Il senso delle voci


Sogno o realtà?


L’esperienza del sentire voci è testimoniata in tutti i tempi e le culture fino dall’antichità, ma il significato ed il valore attribuito al fenomeno, così come la considerazione attribuita a chi ne fa esperienza, è cambiato enormemente nelle diverse epoche e a seconda dei contesti sociali e culturali di riferimento.
Da un punto di vista storico, per la Chiesa il sentire voci poteva essere considerato prova di una possessione demoniaca, frutto di stregoneria, oppure una manifestazione eretica. D’altro canto, molti martiri e santi sono stati riconosciuti tali proprio in virtù della loro capacità di sentire voci con contenuti di tipo mistico: si pensi, ad esempio, a Giovanna D’Arco e Giordano Bruno, a San Francesco, a San Paolo e Santa Teresa d’Avila e, infine, anche a Maria Teresa di Calcutta.
Ancora prima dell’avvento della Chiesa, il sentire voci è stato considerato per secoli e a molte latitudini un vero e proprio “dono divino”: i padri fondatori delle grandi religioni monoteiste, come Gesù e Maometto, si sono fatti guidare dalle loro voci come espressione dell’essere prescelti da Dio.
Anche nelle culture antiche come quelle egizia e greca, sentire le voci dei morti e degli dèi era considerata un’esperienza normale e l’intera comunità si rivolgeva ad oracoli e sacerdoti prima di prendere decisioni importanti sia nella sfera personale che in quella collettiva (si pensi alle vicende narrate nell’ ”Iliade”). Ancora oggi in molte tradizioni sudamericane, asiatiche ed africane la capacità di sentire voci, pensate come provenienti dall’aldilà, è una caratteristica di guaritori e sciamani, persone che godono di riconoscimento e che occupano posizioni di potere nella scala sociale del gruppo al quale appartengono.
A partire dall’ 800 anche le scienze psicologiche hanno iniziato ad occuparsi del fenomeno del sentire voci. Si iniziò a pensare che esistesse qualcosa (“anima universale, fluido sottile, aurea eterea”) che pervade l’intero universo e che si estende nello spazio e nel tempo attraversando anche il singolo individuo, e lo connette con qualcosa di cosmico che rimane al di là della comprensione umana. Nei primi del '900 Jung elaborò la sua idea dell’“inconscio collettivo”, considerando le voci (che lui stesso aveva sentito) come la manifestazione di un contatto con il mondo inconscio e spirituale che tutti noi condividiamo. Non bisogna dimenticare che lo stesso Freud, benché non amasse dichiararlo pubblicamente, era membro della “Società per la Ricerca Paranormale” e convinto che in analisi avvenissero fenomeni di telepatia fra analista e paziente.
Lo psichiatra M. Romme basandosi sull’alta correlazione dimostrata da numerose ricerche fra la presenza di voci e quella di eventi traumatici nella vita degli uditori e sulla “teoria psicologica della dissociazione”, spiega le voci come parti della personalità o dell’esperienza dell’uditore che sono state “allontanate da sé” e che svolgono un ruolo da “messaggeri”. Poiché, come cita un ben noto proverbio, “ambasciator non porta pena”, l’atteggiamento consigliato non è tanto di allontanare o di cercare di sopprimere le voci ma piuttosto di ascoltarle e di cercare di decifrarle per comprendere quello che stanno cercando di dire ed il loro significato per chi le sente. Questo approccio alle voci può ricordare per alcuni aspetti l’ipotesi freudiana sull’interpretazione dei sogni, un po’ come se le voci potessero essere considerate espressione di emozioni e di contenuti mentali inconsci dell’uditore (che rimane pur sempre il “regista” del suo teatro interno) che, analogamente a quanto accade per i sogni, si esprimono in modo simbolico e non sempre comprensibile ad una prima lettura.




Che cosa sono le voci?


Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli-Zanichelli attribuisce significati diversi al termine “allucinazione” (più legato alla concezione della psichiatria classica) ed a quello (che preferiamo usare) di “voce”. Mentre l’allucinazione è definita come una “percezione senza oggetto, ritenuta reale dal malato” (uditiva, visiva, sensitiva) con l’accezione quindi di “travisamento, abbaglio, inganno”, la voce è considerata un “richiamo, suggerimento, impulso interno dell’animo (es. voce della coscienza) e si riferisce alle “sensazioni o allucinazioni uditive di mistici e di visionari (es. sentire le voci)”.
Questa differenza semantica rimanda a due modelli diversi di lettura del fenomeno: l’uno portatore dell’idea che le voci costituiscano il sintomo di una psicopatologia, l’altro più centrato sul significato che le voci hanno per l’uditore.
Tutto ciò porta a pensare che «la differenza tra pensiero, coscienza e “voce” sia più sottile di quanto possa apparire e che l'essere “uditore di voci” può essere considerato anche solo un modo diverso di sentire il mondo attorno e sé stessi» (Romme, Escher).
Attualmente esiste una grande varietà di ipotesi relative all’esperienza dell’udire voci, che possono essere raggruppate in due grandi categorie.

1. Le spiegazioni psicologiche: per lo più considerano le voci come provenienti dall’interno dell’individuo.
Per la psichiatria classica le voci sono sintomo di malattie o di disfunzioni gravi quali la schizofrenia, la depressione maggiore, gli stati maniacali nel disturbo bipolare, i disturbi dissociativi, i gravi disturbi di personalità, l’epilessia del lobo temporale o l’uso di sostanze. Si tratta di una spiegazione che classifica da un punto di vista nosografico il fenomeno (criteri osservabili relativi alla forma con cui questo si manifesta) ma che tende a non interessarsi al significato delle voci, ovvero al loro contenuto, e ad affrontare le allucinazioni uditive principalmente attraverso l’uso dei farmaci neurolettici.

2. Le spiegazioni non psicologiche (religiose, spirituali, paranormali): ritengono che le voci provengano dall’esterno dell’individuo e che solo alcuni siano in grado di percepirle. Secondo queste prospettive molte voci vengono attribuite a guide personali o mèntori che preparano verso un cammino spirituale (Myrtle Heery), sulla base dell’idea che il divino possa essere scoperto all’interno della coscienza umana e che possa rappresentare una possibilità di evoluzione e di elevazione per la persona che lo avverte.

Come ha sottolineato S. Escher, la differenza più significativa fra le diverse spiegazioni che sono state date delle voci è “quella fra le prospettive che considerano le voci come maestre di un percorso interiore e quelle che le considerano come un sintomo di malattia”.




Quale guarigione possibile per l’uditore?


La definizione di “guarigione” per l’uditore di voci non è certo univoca. Coleman ritiene che la guarigione o “recovery” sia rappresentata non tanto dalla guarigione “clinica” (intesa come scomparsa dei sintomi) o da quella “sociale” (intesa come capacità di adattamento e dipendenza dall’ambiente), quanto piuttosto da quella che lui chiama “guarigione personale” e che definisce come la capacità di avere una propria autonomia dalle voci (comprendendo che le conseguenze di quello che fai sono tue, anche se sono state le voci ad ordinartelo), di rimettersi al centro della propria vita e di assumersi la responsabilità del proprio benessere (esercitare il proprio potere sulle voci). In questa ottica, l’etichetta diagnostica toglie speranza e forza all’uditore di voci, rendendogli quindi più faticoso e difficile intraprendere il proprio percorso di guarigione. La “proprietà dell’esperienza” è il primo passo verso la liberazione per Coleman, che riassume l’essenza della guarigione per gli uditori di voci nella massima: “vivi la tua vita, non quella delle tue voci!”. Coleman aggiunge anche che: “per definizione, guarigione vuole dire interezza, e nessuno può essere intero se è isolato dalla società in cui vive ed opera”.




VADEMECUM


Di seguito un elenco di “piccoli consigli” per gli uditori di voci ma anche per chi sta loro vicino (familiari, amici, operatori, specialisti…) senza dimenticarsi che avvicinarsi all’esperienza del sentire voci vuol dire aprire la propria mente a nuove possibilità, recuperare un approccio umanistico e spirituale e un po’ di quel “senso del magico” che fa parte dell’uomo, per poter comprendere questa esperienza straordinaria ed aiutare chi la fa a trovare una sua identità positiva.




Cosa può fare l’uditore?


- Comunicare e condividere la sua esperienza con altri (uscire dall’isolamento);
- Rivolgersi a persone che possano aiutarlo a vivere in modo più positivo la propria esperienza di uditore, affiancandolo;
- Cercare un significato alle sue voci (ascoltandole e mettendole in relazione con la propria storia di vita);
- Imparare delle strategie per fare fronte alle voci mantenendo un controllo su di esse (“da vittima a vincitore”, Coleman);
- Avviare un dialogo ed una relazione più positiva con le proprie voci;
- Accettare le voci come parte di sé e della propria vita (“venire a patti con un’esperienza straordinaria rendendola normale”, Romme).




Cosa possono fare gli altri?


- Ascoltare l’esperienza della persona che sente le voci considerandola reale (“tutto ciò che è creduto esiste”, Salvini) e condividendola;
- Incoraggiare la persona ad incontrare altri uditori (uscire dall’isolamento) e ad informarsi (tabù);
- Evitare di considerare le voci come un tabù e di stigmatizzare o giudicare la persona che le sente;
- Sostenere la persona rispetto all’angoscia ed alla paura che è spesso associata all’esperienza di sentire le voci;
- Aiutare la persona a conoscere e ad identificare le proprie voci (conoscerle);
- Aiutare l’uditore ad avviare un dialogo ed una relazione con le sue voci;
- Aiutare l’uditore a comprendere il significato delle proprie voci (simboli e sentimenti);
- Aiutare la persona a considerare le voci come parti di sé e ad accettare le emozioni negative come proprie;
- Aiutare la persona ad organizzarsi una vita normale e soddisfacente (lavoro, relazioni sociali, autonomia).

Come ci dice Antoine de Saint-Exupery attraverso il pensiero del Piccolo Principe: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.


Leni Semprini e Stefano Canini



Nuove frontiere per gli uditori di voci


Il 7 Maggio di quest’anno si è svolto a Bologna un importante seminario sul tema delle voci, organizzato dal Dipartimento di Salute Mentale nell’ambito di una collaborazione con il CUFO (Comitato di Utenti, Familiari ed Operatori), che ha visto la presenza di relatori illustri.



pagina 1



In questa sede il Professor Julian Leff dell’Institute of Psychiatry at the Maudsley di Londra, ha presentato i risultati preliminari di una sperimentazione condotta relativamente ad una tecnica innovativa di cura delle voci denominata “Avatar Therapy”, basata sull’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e sulla creazione di personaggi virtuali che diano un volto alle voci, con l’obiettivo di rendere il paziente capace di stabilire un controllo su di esse che, guidate dal terapeuta, accettano di sottomettersi al paziente.



pagina 1



Con il loro intervento il Dott. Canini e la Dott.ssa Semprini hanno illustrato l’importanza e l’utilità per gli uditori di voci di partecipazione a gruppi di auto e mutuo aiuto, così come sostenuta anche dai risultati delle ultime ricerche e dall’evidenza delle pratiche (M. Romme e S. Escher). Attraverso la spiegazione dei riferimenti teorici che guidano la loro esperienza e la preziosa testimonianza di due partecipanti al gruppo (Monica ed Elettra), è stato presentato il “gruppo per uditori di voci e non solo” coordinato da alcuni anni dal Dott.Canini presso il Centro Diurno di Casalecchio di Reno.



pagina 1

pagina 1



L’idea sostenuta dai due professionisti è quella del “fare insieme”, ovvero della necessità di “fare cose con l’altro” (e non “fare cose per l’altro”) e di una collaborazione possibile fra “esperti per esperienza” (gli uditori) ed “esperti per formazione” (gli specialisti). Ha concluso la mattinata Cristina Contini, presidentessa dell’Associazione “Noi e le voci” di Reggio- Emilia e membro del “Coordinamento Nazionale degli uditori di voci” che, sulla base della sua esperienza personale di uditrice di voci e del suo lavoro decennale con gli uditori di voci e come formatrice sull’argomento, ha sottolineato come nella maggior parte dei casi l’uditore non desideri che le sue voci scompaiano ma solo che gli diventino amiche (trasformazione da negative e persecutorie a positive e supportive). Il problema maggiore di chi sente le voci, sostiene la Contini, è la paura e uno degli aspetti centrali del disagio sperimentato dall’uditore è rappresentato dalla reazione che gli altri hanno di fronte al fenomeno (stigmatizzazione, rifiuto). Riconoscere un collegamento fra le voci e la storia personale, in generale dà sollievo all’uditore che può finalmente trovare un senso e riconoscere un significato alla propria esperienza, comprendendola meglio.