Editoriale


Secondo Wikipedia:
“L’alimentazione consiste nell’assunzione da parte di un organismo vivente delle sostanze indispensabili per il suo metabolismo e le sue funzioni vitali quotidiane”.
Da ciò se ne trae che l’alimentazione è indispensabile per la vita. L’assenza di cibo provoca la fame. Quando penso alla sofferenza che provo quando sono lontano dai pasti o dopo una parca cena la fatica che faccio a prendere sonno, non posso fare a meno di pensare a tutte le persone, in particolare ai bambini, che soffrono la fame. I quali dopo un periodo senza alimentazione hanno una sensazione di fame che cresce progressivamente fino a diventare acutamente dolorosa. E dopo denutrizione prolungata la loro vita cessa per il mancato apporto di principi nutritivi.
Ciò si scontra con quello che succede in alcune zone del mondo dove si muore per eccesso di alimentazione.
Anche in ambito psichiatrico vi sono malattie come ad esempio: la bulimia, l’anoressia. Anche gli effetti sul metabolismo legati alla assunzione di farmaci non vanno sottovalutati.
Malgrado ciò nutrirsi è un grande piacere per chi ha la possibilità di farlo, sia da soli che in una tavolata in famiglia o tra amici e parenti, è un bel modo di stare assieme per conoscersi e divertirsi.


Fabio Tolomelli


‘Rodolfo II in veste di Vertumno’ - Giuseppe Arcimboldo (1527-1593)


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Il quadro è una composizione di ortaggi, frutta, verdura e fiori ingegnosamente accostati a formare una figura umana ben rappresentata, con quel gusto del bizzarro tipico dell'artista milanese, che però mai dimentica un certo fare ludico.
Piuttosto evidente è il suo debito verso le deformazioni fisionomiche di Leonardo, ma questo genere di pittura ha anche punti di contatto con il naturalismo scientifico dei pittori di nature morte fiamminghi e tedeschi.
In qualche modo si può definire l'Arcimboldo un manierista e per certi versi un precorritore del surrealismo del ventesimo secolo.


Piergiorgio Fanti (comunità “Il Melograno”)


Due o tre cose che so del cibo


Risulta per me assai difficile parlare del rapporto che intercorre tra il cibo e l’essere umano. Certo, l’interminabile sfilza dei libri che sono stati scritti su tale argomento riempirebbe un’intera biblioteca, eppure ho sempre come l’impressione che la vera natura di questo rapporto resti sfuggente.
Talvolta mi viene persino il sospetto che ciò che “pensiamo” del cibo, il rapporto che con esso abbiamo istituito a livello intellettuale, quell’infinita fila di disparate teorie con cui abbiamo riempito lo iato tra la pulsione della fame e il suo soddisfacimento, non siano neppure farina del nostro sacco, di noi uomini come specie (Homo sapiens sapiens ), forse, almeno nelle sue fondamenta, era gia stato “costruito” dalle specie da cui evolutivamente deriviamo (Homo erectus, Homo abilis e via dicendo), specie che avranno pure avuto il cervello più piccolo del nostro, ma certo il ventre non meno grande e una fame non meno imperativa.
Se c’e una cosa che forse invidio a questi nostri progenitori e che, a differenza della maggior parte di noi, avevano un rapporto più immediato con ciò che mangiavano: sapevano sempre quanta fatica e quanti rischi gli fosse costato procurarsi quella sugosa fettina di mammuth o quella deliziosa braciola di tigre dai denti a sciabola.
Pur ritenendomi del tutto inadeguato a sviluppare un discorso organico sul cibo, vorrei comunque mettere sulla carta una serie di flash , le prime immagini tra le tante che il pensare al cibo mi richiama alla mente.
Ad esempio mi torna alla mente quel racconto di Puškin in cui uno dei personaggi, durante un duello alla pistola, dopo aver sparato il proprio colpo resta in attesa che l'avversario, tiratore infallibile, spari a sua volta. Ma non all'avversario presta attenzione, bensi al proprio cappello pieno di marasche, che tiene in mano, e scegliendo tra esse le più mature, le mangia con gusto, sputando con noncuranza i noccioli verso l'avversario. E quest'ultimo imbestialito dal fatto che quello tenga in cosi scarso conto la propria vita, rinuncia, per il momento, a sparare.
Ma a me non pare che si tratti di un atto di dispregio nei confronti della propria esistenza, ma -al contrario- di estremo amore: finche ci resta un brandello di vita ci e dato di sbocconcellare ancora qualcosa di gustoso, e finché assaporiamo qualche leccornia, ci e dato di sperare di vivere ancora per un breve tratto.
Un'altra immagine che mi viene alla mente quando penso al cibo, e quella di Gesu che a chi rimproverava i suoi discepoli perché, presi dalla fame, incuranti del riposo del sabato, spigolavano in un campo di grano, rispondeva: "Il sabato e stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato!"
E come non pensare alla celeberrima 'petite madeleine' di cui scrive Proust nella sua 'Recherche', che col suo solo sapore fa riaffiorare alla mente dell'autore un intero mondo di ricordi della sua fanciullezza, apparentemente dimenticati?
Una delle cose che più mi affascina del cibo e la sua assoluta impermeabilità a qualunque teoria che su di esso l'uomo vada almanaccando; sono millenni che elaboriamo le più disparate teorie scientifiche e filosofiche sul cibo e sull'alimentazione, dalle più ascetiche alle più edonistiche, ma alla fine di tutto, il "cibo" ci resta dinnanzi, irriducibile a qualunque di quelle superbe teorie, e a nient'altro rimandante se non a se stesso.
Se mi si passa il gioco di parole, il cibo resta "indigesto" per qualunque teoria, che non riesce realmente a "digerirlo" e "metabolizzarlo"; nessuna teoria potra renderci più gradevole un cibo che aborriamo, ne disgustarci di una pietanza che ci faccia venire "l'acquolina in bocca".



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E che dire del cibo nelle arti figurative? Come dimenticare quei fantastici dipinti, tavole semplici o sfarzose, ma sempre imbandite con ogni ben di Dio, dipinte dai grandi maestri olandesi e fiamminghi della natura morta secentesca, con tale perizia e verosimiglianza che quasi si sarebbe tentati di allungar la mano per prendere e gustare uno di quei dolcetti o di immergere un pezzetto di pane in una di quegli intingoli sugosi.
Ma ora vi lascio perché e proprio ora che vada a consumare il mio parco pasto.


Antonio Marco Serra


Vorrei...


Vorrei divorare questi dolciumi, ma non posso.
Li guardo, li sfioro, ma mi trovo dirimpetto al desiderio di ingrassare ancora: quindi se vuoi posso offrirti una pasta ma
non per nuocerti, solo che nella tua astenia ti farebbe bene.
Un po' di meno, un po' di più, mi dicevo anch'io, che vuoi che sia...
Invece ho preso su ben 12 kg., e adesso che faccio?
Massaggi e dieta, ma non ne vengo fuori bene lo stesso: una smagliatura qui un'altra la… cosi e la fine, cosi e l'inizio…
di un altro biscottino al cioccolato.


Paola Scatola comunità "Il Melograno"



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Detti Popolari e Proverbi sul Cibo


La bocca non stracca se non sa di vacca.
A gusto guasto è cattivo ogni pasto.
Bacco, tabacco e Venere, riducono l'uomo in cenere.
Buon vino fa buon sangue.
Chi spizzica non digiuna.
Chi va a letto senza cena, tutta la notte si dimena.
Chi vuol viver sano e lesto, mangi poco e ceni presto.
Con patate e cipolle dentro l'orto, mai di fame nessuno è morto.
E' meglio andare a letto con la fame, che cucinare sul rame.
Fagiolo a fagiolo, si empie il paiolo.
Fame piccola fame vispa, fame grande fame trista.
Il pane mangiato è presto dimenticato.
La massaia canterina, fa più allegra la cucina.
La massaia operosa, con poco fa la spesa.
Non si fanno frittate senza rompere le uova.
Non si vive di solo pane.
Ognuno tira l'acqua al suo mulino, diceva l'oste battezzando il vino.
Pancia affamata, vita disperata.
Pane di villano, rustico ma sano.
Piatto ricco mi ci ficco.
Quando arriva la minestra non c'è più sinistra o destra.
Tutto ciò che è proibito, è boccon dell'appetito.
Una ciliegia tira l'altra.
Villano affamato è sempre arrabbiato.
Chi si è scottato con la minestra, soffia anche quando è fredda.


Raccolti da Umanamente


La fame


L’argomento “fame” può essere visto sotto tante sfaccettature:
     - l’approccio della persona;
      - medico (obesita, anoressia, bulimia);
      - soggettivo;
      - la fame nel mondo (problema di attualita).
Per quanto mi riguarda ho sempre avuto problemi di nutrizione, nel senso che, prima dello sviluppo, non avevo completamente lo stimolo della fame. Mia mamma mi preparava le pietanze più gustose, che a qualsiasi bambino sarebbero piaciute, ma non a me, e non finisce qui, perché mangiavo due forchettate di cibo e poi dicevo: “Sono piena mamma, non ce la faccio più a finire il piatto.”
Dal momento in cui e arrivato il ciclo mestruale la situazione e mutata: non vedevo l’ora che arrivasse il pranzo o la cena, ma sempre con moderazione, non sono mai stata una golosona e non so nemmeno dire se preferisco il dolce o il salato.
Tuttavia ho un problema nutrizionale perché fino ad agosto pesavo 45 Kg. e sono alta 1,65 m., quindi peso molto poco.
Appena ho un problema che non riesco a risolvere, la prima cosa che faccio e smettere di mangiare e contemporaneamente sparisce lo stimolo dell’appetito. Sono consapevole che non è la soluzione non dare più “benzina” al nostro organismo, ma e più forte di me. Mi rendo anche conto che quando non mangi diventi meno lucido, sei più vulnerabile, il problema da risolvere lo vedi più grande di quello che è.
La mancanza di appetito o l’esagerazione può essere anche guardata da un punto di vista psicologico: inconsciamente non mangi o mangi troppo per attirare l’attenzione su te stesso, perché ci sono i genitori che ti stanno dietro per farti mangiare o per farti smettere. La persona che si comporta in tal modo, come ad esempio facevo io, lo fa perché non si sente abbastanza protetta, non si sente apprezzata, non si sente presa in considerazione. Non sempre comportandoti così risolvi il problema dell’attenzione, ma sicuramente lo attenui.
Nel momento in cui non mangiavo mi sentivo più libera, più sollevata, perché capivo di non aver bisogno del cibo, notavo che comunque riuscivo a fare le mie cose, a praticare sport agonistico e vedevo i miei genitori che mi stavano sempre più vicino. Insomma guardavo solo i lati positivi e quindi ad ogni pasto calavo la quantità di cibo, ma non lo facevo consciamente, non mi rendevo conto che le cose realmente erano diverse se non l’opposto.
L’unica cosa che posso consigliare e mangiare con garbo, cinque volte al giorno e bere tanta acqua perché se no il nostro organismo non riesce a fare il proprio lavoro e la nostra mente ci fa credere cose che in realta non sono.


Giulia (Casalecchio)


Il cibo è l’incubo più grande


Nella mia vita sono sempre stata di buona forchetta, anche se non mi piace tutto. Mi piacciono proprio quei cibi che dovrei evitare, quelli piu calorici, mentre quelli dietetici che dovrei mangiare faccio fatica, per esempio verdura e carne. Preferisco una bella pizza piccante, patatine fritte e soprattutto i dolci, magari un bel vassoio di pasticcini tipo bignè alla crema, al cioccolato, i frollini alla frutta. Mangerei solo queste cose, ma purtroppo a casa mia devo mangiare altre cose, anche se a volte non rinuncio a queste tentazioni, che a volte si rivelano un incubo, eh già, un incubo grandissimo, perché l'ago della bilancia sale e non torna indietro.


Barbara Cardi Gruppo “Arteinsieme” del C.D. di S. Biagio


Fame


Io di solito mangio il necessario per saziare la fame che ho e poi mi fermo. Faccio molto sport, mi manca la fidanzata per cui ho anche fame di sesso. Cerco di sfogarmi in senso artistico pornografico a colori, in bianco e nero. Carte di cioccolatini BACI PERUGINA + BOUNTY* = piccolo premio, COLA GOLEADOR** = COSCIENZA. Mi sono sempre chiesto se le femmine fanno il mio stesso ragionamento strappando qualche immagine dal pornografico in bianco e nero o a colori per farne un collage. Comprare una scatola di baci Perugina, per mangiarne uno la mia fidanzata e uno io, quindi incollare le carte su due fogli e scrivere cose romantiche. (n.d.r. * il bounty è una barretta al cocco ricoperta con cioccolato al latte o fondente). (n.d.r. ** le cola goleador sono Caramelle bi-gusto, alla coca cola e al limone).


Aramis Gherardi Gruppo “Arteinsieme” del C.D. di S. Biagio


Cibo cattivo e cibo buono


Esiste cibo buono solo quando hai fame, mentre quando non hai fame tutti i cibi sono cattivi.
In principio si usava il cibo per riempirsi la pancia, oggi invece si mangia per il gusto del cibo, per godersi appieno anche il momento di riunione intorno ad una tavola. Io mangio di tutto, soprattutto cibo pieno di sapori, gusto e direi anche di aromi e spezie.
Non so se mangiare molto faccia bene, ma nel passato, nell'impero romano ad esempio, il re che era al potere e i suoi più fedeli servitori si mettevano a tavola solo quando questa era stracolma di mangiare e bere, oggi invece non è più così e di questo sono molto dispiaciuto.
Il cibo cattivo, di solito, e quello che conta meno, è il cibo buono che la TV manda in pubblicità.
Per me oggi, che ho 34 anni, il cibo penso che sia al terzo posto come importanza nella vita di una persona, che sia buono oppure no.


Maurizio Gulizzi Gruppo “Arteinsieme” del C.D. di S. Biagio


La fame nel mondo


La fame per me ha una svariata, infinita gamma di risvolti e di attinenze con il mondo che ci circonda e che ricade sotto i nostri cinque sensi.
Senza questo potentissimo, e per cosi dire, “immeritorio” istinto di cui l'uomo è fornito e che lo apparenta agli animali inferiori, nessuno di noi potrebbe esistere e sussistere.
Il male profondo non è tanto riguardo alla fame in sé per sé, anche quella di cibi superflui, ma c'è un vero e proprio inghippo: è la quasi totale sperequazione degli stomaci occidentali che vanno a letto sazi e sfamati, nel continente nero invece il problema della fame è un problema con la F maiuscola e si impone con drastica urgenza.
Si progettano voli interplanetari nelle plaghe siderali, si giustificano ricerche alla scoperta di pianeti sconosciuti per accertarsi delle qualità di vita che vi si trovano, ci sembra poco… e in realtà, forse, minimo è il contributo della scienza, perché alla fine di questa appassionante lotta di titani rimane la bocca amara, dall'inevitabile certezza che piove sul bagnato e che la vittoria è gia consacrata dalla potenza mondiale meno sguarnita.
Ma ahimè! che dire, quando si osserva con occhio fino e implacabile questo nostro pianeta e lo si trova così in preda a guerre e lotte intestine, in mancanza di pace, massacri e ammazzamenti, inesorabile crudeltà che sembrano sabotare e distorcere le finalità ultime per le quali l'uomo "Signore del Credo" è stato preposto a finalizzare quel concetto di mondi di cui prima ragionavamo. Questa povera, piccola Terra rimane, con le sue cifre di affamati, miseri, nudi, scalzi esseri che sembrano nati per un volontario aborto, il pianeta più antico e quello più moderno, perché è stato destinato dall'onnipotenza divina ad avere un ruolo di leadership nella storia dell'umanità ed oramai e divenuto la Cenerentola smunta e insignificante di immensi meccanismi reconditi.


Anonimo


L’alimentazione: piaga del Terzo Mondo e non solo


Quando mi risuona all’orecchio questa parola, il mio pensiero va primariamente ai paesi sottosviluppati, in modo particolare all’Africa, che sente fortemente il problema della mancanza di nutrizione.
Non si può negare l’evidenza: oggi nel mondo un miliardo e duecento milioni di persone soffrono la fame o sono malnutrite. Immagini di bambini e adulti dal viso scarno, dai corpi rivestiti di sola pelle e occhi infossati che solo con lo sguardo chiedono cibo, spesso vengono evidenziate dai maggiori mezzi di comunicazione, ma con immagini e con parole non si può risolvere questo problema, che è considerato il maggiore che il nostro pianeta deve affrontare! Bisogna fare qualcosa e ognuno di noi puo farlo!
La mancata alimentazione non è solo causa di sofferenza ma anche di morte: le statistiche dimostrano che ogni sei secondi nel mondo muore un bambino! A volte contribuiscono ad aggravare questo problema il pregiudizio e la mancanza di conoscenze. Ci sono donne africane che non allattano al seno i loro bambini perché quelle che lo fanno vengono ripudiate dal loro marito. Altre invece ignorano che il latte materno è la migliore alimentazione, e che durante l’allattamento al seno i bambini sono protetti dalle malattie, di conseguenza considerano l’allattamento una perdita di tempo, quindi preferiscono dedicare questo tempo al lavoro, nutrendo i loro bambini con quello che è disponibile al momento, aumentando così il rischio di mortalità.
Non tutti però sono insensibili al problema della fame nel mondo; molte persone dello spettacolo, della musica e molti altri devolvono parte del loro guadagno alle popolazioni povere, inoltre promuovono campagne di sensibilizzazione per spronare tutti a contribuire personalmente per alleviare questo problema. Non si può accettare dai paesi ricchi opulenza e spreco, quando solo quello che le popolazioni ricche gettano nella spazzatura potrebbe coprire in gran parte il fabbisogno alimentare del mondo.
Oggi questa triste realtà è dinnanzi agli occhi di tutto il mondo, e il mondo non può chiuderli mostrando indifferenza, perché così si rende responsabile di ciò che accade, mentre può bastare una piccola ma continua collaborazione con quelli che sentono questo problema.
Questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza del cibo e dare il giusto valore al denaro, perché ciò che noi consideriamo nulla, per chi soffre la fame può voler dire 100 e che 1 se donato può diventare 1000.


Mariangela



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nella foto, i bimbi di Muyeye


Riflessioni sul cibo dei soci di UmanaMente


La musica ed il mangiare sono sicuramente le mie due principali passioni, riconosco nel cibo gli aspetti emotivi, edonistici ed erotici.
Vivo il cibo durante la giornata come un pensiero sempre costante, esso rappresenta per me una sorta di riempitivo. Nell' atto del consumare cibo ritengo di notevole importanza il luogo e le persone con cui condivido questo momento. Ho una certa consapevolezza del modo in cui sarebbe opportuno mangiare; penso alla salute e alla linea anche se spesso la compulsione nel mangiare ha la meglio, mentre è minore nel bere. Ammetto di praticare poca attività fisica.
Preferisco particolarmente i sapori dolci rispetto a quelli salati, non amo la carne e le verdure al vapore, mentre mi piacciono le carote tritate con olio, il pesce fritto e i peperoni. Nutro una vera e propria passione per le cucine etniche e sono curioso di provare sempre cibi nuovi e diversi. I miei cibi preferiti sono in generale: la frutta, la torta con fragola e panna, i biscotti al cioccolato col caffe, i tortelloni, il fritto misto di pesce, le patate, le melanzane e i pomodori.
Scendendo nel dettaglio a colazione privilegio due arance o una pasta, meglio se farcita. Un pranzo tipo può essere quello di un piatto di pasta al pomodoro, pane con olio e sale, una banana o una mela. Nel caso mangi in citta in un ristorante bio-vegetariano solitamente ordino un piatto di verdure, un pezzo di pane toscano accompagnati da acqua o succo di mela. In alternativa a questi normalmente mi posso recare ad un take-away indiano con menu a base di riso con spezie e piatti vegetariani, o anche ad un take-away greco dove gustare una “pita”*. Non è raro che a pranzo possa decidere di sfamarmi con della pizza al taglio. A metà pomeriggio come merenda mangio con una pasta dolce. La cena infine è composta comunemente da due taglieri di pizza o “falafel”**.

(n.d.r. * la pita , in greco πίτα, e un tipo di pane lievitato piatto e rotondo, a base di grano, di tradizione mediterranea).
(n.d.r. ** I felafel sono un piatto tipico della tradizione araba, costituito da polpette fritte a base di fave o ceci tritati con cipolla, aglio e coriandolo).


Andrea




La mia giornata tipo è: colazione con pasta e caffè al bar, poi a metàò mattina prendo un altro caffè, a pranzo di solito mangio pasta condita con ragù, secondo di carne o pesce, insalata e un’arancia; a cena prediligo le minestre di verdura, i formaggi e le verdure cotte.
Questa alimentazione si adatta perfettamente al mio stile di vita, infatti durante il giorno faccio lunghe passeggiate per la città. Servono molte calorie!
Mi piace molto mangiare e apprezzo la buona cucina italiana in particolare quella bolognese. E’ mia mamma che cucina in casa e mi sono abituato bene, infatti mia madre è una ottima cuoca e io apprezzo ogni giorno i suoi piatti. Apprezzo mangiare in compagnia, andare fuori a cena e partecipare ad eventi culinari come feste e sagre di paese. Non ho mai avuto bisogno di cucinare, però ho deciso lo stesso qualche anno fa di frequentare un laboratorio di cucina in cui con un gruppo di persone si andava a fare la spesa e poi si sperimentavano ricette per infine gustarsele.
Da piccolo ho avuto problemi con l’alimentazione nel senso che, a volte la presenza di mio nonno a tavola mi dava fastidio e così non riuscivo a mangiare serenamente. Faceva arrabbiare mia madre e si creava un clima di tensione. Anche alla scuola elementare, che ho fatto dalle suore, ho avuto dei problemi in quanto vigeva la regola che tutto ciò che era nel piatto andava finito, invece io nascondevo sempre quello che non volevo mangiare e venivo messo in punizione. Da ragazzo ho fatto molto sport e vorrei riprendere a farne ancora per tenere il fisico in movimento.


Stefano




Il cibo oltre che tenere in vita e servire per sopravvivere ha molti altri significati, come far passare brutti momenti e procurare gratificazioni. Preferisco condividere i pasti con qualcuno e mangiare in allegria, anche se non e sempre stato cosi. In passato e accaduto di stare per lunghi periodi senza mangiare perché non riuscivo a digerire. Il mio stomaco si chiudeva, mi dovevano fare quindi flebo ed imboccarmi. Sono ricordi spiacevoli che ho nella memoria e so di averli superati solo relativamente. Adesso che vivo in comunità la nutrizionista mi ha consigliato una dieta dimagrante, ma fatico a rispettarla e ho problemi, come tremolio dei muscoli, vertigini e a volte mi sembra anche di cadere. Il mio motto in questo periodo è: “sacco vuoto non sta in piedi”.


Dino




A me piace molto mangiare, però spesso in questo periodo dico agli amici: . Lo dico perché sono a dieta, perché ho deciso di dimagrire. Prima pesavo circa 100 kg, ora sono a 84 e voglio arrivare almeno a 80. Mi sono dato un obbiettivo! Ho preso questa decisione drastica perché mi ero reso conto che non riuscivo piu a passeggiare, facevo fatica anche a fare le scale. Avevo sempre il fiatone e un’ansia terribile. Spesso andavo al “Mc Donald ” a fare degli spuntini. Sono calato 16 Kg in 6 mesi, ora sto molto meglio! Sono più leggero e sano, sto finalmente bene con me stesso. Quando mi sono congedato dai militari pesavo 68 Kg ed ero sottopeso. Iniziai a fare sport: nuoto e jogging, facevo 60-80 Km alla settimana e stavo molto bene fisicamente ed ero arrivato a 80 Kg di massa.


Oriano




Il portamento e lo stare educati a tavola è sempre stato un elemento caratterizzante nei pasti consumati in famiglia. Il pranzo per me è un momento simbolico come ritrovo della famiglia. Anche se col tempo sono venuti a mancare i nonni, questi sono stati sostituiti dalla mamma e da mia sorella. Col tempo il pasto ha perso la sua funzione di condivisione. Mi è rimasto comunque un bel ricordo dei nonni.
Prediligo il salato e il piccante rispetto al gusto dolce. Difficilmente mi preparo da mangiare da solo, ma in caso di necessità ho le capacità per farlo.
Un aspetto importante è come è presentato il cibo, se servito in maniera adeguata e invitante non ho problemi a mangiare quasi qualsiasi piatto.
In seguito ad un grave incidente ho avuto dei cambiamenti importanti come: l'abbinare il cibo alle sigarette, mangiare per mandar via pensieri spiacevoli o non mangiare per intensificare questi pensieri.
Spesso mangio al di fuori dei pasti ed inoltre dal 2000 al 2008 ho abusato di caffè, arrivandone a berne anche 8-12 al giorno.


Giovanni




La mia dieta personale è, a detta degli esperti, l’opposto rispetto a quella che dovrebbe essere: mangio relativamente poco durante il pasto di mezzogiorno, quando invece avrei piu necessità di sostentamento e quindi dovrei cibarmi di un primo e di un secondo, mentre la cena, che dovrebbe essere parca, per me rappresenta il momento in cui mi dedico con maggior voluttà al cibo in sé. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che amo particolarmente concedermi il lusso di bermi qualche birra ogni tanto, il gioco e fatto.
Questo fatto rappresenta un problema visto il mio attuale stato fisico che mi porta ad un peso fuori norma per la mia altezza, spropositato; un sovrappeso che mi porto appiccicato da anni, come un francobollo, come un marchio che, indubbiamente, va a minare le basi della mia personale autostima. Essere fuori forma (attualmente peso 105 Kg per un’altezza di 180 cm) rappresenta indubbiamente un forte handicap, soprattutto quando si vive in una societa narcisista e che si basa molto, forse troppo, sulle apparenze: apparenze che gli altri hanno di te ma, soprattutto per quanto mi riguarda, l’immagine che io ho di me stesso. Vedersi ciccione, se mi si passa il termine, mi lede e, come sosteneva Fitche, ognuno di noi è il risultato dell’immagine che ha di se stesso, mixata con quella che vede riflessa negli occhi del suo interlocutore. Nel bene o nel male si deve apparire, la società ce lo impone, tutto ce lo impone, persino noi stessi ce lo imponiamo e, anche se non sempre ciò che vediamo riflesso negli occhi degli altri ci piace, e questo agire, interagire oserei dire, che rende il nostro viaggiare per questi mari a volte limpidi ed a volte impervi degno di essere definito vita.


Paolo


Come eravamo


Trattando di alimentazione, questo numero de Il Faro, si è pensato di scegliere un animale che rappresenti al meglio questa tematica; essendo tutti noi di Bologna, il maiale non poteva che essere la scelta piu ovvia: rappresenta, oltre che una miriade di prodotti succulenti e prelibati, anche una tradizione culturale che trova le sue radici nella civiltà contadina del secolo scorso. Questa tradizione contadina non è del tutto scomparsa, anzi, col tempo si e modernizzata.
Con questo estratto di racconto vogliamo riprendere la memoria di cio che eravamo e di come eravamo.


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Il maiale nella tradizione rurale


“ […] Nel giorno stabilito, […] il norcino con il suo aiutante, che poteva essere un figlio o un’altra persona della zona, arrivava a casa dell'agricoltore, in ora antelucana, attorno alle cinque, a piedi perché abitava quasi sempre nel vicinato, con una sporta, fatta di cartocci di melica, tenuta sulla schiena, con le maniglie infilate nel manico del rampone, costituito da un robusto gancio metallico applicato a una estremità del manico stesso. Nella sporta c’era tutto il necessario per il suo lavoro: lo scannatore a baionetta o il coratore, alcuni coltelli taglienti da macelleria, un’ascia corta, il tritacarne a manovella, ogni singolo pezzo avvolto dentro a pezzi di tela bianca o a carta da macelleria. I padroni di casa erano già alzati, avevano acceso la luce che dava sul cortile, se c’era, e, in particolare, avevano messo un calderone d’acqua sul fogone, quello che serviva anche per il bucato a mano, per portarla all’ebollizione: sarebbe servita per raschiare via con un coltello affilato le setole dalla pelle del maiale, appena ucciso. Controllato che tutto questo fosse pronto, il maiale veniva fatto uscire dal porcile, una operazione mesta che era fatta, con maniera, dalla donna rurale o dal padrone di casa, che meno potevano insospettire l’animale, usando una voce bassa per chiamare lo stesso e farlo arrivare nel posto voluto del cortile, vicino al fogone dove l’acqua stava bollendo. Il maiale andava lentamente dove la voce conosciuta lo indirizzava, con qualche piccolo grugnito e la testa bassa sul terreno, forse presentendo che quel mattino era per lui l’ultimo. Come arrivato sul posto, sotto la luce o al bagliore del fogone , l’aiuto norcino, d’improvviso, lo arpionava alla gola con il rampone, tenendo sollevato quest’ultimo in modo che l’animale non potesse sfuggire: a questo punto l’animale emetteva un acuto, straziante, grido di dolore che durava lunghi attimi, riempiva il silenzio del mattino e si sentiva a grande distanza, in tutti i casolari, e, così, per circa due mesi, quasi tutte le mattine; il norcino, già vicino, con lo scannatore (di uso piu frequente) colpiva repentinamente il maiale alle arterie del collo e della trachea, recidendole, e subito ne usciva il sangue a fiotti, che la donna di casa con un recipiente raccoglieva, accostandolo alla ferita dalla quale scorreva, mentre l’aiuto norcino continuava a tenere con forza sollevato l’animale con il rampone al collo. Il sangue usciva rapidamente, in qualche minuto, e come cessava, il rampone veniva tolto […].” “ […] L’uccisione del maiale era forse l’operazione piu significativa, dal punto di vista umano, di tutte quelle rientranti nei rapporti della gente rurale con il mondo animale […]. Nell’uccisione del maiale non comparivano i bambini, nelle case rurali la loro presenza era volutamente evitata, dovevano rimanere a letto, con la testa sotto le coperte. Questo animale apparteneva pienamente anche a loro: spesso erano loro a dargli la mezz'ora di libertà, a farlo uscire dal porcile e a farlo rientrare, a fargli la guardia, a “scambiare” con lui i grugniti, ben sapendo che il maiale gradiva chiacchierare a modo suo, molte volte gli avevano portato nel porcile la manciata di erba fresca, l’acqua da bere, qualche frutto o almeno le bucce, durante l’anno. Del maiale, più che degli altri animali, anche i bambini sapevano tutto, era quasi uno della famiglia, “come un cristiano”, il suo pasto si preparava in casa, come per nessun altro animale domestico, e lo accudiva, con quotidiana fatica, la mamma. Non solo i bambini erano tenuti lontano da questo atto cruento e pietoso, per evitare loro un trauma, ma anche i grandi ne risentivano pena e turbamento […]. Tutte le operazioni che seguivano l’uccisione, ovviamente avvenivano su una carcassa: quella relativa alla fine dell’animale, invece, era carica del pathos dell’immedesimazione e, certamente, era una delle esperienze che piu incidevano sul modo di sentire, pensare, vivere i vari tipi di rapporti e situazioni della gente rurale, che ne era così plasmata, a livello individuale e collettivo. […]


Estratto dal saggio di Romeo Medici reperibile su:
storage.aicod.it/portale/museidelcibo/Il-maiale-nella-tradizione-rurale.rtf


Alimentazione e modelli di donna


Le fotomodelle dei mass media hanno rovinato l’icona che c’era prima, non di Twiggy parlo, ma della matrona rinascimentale, madre-madonna e generatrice obbligata di figli maschi. Ora c’è una nuova donna snellissima, giovane e seducente. Le sprovvedute lettrici di giornali femminili vogliono diventare anche loro “fotomodelle”, e così iniziano diete che portano poi al conflitto, psichico e sociale della “balena” con la “ginnasta”.
“Magro” vince sempre, adesso. Quante nevrosi e psicosi iniziano con una dieta!
Ma è anche, poi, la qualità di quello che si mangia che conta: ogni giorno introduciamo sulle nostre tavole alimenti coltivati con concimi chimici, cibi non freschi, “organismi geneticamente modificati” (per questo ora e nata “l’agricoltura biologica”).
E la famosa malattia della “mucca pazza”, non si è diffusa a causa dei mangimi chimici? ***
Si mangia molto e si mangia male, così sempre più persone divengono obese. L’obesità è una malattia grave, che puo accorciare la vita.
Grassi, colesterolo, zuccheri in eccesso, diabete, poco sport e molta pigrizia, merendine e bevande gassose. E mai niente di fatto in casa, vivendo con la speranza in una salute migliore, che elevi la qualità, non la quantità, della vita.
E poi amore, affetto e baci scacciano la fame…


Ave Manservisi




*** Precisazione dell'esperto:


In realtà le malattie si diffondono a causa dell’utilizzo di mangimi prodotti con farine di origine animale (carcasse di animali morti, essiccate e polverizzate), che tra l’altro vengono somministrate ad animali erbivori allevati in batteria.


Salvatore


Perché non mangiare e bere?


Il metabolismo basso non brucia tante calorie, il metabolismo alto ne brucia molte. Se vuoi saperlo proprio te lo dico: per sapere se il metabolismo basale è basso, si puo vederlo mediante il termometro, ossia se è basso, per esempio, la temperatura è 35,4, se invece è alto è 36,7.
Mangiare è essenziale, ma è meglio mangiare, direi, quando si ha appetito.
Ora vi consiglio di non omettere nella vostra dieta: il pane, la carne o il formaggio o il pesce e la frutta insieme con le verdure; l’estate: melone, cocomero, pesche, albicocche; d’inverno arance, clementine, banane, soprattutto mandarini, pere e mele, tutto però con misura.
Invece per quello che riguarda il bere è meglio non lesinare con l’acqua.


Luisa Paolucci delle Roncole


Progetto “Mangiare bene”



Premessa


Mangiare: verbo di prima coniugazione della lingua italiana che deriva dal latino MANDUCARE formato su MANDERE, ossia ‘che mangia’ ed avrebbe significato di ‘inumidire il cibo di saliva’. La radice MAND- dà il senso di umido creato proprio dalla bocca. Prendere alimenti solidi e masticarli in bocca dopo averli inumiditi di saliva e ridotti in pasta richiama un senso figurato del termine stesso: ‘E’ tutto un mangia mangia, il tutore si è mangiato il patrimonio del pupillo, mangiarsi l’altrui fatica,…’ sono tutti detti popolari che richiamano in gioco idee quali il CONSUMARE ma anche l’USURPAZIONE e la SOPRAFFAZIONE.
In qualche modo, a mio giudizio, l’etimologia ci puo venire in aiuto nel tentativo di capire e, perché no, captare il disagio che alcune persone riversano nell’atto in sé del mangiare, in questo atto che per gli animali é una mera fonte di approvvigionamento di calorie aventi la funzione di fornire ‘il carburante’ per le loro funzioni vitali ma che per noi esseri umani dovrebbe assumere connotati edonistici, ossia una continua, seppur limitata, ricerca del piacere.
Proprio al fine di poter meglio interpretare le possibili cause e, meglio ancora, avere un’idea piu precisa sui rimedi attuabili in caso di disturbi alimentari, al DLF si è tenuto un incontro informale, ma dall’alto contenuto disciplinare tra la dottoressa Valentina Nepoti, biologa e nutrizionista ed i componenti del gruppo UmanaMente, diretto dalla dottoressa Elena Pasquali. Il fine dell’incontro riguardava, come si può evincere dall’introduzione, il tema del mangiare sano e corretto, finalità propria del Progetto Benessere. Tale progetto è sviluppato e realizzato su iniziativa di Eli Lilly (casa farmaceutica n.d.r.) ed ha come intento quello di fornire informazioni e dettami utili ai pazienti sofferenti di malattie psichiche allo scopo di garantire loro uno stile di vita sano, per eventualmente lenire gli effetti collaterali dati dall’assunzione degli psicofarmaci (comunque funzionali ed indispensabili) sul fisico che, ricordiamolo, di per sé non fanno ingrassare ma hanno tra le controindicazioni quello di diminuire il senso di sazietà.
L’intervento psico-educazionale si focalizza su un corretto stile nutrizionale (ricerca delle corrette abitudini alimentari e scelta consapevole dei cibi) da abbinarsi con un equilibrato esercizio fisico: se ambedue questi punti vengono rispettati, l’individuo non dovrebbe incorrere in variazioni ponderali e non dovrebbe avere problemi relativi ai propri valori del sangue.
Come sosteneva Feuerbach ‘L’uomo è cio che mangia’… Oggi, nel XXI secolo, in cui si è aggiunta la variabile degli psicofarmaci, si potrebbe suggerire che ‘L’uomo è cio che assume’… Se desiderate avere un corretto e competente punto di vista, pacato, oggettivo, proprio della Scienza, su come organizzare il vostro menù ed in generale la vostra giornata, allora leggete quanto ha da dirvi la dottoressa Valentina Nepoti: il parossistico, eccessivo alle volte, effetto dei medicinali assunti può essere tenuto sotto controllo seguendo questi pochi ma fondamentali punti.
Tutto ciò non vi modificherà di molto le abitudini quotidiane: tutto ciò modificherà di molto il vostro stile di vita.




Incontro della Dott.ssa Valentina Nepoti e
l’associazione UmanaMente nel laboratorio del venerdì



Il dibattito con la dottoressa Nepoti ha posto in primo piano l’inutilità delle diete veloci: secondo il parere dell’esperta ad ognuno va ritagliato il proprio ‘vestitino’, ossia ogni persona è a sé stante e quindi ognuno di noi necessita di interventi personalizzati. Il mangiare bene, sano, corretto, si basa essenzialmente su un giusto compromesso sulla quantità, poiché l’essere sovrappeso porta una spiacevole conseguenza: la malattia.
La specialista ha introdotto il concetto di sindrome metabolica, ossia avere 3 malattie borderline , non proprio conclamate, su 4 che sono il diabete, i trigliceridi ed il colesterolo alto, la pressione alta e l’obesità.
Per quanto riguarda il colesterolo, è importantissimo notare la differenza fondamentale che intercorre tra quello buono (HDL) e quello cattivo (LDL). Mentre quello cattivo deve sottostare a una certa soglia di osservazione poiché, assieme ad un valore alto dei trigliceridi, può otturare i vasi sanguigni e causare aterosclerosi con conseguenti fenomeni ischemici acuti o cronici, che colpiscono principalmente cuore, encefalo, arti inferiori e intestino; quello buono è una molecola completamente diversa: “cicciona”, tonda, liscia, che fa da spazzino e che, passando per i vasi, li pulisce. E’ quindi importante notare che avere un valore alto di colesterolo non rappresenta per forza di cose un male. Il valore limite del colesterolo totale è 200 e l’importante è avere un valore di colesterolo buono maggiore di 50 per la donna e 40 per l’uomo.
Si è appena accennato ai trigliceridi: essi sono come dei rampini che, come si e detto, assieme al colesterolo cattivo, possono bloccare le vie venose: come fare ad abbassarli? Non cadete nell’inganno che un’assunzione eccessiva di frutta faccia bene… Infatti, tutto ciò che ha componenti zuccherine, come dolci, alcol e per l’appunto la frutta si metabolizza in trigliceridi: come si e accennato, il benessere alimentare è anche un compromesso con la quantità.
Il diabete, ossia la mancata produzione di un ormone da parte del pancreas, si divide in due tipologie: quello di tipo 1, ossia quello giovanile, dalla nascita, a cui si pone rimedio con costanti e continue iniezioni di insulina e quello di tipo 2 o alimentare, dovuto quindi a stili di vita scorretti. E' scientificamente provato che una camminata tutti i giorni di 30 minuti almeno possa diminuire l’assunzione di ipoglicemizzanti orali quali la metformina: è importante notare che si può arrivare alla somministrazione di insulina quando l’assunzione di pastiglie non ha dato il risultato sperato.
Per quanto riguarda l’attività fisica, la dottoressa Nepoti divide l’attività furtiva da quella programmata: mentre la seconda e rappresentata dalla classica partita a calcetto, la prima e posta in essere da piccoli movimenti giornalieri, quali non prendere l’ascensore e fare le scale, scendere dall’autobus una fermata prima, parcheggiare la macchina più lontano, che, presi nel loro insieme, giorno dopo giorno, possono produrre vantaggi più che estemporanei.
Un’ulteriore analisi è stata svolta sulla compulsione alimentare. Sarebbe opportuno, per chi soffre di questo disturbo alimentare, scegliere attentamente i cibi al supermercato e non arrivare mai ai pasti con una fame vorace, poiché il senso di sazietà, arrivando in ritardo, ci può portare ad ingurgitare una quantità smodata di cibo: il consiglio è quello di mangiare poco e spesso, evitando le grandi abboffate, arrivando ad una quota di cinque piccoli pasti al giorno.
Altro discorso è rappresentato dall’idea che associa il mangiare al riempimento affettivo: il cibo è affetto gratis, per cosi dire. Bisogna mangiare di pancia, non di testa, come fanno i gatti che, quando non hanno piu appetito, lasciano lì anche solo tre croccantini… Per il resto bisogna sempre tenere a mente di applicarsi in attività alternative, riempitivi dell’anima, soprattutto nei momenti di sconforto. Mai lasciarsi decadere, soprattutto nel cibo.
Come è scritto nell’introduzione, mangiare significa usare i denti, la saliva, la bocca nel suo complesso. E’ fondamentale la calma, mangiare con calma, dare il tempo al cervello ed alle papille gustative di godersi il pasto senza fretta, accompagnato con il giusto quantitativo d’acqua, non ha importanza se naturale o gasata (ne occorre al nostro organismo almeno 1 litro e mezzo al giorno, l’equivalente di 8 bicchieri).
Un discorso a parte va fatto per le bevande zuccherate: esse contengono una notevole quantità di calorie e bisogna, quindi, fare molto bene attenzione ai valori nutrizionali e alle calorie. Bisogna sempre tenere a mente che l’apporto calorico deve essere eguale al reale fabbisogno: ‘cio che entra deve uscire’. Quindi occorre fare sempre attenzione a ciò che si ingerisce.
Mai mangiare la frutta da sola. Essa aumenta l’appetito ed andrebbe quindi accompagnata con cracker: da ricordarsi che questi ultimi, assieme alle patate, sono equiparabili alla pasta e sarebbe opportuno diminuire l’apporto di quest’ultima nel caso si mangino i primi due.
Come ultimo consiglio, la dottoressa Nepoti ha altamente sconsigliato saltare la colazione o i pasti in generale: il digiuno fa male poiché priva il fisico delle necessarie calorie utili alla realizzazione di tutte le nostre azioni, dalle piu semplici alle piu complesse. Senza una buona distribuzione di calorie la nostra macchina corporea rischia di rovinarsi ed andare sotto stress, alterando, in peggio, le nostre prestazioni giornaliere. Mangiare poco, invece, attiene alla buona salute: è consigliato un primo a pranzo ed un secondo a cena ma, se si desiderano entrambi, bisogna dimezzare le porzioni, iniziando con la verdura per aumentare il senso di sazietà.
Settimanalmente sarebbe da seguire il seguente riassunto: mangiare due volte carne, due pesce, una volta formaggi, una salumi e una volta delle uova.
Evitate gli alimenti delle macchinette automatiche particolarmente ‘pastrocciati’… E, quando andate a fare la spesa, oltre a moderarvi sulla quantità e fare attenzione alla qualità, andateci a stomaco pieno: andrete meno incontro alle tentazioni…


Casa Mantovani
Progetto Benessere


Nel gennaio 2009 presso Casa Mantovani è iniziato il progetto benessere, un corso psico-educazionale sull’alimentazione e la salute promosso dalla casa farmaceutica Lilly.
Il gruppo dei partecipanti è stato selezionato dall’equipe con supervisione del medico psichiatra della comunità e si è composto di undici elementi. La direzione della RTP ha individuato tre figure referenti per il progetto:
1 Educatore Professionale (conduttore)
1 Operatore Socio Sanitario (primo co-conduttore)
1 Cuoca (secondo co-conduttore)
Tale scelta è risultata centrale e vincente sin dal primo momento in quanto i pazienti hanno avuto la possibilità di condividere quest’esperienza con diverse figure professionali tra le quali, soprattutto, era presente la cuoca, ovvero la responsabile dei pasti in comunità.
Nel tentativo di creare una coerenza tra quanto trattato nel gruppo e lo stile di vita condotto in comunità, sono stati affrontati gli argomenti riguardanti il movimento e l’alimentazione con la nutrizionista della Lilly, dott.ssa Valentina Nepoti, ed adattato i menù della cucina e delle attività strutturate per raggiungere gli obiettivi prefissati da ogni partecipante.
Il gruppo del progetto benessere si è riunito per la prima volta il 27 gennaio 2009 ed in tale sede è stato consegnato un foglio ad ogni partecipante, sul quale ognuno ha potuto scrivere la propria definizione di benessere. Dopo una discussione di gruppo su quanto emerso, si è giunti alla conclusione che per tutti i partecipanti, benessere vuol dire:
      • stare bene, in salute
      • svolgere un’attivitè sportiva che ci piace
      • mangiare sano
      • stare bene con le persone care
      • stare bene con se stessi
      • stare bene al lavoro
      • trovare il giusto equilibrio tra tutti i punti precedentemente detti.

Le attività straordinarie, avvenute al di fuori degli incontri sono state numerose e la partecipazione sempre motivata.
Di seguito vengono elencate le iniziative promosse e ripetute diverse volte durante la durata del progetto:
      • Giornata alle terme: Villaggio della Salute – Castel San Pietro Terme (Bo);
      • Ginnastica nei parchi: Ginnastica dolce e yoga in collaborazione con il quartiere S. Stefano e Saragozza di Bologna
      • Pranzo e/o Cena in pizzeria e/o ristorante: abbiamo applicato delle strategie per riuscire a gestire con successo le situazioni in cui si mangia con altri
      • Spesa al supermercato: seguire le indicazioni per evitare lo shopping sfrenato
      • Gruppi bicicletta pomeridiani
      • Attività settimanale di piscina con istruttori (operatori della RTP)
      • Maneggio: Pet-therapy con cadenza quindicinale
      • Costruzione di una piramide alimentare personale e di gruppo con ritagli di riviste e giornali.
Ogni ospite ha cercato di attenersi a quanto prescriveva il progetto sull’alimentazione e sull’attività fisica, aderendo alle numerose proposte, ma anche attraverso un autocontrollo maggiore a tavola e negli spuntini extra e mediante lunghe passeggiate quotidiane.
Si può sostenere che il progetto benessere abbia introdotto nella comunità un miglioramento significativo sullo stile di vita dei pazienti e la diminuzione generale di peso è un indicatore di esito rilevante.


Il Conduttore Progetto Benessere
Giorgia Busti





Riflessioni dei Partecipanti



A me l’esperienza del progetto benessere è piaciuta moltissimo. Il Corso mi ha aiutato a dimagrire ed ho perso 13 Kg., la mia alimentazione è divenuta piu salutare e regolata e sono riuscita a raggiungere tutti gli obiettivi che mi aveva indicato la nutrizionista.


Paola





L’esperienza maggiormente positiva per me all’interno del Progetto Benessere è stata l’opportunità di poter usufruire delle terme di Castel San Pietro. Sono sempre stata molto scettica sugli insegnamenti del progetto, ma alla fine sono riuscita a coinvolgermi ed ho imparato ad utilizzare meno olio per condire le pietanze e masticare molto perché il mio cervello intuisca che sto mangiando con l’obiettivo di raggiungere prima la sensazione di sazietà.


Marina







Il progetto Benessere mi ha aiutato nell’attività fisica. Ho partecipato costantemente al laboratorio di movimento, alla ginnastica nei parchi e alle terme. Il mio peso è calato anche se poco, ma ho imparato come devo a fare a selezionare i cibi adatti alla mia dieta.
Per me è molto difficile mettere in pratica quanto insegna il progetto benessere perché ho molti problemi depressivi ma ciò che ho imparato mi ha reso maggiormente consapevole del mio stato fisico.


Dino


Ciccia è bello? No, ma si può guarire


Già da tempo mi dicevo “sto ingrassando troppo devo fare qualcosa” ed eccomi lì a 41 anni e 120 kg di ciccia steso su un letto di ospedale alla fine delle ferie con un sospetto di angina instabile non ancora arrivato all’infarto.
Il mio rapporto problematico con il cibo parte da lontano, non sono mai stato magro, se non durante le elementari per un problema di sospetta epilessia per cui mi avevano messo a psicofarmaci che assopivano tante cose compresa la fame. Poi smessi i farmaci dalle medie ho cominciato ad ingrassare un etto dopo l’altro, un chilo dopo l’altro. Undici anni fa mia madre manca, il tumore si porta via anche lei a 64 anni e io rimasto solo con mio padre ho cominciato ad avere una dieta sregolata, poi due anni fa a 84 anni manca anche lui. Non si può pretendere che tutto rimanga immobile e nemmeno la mia pancia nonostante il lavoro.
Devo dire che non mi mancava nulla, tra pizza dalle 3 alle 5 volte a settimana, pranzi paninari al Mc-Monnez , dolci e 2 brioches a colazione ogni giorno, facevo un pieno di calorie giornaliero da brivido. Nessuno che mi metteva in riga (non ho nemmeno la donna), che mi diceva “smettila di mangiare ciccione!”.
Negli anni dalla taglia 54 sono passato alla 56 e poi alla 58 e questo mi dava un senso di frustrazione, dieci anni prima pesavo solo 90 chili e adesso ero ingrassato di 30 ed era difficile cominciare a trovare da vestire, non volevo arrendermi ai negozi specializzati in over-size . E così alla fine delle ferie dopo aver fatto 5 giorni di pranzi e cene in un albergo montano con primo secondo e contorno il mio corpo ha fatto partire un campanello di allarme molto intenso. A Pieve di Cadore sono stati bravi, mi hanno risistemato, fatto una bella visita cardiologica e poi dopo un solo giorno sono ripartito per casa. Ma lì mi avevano detto che era necessario fare qualche altro accertamento e io sono ripartito per il lavoro, ma avevo già dato un taglio importante a pizza e brioches.
Ma tutto non era stabilizzato e così nuovo problema di sbalzo pressorio e quando ho mostrato le carte del precedente ricovero che consigliavano un ricovero ulteriore mi hanno tenuto lì un altro giorno. Quel sabato mi hanno fatto una coronarografia. L’esame era negativo anzi le mie coronarie erano piu grandi del solito e quindi sono stato dimesso con un paio di pastiglie per la pressione da prendere la mattina.
L’esperienza che avevo fatto è stata a quel punto decisiva, non dovevo perdere tempo, io non sono amante delle medicine e anche i medici avevano detto “A questo punto sta a lei dove andare o fare dieta ed esercizio fisico o rimanere con le medicine ed il rischio di ritornare qui e magari con molte meno speranze di oggi!”.
Nella cassetta della posta avevo gia visto l’anno scorso un volantino del gruppo “Dimagrire Insieme” tenuto dalla Polisportiva G. Masi e se allora mi ero detto “potrei provare” in quel momento ho detto “devo andare!”. Così ho cominciato con la palestra del martedì, il gruppo del giovedì e la piscina subito dopo il gruppo. Poi ho perseverato nel non vedere brioches mattiniere,”Mc- Monnez ”


Diego Frasson


Lavorare in una mensa scolastica


Mi chiamo Lorella e da quasi due anni lavoro in una mensa scolastica di una scuola elementare. Le mie mansioni sono molte, ma le più importanti sono: servire i pasti, sparecchiare, lavare le teglie, le caraffe e i bicchieri sistemandoli nella lavastoviglie; infine lavo i carrelli sui quali sistemo le stoviglie pulite.
Il rapporto con le dade e le maestre è ottimo, sono molto contenta di trovarmi in un ambiente cosi accogliente e gioioso.
Secondo me i bimbi dovrebbero mangiare meglio, perché il cibo che la CAMST fornisce non mi sembra di altissima qualità e neanche troppo sano. Una volta ho assistito ad un gravissimo fatto: uno dei bimbi ha trovato nella minestra un grillo gigante.


Lorella Poggioli, per gli amici Lorellina





Nell’ambiente lavorativo e non solo mi chiamano Cristicchi. Anch’io come la mia amica Lorellina lavoro in una mensa scolastica, però di una scuola media, da quasi due anni. Anch’io espleto delle mansioni piacevoli e per me anche un po’ divertenti: lavo le teglie, riordino e pulisco tavoli, lavo e asciugo brocche.
In questa scuola ho trovato una seconda famiglia e degli esempi da seguire sia dal punto di vista umano che professionale. Prima di ora non ero mai riuscita ad aprirmi così tanto.
Anche per me la qualità della mensa dovrebbe essere migliore, perché i bambini per crescere in modo sano dovrebbero mangiare alimenti genuini: ognuno di noi e il frutto di cio che mangia.


Cristicchi


A Bologna di ferragosto


Il campanile sta
come fetta
rafferma di dolce
senza la sua ciliegina
(la banderuola bucata
l'han tolta ieri l’altro)

soli io e te!

Di ferragosto
la città è quasi
un sacco per rifiuti.


Piergiorgio Fanti


Luna


Persa in questa curva
malinconica
oceani di silenzio.
Astrali nuvole d’illusioni
o notte
di foglie, sorelle foglie
moribonda di dolcezza
vorrei imitarmi
in questo viso.
Poi vedrò rasserenata
quando il sereno sarà chiuso.
Forse a quest’ora
oscillando incanto di un nastro
come una lucciola come una
colomba
fra l’aria
camminando camminando
in cerca d’un amore.


Paola Scatola


Amici


Non importa il posto
il sole è sempre uguale.
Non importa se è ricordo
o qualcosa che verrà.

Sempre staranno in me
quei buoni momenti che
abbiamo passato
senza sapere….

Non importa dove sei,
se vieni o vai,
la vita è una via da
percorrere,
se c’è qualcosa da dire
o se c’è qualcosa da nascondere,
sempre sarà un amico il
primo a saperlo.

Perché sempre staranno in me
quei buoni momenti
che abbiamo passato senza
sapere.


Anonimo


Lo scoiattolo


La campagna, dove il sole
batte
sul grano
ed i bambini seduti in cerchio
fanno merenda.
La mattina erano usciti dalle
loro case,
per incontrarsi sotto una
grossa quercia,
mentre intanto uno scoiattolo
con gli occhi belli e grandi
ed una lunga coda
li osserva e pensa gioioso:
CI VUOLE DAVVERO POCO
PER ESSERE FELICI.


Lucio Polazzi





Volersi bene


Il padre col bambino che fanno
volare l’aquilone,
la MAMMA con la figlia
che guardano la televisione.
La vicina che viene dalla
campagna
che porta il pane caldo.
Quanto ci vuole poco,
E
QUANTO È BELLO VOLERSI
BENE.


Lucio Polazzi





Imparare dalla formica


Anche quando nulla ci
manca,
continuiamo a lavorare,
aumentare il conto
più tranquilli ci fa stare.
Non facciamo come la
cicala che d’estate
Il cibo non si procurava.
Guardiamo la formica che
aveva il cibo
Anche d’inverno, mentre
russava.


Lucio Polazzi


L'oppressione alimentare


Quando ero studente universitario sostenni alcuni esami di psicologia. Un libro di testo in programma per l’esame di Psicologia dell’età evolutiva parlava di un’abilità, il turn-taking , che generalmente l’individuo apprende nel periodo in cui viene allattato dalla madre. Durante le pause fra un sorso e l’altro, si instaurano brevi relazioni comunicative con la madre fatte di sguardi, di sorrisi, di parole rivolte al piccolo dalla madre: a sua volta, il piccolo impara a rivolgere questi sguardi o sorrisi alla madre alternandosi con lei.
Questa è la prima esperienza, che dovrà poi essere consolidata da esperienze successive, in cui il piccolo impara a prendere e a lasciare il turno durante una comunicazione con un’altra persona o più di una. Tutto questo accade quando la madre e, come dicono gli psicologi dell’età evolutiva, responsiva. Se non lo è, queste pause non vengono utilizzate per relazionarsi col piccolo e ci si deve augurare che il piccolo possa imparare questa abilità da migliori esperienze successive.
Quando studiai questo tema, mi ci vidi completamente specchiato dentro, e ciò spiega come dopo tanti anni io mi ricordi ancora tutto questo. Il fatto che in età successive, dal bambino svezzato all’uomo maturo, io abbia sempre avuto difficoltà a prendere il turno in una comunicazione fra persone mi fa pensare che ci sia stato un problema proprio lì, il che sarebbe poi coerente con altre cose riguardanti mia madre che so per certo. Ecco allora un primo fotogramma della storia del mio rapporto con l’alimentazione, relativa alla mia prima infanzia.
Poi e venuta la seconda infanzia e l’adolescenza. Un giorno alla settimana, il venerdì, si mangiava a pranzo come primo piatto una minestra in brodo fatta col dado. Penso che nessuno ne sarebbe stato proprio entusiasta. Ma c’erano gli altri giorni della settimana. Il primo che si mangiava a pranzo era sempre e immancabilmente la pasta col ragù. La pasta poteva essere varia, ma il ragù era sempre lo stesso, quello che mia madre preparava utilizzando un macinato che mio padre portava a casa da non so dove. O mia madre era una pessima cuoca, il che è possibile, o era di qualità pessima il macinato usato per il ragù. Quanto avrei desiderato poter mangiare qualche volta della pastasciutta condita con semplice passato di pomodoro. Io ero l’ultimogenito e mi si facevano dei favoritismi, anche se poi li pagavo a caro prezzo: uno di questi favoritismi consisteva nel condire il mio piatto di pasta solo con la parte liquida del ragu risparmiandomi i pezzi di carne. In realtà, quando mia madre condiva i piatti, anche mio fratello maggiore chiedeva “solo sugo”, ma a lui niente favoritismi. Io credo che quel ragù non piacesse a nessuno, ma nessuno pensasse mai di proporre qualcosa di diverso. Mangiare pasta col ragù sei giorni su sette: troppo importante la carne per poter fare diversamente!
Poi c’era mio padre. Invitava tutti noi figli a non tenere il gomito sinistro appoggiato sul tavolo. Lui effettivamente non lo teneva. In compenso, masticando a labbra aperte, faceva tanto rumore che io, pur avendoci provato qualche volta, non riuscivo a eguagliarlo. Poi, le sue mani erano di colore grigio. Quando mia madre riusciva a convincerlo a lavarsele, le bagnava un po’ sotto l’acqua, dava un paio di delicate carezze alla saponetta, poi si sciacquava sotto un filo d’acqua per evitare, così sembrava, che le sue mani si privassero troppo a fondo di quella preziosa pellicola di sporco. E questo è un secondo fotogramma, relativo alla mia adolescenza.
Più tardi la famiglia cominciò a disunirsi. Dapprima, mio fratello prese moglie, poi le mie sorelle presero casa per conto loro. Ebbero almeno la piccola fortuna di andarsene di casa, rispettivamente, a venticinque e a ventinove anni, mentre io ci sono rimasto fino a quaranta1. Devo ammettere che, verso la fine di questo periodo, l’oppressione alimentare si fece piu blanda perché riuscii a influenzare di più le decisioni di mia madre sul menu, mentre mio padre trascorreva alcuni giorni della settimana in montagna. Ciò non significa che non ci siano state altre oppressioni, anche peggiori. E questo è un terzo fotogramma relativo alla mia giovinezza.
Veniamo all’eta matura. Quando a quarant’anni sono andato a vivere da solo, l’impatto e stato traumatico e ho dovuto affrontare lunghi periodi di ricovero in psichiatria. Quarant’anni sono troppi. Bisogna decidersi prima. Adesso che l’impatto è passato, il mio rapporto con l’alimentazione è abbastanza buono, pur con qualche problema di compulsione a mangiare. Io devo sempre evitare, quando faccio la spesa, di acquistare alimenti troppo invitanti e già pronti, quindi facili da consumare: niente patatine, dolci, merendine, biscottini, arachidi e via dicendo. Si pensi che io tengo un pacco di cracker in auto, nel bagagliaio, perche mi è necessario portarmene dietro qualche pacchetto quando esco: vi ricorro in caso di fame, perché le condizioni economiche rendono sconsigliabile frequentare bar e altri locali; ma, se li tenessi in casa, finirebbero subito, vittime della compulsione a mangiare. Così, acquisto generi alimentari che richiedono, se non la cottura, almeno una certa preparazione, cosa a cui provvedo volentieri: prepararmi il pasto è una delle poche cose che faccio con piacere.
Per il resto, il mio rapporto con la casa è disastroso. Non riesco a tenere in ordine i documenti cartacei, il che si ripercuote anche sull’ordine di altre cose e sulla pulizia dell’ambiente. A questo proposito mi trovo in una situazione che io suppongo essere inconsueta: non riesco a evitare che casa mia sia una specie di letamaio, ma non rinuncio a fare la raccolta differenziata.

(1) Vedi il mio articolo intitolato “L’adulto coabitante”, pubblicato su “Il Faro. Il giornale di tutti ”, n. 3 del Novembre/Dicembre 2009. Lo stesso articolo e consultabile sul sito www.associazioneumanamente.org alla pagina “Rubriche/Mel Ancony racconta…”.


Mel Ancony (Mario Mazzocchi)


Una volontaria racconta il gruppo cucito e non solo


Scrivo in un momento di forzato riposo causa un malanno di stagione.
Pensando ai vari impegni rimandati spero di non dover rinunciare, giovedì prossimo, al Gruppo di Cucito del Centro Diurno di S. Biagio. E' un appuntamento piacevole, gratificante, ricco di belle esperienze e per me salutare.
Il nostro Gruppo è nato timidamente, senza tante pretese, ora è più numeroso, attivo, affiatato e molto vitale. Condividiamo preoccupazioni e gioie, si lavora, si scherza e ciascuno partecipa secondo le proprie capacità spesso riscoperte stando nel gruppo. Si è formata una bella compagnia in serena e sana amicizia.
L’ultimo incontro è stato particolarmente allegro e movimentato: persone nuove ci hanno fatto visita, nuovi lavori programmati e nuove idee da sviluppare per il nostro mercatino. Due ore sono passate in fretta.
Spesso mi trovo a dover lavorare un po’ discosta dal tavolone attorno al quale ferve il lavoro vero e proprio, ma ugualmente li sento tutti vicini. Ascolto le voci e seppur assorta nel mio compito “vedo” l’espressione dei loro volti, tanto mi sono familiari. Di ciascuno, anche adesso, ho un ricordo particolare:
- Il signor “C” per quanto silenzioso e attento ad eseguire con precisione il punto croce, è ugualmente partecipe a ciò che accade e le sue osservazioni sono sempre azzeccatissime.
- La signora “M” è una mamma molto sensibile anche ai problemi degli altri. Lavora alacremente con entusiasmo e generosità.
- La signorina “L” è molto accurata nel vestire con accessori sempre coordinati. Lavora con puntiglio ed è giustamente orgogliosa dei suoi manufatti che custodisce gelosamente.
- La signora “V” ha tanta voglia di fare. E' dolce, un po’ timida, con una luce gioiosa negli occhi che esprime ciò che prova.
- La signora “C” del Centro Diurno Anziani parla pochissimo e per questo, giovedì scorso, mi ha piacevolmente sorpresa. Con grande naturalezza e molto buon senso ha espresso il suo parere su un lavoro dimostratosi poi effettivamente dispendioso in termini di tempo.
- La signora “P” sempre del Centro Anziani e un ragazzo di nome “S” sono i nuovi arrivati. Li ho visti sereni e disponibili. Pur non conoscendoli bene ho avuto l’impressione che si siano trovati a loro agio.
- La signora “S” e un simpatico giovanotto “M” sono tornati a lavorare e non hanno più tempo di venire. Ci mancano e li ricordo unitamente alle signore “C” ed “E” che spero ritornino con la buona stagione.
- Ricordo la signorina “C” del Gruppo del Cuoio che è stata mia valida aiutante. Spero di rivederla.
- La signorina “A” è una tirocinante, carina, gentile e sorridente. Piena di buona volontà e disposta a cimentarsi con entusiasmo anche in lavori che non aveva mai fatto prima.
- L’operatrice referente del Gruppo, signora “K” è coinvolgente e travolgente. Un vulcano di vitalità. A volte la sostituiscono due colleghe del C.D., signore “D” ed “E”. Sono premurose, pronte ad aiutare con tatto e precisione. Ho la sensazione che si divertano anche.
- Le altre mamme volontarie sono “amiche”. Basta la parola. Siamo proprio un bel gruppo.
A questo punto c’e da chiedersi: “cosa c’entra il cibo?” C’entra! C’entra!
Ricordo bene l’ultimo incontro prima delle ferie estive, lo scorso anno. Accantonati ago, ferri e uncinetto abbiamo messo in opera forchette e coltelli. Con una buona pizza abbiamo saziato lo stomaco e scambiandoci racconti e confidenze con spontaneità e gaiezza abbiamo alimentato lo spirito. Alla fine abbiamo deciso di non sospendere gli incontri estivi per continuare a vederci.
Il cibo è di per sé gratificante e gustarlo con persone amiche è ancor piu buono.
La condivisione è un momento speciale di aggregazione e mi sembra un giusto abbinamento al Gruppo di Cucito, perché non ripetere l’esperienza?
Percio ben venga una prossima occasione – tutti insieme SERENA… MENTE.


"D" mamma volontaria


1999-2009 Decennale Diavoli Rossi: passato, presente e...



Il 12 dicembre scorso i “Diavoli Rossi” che da circa un anno si sono costituiti in Polisportiva che comprende familiari, operatori, volontari, utenti e cittadini, hanno festeggiato un doppio evento: il Natale e il decennale della loro nascita.
L’evento ha visto il coinvolgimento di parecchie realtà, istituzionali e non, quali ad esempio i Comuni di: Vergato, San Lazzaro e Casalecchio, che hanno concesso non soltanto il loro patrocinio, alcune rappresentanze dell’Anpis e delle U.I.S.P., di Casa Mantovani e di alcuni servizi socio-sanitari, psichiatrici ecc.
Sono intervenuti anche operatori e utenti del gruppo sportivo del C.S.M. dell’Aquila con i quali si è stretto un affettuoso rapporto di collaborazione e di amicizia, iniziato con un mini-soggiorno realizzato in Abruzzo tra il 29 e il 31 Ottobre 2009.
In questa circostanza una delegazione dei “Diavoli Rossi” oltre a voler rendersi conto di persona della drammatica situazione post-terremoto di questi luoghi e delle persone qui residenti, ha voluto portare un aiuto concreto e tangibile, frutto di una raccolta fondi.
La buona riuscita della manifestazione è stata motivo di orgoglio, commozione e soddisfazione per gli operatori coinvolti da anni nel progetto, segno questo che quando si crede profondamente nella valenza e nella ricaduta positiva di qualcosa, i risultati arrivano e come!!!
Non è una novità che già da tempi remoti si crede nell’importanza del moto e delle attività fisiche riassunte magistralmente dal detto latino: “Mens sana in corpore sano”.
A questo proposito c’è da aggiungere che Simona, una Tirocinante Psicologa presso il C.S.M. di San Lazzaro, che ricopre anche il ruolo di segretaria della Polisportiva, sta lavorando ad una ricerca che, attraverso l’analisi di alcuni dati relativi agli intenti dei tre C.S.M. ex BOLOGNA SUD, permette di quantificare i benefici dell’attività che ha visto, ad esempio, una drastica riduzione dei ricoveri negli ultimi cinque anni.
I “Diavoli Rossi” approfittano dell’occasione per ringraziare quanti a vario titolo si sono prodigati per la realizzazione del loro decimo compleanno.


Concetta Pietrobattista e Franca Pastorelli (Pres. Polisportiva Diavoli Rossi)




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FareAssieme: la nostra scuola a Muyeye


Cari amici e lettori de Il Faro , dopo le straordinarie esperienze di “Quel treno speciale per Pechino” (2007) e di “Patas Arriba” in Argentina (2008), siamo di ritorno da un’altra incredibile “avventura” questa volta in terra Africana: per il progetto “Fareassieme la nostra scuola a Muyeye ”; nei mesi precedenti alla nostra partenza ci siamo attivati, in tutti i modi possibili e immaginabili per raccogliere i soldi necessari alla costruzione di una scuola professionale nel villaggio di Muyeye, vicino a Malindi, nello stato africano del Kenya. Ciò è stato reso possibile dalla generosa partecipazione di amici, colleghi, cittadini che hanno risposto alle nostre iniziative di autofinanziamento in modo attivo e partecipe. Il nostro contributo si unisce a quello di altri gruppi delle Parole Ritrovate provenienti dalla nostra e da altre regioni e città italiane, insieme all’Associazione di Volontariato Itake, che da anni è attiva nella collaborazione con lo stato africano.




Due parole sul viaggio



Il nostro gruppo è partito dall’aeroporto di Verona il giorno 26 di febbraio insieme ad altri gruppi regionali (Imola, Parma e Modena); era composto da 3 operatori, 5 utenti, 2 familiari e 2 volontari. Il gruppo emiliano romagnolo era composto in totale da 35 persone, a cui si sono aggiunte altre 4 persone tutte studenti della scuola di Cinematografia di Roma che hanno girato un documentario sull’esperienza di questo viaggio, sulla sua preparazione, il suo svolgimento e le sue inevitabili ripercussioni nella vita futura dei suoi protagonisti.
Il viaggio si è svolto dal 26 febbraio al 6 marzo, per un totale di 9 giorni, durante i quali il nostro gruppo si è recato piu volte al villaggio e al cantiere della scuola, per poter vedere di persona lo stato di avanzamento dei lavori e fare conoscenza dei suoi abitanti e dei suoi studenti, che a centinaia ci hanno accolto, seguito, toccato e con i quali abbiamo cercato di trovare un modo per comunicare. La realtà del villaggio e dei suoi abitanti è una realtà non facile per l’inevitabile incontro anche con la loro estrema povertà: il loro bisogno di cose materiali, che vanno dal cibo al materiale scolastico, ai vestiti, a tutte quelle cose che noi diamo per scontato si debba avere e che per loro non sono garantite né scontate. Allo stesso tempo però molti di noi hanno considerato che la povertà di cose corrispondeva ad una grande ricchezza dal punto di vista umano: la loro accoglienza è stata sempre calorosa, generosa e calda, il loro sorriso era aperto e disposto al contatto.
Ricordiamo inoltre se volete avere ulteriori e piu approfondite informazioni, resoconti, fotografie relative al viaggio, alle esperienze analoghe degli anni scorsi, al Movimento de Le Parole Ritrovate, del Fareassieme e tanto altro ancora potete visite il nostro blog: www.unramodifollia.blogspot.com E ora la parola passa ai viaggiatori, ai loro pensieri, le loro mail, i loro sms, che cercheranno di descrivere almeno in parte la loro esperienza e le emozioni che hanno vissuto.




Daniela scrive:



La prima sensazione che ho avuto atterrando in questa terra è stata di minoranza, un puntino bianco in un mare nero. Ma è un’emozione sicuramente diversa da ciò che provano loro a casa nostra. Noi siamo una minoranza che cammina a testa alta i mezzo a queste persone, che si sente padrona in una terra non sua. E il loro modo di essere servizievoli conferma quasi l’idea della nostra superiorità su di loro… No!! Chiudi gli occhi e tocca un viso, troverai che occhi, naso, una bocca, non il bianco e il nero… per capire se il viso toccato e bianco o nero, dipendera dalla presenza o meno di un sorriso!!!!!




Maurizio scrive:



Per AUSL
“Faccio parte di un gruppo che fa parte di un altro gruppo che a sua volta fa parte di un altro gruppo e finalmente l’ultima ruota del carro è riuscita a rotolare fino a qui in Africa partendo con l’aereo, scivolando su tutta l’Italia e meta Africa!!! è stato un soggiorno gestito in un mondo di povertà, è stata un’impresa importante per farci capire che i soldi non sono tutto nella vita. Facendo passare una escursione programmata al giorno mi rendo conto che si parla di un percorso che non finira mai!!!!”

MUYEYE
Vi racconto di Muyeye e non solo: siamo quattro gatti e i gatti hanno sette vite, questa è l’impressione che gli abitanti di Muyeye mi hanno dato. Forti e intelligenti per quanto gli è possibile rompono le barriere che arrivano al centro del cuore.

LA RADIO
Compagna di vita
Assolutamente fedele
Mi raggiunge anche qui
Lontano dal paese
Civilizzato e regolato
Qui dove tutto può essere
Frainteso e estremizzato;
Io sapevo che alla fine
Radio popolare ci permetteva
Con un collegamento
Di respirare e quindi finire
Quella piccola remota
Aria italiana
Che era rimasta dentro al petto!

Per CSM CIMAROSA
I Love Kenya!
Sono arrivato qua in Kenya e mi sembrava non vero solo dopo poco mi sono reso conto che il sole e l’aria erano diverse. Le donne qua sono belle quasi magiche; e le cose che mi proponete voi per loro sono scontate.
Quando torno dipingete il volto di nero altrimenti faro fatica!!




Egidio scrive:



4 marzo 2010 La folla – uomini, donne e bambini kenioti
Con un balzo di 7.000 km. Nella notte siamo scivolati dalla bruma padana all’aeroporto di Mombasa. Al nostro arrivo, prima dell’alba, la temperatura era di 28°.
Durante il trasferimento in bus a Malindi, la nostra destinazione, una moltitudine di persone si spostava a piedi sulle carreggiate laterali in terra battuta in ogni direzione, di buon passo, ognuno verso mete a noi sconosciute. Quasi una migrazione silente nel traffico convulso di camion, vecchie auto, bus.
Il primo impatto con la “nostra” scuola a Muyeye ha avuto un aspetto simile; qui una moltitudine di bambini: 1750 studenti su 20.000 abitanti del villaggio. Ti circondano, molti ti prendono per mano, “ciao baba”, in italiano chiedono il tuo nome, si entusiasmano di venire fotografati e sottovoce con dignità ti chiedono “caramella”, “cento scellini” e ti seguono a grappoli.
Il loro abbigliamento denota tanta poverta.
La prossima volta vi parlero ancora di loro. Jambo!




Lamberto scrive:



“Cari compagni di viaggio, sono ormai quattro giorni che siamo arrivati in Kenya, facciamo un primo bilancio.
In Resort tutto è stupendo, ottimo ristorante anche se i ritmi sono un po’ lenti, la camera è grande e accogliente dotata anche di cucina. E' divertente farsi un giro per Malindi con il tuk-tuk o a piedi, il costo è minimo, la gente è cordiale e non ti infastidiscono.
Ho passato una bella serata al Disco Bar con Sandro, c’era musica afro-cubana, frequentato prevalentemente da italiani, le ragazze scambiano volentieri quattro chiacchiere se gli offri qualcosa da bere.
Diverso il discorso di Muyeye; siamo andati lunedì in tuk-tuk, siamo stati attorniati da una marea di bambini; foto di gruppo e presa visione della scuola in costruzione.
Qualcuno mi aveva parlato del mal d’Africa - adesso sto cominciando a capirne il significato”.




Anna scrive:



La solita, consumata rivista della compagnia aerea, sfogliata distrattamente in un momento di annoiata attesa dell’imminente atterraggio, mi svela inaspettatamente il senso di questo viaggio, di questa nuova avventura appena incominciata. Una frase, scritta da una non meglio identificata scrittrice e che dice pressappoco cosi: “Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta”.
Questo viaggio è stato l’incontro: con l’altro che sta fuori di noi, il nostro compagno di viaggio, quello già conosciuto e riconosciuto e quello ancora da scoprire, con le sue differenze, con le sue spigolosità, con le sue caratteristiche che immediatamente ce lo rendono familiare, oppure ostile, forse amico.
L’incontro con l’altro che sta fuori di noi e che ci accoglie in una realtà diversa dalla nostra, che ha un colore diverso, un sorriso disarmante, lo sguardo accattivante, alle volte distante, più spesso amico, quasi mai disinteressato.
E poi l’incontro con il “nostro“ altro, quello interno, quella parte che viene fuori, emerge, in tutta la sua crudele, inaspettata, e sgradita presenza, quell’altro brutto, negativo, cattivo, che non pensavamo di avere dentro, che credevamo non ci appartenesse e che invece, provocato, emerge sulla superficie delle nostre supposte e rassicuranti buone qualità.
A botta calda, dico, che questa esperienza mi ha messo a confronto diretto con le mie profonde contraddizioni, con il mio senso di impotenza, di fronte alla richiesta semplice, diretta, immediata dei bambini, che a centinaia si affollavano intorno a noi nel villaggio e che quella presenza assillante riusciva nel giro di pochi minuti a diventare invadente, proprio perché legittima, fastidiosa, proprio perché diretta al cuore, al cuore nostro e al cuore del problema, che è il nostro avere troppo e il loro avere nulla e non riuscire a gestire questa contraddizione e questa ingiustizia nel nostro modo classico, razionale e politicamente corretto; quella presenza che smetteva d’un tratto di essere gratificante e tornava ad essere fastidiosa come una mosca che vorremmo se ne andasse da sola e non vorremmo essere costretti a scacciare, a scacciare in malo modo, persino a schiacciare, per non sentirne piu il ronzio.
Nonostante tutto però siamo riusciti a “starci dentro”, nessuno escluso, e questo è un punto a nostro favore; non ci siamo sottratti, abbiamo accettato di poter stare anche male, decisi a ricavare da questa esperienza il massimo della positività, per farne bagaglio prezioso per il nostro ritorno, da viaggiatori che hanno viaggiato davvero.




Mail da Malindi



Cari amici del Centro Diurno e non solo (!), ogni mattina alcuni di noi vengono all’Internet point di Malindi a scrivere un breve diario di bordo (che spero possiate vedere pubblicato sulla Intranet aziendale), spesso a riportare i pensieri di alcuni viaggiatori che hanno avuto voglia di mettere nero su bianco le loro prime impressioni su questo fantastico viaggio. Oggi per esempio vi faccio avere alcuni pensieri scritti da Maurizio e da altri compagni viaggiatori.
Oggi sarà una giornata impegnativa per noi: andremo al villaggio di Muyeye per condividere con gli abitanti del villaggio un pasto cucinato da loro, poi nel pomeriggio torneremo alla scuola dove i bambini fanno merenda e cercheremo di conoscerli meglio. I bambini sono migliaia, sbucano da ogni angolo del villaggio e ti vengono incontro parlando qualche parola della nostra lingua che hanno imparato a conoscere per “lavoro”: nella nostra lingua ci chiedono ogni cosa, dalla penna alla maglietta, alla caramella, ai soldi - non e facile per noi, vorremmo poter avere qualcosa per ognuno di loro, ma migliaia di cose non basterebbero perché loro sarebbero di piu. L’incontro con questa realtà e molto duro, difficile, e ci mette a confronto con le nostre contraddizioni ed i nostri profondi ed irrisolti sensi di colpa. Proviamo a fare ciò che possiamo, portando con noi per loro ciò che siamo anche se spesso non e ciò che loro vorrebbero avere da noi.
Per lasciar decantare un po’ questo groviglio intenso di emozioni, ieri siamo stati in barca a visitare la barriera corallina: abbiamo fatto il bagno nell’Oceano Indiano, ci credete!?, abbiamo mangiato il pesce cucinato per noi, buonissimo, abbiamo visto un mare azzurro come l’acqua della più bella delle piscine: anche in mezzo a quel paradiso non sono mancati i tanti venditori di collanine, parei, braccialetti, un assalto alla diligenza, solo che invece di essere su una diligenza eravamo sulla barca!
Il gruppo si difende bene, ognuno cerca di assorbire le emozioni, difendersi dall’impatto forte con questo mondo tanto diverso; la povertà è molto diffusa, ma la gente sembra avere un atteggiamento più sereno nei confronti della vita e delle persone: qui siamo tutti “diversi”: è come se una diversità (la nostra) confrontata con un’altra (la loro) le annullasse a vicenda!
Domani partiremo all’alba per un mini-safari di un giorno a vedere i leoni, le gazzelle, I ghepardi e chissà cos’altro / ve lo racconteremo. Un abbraccio a tutti.




SMS da Muyeye



28 febbraio 2010
Carissima, sta andando tutto bene. Tutto è un colore e una sensazione nuova. Che dire? Entra nella pelle e lì rimane. Elettra e Maurizio sono splendidi, un onore averli qui a ricevere con noi il sorriso della gente, ovunque e sempre e non solo per interesse! 1 marzo 2010
Carissimi, oggi primo impatto con il villaggio e i suoi mille bambini! Non è stato facile, un misto di emozioni fra loro contrastanti, tutte fortissime, intense, profonde. La nostra cattiva coscienza con cui fare i conti, non sempre pari.
Meteorologicamente parlando un bel temporale tropicale per alzare un’umidita già alta. Però stiamo tutti bene, senza caghetto del viaggiatore! 28 febbraio 2010
Qui in terra africana si comincia ad acclimatarsi, è bello e faticoso: odori, colori, facce, sapori diversi, un grande sforzo di adattamento. Il gruppo molto eterogeneo non facile ma anche il gruppo dei veterani che aiuta a far funzionare tutto benissimo!


Grazie a tutti da:
Egidio Bracco, Mara Brandoli, Fabio Caselli, Anna Compagnoni, Ombretta Fabbri, Maurizio Gulizzi, Fabio Guerra, Lamberto Mattioli, Maria Katia Monti, Sandro Parisini, Elettra Piatesi, Daniela Zaniboni


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La vacanza “sfumata”


La mia estate è stata tutta un disastro completo: da dimenticare. Il 3 di giugno sono caduta in casa e mi sono rotta il femore: un mese di Ospedale.
Nel frattempo, alla metà di giugno dovevo partire per il mare con il Centro Diurno di San Biagio, ovviamente è andato tutto all’aria, peccato, ci tenevo tanto! Hanno preso male, però, perche il tempo era brutto: siamo pari no? Ah, ah, ah.
Un mese dai miei genitori a Bologna per la convalescenza: un incubo e una depressione: non facevo altro che piangere, e mia mamma si è dovuta sorbire i miei alti e bassi, poverina.
Il 2 agosto sono partita per le mie solite vacanze spirituali, ma non mi sono divertita per niente, perché avevo le stampelle e non potevo fare volontariato come gli altri anni. In quest’occasione sono stati gli altri a prendersi cura di me.
Sono sette anni che abito in questo appartamento di 35 mq., è troppo piccolo per me: non so dove mettere le cose che ho, non so come muovermi perché lo spazio è ridotto. Sì, ho un tetto sopra la testa (molta gente purtroppo non ce l’ha), ma mi piacerebbe avere almeno una stanza in più, dove mettere il PC, un letto a castello (così quando vengono le mie figlie, le metto lì), un divano, il mobile che ho in camera e la cyclette, visto che ho tutto in camera da letto. Sarebbe il mio sogno.


Sabrina Soffri


Errata Corrige


1) Il Faro di giugno/luglio 2009 era il N. 2 dell’anno III, non del II.
2) l’inserto IL LAVORO, allegato al suddetto N. 2 e l’intervista al dott. V. Trono in esso contenuta non era da attribuirsi alla sola dott. Elena Pasquali, come scritto nell’editoriale, ma a tutti i partecipanti al laboratorio editoriale dell’Associazione UmanaMente.
3) A causa di un disguido è stato allegato solo a parte delle copie de Il Faro di nov. / dic. 2009, N. 3 dell’anno III, l’inserto con l'intervista all'ex assessore Milena Naldi del Comune di Bologna sull’assegnazione delle case popolari agli utenti psichiatrici, sempre prodotto dall’Associazione UmanaMente.
4) L’articolo “La Casa”, a pag. 9 del suddetto numero 3, è uscito anonimo mentre era firmato da Gigliola. Ce ne scusiamo con gli autori e i lettori.