Editoriale
Secondo Wikipedia:
“L’alimentazione consiste nell’assunzione da parte di un organismo
vivente delle sostanze indispensabili per il suo metabolismo e le sue
funzioni vitali quotidiane”.
Da ciò se ne trae che l’alimentazione è indispensabile per la vita.
L’assenza di cibo provoca la fame.
Quando penso alla sofferenza che provo quando sono lontano dai pasti o
dopo una parca cena la fatica che faccio a prendere sonno, non posso
fare a meno di pensare a tutte le persone, in particolare ai bambini,
che soffrono la fame. I quali dopo un periodo senza alimentazione hanno
una sensazione di fame che cresce progressivamente fino a diventare
acutamente dolorosa. E dopo denutrizione prolungata la loro vita cessa
per il mancato apporto di principi nutritivi.
Ciò si scontra con quello che succede in alcune zone del mondo dove si
muore per eccesso di alimentazione.
Anche in ambito psichiatrico vi sono malattie come ad esempio: la
bulimia, l’anoressia. Anche gli effetti sul metabolismo legati alla
assunzione di farmaci non vanno sottovalutati.
Malgrado ciò nutrirsi è un grande piacere per chi ha la possibilità di
farlo, sia da soli che in una tavolata in famiglia o tra amici e
parenti, è un bel modo di stare assieme per conoscersi e divertirsi.
Fabio Tolomelli
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‘Rodolfo II in veste di Vertumno’ - Giuseppe Arcimboldo
(1527-1593)
Il quadro è una composizione di ortaggi, frutta, verdura e fiori
ingegnosamente accostati a formare una figura umana ben rappresentata,
con quel gusto del bizzarro tipico dell'artista milanese, che però mai
dimentica un certo fare ludico.
Piuttosto evidente è il suo debito verso le deformazioni fisionomiche
di Leonardo, ma questo genere di pittura ha anche punti di contatto con
il naturalismo scientifico dei pittori di nature morte fiamminghi e
tedeschi.
In qualche modo si può definire l'Arcimboldo un manierista e per certi
versi un precorritore del surrealismo del ventesimo secolo.
Piergiorgio Fanti (comunità “Il Melograno”)
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Due o tre cose che so del cibo
Risulta per me assai difficile parlare del rapporto che
intercorre tra il cibo e l’essere umano. Certo, l’interminabile sfilza
dei libri che sono stati scritti su tale argomento riempirebbe
un’intera biblioteca, eppure ho sempre come l’impressione che la vera
natura di questo rapporto resti sfuggente.
Talvolta mi viene persino il sospetto che ciò che “pensiamo” del cibo,
il rapporto che con esso abbiamo istituito a livello intellettuale,
quell’infinita fila di disparate teorie con cui abbiamo riempito lo
iato tra la pulsione della fame e il suo soddisfacimento, non siano
neppure farina del nostro sacco, di noi uomini come specie (Homo
sapiens sapiens ), forse, almeno nelle sue fondamenta, era gia stato
“costruito” dalle specie da cui evolutivamente deriviamo (Homo erectus,
Homo abilis e via dicendo), specie che avranno pure avuto il cervello
più piccolo del nostro, ma certo il ventre non meno grande e una fame
non meno imperativa.
Se c’e una cosa che forse invidio a questi nostri progenitori e che, a
differenza della maggior parte di noi, avevano un rapporto più
immediato con ciò che mangiavano: sapevano sempre quanta fatica e
quanti rischi gli fosse costato procurarsi quella sugosa fettina di
mammuth o quella deliziosa braciola di tigre dai denti a sciabola.
Pur ritenendomi del tutto inadeguato a sviluppare un discorso organico
sul cibo, vorrei comunque mettere sulla carta una serie di flash , le
prime immagini tra le tante che il pensare al cibo mi richiama alla
mente.
Ad esempio mi torna alla mente quel racconto di Puškin in cui uno dei
personaggi, durante un duello alla pistola, dopo aver sparato il
proprio colpo resta in attesa che l'avversario, tiratore infallibile,
spari a sua volta. Ma non all'avversario presta attenzione, bensi al
proprio cappello pieno di marasche, che tiene in mano, e scegliendo tra
esse le più mature, le mangia con gusto, sputando con noncuranza i
noccioli verso l'avversario. E quest'ultimo imbestialito dal fatto che
quello tenga in cosi scarso conto la propria vita, rinuncia, per il
momento, a sparare.
Ma a me non pare che si tratti di un atto di dispregio nei confronti
della propria esistenza, ma -al contrario- di estremo amore: finche ci
resta un brandello di vita ci e dato di sbocconcellare ancora qualcosa
di gustoso, e finché assaporiamo qualche leccornia, ci e dato di
sperare di vivere ancora per un breve tratto.
Un'altra immagine che mi viene alla mente quando penso al cibo, e
quella di Gesu che a chi rimproverava i suoi discepoli perché, presi
dalla fame, incuranti del riposo del sabato, spigolavano in un campo di
grano, rispondeva: "Il sabato e stato fatto per l'uomo, non l'uomo per
il sabato!"
E come non pensare alla celeberrima 'petite madeleine' di cui scrive
Proust nella sua 'Recherche', che col suo solo sapore fa riaffiorare
alla mente dell'autore un intero mondo di ricordi della sua
fanciullezza, apparentemente dimenticati?
Una delle cose che più mi affascina del cibo e la sua assoluta
impermeabilità a qualunque teoria che su di esso l'uomo vada
almanaccando; sono millenni che elaboriamo le più disparate teorie
scientifiche e filosofiche sul cibo e sull'alimentazione, dalle più
ascetiche alle più edonistiche, ma alla fine di tutto, il "cibo" ci
resta dinnanzi, irriducibile a qualunque di quelle superbe teorie, e a
nient'altro rimandante se non a se stesso.
Se mi si passa il gioco di parole, il cibo resta "indigesto" per
qualunque teoria, che non riesce realmente a "digerirlo" e
"metabolizzarlo"; nessuna teoria potra renderci più gradevole un cibo
che aborriamo, ne disgustarci di una pietanza che ci faccia venire
"l'acquolina in bocca".
E che dire del cibo nelle arti figurative? Come dimenticare quei
fantastici dipinti, tavole semplici o sfarzose, ma sempre imbandite con
ogni ben di Dio, dipinte dai grandi maestri olandesi e fiamminghi della
natura morta secentesca, con tale perizia e verosimiglianza che quasi
si sarebbe tentati di allungar la mano per prendere e gustare uno di
quei dolcetti o di immergere un pezzetto di pane in una di quegli
intingoli sugosi.
Ma ora vi lascio perché e proprio ora che vada a
consumare il mio parco pasto.
Antonio Marco Serra
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Vorrei...
Vorrei divorare questi dolciumi,
ma non posso.
Li guardo, li sfioro, ma mi trovo dirimpetto al desiderio di ingrassare
ancora: quindi se vuoi posso offrirti una pasta ma
non per nuocerti, solo che nella tua astenia ti farebbe bene.
Un po' di meno, un po' di più, mi dicevo anch'io, che vuoi che sia...
Invece ho preso su ben 12 kg., e adesso che faccio?
Massaggi e dieta, ma non ne vengo fuori bene lo stesso: una smagliatura
qui un'altra la… cosi e la fine, cosi e l'inizio…
di un altro biscottino al cioccolato.
Paola Scatola comunità "Il Melograno"
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Detti Popolari e Proverbi sul Cibo
La bocca non stracca se non sa di
vacca.
A gusto guasto è cattivo ogni pasto.
Bacco, tabacco e Venere, riducono l'uomo in cenere.
Buon vino fa buon sangue.
Chi spizzica non digiuna.
Chi va a letto senza cena, tutta la notte si dimena.
Chi vuol viver sano e lesto, mangi poco e ceni presto.
Con patate e cipolle dentro l'orto, mai di fame nessuno è morto.
E' meglio andare a letto con la fame, che cucinare sul rame.
Fagiolo a fagiolo, si empie il paiolo.
Fame piccola fame vispa, fame grande fame trista.
Il pane mangiato è presto dimenticato.
La massaia canterina, fa più allegra la cucina.
La massaia operosa, con poco fa la spesa.
Non si fanno frittate senza rompere le uova.
Non si vive di solo pane.
Ognuno tira l'acqua al suo mulino, diceva l'oste battezzando il vino.
Pancia affamata, vita disperata.
Pane di villano, rustico ma sano.
Piatto ricco mi ci ficco.
Quando arriva la minestra non c'è più sinistra o destra.
Tutto ciò che è proibito, è boccon dell'appetito.
Una ciliegia tira l'altra.
Villano affamato è sempre arrabbiato.
Chi si è scottato con la minestra, soffia anche quando è fredda.
Raccolti da Umanamente
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La fame
L’argomento “fame” può essere visto sotto tante
sfaccettature:
- l’approccio della
persona;
- medico (obesita,
anoressia, bulimia);
- soggettivo;
- la fame nel mondo
(problema di attualita).
Per quanto mi riguarda ho sempre avuto problemi di nutrizione, nel
senso che, prima dello sviluppo, non avevo completamente lo stimolo
della fame. Mia mamma mi preparava le pietanze più gustose, che a
qualsiasi bambino sarebbero piaciute, ma non a me, e non finisce qui,
perché mangiavo due forchettate di cibo e poi dicevo: “Sono piena
mamma, non ce la faccio più a finire il piatto.”
Dal momento in cui e arrivato il ciclo mestruale la situazione e
mutata: non vedevo l’ora che arrivasse il pranzo o la cena, ma sempre
con moderazione, non sono mai stata una golosona e non so nemmeno dire
se preferisco il dolce o il salato.
Tuttavia ho un problema nutrizionale perché fino ad agosto pesavo 45
Kg. e sono alta 1,65 m., quindi peso molto poco.
Appena ho un problema che non riesco a risolvere, la prima cosa che
faccio e smettere di mangiare e contemporaneamente sparisce lo stimolo
dell’appetito. Sono consapevole che non è la soluzione non dare più
“benzina” al nostro organismo, ma e più forte di me. Mi rendo anche
conto che quando non mangi diventi meno lucido, sei più vulnerabile, il
problema da risolvere lo vedi più grande di quello che è.
La mancanza di appetito o l’esagerazione può essere anche guardata da
un punto di vista psicologico: inconsciamente non mangi o mangi troppo
per attirare l’attenzione su te stesso, perché ci sono i genitori che
ti stanno dietro per farti mangiare o per farti smettere. La persona
che si comporta in tal modo, come ad esempio facevo io, lo fa perché
non si sente abbastanza protetta, non si sente apprezzata, non si sente
presa in considerazione. Non sempre comportandoti così risolvi il
problema dell’attenzione, ma sicuramente lo attenui.
Nel momento in cui non mangiavo mi sentivo più libera, più sollevata,
perché capivo di non aver bisogno del cibo, notavo che comunque
riuscivo a fare le mie cose, a praticare sport agonistico e vedevo i
miei genitori che mi stavano sempre più vicino. Insomma guardavo solo i
lati positivi e quindi ad ogni pasto calavo la quantità di cibo, ma non
lo facevo consciamente, non mi rendevo conto che le cose realmente
erano diverse se non l’opposto.
L’unica cosa che posso consigliare e mangiare con garbo, cinque volte
al giorno e bere tanta acqua perché se no il nostro organismo non
riesce a fare il proprio lavoro e la nostra mente ci fa credere cose
che in realta non sono.
Giulia (Casalecchio)
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Il cibo è l’incubo più grande
Nella mia vita sono sempre stata di buona forchetta,
anche se non mi piace tutto. Mi piacciono proprio quei cibi che dovrei
evitare, quelli piu calorici, mentre quelli dietetici che dovrei
mangiare faccio fatica, per esempio verdura e carne. Preferisco una
bella pizza piccante, patatine fritte e soprattutto i dolci, magari un
bel vassoio di pasticcini tipo bignè alla crema, al cioccolato, i
frollini alla frutta. Mangerei solo queste cose, ma purtroppo a casa
mia devo mangiare altre cose, anche se a volte non rinuncio a queste
tentazioni, che a volte si rivelano un incubo, eh già, un incubo
grandissimo, perché l'ago della bilancia sale e non torna indietro.
Barbara Cardi Gruppo “Arteinsieme” del C.D. di S. Biagio
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Fame
Io di solito mangio il necessario per saziare la fame
che ho e poi mi fermo. Faccio molto sport, mi manca la fidanzata per
cui ho anche fame di sesso. Cerco di sfogarmi in senso artistico
pornografico a colori, in bianco e nero.
Carte di cioccolatini BACI PERUGINA + BOUNTY* = piccolo premio, COLA
GOLEADOR** = COSCIENZA.
Mi sono sempre chiesto se le femmine fanno il mio stesso ragionamento
strappando qualche immagine dal pornografico in bianco e nero o a
colori per farne un collage. Comprare una scatola di baci Perugina, per
mangiarne uno la mia fidanzata e uno io, quindi incollare le carte su
due fogli e scrivere
cose romantiche.
(n.d.r. * il bounty è una barretta al cocco ricoperta con cioccolato al
latte o fondente).
(n.d.r. ** le cola goleador sono Caramelle bi-gusto, alla coca cola e
al limone).
Aramis Gherardi Gruppo “Arteinsieme” del C.D. di S.
Biagio
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Cibo cattivo e cibo buono
Esiste cibo buono solo quando hai fame, mentre quando
non hai fame tutti i cibi sono cattivi.
In principio si usava il cibo per riempirsi la pancia, oggi invece si
mangia per il gusto del cibo, per godersi appieno anche il momento di
riunione intorno ad una tavola. Io mangio di tutto, soprattutto cibo
pieno di sapori, gusto e direi anche di aromi e spezie.
Non so se mangiare molto faccia bene, ma nel passato, nell'impero
romano ad esempio, il re che era al potere e i suoi più fedeli
servitori si mettevano a tavola solo quando questa era stracolma di
mangiare e bere, oggi invece non è più così e di questo sono molto
dispiaciuto.
Il cibo cattivo, di solito, e quello che conta meno, è il cibo buono
che la TV manda in pubblicità.
Per me oggi, che ho 34 anni, il cibo penso che sia al terzo posto come
importanza nella vita di una persona, che sia buono oppure no.
Maurizio Gulizzi Gruppo “Arteinsieme” del C.D. di S.
Biagio
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La fame nel mondo
La fame per me ha una svariata, infinita gamma di
risvolti e di attinenze con il mondo che ci circonda e che ricade sotto
i nostri cinque sensi.
Senza questo potentissimo, e per cosi dire, “immeritorio” istinto di
cui l'uomo è fornito e che lo apparenta agli animali inferiori, nessuno
di noi potrebbe esistere e sussistere.
Il male profondo non è tanto riguardo alla fame in sé per sé, anche
quella di cibi superflui, ma c'è un vero e proprio inghippo: è la quasi
totale sperequazione degli stomaci occidentali che vanno a letto sazi e
sfamati, nel continente nero invece il problema della fame è un
problema con la F maiuscola e si impone con drastica urgenza.
Si progettano voli interplanetari nelle plaghe siderali, si
giustificano ricerche alla scoperta di pianeti sconosciuti per
accertarsi delle qualità di vita che vi si trovano, ci sembra poco… e
in realtà, forse, minimo è il contributo della scienza, perché alla
fine di questa appassionante lotta di titani rimane la bocca amara,
dall'inevitabile certezza che piove sul bagnato e che la vittoria è gia
consacrata dalla potenza mondiale meno sguarnita.
Ma ahimè! che dire, quando si osserva con occhio fino e implacabile
questo nostro pianeta e lo si trova così in preda a guerre e lotte
intestine, in mancanza di pace, massacri e ammazzamenti, inesorabile
crudeltà che sembrano sabotare e distorcere le finalità ultime per le
quali l'uomo "Signore del Credo" è stato preposto a finalizzare quel
concetto di mondi di cui prima ragionavamo. Questa povera, piccola
Terra rimane, con le sue cifre di affamati, miseri, nudi, scalzi esseri
che sembrano nati per un volontario aborto, il pianeta più antico e
quello più moderno, perché è stato destinato dall'onnipotenza divina ad
avere un ruolo di leadership nella storia dell'umanità ed oramai e
divenuto la Cenerentola smunta e insignificante di immensi meccanismi
reconditi.
Anonimo
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L’alimentazione: piaga del Terzo
Mondo e non solo
Quando mi risuona all’orecchio questa parola, il mio
pensiero va primariamente ai paesi sottosviluppati, in modo particolare
all’Africa, che sente fortemente il problema della mancanza di
nutrizione.
Non si può negare l’evidenza: oggi nel mondo un miliardo e duecento
milioni di persone soffrono la fame o sono malnutrite. Immagini di
bambini e adulti dal viso scarno, dai corpi rivestiti di sola pelle e
occhi infossati che solo con lo sguardo chiedono cibo, spesso vengono
evidenziate dai maggiori mezzi di comunicazione, ma con immagini e con
parole non si può risolvere questo problema, che è considerato il
maggiore che il nostro pianeta deve affrontare! Bisogna fare qualcosa e
ognuno di noi puo farlo!
La mancata alimentazione non è solo causa di sofferenza ma anche di
morte: le statistiche dimostrano che ogni sei secondi nel mondo muore
un bambino! A volte contribuiscono ad aggravare questo problema il
pregiudizio e la mancanza di conoscenze. Ci sono donne africane che non
allattano al seno i loro bambini perché quelle che lo fanno vengono
ripudiate dal loro marito. Altre invece ignorano che il latte materno è
la migliore alimentazione, e che durante l’allattamento al seno i
bambini sono protetti dalle malattie, di conseguenza considerano
l’allattamento una perdita di tempo, quindi preferiscono dedicare
questo tempo al lavoro, nutrendo i loro bambini con quello che è
disponibile al momento, aumentando così il rischio di mortalità.
Non tutti però sono insensibili al problema della fame nel mondo; molte
persone dello spettacolo, della musica e molti altri devolvono parte
del loro guadagno alle popolazioni povere, inoltre promuovono campagne
di sensibilizzazione per spronare tutti a contribuire personalmente per
alleviare questo problema. Non si può accettare dai paesi ricchi
opulenza e spreco, quando solo quello che le popolazioni ricche gettano
nella spazzatura potrebbe coprire in gran parte il fabbisogno
alimentare del mondo.
Oggi questa triste realtà è dinnanzi agli occhi di tutto il mondo, e il
mondo non può chiuderli mostrando indifferenza, perché così si rende
responsabile di ciò che accade, mentre può bastare una piccola ma
continua collaborazione con quelli che sentono questo problema.
Questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza del cibo e dare il
giusto valore al denaro, perché ciò che noi consideriamo nulla, per chi
soffre la fame può voler dire 100 e che 1 se donato può diventare 1000.
Mariangela
nella foto, i bimbi di Muyeye
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Riflessioni sul cibo dei soci di
UmanaMente
La musica ed il mangiare sono sicuramente le mie due
principali passioni, riconosco nel cibo gli aspetti emotivi, edonistici
ed erotici.
Vivo il cibo durante la giornata come un pensiero sempre costante, esso
rappresenta per me una sorta di riempitivo. Nell' atto del consumare
cibo ritengo di notevole importanza il luogo e le persone con cui
condivido questo momento. Ho una certa consapevolezza del modo in cui
sarebbe opportuno mangiare; penso alla salute e alla linea anche se
spesso la compulsione nel mangiare ha la meglio, mentre è minore nel
bere. Ammetto di praticare poca attività fisica.
Preferisco particolarmente i sapori dolci rispetto a quelli salati, non
amo la carne e le verdure al vapore, mentre mi piacciono le carote
tritate con olio, il pesce fritto e i peperoni. Nutro una vera e
propria passione per le cucine etniche e sono curioso di provare sempre
cibi nuovi e diversi. I miei cibi
preferiti sono in generale: la frutta, la torta con fragola e panna, i
biscotti al cioccolato col caffe, i tortelloni, il fritto misto di
pesce, le
patate, le melanzane e i pomodori.
Scendendo nel dettaglio a colazione privilegio due arance o una pasta,
meglio se farcita. Un pranzo tipo può essere quello di un piatto di
pasta al pomodoro, pane con olio e sale, una banana o una mela. Nel
caso mangi in citta in un ristorante bio-vegetariano solitamente ordino
un piatto di verdure, un pezzo di pane toscano accompagnati da acqua o
succo di mela. In alternativa a questi normalmente mi posso recare ad
un take-away indiano con menu a base di riso con spezie e piatti
vegetariani, o anche ad un take-away greco dove gustare una “pita”*.
Non è raro che a pranzo possa decidere di sfamarmi con della pizza al
taglio. A metà pomeriggio come merenda mangio con una pasta dolce. La
cena infine è composta comunemente da due taglieri di pizza o
“falafel”**.
(n.d.r. * la pita , in greco πίτα, e un tipo di pane
lievitato piatto e rotondo, a base di grano, di tradizione
mediterranea).
(n.d.r. ** I felafel sono un piatto tipico della tradizione araba,
costituito da polpette fritte a base di fave o ceci tritati con
cipolla, aglio e coriandolo).
Andrea
La mia giornata tipo è: colazione con pasta e caffè al
bar, poi a metàò mattina prendo un altro caffè, a pranzo di solito
mangio pasta condita con ragù, secondo di carne o pesce, insalata e
un’arancia; a cena prediligo le minestre di verdura, i formaggi e le
verdure cotte.
Questa alimentazione si adatta perfettamente al mio stile di vita,
infatti durante il giorno faccio lunghe passeggiate per la città.
Servono molte calorie!
Mi piace molto mangiare e apprezzo la buona cucina italiana in
particolare quella bolognese. E’ mia mamma che cucina in casa e mi sono
abituato bene, infatti mia madre è una ottima cuoca e io apprezzo ogni
giorno i suoi piatti. Apprezzo mangiare in compagnia, andare fuori a
cena e partecipare ad eventi culinari come feste e sagre di paese. Non
ho mai avuto bisogno di cucinare, però ho deciso lo stesso qualche anno
fa di frequentare un laboratorio di cucina in cui con un gruppo di
persone si andava a fare la spesa e poi si sperimentavano ricette per
infine gustarsele.
Da piccolo ho avuto problemi con l’alimentazione nel senso che, a volte
la presenza di mio nonno a tavola mi dava fastidio e così non riuscivo
a mangiare serenamente. Faceva arrabbiare mia madre e si creava un
clima di tensione. Anche alla scuola elementare, che ho fatto dalle
suore, ho avuto dei problemi in quanto vigeva la regola che tutto ciò
che era nel piatto andava finito, invece io nascondevo sempre quello
che non volevo mangiare e venivo messo in punizione. Da ragazzo ho
fatto molto sport e vorrei riprendere a farne ancora per tenere il
fisico in movimento.
Stefano
Il cibo oltre che tenere in vita e servire per
sopravvivere ha molti altri significati, come far passare brutti
momenti e procurare gratificazioni. Preferisco condividere i pasti con
qualcuno e mangiare in allegria, anche se non e sempre stato cosi. In
passato e accaduto di stare per lunghi periodi senza mangiare perché
non riuscivo a digerire. Il mio stomaco si chiudeva, mi dovevano fare
quindi flebo ed imboccarmi. Sono ricordi spiacevoli che ho nella
memoria e so di averli superati solo relativamente. Adesso che vivo in
comunità la nutrizionista mi ha consigliato una dieta dimagrante, ma
fatico a rispettarla e ho problemi, come tremolio dei muscoli,
vertigini e a volte mi sembra anche di cadere. Il mio motto in questo
periodo è: “sacco vuoto non sta in piedi”.
Dino
A me piace molto mangiare, però spesso in questo
periodo dico agli amici: . Lo dico perché sono a dieta, perché ho deciso di
dimagrire. Prima pesavo circa 100 kg, ora sono a 84 e voglio arrivare
almeno a 80. Mi sono dato un obbiettivo! Ho preso questa decisione
drastica perché mi ero reso conto che non riuscivo piu a passeggiare,
facevo fatica anche a fare le scale. Avevo sempre il fiatone e un’ansia
terribile. Spesso andavo al “Mc Donald ” a fare degli spuntini. Sono
calato 16 Kg in 6 mesi, ora sto molto meglio! Sono più leggero e sano,
sto finalmente bene con me stesso. Quando mi sono congedato dai
militari pesavo 68 Kg ed ero sottopeso. Iniziai a fare sport: nuoto e
jogging, facevo 60-80 Km alla settimana e stavo molto bene fisicamente
ed ero arrivato a 80 Kg di massa.
Oriano
Il portamento e lo stare educati a tavola è sempre
stato un elemento caratterizzante nei pasti consumati in famiglia. Il
pranzo per me è un momento simbolico come ritrovo della famiglia. Anche
se col tempo sono venuti a mancare i nonni, questi sono stati
sostituiti dalla mamma e da mia sorella. Col tempo il pasto ha perso la
sua funzione di condivisione. Mi è rimasto comunque un bel ricordo dei
nonni.
Prediligo il salato e il piccante rispetto al gusto dolce.
Difficilmente mi preparo da mangiare da solo, ma in caso di necessità
ho le capacità per farlo.
Un aspetto importante è come è presentato il cibo, se servito in
maniera adeguata e invitante non ho problemi a mangiare quasi qualsiasi
piatto.
In seguito ad un grave incidente ho avuto dei cambiamenti importanti
come: l'abbinare il cibo alle sigarette, mangiare per mandar via
pensieri spiacevoli o non mangiare per intensificare questi pensieri.
Spesso mangio al di fuori dei pasti ed inoltre dal 2000 al 2008 ho
abusato di caffè, arrivandone a berne anche 8-12 al giorno.
Giovanni
La mia dieta personale è, a detta degli esperti,
l’opposto rispetto a quella che dovrebbe essere: mangio relativamente
poco durante il pasto di mezzogiorno, quando invece avrei piu necessità
di sostentamento e quindi dovrei cibarmi di un primo e di un secondo,
mentre la cena, che dovrebbe essere parca, per me rappresenta il
momento in cui mi dedico con maggior voluttà al cibo in sé. Se a tutto
ciò si aggiunge il fatto che amo particolarmente concedermi il lusso di
bermi qualche birra ogni tanto, il gioco e fatto.
Questo fatto rappresenta un problema visto il mio attuale stato fisico
che mi porta ad un peso fuori norma per la mia altezza, spropositato;
un sovrappeso che mi porto appiccicato da anni, come un francobollo,
come un marchio che, indubbiamente, va a minare le basi della mia
personale autostima. Essere fuori forma (attualmente peso 105 Kg per
un’altezza di 180 cm) rappresenta indubbiamente un forte handicap,
soprattutto quando si vive in una societa narcisista e che si basa
molto, forse troppo, sulle apparenze: apparenze che gli altri hanno di
te ma, soprattutto per quanto mi riguarda, l’immagine che io ho di me
stesso. Vedersi ciccione, se mi si passa il termine, mi lede e, come
sosteneva Fitche, ognuno di noi è il risultato dell’immagine che ha di
se stesso, mixata con quella che vede riflessa negli occhi del suo
interlocutore. Nel bene o nel male si deve apparire, la società ce lo
impone, tutto ce lo impone, persino noi stessi ce lo imponiamo e, anche
se non sempre ciò che vediamo riflesso negli occhi degli altri ci
piace, e questo agire, interagire oserei dire, che rende il nostro
viaggiare per questi mari a volte limpidi ed a volte impervi degno di
essere definito vita.
Paolo
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Come eravamo
Trattando di alimentazione, questo numero de Il Faro,
si è pensato di scegliere un animale che rappresenti al meglio questa
tematica; essendo tutti noi di Bologna, il maiale non poteva che essere
la scelta piu ovvia: rappresenta, oltre che una miriade di prodotti
succulenti e prelibati, anche una tradizione culturale che trova le sue
radici nella civiltà contadina del secolo scorso. Questa tradizione
contadina non è del tutto scomparsa, anzi, col tempo si e modernizzata.
Con questo estratto di racconto vogliamo riprendere la memoria di cio
che eravamo e di come eravamo.
Il maiale nella tradizione rurale
“ […] Nel giorno stabilito, […] il norcino con il suo
aiutante, che poteva essere un figlio o un’altra persona della zona,
arrivava a casa dell'agricoltore, in ora antelucana, attorno alle
cinque, a piedi perché abitava quasi sempre nel vicinato, con una
sporta, fatta di cartocci di melica, tenuta sulla schiena, con le
maniglie infilate nel manico del rampone, costituito da un robusto
gancio metallico applicato a una estremità del manico stesso. Nella
sporta c’era tutto il necessario per il suo lavoro: lo scannatore a
baionetta o il coratore, alcuni coltelli taglienti da macelleria,
un’ascia corta, il tritacarne a manovella, ogni singolo pezzo avvolto
dentro a pezzi di tela bianca o a carta da macelleria. I padroni di
casa erano già alzati, avevano acceso la luce che dava sul cortile, se
c’era, e, in particolare, avevano messo un calderone d’acqua sul
fogone, quello che serviva anche per il bucato a mano, per portarla
all’ebollizione: sarebbe servita per raschiare via con un coltello
affilato le setole dalla pelle del maiale, appena ucciso. Controllato
che tutto questo fosse pronto, il maiale veniva fatto uscire dal
porcile, una operazione mesta che era fatta, con maniera, dalla donna
rurale o dal padrone di casa, che meno potevano insospettire l’animale,
usando una voce bassa per chiamare lo stesso e farlo arrivare nel posto
voluto del cortile, vicino al fogone dove l’acqua stava bollendo. Il
maiale andava lentamente dove la voce conosciuta lo indirizzava, con
qualche piccolo grugnito e la testa bassa sul terreno, forse
presentendo che quel mattino era per lui l’ultimo. Come arrivato sul
posto, sotto la luce o al bagliore del fogone , l’aiuto norcino,
d’improvviso, lo arpionava alla gola con il rampone, tenendo sollevato
quest’ultimo in modo che l’animale non potesse sfuggire: a questo punto
l’animale emetteva un acuto, straziante, grido di dolore che durava
lunghi attimi, riempiva il silenzio del mattino e si sentiva a grande
distanza, in tutti i casolari, e, così, per circa due mesi, quasi tutte
le mattine; il norcino, già vicino, con lo scannatore (di uso piu
frequente) colpiva repentinamente il maiale alle arterie del collo e
della trachea, recidendole, e subito ne usciva il sangue a fiotti, che
la donna di casa con un recipiente
raccoglieva, accostandolo alla ferita dalla quale scorreva, mentre
l’aiuto norcino continuava a tenere con forza sollevato l’animale con
il rampone al collo. Il sangue usciva rapidamente, in qualche minuto, e
come cessava, il rampone veniva tolto […].”
“ […] L’uccisione del maiale era forse l’operazione piu significativa,
dal punto di vista umano, di tutte quelle rientranti nei rapporti della
gente rurale con il mondo animale […]. Nell’uccisione del maiale non
comparivano i bambini, nelle case rurali la loro presenza era
volutamente evitata, dovevano rimanere a letto, con la testa sotto le
coperte. Questo animale apparteneva pienamente anche a loro: spesso
erano loro a dargli la mezz'ora di libertà, a farlo uscire dal porcile
e a farlo rientrare, a fargli la guardia, a “scambiare” con lui i
grugniti, ben sapendo che il maiale gradiva chiacchierare a modo suo,
molte volte gli avevano portato nel porcile la manciata di erba fresca,
l’acqua da bere, qualche frutto o almeno le bucce, durante l’anno. Del
maiale, più che degli altri animali, anche i bambini sapevano tutto,
era quasi uno della famiglia, “come un cristiano”, il suo pasto si
preparava in casa, come per nessun altro animale domestico, e lo
accudiva, con quotidiana fatica, la mamma. Non solo i bambini erano
tenuti lontano da questo atto cruento e pietoso, per evitare loro un
trauma, ma anche i grandi ne risentivano pena e turbamento […]. Tutte
le operazioni che seguivano l’uccisione, ovviamente avvenivano su una
carcassa: quella relativa alla fine dell’animale, invece, era carica
del pathos dell’immedesimazione e, certamente, era una delle esperienze
che piu incidevano sul modo di sentire, pensare, vivere i vari tipi di
rapporti e situazioni della gente rurale, che ne era così plasmata, a
livello individuale e collettivo. […]
Estratto dal saggio di Romeo Medici reperibile su:
storage.aicod.it/portale/museidelcibo/Il-maiale-nella-tradizione-rurale.rtf
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Alimentazione e modelli di donna
Le fotomodelle dei mass media hanno rovinato l’icona
che c’era prima, non di Twiggy parlo, ma della matrona rinascimentale,
madre-madonna e generatrice obbligata di figli maschi. Ora c’è una
nuova donna snellissima, giovane e seducente. Le sprovvedute lettrici
di giornali femminili vogliono diventare anche loro “fotomodelle”, e
così iniziano diete che portano poi al conflitto, psichico e sociale
della “balena” con la “ginnasta”.
“Magro” vince sempre, adesso. Quante nevrosi e psicosi iniziano con una
dieta!
Ma è anche, poi, la qualità di quello che si mangia che conta: ogni
giorno introduciamo sulle nostre tavole alimenti coltivati con concimi
chimici, cibi non freschi, “organismi geneticamente modificati” (per
questo ora e nata “l’agricoltura biologica”).
E la famosa malattia della “mucca pazza”, non si è diffusa a causa dei
mangimi chimici? ***
Si mangia molto e si mangia male, così sempre più persone divengono
obese. L’obesità è una malattia grave, che puo accorciare la vita.
Grassi, colesterolo, zuccheri in eccesso, diabete, poco sport e molta
pigrizia, merendine e bevande gassose. E mai niente di fatto in casa,
vivendo con la speranza in una salute migliore, che elevi la qualità,
non la quantità, della vita.
E poi amore, affetto e baci scacciano la fame…
Ave Manservisi
*** Precisazione dell'esperto:
In realtà le malattie si diffondono a causa
dell’utilizzo di mangimi prodotti con farine di origine animale
(carcasse di animali morti, essiccate e polverizzate), che tra l’altro
vengono somministrate ad animali erbivori allevati in batteria.
Salvatore
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Perché non mangiare e bere?
Il metabolismo basso non brucia tante calorie, il
metabolismo alto ne brucia molte. Se vuoi saperlo proprio te lo dico:
per sapere se il metabolismo basale è basso, si puo vederlo mediante il
termometro, ossia se è basso, per esempio, la temperatura è 35,4, se
invece è alto è 36,7.
Mangiare è essenziale, ma è meglio mangiare, direi, quando si ha
appetito.
Ora vi consiglio di non omettere nella vostra dieta: il pane, la carne
o il formaggio o il pesce e la frutta insieme con le verdure; l’estate:
melone, cocomero, pesche, albicocche; d’inverno arance, clementine,
banane, soprattutto mandarini, pere e mele, tutto però con misura.
Invece per quello che riguarda il bere è meglio non lesinare con
l’acqua.
Luisa Paolucci delle Roncole
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Progetto “Mangiare bene”
Premessa
Mangiare: verbo di prima coniugazione della lingua
italiana che deriva dal latino MANDUCARE formato su MANDERE, ossia ‘che
mangia’ ed avrebbe significato di ‘inumidire il cibo di saliva’. La
radice MAND- dà il senso di umido creato proprio dalla bocca. Prendere
alimenti solidi e masticarli in bocca dopo averli inumiditi di saliva e
ridotti in pasta richiama un senso figurato del termine stesso: ‘E’
tutto un mangia mangia, il tutore si è mangiato il patrimonio del
pupillo, mangiarsi l’altrui fatica,…’ sono tutti detti popolari che
richiamano in gioco idee quali il CONSUMARE ma anche l’USURPAZIONE e la
SOPRAFFAZIONE.
In qualche modo, a mio giudizio, l’etimologia ci puo venire in aiuto
nel tentativo di capire e, perché no, captare il disagio che alcune
persone riversano nell’atto in sé del mangiare, in questo atto che per
gli animali é una mera fonte di approvvigionamento di calorie aventi la
funzione di fornire ‘il carburante’ per le loro funzioni vitali ma che
per noi esseri umani dovrebbe assumere connotati edonistici, ossia una
continua, seppur limitata, ricerca del piacere.
Proprio al fine di poter meglio interpretare le possibili cause e,
meglio ancora, avere un’idea piu precisa sui rimedi attuabili in caso
di disturbi alimentari, al DLF si è tenuto un incontro informale, ma
dall’alto contenuto disciplinare tra la dottoressa Valentina Nepoti,
biologa e nutrizionista ed i componenti del gruppo UmanaMente, diretto
dalla dottoressa Elena Pasquali. Il fine dell’incontro riguardava, come
si può evincere dall’introduzione, il tema del mangiare sano e
corretto, finalità propria del Progetto Benessere. Tale progetto è
sviluppato e realizzato su iniziativa di Eli Lilly (casa farmaceutica
n.d.r.) ed ha come intento quello di fornire informazioni e dettami
utili ai pazienti sofferenti di malattie psichiche allo scopo di
garantire loro uno stile di vita sano, per eventualmente lenire gli
effetti collaterali dati dall’assunzione degli psicofarmaci (comunque
funzionali ed indispensabili) sul fisico che, ricordiamolo, di per sé
non fanno ingrassare ma hanno tra le controindicazioni quello di
diminuire il senso di sazietà.
L’intervento psico-educazionale si focalizza su un corretto stile
nutrizionale (ricerca delle corrette abitudini alimentari e scelta
consapevole dei cibi) da abbinarsi con un equilibrato esercizio fisico:
se ambedue questi punti vengono rispettati, l’individuo non dovrebbe
incorrere in variazioni ponderali e non dovrebbe avere problemi
relativi ai propri valori del sangue.
Come sosteneva Feuerbach ‘L’uomo è cio che mangia’… Oggi, nel XXI
secolo, in cui si è aggiunta la variabile degli psicofarmaci, si
potrebbe suggerire che ‘L’uomo è cio che assume’… Se desiderate avere
un corretto e competente punto di vista, pacato, oggettivo, proprio
della Scienza, su come organizzare il vostro menù ed in generale la
vostra giornata, allora leggete quanto ha da dirvi la dottoressa
Valentina Nepoti: il parossistico, eccessivo alle volte, effetto dei
medicinali assunti può essere tenuto sotto controllo seguendo questi
pochi ma fondamentali punti.
Tutto ciò non vi modificherà di molto le abitudini quotidiane: tutto
ciò modificherà di molto il vostro stile di vita.
Incontro della Dott.ssa Valentina
Nepoti e
l’associazione UmanaMente nel laboratorio del venerdì
Il dibattito con la dottoressa Nepoti ha posto in primo
piano l’inutilità delle diete veloci: secondo il parere dell’esperta ad
ognuno va ritagliato il proprio ‘vestitino’, ossia ogni persona è a sé
stante e quindi ognuno di noi necessita di interventi personalizzati.
Il mangiare bene, sano, corretto, si basa essenzialmente su un giusto
compromesso sulla quantità, poiché l’essere sovrappeso porta una
spiacevole conseguenza: la malattia.
La specialista ha introdotto il concetto di sindrome metabolica, ossia
avere 3 malattie borderline , non proprio conclamate, su 4 che sono il
diabete, i trigliceridi ed il colesterolo alto, la pressione alta e
l’obesità.
Per quanto riguarda il colesterolo, è importantissimo notare la
differenza fondamentale che intercorre tra quello buono (HDL) e quello
cattivo (LDL). Mentre quello cattivo deve sottostare a una certa soglia
di osservazione poiché, assieme ad un valore alto dei trigliceridi, può
otturare i vasi sanguigni e causare aterosclerosi con conseguenti
fenomeni ischemici acuti o cronici, che colpiscono principalmente
cuore, encefalo, arti inferiori e intestino;
quello buono è una molecola completamente diversa: “cicciona”, tonda,
liscia, che fa da spazzino e che, passando per i vasi, li pulisce. E’
quindi importante notare che avere un valore alto di colesterolo non
rappresenta per forza di cose un male. Il valore limite del colesterolo
totale è 200 e l’importante è avere un valore di colesterolo buono
maggiore di 50 per la donna e 40 per l’uomo.
Si è appena accennato ai trigliceridi: essi sono come dei rampini che,
come si e detto, assieme al colesterolo cattivo, possono bloccare le
vie venose: come fare ad abbassarli? Non cadete nell’inganno che
un’assunzione eccessiva di frutta faccia bene… Infatti, tutto ciò che
ha componenti zuccherine, come dolci, alcol e per l’appunto la frutta
si metabolizza in trigliceridi: come si e accennato, il benessere
alimentare è anche un compromesso con la quantità.
Il diabete, ossia la mancata produzione di un ormone da parte del
pancreas, si divide in due tipologie: quello di tipo 1, ossia quello
giovanile, dalla nascita, a cui si pone rimedio con costanti e continue
iniezioni di insulina e quello di tipo 2 o alimentare, dovuto quindi a
stili di vita scorretti. E' scientificamente provato che una camminata
tutti i giorni di 30 minuti almeno possa diminuire l’assunzione di
ipoglicemizzanti orali quali la metformina: è importante notare che si
può arrivare alla somministrazione di insulina quando l’assunzione di
pastiglie non ha dato il risultato sperato.
Per quanto riguarda l’attività fisica, la dottoressa Nepoti divide
l’attività furtiva da quella programmata: mentre la seconda e
rappresentata dalla classica partita a calcetto, la prima e posta in
essere da piccoli movimenti giornalieri, quali non prendere l’ascensore
e fare le scale, scendere dall’autobus una fermata prima, parcheggiare
la macchina più lontano, che, presi nel loro insieme, giorno dopo
giorno, possono produrre vantaggi più che estemporanei.
Un’ulteriore analisi è stata svolta sulla compulsione alimentare.
Sarebbe opportuno, per chi soffre di questo disturbo alimentare,
scegliere attentamente i cibi al supermercato e non arrivare mai ai
pasti con una fame vorace, poiché il senso di sazietà, arrivando in
ritardo, ci può portare ad ingurgitare una quantità smodata di cibo: il
consiglio è quello di mangiare poco e spesso, evitando le grandi
abboffate, arrivando ad una quota di cinque
piccoli pasti al giorno.
Altro discorso è rappresentato dall’idea che associa il mangiare al
riempimento affettivo: il cibo è affetto gratis, per cosi dire. Bisogna
mangiare di
pancia, non di testa, come fanno i gatti che, quando non hanno piu
appetito, lasciano lì anche solo tre croccantini…
Per il resto bisogna sempre tenere a mente di applicarsi in attività
alternative, riempitivi dell’anima, soprattutto nei momenti di
sconforto. Mai lasciarsi decadere, soprattutto nel cibo.
Come è scritto nell’introduzione, mangiare significa usare i denti, la
saliva, la bocca nel suo complesso. E’ fondamentale la calma, mangiare
con calma, dare il tempo al cervello ed alle papille gustative di
godersi il pasto senza fretta, accompagnato con il giusto quantitativo
d’acqua, non ha importanza se naturale o gasata (ne occorre al nostro
organismo almeno 1 litro e mezzo al giorno, l’equivalente di 8
bicchieri).
Un discorso a parte va fatto per le bevande zuccherate: esse contengono
una notevole quantità di calorie e bisogna, quindi, fare molto bene
attenzione ai valori nutrizionali e alle calorie. Bisogna sempre tenere
a mente che l’apporto calorico deve essere eguale al reale fabbisogno:
‘cio che entra deve uscire’. Quindi occorre fare sempre attenzione a
ciò che si ingerisce.
Mai mangiare la frutta da sola. Essa aumenta l’appetito ed andrebbe
quindi accompagnata con cracker: da ricordarsi che questi ultimi,
assieme alle patate, sono equiparabili alla pasta e sarebbe opportuno
diminuire l’apporto di quest’ultima nel caso si mangino i primi due.
Come ultimo consiglio, la dottoressa Nepoti ha altamente sconsigliato
saltare la colazione o i pasti in generale: il digiuno fa male poiché
priva il fisico delle necessarie calorie utili alla realizzazione di
tutte le nostre azioni, dalle piu semplici alle piu complesse. Senza
una buona distribuzione di calorie la nostra macchina corporea rischia
di rovinarsi ed andare sotto stress, alterando, in peggio, le nostre
prestazioni giornaliere. Mangiare poco, invece, attiene alla buona
salute: è consigliato un primo a pranzo ed un secondo a cena ma, se si
desiderano entrambi, bisogna dimezzare le porzioni, iniziando con la
verdura per aumentare il senso di sazietà.
Settimanalmente sarebbe da seguire il seguente riassunto: mangiare due
volte carne, due pesce, una volta formaggi, una salumi e una volta
delle uova.
Evitate gli alimenti delle macchinette automatiche particolarmente
‘pastrocciati’… E, quando andate a fare la spesa, oltre a moderarvi
sulla quantità e fare attenzione alla qualità, andateci a stomaco
pieno: andrete meno incontro alle tentazioni…
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Casa Mantovani
Progetto Benessere
Nel gennaio 2009 presso Casa Mantovani è iniziato il
progetto benessere, un corso psico-educazionale sull’alimentazione e la
salute promosso dalla casa farmaceutica Lilly.
Il gruppo dei partecipanti è stato selezionato dall’equipe con
supervisione del medico psichiatra della comunità e si è composto di
undici elementi.
La direzione della RTP ha individuato tre figure referenti per il
progetto:
1 Educatore Professionale (conduttore)
1 Operatore Socio Sanitario (primo co-conduttore)
1 Cuoca (secondo co-conduttore)
Tale scelta è risultata centrale e vincente sin dal primo momento in
quanto i pazienti hanno avuto la possibilità di condividere
quest’esperienza con diverse figure professionali tra le quali,
soprattutto, era presente la cuoca, ovvero la responsabile dei pasti in
comunità.
Nel tentativo di creare una coerenza tra quanto trattato nel gruppo e
lo stile di vita condotto in comunità, sono stati affrontati gli
argomenti riguardanti il movimento e l’alimentazione con la
nutrizionista della Lilly, dott.ssa Valentina Nepoti, ed adattato i
menù della cucina e delle attività strutturate per raggiungere gli
obiettivi prefissati da ogni partecipante.
Il gruppo del progetto benessere si è riunito per la prima volta il 27
gennaio 2009 ed in tale sede è stato consegnato un foglio ad ogni
partecipante, sul quale ognuno ha potuto scrivere la propria
definizione di benessere. Dopo una discussione di gruppo su quanto
emerso, si è giunti alla conclusione che per tutti i partecipanti,
benessere vuol dire:
• stare bene, in
salute
• svolgere
un’attivitè sportiva che ci piace
• mangiare sano
• stare bene con le
persone care
• stare bene con se
stessi
• stare bene al
lavoro
• trovare il giusto
equilibrio tra tutti i punti precedentemente detti.
Le attività straordinarie, avvenute al di fuori degli incontri sono
state numerose e la partecipazione sempre motivata.
Di seguito vengono elencate le iniziative promosse e ripetute diverse
volte durante la durata del progetto:
• Giornata alle
terme: Villaggio della Salute – Castel San Pietro Terme (Bo);
• Ginnastica nei
parchi: Ginnastica dolce e yoga in collaborazione con il quartiere S.
Stefano e Saragozza di Bologna
• Pranzo e/o Cena in
pizzeria e/o ristorante: abbiamo applicato delle strategie per riuscire
a gestire con successo le situazioni in cui si mangia con altri
• Spesa al
supermercato: seguire le indicazioni per evitare lo shopping sfrenato
• Gruppi bicicletta
pomeridiani
• Attività
settimanale di piscina con istruttori (operatori della RTP)
• Maneggio:
Pet-therapy con cadenza quindicinale
• Costruzione di una
piramide alimentare personale e di gruppo con ritagli di riviste e
giornali.
Ogni ospite ha cercato di attenersi a quanto prescriveva il progetto
sull’alimentazione e sull’attività fisica, aderendo alle numerose
proposte, ma anche attraverso un autocontrollo maggiore a tavola e
negli spuntini extra e mediante lunghe passeggiate quotidiane.
Si può sostenere che il progetto benessere abbia introdotto nella
comunità un miglioramento significativo sullo stile di vita dei
pazienti e la diminuzione generale di peso è un indicatore di esito
rilevante.
Il Conduttore Progetto Benessere
Giorgia Busti
Riflessioni dei Partecipanti
A me l’esperienza del progetto benessere è piaciuta
moltissimo. Il Corso mi ha aiutato a dimagrire ed ho perso 13 Kg., la
mia alimentazione è divenuta piu salutare e regolata e sono riuscita a
raggiungere tutti gli obiettivi che mi aveva indicato la nutrizionista.
Paola
L’esperienza maggiormente positiva per me all’interno
del Progetto Benessere è stata l’opportunità di poter usufruire delle
terme di Castel San Pietro. Sono sempre stata molto scettica sugli
insegnamenti del progetto, ma alla fine sono riuscita a coinvolgermi ed
ho imparato ad utilizzare meno olio per
condire le pietanze e masticare molto perché il mio cervello intuisca
che sto mangiando con l’obiettivo di raggiungere prima la sensazione di
sazietà.
Marina
Il progetto Benessere mi ha aiutato nell’attività
fisica. Ho partecipato costantemente al laboratorio di movimento, alla
ginnastica nei parchi e alle terme. Il mio peso è calato anche se poco,
ma ho imparato come devo a fare a selezionare i cibi adatti alla mia
dieta.
Per me è molto difficile mettere in pratica quanto insegna il progetto
benessere perché ho molti problemi depressivi ma ciò che ho imparato mi
ha reso
maggiormente consapevole del mio stato fisico.
Dino
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Ciccia è bello? No, ma si può
guarire
Già da tempo mi dicevo “sto ingrassando troppo devo
fare qualcosa” ed eccomi lì a 41 anni e 120 kg di ciccia steso su un
letto di ospedale alla fine delle ferie con un sospetto di angina
instabile non ancora arrivato all’infarto.
Il mio rapporto problematico con il cibo parte da lontano, non sono mai
stato magro, se non durante le elementari per un problema di sospetta
epilessia per cui mi avevano messo a psicofarmaci che assopivano tante
cose compresa la fame. Poi smessi i farmaci dalle medie ho cominciato
ad ingrassare un etto dopo l’altro, un chilo dopo l’altro. Undici anni
fa mia madre manca, il tumore si porta via anche lei a 64 anni e io
rimasto solo con mio padre ho cominciato ad avere una dieta sregolata,
poi due anni fa a 84 anni manca anche lui. Non si può pretendere che
tutto rimanga immobile e nemmeno la mia pancia nonostante il lavoro.
Devo dire che non mi mancava nulla, tra pizza dalle 3 alle 5 volte a
settimana, pranzi paninari al Mc-Monnez , dolci e 2 brioches a
colazione ogni giorno, facevo un pieno di calorie giornaliero da
brivido. Nessuno che mi metteva in riga (non ho nemmeno la donna), che
mi diceva “smettila di
mangiare ciccione!”.
Negli anni dalla taglia 54 sono passato alla 56 e poi alla 58 e questo
mi dava un senso di frustrazione, dieci anni prima pesavo solo 90 chili
e adesso ero ingrassato di 30 ed era difficile cominciare a trovare da
vestire, non volevo arrendermi ai negozi specializzati in over-size . E
così alla fine delle ferie dopo aver fatto 5 giorni di pranzi e cene in
un albergo montano con primo secondo e contorno il mio corpo ha fatto
partire un campanello di allarme molto intenso. A Pieve di Cadore sono
stati bravi, mi hanno risistemato, fatto una bella visita cardiologica
e poi dopo un solo giorno sono ripartito per casa. Ma lì mi avevano
detto che era necessario fare qualche altro accertamento e io sono
ripartito per il lavoro, ma avevo già dato un taglio importante a pizza
e brioches.
Ma tutto non era stabilizzato e così nuovo problema di sbalzo pressorio
e quando ho mostrato le carte del precedente ricovero che consigliavano
un ricovero ulteriore mi hanno tenuto lì un altro giorno. Quel sabato
mi hanno fatto una coronarografia. L’esame era negativo anzi le mie
coronarie erano piu grandi del solito e quindi sono stato dimesso con
un paio di pastiglie per la pressione da prendere la mattina.
L’esperienza che avevo fatto è stata a quel punto decisiva, non dovevo
perdere tempo, io non sono amante delle medicine e anche i medici
avevano detto “A questo punto sta a lei dove andare o fare dieta ed
esercizio fisico o rimanere con le medicine ed il rischio di ritornare
qui e magari con molte meno speranze di oggi!”.
Nella cassetta della posta avevo gia visto l’anno scorso un volantino
del gruppo “Dimagrire Insieme” tenuto dalla Polisportiva G. Masi e se
allora mi ero detto “potrei provare” in quel momento ho detto “devo
andare!”. Così ho cominciato con la palestra del martedì, il gruppo del
giovedì e la piscina subito dopo il gruppo. Poi ho perseverato nel non
vedere brioches mattiniere,”Mc- Monnez ”
Diego Frasson
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Lavorare in una mensa scolastica
Mi chiamo Lorella e da quasi due anni lavoro in una
mensa scolastica di una scuola elementare. Le mie mansioni sono molte,
ma le più importanti sono: servire i pasti, sparecchiare, lavare le
teglie, le caraffe e i bicchieri sistemandoli nella lavastoviglie;
infine lavo i carrelli sui quali sistemo le stoviglie pulite.
Il rapporto con le dade e le maestre è ottimo, sono molto contenta di
trovarmi in un ambiente cosi accogliente e gioioso.
Secondo me i bimbi dovrebbero mangiare meglio, perché il cibo che la
CAMST fornisce non mi sembra di altissima qualità e neanche troppo
sano. Una volta ho assistito ad un gravissimo fatto: uno dei bimbi ha
trovato nella minestra un grillo gigante.
Lorella Poggioli, per gli amici Lorellina
Nell’ambiente lavorativo e non solo mi chiamano
Cristicchi. Anch’io come la mia amica Lorellina lavoro in una mensa
scolastica, però di una scuola media, da quasi due anni. Anch’io
espleto delle mansioni piacevoli e per me anche un po’ divertenti: lavo
le teglie, riordino e pulisco tavoli, lavo e asciugo brocche.
In questa scuola ho trovato una seconda famiglia e degli esempi da
seguire sia dal punto di vista umano che professionale. Prima di ora
non ero mai riuscita ad aprirmi così tanto.
Anche per me la qualità della mensa dovrebbe essere migliore, perché i
bambini per crescere in modo sano dovrebbero mangiare alimenti genuini:
ognuno di noi e il frutto di cio che mangia.
Cristicchi
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A Bologna di ferragosto
Il campanile sta
come fetta
rafferma di dolce
senza la sua ciliegina
(la banderuola bucata
l'han tolta ieri l’altro)
soli io e te!
Di ferragosto
la città è quasi
un sacco per rifiuti.
Piergiorgio Fanti
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Luna
Persa in questa curva
malinconica
oceani di silenzio.
Astrali nuvole d’illusioni
o notte
di foglie, sorelle foglie
moribonda di dolcezza
vorrei imitarmi
in questo viso.
Poi vedrò rasserenata
quando il sereno sarà chiuso.
Forse a quest’ora
oscillando incanto di un nastro
come una lucciola come una
colomba
fra l’aria
camminando camminando
in cerca d’un amore.
Paola Scatola
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Amici
Non importa il posto
il sole è sempre uguale.
Non importa se è ricordo
o qualcosa che verrà.
Sempre staranno in me
quei buoni momenti che
abbiamo passato
senza sapere….
Non importa dove sei,
se vieni o vai,
la vita è una via da
percorrere,
se c’è qualcosa da dire
o se c’è qualcosa da nascondere,
sempre sarà un amico il
primo a saperlo.
Perché sempre staranno in me
quei buoni momenti
che abbiamo passato senza
sapere.
Anonimo
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Lo scoiattolo
La campagna, dove il sole
batte
sul grano
ed i bambini seduti in cerchio
fanno merenda.
La mattina erano usciti dalle
loro case,
per incontrarsi sotto una
grossa quercia,
mentre intanto uno scoiattolo
con gli occhi belli e grandi
ed una lunga coda
li osserva e pensa gioioso:
CI VUOLE DAVVERO POCO
PER ESSERE FELICI.
Lucio Polazzi
Volersi bene
Il padre col bambino che fanno
volare l’aquilone,
la MAMMA con la figlia
che guardano la televisione.
La vicina che viene dalla
campagna
che porta il pane caldo.
Quanto ci vuole poco,
E
QUANTO È BELLO VOLERSI
BENE.
Lucio Polazzi
Imparare dalla formica
Anche quando nulla ci
manca,
continuiamo a lavorare,
aumentare il conto
più tranquilli ci fa stare.
Non facciamo come la
cicala che d’estate
Il cibo non si procurava.
Guardiamo la formica che
aveva il cibo
Anche d’inverno, mentre
russava.
Lucio Polazzi
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L'oppressione alimentare
Quando ero studente universitario sostenni alcuni esami
di psicologia. Un libro di testo in programma per l’esame di Psicologia
dell’età evolutiva parlava di un’abilità, il turn-taking , che
generalmente l’individuo apprende nel periodo in cui viene allattato
dalla madre. Durante le pause fra un sorso e l’altro, si instaurano
brevi relazioni comunicative con la madre fatte di sguardi, di sorrisi,
di parole rivolte al piccolo dalla madre: a sua volta, il piccolo
impara a rivolgere questi sguardi o sorrisi alla madre alternandosi con
lei.
Questa è la prima esperienza, che dovrà poi essere consolidata da
esperienze successive, in cui il piccolo impara a prendere e a lasciare
il turno durante una comunicazione con un’altra persona o più di una.
Tutto questo accade quando la madre e, come dicono gli psicologi
dell’età evolutiva, responsiva. Se non lo è, queste pause non vengono
utilizzate per relazionarsi col piccolo e ci si deve augurare che il
piccolo possa imparare questa abilità da migliori esperienze successive.
Quando studiai questo tema, mi ci vidi completamente specchiato dentro,
e ciò spiega come dopo tanti anni io mi ricordi ancora tutto questo. Il
fatto che in età successive, dal bambino svezzato all’uomo maturo, io
abbia sempre avuto difficoltà a prendere il turno in una comunicazione
fra persone mi fa pensare che ci sia stato un problema proprio lì, il
che sarebbe poi coerente con altre cose riguardanti mia madre che so
per certo. Ecco allora un primo fotogramma della storia del mio
rapporto con l’alimentazione, relativa alla mia prima infanzia.
Poi e venuta la seconda infanzia e l’adolescenza. Un giorno alla
settimana, il venerdì, si mangiava a pranzo come primo piatto una
minestra in brodo fatta col dado. Penso che nessuno ne sarebbe stato
proprio entusiasta. Ma c’erano gli altri giorni della settimana. Il
primo che si mangiava a pranzo era sempre e immancabilmente la pasta
col ragù. La pasta poteva essere varia, ma il ragù era sempre lo
stesso, quello che mia madre preparava utilizzando un macinato che mio
padre portava a casa da non so dove. O mia madre era una pessima cuoca,
il che è possibile, o era di qualità pessima il macinato usato per il
ragù. Quanto avrei desiderato poter mangiare qualche volta della
pastasciutta condita con semplice passato di pomodoro. Io ero
l’ultimogenito e mi si facevano dei favoritismi, anche se poi li pagavo
a caro prezzo: uno di questi favoritismi consisteva nel condire il mio
piatto di pasta solo con la parte liquida del ragu risparmiandomi i
pezzi di carne. In realtà, quando mia madre condiva i piatti, anche mio
fratello maggiore chiedeva “solo sugo”, ma a lui niente favoritismi. Io
credo che quel ragù non piacesse a nessuno, ma nessuno pensasse mai di
proporre qualcosa di diverso. Mangiare pasta col ragù sei giorni su
sette: troppo importante la carne per poter fare diversamente!
Poi c’era mio padre. Invitava tutti noi figli a non tenere il gomito
sinistro appoggiato sul tavolo. Lui effettivamente non lo teneva. In
compenso, masticando a labbra aperte, faceva tanto rumore che io, pur
avendoci provato qualche volta, non riuscivo a eguagliarlo. Poi, le sue
mani erano di colore grigio. Quando mia madre riusciva a convincerlo a
lavarsele, le bagnava un po’ sotto l’acqua, dava un paio di delicate
carezze alla saponetta, poi si sciacquava sotto un filo d’acqua per
evitare, così sembrava, che le sue mani si privassero troppo a fondo di
quella preziosa pellicola di sporco. E questo è un secondo fotogramma,
relativo alla mia adolescenza.
Più tardi la famiglia cominciò a disunirsi. Dapprima, mio fratello
prese moglie, poi le mie sorelle presero casa per conto loro. Ebbero
almeno la piccola fortuna di andarsene di casa, rispettivamente, a
venticinque e a ventinove anni, mentre io ci sono rimasto fino a
quaranta1. Devo ammettere che, verso la fine di questo periodo,
l’oppressione alimentare si fece piu blanda perché riuscii a
influenzare di più le decisioni di mia madre sul menu, mentre mio padre
trascorreva alcuni giorni della settimana in montagna. Ciò non
significa che non ci siano state altre oppressioni, anche peggiori. E
questo è un terzo fotogramma relativo alla mia giovinezza.
Veniamo all’eta matura. Quando a quarant’anni sono andato a vivere da
solo, l’impatto e stato traumatico e ho dovuto affrontare lunghi
periodi di ricovero in psichiatria. Quarant’anni sono troppi. Bisogna
decidersi prima. Adesso che l’impatto è passato, il mio rapporto con
l’alimentazione è abbastanza buono, pur con qualche problema di
compulsione a mangiare. Io devo sempre evitare, quando faccio la spesa,
di acquistare alimenti troppo invitanti e già pronti, quindi facili da
consumare: niente patatine, dolci, merendine, biscottini, arachidi e
via dicendo. Si pensi che io tengo un pacco di cracker in auto, nel
bagagliaio, perche mi è necessario portarmene dietro qualche pacchetto
quando esco: vi ricorro in caso di fame, perché le condizioni
economiche rendono sconsigliabile frequentare bar e altri locali; ma,
se li tenessi in casa, finirebbero subito, vittime della compulsione a
mangiare. Così, acquisto generi alimentari che richiedono, se non la
cottura, almeno una certa preparazione, cosa a cui provvedo volentieri:
prepararmi il pasto è una delle poche cose che faccio con piacere.
Per il resto, il mio rapporto con la casa è disastroso. Non riesco a
tenere in ordine i documenti cartacei, il che si ripercuote anche
sull’ordine di altre cose e sulla pulizia dell’ambiente. A questo
proposito mi trovo in una situazione che io suppongo essere inconsueta:
non riesco a evitare che casa mia sia una specie di letamaio, ma non
rinuncio a fare la raccolta differenziata.
(1) Vedi il mio articolo intitolato “L’adulto coabitante”, pubblicato
su “Il Faro. Il giornale di tutti ”, n. 3 del Novembre/Dicembre 2009.
Lo stesso articolo e consultabile sul sito
www.associazioneumanamente.org alla pagina “Rubriche/Mel Ancony
racconta…”.
Mel Ancony (Mario Mazzocchi)
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Una volontaria racconta il gruppo
cucito e non solo
Scrivo in un momento di forzato riposo causa un malanno
di stagione.
Pensando ai vari impegni rimandati spero di non dover rinunciare,
giovedì prossimo, al Gruppo di Cucito del Centro Diurno di S. Biagio.
E' un appuntamento piacevole, gratificante, ricco di belle esperienze e
per me salutare.
Il nostro Gruppo è nato timidamente, senza tante pretese, ora è più
numeroso, attivo, affiatato e molto vitale. Condividiamo preoccupazioni
e gioie, si lavora, si scherza e ciascuno partecipa secondo le proprie
capacità spesso riscoperte stando nel gruppo. Si è formata una bella
compagnia in serena e sana amicizia.
L’ultimo incontro è stato particolarmente allegro e movimentato:
persone nuove ci hanno fatto visita, nuovi lavori programmati e nuove
idee da sviluppare per il nostro mercatino. Due ore sono passate in
fretta.
Spesso mi trovo a dover lavorare un po’ discosta dal tavolone attorno
al quale ferve il lavoro vero e proprio, ma ugualmente li sento tutti
vicini. Ascolto le voci e seppur assorta nel mio compito “vedo”
l’espressione dei loro volti, tanto mi sono familiari. Di ciascuno,
anche adesso, ho un ricordo particolare:
- Il signor “C” per quanto silenzioso e attento ad eseguire con
precisione il punto croce, è ugualmente partecipe a ciò che accade e le
sue osservazioni sono sempre azzeccatissime.
- La signora “M” è una mamma molto sensibile anche ai problemi degli
altri. Lavora alacremente con entusiasmo e generosità.
- La signorina “L” è molto accurata nel vestire con accessori sempre
coordinati. Lavora con puntiglio ed è giustamente orgogliosa dei suoi
manufatti che custodisce gelosamente.
- La signora “V” ha tanta voglia di fare. E' dolce, un po’ timida, con
una luce gioiosa negli occhi che esprime ciò che prova.
- La signora “C” del Centro Diurno Anziani parla pochissimo e per
questo, giovedì scorso, mi ha piacevolmente sorpresa. Con grande
naturalezza e molto buon senso ha espresso il suo parere su un lavoro
dimostratosi poi effettivamente dispendioso in termini di tempo.
- La signora “P” sempre del Centro Anziani e un ragazzo di nome “S”
sono i nuovi arrivati. Li ho visti sereni e disponibili. Pur non
conoscendoli bene ho avuto l’impressione che si siano trovati a loro
agio.
- La signora “S” e un simpatico giovanotto “M” sono tornati a lavorare
e non hanno più tempo di venire. Ci mancano e li ricordo unitamente
alle signore “C” ed “E” che spero ritornino con la buona stagione.
- Ricordo la signorina “C” del Gruppo del Cuoio che è stata mia valida
aiutante. Spero di rivederla.
- La signorina “A” è una tirocinante, carina, gentile e sorridente.
Piena di buona volontà e disposta a cimentarsi con entusiasmo anche in
lavori che non aveva mai fatto prima.
- L’operatrice referente del Gruppo, signora “K” è coinvolgente e
travolgente. Un vulcano di vitalità. A volte la sostituiscono due
colleghe del C.D., signore “D” ed “E”. Sono premurose, pronte ad
aiutare con tatto e precisione. Ho la sensazione che si divertano anche.
- Le altre mamme volontarie sono “amiche”. Basta la parola. Siamo
proprio un bel gruppo.
A questo punto c’e da chiedersi: “cosa c’entra il cibo?” C’entra!
C’entra!
Ricordo bene l’ultimo incontro prima delle ferie estive, lo scorso
anno. Accantonati ago, ferri e uncinetto abbiamo messo in opera
forchette e coltelli.
Con una buona pizza abbiamo saziato lo stomaco e scambiandoci racconti
e confidenze con spontaneità e gaiezza abbiamo alimentato lo spirito.
Alla fine abbiamo deciso di non sospendere gli incontri estivi per
continuare a vederci.
Il cibo è di per sé gratificante e gustarlo con persone amiche è ancor
piu buono.
La condivisione è un momento speciale di aggregazione e mi sembra un
giusto abbinamento al Gruppo di Cucito, perché non ripetere
l’esperienza?
Percio ben venga una prossima occasione – tutti insieme SERENA… MENTE.
"D" mamma volontaria
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1999-2009 Decennale Diavoli
Rossi: passato, presente e...
Il 12 dicembre scorso i “Diavoli Rossi” che da circa un
anno si sono costituiti in Polisportiva che comprende familiari,
operatori, volontari, utenti e cittadini, hanno festeggiato un doppio
evento: il Natale e il decennale della loro nascita.
L’evento ha visto il coinvolgimento di parecchie realtà, istituzionali
e non, quali ad esempio i Comuni di: Vergato, San Lazzaro e
Casalecchio, che hanno concesso non soltanto il loro patrocinio, alcune
rappresentanze dell’Anpis e delle U.I.S.P., di Casa Mantovani e di
alcuni servizi socio-sanitari, psichiatrici ecc.
Sono intervenuti anche operatori e utenti del gruppo sportivo del
C.S.M. dell’Aquila con i quali si è stretto un affettuoso rapporto di
collaborazione e di amicizia, iniziato con un mini-soggiorno realizzato
in Abruzzo tra il 29 e il 31 Ottobre 2009.
In questa circostanza una delegazione dei “Diavoli Rossi” oltre a voler
rendersi conto di persona della drammatica situazione post-terremoto di
questi luoghi e delle persone qui residenti, ha voluto portare un aiuto
concreto e tangibile, frutto di una raccolta fondi.
La buona riuscita della manifestazione è stata motivo di orgoglio,
commozione e soddisfazione per gli operatori coinvolti da anni nel
progetto, segno questo che quando si crede profondamente nella valenza
e nella ricaduta positiva di qualcosa, i risultati arrivano e come!!!
Non è una novità che già da tempi remoti si crede nell’importanza del
moto e delle attività fisiche riassunte magistralmente dal detto
latino: “Mens sana in corpore sano”.
A questo proposito c’è da aggiungere che Simona, una Tirocinante
Psicologa presso il C.S.M. di San Lazzaro, che ricopre anche il ruolo
di segretaria della Polisportiva, sta lavorando ad una ricerca che,
attraverso l’analisi di alcuni dati relativi agli intenti dei tre
C.S.M. ex BOLOGNA SUD, permette di quantificare i benefici
dell’attività che ha visto, ad esempio, una drastica riduzione dei
ricoveri negli ultimi cinque anni.
I “Diavoli Rossi” approfittano dell’occasione per ringraziare quanti a
vario titolo si sono prodigati per la realizzazione del loro decimo
compleanno.
Concetta Pietrobattista e Franca Pastorelli (Pres.
Polisportiva Diavoli Rossi)
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FareAssieme: la nostra scuola a
Muyeye
Cari amici e lettori de Il Faro , dopo le straordinarie
esperienze di “Quel treno speciale per Pechino” (2007) e di “Patas
Arriba” in Argentina (2008), siamo di ritorno da un’altra incredibile
“avventura” questa volta in terra Africana: per il progetto
“Fareassieme la nostra scuola a Muyeye ”; nei mesi precedenti alla
nostra partenza ci siamo attivati, in tutti i modi possibili e
immaginabili per raccogliere i soldi necessari alla costruzione di una
scuola professionale nel villaggio di Muyeye, vicino a Malindi, nello
stato africano del Kenya. Ciò è stato reso possibile dalla generosa
partecipazione di amici, colleghi, cittadini che hanno risposto alle
nostre iniziative di autofinanziamento in modo attivo e partecipe.
Il nostro contributo si unisce a quello di altri gruppi delle Parole
Ritrovate provenienti dalla nostra e da altre regioni e città italiane,
insieme all’Associazione di Volontariato Itake, che da anni è attiva
nella collaborazione con lo stato africano.
Due parole sul viaggio
Il nostro gruppo è partito dall’aeroporto di Verona il giorno 26 di
febbraio insieme ad altri gruppi regionali (Imola, Parma e Modena); era
composto da 3 operatori, 5 utenti, 2 familiari e 2 volontari. Il gruppo
emiliano romagnolo era composto in totale da 35 persone, a cui si sono
aggiunte altre 4 persone tutte studenti della scuola di Cinematografia
di Roma che hanno girato un documentario sull’esperienza di questo
viaggio, sulla sua preparazione, il suo svolgimento e le sue
inevitabili ripercussioni nella vita futura dei suoi protagonisti.
Il viaggio si è svolto dal 26 febbraio al 6 marzo, per un totale di 9
giorni, durante i quali il nostro gruppo si è recato piu volte al
villaggio e al cantiere della scuola, per poter vedere di persona lo
stato di avanzamento dei lavori e fare conoscenza dei suoi abitanti e
dei suoi studenti, che a centinaia ci hanno accolto, seguito, toccato e
con i quali abbiamo cercato di trovare un modo per comunicare. La
realtà del villaggio e dei suoi abitanti è una realtà non facile per
l’inevitabile incontro anche con la loro estrema povertà: il loro
bisogno di cose materiali, che vanno dal cibo al materiale scolastico,
ai vestiti, a tutte quelle cose che noi diamo per scontato si debba
avere e che per loro non sono garantite né scontate. Allo stesso tempo
però molti di noi hanno considerato che la povertà di cose
corrispondeva ad una grande ricchezza dal punto di vista umano: la loro
accoglienza è stata sempre calorosa,
generosa e calda, il loro sorriso era aperto e disposto al contatto.
Ricordiamo inoltre se volete avere ulteriori e piu approfondite
informazioni, resoconti, fotografie relative al viaggio, alle
esperienze analoghe degli anni scorsi, al Movimento de Le Parole
Ritrovate, del Fareassieme e tanto altro ancora potete visite il nostro
blog: www.unramodifollia.blogspot.com
E ora la parola passa ai viaggiatori, ai loro pensieri, le loro mail, i
loro sms, che cercheranno di descrivere almeno in parte la loro
esperienza e le emozioni che hanno vissuto.
Daniela scrive:
La prima sensazione che ho avuto atterrando in questa terra è stata di
minoranza, un puntino bianco in un mare nero. Ma è un’emozione
sicuramente diversa da ciò che provano loro a casa nostra. Noi siamo
una minoranza che cammina a testa alta i mezzo a queste persone, che si
sente padrona in una terra non sua. E il loro modo di essere
servizievoli conferma quasi l’idea della nostra superiorità su di loro…
No!! Chiudi gli occhi e tocca un viso, troverai che occhi, naso, una
bocca, non il bianco e il nero… per capire se il viso toccato e bianco
o nero, dipendera dalla presenza o meno di un sorriso!!!!!
Maurizio scrive:
Per AUSL
“Faccio parte di un gruppo che fa parte di un altro gruppo che a sua
volta fa parte di un altro gruppo e finalmente l’ultima ruota del carro
è riuscita a rotolare fino a qui in Africa partendo con l’aereo,
scivolando su tutta l’Italia e meta Africa!!! è stato un soggiorno
gestito in un mondo di povertà, è stata un’impresa importante per farci
capire che i soldi non sono tutto nella vita. Facendo passare una
escursione programmata al giorno mi rendo conto che si parla di un
percorso che non finira mai!!!!”
MUYEYE
Vi racconto di Muyeye e non solo: siamo quattro gatti e i gatti hanno
sette vite, questa è l’impressione che gli abitanti di Muyeye mi hanno
dato. Forti e intelligenti per quanto gli è possibile rompono le
barriere che arrivano al centro del cuore.
LA RADIO
Compagna di vita
Assolutamente fedele
Mi raggiunge anche qui
Lontano dal paese
Civilizzato e regolato
Qui dove tutto può essere
Frainteso e estremizzato;
Io sapevo che alla fine
Radio popolare ci permetteva
Con un collegamento
Di respirare e quindi finire
Quella piccola remota
Aria italiana
Che era rimasta dentro al petto!
Per CSM CIMAROSA
I Love Kenya!
Sono arrivato qua in Kenya e mi sembrava non vero solo dopo poco mi
sono reso conto che il sole e l’aria erano diverse. Le donne qua sono
belle quasi magiche; e le cose che mi proponete voi per loro sono
scontate.
Quando torno dipingete il volto di nero altrimenti faro fatica!!
Egidio scrive:
4 marzo 2010 La folla – uomini, donne e bambini kenioti
Con un balzo di 7.000 km. Nella notte siamo scivolati dalla bruma
padana all’aeroporto di Mombasa. Al nostro arrivo, prima dell’alba, la
temperatura era di 28°.
Durante il trasferimento in bus a Malindi, la nostra destinazione, una
moltitudine di persone si spostava a piedi sulle carreggiate laterali
in terra battuta in ogni direzione, di buon passo, ognuno verso mete a
noi sconosciute. Quasi una migrazione silente nel traffico convulso di
camion, vecchie auto, bus.
Il primo impatto con la “nostra” scuola a Muyeye ha avuto un aspetto
simile; qui una moltitudine di bambini: 1750 studenti su 20.000
abitanti del villaggio. Ti circondano, molti ti prendono per mano,
“ciao baba”, in italiano chiedono il tuo nome, si entusiasmano di
venire fotografati e sottovoce con dignità ti chiedono “caramella”,
“cento scellini” e ti seguono a grappoli.
Il loro abbigliamento denota tanta poverta.
La prossima volta vi parlero ancora di loro. Jambo!
Lamberto scrive:
“Cari compagni di viaggio, sono ormai quattro giorni che siamo arrivati
in Kenya, facciamo un primo bilancio.
In Resort tutto è stupendo, ottimo ristorante anche se i ritmi sono un
po’ lenti, la camera è grande e accogliente dotata anche di cucina. E'
divertente farsi un giro per Malindi con il tuk-tuk o a piedi, il costo
è minimo, la gente è cordiale e non ti infastidiscono.
Ho passato una bella serata al Disco Bar con Sandro, c’era musica
afro-cubana, frequentato prevalentemente da italiani, le ragazze
scambiano volentieri quattro chiacchiere se gli offri qualcosa da bere.
Diverso il discorso di Muyeye; siamo andati lunedì in tuk-tuk, siamo
stati attorniati da una marea di bambini; foto di gruppo e presa
visione della scuola in costruzione.
Qualcuno mi aveva parlato del mal d’Africa - adesso sto cominciando a
capirne il significato”.
Anna scrive:
La solita, consumata rivista della compagnia aerea, sfogliata
distrattamente in un momento di annoiata attesa dell’imminente
atterraggio, mi svela inaspettatamente il senso di questo viaggio, di
questa nuova avventura appena incominciata. Una frase, scritta da una
non meglio identificata scrittrice e che dice pressappoco cosi: “Chi
viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta”.
Questo viaggio è stato l’incontro: con l’altro che sta fuori di noi, il
nostro compagno di viaggio, quello già conosciuto e riconosciuto e
quello ancora da scoprire, con le sue differenze, con le sue
spigolosità, con le sue caratteristiche che immediatamente ce lo
rendono familiare, oppure ostile, forse amico.
L’incontro con l’altro che sta fuori di noi e che ci accoglie in una
realtà diversa dalla nostra, che ha un colore diverso, un sorriso
disarmante, lo sguardo accattivante, alle volte distante, più spesso
amico, quasi mai disinteressato.
E poi l’incontro con il “nostro“ altro, quello interno, quella parte
che viene fuori, emerge, in tutta la sua crudele, inaspettata, e
sgradita presenza, quell’altro brutto, negativo, cattivo, che non
pensavamo di avere dentro, che credevamo non ci appartenesse e che
invece, provocato, emerge sulla superficie delle nostre supposte e
rassicuranti buone qualità.
A botta calda, dico, che questa esperienza mi ha messo a confronto
diretto con le mie profonde contraddizioni, con il mio senso di
impotenza, di fronte alla richiesta semplice, diretta, immediata dei
bambini, che a centinaia si affollavano intorno a noi nel villaggio e
che quella presenza assillante riusciva nel giro di pochi minuti a
diventare invadente, proprio perché legittima, fastidiosa, proprio
perché diretta al cuore, al cuore nostro e al cuore del problema, che è
il nostro avere troppo e il loro avere nulla e non riuscire a gestire
questa contraddizione e questa ingiustizia nel nostro modo classico,
razionale e politicamente corretto; quella presenza che smetteva d’un
tratto di essere gratificante e tornava ad essere fastidiosa come una
mosca che vorremmo se ne andasse da sola e non vorremmo essere
costretti a scacciare, a scacciare in malo modo, persino a schiacciare,
per non sentirne piu il ronzio.
Nonostante tutto però siamo riusciti a “starci dentro”, nessuno
escluso, e questo è un punto a nostro favore; non ci siamo sottratti,
abbiamo accettato di poter stare anche male, decisi a ricavare da
questa esperienza il massimo della positività, per farne bagaglio
prezioso per il nostro ritorno, da viaggiatori che hanno viaggiato
davvero.
Mail da Malindi
Cari amici del Centro Diurno e non solo (!), ogni mattina alcuni di noi
vengono all’Internet point di Malindi a scrivere un breve diario di
bordo (che spero possiate vedere pubblicato sulla Intranet aziendale),
spesso a riportare i pensieri di alcuni viaggiatori che hanno avuto
voglia di mettere nero su bianco le loro prime impressioni su questo
fantastico viaggio. Oggi per esempio vi faccio avere alcuni pensieri
scritti da Maurizio e da altri compagni viaggiatori.
Oggi sarà una giornata impegnativa per noi: andremo al villaggio di
Muyeye per condividere con gli abitanti del villaggio un pasto cucinato
da loro, poi nel pomeriggio torneremo alla scuola dove i bambini fanno
merenda e cercheremo di conoscerli meglio. I bambini sono migliaia,
sbucano da ogni angolo del villaggio e ti vengono incontro parlando
qualche parola della nostra lingua che hanno imparato a conoscere per
“lavoro”: nella nostra lingua ci chiedono ogni cosa, dalla penna alla
maglietta, alla caramella, ai soldi - non e facile per noi, vorremmo
poter avere qualcosa per ognuno di loro, ma migliaia di cose non
basterebbero perché loro sarebbero di piu. L’incontro con questa realtà
e molto duro, difficile, e ci mette a confronto con le nostre
contraddizioni ed i nostri profondi ed irrisolti sensi di colpa.
Proviamo a fare ciò che possiamo, portando con noi per loro ciò che
siamo anche se spesso non e ciò che loro vorrebbero avere da noi.
Per lasciar decantare un po’ questo groviglio intenso di emozioni, ieri
siamo stati in barca a visitare la barriera corallina: abbiamo fatto il
bagno nell’Oceano Indiano, ci credete!?, abbiamo mangiato il pesce
cucinato per noi, buonissimo, abbiamo visto un mare azzurro come
l’acqua della più bella delle piscine: anche in mezzo a quel paradiso
non sono mancati i tanti venditori di collanine, parei, braccialetti,
un assalto alla diligenza, solo che invece di essere su una diligenza
eravamo sulla barca!
Il gruppo si difende bene, ognuno cerca di assorbire le emozioni,
difendersi dall’impatto forte con questo mondo tanto diverso; la
povertà è molto diffusa, ma la gente sembra avere un atteggiamento più
sereno nei confronti della vita e delle persone: qui siamo tutti
“diversi”: è come se una diversità (la nostra) confrontata con un’altra
(la loro) le annullasse a vicenda!
Domani partiremo all’alba per un mini-safari di un giorno a vedere i
leoni, le gazzelle, I ghepardi e chissà cos’altro / ve lo racconteremo.
Un abbraccio a tutti.
SMS da Muyeye
28 febbraio 2010
Carissima, sta andando tutto bene. Tutto è un colore e una sensazione
nuova. Che dire? Entra nella pelle e lì rimane. Elettra e Maurizio sono
splendidi, un onore averli qui a ricevere con noi il sorriso della
gente, ovunque e sempre e non solo per interesse!
1 marzo 2010
Carissimi, oggi primo impatto con il villaggio e i suoi mille bambini!
Non è stato facile, un misto di emozioni fra loro contrastanti, tutte
fortissime, intense, profonde. La nostra cattiva coscienza con cui fare
i conti, non sempre pari.
Meteorologicamente parlando un bel temporale tropicale per alzare
un’umidita già alta. Però stiamo tutti bene, senza caghetto del
viaggiatore!
28 febbraio 2010
Qui in terra africana si comincia ad acclimatarsi, è bello e faticoso:
odori, colori, facce, sapori diversi, un grande sforzo di adattamento.
Il gruppo molto eterogeneo non facile ma anche il gruppo dei veterani
che aiuta a far funzionare tutto benissimo!
Grazie a tutti da:
Egidio Bracco, Mara Brandoli, Fabio Caselli, Anna Compagnoni, Ombretta
Fabbri, Maurizio Gulizzi, Fabio Guerra, Lamberto Mattioli, Maria Katia
Monti, Sandro Parisini, Elettra Piatesi, Daniela Zaniboni
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La vacanza “sfumata”
La mia estate è stata tutta un disastro completo: da
dimenticare. Il 3 di giugno sono caduta in casa e mi sono rotta il
femore: un mese di Ospedale.
Nel frattempo, alla metà di giugno dovevo partire per il mare con il
Centro Diurno di San Biagio, ovviamente è andato tutto all’aria,
peccato, ci tenevo tanto! Hanno preso male, però, perche il tempo era
brutto: siamo pari no? Ah, ah, ah.
Un mese dai miei genitori a Bologna per la convalescenza: un incubo e
una depressione: non facevo altro che piangere, e mia mamma si è dovuta
sorbire i miei alti e bassi, poverina.
Il 2 agosto sono partita per le mie solite vacanze spirituali, ma non
mi sono divertita per niente, perché avevo le stampelle e non potevo
fare volontariato come gli altri anni. In quest’occasione sono stati
gli altri a prendersi cura di me.
Sono sette anni che abito in questo appartamento di 35 mq., è troppo
piccolo per me: non so dove mettere le cose che ho, non so come
muovermi perché lo spazio è ridotto. Sì, ho un tetto sopra la testa
(molta gente purtroppo non ce l’ha), ma mi piacerebbe avere almeno una
stanza in più, dove
mettere il PC, un letto a castello (così quando vengono le mie figlie,
le metto lì), un divano, il mobile che ho in camera e la cyclette,
visto che ho tutto in camera da letto. Sarebbe il mio sogno.
Sabrina Soffri
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Errata Corrige
1) Il Faro di giugno/luglio 2009 era il N. 2 dell’anno
III, non del II.
2) l’inserto IL LAVORO, allegato al suddetto N. 2 e l’intervista al
dott. V. Trono in esso contenuta non era da attribuirsi alla sola dott.
Elena Pasquali, come scritto nell’editoriale, ma a tutti i partecipanti
al laboratorio editoriale dell’Associazione UmanaMente.
3) A causa di un disguido è stato allegato solo a parte delle copie de
Il Faro di nov. / dic. 2009, N. 3 dell’anno III, l’inserto con
l'intervista all'ex assessore Milena Naldi del Comune di Bologna
sull’assegnazione delle case popolari agli utenti psichiatrici, sempre
prodotto dall’Associazione UmanaMente.
4) L’articolo “La Casa”, a pag. 9 del suddetto numero 3, è uscito
anonimo mentre era firmato da Gigliola. Ce ne scusiamo con gli autori e
i lettori.
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