuore
Ma nel centro esso è fatto
Dall’amico che è il migliore.
Riconosco il più importante
Al mio sesso appartenente
Io con lui ne ho fatte tante
Come a dire che ne so
Come iene mai coese
Come rane mai sorprese
In un senso in cui col gruppo
Non ci si è mai amati troppo
Ci rendeva a sguardo brutto
Ma da soli in gran galoppo.
L’energia con gli altri amici
Ci rendeva sì felici
Ma era cosa personale
Come a dire cambia canale
Ma se amo quel programma
Ed a te non interessa
Si risolve il dilemma
A pubblicità trasmessa.
Questo è il cuore coi suoi angoli
Ed al centro c’è l’amore
Sento i differenti spigoli
L’amicizia e il suo valore.
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Che regalo mi hai portato?
Marcella Colaci
Che regalo porti
da lontano
nel vagone dell’amicizia
nel desiderio della speranza.
Dolci, dolcetti, grande abbuffata.
Portami il cuore
portami l’amore
portami quello che senti
oppure nulla ma solo un abbraccio.
Solo? non solo, non è da poco un abbraccio.
I Re Magi sono tre
e la Befana è ancor per te
carbone nero ma sfizioso
come dolce appetitoso.
Che regalo mi hai portato
nella valigia pesante
sento odore di carteddhate
che poi son farfalle o rondelle
oppure il buon gusto del caffè
che dal sud non può sfuggire.
Fra pasticciotti lo puoi dire
sono tutti per me lo so
fammi dare un morso e un sorso
a quel regalo grandioso
senza fare ancora il fiocco
me lo doni e so perché
indovino quel che era.
Babbo Natale lo sai che c’è?
Portami pace sorrisi e affini
portami ancora amore
porta perdono
tu lo sai che è un gran dono
porta la gioia, la felicità ed un sogno
che si avveri in questo mondo
ancora a piedi
fra le guerre e la povertà
fammi dono di lavoro
fammi sentire la bellezza
della prosperità
e del pane
di un guanciale caldo
di un amico che sia vicino
di quel che farà la vita
vendemmia e amore
fammi sentire nell’abbraccio il cuore.
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Il mare con le sue onde
Annarita Baratti
Piccole e grandi
Così profondo
Pericoloso ma bello
La sabbia
che odora di salsedine
è bello sognare il mare
passeggiando vicino alle onde.
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Sai e sai essere
Elena Baragatti
Il cristallo nella neve…
La brillantezza nel gioiello…
Il ritmo nella musica…
Il sentimento più bello nella melodia più bella…
Sei un essere incantevole e sai essere incantevole!
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Sognando di stare insieme a te
Annarita Baratti
Sognando la vita in due
e la felicità
aspettando il matrimonio,
il sole splende su di noi.
C’è una luce nei tuoi occhi
c’è un legame profondo tra di noi
che ci unisce
amore come un fiore che sboccia
e la sua bellezza
mi sbalordisce,
come l’amore della vita.
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Gli alberi e la neve
Maurizio
Soffici, candidi, bianchi fiocchi di neve,
scendono in inverno dalle altissime nubi,
con una musicalità, appena lieve lieve,
per farci dimenticare i nostri momenti bui.
Gli alberi, però, non ne beneficiano tanto,
loro in inverno stanno dolcemente riposando:
sentono parlare del loro bel bianco manto,
dagli altri esseri che commentano godendo.
Decidono, allora, di parlarne al Monarca,
chiedendo per la terra giustizia in vista,
affinché ognuno abbia gioie, vita e parca.
Il Tempo, clemente, apprezza la richiesta,
nevica a ferragosto su siepi, erba e frasca
e così, in tutto il mondo, è giorno di festa.
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Una festa che resta
Piergiorgio Fanti
Di una festa che ti resta?
Un sapore dolce-amaro
ma sinuosamente raro.
Una ventata d’aria fresca
che ti dà un po’ alla testa
(coriandoli di luce alla finestra).
Un profumatissimo fiore nella mano
la voce melodiosa da soprano,
non stare, ti prego, da me lontano.
Che sia una festa tutta nostra
che sia una festa che per sempre resta.
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Pianto
Enomis
Amico mio non essere affranto
non perderti in questo insensato pianto
le lacrime sono fatte per essere piante invano
perché quel che è successo
non si può cambiare e lo sappiamo.
Quel che sappiamo invece
è che il tempo corre veloce
ed è inesorabile e spietato
questo tempo che è passato.
Se proprio lacrime vuoi versare
fallo sul tempo che non si vuol fermare
e ci porta via persone e situazioni
sentimenti, storie e reali emozioni.
Quel che ancora sappiamo
è la grossa fortuna che abbiamo
cioè quella di gioire per le cose
che a noi appaiono meravigliose.
Se proprio lacrime vuoi versare
fallo perché hai imparato ad amare
fallo per regali che ti sembrano divini
fallo per i tuoi cari quando ti sono vicini.
Quel che infine sappiamo
e che a questo mondo in cui stiamo
ci sono grandi ingiustizie
coperte da false notizie.
Se proprio lacrime vuoi versare
fallo per quella gente che non si riesce ad aiutare
quelli che vivono in mondi più sfortunati
che gli uomini potenti li han confinati
che muoiono la vita anzi che viverla
che vivono in una terra lontana
che non sarà mai libera.
Amico mio ora piangi se vuoi
il mondo fa schifo a volte
ma non lo cambieremo noi
ma spero che ti vadano bene le cose
e che piangerai anche per situazioni gioiose.
|
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Per te donna
Maurizio Leggeri
Al primo sbocciar della primavera
per te donna una carezza… di mimosa
un candido fiore bianco… di camelia
un filiforme bagliore di luce… dell’alba
un garrulo della prima rondine… nella sera
una varietà di tenui profumi… della natura
un tremolio di fiori di mandorlo… nell’aria
una comunanza di raggi femminei… della luna
e una passione d’amore forte e vera
dell’uomo che tu ami e che lui ti ama
al primo sbocciar della primavera
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Soli insieme
Filippo Fenara
T’inùmo d’amore
Mentre l’arte del tempo
Scolpisce verità
Tra le righe della coscienza
T’adorno di ricordi,
Indosso il tuo spirito
Quando pensieri plumbei
Languono all’imbrunire.
L’eternità di quell’attimo
In cui asciughi il mio rimpianto,
Origlio tra le falle del cielo
Per scorgerti tra le nuvole.
Tu mi sai e, improvvisamente, mi sei
Accarezzi i miei giorni,
Diapositive sbiadite
Di un vissuto effetto seppia
Imploro un frammento del sempre
Per ghermire le tue spalle
Ed una volta ancora
Modellare un eufemismo di ieri.
Colmo di lacrime mai piante
Implode il dolore
Che ci ha reso soli,
Come due, sorti in un’unica alba,
Soli come musicisti virtuosi
In un brano senza centro
Abbandonati, oltraggiati, smarriti,
Inesorabilmente soli, insieme.
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Il tuo respiro
Maurizio Leggeri
È notte. Ascolto il tuo respiro
cadenzato e tranquillo;
segna bonaccia, come il fumo
non agitato di un comignolo
di una casa di campagna.
Lo confronto con lo scandire
del tempo della sveglia del comodino,
il tuo battere del cuore
ci fa bella figura, è altrettanto regolare,
comunque a me più vicino.
Riverbera calma interiore;
mi rimembra l’effetto
tranquillizzante e protettivo,
che mi comunicava
la campana dell’Annunziata
a Palestrina, quando fanciullo
udivo sul far della sera.
La tua calma riesce a coniugare
gli effetti benefici
della profondità della notte,
con la quiete di un meriggio estivo,
che concilia il sonno
e ti mette in armonia col mondo,
mentre le bambine giocano
serenamente accanto.
Il tuo respiro placido
è per me dolce companatico,
che dona completa sazietà,
alla mia voglia di serenità.
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Amore platonico
Maurizio Leggeri
Il desiderio
di bagnarsi
con la pioggia
che scende
dal corpo
d’un cielo
di donna.
Sentirne
l’intenso
profumo
custodito
nella scorza
e… dentro
il melograno.
Rimirare
lo specchio
di segrete
voglie
impresse
nella venustà
di occhi puri.
Ascoltarne
l’insistente
silenzio
percepito
quale scoppio
di passioni
d’amore.
è il momento
del piacere
vago
vissuto
con tenerezza
sulle ali
del vento.
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Un mondo stupendo (a Paolo T.)
Giacomo Corticelli
Con te ogni leggenda è vera
nella mia vita nera…
Tu la luce
che dovunque mi conduce.
Nella triste realtà
tu sei la splendida verità,
mentre nella fantasia
tu sei la più bella che ci sia.
Tra le cure
tu hai usato su di me le più pure
e la mia malattia
tu la stai portando lentamente via…
Grazie, Paolo!
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Il sabato del villaggio
P
er questo numero del Faro che tratta
della festa, ho letto per voi una delle
poesie più belle di Giacomo Leopardi,
Il sabato del villaggio. Questa poesia
fa parte della raccolta dei grandi Idilli
e comincia con l’immagine di una contadinella
che torna dalla campagna col suo mazzolino di
rose e viole, raccolto per ornare i capelli l’indomani,
giorno festivo. Poi si parla di una vecchierella
che, seduta sulla scala a filare, racconta alle
vicine i giorni della sua giovinezza, quando anche
lei si recava a danzare con i suoi coetanei. In seguito
il poeta introduce immagini visive e uditive:
scende la sera e le campane preannunciano con
il loro suono festoso il giorno festivo, i fanciulli
giocano lietamente nella piazzetta, lo zappatore
ritorna alla sua povera mensa fischiettando, allegro
al pensiero che l’indomani è giorno di riposo.
Poi, quando è scesa la notte e ogni lume è spento,
si ode il rumore della sega del falegname che
si affretta a finire. Il poeta prosegue dicendo che
il sabato è il giorno più gradito della settimana,
perché allietato dalla speranza dell’imminente festa,
la quale, però, trascorrerà nella noia e nella
tristezza, perché ognuno penserà al momento in
cui dovrà riprendere il lavoro. Perciò il poeta invita
a godere la spensierata fanciullezza, che è come
un giorno pieno di allegria e a non rammaricarsi
se l’età adulta tarda a venire, perché come il giorno
festivo porterà soltanto noia. La giovinezza, insomma,
è l’età più felice a cui segue l’età matura,
che porterà tristezza e delusione.
Tema centrale della poesia è il concetto secondo
cui il piacere sta nell’attesa di una felicità avvenire,
che poi risulterà illusoria.
Anche questo idillio, come La quiete dopo la tempesta,
può essere suddiviso in due parti:
a) un momento descrittivo, in cui con ingenua semplicità
il poeta presenta una serie di quadri dove
tutto è realtà e tutto è ideale. Come ho detto prima
si hanno impressioni visive (la donzelletta col suo
fascio d’erbe e un mazzolino di fiori; la vecchierella
che fila e racconta; l’aria che imbruna, le ombre
che scendono; la luna che biancheggia; i fanciulli
che saltano) e impressioni uditive (la campana che
suona, le grida e il lieto rumore dei fanciulli, il picchiare
del martello, lo stridio della sega).
b) un momento riflessivo e meditativo in cui si afferma
che il sabato è il giorno più bello della settimana
perché è il momento dell’attesa dell’imminente
festa, così come la giovinezza è l’età più
lieta perché precorre la festa della vita, che poi
risulterà diversa dalle aspettative.
In questo canto la gioia dell’attesa è stupendamente
concretizzata nelle immagini. Per quanto
riguarda la metrica, il poeta ha utilizzato una mescolanza di endecasillabi e settenari a rima libera,
il suo metro preferito.
Consiglio la lettura specialmente ai giovani, perché
la poesia invita a godere la vita. Quando ero
giovane ho studiato un poeta latino che ha scritto:
“Cogli l’attimo fuggente, il meno fiducioso possibile
in ciò che succederà domani”… Sul fatto che
bisogna godere la vita finché si è vivi, sono abbastanza
d’accordo. Non sono d’accordo sul fatto
che l’età adulta come il giorno di festa porti noia
e delusione, anzi, essa è una fase della vita molto
importante e affascinante. Sì, è vero, durante l’età
adulta si hanno responsabilità che nell’adolescenza
non si avevano, però sono compiti che ti cambiano
il carattere.
Infine, per quanto riguarda la festa, devo dire che
per me la domenica non trascorre per forza nella
noia e nella tristezza, proprio perché penso al momento
in cui dovrò riprendere il mio lavoro. Adesso
ho un’occupazione che mi piace e durante la
domenica, oltre a divertirmi penso con piacere che
l’indomani inizierà una settimana nuova.
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UN GIOCATTOLO DISPETTOSO
Francesco Valgimigli
E
ro un bambino di cinque anni e abitavo
ad Ariccia, un paese dei castelli romani.
Mancavano pochi giorni a Natale e
la neve scendeva generosa. Quel giorno
arrivò nonno Gerio. Come un moderno
Babbo Natale lo vedevo avanzare affondando nella
neve e apparire alla porta con tanti pacchi di
regali per me, per mio fratello e mia sorella. Entrò
dalla porta come tutti gli uomini normali, ma forse
nella mia fantasia sarebbe potuto scendere dal
camino. Dopo aver distribuito i regali a mio fratello
e a mia sorella posò sul tavolo la scatola che gli
era rimasta. Era una scatola grande e conteneva
il mio regalo. Mio nonno cominciò a scartarla, poi
apri la scatola su cui era scritto ‘montagne russe’
e rovesciò il contenuto: c’erano pezzi di binari, le
strutture per sostenerli, tre vagoncini di colori diversi,
blu, giallo e rosso, e altri ‘affari’ non meglio
identificati. Canticchiando a voce bassa cominciò
a frugare tra i vari componenti sparpagliandoli
ulteriormente, poi dopo averli osservati attentamente
si mise al lavoro ed era una festa per gli
miei occhi guardare ammirato quella struttura
crescere un pezzo dopo l’altro.
Finalmente apparve la struttura completa. Il nonno
prese il libretto delle istruzioni e iniziò a leggere,
poi dopo qualche minuto cercò di far funzionare
il meccanismo di quel giocattolo, che era
più complicato di quello che pensava. Mio fratello
e mia sorella erano impegnati con i loro giochi, e
così quel momento era tutto mio. Intanto il nonno
guardava preoccupato quell’aggeggio che gli
stava davanti, come se fosse davanti a una bestia
ostile. Tentava ogni tanto di far andare i tre vagoncini
sulle montagne russe, ma questi avevano
qualcosa che non andava, non salivano nelle salite
e si fermavano prima del dovuto. Il nonno li
guardava, ma non riusciva a capire cosa non funzionasse.
Allora cercava di scoprire dei difetti in
quella sua costruzione, riprovava a far andare i
vagoni disponendoli uno alla volta, ma questi per una ragione o per l’altra non gli davano mai soddisfazione:
o erano lenti o andavano a singhiozzo, e
il nonno si intestardiva ancora di più a capire.
Provava a rileggere il libretto delle istruzioni, ma
scuoteva la testa, poi dava ancora uno sguardo
al marchingegno come se si trattasse di una sua
invenzione. Era sera e la neve continuava a cadere,
il nonno si intestardiva a voler capire cosa non
andasse in quel suo dono, ogni tanto riprovava a
far partire qualche vagone, ma non lo guardava
neanche, immerso com’era nella lettura del libretto
delle istruzioni. Il camino era acceso e il salotto
era avvolto nel calore.
Più volte il nonno sollevò lo sguardo dal libretto e
fece cadere uno sguardo severo su quel giocattolo
ribelle, poi con meticolosità verificò che tutta la
costruzione fosse montata bene e per prova rifece
partire un vagone… ma questo si fermava senza
aver completato il giro. E allora il nonno ricominciava
a trafficarci, e quel suo lavoro è andato
avanti per ore, ma non si trovava mai la soluzione
al problema.
Ora non l’ho più quel gioco meccanico di latta
(peccato perché quei giocattoli non esistono più,
sostituiti da apparecchi elettronici), è andato perso
o forse è stato buttato via, ma quel lambiccarsi
il cervello di mio nonno di fronte a quel suo dono,
il calore che c’era in ogni suo gesto, mi è rimasto
dentro come un ricordo che funziona ancora oggi.
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COME HO PASSATO L’ULTIMO GIORNO DEL 2017
Luca G.
tradizione che il 31
dicembre ci si metta
eleganti per aspettare
la mezzanotte e salutare
l’anno nuovo, che si
ceni con tutta la famiglia o con gli
amici a casa o in qualche locale,
che si mangi lo zampone con le
lenticchie, che si giochi a tombola
e che poi, quando sta per arrivare
la mezzanotte ci si metta qualcosa
di buffo in testa e si riempiano
i calici di spumante per poi fare
il conto alla rovescia con voce
sempre più forte, quasi agitata,
fino a esplodere gridando: “BUON
ANNO!!!”… E spesso succede che
dopo la mezzanotte la festa non
finisca qui: anzi, si resta alzati
a ballare, a guardare i fuochi
d’artificio e a sparare i petardi
anche fino all’una di notte, per poi
andare a dormire solo quando tutti,
ma proprio tutti si sentono stanchi,
ad orari improponibili per il resto
dell’anno. E chi prende l’iniziativa
di andare a casa prima rischia di
venire convinto dagli altri a restare.
Non è sempre stato il mio caso,
anzi un tempo non lo era quasi
mai. Io da ragazzino non ero solito
restare alzato fino a mezzanotte,
un po’ perché mi metteva ansia
l’idea di aspettare la fine di un anno
appena trascorso, un po’ perché
condizionato da mio padre, il quale
andava a lavorare anche sotto le
feste e aveva bisogno di andare a
letto presto per alzarsi anche prima
dell’alba, e quindi l’idea di fare un
po’ di festa era a casa nostra fuori
questione, sia per non disturbare il
suo sonno, sia perché non voleva
che facessimo del baccano che
desse fastidio ai vicini. Per mio
padre tutte le mosse che si fanno
quando si aspetta la fine dell’anno
vecchio e l’inizio di quello nuovo
erano solo delle sciocchezze, e io
mi trovavo d’accordo con lui. Molte
volte ho preferito andare a letto a
dormire piuttosto che stare alzato,
è più comodo e rapido. E poi si
restava a dormire per ore, oppure
si veniva svegliati dai botti fuori
dalla finestra che erano comunque
attutiti e non assordanti, si
appurava che era iniziato il nuovo
anno e ci si riaddormentava.
Ma non tutti gli anni sono andato
a dormire, anzi qualche volta sono
rimasto sveglio insieme ai parenti,
anche quando mio padre era ancora
vivo. Con il tempo ho anche
imparato a non essere troppo ansioso
per lo scorrere del tempo che
manca alla mezzanotte, anche grazie
alle tante distrazioni compiute
durante la serata.
Ecco quindi il mio resoconto su
come ho passato l’ultimo giorno
(e soprattutto l’ultima notte) del
2017. Io e mia madre ci siamo
alzati di buon’ora, anche se non
prima dell’alba, per partire da Bologna
e andare a Foggia, dai nostri
parenti. Avevo preso con me poche
cose, giusto qualche ricambio, le
medicine, uno o due libri e un gioco
da tavolo ispirato alla saga di Ritorno
al futuro da provare con qualche
zio o cugino.
Il viaggio in autostrada è andato
bene, era domenica e non abbiamo
trovato macchine o brutto tempo.
Forse a qualcuno può sembrare
un’idea sciocca mettersi in viaggio
proprio l’ultimo dell’anno, invece è
un’idea furba, dal momento che
quel giorno di solito c’è meno traffico
rispetto a quando iniziano o finiscono
le vacanze. Inoltre mia madre
temeva che se ci fossimo messi
in viaggio il primo gennaio, avremmo
trovato chiusi i distributori di
metano, e così il viaggio è stato
buono. Appena arrivati a Foggia,
siamo entrati nel residence di famiglia
(un terreno in campagna che il
mio nonno paterno aveva diviso in
pezzi più piccoli, uno per ciascuno
dei suoi figli), abbiamo controllato
che uno zio avesse provveduto ad
accendere la caldaia prima del nostro
arrivo in modo da non trovare
la nostra cascina fredda e umida,
poi abbiamo messo a posto bagagli
e oggetti e ci siamo dati una sistemata.
Sono poi andato a salutare
gli altri zii, soprattutto zio Damiano
e zia Rosa, per tutti Rosetta. Quindi,
avendo saputo che quella sera ci
sarebbe stata da loro il cenone di
Capodanno, le ho chiesto se potevamo
venire anch’io e la mamma, in
pratica ci siamo autoinvitati. Forse
zia Rosetta è rimasta un po’ sorpresa
dalla cosa, non se lo aspettava,
però ha detto di sì, pure perché
ha ottimi rapporti con mia madre.
Infatti lei, tutte le volte che andiamo
a Foggia, si reca a casa sua
quasi tutti i giorni, anche solo per
fare due chiacchiere. E poi negli ultimi tre anni avevamo già festeggiato
il Capodanno con loro altre
due volte. Abbiamo rimandato la
visita della tomba del babbo al cimitero,
e ci siamo preparati per andare
appunto da zia Rosetta. Siamo
arrivati attorno alle 20, o poco più
tardi, io mi portavo dietro una
sporta con dentro il gioco da tavolo.
Il salotto con il tavolo da pranzo
apparecchiato di rosso era illuminato
dalle lampade e dal televisore,
e riscaldato dal camino acceso, al
quale mi sono subito avvicinato
dopo essermi tolto il cappotto e
aver poggiato la sporta sul divano.
C’erano nove posti a tavola. Oltre
agli zii Damiano e Rosetta e al loro
figlio minore Carlo saremmo stati
io, la mamma, zia Giovanna, mia
cugina Alessandra, sua figlia Rosanna
di sei anni e infine Anna, una
signora dai capelli biondi e ricci
amica di zia Rosetta. C’erano anche
Ivan, fratello maggiore di Carlo, e
sua moglie Emiliana con i figli, ma
sono rimasti solo per farci un saluto
veloce, poi sono andati via. Ricordo
che una delle prime cose che
ho fatto prima di metterci a tavola è
stata guardarmi intorno, prendere
il telecomando e consultare l’elenco
dei canali del televisore. Zio Damiano
mi lasciava fare, perché con
loro avevamo confidenza e pure
perché aveva notato che, come lui,
non avevo voglia di stare ad ascoltare
il messaggio di fine anno del
Presidente della Repubblica, trasmesso
come di consueto a reti
unificate. Anzi, fece pure una battuta
nel commentare che dovunque
si andasse col televisore, qualunque
canale si cercasse, non c’era
scampo, si trovava sempre lui. Al
massimo poco prima di mangiare
aveva detto una cosa che sul momento
mi parve assurda, cioè che
dopo il Tg5 avrebbero dato “Paperissima”
come tutte le domeniche
dell’anno, il che è non è vero sempre.
Io lo dissi, ma zio confermò la
sua opinione, io rimasi perplesso.
Solo in seguito ho concluso che voleva
sicuramente dire “Paperissima
sprint”, la versione breve del noto
programma, e che se ero rimasto
stupito, doveva essere perché da
molto tempo non consulto più i palinsesti
dei canali e non mi interessa
vedere che cosa danno su Canale
5, se “Striscia la notizia” o
appunto “Paperissima sprint”. Io
però sapevo che ci sono canali in
cui non lo si vede, e capitai per
caso su un canale sportivo di SKY.
Avevo digitato 21, ero convinto che
ci fosse Rai 4, e allora lo zio mi ha
fatto vedere quale fosse il numero
che dovevo digitare sul telecomando
(avendo il satellitare, lo zio aveva
una lista di canali palinsesto
molto più ricca e variegata della
nostra, con i canali disposti in
modo diverso). Nessuno chiese
spiegazioni sul perché volessi andare
proprio su Rai 4, e io non lasciai
trapelare nessuna emozione
né dissi nulla. O almeno non ne volli
parlare in quel momento. Nel frattempo,
mia madre aveva iniziato a
parlare con gli ospiti, Carlo si era
disteso sul divano, zio Damiano
continuava a guardare la TV. Io
presi un mezzo Xanax con un po’
d’acqua per rilassarmi e iniziai ad
aspettare che si cominciasse la
cena. Non che avessi intenzione di
stare dalla zia solo per mangiare,
anzi, avevo voglia di stare con i parenti
e fare qualcosa che mi potesse
svagare, però il 31 dicembre si
fa anche quello. La cena è stata
buona da gustare, ma anche un po’
disordinata. Infatti abbiamo cominciato
con salumi e formaggio che
credevo fossero l’antipasto. E invece
erano l’antipasto dell’antipasto!
Il vero antipasto si rivelò essere
una crèpe ripiena di carciofi. Poi è
arrivato il secondo. E non erano bistecche
o simili, ma spiedini di salsicce.
E solo alla fine è venuto il
primo piatto, le farfalle col salmone,
l’unica portata che non ho neanche
toccato: le farfalle sono e
restano un tipo di pasta che non mi
piace. E poi di solito quando c’è
una festa, non sto sempre a riempirmi
lo stomaco di cibo, sto anche
a parlare con gli altri invitati, dipende
pure da quello che c’è da
mangiare. Nel corso della serata,
Rosanna ha dichiarato che non le
piacevano i carciofi. Però in compenso
le piacciono le cose dei negozi
dei cinesi. Non solo, ha anche
detto una frase che ho sentito così:
“Il paese dei cinesi si chiama Latina!”,
Sempre che non volesse dire o
abbia detto “La Cina”. Comunque è
una cosa che a pensarci, fa sorridere.
Come sottofondo, ascoltavamo
dalla televisione le star che si
esibivano al Capodanno in Musica,
che Federica Panicucci presentava
su Canale 5. Noi non siamo stati a
badare troppo a chi cantava, o meglio
identificavamo gli ospiti che riconoscevamo
e li commentavamo
(per esempio io ho riconosciuto
Noemi), ma più che altro i nostri
commenti erano tutti sul loro
aspetto fisico, specialmente se erano
cantanti troppo magre, o sulla
loro età, nel vedere se dimostravano
o no gli anni che avevano, o sui
vestiti che indossavano. A un certo
punto Rosanna disse che avrebbe
voluto indossarli. Le piacevano
molto, anche se alcuni non erano
belli, o sembravano tovaglie da picnic.
Durante la cena, Alessandra ha
voluto parlare di Anna Pia, la figlia
di sua sorella Daniela, e di come diversamente
si comporti rispetto a
Rosanna. Ha detto in particolare
che Anna Pia è chiassosa e che a
tavola sporca molto. Però mia madre ha detto che anche Daniela alla
sua età era vivace come lei. Anzi,
ha raccontato un aneddoto, cioè
che Daniela era venuta con la famiglia
a trovarla a Bologna un anno
prima della mia nascita e che era
saltata sul comò. Il racconto mi lasciò
stupito. Quando il concerto di
capodanno andava in pubblicità, io
mi impossessavo del telecomando
e andavo sempre su Rai 4. Zio Damiano
non protestava, ma mi lasciava
fare. Anzi, sembrava che non
gli importasse che stessi a guardare
alcune scene di un film di nome
Upside Down, che io avevo già visto
in precedenza e che sapevo già da
qualche giorno che avrebbero trasmesso
l’ultimo dell’anno. A un
certo punto Alessandra volse la testa
verso il televisore e presa dalla
curiosità, mi chiese: “Perché
quell’uomo cammina al contrario?”.
In quel momento stavamo
guardando un uomo che percorreva
un corridoio a testa in giù con i
piedi attaccati al soffitto. Cominciai
a spiegarle che quel film era ambientato
in due mondi collegati da
un grattacielo e che in uno di essi si
camminava con la testa rivolta verso
il basso, e notai che anche Rosanna,
nonostante la sua età, tentava
di capire qualcosa di quello
che dicevo. Alessandra mi chiese
se avevo già visto quel film. “Eh!”
dissi io, rispondendo che l’avevo visto
e rivisto altre volte e che l’avevo
fatto pure vedere ai miei amici del
gruppo Galapagos, che avevano allestito
un cineforum a Sabbiuno,
vicino a Castel Maggiore, e di cui
anche la mamma disse qualcosa.
Quindi cambiai canale, ma quando
di nuovo tornò la pubblicità, misi il
televisore di nuovo su Rai 4, e rimasi
estasiato nel vedere la protagonista
femminile, al punto che chiamai
mia cugina e le feci cenno con
la testa di guardare lo schermo. E
allora vide che c’era “l’attrice che
piace a te”. Lo ammetto, se Kirsten
Dunst non fosse stata nel cast di
Upside Down, forse il film non l’avrei
neanche considerato. Poco
dopo le 23 era già finito, e io non mi
sintonizzai più su Rai 4, e una volta
sgomberata una parte della tavola
proposi a mia madre di fare insieme
una partita col gioco di Ritorno al
futuro, e anche Alessandra volle
unirsi a noi. Il gioco era diviso in
round, e prevedeva che noi tenessimo
in mano quattro carte raffiguranti
i personaggi, sul tavolo ne
erano disposte altre che descrivevano
varie scene della saga ambientate
nel 1955, nel 1985 o nel
2015, a cui dovevamo abbinare i
nomi corrispondenti dei personaggi
coinvolti. Chi completava gli abbinamenti
degli eventi, prendeva la
carta dell’evento e i punti messi in
palio, e chi accumulava più punti
sarebbe stato il vincitore. Questo in
linea di massima è il regolamento.
Lo ammetto, nel loro insieme le regole
sono un po’ complicate, io
stesso non le capisco appieno, e le
semplifico per non rendere il gioco
troppo noioso agli amici e ai parenti.
Ricordo che durante la partita,
che vinsi io, Rosanna si divertì molto
e ripeteva di continuo alla madre:
“Concentrati!”. Ma anche Alessandra
si divertì, e mi chiese di
poterci rigiocare alla prossima occasione
e io guardando l’orologio
mi avvidi che mancavano 25 minuti
dalla mezzanotte. Non sapendo più
come passare il tempo, mi misi a
ciondolare un po’ per la casa. Prima
della mezzanotte zia Rosetta
portò lo spumante, il pandoro e le
lenticchie (di solito si mangiano
molto prima, durante il cenone), e
noi ci mettemmo in attesa, senza
però darci troppa importanza. Intanto
zio Damiano aveva cambiato
canale, mettendosi a guardare un
altro concerto di Capodanno, stavolta
quello su Raiuno. Ricordo che
proprio durante l’ultimo minuto, Al
Bano stava cantando Felicità mentre
dietro a lui scorrevano i secondi
del conto alla rovescia (erano
avanti di cinque secondi rispetto al
mio orologio, ma non mi importava).
Quando Al Bano smise di cantare,
eravamo tutti pronti a festeggiare.
I flute furono riempiti di
spumante: “Ci siamo!” gridai io.
“10… 9…” contammo tutti insieme.
“8... 7... 6... 5... 4... 3... 2... 1…
BUON ANNO!”. Il 2018 era appena
iniziato.
Tutti quanti esultammo, io applaudii,
quindi facemmo un brindisi e
qualcuno mangiò anche un pezzetto
di pandoro e un po’ di lenticchie
(io non li volli toccare). L’unica che
piangeva era Rosanna. Anche se
può sembrare strano, io la capivo.
Anch’io da piccolo durante le feste
piangevo, perché le urla degli altri
mi spaventavano. Anzi, Rosanna
aveva anche gridato: “È il Capodanno
più brutto della mia vita!”.
Non temere Rosanna, pensai sorridendo.
Ne conoscerai di più belli e
di più brutti. Poco dopo salutai di
nuovo tutti quanti, presi la sporta
dentro cui avevo messo il gioco
da tavolo, mi misi il cappotto e me
ne andai a dormire, incurante dei
fuochi d’artificio che si sparavano
nelle vicinanze, fuori dai confini del
residence. Io e la mamma saremmo
rimasti ospiti dei vari zii, sia paterni
che materni, fino al successivo 5
gennaio.
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Doppio cieco
Trovando un lui o una lei, che ci passino tutte le fisime legate ad un presunto disagio mentale?!?
Concomitanze
Comportamento curioso quello delle associazioni, le quali in modo
fotocopia, propongono gli stessi (quasi) programmi di
intrattenimento... A ben guardare,
ho la vaga sensazione di stare dentro a una sorta di gabbia gigante (lo
è pure il mondo dei normali). Divertimento o no, anche un funerale è
una ‘festa’, a
volte… di liberazione.
Gli ultimi arrivati ti fanno le pulci
Succede sovente che l’ultimo arrivato, specialmente l’infermiere di
turno, si dimostri il più pignolo nella distribuzione dei farmaci, non
tenendo minimamente conto della vasta esperienza che tu puoi avere in
materia...
Tradimento??? (dipende dal ruolo)
Credo
sia la madre la prima traditrice in seno alla famiglia!!! Dopo di che
possiamo tranquillamente, visto l’insegnamento impartitoci, tradire noi
stessi e il mondo.
Contesto
Credo che più si esclude il contesto più il linguaggio diventa autoreferenziale... psichiatria inclusa.
Complotto farmaceutico
Psicofarmaci
scorrono a fiumi, le ricadute di tutto ciò sono a dir poco discutibili,
mi sento a terra!!! Incontrassi la donna della mia vita, avessi il
lavoro ideale e il rapporto con i miei fosse idilliaco... Ma, per la
psichiatria, il disturbo di cui soffro mi preclude ogni collegamento
sano e non viziato con il mondo che mi circonda. Il mondo, per nulla
facile da vivere, con una miriade di problemi da affrontare e con una
costante: la ‘solitudine’... Sarà mica che la colpa è del complotto
delle case farmaceutiche o degli ebrei???
Non voglio morire
Ossessione per il tempo che passa... Cristallizzazione del particolare.
Input
Gli input che gli educatori dovrebbero trasmettere agli utenti, quasi sempre riflettono l’indole degli educatori stessi...
La sottrazione
Con la modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere,
di rilanciare, abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la
forza, che dall’assenza nasce la potenza. E per il fatto di non essere
più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, oggi
siamo immersi nell’illusione inversa, quella, disincantata, della
proliferazione degli schermi e delle immagini.
Jean Baudrillard
Reciproci favori
La sinistra italiana riformista è incline a svolgere il lavoro sporco in ambito di materia del lavoro a favore della destra.
Marasma
La sottile linea rossa che separa il carattere dal disturbo psichico...
Azioni, gesti e parole vengono condizionati reciprocamente...
Comunque, scegli!
Se ti manca l’io, prendi Dio.
Cattolici
Non è bastato Pasolini… Non facciamo che rincorrerli in ogni campagna elettorale... neanche fossimo in uno stato teocratico.
Cercasi psichiatra POP
In futuro tutti saranno famosi per quindici minuti.
Andy Wharol
Cynar… per tutti
Quando
la realtà ci va un tantino stretta e non ci piace, tendiamo per un
attimo o per sempre a fuggire nella zona franca dell’irrazionale...
(buon viatico allo stress della vita moderna).
Borghesia aristocratica
Mi chiedo quale sia la nuova borghesia aristocratica... In questo paese.
Tieni botta!!!
Buon banco di prova per testare la nostra tenuta psicologica è quello della famiglia di origine…
docg
Saranno quelli non certificati dal CSM a creare una miriade di problemi a quelli certificati?!?
Senza ritegno
Magna magna è una cuccagna!
4 marzo 2018
Voto de panza, voto de sostanza.
Di nicchia o di maggioranza
È
anacronistico pensare che in Italia possa esistere una forza politica
di maggioranza e rivoluzionaria che possa ambire ad un governo del
paese???
Saluti...
Gelosie e quant’altro
Chi si occupa del materiale umano nei C.S.M., ovvero del rapporto con
gli utenti (incontri, dialoghi di supporto eccetera) nutre uno strano
sospetto nei confronti degli E.S.P. che sono stati accreditati con un
corso riconosciuto dall’AUSL stessa. Probabilmente il lignaggio è
differente: non si è educatori o infermieri, ma esperti alla pari. La
differenza probabilmente non sta nei titoli accademici (avuti con un
lungo studio) ma nel fatto che forse il rapporto tra pari è in qualche
modo più ‘genuino’, toglie steccati (diffidenza e soggezione nei
confronti dei camici bianchi). La preoccupazione di certuni, è quella
di credere di essere detentori della verità teorica, infischiandosene
di quella parte che si acquisisce avendo esperienza e affinandosi,
magari con l’aiuto degli operatori stessi, e che porterebbe un più
concreto aiuto agli utenti.
La festa
Non sono mai stato invitato alla Festa!!!
La foto perfetta
L’istantanea
che si scatta, quasi in maniera casuale, ma forse perché predisposti
dopo anni di conflitto, è veramente sconfortante... I dettagli sono
completi, la luce è perfetta, i protagonisti ci sono, e ci sei pure
tu!!! Non capivi il perché, ma le cose sono state sempre così da una
eternità…
Dov’è la verità???
Dati cifre e statistiche non vanno tirate per la giacchetta.
Quando sarà???
Sono scelte radicali quelle che ci dividono tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.
Nord sud ovest est
Trovo che l’esercizio della scrittura sia una bussola per determinare la mia posizione nel sistema mondo.
Il salmone
Come una cascata cristallizzata la difficoltà di andare contro corrente, la difficile vita di un salmone in amore.
Il tentativo
Vano è il tentativo di controllare le cose in questa cazzo di vita...
C’è chi dice no
Chi non sa dire no, non è uomo libero.
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UN CAMPIONE PROVENIENTE DA LA SPEZIA
Matteo Bosinelli
S
Marco Albano era un maestro di scacchi di La
Spezia che, con dolore di molti, fra cui il sottoscritto,
è scomparso lo scorso anno. La sua
maggiore ‘eredità’ scacchistica è stato un impegnativo
pareggio con il noto fuoriclasse russo
Anatolij Karpov (Graz 1972, campionato del
mondo giovanile a squadre), poco prima che
quest’ultimo divenisse campione del mondo.
Il mio ricordo di Marco è intriso di tenerezza,
perché lo frequentai per diversi anni nel Circolo
Scacchistico della nostra comune bella città,
La Spezia, e perché vincemmo ad Alessandria,
nel 1974, un torneo a squadre di una certa rilevanza.
Nel viaggio di ritorno da questo torneo,
tutti noi componenti della squadra spezzina,
eravamo eccitati e in preda a una feroce euforia:
ricordavamo i momenti clou del torneo, oppure
parlavamo in generale di scacchi: cos’è il
talento, cosa fare per tenersi allenato e così via.
L’atmosfera ‘festaiola’ era molto piacevole e si
era impadronita un po’ di tutti noi. L’interlocutore
principale era sempre Marco, che rispondeva
alle domande, esprimeva concetti e dava
consigli, con una calma e una modestia che lasciavano
sbalorditi. L’ultimo ricordo che ho di lui
è di molti anni dopo: ritornato a La Spezia per
un paio di giorni, andai al Circolo Scacchistico
a trovare gli amici con i quali avevo condiviso,
per anni, la passione per gli scacchi. Marco, anche
se impegnato in una partita, e toccava a lui
muovere, si alzò, mi sorrise bonario e conversammo
per un po’ amichevolmente.
Ha lasciato una moglie (anche lei insegnante di
matematica) e due figli, di cui ho però un ricordo
molto sfumato: avranno seguìto le orme paterne?
A questo punto, credo che a qualche lettore
possa interessare la sopracitata partita contro
Karpov: eccola qui, allora, di seguito.
Albano – Karpov (Graz, 1972)
1) e4 c5
2) Cf3 e6
3) d4 cxd4
4) Cxd4 Cc6
5) g3 a6
6) Ag2 Cxd4
7) Dxd4 Ce7
8) 0-0 Cc6
9) Dc3 d6
10) Ae3 Ad7
11) Cd2 Tc8
12) a4 b5
13) axb5 axb5
14) Tfc1 Ae7
15) Af1 Ce5
16) Da5 0-0
17) Axb5 Dxa5
18) Txa5 Axb5
19) Txb5
19) ... Cd3
20) Ta1 Txc2
21) Ta7 Af6
22) Td7 Cxb2
23) Txd6 Cd1
24) Tb3 g5
25) Cf1 Cc3
26) Td2 Txd2
27) Cxd2 g4
28) Cb1 Ce2+
29) Rf1 Cd4
30) Axd4 Axd4
31) Td3 e5
32) Cc3 Ta8
33) Cd5 Ta1+
34) Rg2 h5
35) Td2 Ta7
36) h3 Rg7
37) hxg hxg
38) f3 Rg6
39) fxg4 Rg5
40) Rh3 Ta1
41) Te2 Th1+
42) Rg2 Th8
43) Te1 Rxg4
44) Tf1 Ta8
45) Txf7 Ta2+
46) Rf1 Rxg3
47) Tf5 Aa1
48) Cf6 Td2
49) Ch5+ Rh4
50) Cf6
e i due giocatori si accordano sulla patta: 1/2-1/2
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FUMARE
Marshal Monaco
I
l fumo, il fumare sigarette, fumare in senso stretto,
non ha alcun risvolto positivo, poiché costituisce
unicamente una fonte di patemi, dolori, malattie
mentali e fisiche, perdita di tempo, di risorse
economiche e di energia vitale.
Fumare sigarette e altro esala odori sgradevolissimi,
che ammantano organismo, indumenti,
ambiente domestico e ambiente globale e non è
dannoso solo per la salute, dato che evidenti dati
perorano ciò che vado ora ad elencare: il fumare
ingiallisce le unghie rendendole più fragili e deboli,
facili da rompere quindi meno resistenti; ingiallisce
le mura domestiche cagionando un raccapricciante
aspetto estetico; deteriora lo stato di salute dei
denti, ingiallendoli e favorendo il sorgere di carie,
tartaro e placca; comporta una perdita di efficacia
delle papille gustative, cosicché non si possa gioire
a pieno delle prelibatezze del cibo, e fa incamerare
sporcizia e agenti patogeni per la flora batterica
dell’intestino; rovina la cute, l’epidermide, favorisce
il sorgere della forfora che si può si debellare solo
a brevissimo termine, sintomo anche di un cattivo
stato del fegato; accorcia il respiro, porta ad avere
il fiato corto, ossia riduce l’efficienza operativa dei
polmoni e riducendo l’apporto di ossigeno favorisce
il sorgere di infarti e ictus. L’ictus porta ad uno
stato di demenza, malattia mentale che impedisce
di realizzare in tempi celeri, ragionevoli ciò che è
positivo e utile per sé stessi. Il fumare sigarette
riduce drasticamente l’efficacia operativa dell’apparato
muscolare e scheletrico rendendoli ancora
più sensibili ad agenti patogeni o radicali liberi. Diventano
così più frequenti, anche col trascorrere
del tempo che non attenua i risvolti negativi del
fumare, i dolori al torace, il dolore ai denti, alla testa
(emicrania), epistassi (perdita del sangue dal
naso), pruriti… Sì perché fumare è causa di scarsa
igiene, non solo per ciò di cui è costituita materialmente
una semplice sigaretta. Diversi interventi
delle forze dell’ordine, concretizzatisi in controlli,
hanno portato alla luce che nelle fabbriche dove
avviene la lavorazione dei tabacchi si usano veleni,
inoltre si trovano nelle sigarette feci di roditori,
capelli umani, polvere e residui organici in avanzato
stato di decomposizione. Il fumare non rilassa
ma irretisce i nervi e rende più nervosi e irascibili e
non è affatto vero che fumare favorisca la concentrazione
poiché come già detto riduce l’apporto di
ossigeno anche al cerebro.
Perché togliersi i piaceri della vita, e impedire a
quest’ultima di avere il suo corso? Il fumare rende
impotenti. Le parti periferiche del corpo sono
esposte a maggior rischio di perderne l’uso. Si rischia
di perdere l’uso di gambe, braccia, piedi.
Si pensi a quante sigarette si fumano nell’arco di
una giornata e nell’arco di due, cinque, dieci, quindici
anni. Durante questi lustri le risorse allocate nel
consumo di sigarette sono le stesse che si possono
impiegare per usi di gran lunga più efficienti ed utili
come l’acquisto di un’unità immobiliare, una baita,
si può visitare in lungo e in largo un continente
come l’Africa (che è il terzo più esteso al mondo),
impiegarle per la formazione. Il fumo è cancerogeno
perché inquina l’aria, la combustione di sigarette
che non sono che dei veleni e droghe, fa aumentare
la presenza di polveri sottili. I costi sanitari
aumentano anche a causa del fumo di sigarette,
tabagismo (il fumare è una tossicodipendenza). Le
malattie è meglio prevenirle. Il fumare sigarette di
contrabbando foraggia, alimenta il crimine. Come
anche fumare altre sostanze psicotrope (tabacco,
eroina, cocaina, hashishina, tetra cannabinolo, lsd
e altre schifezze immonde) rinforza il crimine che
ci impedisce di gioire di una vita serena, tranquilla,
democratica, e di vivere appieno la nostra vita. Se
piuttosto che coltivare tabacco, piantumassimo alberi,
piante, fiori e frutti…
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PER LA CRONACA
Simone Riva
importante riuscire a pensare al presente, a non
mettersi dei pensieri per il domani, anche perché
un grosso futuro, purtroppo, non lo vedo al momento
e andando avanti mi sa che andrà sempre peggio.
È già buono quando noi disabili possiamo avere
una famiglia su cui contare e una buona pensione
correlata con le borse lavoro, che arriva abbastanza puntuale. Continuando a chiedermi dove sbaglio,
senza trovare una risposta, bisogna che io la trovi;
mi faccio un sacco di paranoie su cosa fare, o come
passarmi il tempo, in particolare su cosa succederà
nel mio domani, anche se so che non succederà
niente di nuovo, e continuerà la solita routine o
almeno lo spero.
È bene che io mi metta di punta a dimagrire,
perché sono molto grosso come corporatura, ed
è bene anche che io mi metta di buona volontà
a fare qualcosa come un buon passatempo che
possa aiutarmi a passare qualche ora fuori di casa.
Senz’altro potrebbe aiutarmi a stare meglio. Guardo
in faccia la realtà e vedo che ho problemi cardiaci e
un braccio tutto rotto, compreso anche un problema
psichico non da poco, che sicuramente non riesco
a risolvere, nonostante i miei sforzi. Mi piacerebbe
darmi da fare e avere più occasioni sociali, credo
che vorrei essere trattato come gli altri a volte anche
se mi rendo conto di non essere all’altezza di altri
che fanno certi mestieri, gente di un certo livello
competitivo sul lavoro.
Lamento anche che, col fatto che questo cavolo di
mercato del lavoro ci offre un livello di sopravvivenza
non esagerato, è anche difficile mettersi in testa di
realizzare qualcosa nella vita, come una famiglia o
una casa; che forse resta un sogno impossibile per
molti, anche che non sono disabili. Quello di cui avrei
bisogno è qualcosa di interattivo con cui passarmi il
tempo…
Tenete conto che questi pensieri sono tutti per la cronaca…
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TRAIETTORIE TRASVERSALI
Ghiaccio Sinistro (ghiaccio.sinistro@gmail.com)
I
o vagabondo. Lo sono stato
per circa un anno. Poi mi
sono ritrovato. Tornando
a un episodio della mia infanzia.
“Hai gli stessi Occhi
di Augusto Daolio”, mi disse mio
Nonno Domenico detto Nenno.
Ricordandolo i miei occhi hanno
iniziato a brillare di nuovo. Hanno
riiniziato a osservare e vedere.
E allora torniamo al ‘Suono della
Domenica’, mi sono detto, che è
un bel libro di Zucchero. Ma non
in senso religioso. Io a Messa non
ci vado e nemmeno credo in un
dio. Da un punto di vista cattolico
sono ateo. Da un punto di vista
spirituale buddista. Ma non credo
nella reincarnazione. La ritengo
una favoletta. Non mi interessa.
Non voglio rimandare. Voglio Esserci.
Quando è utile, quando è
necessario.
Poi voglio stare anche da Solo. In
cinque parole: “amo farmi i cazzi
miei”.
ANGELI, NO GRAZIE!
STARE DA SOLO…
Eh... già. Vasco. Un tema da riprendere.
Epurandomi. Da troppe
citazioni. Da troppi riferimenti.
Stordenti. Psichedelici. Senza recinto.
Ho sbagliato ma non rinnego.
Rilancio e riparto. Sapendo
che nei territori della ragione ci
sarà anche la mia normalità, da cui scrivendo cercherò di guarire,
tenendo presente che ognuno
di noi ha una parte oscura che
chiede luce e che Franco Battiato
chiama ‘L’animale’.
Tra qualche sigaretta e qualche
caffè non dimenticando mai di
avere momenti di leggerezza e
stupidità.
Rieccomi.
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ARIA DI FESTA
Casa San Giacomo
Me ne ero dimenticata,
ma ora me lo ricordo:
una festa ha senso solo
se si sta tutti insieme
Hikari - Special A
FESTA È…
● La festa è un momento di gioia per riunirsi con gli amici.
● È movimento, ma non per forza ballo, è stare insieme per divertirsi, ma anche per lavorare.
● È rivedere persone dopo tanto tempo ed è ricordare delle occasioni importanti.
● Nella nostra esperienza festa è tutto questo.
Prima
di entrare in comunità, non c’era festa a Gossolengo senza di me: io
partecipavo a tutte le feste di paese ed ero nello staff organizzativo;
con gli amici andavo a lavorare alle feste per sistemare i tavoli ed
era divertente stare con gli altri ragazzi con i quali scherzavo fino
all’arrivo dei clienti. Quando lavoravamo eravamo serissimi, ma appena
possibile trovavamo il modo per stare insieme allegramente e, anche
alla fine, non era poi così faticoso risistemare tutto a festa finita,
anche se era quasi mezzanotte.
TB
Io ho festeggiato il mio compleanno qualche giorno fa con la comunità
al ristorante e sono stato felice perché ero in un posto bello con
persone che tengono a me e che mi hanno anche preparato una torta
buonissima. Mi è piaciuto anche tornare dai miei compagni di scuola che
non vedevo da un mese perché sono stato malato, rivedere i loro volti
felici e sentire i loro abbracci mi ha fatto stare molto bene.
CB
A luglio compirò diciotto anni ed ho chiesto alla coordinatrice di
invitare la radio M2O a Porto Recanati perché vorrei fare una festa in
spiaggia. Per me è importante perché diventerò maggiorenne e sarà una
data da ricordare.È bello trascorrere insieme alle persone che sono
nella mia vita questo evento.
MCB
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LA FESTA
Centro Diurno di Casalecchio di Reno
L
a parola ‘festa’ mi fa
pensare a una mascherata
pirandelliana… Apparire
ciò che non si è. E mi
fa pensare in particolare
al giorno del mio compleanno:
in questa occasione mi sento come un pesce fuor d’acqua e prigioniero
di una maschera di felicità
e bontà dalla quale vorrei liberarmi,
riaffermando i diritti della
parte oscura che è in me, quella
pessimistica e materialistica,
quella cattiva… Più che stare con
chi mi vorrebbe festeggiare vorrei
stare per i fatti miei e godermi solo
i beni materiali, come una fetta di
torta o un bicchiere in più di bibita.
Non sono un tipo adatto a calarmi
nel ruolo di chi è festeggiato, anche
quando ricorre il mio giorno, il
mio compleanno… Questa occasione
(l’11 marzo) è per me solitamente
una rottura di palle… Mi
rendo perfettamente conto che in
certi momenti sopporto a malapena
me stesso e non ho quindi voglia
alcuna di festeggiarmi; sto lì e
faccio atto di presenza per cibarmi
della torta e non dovere rinunciare
alle bibite… Non colgo l’atmosfera
gaia di questo giorno che ricorre
una volta all’anno, così caro e gradito
a molti. E vorrei comportarmi
come il passero solitario del Leopardi.
Confesso che si profila però in
me una marcata antitesi rispetto
a quanto ho detto finora: in occasione
di una festa cerco di solito
di polarizzare l’attenzione degli altri,
in particolare di chi costituisce
quello che per me rappresenta un
harem, composto da esclusive e
primeggianti figure femminili (tentando
poi per converso di distogliere
il mio sguardo dalla visione
crassa e torbida del materialismo
sopra citato e di volare verso un
estatico nirvana).
Giovanni
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FESTA È …
LABORATORIO DI NARRATIVA - RTP Casa Mantovani
…terminare il mio percorso in comunità ed essere autonomo.
Rolando C.
…essere innamorato, vorrei una fidanzata, andare a ballare al Tuiga.
Enrico B.
...un momento di aggregazione per le persone in cui si esprime gioia e
felicità. Si può fare festa per tanti motivi: Natale, Capodanno o più
semplicemente si può festeggiare per qualsiasi momento della vita
significativo per noi. Forse la festa più bella non è rappresentata
dalle feste ‘comandate’, ma piuttosto da uno stato mentale positivo che
ci induce ad essere contenti con noi stessi e con gli altri. Festa per
me è condividere un momento gioioso con qualcuno.
Federico G.
...un periodo non troppo vasto per riposare in cui la contemplazione di
sé stessi si basa sul rilassamento o sull’astenersi da qualcosa di più
impegnativo. Prende valore nel momento stesso in cui sparisce questa
ipotetica attività impegnativa anche se è scontata come cosa.
Davide P.
...quando tu sei troppo dolce con me.
Ilia A.
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Cosa pensano i velisti della festa?
Che non c’è nulla da festeggiare.
● La festa patronale a metà settembre a san Biagio. Le luminarie, la
statua portata in processione, i cori e i fuochi d’artificio: una
ricorrenza annuale dove ci si rincontrava in spensieratezza...
● Il carnevale a Cento, i carri mascherati aspettando il lancio dei
palloni, coriandoli ogni dove, l’odore del cibo di bancarella, dalla
finestra di mia zia la battaglia di caramelle con i bambini dell’altro
palazzo...
● La festa è dare addio, chiudere un capitolo della propria vita, liberarsi e iniziare.
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NEL TEMPO DEI TEMPI
Chiara
N
el tempo dei tempi si
scorgevano in lontananza
i resti di un’antica
statua. Il vecchio
patriarca che abbiamo
incontrato ce l’ha confermato…
Io comincio a raccontare… Era il
1980, avevo ventidue anni e un
vissuto che rifiutavo, che mi portò
per due volte a un’esplosione, a
un ricovero nel reparto psichiatrico
di una casa di cura e due anni
più tardi, nel 1982, alla cura sotto
stretto controllo medico del dott.
Vittorio Melega dell’Ospedale Malpighi
di Bologna. Alla base del mio
malessere c’era il conflitto con mia
madre. L’ho ‘riabilitata’ solo dopo
la sua morte, avvenuta in un anno
che non ricordo, forse il 2012. Mi
aveva trasmesso la sua malattia, la
sindrome bipolare, cioè l’alternanza di stati depressivi ansiosi e all’opposto
euforici. Soffrivo tantissimo
per questa patologia, devo riconoscere
che mia madre, malgrado
tutto, mi aveva fatto curare. Mi era
stato detto che dalla mia malattia
non si guarisce, ma si poteva stare
meglio. Sono passati trentasette
anni e un vissuto di rinunce, grosse
contraddizioni e malessere generale.
A completare il mio disagio si era
aggiunto un ‘idrocefalo normoteso’, che non so bene cosa significhi, ma
che rendeva particolarmente complessa
la mia situazione. Mi sono
sposata a cinquantatré anni, con un
uomo più giovane di me di cinque
anni. Sono molto legata a lui e non
riuscirei a concepire la sua assenza.
È come se ci fosse stato da sempre.
Mi ha accettata malgrado tutto e
gli sono fortemente riconoscente.
Ho fatto l’insegnante di lettere dal
1984 al 2000, poi la mia malattia
me l’ha impedito e sono passata a
fare la bibliotecaria, lavoro che non
mi è mai piaciuto, ma che ho fatto
per circa tre anni. Mentre scrivo mi
rendo conto di come la mia memoria
vacilli. Per tamponare questa situazione
avevo messo in atto delle
strategie. Scrivevo tutto quello che
dovevo fare. Ero sotto stretto controllo
psichiatrico, prendevo psicofarmaci
con regolarità e facevo
colloqui con una psichiatra. La mia
vita era difficile e mi aveva portato
a delle grosse rotture sociali e alla
perdita di rapporti affettivi ed amichevoli
anche di grossa importanza.
Mi rendo conto che molte volte facevo
i capricci, ma è più forte di me.
Avevo perso mio padre a quindici
anni e questo è un ricordo indelebile,
che è impossibile dimenticare.
Conoscevo bene la solitudine e anche
la disperazione e nello stesso
tempo la speranza. Ora smetto di
scrivere perché mi sento esausta.
Ripercorrere il proprio vissuto è faticoso
da morire.
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NOVELLA IN FESTA
Patrizia Degli Esposti
A
Novella piacevano le feste, le
organizzava ed era al settimo cielo
quando vi partecipava: feste
di compleanno, matrimoni, battesimi.
Per lei era una meraviglia
prendere parte a qualche festa,
una gioia per il suo cuore e la sua
mente. Novella era una trovatella
ed era cresciuta in un orfanotrofio,
ma aveva avuto tanto amore
intorno a sé e questo amore lo voleva
distribuire e regalare durante
le feste. Novella oltre ad amare le
feste era uno spirito libero e la sua
ambizione consisteva nel benessere
sia del corpo che della mente.
Per mantenersi stirava, perché le
piaceva e non sentiva la noia e la
fatica. Nonostante si fosse laureata
in ingegneria, Novella ben presto
decise che la sua allegria non
poteva essere contaminata da colleghi
tristi ed arrabbiati. Meno soldi,
ma molti meno affanni e gastrite.
Aveva un giro di signore che se
la contendevano, perché era precisa
e decisamente affidabile. Quel
giorno aveva ricevuto l’invito al
matrimonio di una sua compagna
di scuola che si sarebbe celebrato
dopo tre mesi e mentre si recava
al lavoro pensava a cosa avrebbe
potuto indossare e guardava le
vetrine di abbigliamento per farsi
venire un’idea. Giunse a casa della
signora Agnese, una nota avvocatessa,
e si mise all’opera con il ferro
da stiro e il cesto della biancheria.
Fra le varie camicette eccone
una di seta color pervinca che
subito le parve bellissima, la stirò
in modo impeccabile e... beh Novella
non resistette e la indossò.
Si guardava allo specchio e, sì, le
stava proprio bene, sembrava fatta
apposta per lei. Mentre Novella
si sorrideva allo specchio la signora
Agnese entrò in casa sbattendo
la porta. Ops… Novella ebbe un
sussulto, sapeva che non era corretto
quello che stava facendo e
in fretta si tolse la camicetta, ma
talmente in fretta che strappò la
cucitura della manica all’altezza
della spalla. Cominciò a sudare e il
cuore aveva i battiti accelerati. Che
fare? Poteva nascondere la camicia
nel cesto e fare finta di niente...
probabilmente la signora Agnese
non se ne sarebbe accorta... probabilmente...
Ma Novella optò per
la confessione. Andò incontro alla
signora Agnese sorridendo: “Bentornata,
è rientrata presto oggi”.
La signora Agnese rispose con un
mugugno e quasi non la guardò in
faccia. Novella si fece coraggio e
mostrando la camicetta le disse
che aveva trovato quella camicetta
così bella che non aveva resistito
e l’aveva indossata, ma quando
l’aveva sentita rientrare aveva
compreso di avere commesso un
errore e nel toglierla l’aveva strappata
e che, ovviamente, gliel’avrebbe
ripagata. La signora Agnese
alzò lo sguardo e finalmente la
guardò negli occhi e anziché rimproverarla
sorrise e mentre sorrideva
le si avvicinò e l’abbracciò
“Novella non è bello quello che hai
fatto, ma la tua sincerità mi offre
il primo spiraglio di luce in questa
brutta giornata. Tutti a mentire,
a trovare scuse. Con la tua onestà
mi fai sentire meglio. Guarda
te la regalo la camicetta, ma prima
la farò sistemare. E ora fammi
compagnia che preparo un caffè e
festeggiamo questo bel momento”.
Raccontata così, questa storia
sembra una favola a lieto fine, ma
è semplicemente la festa del coraggio
della verità..
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RIDE PER LA RIDDA
Opola Resonive
S
i balla stasera alla festa,
tutti sono in pista,
tutti giovani e belli, è
una festa paesana. Ma
dove si trova esattamente questo paese? Sul mare! La
musica sulla spiaggia è riservata
ai giovani, giovani che scalzi ballano
sulla spiaggia, musica molto
alta, troppo alta, sono quasi tutti
sordi, cosa? Ho detto sordi!
Vogliono lo sballo, divertimento allo
stato puro, aiutati da alcool e droghe...
La vita è un continuo scorrere.
Tu, che non vuoi fermarti un attimo,
hai paura di rimanere a pensare che
in fondo sei solo una persona con
grossi limiti fisici e mentali. Tutto
questo ti spaventa, corri, corri veloce senza voltarti! È giusto questo? Chi
sono io per poter giudicare? L’importante
è amare gli altri, capire
cosa si sta facendo, farlo perché lo
si desidera. Non fare male agli altri.
Nella vita tutto quello che fai ti torna
indietro, se fai del bene ti torna il
bene, se fai del male ti torna il male,
prima o poi i tuoi comportamenti si
ripercuoteranno su di te... I ricordi
sono parte integrante del tempo,
che ci dà un cammino alcune volte
agevole, altre meno. Quello che è
passato rimarrà sempre in noi dandoci
più sicurezza e forza.
Ami vivere, per vivere, non pensare
che sei solo, si nasce soli si
muore soli! Sarà vero? Corri, balla,
corri e balla, sono già tutti in
pista, non pensare che gli altri non
ti vogliono bene.
Non pensare, questo ti riesce facile!
Non piangere, questo ti rende triste!
Non parlare troppo, non sei un...
Non tacere... Vai alla festa e ridi,
ridi, ridi, ridi...
Il futuro è oggi, il futuro non esiste,
vivi oggi, ma non esagerare,
fai scorrere gli attimi piacevoli.
La ridda è la vita... Partecipa,
comportati, saluta, siediti, alzati,
guarda dalla finestra, poi scendi
in strada... Voglio che tu mi
guardi negli occhi e mi sorrida,
mi sorrida felice, pensando che il
peggio è passato. L’ottimismo trasmette
piacere di vivere, piacere
della compagnia degli altri, dona
il cuore a tutti, se ti si spezza potrai
sempre incerottarlo, il tempo
fa passare tutto. Un battito d’ali e
passa tutto! Un rumore nella notte... E passa tutto! Un bacio rubato?
No, un bacio d’amore ti rende
la vita, una vita da vivere felice...
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ORIZZONTALI E VERTICALI
Fly
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OPERE DEGLI ARTISTI IRREGOLARI BOLOGNESI: ANDREA GIORDANI
A
ndrea Giordani nasce a Bologna il 6 febbraio 1970. Fin da bambino ha
amato disegnare, è cresciuto come autodidatta, dall’età di dieci anni
disegna in modo continuativo, ha fatto diverse mostre a Bologna, le più
importanti alla Carisbo e per due anni alla Pinacoteca di Bologna. Ha
avuto esperienze all’estero in Polonia e in Austria.
I dipinti riprodotti qua sotto sono dell’artista Matteo Giorgini
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