Editoriale
Un mio vecchio paziente, medico, mi diceva che l’uomo
senza musica è nulla. Per quanto possa essere estrema questa
affermazione, un fondo di vero c’è. Proviamo ad immaginare l’esistenza
senza suoni: vi sarebbe un silenzio assordante.
Il suono, qualsiasi esso sia, genera emozioni: il dolce suono dei
passerotti che cinguettano, il frastuono di un martello pneumatico…
Da qui si può partire con la definizione di musica secondo Wikipedia:
essa è: “L’arte e la scienza dei suoni nel tempo”. Si tratta di arte,
nel senso che si
genera attraverso tecnica e creatività. I suoni vengono modulati nel
tempo, intensità e frequenza, in modo da colpire l'interiorità emotiva
dell'ascoltatore, che può più o meno gradire.
La musica può essere classificata come suono, come percezione e come
esperienza soggettiva, ma può essere considerata anche come linguaggio,
come espressione sociale e culturale di un dato periodo storico.
La musica può essere utilizzata come terapia, per la cura degli stati
comatosi e per alcune patologie di carattere psichico.
Finita la classificazione scientifica della musica mi concedo di
parlare di cosa è per me la musica. Essa è una forma di energia, che
può colpire l’emotività del soggetto fino a farlo piangere di gioia,
liberarsi in balli scatenati o semplicemente divertirsi o sedare lo
stato emotivo.
Sin da quando ero un bambino, la musica mi è sempre piaciuta. A sette
anni presi alcune lezioni presso la banda comunale, tuttavia il mio
apprendimento era troppo lento e vedendo la frustrazioni negli occhi
del maestro decisi di smettere quando si faceva ancora il solfeggio,
senza essere riuscito mai a prendere in mano uno strumento. Però
qualche anno dopo i miei genitori mi fecero uno splendido regalo: la
pianola. Stavo ore e ore a suonare, alternando l’organo e il flauto
dolce, mi divertivo molto…
Ma alle superiori non ci sono lezioni di musica, fu così che gli
interessi musicali cambiarono in funzione della discoteca. Maturò il
sogno di fare il D.J.. Purtroppo non ebbi mai il coraggio di dire ai
miei genitori che mi sarebbe piaciuto farlo di professione. Rimase così
una specie di hobby, che pratico ancora adesso che ho quarantatré anni.
Quando mi dedico al mixaggio mi concentro sui ritmi della musica che
devo sincronizzare. Sono completamente avulso della realtà e vado
avanti senza accorgermi che il tempo passa: i miei problemi, i miei
pensieri non esistono più, non so dove vanno, so solo che pian piano
tornano.
L’ultimo approccio che ho avuto con la musica è stato attraverso il
karaoke, all’interno di “Spazio e Amicizia”, che ha avuto un effetto
più stimolante degli antidepressivi e più sedativo degli ansiolitici.
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Silvestro Lega
“Il canto di uno stornello” 1867 (olio)
Il quadro è prova di grande virtuosismo tecnico e lo si deve
considerare uno dei raggiungimenti più alti del grande maestro.
Si tratta di un'opera ambientata in una stanza di casa Batelli, in un
pomeriggio d'estate. Sono ritratte tre giovani donne: una accompagna al
pianoforte le altre due che cantano. In primo piano emergono le figure
viste di profilo, il pianoforte (la tastiera del quale fa da punto di
fuga prospettica), la tenda legata e la finestra.
La scena in controluce in un ambiente ordinato e rassicurante trasmette
una sensazione di serenità. Traspare anche la cordiale partecipazione
emotiva del pittore alla vita della borghesia di provincia toscana.
Borghesia benestante, aperta alle novità e ad una nuova moralità (di
questa classe il Lega fu il cantore).
Non c'è staticità nelle figure ma piuttosto un senso di intimità e
calma, tutto dominato dai colori stesi a “macchia”. La rappresentazione
è molto complessa, ciononostante il dipinto raggiunge un equilibrio
quasi magico.
Il Lega aveva iniziato la sua carriera come accademico purista. La
frequentazione del famoso Caffè Michelangelo, lo portò ad avvicinarsi
al Realismo. Successivamente, fondò con gli altri Macchiaioli:
Signorini, Abbati, Borrani, e Sernesi, la Scuola di Piagentina,
cosiddetta dalla località Toscana.
Fin verso il 1870 il pittore vivrà un periodo assai felice, ma la morte
per tubercolosi di Virginia Batelli, di cui era innamorato, e la
susseguente forma depressiva, aggravata da una malattia agli occhi,
faranno sì che i risultati artistici degli anni ’60 non saranno mai più
toccati, se non rarissimamente da Silvestro Lega.
Piergiorgio Fanti
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Aforismi
“La musica è l’arte che si manifesta attraverso i
suoni. Essa può esprimere tutti i sentimenti dell’anima e tutte le
sensazioni a noi trasmesse dalla natura.”
(definizione ricordata a memoria dai tempi delle scuole
medie)
Luigi Zen
La musica è vita, luce, calore, nutrimento del corpo,
della mente, dell’anima.
Il respiro (per cantare) è vita: è la voce dell’anima.
Tina Gualandi
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Errata Corrige
Nell’articolo “Lettera sul sogno e lo Zen” di Luigi
Zen, a pag. 6 del numero scorso, la frase: “Se invece siamo svegli e
pensiamo sogni i desideri” è stata erroneamente trascritta come: “Se
invece siamo svegli e pensiamo sogni e desideri”.
Ce ne scusiamo con l’autore e con i lettori.
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Musica!
Mi piace ascoltare la musica, soprattutto in viaggio, a
volte sdraiata sul letto a guardare il soffitto, immaginando figure e
alberi che danzano in cielo e nelle foreste. In autobus e per la strada
guardo la gente. La mia musica fa da sottofondo, come la colonna sonora
di un film di cui io sono il regista e loro sono tutti attori scelti,
dame che sanno esattamente come muoversi e pensare. A volte scruto in
profondità il linguaggio della musica, cosa ci vuole dire. La musica ha
fin dalle sue prime origini la funzione catartica e divina di far
spaziare la mente dell’uomo, con immagini, fantasie, pensieri, ma
soprattutto emozioni e sensazioni…
Si può dire che la musica sia stata scoperta dall’uomo e non inventata.
Era già nella mente di Dio prima della creazione. Si pensi alla natura,
quanti suoni e rumori produce, per esempio, la pioggia che tintinna, lo
stormire del vento tra le foglie degli alberi, un ruscello che scorre,
le cascate, declamanti e ruggenti di forza. La natura è in sé, e nei
suoi aspetti, intrinseca e convergente alla musica.
La prima musica risale ai tempi preistorici: l’uomo primitivo costruiva
strumenti a percussione con le pietre, i legni, le pelli; strumenti a
fiato di legno, di osso o di terracotta; strumenti a corde con le
interiora di animali. Con la scoperta del fuoco e la forgia dei
metalli, rame, bronzo, ottone, argento, ferro, acciaio e con il
perfezionarsi delle tecnologie, gli strumenti si fanno più complessi e
differenziati.
A parte i discorsi sugli strumenti, volevo soffermarmi sul significato
che può avere la musica, soprattutto ai nostri tempi, partendo dalla
musica classica, che ha dato gloria a molti artisti e ha cambiato il
nostro modo di pensare, di percepire e di vedere il mondo.
Visione: il musicista è un angelo biondissimo, dai lunghi capelli,
avvolto in candida veste. Sta ritto in piedi tra colonne sulla
scalinata. suona maestose canne di organo, un violino segreto e
splendide chitarre…
A volte nascondiamo l’arte in cassetti polverosi Può essere il caso di
talenti nascosti, che come fiori bellissimi non riescono a sbocciare,
perché hanno bisogno di una mano fatata… Le Muse… Calliope è la dea
della musica. A volte il genio umano si innamora di questa dea
bellissima e rimane incantato ore ed ore ad ascoltare la sua voce,
davanti al suo volto pallido e lunare, musa dai capelli bruni e veste
d’argento, immersa nell’aria cosmica dell’universo, dove si incontrano
le correnti fluide e misteriose delle note e armoniosi accordi.
Anche distesi in un giaciglio, gli stanchi guerrieri che cavalcano nubi
azzurre vincono guerre secolari.
Possiamo immaginare Dio attraverso la musica, che ci fa salire in alto
e vibrare l’anima, come corde di uno strumento nelle sue mani. (Dioniso
è il dio greco della danza e del teatro).
La musicoterapia è un’arte innovativa, oltre ad essere una cura vera e
propria. Si possono curare disturbi mentali. Per esempio, una volta ho
consigliato a un mio amico depresso di ascoltare un brano, di “Animals”
dei Pink Floyd. Si chiama “Dogs”. Lui mi ha detto che lo rilassava e
nutriva la sua immaginazione visiva: vaste praterie, livide brughiere
dal cielo plumbeo, come se stesse per piovere o succedere qualcosa… che
comunque sarebbe andato tutto bene… Un senso di smarrimento e di
sicurezza dopo.
Il potere della mente che spazia ovunque, irrompendo, restituisce
all’individuo l’identità perduta.
La musica come rifugio dei poeti (Jim Morrison). “The battle of
evermore” dei Led Zeppelin, “la battaglia di sempre”, parla della
continua lotta fra il
bene e il male. “Sento il fragore dei cavalli nella valle vicina, sto
aspettando gli angeli di Avalon, aspetto i bagliori dell’Oriente… I
magici Runi scrivono d’oro per portare pari la bilancia”...
Le trombe e gli ottoni sono rappresentati nell’Apocalisse come trionfo
di Dio sul male, come giudizio universale, richiamo di tutti gli uomini
di qualsiasi popolo, nazione, razza. Spiriti raccolti dai quattro
venti. ”Atom heart mother” parte 1°, “The piper at the gates of dawn”
Pink Floyd… The King Crimson “In the wake of Poseidon” Musica
psichedelica… Concludo con questa frase: “The Music is your special
friend, dance on fire as it intends, music is your only friend…until
the end…until the end”... The Doors.
Giorgia Bolognini
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Con una musica in testa, i colori…
Dopo aver parlato di speranza, e del sogno… sottostà
sempre il dolore, e quali sono le vie per alleviarlo…
Ma, vedendo la televisione, mi ha messo paura la dichiarazione di una
testimone contro la mafia, che vive nella più tetra solitudine,
nell'anonimato. La società non esiste più se non come un grosso corpo
che ci opprime e ci schiaccia, proprio mentre cerchiamo di andargli
incontro…
Questa è la dimensione in cui vivo, o meglio, ho vissuto, dopo essermi
chiuso in me e fatto muro con tutti, a causa della timidezza, delle
voglie soddisfatte solo dall'alcool. Ora che ne vengo fuori vivo come
uno che ha fatto la guerra, che non vuole colpire, ma che è colpito o
ignorato, anche troppo debole per resistere ai ritmi della sociètà.
Materialmente non mi manca nulla, mi hanno dato anche una pensione, ma
intorno a me è terra bruciata.
La musica può essere un altro viatico per sentirsi bene nel mondo. Una
musica interiore… Camminare, pensavo l'altro giorno, con una musica in
testa… i colori della terra sarebbero più luminosi. Perché ciò che mi
fa più paura è il buio. E la parola annientamento, cioè suicidio… Se
non trovi, intorno a te, il bello.
Luca Montesi
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La musica:
mia compagna di vita e mio antidepressivo
Io adoro la musica, fin da piccolino l’ascoltavo
cominciando con un mito del calibro di Lucio Battisti. Più avanti con
l’età, a circa 15-18 anni, conobbi un ragazzo, di nome Davide Roberto
Salierno, che divenne mio amico e mi diede la notizia di un canale
musicale molto bello di cui io non conoscevo l’esistenza: MTV. Da quel
momento il mio amico lo chiamai “Il Dio della Musica” e MTV divenne il
mio canale televisivo preferito.
MTV dal 1998 fino al 2008 circa, se non ricordo male (cioè per ben 10
anni !!!) divenne la mia razione quotidiana di armonia e pace, benché
la depressione stesse cominciando a mangiarmi, a causa del mio essere
gay (ma io preferisco uoma*) e non capito.
Purtroppo, in questi ultimi anni (2008-2010) ho cominciato a litigare
con un mio amico (che ho frequentato per ben undici anni !!!), dal
quale mi sono dovuto staccare per colpa della sua testardaggine e dei
suoi continui cambiamenti di ragazze.
Non avendo più la sua amicizia e aggravandosi sempre più la mia
depressione, ero arrivato ad un punto che la musica non l’ascoltavo
più. Attualmente (anno 2011, inizio settembre) sto cercando di
“ripigliarmi” con la musica, in quanto lei ti dà sempre qualcosa di
bello, una spinta, una carica, una grinta e la voglia di vivere.
Sentire ad esempio Celine Dion, Dido, Madonna, Michael Jackson, Lucio
Battisti, Mango, Fiorella Mannoia (e ce ne sarebbero tanti altri...),
mi dà una bellissima soddisfazione!!!
È bello, inoltre, che alcuni degli artisti abbiano fatto video
musicali, come ad esempio Celine Dion, che ha dedicato al film
“Titanic” un bellissimo video, molto romantico, intitolato “My heart
will go on”!!!
D’ora in poi cercherò di godere di più della musica e di dedicare meno
spazio ai miei pensieri negativi...
Un caloroso e affettuoso abbraccio a tutti...
*uoma : essere un ragazzo visto dall’esterno e avere,
invece, dentro di sé una ragazza che vuole esprimere sentimenti per gli
uomini, ma il corpo esterno le impedisce di mostrarsi.
Dario Baietti
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Quale genere musicale preferisci
e che cosa rappresenta per te la musica
(tre testimonianze dall’Ottonello)
La musica è molto più che rappresentativa. Essa è,
secondo me, motivo e culto da parte di chiunque l’ascolti attentamente.
Viene anche adoperata come motivo di aggregazione dai giovani e dai non
più giovani; immaginando infatti una “festa” senza musica… si
ricaverebbe solamente un vociare scomposto, oppure addirittura
sgradevole al sensibilissimo orecchio umano.
Tirando le somme, in conclusione, la “MUSICA” è l’emozione che
trasporta noi stessi verso la conoscenza del prossimo, motivando sempre
di più la nostra anima a rallegrare e a ricordare ciò che in realtà
altrimenti sarebbe solo la “PAROLA”.
Anonimo
È il soffio del vento, un passerotto che fischia, è il
rumore delle onde del mare che s’infrangono sugli scogli. È il motore
che ruggisce, di un treno in partenza, di una nave che salpa, di un
aereo che spicca il volo. È la pioggia che cade e colpisce la strada, è
un fulmine, un tuono che rimbomba per miglia e miglia. È acqua che
sgorga dall’alta montagna fin giù nella valle, in veloce cascata, in
spiritoso ruscello. È un bambino che piange, un bambino che ride. È una
dolce sinfonia che esce dalle labbra di una mamma per addormentare il
suo piccolo. È una preghiera silenziosa, delicata, per augurar la
salute a qualcuno. È un rimprovero premuroso. È una ninna nanna, è un
dolce nuovo risveglio profumato di sole, Sono note che inteneriscono
l’anima, sono note che sollevano l’umore, sussurrate, gridate a
squarciagola. Ti ci puoi riscaldare, ci puoi sprofondare. Sono pensieri
felici.
Con gli occhi chiusi, anche nel silenzio, la musica è ovunque. Basta
volerla sentire, seguire. È la musica del cuore. Una spassionata
combriccola intorno a un fuoco. Una chitarra, un flauto, un pianoforte.
Un’arpa, un carillon. Dentro me, è questo che risuona. Candidamente,
oltre ogni genere, è un susseguirsi di suoni diversi per ogni dove.
Anonimo
Basterebbe pensarla come Belushi, che restava seduto
ore sugli scogli ad ascoltare la perfezione del suono e della musica
delle acque. Sono in genere tutti i suoni della natura. Un frinire di
cavallo, mentre nel bosco il vento alita sui tasti delle foglie; un
frullio d’ali di cigni; la danza amorosa sull’acqua degli svassi. I
suoni della natura son l’orchestra. Poi c’è la voce dell’uomo. Lo
strumento più perfetto, la voce che raggiunge timbri irraggiungibili e
che rende il corpo stesso uno strumento musicale. Infine c’è la Chiesa,
con dentro, lassù, un coro di voci bianche che intonano Mozart. Allora
ti fermi allibito a guardare la maestosità dell’impianto scenico che
inneggia a nostro Signore Gesù.
Anonimo
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La musica… il silenzio…
A volte la musica è rilassante, a volte assordante.
Secondo certi psicoanalisti, se ho capito bene, può ricordare o le
ninne nanne materne o il "pauroso" rumore avvertito dal piccolo bambino
che ode i propri genitori far l'amore.
Ma, secondo me, anche il malinconico, dolce silenzio può essere
estremamente piacevole.
Il pensiero scorre veloce, nessuno può ascoltarlo:
"i miei pensieri
son parole
che volano nell'aria,
e che nessuno ascolta".
Matteo Bosinelli
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La musica, la mia vita
Ogni giorno, al mio risveglio, è musica. In auto, ho la
musica. A casa, ho la musica. Prima di dormire, ho la musica. Quando
faccio l'amore, c'è musica. Il mio lavoro è la musica. Il vestire di
parole una melodia… Al contrario, dare maggior dignità a una poesia…
Esprimere emozioni con la mia voce e con tasti bianchi e neri.
Ma anche chi non lo fa per professione, può vibrare a una musica. Un
ricordo d'infanzia, di adolescenza, di un amore. Ragazzi in coma sono
stati svegliati da un disco del loro cantante preferito. Anziani
coniugi sorridono di complicità nel sentire una canzone magari di
quarant’anni prima. Le mucche danno più latte, le galline più uova, con
la musica.
E poi… quante forme,quanti stili! Classica, lirica, leggera, religiosa,
etnica, popolare... persino il folk che, nascendo dal basso, conosce
solo I e V.
Tutto bello, tutto emozione.
Music! I have it!
Max Trentini
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Vivo per lei
(di Giorgia e Bocelli)
Anche se non l'ho scritta io... è ciò che si avvicina
di più alla mia idea di MUSICA.
A parte questo, è molto bella, per me merita di essere pubblicata sul
numero a LEI dedicato.
Vivo per lei da quando sai
la prima volta l'ho incontrata
non mi ricordo come ma
mi è entrata dentro e c'è restata
Vivo per lei perché mi fa
vibrare forte l'anima
vivo per lei e non è un peso
Vivo per lei anch'io lo sai
e tu non esserne geloso
lei è di tutti quelli che
hanno un bisogno sempre acceso
come uno stereo in camera
di chi è da solo e adesso sa
che è anche per lui, per questo
io vivo per lei
È una musa che ci invita
a sfiorarla con le dita
attraverso un pianoforte
la morte è lontana
io vivo per lei
Vivo per lei che spesso sa
essere dolce e sensuale
a volte picchia in testa ma
è un pugno che non fa mai male
Vivo per lei lo so mi fa
girare di città in città
soffrire un po' ma almeno io vivo
È un dolore quando parte
Vivo per lei dentro gli hotel
Con piacere estremo cresce
Vivo per lei nel vortice
Attraverso la mia voce
si espande e amore produce
Vivo per lei nient'altro ho
e quanti altri incontrerò
che come me hanno scritto in viso
io vivo per lei
Io vivo per lei
sopra un palco o contro ad un muro
Vivo per lei al limite
anche in un domani duro
Vivo per lei al margine
Ogni giorno una conquista
la protagonista sarà sempre lei
Vivo per lei perché oramai
io non ho altra via d'uscita
perché la musica lo sai
davvero non l'ho mai tradita
Vivo per lei perché mi dà
pausa e note in libertà
Ci fosse un'altra vita la vivo
la vivo per lei
Vivo per lei la musica
Io vivo per lei
Vivo per lei è unica
Io vivo per lei
(testo di Gatto Panceri)
Roberto
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Se la musica fa fare più latte
alle mucche
e più uova alle galline… a noi umani?
Chi scrive, crede di essere nata con la musica nel DNA,
perché senza musica proprio non ci so stare. Appena sveglia - dopo una
corsa in bagno - accendo la radio e termino la mia giornata con un CD
(a volume basso, per non disturbare i vicini). Ascolto quasi sempre i
soliti: colonne sonore o i Carmina Burana, che “stendono” i miei due
mici.
A quattro anni ho ricevuto un regalo bellissimo: un pianino a coda di
legno, bianco, con i numeri da uno a otto (le note) e quando ho
iniziato a studiare musica, alle medie, con mia sorella (più grande di
me di sei anni) numeravamo i brani sul mio libro di educazione musicale
e suonavamo.
Vi sono musiche che uniscono: io e Mauro (ex amico) – così diversi tra
noi – ascoltavamo sempre tanto volentieri Zucchero Fornaciari. Può
capitare che una musica che ci piaceva tanto, ora ci piaccia molto
meno, perché ci ricorda un periodo o una persona che vorremmo
dimenticare.
Vi sono canzoni mitiche come “Imagine” di John Lennon che ogni volta mi
fa venire la pelle d’oca, o “Happy Christmas”, che fa piangere il mio
maestro di musica cinquantenne e piace tanto alla mia amica nera, tanto
che ogni volta la cantiamo insieme.
La musica può divertire, aiutare, stimolare, curare, avvicinare persone
diverse.
La musica ha risvegliato dal coma delle persone (pensate quindi al suo
immenso potere!).
Sono state scritte canzoni per aiutare l’Africa, altre contro le stragi
(Ennio Morricone); cantautrici diverse si sono unite per fare un
concerto a favore di Onna, un paese dell’Abruzzo che è stato duramente
colpito dal terremoto. Il ricavato del concerto e del DVD è andato
all’Abruzzo. Recentemente è stato fatto un bellissimo CD a favore
dell’AIDO (associazione italiana donatori di organi): “Ti amo, anche se
non so chi sei”: cantautori diversi si sono messi insieme per arrivare
a fare uno splendido CD per una raccolta fondi. Sono arrivata a questo
CD per puro caso (o mia grande fortuna), perché sono
entrata nell’edicola di porta Sant’Isaia e l’ho subito visto. È un CD
splendido che ho già regalato a tre persone diverse e altre mi hanno
chiesto di masterizzarlo. Ora sto cercando – tramite l’edicola e l’AIDO
di Bologna – altre copie da regalare, perché è un CD che non si finisce
mai di ascoltare e apprezzare.
È stato fatto un CD dopo il terremoto del Giappone e - molti anni fa -
per l’Africa, da Michael Jackson più altri: “We are the world” (che
credo molti conoscano). Vi sono musiche che uniscono l’utile al
dilettevole; si compra il CD (a volte vi è anche il DVD) e il ricavato
va ad un’associazione o ad un
ente con un determinato progetto; poco tempo fa è uscito “Le vie
dell’amicizia: Ravenna – Nairobi”. La vendita di questo cofanetto,
contenente la lezione concerto di Riccardo Muti sulla Sinfonia
Fantastica di Hector Berlioz, consentirà di offrire borse di studio
agli ex bambini di strada della baraccopoli di Kibera (Nairobi).
Per la parata del 18 giugno (Par tòt Parata) ho frequentato un
laboratorio di musica e canto formato da circa dieci persone: Caterina
– la maestra – suonava chitarra e flauto, alcuni ragazzi chitarre e
tamburi, io i piatti, un tamburello marocchino e… mi sono cimentata
suonando un tamburo senegalese. È stata un’esperienza bellissima e la
musica ci ha affiatati in maniera incredibile fino alla fine del
laboratorio. Caterina, a fine parata, mi ha detto : “Non perdetevi di
vista, perché io un gruppo così unito non l’avevo mai avuto”.
Nel mio DNA c’è anche un’altra cosa: il piacere di cantare (di tutto e
di più). Quando nel 1999 sono entrata a far parte del bellissimo coro
di San Petronio io… ho scoperto di avere una voce da mezzosoprano e –
insieme ai contralti e al resto del coro – abbiamo fatto concerti
meravigliosi con le musiche dell’archivio.
La cappella musicale di S. Petronio, istituita nel 1436 da papa Eugenio
IV, è la più importante di Bologna e tra le più prestigiose d’Italia.
Il suo simbolo è un organo, tuttora funzionante, costruito attorno al
1470 da Lorenzo da Prato: il più vecchio al mondo ancora in uso. Nel
1596 fu aggiunto un altro organo, opera di Baldassarre Malamini,
anch’esso perfettamente funzionante nonostante i quattrocento anni di
vita. La produzione musicale per la cappella di S. Petronio ebbe un
ruolo significativo nella storia della musica vocale e strumentale. Il
suo periodo più fulgido è quello barocco, con i
maestri: Maurizio Cazzati, Giovanni Paolo Colonna e Giacomo Antonio
Perti. Io ho avuto l’onore e la gioia di cantare nella cappella
musicale di San Petronio con il bravissimo Maestro Federico Salce, che
ha saputo tirare fuori la mia voce.
Quando ho cominciato a entrare nel tunnel della depressione e non
riuscivo più a cantare, mi sono allontanata dal coro, anche perché ho
saputo che il Maestro era morto di leucemia e mi ero sentita una
vigliacca e una merda per non aver parlato e spiegato le ragioni del
mio allontanamento. Ma mi è rimasto il CD che abbiamo fatto con i brani
di alcuni concerti e tra questi c’è il “Credo” di Giacomo Antonio
Perti, che noi avevamo cantato nel 2000 con altri due cori. Per molto
tempo io quel CD non lo riascoltavo mai, perché erano continue
pugnalate al cuore, ma è arrivato il giorno, alcuni mesi fa, in cui ho
capito che potevo riascoltarlo senza sentirmi in colpa. Appena il brano
è iniziato, io ho capito che CREDO ANCORA: quella musica mi è servita
per risvegliare la mia fede, che io credevo perduta per sempre.
È molto probabile che io canti ancora con il coro di San Petronio, che
è diretto da un allievo del Maestro Salce, ma io quest’anno riprenderò
a cantare con “Mikrokosmos - Coro Multietnico di Bologna”
coromikrokosmos@gmail.com (ho superato il provino a luglio), che canta
in tutte le lingue, suona e balla. Il primo maggio sono andata a
sentire un loro concerto e … sono straordinari. Tra loro ci sono molti
giovani e il loro maestro, Michele Napolitano, anche lui allievo del
Maestro Salce, è geniale e mi ha ricordato Giovanni Allevi.
Foto di Ettore Pirazzoli
Durante
una trasmissione alla radio è stato intervistato un direttore
d’orchestra e ciò che mi ha amareggiata è stato sentire che, mentre le
orchestre ringiovaniscono, le platee incanutiscono, per il costo del
biglietto (70/90 euro). Come è possibile che uno studente, un giovane,
una persona con uno stipendio normale possano pagarsi un biglietto così
costoso per andare a sentirsi un’opera?!?
Tina Gualandi
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Momenti musicali
W.A. Mozart, concerto per pianoforte e orchestra n. 21
in do maggiore K467, andante.
Il castello di Hohensalzburg ha il fascino grifagno degli antichi
manieri, appollaiato com’è sul suo sperone di roccia, ma nel contesto
armonioso di Salisburgo, uno centri urbani più belli del mondo, oggi si
limita ad aggiungere un tocco deliziosamente romantico. Da lassù si
gode uno splendido panorama sull’allegra città sottostante e sulle anse
argentee del fiume Salzach.
Sarei rimasta affacciata a
quella balconata per ore, ma veniva buio e i
bambini erano irrequieti. Salire con la funicolare era stato
divertente, ma per scendere avevamo deciso di prendere la stradina
immersa nel verde e nel silenzio, dove si avventuravano in pochi a
quell’ora.
L’aria frizzante e l’allegria della vacanza ci indussero dapprima a
trotterellare chiacchierando, ma allo spuntare della luna venne
spontaneo tacere. Fu circa a metà percorso che accadde una cosa
straordinaria: una musica dolcissima cominciò a salire verso di noi…
Man mano che scendevamo il suono si faceva più forte, avvolgendoci
tutti. Ed ecco, su un palco allestito all’aperto, nella cornice solenne
di una piazza barocca, ci apparve l’orchestra. Pareva suonasse solo per
noi.
W.A. Mozart, Ave verum corpus, K 618, per coro a
quattro voci miste e organo.
Vienna è una città molto vivibile, per essere una
capitale. Si gira
bene a piedi e ci si orienta senza problemi, tuttavia la frenesia di un
breve tour con bimbi al seguito può risultare un po’ stressante…
Perciò, l’ultimo giorno, lasciata la famiglia in albergo, scappai per
una frettolosa sortita nella vivace Kärtnerstrasse a caccia di
souvenir. Fu così che ebbi la ventura di vivere un momento di pura,
solitaria felicità. La chiesa di Sant’Anna si trova in Annagasse, una
stradina laterale che sembra fuori dal tempo, pulita, chiara, con
pittoresche insegne e nobili facciate. La chiesa vi si inserisce con
modestia, chiara anch’essa, di linee semplici, ornata solo di un
elegante campanile. Ma l’interno… mamma mia, che gioiello barocco! Un
contrasto da lasciare senza fiato...
Mi sedetti, per godermi quella
sensazione di bellezza esagerata che mi
avvolgeva da ogni parte. Ero penetrata in uno scrigno di preziosità… E
a un tratto, alle mie spalle, si levarono quattro voci angeliche… Ma
come? In chiesa, oltre a me, non c’era anima viva! Volsi lo sguardo e
identificai il luogo in cui dovevano celarsi gli invisibili cantori:
lassù, nella balconata dorata sospesa a sbalzo nell’abside, sede di un
organo maestoso… Avevo ottenuto due ore di libertà per comprare i
souvenir, le spesi tutte per godermi le prove del concerto. E mi portai
a casa questo ricordo impagabile.
Lucia
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Ascoltando il Messia di Händel e
la musica lirica
Le vibrazioni dei suoni si alternano in me come
sinfonie che si innalzano in onde che si allargano all'infinito!
Soprani, contralti, baritoni intrecciano note accompagnati da accordi
lenti, poi veloci.
Tastiere, archi ed altri strumenti che insieme creano armonia dentro me
ed io spero nel creato!
Coloro che cantano sono angeli o in quel momento si stanno
trasformando!
Giovanna
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Auletica
In un passo delle "Leggi" Platone descrive la paura che
gli uomini, riusciti a scampare al Diluvio rifugiandosi sulla sommità
dei monti, provavano al solo pensiero di dover ridiscendere a valle, ed
usa l'espressione "phóbos énaulos": una paura, cioè, relativa
all'aulos, uno dei più diffusi strumenti musicali dell'antica Grecia
(qualcosa di simile ai nostri clarinetto ed oboe).
Dunque per Platone è "auletica" questa paura di scendere dalle cime
alle pianure. Che cosa intenda precisamente con questo aggettivo, lui
solo lo sa (forse si riferisce metaforicamente ad un "risuonare"
minaccioso nella memoria dell'antica paura), ma la scelta dello
strumento non è certo casuale: mi pare evidente che nella mente di
Platone esista un preciso legame tra la paura e la musica dell'aulos.
Questo mi ha fatto venire l'idea di scrivere sugli aspetti terrifici
della musica, anziché su quelli dilettevoli, e su quelli estatici,
anziché su quelli estetici, e di farlo, sia pur con poche e
superficiali "istantanee", fissando lo sguardo proprio là dove la
civiltà occidentale ha le sue scaturigini: l'antica Grecia.
Io, quando ascolto un usignolo, resto estasiato e stupito della perizia
di quel cantore, ma i Greci no (almeno se vogliamo attenerci alla loro
mitologia). I Greci, nell'udire il gorgheggio dell'usignolo, evocavano
nella propria mente un lamento funebre, intonato all'unisono con un
canto di rimorso perenne, senza speranza e senza redenzione: il lamento
di una madre snaturata (Procne) che piange il proprio figlio (Iti) e a
un tempo piange il proprio orrendo
delitto: prima di essere trasformata in usignolo, quand'era ancora una
donna, in un impeto di gelosia e di desiderio di vendetta aveva ucciso
il proprio figlio e lo aveva imbandito in pasto al proprio marito
fedifrago (Tereo), che aveva stuprato la sorella di lei.
E se vogliamo rimanere su pasti non propriamente aggraziati, possiamo
accennare allo 'sparagmòs' e all''omophagìa' delle Menadi. Queste,
sorta di sacerdotesse del culto di Dioniso, per celebrare il proprio
Dio percorrevano di notte le selve disabitate alla luce delle fiaccole
e al suono incalzante di auli, timpani, cimbali e crotali
(rispettivamente simili agli odierni: oboi, tamburelli, piatti e
nacchere). Danzando vorticosamente e intonando litanie, raggiungevano
uno stato di estasi (in greco, letteralmente, un uscire fuori di sé),
uno smarrire se stessi, un divenire "altro" dal proprio sé quotidiano,
in comunione estatica col Dio. Oggi lo chiameremmo "uno stato alterato
di coscienza". Quindi, proprio al culmine della trance, le Menadi
dilaniavano (sparagmòs) a mani nude un animale sacrificale e ne
mangiavano le carni crude (omophagìa). Ma non si trattava di
un'esplosione di sadismo, ma del culmine dell'unione col proprio Dio,
rappresentato dall'animale immolato; Dioniso infatti, secondo il mito,
era stato dilaniato e fatto cucinare in un calderone dai Titani.
E proprio alla componente musicale di questi rituali dionisiaci si
riferisce un frammento di una perduta opera di Eschilo, "Gli Edoni",
dal quale appare evidente il profondo senso di inquietudine, se non di
angoscia, che suscitavano nei Greci le connotazioni sonore ed
emozionali dell’aulos e di altri strumenti, percepiti come musicalmente
"disordinati" (non vi è qui lo spazio per approfondire cosa si intenda
con ciò da punto di vista musicale):
“L’uno tiene nelle mani flauti dal suono profondo,
lavorati col tornio, e riempie tutta una melodia strappata con le dita,
un richiamo minaccioso suscitatore di follia; un altro fa risuonare
cimbali cinti di bronzo [...] da qualche luogo segreto mugghiano in
risposta terrificanti imitatori dalla voce taurina, e la parvenza
sonora di un timpano, come di un tuono sotterraneo, si propaga con
oppressione tremenda.” (traduzione di Giorgio Colli)
E si potrebbe continuare a lungo con l'elenco delle
musiche o dei canti che possiedono per i Greci questa valenza
opprimente ed angosciante.
“Per Oreste, vittima a noi consacrata, è questo canto,
che dissenna, sconvolge e distrugge la
mente, inno delle Erinni, catena per l'anima, che rifugge la lira, che
inaridisce i mortali.”
È l'inno che le Erinni (1) ripetono come una nenia
incantatoria nelle "Eumenidi" di Eschilo.
Come ultimo esempio ci terrei a citare l'invenzione dell'aulos da parte
della dea Atena, narrata da Pindaro nella sua XII Pitica. La scena ha
luogo subito dopo che l'eroe Perseo, con l'aiuto dei consigli della dea
Atena, ha ucciso Medusa, una delle tre Gorgoni, e l'unica mortale delle
tre. Le Gorgoni erano primordiali divinità ctonie (2) poste a guardia
dell'Ade (3), o comunque dimoranti nelle sue vicinanze, di aspetto
mostruoso, il cui sguardo aveva il potere di pietrificare coloro che lo
incrociavano. Improvvisamente echeggia un canto agghiacciante: è il
lugubre lamento che la Gorgone Eurìale intona per la sorella morta. Ma
non pronuncia parole umane, sono solo suoni cavernosi e terrorizzanti
quelli che emette, perché le Gorgoni sono aliene dalla parola, dal
logos, dal discorso razionale: vengono prima di esso, da un passato
primordiale. Al sentire quella voce ad Atena, chissà perché, viene la
sconcertante idea di riprodurla, e per far ciò inventa un nuovo
strumento musicale, l'aulos appunto, ed anche un particolare modo di
suonarlo, il "nomos policefalo" e -conclude Pindaro- "ne fece dono ai
mortali".
Il senso metaforico che mi piace leggere nell'episodio, è che Atena, la
dea dell'ingegno e dell'intelletto, rappresenti la parte razionale
dell'essere umano, e inventando il "nomos policefalo", voglia in
qualche modo irreggimentare, imbrigliare, mettere al guinzaglio il lato
oscuro rappresentato dalla Gorgone. Lato oscuro che, a ben vedere,
appare tale proprio solo quando il logos pretende di ridurlo e
ricondurlo ai propri termini.
Ma qui viene il bello (non è più Pindaro che narra, ma Melanippide): ad
un tratto accade qualcosa per cui Atena scaglia lontano da sé l'aulos
pronunciando le parole: "Lungi da me, strumento indecoroso, che ingiuri
il mio corpo! Io non consegno me stessa all'abbrutimento." Cosa sia
accaduto, Melanippide non lo dice (il frammento termina qui), ma autori
greci posteriori sostengono che vedendo la sua immagine riflessa e
scorgendo le proprie fattezze alterate dalla pressione dell'insufflare
nell'aulos… gli occhi sporgenti, le gote rigonfie… fosse stata presa
dall'ira nei confronti dello strumento che aveva deturpato la sua
bellezza. Ma (se non vado errato) studiosi moderni hanno sostenuto che
nella propria espressione stravolta Atena abbia scorto il volto della
Gorgone stessa, e, vedendo una sorta di suo doppio, ne sia rimasta
sconvolta.
Prendendo per buona quest'ultima interpretazione, continuo la mia
lettura metaforica sostenendo che Atena abbia voluto osare troppo, si
sia di fatto avventurata in territori che agli dèi olimpici (leggi: la
razionalità) sono preclusi; quando il Logos si avvicina troppo
all'Oscuro, con l'intento di blandirlo e addomesticarlo, non può che
restarne scottato, perché l'Oscuro, come lo sguardo delle Gorgoni, ha
il potere di impietrire il Logos.
Ed è ciò che tante e tante volte è stato dopo di allora ripetuto, nella
storia della cultura occidentale: cercare di razionalizzare ciò che è
per sua natura a-razionale, di mettere in bocca le parole a ciò che è
per sua natura a-fasico, porta a risultati che, a volere essere
ottimisti, costituiscono solo una pura perdita di tempo.
NOTE
1. Figure mitologiche, personificazione della vendetta e del rimorso.
Tormentavano chi si era macchiato di delitti cruenti, specialmente
contro i propri familiari.
2. Divinità "sotterranee", legate cioè al mondo infero.
3. L'Oltretomba degli antichi Greci.
Antonio Marco Serra
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Gli strumenti musicali
Il corpo umano, capace di generare sia la voce che
suoni percussivi, potrebbe essere considerato il primo strumento
musicale, o forse le pietre e i ceppi vuoti, ma sono da considerare
strumenti musicali in senso proprio i manufatti in grado di produrre
suoni. Il suono giunge all'orecchio umano grazie alle vibrazioni
trasmesse da onde. Più veloce è la vibrazione, maggiore è l'altezza.
Alcuni organi a canne sono in grado di racchiudere l'intera gamma dei
suoni udibili dall'uomo, compresa approssimativamente fra i sedici e i
ventimila Herz; al contrario vi sono strumenti che emettono una sola
nota o
un suono di altezza indeterminata.
Esistono diversi sistemi per classificare gli strumenti musicali. Una
prima classificazione si basa sui materiali di costruzione.
Altri sistemi empirici classificano gli strumenti in base al ruolo
svolto nell'ambito sociale (di tipo devozionale e sacro, militare,
domestico), o per la loro funzione musicale (ritmica, melodica o
armonica).
Nel 1914 due musicologi tedeschi, Erich von Hornbostel e Curt Sachs,
svilupparono il sistema che da loro prende il nome e che, con qualche
aggiornamento, è quello attualmente più usato. Gli strumenti vengono
suddivisi in classi, gruppi e sottogruppi, in base alla modalità fisica
con cui viene provocata la vibrazione che genera il suono. Ad esempio,
il trombone è:
- uno strumento aerofono (in cui cioè il "corpo sonoro" è rappresentato
da una colonna d'aria che viene messa in vibrazione all'interno di un
tubo),
- a bocchino (a differenza di quelli a fessura, come il flauto, o ad
ancia, come l'oboe),
- a canna cilindrica (a differenza di quelli a canna conica, come il
corno),
- cromatico (dotato cioè di un dispositivo, la coulisse, che gli
permette di eseguire l'intera scala cromatica, a differenza di quelli,
come l'antica tromba militare, in grado di produrre le sole note
naturali)
Il sistema di Erich von Hornbostel e Curt Sachs è particolarmente
comodo, in quanto permette l'inserimento di strumenti provenienti da
qualsiasi tipo di cultura (un problema molto sentito dagli
etnomusicologi), ed è sufficientemente elastico da consentire
l'inserimento di nuove "caselle" di classificazione a qualsiasi
livello: infatti, alcuni decenni dopo la sua formulazione, è stato
necessario introdurre un'intera nuova classe, quella degli elettrofoni
- gli strumenti che generano il suono grazie a circuiti elettronici -
accanto alle quattro primitive degli idiofoni (oggetti solidi, sonori
già in natura), dei membranofoni (che possiedono membrane tese su una
delle loro superfici), dei cordofoni (gli strumenti a corda) e degli
aerofoni.
(ricerca effettuata su siti internet)
L.L.
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Il babà
Intervista a Luigi Zen
Luigi, puoi spiegarci che cos’è il BABÀ?
Il BABÀ è uno strumento musicale
inventato e costruito da me a cavallo del 2000, dunque ha già più di
dieci anni. Per consolarmi mi sono costruito il BABÀ, strumento
dedicato a me stesso e ogni tanto agli altri, quando hanno voglia di
ascoltare.
Perché l’hai chiamato così?
Il nome deriva dal fatto che il suono è dolce come un
babà e anche per onorare i materiali con cui lo strumento è costruito
(BA-rattolo + BA-mbù). I materiali sono legno e metallo, mentre le
corde sono di filo armonico. Il BABÀ ha una cassa armonica in legno del
diametro di 20 o 22 centimetri simile a quella del banjo e una canna su
cui sono tese delle corde. All’estremità sono fissate le chiavi per
regolare la tensione. La canna è di legno ramino, un legno robusto.
Come si suona il BABÀ?
Il nostro linguaggio viene formato in un “retro
mentale”, dove prepariamo il discorso e poi viene trasferito nella
bocca, da cui esce la parola, che può essere anche canto. Quando
cantiamo, prima formuliamo il canto in un punto interiore di noi, poi
inviamo la musica ai muscoli della bocca e con la bocca, che è lo
strumento del canto, la cantiamo. Quando suono il BABÀ devo trasferire
la canzone dalla bocca alla mano che ha l’archetto, che deve trovare le
note nella corda, mentre l’altra mano pizzica la nota trovata. Così si
forma la melodia.
Il BABÀ si può suonare anche al buio (senza vedere, come se si fosse
ciechi), con plettro e archetto.
Lo sapete che gli strumenti a corda hanno la bocca e il sedere e che
vanno di corpo? La bocca è il capocorda, su cui sono ancorate le corde
tese sulla faccia dello strumento: da lì entra il suono che poi,
digerito, esce dal buco…
Tu suoni solo per te stesso o anche in pubblico?
È capitato in alcune occasioni che ho suonato anche
davanti a un centinaio di persone, altre volte per fare gli auguri ad
amici e conoscenti, ma il BABÀ è soprattutto per me.
Tu ti consideri un musicista?
Ci sono due personaggi in arte: quello che si guadagna
la vita con la sua arte e quello che si guadagna la vita con altri
lavori e se fa qualcosa di artistico ha solo una vena capillare di
arte. Io sono così.
L’artista vero sa di avere una vena artistica, ha la coscienza del suo
valore, poi ci vuole l’attitudine, il talento e questo procura il
successo…
Di conseguenza, chi suona uno strumento non può suonarlo sempre nello
stesso posto, ma diventa “errante”... Diventa… una valigia... Il
musicista avrà come valigia la custodia del suo strumento. Gli artisti
sono visti come zingari perché girovagano e viaggiano. Sono erranti
come i burattinai.
Il musicista è un personaggio che nell’esprimere il suo talento deve
passare attraverso un elemento che è il fuoco, infatti quelli che
suonano fanno delle sudate, perché si devono concentrare, devono avere
un cuore che si concentra. E devono essere simili di carattere al legno
e al metallo che sono i materiali con cui si fanno gli strumenti. Alla
fine dell’esecuzione se il fuoco ha infiammato il pubblico arrivano gli
applausi, che come una cascata spengono il fuoco.
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Balla ancora
Balla, salta, scatenati,
entra in pista, muoviti,
è tempo di ballare.
Dai mostra un movimento sinuoso
sprigiona tutta la tua energia,
con fare simile ad uno scoiattolo
gettati in pista.
Le luci ad intermittenza,
la moltitudine di persone,
la musica assordante,
ti circondano ed è ora di ballare,
balla ancora
sempre più veloce
con stile e grazia.
Sprigiona tutta la tua energia,
trasmetti una carica sensuale,
devi affascinare tutti quelli
che ti circondano
con le tue mosse semplici,
ma sofisticate.
Un continuo fluttuare nello spazio,
nel tempo,
mostraci come sono i balli moderni,
solitari, ma allo stesso tempo di gruppo.
Quando balli ti liberi da tutti i problemi
che ti circondano,
non pensi più a niente,
sei in pista,
volano i pensieri in un mondo immaginario,
in un mondo fantastico
fatto di un’atmosfera irreale.
Balla ancora anche se sei stanco,
continua i tuoi movimenti
finché non sarai stremato dalla fatica,
ma sinceramente ti sentirai molto meglio,
più libero.
Una bibita,
due parole con gli amici,
un riposino su una poltrona,
lo sai che ti sei proprio divertito!
Loopa Sonivree
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Rintocchi
Dan, dan, dan,
s’odon rintocchi…
Sembran rintocchi di morte
che suonano alle mie porte.
Se chiudo le orecchie
per non ascoltare
più forte li sento suonare.
Ormai è calato il silenzio
ma ancora i rintocchi io sento.
Son crudi ricordi del fato,
che ancora non vogliono
esser chiamati passato…
Cercavi l’amore,
invece hai trovato la morte.
Volevi baciare il tuo sposo
invece hai baciato il riposo.
Son io, sempre io, cuore mio,
che piango sperando che un giorno
tu taccia, ma questo destino che ascolta
ha due braccia:
con uno ti uccide,
ma l’altro ti abbraccia.
Anonimo
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Il fiore perduto
Giovanna si voleva
buttar via;
le dissi: no!
E la salvai.
Anche Anna
si voleva
buttar via.
Maledetto me, le dissi:
ti vedo,
ti guardo
come so,
e non dirmi
che ti guardo
male.
C’è tristezza
nei miei occhi,
lo so,
e non pretendo
che tu capisca,
Amore.
E fu la fine della vita sua…
e della vita mia.
Matteo Bosinelli
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Musica
Come e quando tante volte mi chiesi il perché
di tutta la notte di note perse e disperse
di errori, di falsi amori: quanti i nomi
ti chiamai e quali facce disposi a lato,
per poterti portare via fogli su fogli
sguardi per sguardi, le tue parole in una frase,
le mie memorie in una canzone.
Paola Scatola
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In ricordo del Maestro Federico
Salce
Il viso si illuminava
il suo sguardo
vagava intorno
severo !
Le braccia alzata
le mani si agitavano
e sembrava che
dalle sue dita
una musica uscisse
Fatta di suoni
dolci imperiosi
tremuli
soffiati nel cristallo!
Nella magia
della sua musica
la luce si formava
di notte, di colori
Giochi! ...
Giochi di gioia
sogni poesia amore
tristezza!!!
Ora è volato lassù
in Paradiso
nel grande coro
degli angeli!!
E la tristezza
che mi avvolge
la lascio sulla
bianca strada
per vedere se
nella notte stellata
se la portano
i venti lontano
Per lui
la sua musica
era tutto!
Quel tutto
per un istante
è stato mio!
Vanda Botta
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Musica
La musica
slega dal silenzio
e dalla solitudine.
Ballano le cinciallegre
sinfonie georgiche.
La musica sono note
che salgono e che scendono.
Musica infinita
che ricorda alla vita
di essere mortale.
Ave Manservisi
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Primavera
L’erba non rasata
dell’ultimo sole d’autunno
con la pioggia e il gelo
si è appiattita al suolo
col sole del mattino
si sveglia a nuova vita.
Solo tu mio passero
non ti ergi a prendere vigore
al sole dell’avanzata primavera.
Anonimo - da “Il Bosco” , Gruppo Euforia, Centro Tasso
Bologna
|
L’usignolo
Tiepida è l’aria e giovane il mattino
lieve il respiro mi sfiora le narici
mentre io corro a dolci sogni vaghi e lontani.
D’un tratto rompe il silenzio
un usignol che canta.
Inneggia alla vita e al sol
che ancor non si è svegliato
e la sua melodia tutto invade.
Oh dolce e soave è il suo cantare
che il cor mi sfiora e fa sognar d’amore.
Son le sue note come di un violin le corde,
ma nemmeno esse, sebbene sian sublimi,
possono eguagliare il suo armonioso canto!
Anonimo
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Note
Il merlo maschio
ha il becco tutto giallo:
una nota squillante
in tanto nero…
Lancia il suo acuto fischio,
e saltapicchia
allegro e sbarazzino,
appena è giorno.
Lucia Luminasi
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Pizzica salentina
Marcella Colaci
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Pizzica pizzica!
Marcella, che è di origine salentina, ha pensato di
comporre per noi una “pizzica”. Purtroppo possiamo solo leggere il
testo, ma dobbiamo immaginarci un ritmo travolgente. La “pizzica”, o
meglio la “pizzica pizzica”, è infatti una danza popolare antichissima
che appartiene, posturalmente, stilisticamente e coreograficamente,
all'ampia famiglia delle tarantelle meridionali.
Per maggior chiarezza, bisogna distinguere oggi le forme tradizionali,
che variano anche da zona a zona, da quelle in gran parte reinventate
dalla moda giovanile in uso dalla metà degli anni '90, oggi indicate
col termine di "neo-pizzica". Negli ultimi anni sono state infatti
organizzate moltissime rassegne musicali dedicate alla pizzica
salentina, tra cui la “ Notte della Taranta” che richiama migliaia di
appassionati e curiosi.
Nella danza tradizionale i ballerini, sia uomini che donne, tengono una
postura eretta e composta, e atteggiamenti che si rifanno ad un
linguaggio corporeo forte ed energico, ma anche serio e rituale, tipico
della cultura contadina. Accessorio immancabile è il "fazzoletto",
usato nel momento del ballo per invitare, sventolandolo, il partner
prescelto. Alle donne va naturalmente il compito di esprimere bellezza
e fascino, anche attraverso gli accessori tipici dell'abbigliamento
femminile (gonne, foulard, scialli). Gli uomini invece hanno il dovere
di esprimere virilità e atleticità. In ogni caso, a rendere più o meno
movimentato il ballo è la donna, che attraverso piccole fughe, guizzi,
repentini stop e ripartenze, stuzzica l'uomo ad inseguirla, a
"braccarla" delicatamente, per poi affrontarlo con giochi di piedi e di
sguardi.
Oltre ad essere suonata e danzata nei momenti di festa la pizzica
costituiva anche il principale accompagnamento del rito per curare il
cosiddetto “tarantismo”, un fenomeno isterico convulsivo che, in base a
credenze diffuse fin dall’antichità nell'area mediterranea, si diceva
provocato dal morso di ragni e in particolare della tarantola. Oggi il
tarantismo è praticamente scomparso, ma nel Salento suscita ancora
vasto interesse, tanto che vi si sono moltiplicati studi di carattere
storiografico e antropologico.
La pizzica veniva eseguita con lo scopo di esorcizzare le persone
“tarantate” , in genere donne, e guarirle attraverso il ballo che
questa musica frenetica scatenava.
La pizzica di San Vito dei Normanni presenta una particolarità: si
credeva che il tarantato o la tarantata, qualora fosse stato morso dal
ragno in acqua, potesse guarire dalla crisi solo se il ballo si fosse
svolto in acqua (taranta d'acqua).
(ricerca effettuata su siti internet)
L.L.
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La musica della mia infanzia
Sono nata a Santiago de Compostela, presso il grande
santuario a cui si recano pellegrini da tutto il mondo. Santiago è una
delle tre città sante, con Roma e Gerusalemme.
Vivevo in una borgata medievale, a mezz’ora da Santiago. C’erano case
antichissime di sasso. La mia casa era una fattoria con animali. Mi
piaceva molto stare là, ma siamo stati costretti a emigrare. A diciotto
anni sono venuta a Bologna per sfuggire alla dittatura franchista e per
cercare lavoro.
Sono stata la dada di parecchi bimbi dei colli di Bologna. I bambini mi
piacciono moltissimo. Dopo sposata ho fatto anche altri lavori,
barista, pulizie…
Se penso alla mia infanzia ricordo il buon sapore del caldo gallego,
zuppa con patate, carne di maiale e verdure, e la muñeira, una danza
tipica della Galizia.
Andavamo sulla spiaggia a ballare al suono delle panderetas
(tamburelli) e delle gaitas (cornamuse). Per me bambina era una
grandissima emozione. La gita era organizzata dai preti, che sono stati
i primi veri insegnanti della mia vita.
Prima ero stata trascurata: non c’era interesse a far imparare a chi
era destinato a diventare un contadino…
Josefa
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La musica di Viola
La luce filtrava da un lucernaio che, per quanto tutto
storto e malandato, portava il sole in quella casa, un sole mattutino,
non ancora pericolosamente bruciante, e luminosissimo. Elmo notò che la
luce che sbatteva su certi utensili metallici si spiccicava poi sul
muro bianco, dipingendo piccoli arcobaleni. Era una danza di luccichii
di tutti i colori. Elmo si girava tutto intorno per scovare ancora un
altro minuscolo arcobaleno, ancora e ancora e, completamente circondato
da farfalline e pesciolini che decoravano la sua gioia mattutina,
presto si sentì ebbro di entusiasmo. Ma lei non c’era! Passata svelta
dall’apertura della porta piccola, passata svelta attraverso quello
spazio di comunicazione tra due stanze, non la si trovava più né di qua
né di là.
Nessuna traccia del suo passaggio, tanto che a Elmo venne il dubbio che
si fosse trattato di un abbaglio luminoso. Eppure l’aveva vista con il
suo vestitino a fiori svolazzante come il velo delle spose, eterea e
colorata. L’aveva intravista, scalza, intrufolarsi nella stanza. E poi
riccioluta e sorridente entrare di sfuggita a portare una nota profonda
di vita in movimento, che sveglia l’attenzione perché cattura l’anima
pronta a essere svegliata. Con gli occhi semichiusi del mattino, come
dentro una rivelazione, confessa a se stesso di desiderare la presenza
di lei per poter condividere la vivacità del risveglio ancora pieno di
strascichi di sogno. Gli sarebbe piaciuto raccontarle tutte le
stravaganti storie che l’avevano accompagnato nella notte. Si tratta
proprio di un desiderio affiorato per eccesso di allegria, pensa Elmo!
Viola, invero non si ferma nelle case a lungo, esce dalla finestra e va
dove vuole, attraversa ogni strada in piena libertà, Viola ride e segue
i suoi percorsi da indovinare, si ferma dove preferisce e qualche volta
piange. È una ragazza piena di pagliuzze tra i capelli, perché suo
nonno fa il contadino e in certi periodi dell’anno trebbia il grano e
siccome a Viola piace molto quello svolazzare di pezzetti di spighe e
chissà che, quando la grande macchina si ferma, lei si butta dentro il
campo e sta lì a gingillarsi con la natura da raccogliere.
E succede così che la sera, quando Elmo la incontra sulla strada
principale, lei, camminando in quel modo zigzagante tutto suo, ha
sempre le mani tra i capelli nel tentativo di ripulirli dai resti del
raccolto. Elmo rimane incantato da quel gesto dentro quella andatura e
sempre pensa che è facile amare Viola ed è bello, come ascoltare il
suono pizzicato del violino nel mezzo di una festa, e doloroso anche,
come il suono di un sassofono suscettibile nella notte piena di
pioggia. Ecco come è allegra e melanconica la sua Viola.
Viola, vera.
Costanza Tuor
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L’orologio e lo Zen
Volevo andarmene, ma… mi fermò la
musica.
Di orologi ce ne sono due: quello senza lancette è la campana del
campanile e quello che le ha è l’orologio del municipio. Il sacro e il
profano. La campana del campanile con il suo suono annuncia ricorrenze
sacre (feste religiose, riti, processioni…) mentre quello del municipio
scandisce il tempo ordinario.
Luigi Zen
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A Valencia!
Siamo partiti domenica 18 settembre sera da Bologna,
valigie formato standard e ansiolitici in borsa per paura dell’aereo
(io non l’avevo mai preso). Arriviamo con il bus all’aeroporto
“Marconi”. Passato il check-in, saliamo a bordo. I sedili sono a tre
posti, stretti su due file. L’aereo prende una pista breve e decolla
troppo rapidamente, dando delle strattonate per trenta secondi. Ci
guardiamo sbigottiti, con il fiato sospeso… Poi prende quota e si
stabilizza: è tranquillo, non rumoroso. Ascolto la radio, fuori è buio.
Una hostess in divisa ci distribuisce sigarette finte al mentolo. Uno
stewart in tuta blu e gialla ci spiega tutte le mosse per aprire il
paracadute. Parla in spagnolo, poi in inglese. Non lo ascolto.
Chiacchieriamo piacevolmente. Il viaggio è breve, atterriamo dopo
un’ora e mezza circa all’aeroporto di Valencia.
Scendiamo con i nostri bagagli a mano, prendiamo un taxi e raggiungiamo
l’ostello “Pension Universal”. Le scale sono tante: quinto piano senza
ascensore. Ci consegnano le chiavi dopo aver copiato i codici dei
nostri documenti. Il tempo di appoggiare la roba e mi addormento. La
mattina è splendida: un cielo azzurro intenso e una colazione ottima
stile inglese: croissant, caffè, 'tostada' e succo d’arancia. Il nostro
bar preferito per fare colazione, proprio sotto alla pensione, non meno
di tre euro a testa…
La città non è molto grande, per fare un esempio circa quattro volte
Porretta. I palazzi sono bianchi e imponenti, di stile vittoriano,
ricordano un po’ Torino o le grandi città del nord Europa (Amsterdam,
Parigi), eccetto l’unico elemento esotico: le palme. Ce n’è
dappertutto. Non ho potuto fare a meno di notare che questa cittadina,
anche se piccola, trasmette molto benessere, infatti il tenore di vita
è più alto rispetto al nostro. Ci sono molti italiani immigrati. Le
case costano meno e il lavoro non manca, ci sono soprattutto banche,
assicurazioni, uffici, agenzie…
La piazza principale è Plaza del Ayuntamiento, da dove partono numerosi
autobus anche per il mare, che si raggiunge in trenta minuti. Fontane
moderne, statue, ristoranti all’aperto, ragazzi con lo skateboard,
camerieri in divisa. Abbiamo visitato il mercato centrale (quello
all’aperto),
pieno di generi alimentari di tutti i tipi. Molto rinomato il jamon de
Valencia, che è come il nostro prosciutto San Daniele. Poi frutta,
verdura e scaffali in legno pieni di vasetti di frutta sciroppata e
conserve fatte in casa, ordinati ed etichettati quasi per bellezza.
Dalla nostra pensione, girando a sinistra, si raggiungeva una strada
pedonale, lastricata come un pavimento di lusso. Si snodavano a destra
e a sinistra negozi famosi, soprattutto di abbigliamento, parrucchieri
e farmacie.
Gli abitanti sono cortesi, gentili, molto educati. È molto pulito, non
ci sono cicche per terra, a parte quelle che buttavamo noi…
Lo spagnolo è una bellissima lingua, mi piacerebbe studiarlo.
Le maioliche della stazione ferroviaria, colorate in blu e in giallo,
ricordano gli azulejos portoghesi. Sono molto appariscenti e
raffigurano scene bellissime. Non abbiamo potuto fare a meno di
fotografarle.
Siamo andati anche in spiaggia due volte. Si arriva con il bus. Muretti
bassi, con catene di fast-food e piccoli ristoranti, chioschi dove si
gustano le specialità valenciane. Il piatto più tipico è la paella,
fatta con riso, spezie, pollo e pesce fresco, poi le tortillas (tortini
di patate a fette), i bocadillos (panini farciti con prosciutto
sott’olio), i pesciolini fritti, le tapas (assaggi di bruschette,
patate, formaggi e vino).
La prima sera nei tavoli di un ristorante all’aperto abbiamo gustato la
sangria (vino rosso, porto, frutta a pezzi e zuccherata) e calamari
alla romana, spaghetti all’arrabbiata, pizza… insomma qualche
specialità italiana.
Di fianco ai muretti che costeggiano la spiaggia ci sono le case dei
pescatori, alcune rosse, altre azzurre… colori sgargianti e vivaci…
ormai sfitte e un po’ sbiadite. Ci vivevano una volta, quando
l’economia era ancora fondata sulla pesca, anche come sopravvivenza.
Le spiagge sono lunghe e desolate, ormai non è più stagione di vacanze.
Ci sono gli ombrelloni fissi, di ferro e paglia, che si noleggiano ogni
trecento metri, dai chioschi bianchi e blu, insieme a comodi lettini
imbottiti. L’acqua è pulita, verde da vicino e blu da lontano. In pochi
facevano il bagno, forse per paura delle onde.
Tornando verso la pensione in autobus abbiamo notato un giardino ornato
di alberi fioriti, non so di quali fiori, ma molto delicati.
Il rientro è stato di sera, ma c’era ancora luce, così ho potuto vedere
un magnifico blu intenso del mare con nuvole bianche. L’aereo stavolta
ha preso una pista lunga ed ha decollato lentamente, molto soft: una
sensazione di leggerezza.
Arrivati a Bologna abbiamo preso il bus e siamo tornati a casa.
Giorgia Bolognini
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Vacanze a Vallorsaia
Tra il 13 e il 20 agosto, insieme a tanti cari amici
del Fareinsieme, abbiamo trascorso una piacevolissima vacanza in un
agriturismo vicino a Sansepolcro, in provincia di Arezzo, ad 800 metri
di altitudine.
Sono stati dei giorni veramente rilassanti e divertenti che resteranno
a lungo nella nostra memoria, come un caro ricordo.
Nel ringraziare caldamente tutti coloro che hanno resa possibile questa
vacanza un pensiero particolare va ad Adriana e Gianfranca che
instancabilmente si sono prodigate per la perfetta riuscita della
stessa.
Ave ed Antonio
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La storia di Anna
Tra invalidità, patente di guida e voglia di vivere
Riceviamo dal laboratorio di scrittura di “UmanaMente”
e volentieri pubblichiamo:
Mi chiamo Anna e ho 46 anni, da 10 soffro di una
malattia mentale che hanno diagnosticato come schizofrenia e sono
seguita dal Centro di Salute Mentale. Da un paio di mesi non posso più
guidare la macchina perché mi hanno dichiarata non idonea alla guida.
L’associazione UmanaMente, di cui faccio parte, ha ritenuto la mia
storia utile anche per altri nella mia situazione e così insieme
abbiamo voluto approfondire i temi riguardanti l’invalidità e la
patente di guida.
Io ho preso la patente quando avevo 18 anni e da allora ho sempre
guidato. A 36 ho avuto il mio primo scompenso psicotico e nonostante la
diagnosi psichiatrica di schizofrenia a 38 anni la patente mi è stata
rinnovata.
Da diverso tempo il Servizio di igiene mentale mi suggeriva di
richiedere l’invalidità per poter avere una pensione e così a Ottobre
del 2010 ho detto agli operatori di procedere con la richiesta. A
primavera sono andata con la mia assistente sociale prima alla
commissione medica Invalidi Civili di competenza territoriale e poi
all’I.N.P.S. in Via Gramsci 8.
GIUDIZIO DIAGNOSTICO DELLA COMMISSIONE
Anamnesi: ipotiroidismo seguita dal C.S.M. di San Lazzaro da circa 10
anni per disturbo schizofrenico. Attualmente effettua percorso
riabilitativo in regime diurno presso “Casa Mantovani”
Esame obiettivo: vigile, risponde a tono.
Dispercezioni in atto. Deambulazione autonoma.
Documentazione: referti vari (varie degenze ospedaliere e cartelle
C.S.M.)
La commissione ha accertato patologia di competenza della commissione.
Diagnosi: schizofrenia paranoide cronica ipotiroidismo
Da rivedere: 3/4/2012
GIUDIZIO ESPRESSO DALLA COMMISSIONE
Il richiedente è riconosciuto:
08 invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e con
necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli
atti quotidiani della vita (L 18/80 e 508/88)
100% invalidità.
Insieme all’invalidità al 100% Anna ottiene anche l’accompagnamento, ma
l’inidoneità alla guida. Anna vorrebbe non perdere la pensione di
invalidità e l’accompagnamento, ma anche desidererebbe poter guidare.
COME FARE?
Il laboratorio editoriale di UmanaMente ha voluto approfondire i vari
argomenti che riguardano:
- DPR 16 dicembre 1992, n°495
- l’invalidità, l’inidoneità e l’accompagnamento;
- la classificazione ICIDH;
- l’esame neuropsicologico;
- l’idoneità alla guida
Per approfondire gli ultimi due temi è stata chiamata la dr.ssa Lucia
Cretella, esperta di neuropsicologia.
DPR 16 dicembre 1992, n°495 - Appendice II - Art. 320 (Malattie
invalidanti)
1. Le malattie ed affezioni che escludono la possibilità di rilascio
del certificato di idoneità alla guida sono quelle sottoindicate:
A. Affezioni cardiovascolari.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata ai
candidati o conducenti colpiti da un'affezione cardiovascolare ritenuta
incompatibile con la sicurezza della guida. Nei casi dubbi, ovvero
quando trattasi di affezioni cardiovascolari corrette da apposite
protesi, il giudizio di idoneità verrà espresso dalla commissione
medica locale che può avvalersi della consulenza di uno specialista
appartenente alle strutture pubbliche. La commissione medica locale
terrà nel debito conto i rischi o pericoli addizionali connessi con la
guida di veicoli conducibili con le patenti delle categorie C, D, E.
B. Diabete.
La patente di guida può essere rilasciata o rinnovata al candidato o
conducente colpito da diabete mellito, con parere di un medico
autorizzato e regolare controllo medico specifico per ogni caso.
La patente di guida non deve essere né rilasciata né rinnovata al
candidato o conducente di questo gruppo colpito da diabete mellito che
necessiti di un trattamento con insulina, salvo casi eccezionali
debitamente giustificati dal parere di un medico autorizzato e con
controllo medico regolare.
C. Malattie endocrine.
In caso di disturbi endocrini gravi, diversi dal diabete, in forme di
entità tale da compromettere la sicurezza della guida, la patente di
guida non potrà essere rilasciata o confermata salvo il caso in cui la
possibilità di rilascio o di conferma sia espressamente certificata da
parte della commissione medica locale.
D. Malattie del sistema nervoso.
La patente di guida non deve essere né rilasciata né confermata a
candidati o conducenti colpiti da:
a) encefalite, sclerosi multipla, miastenia grave o malattie del
sistema nervoso, associate ad atrofia muscolare progressiva e/o a
disturbi miotonici;
b) malattie del sistema nervoso periferico;
c) postumi invalidanti di traumatismi del sistema nervoso centrale o
periferico.
A giudizio della commissione medica locale e con sua espressa
certificazione, nei casi a), b) e c) sopracitati, a seguito dell'esito
della visita specialistica presso strutture pubbliche, ove ritenuta
necessaria, può essere rilasciata o confermata la patente di guida a
condizione che dette malattie non siano in stato avanzato e che la
funzione degli arti sia buona, per cui non venga pregiudicata la
sicurezza della guida. In tali casi gli interessati devono mostrare di
essere capaci di usare i comandi del veicolo appartenente alla
categoria per la quale si richiede il rilascio della patente, in
condizioni di sicurezza. La validità della patente non può essere
superiore a due anni. Per la conferma e la revisione valgono le stesse
modalità;
d) epilessia.
La concessione di patente delle sole categorie A e B agli epilettici è
consentita a soggetti che non presentino crisi comiziali da almeno due
anni, indipendentemente dall'effettuazione di terapie antiepilettiche
di mantenimento e controllo. Tale condizione dovrà essere verificata
dalla commissione medica locale sulla base di certificazione, di data
non anteriore a trenta giorni, redatta dal medico di fiducia o da uno
specialista appartenente alle strutture pubbliche. La validità della
patente non può essere superiore a due anni. Per la conferma e la
revisione valgono le stesse modalità. La patente di guida delle
categorie C, D, E non deve essere rilasciata né confermata ai candidati
o conducenti in atto affetti o che abbiano sofferto in passato di
epilessia.
E. Malattie psichiche.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata a
candidati o conducenti che siano affetti da turbe psichiche in atto
dovute a malattie, traumatismi, postumi di interventi chirurgici sul
sistema nervoso centrale o periferico o colpiti da ritardo mentale
grave o che soffrono di psicosi o di turbe della personalità, quando
tali condizioni non siano compatibili con la sicurezza della guida,
salvo i casi che la commissione medica locale potrà valutare in modo
diverso avvalendosi, se del caso, della consulenza specialistica presso
strutture pubbliche. La commissione medica locale, terrà in
quest'ultimo caso in debito conto i rischi o i pericoli addizionali
connessi con la guida dei veicoli delle categorie C, D, E. La validità
della patente in questi casi non può essere superiore a due anni.
Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità.
F. Sostanze psicoattive.
La patente di guida non deve essere rilasciata o confermata ai
candidati o conducenti che si trovino in stato di dipendenza attuale da
alcool, stupefacenti o sostanze psicotrope né a persone che comunque
consumino abitualmente sostanze capaci di compromettere la loro
idoneità a guidare senza pericoli. Nel caso in cui tale dipendenza sia
passata e non più attuale la commissione medica locale, dopo aver
valutato con estrema cautela il rischio di recidiva del singolo
candidato o conducente, sulla base di idonei accertamenti clinici e di
laboratorio, e dopo essersi eventualmente avvalsa della consulenza di
uno specialista appartenente ad una struttura pubblica, può esprimere
parere favorevole al rilascio o alla conferma. La commissione medica
locale tiene in debito conto e valuta con estrema severità i rischi
addizionali connessi con la guida di veicoli delle categorie C, D, E.
La validità della patente in questi casi non può essere superiore a due
anni. Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità.
G. Malattie del sangue.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata ai
candidati o conducenti colpiti da gravi malattie del sangue, salvo il
caso in cui la possibilità di rilascio o di conferma sia espressamente
certificata da parte della commissione medica locale, la quale potrà
avvalersi del parere di medici specialisti appartenenti a strutture
pubbliche.
H. Malattie dell'apparato urogenitale.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata ai
candidati o conducenti che soffrono di insufficienza renale grave.
Limitatamente ai candidati o conducenti per patenti delle categorie A,
B, la patente di guida può essere rilasciata o confermata quando
l'insufficienza renale risulti positivamente corretta a seguito di
trattamento dialitico o di trapianto. La certificazione relativa deve
essere rilasciata dalla commissione medica locale. La validità della
patente non può essere superiore a due anni. Per la conferma e la
revisione valgono le stesse modalità.
INVALIDITA' CIVILE
Per invalidità si intende la difficoltà a svolgere alcune funzioni
tipiche della vita quotidiana o di relazione, a causa di una
menomazione o di un deficit psichico o intellettivo, della vista o
dell'udito. Essa viene definita in percentuale, nel caso in cui
l'interessato sia maggiorenne.
L’invalidità civile si differenzia dagli altri tipi di invalidità per
il fatto di non richiedere alcun versamento contributivo. Essa è perciò
oggetto di prestazioni solo assistenziali. Il riconoscimento del
diritto a tali prestazioni è collegato alla combinazione di tre diversi
requisiti:
- sanitari (tipo e percentuale di invalidità);
- di età;
- di reddito.
L'accertamento dell'invalidità
I requisiti sanitari vengono accertati dall'Inps, grazie a convenzioni
stipulate con le Regioni. Tale funzione, precedentemente svolta da una
Commissione Medica, istituita presso la Asl competente, è stata
attribuita all'Inps dalla Legge n. 111 del 2011.
La domanda per ottenere il riconoscimento dell'invalidità civile, dal 1
gennaio 2010, va presentata all'Inps stesso, tramite una procedura on
line disponibile sul sito dell'Istituto. L'eventuale riconoscimento,
che viene espresso in percentuale, comporta la possibilità di godere di
vari benefici, quali il percepimento di pensioni, indennità,
agevolazioni fiscali, congedi e permessi lavorativi, esenzione dal
ticket ecc.
Le provvidenze economiche
Il riconoscimento delle diverse soglie di invalidità civile può dar
diritto a differenti benefici (come prestazioni sanitarie gratuite,
assunzione obbligatoria al lavoro, esenzione dal ticket), oltre che a
diversi tipi di "provvidenze economiche". Eccole in sintesi.
- Assegno mensile di assistenza:
invalidi civili almeno al 74%, età tra i 18 e i 65 anni, nessuna
attività lavorativa, reddito inferiore a 4.408,95 euro.
- Pensione di inabilità:
invalidi civili al 100%, età tra i 18 e i 65 anni, impossibilità di
svolgere qualsiasi attività lavorativa, reddito inferiore a 15.154,24
euro.
- Indennità di accompagnamento:
invalidi civili al 100% con incapacità di deambulare o che necessitino
di assistenza continua e che non siano ricoverati gratuitamente in
istituto.
- Indennità mensile di frequenza:
minori di 18 anni con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni
proprie dell'età, reddito annuo personale inferiore a 4.408,95 euro.
- Assegno sociale:
invalidi civili, titolari di pensione di inabilità o di assegno
mensile, dopo il compimento del 65esimo anno di età.
L'indennità di accompagnamento
L'indennità di accompagnamento, o assegno di accompagnamento, è un
sostegno economico statale pagato dall'Inps, al quale hanno diritto gli
invalidi civili al 100 per cento – con incapacità di deambulare o
bisognosi di assistenza continua - che non siano ricoverati
gratuitamente presso strutture pubbliche per più di un mese.
È una forma di provvidenza economica istituita con la Legge n. 18 del
1980, modificata dall’ art. 1 della legge n. 508 del 1988.
I requisiti per averla
L'indennità di accompagnamento spetta alle persone in grado di
certificare il riconoscimento di un'invalidità totale e permanente del
100 per cento, accompagnata dall'impossibilità di deambulare senza
l'aiuto permanente di un accompagnatore, oppure dall'impossibilità di
compiere gli atti quotidiani della vita e conseguente necessità di
un'assistenza continua.
Non ci sono vincoli di età o di reddito. L’indennità è anche
compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa.
Per averla, bisogna essere cittadini italiani o di uno Stato
dell’Unione Europea, purché residenti in Italia. Ne hanno diritto anche
gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno
di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro
carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno.
L'indennità di accompagnamento spetta anche:
- ai ciechi civili assoluti, per i quali l'importo è maggiorato a
783,60 euro mensili;
- alle persone che sono sottoposte a chemioterapia o a altre terapie in
regime di day hospital e che non possono recarsi da sole all'ospedale;
- ai bambini minorenni, incapaci di camminare senza l'aiuto di una
persona e bisognosi di assistenza continua;
- alle persone affette dal morbo di Alzheimer e dalla sindrome di Down;
- alle persone affette da epilessia, sia a coloro che subiscono
attacchi quotidiani, sia a coloro che abbiano solo di tanto in tanto le
cosiddette "crisi di assenza".
Al compimento del 65° anno di età, il diritto all’indennità è
subordinato alla condizione che la persona abbia difficoltà persistenti
a svolgere i compiti e le funzioni dell’età: impossibilità alla
deambulazione autonoma e mancanza assoluta di autosufficienza.
Quanto spetta
L'importo dell'indennità di accompagnamento, pari a 480,47 euro mensili
(per il 2010), è erogato in 12 mensilità e viene aggiornato ogni anno
dal Ministero dell'Interno.
Non hanno diritto all'indennità di accompagnamento coloro che
percepiscono indennità simili per causa di guerra, di lavoro o di
servizio, ma è possibile scegliere il sussidio più conveniente.
La domanda
Per richiedere il riconoscimento di invalidità e l'indennità, è
necessario presentare una domanda alla Commissione Medica per gli
Invalidi Civili della Asl di residenza, allegando la certificazione
medica che comprovi la minorazione o menomazione.
Entro tre mesi, viene comunicata alla persona interessata la data della
visita medica. In caso di esito negativo della visita, è possibile fare
ricorso, entro due mesi dalla notifica, alla Commissione Medica
Superiore presso il Ministero del Tesoro, il quale decide entro sei
mesi, intendendosi, in caso di silenzio, respinto il ricorso.
Entro il 31 marzo di ogni anno, i titolari di indennità di
accompagnamento devono produrre una dichiarazione periodica,
utilizzando il modello Icric, relativo alla sussistenza dei requisiti
di legge.
In caso di ricovero
Non hanno diritto all'indennità le persone invalide:
- ricoverate gratuitamente in Istituti pubblici o in Case di riposo,
che provvedono al suo sostentamento, anche in caso contribuiscano
economicamente per ottenere un migliore trattamento;
- ricoverate in reparti di lungo-degenza o riabilitativi.
L'indennità di accompagnamento viene comunque corrisposta:
- durante i periodi di ricovero per terapie contingenti di durata
connessa al corso della malattia;
- durante i periodi di allontanamento dalla struttura di ricovero di
durata non superiore al mese;
- per i periodi di documentata interruzione del ricovero, purché di
durata non inferiore a 1 mese.
La classificazione ICD e ICIDH
Nel 1970, l'OMS elabora l'International Classification of Diseases
(ICD), focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali
caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle
patologie. Inoltre, al fine di rispondere alla necessità di
un'omogeneizzazione dei dati nel mondo, le diagnosi vengono tradotte in
codici numerici.
L'ICD, che ha particolare riguardo per l'aspetto eziologico della
patologia, è una classificazione in cui assume un ruolo centrale il
nesso di causa, secondo lo schema:
eziologia -> patologia -> manifestazione clinica
Tuttavia, il limite è quello di non prevedere le conseguenze della
patologia, tanto che, oltre a periodiche revisioni (si ricordi tra
l'altro che con l'industrializzazione si diffondono nuove patologie
causate da fattori non presenti in natura e sovente caratterizzate da
cronicità, multieziologia e irreversibilità), già nel 1976 all'ICD si
affianca un testo relativo proprio alle conseguenze delle malattie, o a
fenomeni a queste connesse.
Nel 1980 Wood e la sua equipe realizzano l'International Classification
of Impairment, Disabilities ad Handicap. A manual of classification
relating to the consequences of desease (ICIDH).
L'esigenza di un superamento concettuale della ICD è dunque dettata
dalla constatazione che le persone, oltre a subire le manifestazioni
cliniche della malattia, possono risultare incapaci di svolgere il loro
ruolo sociale e di mantenere normali relazioni.
In questa prospettiva, l'ICIDH propone le nuove definizioni di
Impairment, Disability ed Handicap, di seguito sintetizzate.
Impairment (menomazione)
Indica ogni alterazione anatomica o funzionale, psichica o fisica,
rispetto agli standard biomedici generalmente accettati. È evidente la
specificità medica della definizione, richiesta per un apprezzamento
quantitativo e soprattutto qualitativo. Altro punto essenziale, è
quello di riferimento, cioè la "normalità", che non è intesa come
assoluta, quanto piuttosto come un concetto statistico di normalità in
rapporto alle persone di stesso sesso ed età. Inoltre, non sempre la
stessa menomazione incide in ugual modo nella vita reale di ogni
persona (si pensi all'esempio alla diversa gravità dell'amputazione
della falange ungueale del mignolo per un violinista rispetto al resto
della popolazione).
Disability (disabilità/incapacità)
Indica ogni diminuzione delle possibilità, derivante da una
minorazione, di effettuare una specifica azione finalizzata, nello
stesso modo di un "medio" essere umano. Non riguarda l'estrinsecazione
della funzione relativa ad una struttura anatomica o funzionale, ma
l'abilità di tutta la persona, e non di una sua parte, a compiere una
determinata azione della vita quotidiana, che consiste in una serie di
attività complesse e tra loro integrate, nello svolgimento di un
determinato compito (lavorativo, ricreativo, necessario o superfluo)
della vita quotidiana. Queste attività del vivere quotidiano (ADL) sono
definite in base alla loro importanza: alcune sono necessarie (come
nutrirsi, vestirsi, pulirsi, spostarsi autonomamente); altre, non sono
essenziali alla sopravvivenza, ma lo diventano in rapporto alla qualità
della vita (ad esempio, la capacità di preparare il cibo, di curare il
proprio aspetto, svolgere un'attività retribuita). In conclusione, il
concetto di incapacità / disabilità non può prescindere dal riferimento
all'ambiente di vita della persona e alla sua capacità di adattarsi ed
interagire alla più diverse circostanze.
Handicap (termine inizialmente adottato nella traduzione in francese
dell'ICIDH)
Può derivare da una menomazione, ma in genere è in relazione alla
disability con compromissione della sfera sociale dell'individuo. Il
fatto che si riferisca non tanto all'individuo in esame, ma alle
condizioni esterne (si pensi, ad esempio, all'ostacolo rappresentato da
uno scalino per chi è sulla carrozzina), rende questa definizione di
non immediato inquadramento medico-legale e richiede l'esigenza di una
collaborazione con altre figure professionali.
Una lista dei principali raggruppamenti nella definizione di ciascuno
dei tre termini può meglio aiutare a capire la distinzione.
MENOMAZIONI
1. Menomazioni della capacità intellettiva Altre menomazioni
psicologiche Menomazioni del linguaggio e della parola
2. Menomazioni auricolari
3. Menomazioni oculari
4. Menomazioni viscerali
5. Menomazioni scheletriche
6. Menomazioni deturpanti
7. Menomazioni generalizzate, sensoriali e di altro tipo.
DISABILITA'
1. Disabilità nel comportamento
2. Disabilità nella comunicazione
3. Disabilità nella cura della propria persona
4. Disabilità locomotorie
5. Disabilità dovute all'assetto corporeo
6. Disabilità nella destrezza
7. Disabilità circostanziali
8. Disabilità in particolari attività
9. Altre restrizioni all'attività
HANDICAP
1. Handicap nell'orientamento
2. Handicap nell'indipendenza fisica
3. Handicap nella mobilità
4. Handicap occupazionali
5. Handicap nell'integrazione sociale
6. Handicap nell'autosufficienza economica
7. Altri handicap
La valutazione neuropsicologica
L’esame neuropsicologico è una misura delle capacità cognitive del
soggetto in un determinato momento e contesto. L’obiettivo della
valutazione neuropsicologica è di rilevare le manifestazioni
comportamentali delle funzioni cerebrali, siano esse compromesse o
preservate.
- STRUMENTO DIAGNOSTICO: Fornire quadro completo del paziente
- STRUMENTO PROGNOSTICO
- PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA
- PROGETTO RIABILITATIVO (monitoraggio)
- LEGALE-ASSICURATIVA
Metodologia della valutazione neuropsicologica
1. Analisi della domanda di invio e Setting
2. Consenso Informato
3. Anamnesi neuropsicologica
4. Somministrazione di test standardizzati e utilizzo di altri
strumenti quali Interviste e Osservazione
L’esame neuropsicologico sarà preceduto da una preliminare
consultazione di:
- Condizione medica generale e neurologica in particolare
- Relazioni cliniche
- Referti strumentali neuro radiologici
Per guidare occorre avere integre alcune importanti funzioni cognitive,
l’esame neuropsicologico accerta l’integrità di queste funzioni.
Le funzioni coinvolte nella guida sono:
Funzioni controllo quali:
percezione del
rischio
prontezza di
riflessi
attenzione e
concentrazione
coordinazione
motoria
capacità di
controllo delle proprie emozioni
orientamento
spazio-temporale
memoria
procedurale e visuo-spaziale
I principali fattori che compromettono le funzioni coinvolte nella
guida sono:
percezione del rischio (stupefacenti, alcool, patologie psichiatriche,
deficit visivi, sonnolenza,…)
riflessi (stupefacenti, alcool, malattie neurologiche, diabete, deficit
visivi, …)
capacità attentiva (farmaci, stupefacenti, alcool, sonnolenza, demenza,
stanchezza, …)
stato di coscienza (epilessia, diabete, aritmie, colpo di sonno, …)
capacità visiva (malattie oculari e neurologiche, stupefacenti, alcool,
diabete, …)
coordinazione motoria (patologie neurologiche, muscolari, alterazioni
anatomiche, alcool, stupefacenti, …)
capacità di controllo delle proprie emozioni (stupefacenti, alcool,
malattie psichiatriche, disturbi del comportamento, ...)
La patente di guida
Il rinnovo della patente spetta alla commissione medica così come la
richiesta di esame neuropsicologico. La persona può comunque decidere
di sottoporsi ad un esame neuropsicologico, che è comunque a spese
dell’utente (il costo varia da 150-200 euro). L’esame può dare un
giudizio di idoneità o meno alla guida, ma non può sostituirsi al
giudizio finale della commissione medica.
Sono abilitati alla verifica dell'esistenza dei requisiti psicofisici
per la guida di veicoli a motore le seguenti figure sanitarie:
- Medici legali delle unità sanitarie locali di residenza;
- Medico appartenente ai ruoli del Ministero della salute;
- Medico appartenente al ruolo sanitario della Polizia di Stato;
- Medico appartenente al ruolo sanitario del Corpo Nazionale dei Vigili
del Fuoco;
- Medico militare in servizio permanente effettivo;
- Ispettore medico delle Ferrovie dello Stato;
- Ispettore medico del ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La prenotazione della visita medico legale per patente di guida può
essere effettuata:
di persona presso i Centri Unici di Prenotazione (CUP) attivi in tutti
i Poliambulatori aziendali
|
Una bella notizia
Il 29 settembre scorso è stato inaugurato il progetto
“la Trottola”, all’interno del Centro Sociale di via Canonica (Croce di
Casalecchio di Reno).
Il progetto è stato realizzato grazie alla convergenza delle energie di
quattro attori principali: A.I.T.Sa.M (Associazione Italiana Tutela
Salute Mentale), Assessorato ai Servizi Sociali di Casalecchio,
Polisportiva “Diavoli Rossi”, CSM di Casalecchio (con due operatori
aziendali che si alterneranno nella fase di avvio).
L’obiettivo è far sì che utenti, familiari, volontari e cittadini (non
soltanto di questo territorio), abbiano uno spazio di aggregazione e di
integrazione dove ritrovarsi al di fuori dei luoghi di cura, per
realizzare attività (interne e soprattutto esterne) che via via saranno
proposte dai soci e condivise con altre realtà gruppali e associative
del territorio.
Prossimi appuntamenti:
giovedì 3 novembre, ore 18 e 30 – 20; sabato 19 novembre, ore 15 e 30
–18;
giovedì 1 dicembre, ore 18 e 30 – 20; sabato 17 dicembre. ore 15 e 30
-18 (festa degli auguri).
info 348/6555071 ( Concetta Pietrobattista )
PER RAGGIUNGERE VIA CANONICA ALLA CROCE DI CASALECCHIO
PRENDERE AUTOBUS 20 O 89 FERMATA CROCE
|
Posta
Salve, sono Rita, una infermiera che lavora al
Mazzacorati.
Sono ormai 20 anni che lavoro nell'ambito della psichiatria: ho
lavorato 15 anni a Villa Olimpia, posso dire che sono cresciuta e...
invecchiata assieme a tanti nostri utenti, che conosco meglio -tanti-
dei miei parenti.
Leggo da sempre Il Faro e vedo che manca la nostra presenza, come se
noi fossimo al di fuori di tante problematiche che pesano su chi soffre
di qualche problema psichico. Noi… almeno, io, vado a casa tante volte
con il cuore affranto da tanta sofferenza, dentro di me, per le storie
ascoltare durante il mio lavoro. Sento che abbiamo ancora troppo pochi
mezzi per dare un aiuto, sento spesso tanta solitudine e tanta mancanza
di amore, poiché credo fortemente che l'essere umano ha bisogno di
amore prima ancora del cibo. La linfa vitale di noi esseri umani è
questa energia - che non è ancora misurabile con uno strumento- questa
misteriosa ma potentissima Energia divina che si chiama AMORE. Credo
fortemente che aiutarsi a guarire anche amando, avendo un profondo
interesse per qualcosa, amare i fiori, gli alberi, gli animali,
guardare il cielo, vedere quante cose belle ci sono attorno a noi,
meravigliarsi di un abbraccio, una parola dolce, capire la sofferenza
altrui… sia una Medicina, altrettanto importante di un buon farmaco.
Vi saluto e vi ringrazio con affetto e stima.
Rita (27 luglio 2011 -
elvirarita.grechi@ausl.bologna.it)
Ciao, Rita!
Grazie di averci scritto. Sarebbe certo molto gradito che gli operatori
ci mandassero dei contributi: il Faro è il giornale di tutti. Purtroppo
operatori e familiari ancora si fanno vivi di rado, ma vedrai che la
tua lettera servirà.
Un bacio.
* * * * *
Gentile redazione de "Il Faro"
sono Vincenzo Marolla, psicologo che opera nel campo della psicoterapia
infantile e adulta oltre che operatore di tecniche di rilassamento. In
diverse occasioni ho letto la vostra rivista che mi sembra ben curata e
interessante. Mi piacerebbe poter pubblicare qualcosa scritto da me che
possa essere utile e interessante per i lettori della rivista. Se siete
interessati potete comunicarmelo e vedremo di organizzarci in tal
senso.
Dott. Vincenzo Marolla (14 agosto 2011)
Gentilissimo,
i contributi al Faro possono essere di due specie: testi personali
(pensieri, poesie, racconti, recensioni sul tema proposto volta a
volta) che pubblichiamo senza alcun filtro e che possono essere inviati
da chiunque (utente, familiare, operatore della Salute Mentale,
cittadino attivo...), e interventi più professionali per l'inserto, che
generalmente richiediamo noi in base al progetto editoriale di ciascun
numero. Volentieri possiamo tenerci in contatto. Saluti cordiali.
* * * * *
Leggo spesso "Il Faro" ed apprezzo infinitamente le
idee e le riflessioni unite alla dedizione e sensibilità con cui
affrontate tematiche importanti, spesso difficili, in un giornalino che
giustamente usate definire il "giornale di tutti". Vi ringrazio
infinitamente per l'attenzione che darete a questo mio scritto che
spero possa fungere da stimolo per ulteriori discussioni future , sul
tema dell'inclusione sociale , quale obiettivo prioritario di vita per
ciascun individuo. Mi accingo a scrivervi poiché definire vergognoso
quanto appare sul portale della provincia di Bologna è semplicemente
riduttivo. Ebbene, vi invito ad aprire il sito : troverete un avviso di
chiamata con offerte di lavoro per i disabili della legge 68, un avviso
tenuto in evidenza solo dal 19 settembre al 29 settembre , MA I
DISABILI APPARTENENTI ALL'ART. 9 (I SOFFERENTI PSICHICI, PER
INTENDERCI) NON POSSONO PARTECIPARE. Tutti gli altri disabili, con
tutto il rispetto per le sofferenze umane altrui, hanno una
possibilità, mentre tutta quella sfera di giovani che vogliono cercare
di farcela , anche attraverso la possibilità di un lavoro, non possono
concorrere. In fondo per loro cosa rimane? Le borse lavoro sono
praticamente azzerate, i tirocini formativi sono ridotti all'osso e a
mia figlia, che mi chiede continuamente di poter lavorare perché in
casa tutto il giorno si deprime, devo risponderle che non può perché la
provincia di Bologna la esclude da un'asta pubblica e che deve
continuare a sperare in altre forme occupazionali. Quali saranno?
Proprio non so risponderle. Come mai possono essere così spudoratamente
formalizzate forme di esclusione sociale ? Come può una diagnosi
funzionale che garantisce, a tutela del lavoratore disabile e della
controparte, le capacità lavorative e poi non essere riconosciute da
un'istituzione come la provincia di una regione?
Mia figlia ha presentato ugualmente domanda. Qualcuno dovrà
risponderle. Io non so proprio farlo. Cordialmente.
Mirella Coiro (1 ottobre 2011)
Cara Mirella, l’11 ottobre scorso si è tenuto un
seminario molto interessante dal titolo “La nostra idea di inserimento
lavorativo nel DSM-DP”. Anche al convegno che si terrà il 27 di ottobre
su “Presa in carico e riabilitazione psichiatrica: modelli a confronto”
si parlerà certamente delle problematiche di cui ci parli. Resta in
contatto con noi
Un abbraccio e molti auguri per tua figlia e per te.
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