settembre-ottobre 2011 - anno V  n. 3 - La musica


sommario

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Editoriale

Piergiorgio Fanti

Silvestro Lega: ‘Il canto di uno stornello’ 1867

Luigi Zen
Tina Gualandi

Aforismi

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Errata Corrige

Giorgia Bolognini

Musica!

Luca Montesi

Con una musica in testa, i colori…

Dario Baietti

La musica: mia compagna di vita
e mio antidepressivo

Anonimi

Testimonianze dall'Ottonello

Matteo Bosinelli

La musica… il silenzio…

Max Trentini

La musica, la mia vita

Roberto (a cura di)

Vivo per lei

Tina Gualandi

Se la musica fa fare più latte alle mucche...

Lucia

Momenti musicali

Giovanna

Ascoltando il Messia di Händel

Antonio Marco Serra

Auletica

L.L.

Gli strumenti musicali

***

Il babà – Intervista con Luigi Zen

Dedicato ad Arianna
Lo spazio della poesia

 

      Loopa Sonivree     Balla ancora
      Anonimo     Rintocchi
      Matteo Bosinelli     Il fiore perduto
      Paola Scatola     Musica
      Vanda Botta     In ricordo del Maestro Federico Salce
      Ave Manservisi     Musica
      Anonimo     Primavera
      Anonimo     L’usignolo
      Lucia Luminasi     Note

Marcella Colaci

Pizzica salentina

L.L.

Pizzica pizzica!

Josefa

La musica della mia infanzia

Costanza Tuor

La musica di Viola

Luigi Zen

L’orologio e lo Zen

Giorgia Bolognini

A Valencia!

Ave e Antonio

Vacanze a Vallorsaia

Lab. di scrittura
UmanaMente

La storia di Anna - Tra invalidità,
patente di guida e voglia di vivere

***

Una bella notizia

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La posta

 

Editoriale


Un mio vecchio paziente, medico, mi diceva che l’uomo senza musica è nulla. Per quanto possa essere estrema questa affermazione, un fondo di vero c’è. Proviamo ad immaginare l’esistenza senza suoni: vi sarebbe un silenzio assordante.
Il suono, qualsiasi esso sia, genera emozioni: il dolce suono dei passerotti che cinguettano, il frastuono di un martello pneumatico…
Da qui si può partire con la definizione di musica secondo Wikipedia: essa è: “L’arte e la scienza dei suoni nel tempo”. Si tratta di arte, nel senso che si genera attraverso tecnica e creatività. I suoni vengono modulati nel tempo, intensità e frequenza, in modo da colpire l'interiorità emotiva dell'ascoltatore, che può più o meno gradire.
La musica può essere classificata come suono, come percezione e come esperienza soggettiva, ma può essere considerata anche come linguaggio, come espressione sociale e culturale di un dato periodo storico.
La musica può essere utilizzata come terapia, per la cura degli stati comatosi e per alcune patologie di carattere psichico.
Finita la classificazione scientifica della musica mi concedo di parlare di cosa è per me la musica. Essa è una forma di energia, che può colpire l’emotività del soggetto fino a farlo piangere di gioia, liberarsi in balli scatenati o semplicemente divertirsi o sedare lo stato emotivo.
Sin da quando ero un bambino, la musica mi è sempre piaciuta. A sette anni presi alcune lezioni presso la banda comunale, tuttavia il mio apprendimento era troppo lento e vedendo la frustrazioni negli occhi del maestro decisi di smettere quando si faceva ancora il solfeggio, senza essere riuscito mai a prendere in mano uno strumento. Però qualche anno dopo i miei genitori mi fecero uno splendido regalo: la pianola. Stavo ore e ore a suonare, alternando l’organo e il flauto dolce, mi divertivo molto…
Ma alle superiori non ci sono lezioni di musica, fu così che gli interessi musicali cambiarono in funzione della discoteca. Maturò il sogno di fare il D.J.. Purtroppo non ebbi mai il coraggio di dire ai miei genitori che mi sarebbe piaciuto farlo di professione. Rimase così una specie di hobby, che pratico ancora adesso che ho quarantatré anni. Quando mi dedico al mixaggio mi concentro sui ritmi della musica che devo sincronizzare. Sono completamente avulso della realtà e vado avanti senza accorgermi che il tempo passa: i miei problemi, i miei pensieri non esistono più, non so dove vanno, so solo che pian piano tornano.
L’ultimo approccio che ho avuto con la musica è stato attraverso il karaoke, all’interno di “Spazio e Amicizia”, che ha avuto un effetto più stimolante degli antidepressivi e più sedativo degli ansiolitici.


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Silvestro Lega
“Il canto di uno stornello” 1867 (olio)


pagina 1



Il quadro è prova di grande virtuosismo tecnico e lo si deve considerare uno dei raggiungimenti più alti del grande maestro.
Si tratta di un'opera ambientata in una stanza di casa Batelli, in un pomeriggio d'estate. Sono ritratte tre giovani donne: una accompagna al pianoforte le altre due che cantano. In primo piano emergono le figure viste di profilo, il pianoforte (la tastiera del quale fa da punto di fuga prospettica), la tenda legata e la finestra.
La scena in controluce in un ambiente ordinato e rassicurante trasmette una sensazione di serenità. Traspare anche la cordiale partecipazione emotiva del pittore alla vita della borghesia di provincia toscana. Borghesia benestante, aperta alle novità e ad una nuova moralità (di questa classe il Lega fu il cantore).
Non c'è staticità nelle figure ma piuttosto un senso di intimità e calma, tutto dominato dai colori stesi a “macchia”. La rappresentazione è molto complessa, ciononostante il dipinto raggiunge un equilibrio quasi magico.
Il Lega aveva iniziato la sua carriera come accademico purista. La frequentazione del famoso Caffè Michelangelo, lo portò ad avvicinarsi al Realismo. Successivamente, fondò con gli altri Macchiaioli: Signorini, Abbati, Borrani, e Sernesi, la Scuola di Piagentina, cosiddetta dalla località Toscana.
Fin verso il 1870 il pittore vivrà un periodo assai felice, ma la morte per tubercolosi di Virginia Batelli, di cui era innamorato, e la susseguente forma depressiva, aggravata da una malattia agli occhi, faranno sì che i risultati artistici degli anni ’60 non saranno mai più toccati, se non rarissimamente da Silvestro Lega.


Piergiorgio Fanti


Aforismi


“La musica è l’arte che si manifesta attraverso i suoni. Essa può esprimere tutti i sentimenti dell’anima e tutte le sensazioni a noi trasmesse dalla natura.”

(definizione ricordata a memoria dai tempi delle scuole medie)


Luigi Zen




La musica è vita, luce, calore, nutrimento del corpo, della mente, dell’anima.
Il respiro (per cantare) è vita: è la voce dell’anima.


Tina Gualandi


Errata Corrige


Nell’articolo “Lettera sul sogno e lo Zen” di Luigi Zen, a pag. 6 del numero scorso, la frase: “Se invece siamo svegli e pensiamo sogni i desideri” è stata erroneamente trascritta come: “Se invece siamo svegli e pensiamo sogni e desideri”.
Ce ne scusiamo con l’autore e con i lettori.


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Musica!


Mi piace ascoltare la musica, soprattutto in viaggio, a volte sdraiata sul letto a guardare il soffitto, immaginando figure e alberi che danzano in cielo e nelle foreste. In autobus e per la strada guardo la gente. La mia musica fa da sottofondo, come la colonna sonora di un film di cui io sono il regista e loro sono tutti attori scelti, dame che sanno esattamente come muoversi e pensare. A volte scruto in profondità il linguaggio della musica, cosa ci vuole dire. La musica ha fin dalle sue prime origini la funzione catartica e divina di far spaziare la mente dell’uomo, con immagini, fantasie, pensieri, ma soprattutto emozioni e sensazioni…
Si può dire che la musica sia stata scoperta dall’uomo e non inventata. Era già nella mente di Dio prima della creazione. Si pensi alla natura, quanti suoni e rumori produce, per esempio, la pioggia che tintinna, lo stormire del vento tra le foglie degli alberi, un ruscello che scorre, le cascate, declamanti e ruggenti di forza. La natura è in sé, e nei suoi aspetti, intrinseca e convergente alla musica.
La prima musica risale ai tempi preistorici: l’uomo primitivo costruiva strumenti a percussione con le pietre, i legni, le pelli; strumenti a fiato di legno, di osso o di terracotta; strumenti a corde con le interiora di animali. Con la scoperta del fuoco e la forgia dei metalli, rame, bronzo, ottone, argento, ferro, acciaio e con il perfezionarsi delle tecnologie, gli strumenti si fanno più complessi e differenziati.
A parte i discorsi sugli strumenti, volevo soffermarmi sul significato che può avere la musica, soprattutto ai nostri tempi, partendo dalla musica classica, che ha dato gloria a molti artisti e ha cambiato il nostro modo di pensare, di percepire e di vedere il mondo.
Visione: il musicista è un angelo biondissimo, dai lunghi capelli, avvolto in candida veste. Sta ritto in piedi tra colonne sulla scalinata. suona maestose canne di organo, un violino segreto e splendide chitarre…
A volte nascondiamo l’arte in cassetti polverosi Può essere il caso di talenti nascosti, che come fiori bellissimi non riescono a sbocciare, perché hanno bisogno di una mano fatata… Le Muse… Calliope è la dea della musica. A volte il genio umano si innamora di questa dea bellissima e rimane incantato ore ed ore ad ascoltare la sua voce, davanti al suo volto pallido e lunare, musa dai capelli bruni e veste d’argento, immersa nell’aria cosmica dell’universo, dove si incontrano le correnti fluide e misteriose delle note e armoniosi accordi.
Anche distesi in un giaciglio, gli stanchi guerrieri che cavalcano nubi azzurre vincono guerre secolari.
Possiamo immaginare Dio attraverso la musica, che ci fa salire in alto e vibrare l’anima, come corde di uno strumento nelle sue mani. (Dioniso è il dio greco della danza e del teatro).
La musicoterapia è un’arte innovativa, oltre ad essere una cura vera e propria. Si possono curare disturbi mentali. Per esempio, una volta ho consigliato a un mio amico depresso di ascoltare un brano, di “Animals” dei Pink Floyd. Si chiama “Dogs”. Lui mi ha detto che lo rilassava e nutriva la sua immaginazione visiva: vaste praterie, livide brughiere dal cielo plumbeo, come se stesse per piovere o succedere qualcosa… che comunque sarebbe andato tutto bene… Un senso di smarrimento e di sicurezza dopo.
Il potere della mente che spazia ovunque, irrompendo, restituisce all’individuo l’identità perduta.
La musica come rifugio dei poeti (Jim Morrison). “The battle of evermore” dei Led Zeppelin, “la battaglia di sempre”, parla della continua lotta fra il bene e il male. “Sento il fragore dei cavalli nella valle vicina, sto aspettando gli angeli di Avalon, aspetto i bagliori dell’Oriente… I magici Runi scrivono d’oro per portare pari la bilancia”...
Le trombe e gli ottoni sono rappresentati nell’Apocalisse come trionfo di Dio sul male, come giudizio universale, richiamo di tutti gli uomini di qualsiasi popolo, nazione, razza. Spiriti raccolti dai quattro venti. ”Atom heart mother” parte 1°, “The piper at the gates of dawn” Pink Floyd… The King Crimson “In the wake of Poseidon” Musica psichedelica… Concludo con questa frase: “The Music is your special friend, dance on fire as it intends, music is your only friend…until the end…until the end”... The Doors.


Giorgia Bolognini


Con una musica in testa, i colori…


Dopo aver parlato di speranza, e del sogno… sottostà sempre il dolore, e quali sono le vie per alleviarlo…
Ma, vedendo la televisione, mi ha messo paura la dichiarazione di una testimone contro la mafia, che vive nella più tetra solitudine, nell'anonimato. La società non esiste più se non come un grosso corpo che ci opprime e ci schiaccia, proprio mentre cerchiamo di andargli incontro…
Questa è la dimensione in cui vivo, o meglio, ho vissuto, dopo essermi chiuso in me e fatto muro con tutti, a causa della timidezza, delle voglie soddisfatte solo dall'alcool. Ora che ne vengo fuori vivo come uno che ha fatto la guerra, che non vuole colpire, ma che è colpito o ignorato, anche troppo debole per resistere ai ritmi della sociètà. Materialmente non mi manca nulla, mi hanno dato anche una pensione, ma intorno a me è terra bruciata.
La musica può essere un altro viatico per sentirsi bene nel mondo. Una musica interiore… Camminare, pensavo l'altro giorno, con una musica in testa… i colori della terra sarebbero più luminosi. Perché ciò che mi fa più paura è il buio. E la parola annientamento, cioè suicidio… Se non trovi, intorno a te, il bello.


Luca Montesi


La musica:
mia compagna di vita e mio antidepressivo


Io adoro la musica, fin da piccolino l’ascoltavo cominciando con un mito del calibro di Lucio Battisti. Più avanti con l’età, a circa 15-18 anni, conobbi un ragazzo, di nome Davide Roberto Salierno, che divenne mio amico e mi diede la notizia di un canale musicale molto bello di cui io non conoscevo l’esistenza: MTV. Da quel momento il mio amico lo chiamai “Il Dio della Musica” e MTV divenne il mio canale televisivo preferito.
MTV dal 1998 fino al 2008 circa, se non ricordo male (cioè per ben 10 anni !!!) divenne la mia razione quotidiana di armonia e pace, benché la depressione stesse cominciando a mangiarmi, a causa del mio essere gay (ma io preferisco uoma*) e non capito.
Purtroppo, in questi ultimi anni (2008-2010) ho cominciato a litigare con un mio amico (che ho frequentato per ben undici anni !!!), dal quale mi sono dovuto staccare per colpa della sua testardaggine e dei suoi continui cambiamenti di ragazze.
Non avendo più la sua amicizia e aggravandosi sempre più la mia depressione, ero arrivato ad un punto che la musica non l’ascoltavo più. Attualmente (anno 2011, inizio settembre) sto cercando di “ripigliarmi” con la musica, in quanto lei ti dà sempre qualcosa di bello, una spinta, una carica, una grinta e la voglia di vivere.
Sentire ad esempio Celine Dion, Dido, Madonna, Michael Jackson, Lucio Battisti, Mango, Fiorella Mannoia (e ce ne sarebbero tanti altri...), mi dà una bellissima soddisfazione!!!
È bello, inoltre, che alcuni degli artisti abbiano fatto video musicali, come ad esempio Celine Dion, che ha dedicato al film “Titanic” un bellissimo video, molto romantico, intitolato “My heart will go on”!!!
D’ora in poi cercherò di godere di più della musica e di dedicare meno spazio ai miei pensieri negativi...
Un caloroso e affettuoso abbraccio a tutti...

*uoma : essere un ragazzo visto dall’esterno e avere, invece, dentro di sé una ragazza che vuole esprimere sentimenti per gli uomini, ma il corpo esterno le impedisce di mostrarsi.


Dario Baietti


Quale genere musicale preferisci
e che cosa rappresenta per te la musica
(tre testimonianze dall’Ottonello)


La musica è molto più che rappresentativa. Essa è, secondo me, motivo e culto da parte di chiunque l’ascolti attentamente.
Viene anche adoperata come motivo di aggregazione dai giovani e dai non più giovani; immaginando infatti una “festa” senza musica… si ricaverebbe solamente un vociare scomposto, oppure addirittura sgradevole al sensibilissimo orecchio umano.
Tirando le somme, in conclusione, la “MUSICA” è l’emozione che trasporta noi stessi verso la conoscenza del prossimo, motivando sempre di più la nostra anima a rallegrare e a ricordare ciò che in realtà altrimenti sarebbe solo la “PAROLA”.


Anonimo




È il soffio del vento, un passerotto che fischia, è il rumore delle onde del mare che s’infrangono sugli scogli. È il motore che ruggisce, di un treno in partenza, di una nave che salpa, di un aereo che spicca il volo. È la pioggia che cade e colpisce la strada, è un fulmine, un tuono che rimbomba per miglia e miglia. È acqua che sgorga dall’alta montagna fin giù nella valle, in veloce cascata, in spiritoso ruscello. È un bambino che piange, un bambino che ride. È una dolce sinfonia che esce dalle labbra di una mamma per addormentare il suo piccolo. È una preghiera silenziosa, delicata, per augurar la salute a qualcuno. È un rimprovero premuroso. È una ninna nanna, è un dolce nuovo risveglio profumato di sole, Sono note che inteneriscono l’anima, sono note che sollevano l’umore, sussurrate, gridate a squarciagola. Ti ci puoi riscaldare, ci puoi sprofondare. Sono pensieri felici.
Con gli occhi chiusi, anche nel silenzio, la musica è ovunque. Basta volerla sentire, seguire. È la musica del cuore. Una spassionata combriccola intorno a un fuoco. Una chitarra, un flauto, un pianoforte. Un’arpa, un carillon. Dentro me, è questo che risuona. Candidamente, oltre ogni genere, è un susseguirsi di suoni diversi per ogni dove.


Anonimo




Basterebbe pensarla come Belushi, che restava seduto ore sugli scogli ad ascoltare la perfezione del suono e della musica delle acque. Sono in genere tutti i suoni della natura. Un frinire di cavallo, mentre nel bosco il vento alita sui tasti delle foglie; un frullio d’ali di cigni; la danza amorosa sull’acqua degli svassi. I suoni della natura son l’orchestra. Poi c’è la voce dell’uomo. Lo strumento più perfetto, la voce che raggiunge timbri irraggiungibili e che rende il corpo stesso uno strumento musicale. Infine c’è la Chiesa, con dentro, lassù, un coro di voci bianche che intonano Mozart. Allora ti fermi allibito a guardare la maestosità dell’impianto scenico che inneggia a nostro Signore Gesù.


Anonimo


La musica… il silenzio…


A volte la musica è rilassante, a volte assordante.
Secondo certi psicoanalisti, se ho capito bene, può ricordare o le ninne nanne materne o il "pauroso" rumore avvertito dal piccolo bambino che ode i propri genitori far l'amore.
Ma, secondo me, anche il malinconico, dolce silenzio può essere estremamente piacevole.
Il pensiero scorre veloce, nessuno può ascoltarlo:

"i miei pensieri
son parole
che volano nell'aria,
e che nessuno ascolta".


Matteo Bosinelli


La musica, la mia vita


Ogni giorno, al mio risveglio, è musica. In auto, ho la musica. A casa, ho la musica. Prima di dormire, ho la musica. Quando faccio l'amore, c'è musica. Il mio lavoro è la musica. Il vestire di parole una melodia… Al contrario, dare maggior dignità a una poesia… Esprimere emozioni con la mia voce e con tasti bianchi e neri.
Ma anche chi non lo fa per professione, può vibrare a una musica. Un ricordo d'infanzia, di adolescenza, di un amore. Ragazzi in coma sono stati svegliati da un disco del loro cantante preferito. Anziani coniugi sorridono di complicità nel sentire una canzone magari di quarant’anni prima. Le mucche danno più latte, le galline più uova, con la musica.
E poi… quante forme,quanti stili! Classica, lirica, leggera, religiosa, etnica, popolare... persino il folk che, nascendo dal basso, conosce solo I e V.
Tutto bello, tutto emozione.

Music! I have it!


Max Trentini


Vivo per lei


(di Giorgia e Bocelli)


Anche se non l'ho scritta io... è ciò che si avvicina di più alla mia idea di MUSICA.
A parte questo, è molto bella, per me merita di essere pubblicata sul numero a LEI dedicato.




Vivo per lei da quando sai
la prima volta l'ho incontrata
non mi ricordo come ma
mi è entrata dentro e c'è restata
Vivo per lei perché mi fa
vibrare forte l'anima
vivo per lei e non è un peso
Vivo per lei anch'io lo sai
e tu non esserne geloso
lei è di tutti quelli che
hanno un bisogno sempre acceso
come uno stereo in camera
di chi è da solo e adesso sa
che è anche per lui, per questo
io vivo per lei
È una musa che ci invita
a sfiorarla con le dita
attraverso un pianoforte
la morte è lontana
io vivo per lei
Vivo per lei che spesso sa
essere dolce e sensuale
a volte picchia in testa ma
è un pugno che non fa mai male
Vivo per lei lo so mi fa
girare di città in città
soffrire un po' ma almeno io vivo
È un dolore quando parte
Vivo per lei dentro gli hotel
Con piacere estremo cresce
Vivo per lei nel vortice
Attraverso la mia voce
si espande e amore produce
Vivo per lei nient'altro ho
e quanti altri incontrerò
che come me hanno scritto in viso
io vivo per lei
Io vivo per lei
sopra un palco o contro ad un muro
Vivo per lei al limite
anche in un domani duro
Vivo per lei al margine
Ogni giorno una conquista
la protagonista sarà sempre lei
Vivo per lei perché oramai
io non ho altra via d'uscita
perché la musica lo sai
davvero non l'ho mai tradita
Vivo per lei perché mi dà
pausa e note in libertà
Ci fosse un'altra vita la vivo
la vivo per lei
Vivo per lei la musica
Io vivo per lei
Vivo per lei è unica
Io vivo per lei

(testo di Gatto Panceri)




Roberto


Se la musica fa fare più latte alle mucche
e più uova alle galline… a noi umani?


Chi scrive, crede di essere nata con la musica nel DNA, perché senza musica proprio non ci so stare. Appena sveglia - dopo una corsa in bagno - accendo la radio e termino la mia giornata con un CD (a volume basso, per non disturbare i vicini). Ascolto quasi sempre i soliti: colonne sonore o i Carmina Burana, che “stendono” i miei due mici.
A quattro anni ho ricevuto un regalo bellissimo: un pianino a coda di legno, bianco, con i numeri da uno a otto (le note) e quando ho iniziato a studiare musica, alle medie, con mia sorella (più grande di me di sei anni) numeravamo i brani sul mio libro di educazione musicale e suonavamo.
Vi sono musiche che uniscono: io e Mauro (ex amico) – così diversi tra noi – ascoltavamo sempre tanto volentieri Zucchero Fornaciari. Può capitare che una musica che ci piaceva tanto, ora ci piaccia molto meno, perché ci ricorda un periodo o una persona che vorremmo dimenticare.
Vi sono canzoni mitiche come “Imagine” di John Lennon che ogni volta mi fa venire la pelle d’oca, o “Happy Christmas”, che fa piangere il mio maestro di musica cinquantenne e piace tanto alla mia amica nera, tanto che ogni volta la cantiamo insieme.
La musica può divertire, aiutare, stimolare, curare, avvicinare persone diverse.
La musica ha risvegliato dal coma delle persone (pensate quindi al suo immenso potere!).
Sono state scritte canzoni per aiutare l’Africa, altre contro le stragi (Ennio Morricone); cantautrici diverse si sono unite per fare un concerto a favore di Onna, un paese dell’Abruzzo che è stato duramente colpito dal terremoto. Il ricavato del concerto e del DVD è andato all’Abruzzo. Recentemente è stato fatto un bellissimo CD a favore dell’AIDO (associazione italiana donatori di organi): “Ti amo, anche se non so chi sei”: cantautori diversi si sono messi insieme per arrivare a fare uno splendido CD per una raccolta fondi. Sono arrivata a questo CD per puro caso (o mia grande fortuna), perché sono entrata nell’edicola di porta Sant’Isaia e l’ho subito visto. È un CD splendido che ho già regalato a tre persone diverse e altre mi hanno chiesto di masterizzarlo. Ora sto cercando – tramite l’edicola e l’AIDO di Bologna – altre copie da regalare, perché è un CD che non si finisce mai di ascoltare e apprezzare.
È stato fatto un CD dopo il terremoto del Giappone e - molti anni fa - per l’Africa, da Michael Jackson più altri: “We are the world” (che credo molti conoscano). Vi sono musiche che uniscono l’utile al dilettevole; si compra il CD (a volte vi è anche il DVD) e il ricavato va ad un’associazione o ad un ente con un determinato progetto; poco tempo fa è uscito “Le vie dell’amicizia: Ravenna – Nairobi”. La vendita di questo cofanetto, contenente la lezione concerto di Riccardo Muti sulla Sinfonia Fantastica di Hector Berlioz, consentirà di offrire borse di studio agli ex bambini di strada della baraccopoli di Kibera (Nairobi).
Per la parata del 18 giugno (Par tòt Parata) ho frequentato un laboratorio di musica e canto formato da circa dieci persone: Caterina – la maestra – suonava chitarra e flauto, alcuni ragazzi chitarre e tamburi, io i piatti, un tamburello marocchino e… mi sono cimentata suonando un tamburo senegalese. È stata un’esperienza bellissima e la musica ci ha affiatati in maniera incredibile fino alla fine del laboratorio. Caterina, a fine parata, mi ha detto : “Non perdetevi di vista, perché io un gruppo così unito non l’avevo mai avuto”.
Nel mio DNA c’è anche un’altra cosa: il piacere di cantare (di tutto e di più). Quando nel 1999 sono entrata a far parte del bellissimo coro di San Petronio io… ho scoperto di avere una voce da mezzosoprano e – insieme ai contralti e al resto del coro – abbiamo fatto concerti meravigliosi con le musiche dell’archivio.
La cappella musicale di S. Petronio, istituita nel 1436 da papa Eugenio IV, è la più importante di Bologna e tra le più prestigiose d’Italia. Il suo simbolo è un organo, tuttora funzionante, costruito attorno al 1470 da Lorenzo da Prato: il più vecchio al mondo ancora in uso. Nel 1596 fu aggiunto un altro organo, opera di Baldassarre Malamini, anch’esso perfettamente funzionante nonostante i quattrocento anni di vita. La produzione musicale per la cappella di S. Petronio ebbe un ruolo significativo nella storia della musica vocale e strumentale. Il suo periodo più fulgido è quello barocco, con i maestri: Maurizio Cazzati, Giovanni Paolo Colonna e Giacomo Antonio Perti. Io ho avuto l’onore e la gioia di cantare nella cappella musicale di San Petronio con il bravissimo Maestro Federico Salce, che ha saputo tirare fuori la mia voce.
Quando ho cominciato a entrare nel tunnel della depressione e non riuscivo più a cantare, mi sono allontanata dal coro, anche perché ho saputo che il Maestro era morto di leucemia e mi ero sentita una vigliacca e una merda per non aver parlato e spiegato le ragioni del mio allontanamento. Ma mi è rimasto il CD che abbiamo fatto con i brani di alcuni concerti e tra questi c’è il “Credo” di Giacomo Antonio Perti, che noi avevamo cantato nel 2000 con altri due cori. Per molto tempo io quel CD non lo riascoltavo mai, perché erano continue pugnalate al cuore, ma è arrivato il giorno, alcuni mesi fa, in cui ho capito che potevo riascoltarlo senza sentirmi in colpa. Appena il brano è iniziato, io ho capito che CREDO ANCORA: quella musica mi è servita per risvegliare la mia fede, che io credevo perduta per sempre.
È molto probabile che io canti ancora con il coro di San Petronio, che è diretto da un allievo del Maestro Salce, ma io quest’anno riprenderò a cantare con “Mikrokosmos - Coro Multietnico di Bologna” coromikrokosmos@gmail.com (ho superato il provino a luglio), che canta in tutte le lingue, suona e balla. Il primo maggio sono andata a sentire un loro concerto e … sono straordinari. Tra loro ci sono molti giovani e il loro maestro, Michele Napolitano, anche lui allievo del Maestro Salce, è geniale e mi ha ricordato Giovanni Allevi.

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Foto di Ettore Pirazzoli



Durante una trasmissione alla radio è stato intervistato un direttore d’orchestra e ciò che mi ha amareggiata è stato sentire che, mentre le orchestre ringiovaniscono, le platee incanutiscono, per il costo del biglietto (70/90 euro). Come è possibile che uno studente, un giovane, una persona con uno stipendio normale possano pagarsi un biglietto così costoso per andare a sentirsi un’opera?!?


Tina Gualandi


Momenti musicali


W.A. Mozart, concerto per pianoforte e orchestra n. 21 in do maggiore K467, andante.



Il castello di Hohensalzburg ha il fascino grifagno degli antichi manieri, appollaiato com’è sul suo sperone di roccia, ma nel contesto armonioso di Salisburgo, uno centri urbani più belli del mondo, oggi si limita ad aggiungere un tocco deliziosamente romantico. Da lassù si gode uno splendido panorama sull’allegra città sottostante e sulle anse argentee del fiume Salzach.

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Sarei rimasta affacciata a quella balconata per ore, ma veniva buio e i bambini erano irrequieti. Salire con la funicolare era stato divertente, ma per scendere avevamo deciso di prendere la stradina immersa nel verde e nel silenzio, dove si avventuravano in pochi a quell’ora.
L’aria frizzante e l’allegria della vacanza ci indussero dapprima a trotterellare chiacchierando, ma allo spuntare della luna venne spontaneo tacere. Fu circa a metà percorso che accadde una cosa straordinaria: una musica dolcissima cominciò a salire verso di noi… Man mano che scendevamo il suono si faceva più forte, avvolgendoci tutti. Ed ecco, su un palco allestito all’aperto, nella cornice solenne di una piazza barocca, ci apparve l’orchestra. Pareva suonasse solo per noi.

W.A. Mozart, Ave verum corpus, K 618, per coro a quattro voci miste e organo.



Vienna è una città molto vivibile, per essere una capitale. Si gira bene a piedi e ci si orienta senza problemi, tuttavia la frenesia di un breve tour con bimbi al seguito può risultare un po’ stressante… Perciò, l’ultimo giorno, lasciata la famiglia in albergo, scappai per una frettolosa sortita nella vivace Kärtnerstrasse a caccia di souvenir. Fu così che ebbi la ventura di vivere un momento di pura, solitaria felicità. La chiesa di Sant’Anna si trova in Annagasse, una stradina laterale che sembra fuori dal tempo, pulita, chiara, con pittoresche insegne e nobili facciate. La chiesa vi si inserisce con modestia, chiara anch’essa, di linee semplici, ornata solo di un elegante campanile. Ma l’interno… mamma mia, che gioiello barocco! Un contrasto da lasciare senza fiato...

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Mi sedetti, per godermi quella sensazione di bellezza esagerata che mi avvolgeva da ogni parte. Ero penetrata in uno scrigno di preziosità… E a un tratto, alle mie spalle, si levarono quattro voci angeliche… Ma come? In chiesa, oltre a me, non c’era anima viva! Volsi lo sguardo e identificai il luogo in cui dovevano celarsi gli invisibili cantori: lassù, nella balconata dorata sospesa a sbalzo nell’abside, sede di un organo maestoso… Avevo ottenuto due ore di libertà per comprare i souvenir, le spesi tutte per godermi le prove del concerto. E mi portai a casa questo ricordo impagabile.


Lucia


Ascoltando il Messia di Händel e la musica lirica


Le vibrazioni dei suoni si alternano in me come sinfonie che si innalzano in onde che si allargano all'infinito!
Soprani, contralti, baritoni intrecciano note accompagnati da accordi lenti, poi veloci.
Tastiere, archi ed altri strumenti che insieme creano armonia dentro me ed io spero nel creato!
Coloro che cantano sono angeli o in quel momento si stanno trasformando!


Giovanna


Auletica


In un passo delle "Leggi" Platone descrive la paura che gli uomini, riusciti a scampare al Diluvio rifugiandosi sulla sommità dei monti, provavano al solo pensiero di dover ridiscendere a valle, ed usa l'espressione "phóbos énaulos": una paura, cioè, relativa all'aulos, uno dei più diffusi strumenti musicali dell'antica Grecia (qualcosa di simile ai nostri clarinetto ed oboe).
Dunque per Platone è "auletica" questa paura di scendere dalle cime alle pianure. Che cosa intenda precisamente con questo aggettivo, lui solo lo sa (forse si riferisce metaforicamente ad un "risuonare" minaccioso nella memoria dell'antica paura), ma la scelta dello strumento non è certo casuale: mi pare evidente che nella mente di Platone esista un preciso legame tra la paura e la musica dell'aulos.
Questo mi ha fatto venire l'idea di scrivere sugli aspetti terrifici della musica, anziché su quelli dilettevoli, e su quelli estatici, anziché su quelli estetici, e di farlo, sia pur con poche e superficiali "istantanee", fissando lo sguardo proprio là dove la civiltà occidentale ha le sue scaturigini: l'antica Grecia.
Io, quando ascolto un usignolo, resto estasiato e stupito della perizia di quel cantore, ma i Greci no (almeno se vogliamo attenerci alla loro mitologia). I Greci, nell'udire il gorgheggio dell'usignolo, evocavano nella propria mente un lamento funebre, intonato all'unisono con un canto di rimorso perenne, senza speranza e senza redenzione: il lamento di una madre snaturata (Procne) che piange il proprio figlio (Iti) e a un tempo piange il proprio orrendo delitto: prima di essere trasformata in usignolo, quand'era ancora una donna, in un impeto di gelosia e di desiderio di vendetta aveva ucciso il proprio figlio e lo aveva imbandito in pasto al proprio marito fedifrago (Tereo), che aveva stuprato la sorella di lei.
E se vogliamo rimanere su pasti non propriamente aggraziati, possiamo accennare allo 'sparagmòs' e all''omophagìa' delle Menadi. Queste, sorta di sacerdotesse del culto di Dioniso, per celebrare il proprio Dio percorrevano di notte le selve disabitate alla luce delle fiaccole e al suono incalzante di auli, timpani, cimbali e crotali (rispettivamente simili agli odierni: oboi, tamburelli, piatti e nacchere). Danzando vorticosamente e intonando litanie, raggiungevano uno stato di estasi (in greco, letteralmente, un uscire fuori di sé), uno smarrire se stessi, un divenire "altro" dal proprio sé quotidiano, in comunione estatica col Dio. Oggi lo chiameremmo "uno stato alterato di coscienza". Quindi, proprio al culmine della trance, le Menadi dilaniavano (sparagmòs) a mani nude un animale sacrificale e ne mangiavano le carni crude (omophagìa). Ma non si trattava di un'esplosione di sadismo, ma del culmine dell'unione col proprio Dio, rappresentato dall'animale immolato; Dioniso infatti, secondo il mito, era stato dilaniato e fatto cucinare in un calderone dai Titani.
E proprio alla componente musicale di questi rituali dionisiaci si riferisce un frammento di una perduta opera di Eschilo, "Gli Edoni", dal quale appare evidente il profondo senso di inquietudine, se non di angoscia, che suscitavano nei Greci le connotazioni sonore ed emozionali dell’aulos e di altri strumenti, percepiti come musicalmente "disordinati" (non vi è qui lo spazio per approfondire cosa si intenda con ciò da punto di vista musicale):

“L’uno tiene nelle mani flauti dal suono profondo, lavorati col tornio, e riempie tutta una melodia strappata con le dita, un richiamo minaccioso suscitatore di follia; un altro fa risuonare cimbali cinti di bronzo [...] da qualche luogo segreto mugghiano in risposta terrificanti imitatori dalla voce taurina, e la parvenza sonora di un timpano, come di un tuono sotterraneo, si propaga con oppressione tremenda.” (traduzione di Giorgio Colli)

E si potrebbe continuare a lungo con l'elenco delle musiche o dei canti che possiedono per i Greci questa valenza opprimente ed angosciante.

“Per Oreste, vittima a noi consacrata, è questo canto, che dissenna, sconvolge e distrugge la mente, inno delle Erinni, catena per l'anima, che rifugge la lira, che inaridisce i mortali.”

È l'inno che le Erinni (1) ripetono come una nenia incantatoria nelle "Eumenidi" di Eschilo.
Come ultimo esempio ci terrei a citare l'invenzione dell'aulos da parte della dea Atena, narrata da Pindaro nella sua XII Pitica. La scena ha luogo subito dopo che l'eroe Perseo, con l'aiuto dei consigli della dea Atena, ha ucciso Medusa, una delle tre Gorgoni, e l'unica mortale delle tre. Le Gorgoni erano primordiali divinità ctonie (2) poste a guardia dell'Ade (3), o comunque dimoranti nelle sue vicinanze, di aspetto mostruoso, il cui sguardo aveva il potere di pietrificare coloro che lo incrociavano. Improvvisamente echeggia un canto agghiacciante: è il lugubre lamento che la Gorgone Eurìale intona per la sorella morta. Ma non pronuncia parole umane, sono solo suoni cavernosi e terrorizzanti quelli che emette, perché le Gorgoni sono aliene dalla parola, dal logos, dal discorso razionale: vengono prima di esso, da un passato primordiale. Al sentire quella voce ad Atena, chissà perché, viene la sconcertante idea di riprodurla, e per far ciò inventa un nuovo strumento musicale, l'aulos appunto, ed anche un particolare modo di suonarlo, il "nomos policefalo" e -conclude Pindaro- "ne fece dono ai mortali".
Il senso metaforico che mi piace leggere nell'episodio, è che Atena, la dea dell'ingegno e dell'intelletto, rappresenti la parte razionale dell'essere umano, e inventando il "nomos policefalo", voglia in qualche modo irreggimentare, imbrigliare, mettere al guinzaglio il lato oscuro rappresentato dalla Gorgone. Lato oscuro che, a ben vedere, appare tale proprio solo quando il logos pretende di ridurlo e ricondurlo ai propri termini.
Ma qui viene il bello (non è più Pindaro che narra, ma Melanippide): ad un tratto accade qualcosa per cui Atena scaglia lontano da sé l'aulos pronunciando le parole: "Lungi da me, strumento indecoroso, che ingiuri il mio corpo! Io non consegno me stessa all'abbrutimento." Cosa sia accaduto, Melanippide non lo dice (il frammento termina qui), ma autori greci posteriori sostengono che vedendo la sua immagine riflessa e scorgendo le proprie fattezze alterate dalla pressione dell'insufflare nell'aulos… gli occhi sporgenti, le gote rigonfie… fosse stata presa dall'ira nei confronti dello strumento che aveva deturpato la sua bellezza. Ma (se non vado errato) studiosi moderni hanno sostenuto che nella propria espressione stravolta Atena abbia scorto il volto della Gorgone stessa, e, vedendo una sorta di suo doppio, ne sia rimasta sconvolta.
Prendendo per buona quest'ultima interpretazione, continuo la mia lettura metaforica sostenendo che Atena abbia voluto osare troppo, si sia di fatto avventurata in territori che agli dèi olimpici (leggi: la razionalità) sono preclusi; quando il Logos si avvicina troppo all'Oscuro, con l'intento di blandirlo e addomesticarlo, non può che restarne scottato, perché l'Oscuro, come lo sguardo delle Gorgoni, ha il potere di impietrire il Logos.
Ed è ciò che tante e tante volte è stato dopo di allora ripetuto, nella storia della cultura occidentale: cercare di razionalizzare ciò che è per sua natura a-razionale, di mettere in bocca le parole a ciò che è per sua natura a-fasico, porta a risultati che, a volere essere ottimisti, costituiscono solo una pura perdita di tempo.

NOTE
1. Figure mitologiche, personificazione della vendetta e del rimorso. Tormentavano chi si era macchiato di delitti cruenti, specialmente contro i propri familiari.
2. Divinità "sotterranee", legate cioè al mondo infero.
3. L'Oltretomba degli antichi Greci.


Antonio Marco Serra


Gli strumenti musicali


Il corpo umano, capace di generare sia la voce che suoni percussivi, potrebbe essere considerato il primo strumento musicale, o forse le pietre e i ceppi vuoti, ma sono da considerare strumenti musicali in senso proprio i manufatti in grado di produrre suoni. Il suono giunge all'orecchio umano grazie alle vibrazioni trasmesse da onde. Più veloce è la vibrazione, maggiore è l'altezza. Alcuni organi a canne sono in grado di racchiudere l'intera gamma dei suoni udibili dall'uomo, compresa approssimativamente fra i sedici e i ventimila Herz; al contrario vi sono strumenti che emettono una sola nota o un suono di altezza indeterminata.
Esistono diversi sistemi per classificare gli strumenti musicali. Una prima classificazione si basa sui materiali di costruzione.
Altri sistemi empirici classificano gli strumenti in base al ruolo svolto nell'ambito sociale (di tipo devozionale e sacro, militare, domestico), o per la loro funzione musicale (ritmica, melodica o armonica).
Nel 1914 due musicologi tedeschi, Erich von Hornbostel e Curt Sachs, svilupparono il sistema che da loro prende il nome e che, con qualche aggiornamento, è quello attualmente più usato. Gli strumenti vengono suddivisi in classi, gruppi e sottogruppi, in base alla modalità fisica con cui viene provocata la vibrazione che genera il suono. Ad esempio, il trombone è:
- uno strumento aerofono (in cui cioè il "corpo sonoro" è rappresentato da una colonna d'aria che viene messa in vibrazione all'interno di un tubo),
- a bocchino (a differenza di quelli a fessura, come il flauto, o ad ancia, come l'oboe),
- a canna cilindrica (a differenza di quelli a canna conica, come il corno),
- cromatico (dotato cioè di un dispositivo, la coulisse, che gli permette di eseguire l'intera scala cromatica, a differenza di quelli, come l'antica tromba militare, in grado di produrre le sole note naturali)
Il sistema di Erich von Hornbostel e Curt Sachs è particolarmente comodo, in quanto permette l'inserimento di strumenti provenienti da qualsiasi tipo di cultura (un problema molto sentito dagli etnomusicologi), ed è sufficientemente elastico da consentire l'inserimento di nuove "caselle" di classificazione a qualsiasi livello: infatti, alcuni decenni dopo la sua formulazione, è stato necessario introdurre un'intera nuova classe, quella degli elettrofoni - gli strumenti che generano il suono grazie a circuiti elettronici - accanto alle quattro primitive degli idiofoni (oggetti solidi, sonori già in natura), dei membranofoni (che possiedono membrane tese su una delle loro superfici), dei cordofoni (gli strumenti a corda) e degli aerofoni.



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L.L.


Il babà
Intervista a Luigi Zen


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Luigi, puoi spiegarci che cos’è il BABÀ?

Il BABÀ è uno strumento musicale inventato e costruito da me a cavallo del 2000, dunque ha già più di dieci anni. Per consolarmi mi sono costruito il BABÀ, strumento dedicato a me stesso e ogni tanto agli altri, quando hanno voglia di ascoltare.


Perché l’hai chiamato così?

Il nome deriva dal fatto che il suono è dolce come un babà e anche per onorare i materiali con cui lo strumento è costruito (BA-rattolo + BA-mbù). I materiali sono legno e metallo, mentre le corde sono di filo armonico. Il BABÀ ha una cassa armonica in legno del diametro di 20 o 22 centimetri simile a quella del banjo e una canna su cui sono tese delle corde. All’estremità sono fissate le chiavi per regolare la tensione. La canna è di legno ramino, un legno robusto.


Come si suona il BABÀ?

Il nostro linguaggio viene formato in un “retro mentale”, dove prepariamo il discorso e poi viene trasferito nella bocca, da cui esce la parola, che può essere anche canto. Quando cantiamo, prima formuliamo il canto in un punto interiore di noi, poi inviamo la musica ai muscoli della bocca e con la bocca, che è lo strumento del canto, la cantiamo. Quando suono il BABÀ devo trasferire la canzone dalla bocca alla mano che ha l’archetto, che deve trovare le note nella corda, mentre l’altra mano pizzica la nota trovata. Così si forma la melodia.
Il BABÀ si può suonare anche al buio (senza vedere, come se si fosse ciechi), con plettro e archetto.
Lo sapete che gli strumenti a corda hanno la bocca e il sedere e che vanno di corpo? La bocca è il capocorda, su cui sono ancorate le corde tese sulla faccia dello strumento: da lì entra il suono che poi, digerito, esce dal buco…


Tu suoni solo per te stesso o anche in pubblico?

È capitato in alcune occasioni che ho suonato anche davanti a un centinaio di persone, altre volte per fare gli auguri ad amici e conoscenti, ma il BABÀ è soprattutto per me.


Tu ti consideri un musicista?

Ci sono due personaggi in arte: quello che si guadagna la vita con la sua arte e quello che si guadagna la vita con altri lavori e se fa qualcosa di artistico ha solo una vena capillare di arte. Io sono così.
L’artista vero sa di avere una vena artistica, ha la coscienza del suo valore, poi ci vuole l’attitudine, il talento e questo procura il successo…
Di conseguenza, chi suona uno strumento non può suonarlo sempre nello stesso posto, ma diventa “errante”... Diventa… una valigia... Il musicista avrà come valigia la custodia del suo strumento. Gli artisti sono visti come zingari perché girovagano e viaggiano. Sono erranti come i burattinai.
Il musicista è un personaggio che nell’esprimere il suo talento deve passare attraverso un elemento che è il fuoco, infatti quelli che suonano fanno delle sudate, perché si devono concentrare, devono avere un cuore che si concentra. E devono essere simili di carattere al legno e al metallo che sono i materiali con cui si fanno gli strumenti. Alla fine dell’esecuzione se il fuoco ha infiammato il pubblico arrivano gli applausi, che come una cascata spengono il fuoco.


Balla ancora


Balla, salta, scatenati,
entra in pista, muoviti,
è tempo di ballare.
Dai mostra un movimento sinuoso
sprigiona tutta la tua energia,
con fare simile ad uno scoiattolo
gettati in pista.
Le luci ad intermittenza,
la moltitudine di persone,
la musica assordante,
ti circondano ed è ora di ballare,
balla ancora
sempre più veloce
con stile e grazia.
Sprigiona tutta la tua energia,
trasmetti una carica sensuale,
devi affascinare tutti quelli
che ti circondano
con le tue mosse semplici,
ma sofisticate.
Un continuo fluttuare nello spazio,
nel tempo,
mostraci come sono i balli moderni,
solitari, ma allo stesso tempo di gruppo.
Quando balli ti liberi da tutti i problemi
che ti circondano,
non pensi più a niente,
sei in pista,
volano i pensieri in un mondo immaginario,
in un mondo fantastico
fatto di un’atmosfera irreale.
Balla ancora anche se sei stanco,
continua i tuoi movimenti
finché non sarai stremato dalla fatica,
ma sinceramente ti sentirai molto meglio,
più libero.
Una bibita,
due parole con gli amici,
un riposino su una poltrona,
lo sai che ti sei proprio divertito!


Loopa Sonivree


Rintocchi


Dan, dan, dan,
s’odon rintocchi…
Sembran rintocchi di morte
che suonano alle mie porte.
Se chiudo le orecchie
per non ascoltare
più forte li sento suonare.
Ormai è calato il silenzio
ma ancora i rintocchi io sento.
Son crudi ricordi del fato,
che ancora non vogliono
esser chiamati passato…
Cercavi l’amore,
invece hai trovato la morte.
Volevi baciare il tuo sposo
invece hai baciato il riposo.
Son io, sempre io, cuore mio,
che piango sperando che un giorno
tu taccia, ma questo destino che ascolta
ha due braccia:
con uno ti uccide,
ma l’altro ti abbraccia.


Anonimo


Il fiore perduto


Giovanna si voleva
buttar via;
le dissi: no!
E la salvai.
Anche Anna
si voleva
buttar via.
Maledetto me, le dissi:
ti vedo,
ti guardo
come so,
e non dirmi
che ti guardo
male.
C’è tristezza
nei miei occhi,
lo so,
e non pretendo
che tu capisca,
Amore.
E fu la fine della vita sua…
e della vita mia.


Matteo Bosinelli


Musica


Come e quando tante volte mi chiesi il perché
di tutta la notte di note perse e disperse
di errori, di falsi amori: quanti i nomi
ti chiamai e quali facce disposi a lato,
per poterti portare via fogli su fogli
sguardi per sguardi, le tue parole in una frase,
le mie memorie in una canzone.


Paola Scatola


In ricordo del Maestro Federico Salce


Il viso si illuminava
il suo sguardo
vagava intorno
severo !
Le braccia alzata
le mani si agitavano
e sembrava che
dalle sue dita
una musica uscisse
Fatta di suoni
dolci imperiosi
tremuli
soffiati nel cristallo!
Nella magia
della sua musica
la luce si formava
di notte, di colori
Giochi! ...
Giochi di gioia
sogni poesia amore
tristezza!!!
Ora è volato lassù
in Paradiso
nel grande coro
degli angeli!!
E la tristezza
che mi avvolge
la lascio sulla
bianca strada
per vedere se
nella notte stellata
se la portano
i venti lontano
Per lui
la sua musica
era tutto!
Quel tutto
per un istante
è stato mio!


Vanda Botta


Musica


La musica
slega dal silenzio
e dalla solitudine.
Ballano le cinciallegre
sinfonie georgiche.
La musica sono note
che salgono e che scendono.
Musica infinita
che ricorda alla vita
di essere mortale.


Ave Manservisi


Primavera


L’erba non rasata
dell’ultimo sole d’autunno
con la pioggia e il gelo
si è appiattita al suolo
col sole del mattino
si sveglia a nuova vita.

Solo tu mio passero
non ti ergi a prendere vigore
al sole dell’avanzata primavera.


Anonimo - da “Il Bosco” , Gruppo Euforia, Centro Tasso Bologna


L’usignolo


Tiepida è l’aria e giovane il mattino
lieve il respiro mi sfiora le narici
mentre io corro a dolci sogni vaghi e lontani.
D’un tratto rompe il silenzio
un usignol che canta.
Inneggia alla vita e al sol
che ancor non si è svegliato
e la sua melodia tutto invade.
Oh dolce e soave è il suo cantare
che il cor mi sfiora e fa sognar d’amore.
Son le sue note come di un violin le corde,
ma nemmeno esse, sebbene sian sublimi,
possono eguagliare il suo armonioso canto!


Anonimo


Note


Il merlo maschio
ha il becco tutto giallo:
una nota squillante
in tanto nero…

Lancia il suo acuto fischio,
e saltapicchia
allegro e sbarazzino,
appena è giorno.


Lucia Luminasi


Pizzica salentina



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Marcella Colaci


Pizzica pizzica!


Marcella, che è di origine salentina, ha pensato di comporre per noi una “pizzica”. Purtroppo possiamo solo leggere il testo, ma dobbiamo immaginarci un ritmo travolgente. La “pizzica”, o meglio la “pizzica pizzica”, è infatti una danza popolare antichissima che appartiene, posturalmente, stilisticamente e coreograficamente, all'ampia famiglia delle tarantelle meridionali.
Per maggior chiarezza, bisogna distinguere oggi le forme tradizionali, che variano anche da zona a zona, da quelle in gran parte reinventate dalla moda giovanile in uso dalla metà degli anni '90, oggi indicate col termine di "neo-pizzica". Negli ultimi anni sono state infatti organizzate moltissime rassegne musicali dedicate alla pizzica salentina, tra cui la “ Notte della Taranta” che richiama migliaia di appassionati e curiosi.
Nella danza tradizionale i ballerini, sia uomini che donne, tengono una postura eretta e composta, e atteggiamenti che si rifanno ad un linguaggio corporeo forte ed energico, ma anche serio e rituale, tipico della cultura contadina. Accessorio immancabile è il "fazzoletto", usato nel momento del ballo per invitare, sventolandolo, il partner prescelto. Alle donne va naturalmente il compito di esprimere bellezza e fascino, anche attraverso gli accessori tipici dell'abbigliamento femminile (gonne, foulard, scialli). Gli uomini invece hanno il dovere di esprimere virilità e atleticità. In ogni caso, a rendere più o meno movimentato il ballo è la donna, che attraverso piccole fughe, guizzi, repentini stop e ripartenze, stuzzica l'uomo ad inseguirla, a "braccarla" delicatamente, per poi affrontarlo con giochi di piedi e di sguardi.
Oltre ad essere suonata e danzata nei momenti di festa la pizzica costituiva anche il principale accompagnamento del rito per curare il cosiddetto “tarantismo”, un fenomeno isterico convulsivo che, in base a credenze diffuse fin dall’antichità nell'area mediterranea, si diceva provocato dal morso di ragni e in particolare della tarantola. Oggi il tarantismo è praticamente scomparso, ma nel Salento suscita ancora vasto interesse, tanto che vi si sono moltiplicati studi di carattere storiografico e antropologico.
La pizzica veniva eseguita con lo scopo di esorcizzare le persone “tarantate” , in genere donne, e guarirle attraverso il ballo che questa musica frenetica scatenava.
La pizzica di San Vito dei Normanni presenta una particolarità: si credeva che il tarantato o la tarantata, qualora fosse stato morso dal ragno in acqua, potesse guarire dalla crisi solo se il ballo si fosse svolto in acqua (taranta d'acqua).


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L.L.


La musica della mia infanzia


Sono nata a Santiago de Compostela, presso il grande santuario a cui si recano pellegrini da tutto il mondo. Santiago è una delle tre città sante, con Roma e Gerusalemme.
Vivevo in una borgata medievale, a mezz’ora da Santiago. C’erano case antichissime di sasso. La mia casa era una fattoria con animali. Mi piaceva molto stare là, ma siamo stati costretti a emigrare. A diciotto anni sono venuta a Bologna per sfuggire alla dittatura franchista e per cercare lavoro.
Sono stata la dada di parecchi bimbi dei colli di Bologna. I bambini mi piacciono moltissimo. Dopo sposata ho fatto anche altri lavori, barista, pulizie…
Se penso alla mia infanzia ricordo il buon sapore del caldo gallego, zuppa con patate, carne di maiale e verdure, e la muñeira, una danza tipica della Galizia.
Andavamo sulla spiaggia a ballare al suono delle panderetas (tamburelli) e delle gaitas (cornamuse). Per me bambina era una grandissima emozione. La gita era organizzata dai preti, che sono stati i primi veri insegnanti della mia vita.
Prima ero stata trascurata: non c’era interesse a far imparare a chi era destinato a diventare un contadino…


Josefa


La musica di Viola



La luce filtrava da un lucernaio che, per quanto tutto storto e malandato, portava il sole in quella casa, un sole mattutino, non ancora pericolosamente bruciante, e luminosissimo. Elmo notò che la luce che sbatteva su certi utensili metallici si spiccicava poi sul muro bianco, dipingendo piccoli arcobaleni. Era una danza di luccichii di tutti i colori. Elmo si girava tutto intorno per scovare ancora un altro minuscolo arcobaleno, ancora e ancora e, completamente circondato da farfalline e pesciolini che decoravano la sua gioia mattutina, presto si sentì ebbro di entusiasmo. Ma lei non c’era! Passata svelta dall’apertura della porta piccola, passata svelta attraverso quello spazio di comunicazione tra due stanze, non la si trovava più né di qua né di là.
Nessuna traccia del suo passaggio, tanto che a Elmo venne il dubbio che si fosse trattato di un abbaglio luminoso. Eppure l’aveva vista con il suo vestitino a fiori svolazzante come il velo delle spose, eterea e colorata. L’aveva intravista, scalza, intrufolarsi nella stanza. E poi riccioluta e sorridente entrare di sfuggita a portare una nota profonda di vita in movimento, che sveglia l’attenzione perché cattura l’anima pronta a essere svegliata. Con gli occhi semichiusi del mattino, come dentro una rivelazione, confessa a se stesso di desiderare la presenza di lei per poter condividere la vivacità del risveglio ancora pieno di strascichi di sogno. Gli sarebbe piaciuto raccontarle tutte le stravaganti storie che l’avevano accompagnato nella notte. Si tratta proprio di un desiderio affiorato per eccesso di allegria, pensa Elmo!
Viola, invero non si ferma nelle case a lungo, esce dalla finestra e va dove vuole, attraversa ogni strada in piena libertà, Viola ride e segue i suoi percorsi da indovinare, si ferma dove preferisce e qualche volta piange. È una ragazza piena di pagliuzze tra i capelli, perché suo nonno fa il contadino e in certi periodi dell’anno trebbia il grano e siccome a Viola piace molto quello svolazzare di pezzetti di spighe e chissà che, quando la grande macchina si ferma, lei si butta dentro il campo e sta lì a gingillarsi con la natura da raccogliere.
E succede così che la sera, quando Elmo la incontra sulla strada principale, lei, camminando in quel modo zigzagante tutto suo, ha sempre le mani tra i capelli nel tentativo di ripulirli dai resti del raccolto. Elmo rimane incantato da quel gesto dentro quella andatura e sempre pensa che è facile amare Viola ed è bello, come ascoltare il suono pizzicato del violino nel mezzo di una festa, e doloroso anche, come il suono di un sassofono suscettibile nella notte piena di pioggia. Ecco come è allegra e melanconica la sua Viola.
Viola, vera.

Costanza Tuor


L’orologio e lo Zen


Volevo andarmene, ma… mi fermò la musica.



Di orologi ce ne sono due: quello senza lancette è la campana del campanile e quello che le ha è l’orologio del municipio. Il sacro e il profano. La campana del campanile con il suo suono annuncia ricorrenze sacre (feste religiose, riti, processioni…) mentre quello del municipio scandisce il tempo ordinario.


Luigi Zen


A Valencia!


Siamo partiti domenica 18 settembre sera da Bologna, valigie formato standard e ansiolitici in borsa per paura dell’aereo (io non l’avevo mai preso). Arriviamo con il bus all’aeroporto “Marconi”. Passato il check-in, saliamo a bordo. I sedili sono a tre posti, stretti su due file. L’aereo prende una pista breve e decolla troppo rapidamente, dando delle strattonate per trenta secondi. Ci guardiamo sbigottiti, con il fiato sospeso… Poi prende quota e si stabilizza: è tranquillo, non rumoroso. Ascolto la radio, fuori è buio. Una hostess in divisa ci distribuisce sigarette finte al mentolo. Uno stewart in tuta blu e gialla ci spiega tutte le mosse per aprire il paracadute. Parla in spagnolo, poi in inglese. Non lo ascolto. Chiacchieriamo piacevolmente. Il viaggio è breve, atterriamo dopo un’ora e mezza circa all’aeroporto di Valencia.
Scendiamo con i nostri bagagli a mano, prendiamo un taxi e raggiungiamo l’ostello “Pension Universal”. Le scale sono tante: quinto piano senza ascensore. Ci consegnano le chiavi dopo aver copiato i codici dei nostri documenti. Il tempo di appoggiare la roba e mi addormento. La mattina è splendida: un cielo azzurro intenso e una colazione ottima stile inglese: croissant, caffè, 'tostada' e succo d’arancia. Il nostro bar preferito per fare colazione, proprio sotto alla pensione, non meno di tre euro a testa…
La città non è molto grande, per fare un esempio circa quattro volte Porretta. I palazzi sono bianchi e imponenti, di stile vittoriano, ricordano un po’ Torino o le grandi città del nord Europa (Amsterdam, Parigi), eccetto l’unico elemento esotico: le palme. Ce n’è dappertutto. Non ho potuto fare a meno di notare che questa cittadina, anche se piccola, trasmette molto benessere, infatti il tenore di vita è più alto rispetto al nostro. Ci sono molti italiani immigrati. Le case costano meno e il lavoro non manca, ci sono soprattutto banche, assicurazioni, uffici, agenzie…

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La piazza principale è Plaza del Ayuntamiento, da dove partono numerosi autobus anche per il mare, che si raggiunge in trenta minuti. Fontane moderne, statue, ristoranti all’aperto, ragazzi con lo skateboard, camerieri in divisa. Abbiamo visitato il mercato centrale (quello all’aperto), pieno di generi alimentari di tutti i tipi. Molto rinomato il jamon de Valencia, che è come il nostro prosciutto San Daniele. Poi frutta, verdura e scaffali in legno pieni di vasetti di frutta sciroppata e conserve fatte in casa, ordinati ed etichettati quasi per bellezza.
Dalla nostra pensione, girando a sinistra, si raggiungeva una strada pedonale, lastricata come un pavimento di lusso. Si snodavano a destra e a sinistra negozi famosi, soprattutto di abbigliamento, parrucchieri e farmacie.
Gli abitanti sono cortesi, gentili, molto educati. È molto pulito, non ci sono cicche per terra, a parte quelle che buttavamo noi…
Lo spagnolo è una bellissima lingua, mi piacerebbe studiarlo.
Le maioliche della stazione ferroviaria, colorate in blu e in giallo, ricordano gli azulejos portoghesi. Sono molto appariscenti e raffigurano scene bellissime. Non abbiamo potuto fare a meno di fotografarle.
Siamo andati anche in spiaggia due volte. Si arriva con il bus. Muretti bassi, con catene di fast-food e piccoli ristoranti, chioschi dove si gustano le specialità valenciane. Il piatto più tipico è la paella, fatta con riso, spezie, pollo e pesce fresco, poi le tortillas (tortini di patate a fette), i bocadillos (panini farciti con prosciutto sott’olio), i pesciolini fritti, le tapas (assaggi di bruschette, patate, formaggi e vino).
La prima sera nei tavoli di un ristorante all’aperto abbiamo gustato la sangria (vino rosso, porto, frutta a pezzi e zuccherata) e calamari alla romana, spaghetti all’arrabbiata, pizza… insomma qualche specialità italiana.
Di fianco ai muretti che costeggiano la spiaggia ci sono le case dei pescatori, alcune rosse, altre azzurre… colori sgargianti e vivaci… ormai sfitte e un po’ sbiadite. Ci vivevano una volta, quando l’economia era ancora fondata sulla pesca, anche come sopravvivenza.
Le spiagge sono lunghe e desolate, ormai non è più stagione di vacanze. Ci sono gli ombrelloni fissi, di ferro e paglia, che si noleggiano ogni trecento metri, dai chioschi bianchi e blu, insieme a comodi lettini imbottiti. L’acqua è pulita, verde da vicino e blu da lontano. In pochi facevano il bagno, forse per paura delle onde.
Tornando verso la pensione in autobus abbiamo notato un giardino ornato di alberi fioriti, non so di quali fiori, ma molto delicati.
Il rientro è stato di sera, ma c’era ancora luce, così ho potuto vedere un magnifico blu intenso del mare con nuvole bianche. L’aereo stavolta ha preso una pista lunga ed ha decollato lentamente, molto soft: una sensazione di leggerezza.
Arrivati a Bologna abbiamo preso il bus e siamo tornati a casa.


Giorgia Bolognini


Vacanze a Vallorsaia


Tra il 13 e il 20 agosto, insieme a tanti cari amici del Fareinsieme, abbiamo trascorso una piacevolissima vacanza in un agriturismo vicino a Sansepolcro, in provincia di Arezzo, ad 800 metri di altitudine.
Sono stati dei giorni veramente rilassanti e divertenti che resteranno a lungo nella nostra memoria, come un caro ricordo.
Nel ringraziare caldamente tutti coloro che hanno resa possibile questa vacanza un pensiero particolare va ad Adriana e Gianfranca che instancabilmente si sono prodigate per la perfetta riuscita della stessa.

Ave ed Antonio



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La storia di Anna
Tra invalidità, patente di guida e voglia di vivere


Riceviamo dal laboratorio di scrittura di “UmanaMente” e volentieri pubblichiamo:


Mi chiamo Anna e ho 46 anni, da 10 soffro di una malattia mentale che hanno diagnosticato come schizofrenia e sono seguita dal Centro di Salute Mentale. Da un paio di mesi non posso più guidare la macchina perché mi hanno dichiarata non idonea alla guida.
L’associazione UmanaMente, di cui faccio parte, ha ritenuto la mia storia utile anche per altri nella mia situazione e così insieme abbiamo voluto approfondire i temi riguardanti l’invalidità e la patente di guida.
Io ho preso la patente quando avevo 18 anni e da allora ho sempre guidato. A 36 ho avuto il mio primo scompenso psicotico e nonostante la diagnosi psichiatrica di schizofrenia a 38 anni la patente mi è stata rinnovata.
Da diverso tempo il Servizio di igiene mentale mi suggeriva di richiedere l’invalidità per poter avere una pensione e così a Ottobre del 2010 ho detto agli operatori di procedere con la richiesta. A primavera sono andata con la mia assistente sociale prima alla commissione medica Invalidi Civili di competenza territoriale e poi all’I.N.P.S. in Via Gramsci 8.


GIUDIZIO DIAGNOSTICO DELLA COMMISSIONE
Anamnesi: ipotiroidismo seguita dal C.S.M. di San Lazzaro da circa 10 anni per disturbo schizofrenico. Attualmente effettua percorso riabilitativo in regime diurno presso “Casa Mantovani”
Esame obiettivo: vigile, risponde a tono.
Dispercezioni in atto. Deambulazione autonoma.
Documentazione: referti vari (varie degenze ospedaliere e cartelle C.S.M.)
La commissione ha accertato patologia di competenza della commissione.
Diagnosi: schizofrenia paranoide cronica ipotiroidismo
Da rivedere: 3/4/2012
GIUDIZIO ESPRESSO DALLA COMMISSIONE
Il richiedente è riconosciuto:
08 invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita (L 18/80 e 508/88)
100% invalidità.


Insieme all’invalidità al 100% Anna ottiene anche l’accompagnamento, ma l’inidoneità alla guida. Anna vorrebbe non perdere la pensione di invalidità e l’accompagnamento, ma anche desidererebbe poter guidare. COME FARE?

Il laboratorio editoriale di UmanaMente ha voluto approfondire i vari argomenti che riguardano:
- DPR 16 dicembre 1992, n°495
- l’invalidità, l’inidoneità e l’accompagnamento;
- la classificazione ICIDH;
- l’esame neuropsicologico;
- l’idoneità alla guida

Per approfondire gli ultimi due temi è stata chiamata la dr.ssa Lucia Cretella, esperta di neuropsicologia.

DPR 16 dicembre 1992, n°495 - Appendice II - Art. 320 (Malattie invalidanti)
1. Le malattie ed affezioni che escludono la possibilità di rilascio del certificato di idoneità alla guida sono quelle sottoindicate:
A. Affezioni cardiovascolari.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata ai candidati o conducenti colpiti da un'affezione cardiovascolare ritenuta incompatibile con la sicurezza della guida. Nei casi dubbi, ovvero quando trattasi di affezioni cardiovascolari corrette da apposite protesi, il giudizio di idoneità verrà espresso dalla commissione medica locale che può avvalersi della consulenza di uno specialista appartenente alle strutture pubbliche. La commissione medica locale terrà nel debito conto i rischi o pericoli addizionali connessi con la guida di veicoli conducibili con le patenti delle categorie C, D, E.
B. Diabete.
La patente di guida può essere rilasciata o rinnovata al candidato o conducente colpito da diabete mellito, con parere di un medico autorizzato e regolare controllo medico specifico per ogni caso.
La patente di guida non deve essere né rilasciata né rinnovata al candidato o conducente di questo gruppo colpito da diabete mellito che necessiti di un trattamento con insulina, salvo casi eccezionali debitamente giustificati dal parere di un medico autorizzato e con controllo medico regolare.
C. Malattie endocrine.
In caso di disturbi endocrini gravi, diversi dal diabete, in forme di entità tale da compromettere la sicurezza della guida, la patente di guida non potrà essere rilasciata o confermata salvo il caso in cui la possibilità di rilascio o di conferma sia espressamente certificata da parte della commissione medica locale.
D. Malattie del sistema nervoso.
La patente di guida non deve essere né rilasciata né confermata a candidati o conducenti colpiti da:
a) encefalite, sclerosi multipla, miastenia grave o malattie del sistema nervoso, associate ad atrofia muscolare progressiva e/o a disturbi miotonici;
b) malattie del sistema nervoso periferico;
c) postumi invalidanti di traumatismi del sistema nervoso centrale o periferico.
A giudizio della commissione medica locale e con sua espressa certificazione, nei casi a), b) e c) sopracitati, a seguito dell'esito della visita specialistica presso strutture pubbliche, ove ritenuta necessaria, può essere rilasciata o confermata la patente di guida a condizione che dette malattie non siano in stato avanzato e che la funzione degli arti sia buona, per cui non venga pregiudicata la sicurezza della guida. In tali casi gli interessati devono mostrare di essere capaci di usare i comandi del veicolo appartenente alla categoria per la quale si richiede il rilascio della patente, in condizioni di sicurezza. La validità della patente non può essere superiore a due anni. Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità;
d) epilessia.
La concessione di patente delle sole categorie A e B agli epilettici è consentita a soggetti che non presentino crisi comiziali da almeno due anni, indipendentemente dall'effettuazione di terapie antiepilettiche di mantenimento e controllo. Tale condizione dovrà essere verificata dalla commissione medica locale sulla base di certificazione, di data non anteriore a trenta giorni, redatta dal medico di fiducia o da uno specialista appartenente alle strutture pubbliche. La validità della patente non può essere superiore a due anni. Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità. La patente di guida delle categorie C, D, E non deve essere rilasciata né confermata ai candidati o conducenti in atto affetti o che abbiano sofferto in passato di epilessia.
E. Malattie psichiche.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata a candidati o conducenti che siano affetti da turbe psichiche in atto dovute a malattie, traumatismi, postumi di interventi chirurgici sul sistema nervoso centrale o periferico o colpiti da ritardo mentale grave o che soffrono di psicosi o di turbe della personalità, quando tali condizioni non siano compatibili con la sicurezza della guida, salvo i casi che la commissione medica locale potrà valutare in modo diverso avvalendosi, se del caso, della consulenza specialistica presso strutture pubbliche. La commissione medica locale, terrà in quest'ultimo caso in debito conto i rischi o i pericoli addizionali connessi con la guida dei veicoli delle categorie C, D, E. La validità della patente in questi casi non può essere superiore a due anni.
Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità.
F. Sostanze psicoattive.
La patente di guida non deve essere rilasciata o confermata ai candidati o conducenti che si trovino in stato di dipendenza attuale da alcool, stupefacenti o sostanze psicotrope né a persone che comunque consumino abitualmente sostanze capaci di compromettere la loro idoneità a guidare senza pericoli. Nel caso in cui tale dipendenza sia passata e non più attuale la commissione medica locale, dopo aver valutato con estrema cautela il rischio di recidiva del singolo candidato o conducente, sulla base di idonei accertamenti clinici e di laboratorio, e dopo essersi eventualmente avvalsa della consulenza di uno specialista appartenente ad una struttura pubblica, può esprimere parere favorevole al rilascio o alla conferma. La commissione medica locale tiene in debito conto e valuta con estrema severità i rischi addizionali connessi con la guida di veicoli delle categorie C, D, E. La validità della patente in questi casi non può essere superiore a due anni. Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità.
G. Malattie del sangue.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata ai candidati o conducenti colpiti da gravi malattie del sangue, salvo il caso in cui la possibilità di rilascio o di conferma sia espressamente certificata da parte della commissione medica locale, la quale potrà avvalersi del parere di medici specialisti appartenenti a strutture pubbliche.
H. Malattie dell'apparato urogenitale.
La patente di guida non deve essere rilasciata né confermata ai candidati o conducenti che soffrono di insufficienza renale grave. Limitatamente ai candidati o conducenti per patenti delle categorie A, B, la patente di guida può essere rilasciata o confermata quando l'insufficienza renale risulti positivamente corretta a seguito di trattamento dialitico o di trapianto. La certificazione relativa deve essere rilasciata dalla commissione medica locale. La validità della patente non può essere superiore a due anni. Per la conferma e la revisione valgono le stesse modalità.


INVALIDITA' CIVILE
Per invalidità si intende la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione, a causa di una menomazione o di un deficit psichico o intellettivo, della vista o dell'udito. Essa viene definita in percentuale, nel caso in cui l'interessato sia maggiorenne.
L’invalidità civile si differenzia dagli altri tipi di invalidità per il fatto di non richiedere alcun versamento contributivo. Essa è perciò oggetto di prestazioni solo assistenziali. Il riconoscimento del diritto a tali prestazioni è collegato alla combinazione di tre diversi requisiti:
- sanitari (tipo e percentuale di invalidità);
- di età;
- di reddito.

L'accertamento dell'invalidità I requisiti sanitari vengono accertati dall'Inps, grazie a convenzioni stipulate con le Regioni. Tale funzione, precedentemente svolta da una Commissione Medica, istituita presso la Asl competente, è stata attribuita all'Inps dalla Legge n. 111 del 2011.
La domanda per ottenere il riconoscimento dell'invalidità civile, dal 1 gennaio 2010, va presentata all'Inps stesso, tramite una procedura on line disponibile sul sito dell'Istituto. L'eventuale riconoscimento, che viene espresso in percentuale, comporta la possibilità di godere di vari benefici, quali il percepimento di pensioni, indennità, agevolazioni fiscali, congedi e permessi lavorativi, esenzione dal ticket ecc.

Le provvidenze economiche
Il riconoscimento delle diverse soglie di invalidità civile può dar diritto a differenti benefici (come prestazioni sanitarie gratuite, assunzione obbligatoria al lavoro, esenzione dal ticket), oltre che a diversi tipi di "provvidenze economiche". Eccole in sintesi.
- Assegno mensile di assistenza:
invalidi civili almeno al 74%, età tra i 18 e i 65 anni, nessuna attività lavorativa, reddito inferiore a 4.408,95 euro.
- Pensione di inabilità:
invalidi civili al 100%, età tra i 18 e i 65 anni, impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, reddito inferiore a 15.154,24 euro.
- Indennità di accompagnamento:
invalidi civili al 100% con incapacità di deambulare o che necessitino di assistenza continua e che non siano ricoverati gratuitamente in istituto.
- Indennità mensile di frequenza:
minori di 18 anni con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni proprie dell'età, reddito annuo personale inferiore a 4.408,95 euro.
- Assegno sociale:
invalidi civili, titolari di pensione di inabilità o di assegno mensile, dopo il compimento del 65esimo anno di età.

L'indennità di accompagnamento
L'indennità di accompagnamento, o assegno di accompagnamento, è un sostegno economico statale pagato dall'Inps, al quale hanno diritto gli invalidi civili al 100 per cento – con incapacità di deambulare o bisognosi di assistenza continua - che non siano ricoverati gratuitamente presso strutture pubbliche per più di un mese.
È una forma di provvidenza economica istituita con la Legge n. 18 del 1980, modificata dall’ art. 1 della legge n. 508 del 1988.
I requisiti per averla
L'indennità di accompagnamento spetta alle persone in grado di certificare il riconoscimento di un'invalidità totale e permanente del 100 per cento, accompagnata dall'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, oppure dall'impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita e conseguente necessità di un'assistenza continua.
Non ci sono vincoli di età o di reddito. L’indennità è anche compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa.
Per averla, bisogna essere cittadini italiani o di uno Stato dell’Unione Europea, purché residenti in Italia. Ne hanno diritto anche gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno.
L'indennità di accompagnamento spetta anche:
- ai ciechi civili assoluti, per i quali l'importo è maggiorato a 783,60 euro mensili;
- alle persone che sono sottoposte a chemioterapia o a altre terapie in regime di day hospital e che non possono recarsi da sole all'ospedale;
- ai bambini minorenni, incapaci di camminare senza l'aiuto di una persona e bisognosi di assistenza continua;
- alle persone affette dal morbo di Alzheimer e dalla sindrome di Down;
- alle persone affette da epilessia, sia a coloro che subiscono attacchi quotidiani, sia a coloro che abbiano solo di tanto in tanto le cosiddette "crisi di assenza".
Al compimento del 65° anno di età, il diritto all’indennità è subordinato alla condizione che la persona abbia difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell’età: impossibilità alla deambulazione autonoma e mancanza assoluta di autosufficienza.
Quanto spetta
L'importo dell'indennità di accompagnamento, pari a 480,47 euro mensili (per il 2010), è erogato in 12 mensilità e viene aggiornato ogni anno dal Ministero dell'Interno.
Non hanno diritto all'indennità di accompagnamento coloro che percepiscono indennità simili per causa di guerra, di lavoro o di servizio, ma è possibile scegliere il sussidio più conveniente.
La domanda
Per richiedere il riconoscimento di invalidità e l'indennità, è necessario presentare una domanda alla Commissione Medica per gli Invalidi Civili della Asl di residenza, allegando la certificazione medica che comprovi la minorazione o menomazione.
Entro tre mesi, viene comunicata alla persona interessata la data della visita medica. In caso di esito negativo della visita, è possibile fare ricorso, entro due mesi dalla notifica, alla Commissione Medica Superiore presso il Ministero del Tesoro, il quale decide entro sei mesi, intendendosi, in caso di silenzio, respinto il ricorso.
Entro il 31 marzo di ogni anno, i titolari di indennità di accompagnamento devono produrre una dichiarazione periodica, utilizzando il modello Icric, relativo alla sussistenza dei requisiti di legge.
In caso di ricovero
Non hanno diritto all'indennità le persone invalide:
- ricoverate gratuitamente in Istituti pubblici o in Case di riposo, che provvedono al suo sostentamento, anche in caso contribuiscano economicamente per ottenere un migliore trattamento;
- ricoverate in reparti di lungo-degenza o riabilitativi.
L'indennità di accompagnamento viene comunque corrisposta:
- durante i periodi di ricovero per terapie contingenti di durata connessa al corso della malattia;
- durante i periodi di allontanamento dalla struttura di ricovero di durata non superiore al mese;
- per i periodi di documentata interruzione del ricovero, purché di durata non inferiore a 1 mese.


La classificazione ICD e ICIDH
Nel 1970, l'OMS elabora l'International Classification of Diseases (ICD), focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. Inoltre, al fine di rispondere alla necessità di un'omogeneizzazione dei dati nel mondo, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici.
L'ICD, che ha particolare riguardo per l'aspetto eziologico della patologia, è una classificazione in cui assume un ruolo centrale il nesso di causa, secondo lo schema:
eziologia -> patologia -> manifestazione clinica
Tuttavia, il limite è quello di non prevedere le conseguenze della patologia, tanto che, oltre a periodiche revisioni (si ricordi tra l'altro che con l'industrializzazione si diffondono nuove patologie causate da fattori non presenti in natura e sovente caratterizzate da cronicità, multieziologia e irreversibilità), già nel 1976 all'ICD si affianca un testo relativo proprio alle conseguenze delle malattie, o a fenomeni a queste connesse.
Nel 1980 Wood e la sua equipe realizzano l'International Classification of Impairment, Disabilities ad Handicap. A manual of classification relating to the consequences of desease (ICIDH).
L'esigenza di un superamento concettuale della ICD è dunque dettata dalla constatazione che le persone, oltre a subire le manifestazioni cliniche della malattia, possono risultare incapaci di svolgere il loro ruolo sociale e di mantenere normali relazioni.
In questa prospettiva, l'ICIDH propone le nuove definizioni di Impairment, Disability ed Handicap, di seguito sintetizzate.

Impairment (menomazione)
Indica ogni alterazione anatomica o funzionale, psichica o fisica, rispetto agli standard biomedici generalmente accettati. È evidente la specificità medica della definizione, richiesta per un apprezzamento quantitativo e soprattutto qualitativo. Altro punto essenziale, è quello di riferimento, cioè la "normalità", che non è intesa come assoluta, quanto piuttosto come un concetto statistico di normalità in rapporto alle persone di stesso sesso ed età. Inoltre, non sempre la stessa menomazione incide in ugual modo nella vita reale di ogni persona (si pensi all'esempio alla diversa gravità dell'amputazione della falange ungueale del mignolo per un violinista rispetto al resto della popolazione).
Disability (disabilità/incapacità)
Indica ogni diminuzione delle possibilità, derivante da una minorazione, di effettuare una specifica azione finalizzata, nello stesso modo di un "medio" essere umano. Non riguarda l'estrinsecazione della funzione relativa ad una struttura anatomica o funzionale, ma l'abilità di tutta la persona, e non di una sua parte, a compiere una determinata azione della vita quotidiana, che consiste in una serie di attività complesse e tra loro integrate, nello svolgimento di un determinato compito (lavorativo, ricreativo, necessario o superfluo) della vita quotidiana. Queste attività del vivere quotidiano (ADL) sono definite in base alla loro importanza: alcune sono necessarie (come nutrirsi, vestirsi, pulirsi, spostarsi autonomamente); altre, non sono essenziali alla sopravvivenza, ma lo diventano in rapporto alla qualità della vita (ad esempio, la capacità di preparare il cibo, di curare il proprio aspetto, svolgere un'attività retribuita). In conclusione, il concetto di incapacità / disabilità non può prescindere dal riferimento all'ambiente di vita della persona e alla sua capacità di adattarsi ed interagire alla più diverse circostanze.
Handicap (termine inizialmente adottato nella traduzione in francese dell'ICIDH)
Può derivare da una menomazione, ma in genere è in relazione alla disability con compromissione della sfera sociale dell'individuo. Il fatto che si riferisca non tanto all'individuo in esame, ma alle condizioni esterne (si pensi, ad esempio, all'ostacolo rappresentato da uno scalino per chi è sulla carrozzina), rende questa definizione di non immediato inquadramento medico-legale e richiede l'esigenza di una collaborazione con altre figure professionali.

Una lista dei principali raggruppamenti nella definizione di ciascuno dei tre termini può meglio aiutare a capire la distinzione.

MENOMAZIONI
1. Menomazioni della capacità intellettiva Altre menomazioni psicologiche Menomazioni del linguaggio e della parola
2. Menomazioni auricolari
3. Menomazioni oculari
4. Menomazioni viscerali
5. Menomazioni scheletriche
6. Menomazioni deturpanti
7. Menomazioni generalizzate, sensoriali e di altro tipo.

DISABILITA'
1. Disabilità nel comportamento
2. Disabilità nella comunicazione
3. Disabilità nella cura della propria persona
4. Disabilità locomotorie
5. Disabilità dovute all'assetto corporeo
6. Disabilità nella destrezza
7. Disabilità circostanziali
8. Disabilità in particolari attività
9. Altre restrizioni all'attività

HANDICAP
1. Handicap nell'orientamento
2. Handicap nell'indipendenza fisica
3. Handicap nella mobilità
4. Handicap occupazionali
5. Handicap nell'integrazione sociale
6. Handicap nell'autosufficienza economica
7. Altri handicap


La valutazione neuropsicologica
L’esame neuropsicologico è una misura delle capacità cognitive del soggetto in un determinato momento e contesto. L’obiettivo della valutazione neuropsicologica è di rilevare le manifestazioni comportamentali delle funzioni cerebrali, siano esse compromesse o preservate.
- STRUMENTO DIAGNOSTICO: Fornire quadro completo del paziente
- STRUMENTO PROGNOSTICO
- PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA
- PROGETTO RIABILITATIVO (monitoraggio)
- LEGALE-ASSICURATIVA
Metodologia della valutazione neuropsicologica
1. Analisi della domanda di invio e Setting
2. Consenso Informato
3. Anamnesi neuropsicologica
4. Somministrazione di test standardizzati e utilizzo di altri strumenti quali Interviste e Osservazione
L’esame neuropsicologico sarà preceduto da una preliminare consultazione di:
- Condizione medica generale e neurologica in particolare
- Relazioni cliniche
- Referti strumentali neuro radiologici


Per guidare occorre avere integre alcune importanti funzioni cognitive, l’esame neuropsicologico accerta l’integrità di queste funzioni.
Le funzioni coinvolte nella guida sono:
Funzioni controllo quali:
         percezione del rischio
         prontezza di riflessi
         attenzione e concentrazione
         coordinazione motoria
         capacità di controllo delle proprie emozioni
         orientamento spazio-temporale
         memoria procedurale e visuo-spaziale
I principali fattori che compromettono le funzioni coinvolte nella guida sono:
percezione del rischio (stupefacenti, alcool, patologie psichiatriche, deficit visivi, sonnolenza,…)
riflessi (stupefacenti, alcool, malattie neurologiche, diabete, deficit visivi, …)
capacità attentiva (farmaci, stupefacenti, alcool, sonnolenza, demenza, stanchezza, …)
stato di coscienza (epilessia, diabete, aritmie, colpo di sonno, …)
capacità visiva (malattie oculari e neurologiche, stupefacenti, alcool, diabete, …)
coordinazione motoria (patologie neurologiche, muscolari, alterazioni anatomiche, alcool, stupefacenti, …)
capacità di controllo delle proprie emozioni (stupefacenti, alcool, malattie psichiatriche, disturbi del comportamento, ...)

La patente di guida
Il rinnovo della patente spetta alla commissione medica così come la richiesta di esame neuropsicologico. La persona può comunque decidere di sottoporsi ad un esame neuropsicologico, che è comunque a spese dell’utente (il costo varia da 150-200 euro). L’esame può dare un giudizio di idoneità o meno alla guida, ma non può sostituirsi al giudizio finale della commissione medica.
Sono abilitati alla verifica dell'esistenza dei requisiti psicofisici per la guida di veicoli a motore le seguenti figure sanitarie:
- Medici legali delle unità sanitarie locali di residenza;
- Medico appartenente ai ruoli del Ministero della salute;
- Medico appartenente al ruolo sanitario della Polizia di Stato;
- Medico appartenente al ruolo sanitario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
- Medico militare in servizio permanente effettivo;
- Ispettore medico delle Ferrovie dello Stato;
- Ispettore medico del ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La prenotazione della visita medico legale per patente di guida può essere effettuata:
di persona presso i Centri Unici di Prenotazione (CUP) attivi in tutti i Poliambulatori aziendali


Una bella notizia


Il 29 settembre scorso è stato inaugurato il progetto “la Trottola”, all’interno del Centro Sociale di via Canonica (Croce di Casalecchio di Reno).
Il progetto è stato realizzato grazie alla convergenza delle energie di quattro attori principali: A.I.T.Sa.M (Associazione Italiana Tutela Salute Mentale), Assessorato ai Servizi Sociali di Casalecchio, Polisportiva “Diavoli Rossi”, CSM di Casalecchio (con due operatori aziendali che si alterneranno nella fase di avvio).
L’obiettivo è far sì che utenti, familiari, volontari e cittadini (non soltanto di questo territorio), abbiano uno spazio di aggregazione e di integrazione dove ritrovarsi al di fuori dei luoghi di cura, per realizzare attività (interne e soprattutto esterne) che via via saranno proposte dai soci e condivise con altre realtà gruppali e associative del territorio.

Prossimi appuntamenti:
giovedì 3 novembre, ore 18 e 30 – 20; sabato 19 novembre, ore 15 e 30 –18;
giovedì 1 dicembre, ore 18 e 30 – 20; sabato 17 dicembre. ore 15 e 30 -18 (festa degli auguri).

info 348/6555071 ( Concetta Pietrobattista )

PER RAGGIUNGERE VIA CANONICA ALLA CROCE DI CASALECCHIO
PRENDERE AUTOBUS 20 O 89 FERMATA CROCE


Posta


Salve, sono Rita, una infermiera che lavora al Mazzacorati.
Sono ormai 20 anni che lavoro nell'ambito della psichiatria: ho lavorato 15 anni a Villa Olimpia, posso dire che sono cresciuta e... invecchiata assieme a tanti nostri utenti, che conosco meglio -tanti- dei miei parenti.
Leggo da sempre Il Faro e vedo che manca la nostra presenza, come se noi fossimo al di fuori di tante problematiche che pesano su chi soffre di qualche problema psichico. Noi… almeno, io, vado a casa tante volte con il cuore affranto da tanta sofferenza, dentro di me, per le storie ascoltare durante il mio lavoro. Sento che abbiamo ancora troppo pochi mezzi per dare un aiuto, sento spesso tanta solitudine e tanta mancanza di amore, poiché credo fortemente che l'essere umano ha bisogno di amore prima ancora del cibo. La linfa vitale di noi esseri umani è questa energia - che non è ancora misurabile con uno strumento- questa misteriosa ma potentissima Energia divina che si chiama AMORE. Credo fortemente che aiutarsi a guarire anche amando, avendo un profondo interesse per qualcosa, amare i fiori, gli alberi, gli animali, guardare il cielo, vedere quante cose belle ci sono attorno a noi, meravigliarsi di un abbraccio, una parola dolce, capire la sofferenza altrui… sia una Medicina, altrettanto importante di un buon farmaco.
Vi saluto e vi ringrazio con affetto e stima.


Rita (27 luglio 2011 - elvirarita.grechi@ausl.bologna.it)




Ciao, Rita!
Grazie di averci scritto. Sarebbe certo molto gradito che gli operatori ci mandassero dei contributi: il Faro è il giornale di tutti. Purtroppo operatori e familiari ancora si fanno vivi di rado, ma vedrai che la tua lettera servirà.
Un bacio.



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Gentile redazione de "Il Faro"
sono Vincenzo Marolla, psicologo che opera nel campo della psicoterapia infantile e adulta oltre che operatore di tecniche di rilassamento. In diverse occasioni ho letto la vostra rivista che mi sembra ben curata e interessante. Mi piacerebbe poter pubblicare qualcosa scritto da me che possa essere utile e interessante per i lettori della rivista. Se siete interessati potete comunicarmelo e vedremo di organizzarci in tal senso.


Dott. Vincenzo Marolla (14 agosto 2011)




Gentilissimo,
i contributi al Faro possono essere di due specie: testi personali (pensieri, poesie, racconti, recensioni sul tema proposto volta a volta) che pubblichiamo senza alcun filtro e che possono essere inviati da chiunque (utente, familiare, operatore della Salute Mentale, cittadino attivo...), e interventi più professionali per l'inserto, che generalmente richiediamo noi in base al progetto editoriale di ciascun numero. Volentieri possiamo tenerci in contatto. Saluti cordiali.



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Leggo spesso "Il Faro" ed apprezzo infinitamente le idee e le riflessioni unite alla dedizione e sensibilità con cui affrontate tematiche importanti, spesso difficili, in un giornalino che giustamente usate definire il "giornale di tutti". Vi ringrazio infinitamente per l'attenzione che darete a questo mio scritto che spero possa fungere da stimolo per ulteriori discussioni future , sul tema dell'inclusione sociale , quale obiettivo prioritario di vita per ciascun individuo. Mi accingo a scrivervi poiché definire vergognoso quanto appare sul portale della provincia di Bologna è semplicemente riduttivo. Ebbene, vi invito ad aprire il sito : troverete un avviso di chiamata con offerte di lavoro per i disabili della legge 68, un avviso tenuto in evidenza solo dal 19 settembre al 29 settembre , MA I DISABILI APPARTENENTI ALL'ART. 9 (I SOFFERENTI PSICHICI, PER INTENDERCI) NON POSSONO PARTECIPARE. Tutti gli altri disabili, con tutto il rispetto per le sofferenze umane altrui, hanno una possibilità, mentre tutta quella sfera di giovani che vogliono cercare di farcela , anche attraverso la possibilità di un lavoro, non possono concorrere. In fondo per loro cosa rimane? Le borse lavoro sono praticamente azzerate, i tirocini formativi sono ridotti all'osso e a mia figlia, che mi chiede continuamente di poter lavorare perché in casa tutto il giorno si deprime, devo risponderle che non può perché la provincia di Bologna la esclude da un'asta pubblica e che deve continuare a sperare in altre forme occupazionali. Quali saranno? Proprio non so risponderle. Come mai possono essere così spudoratamente formalizzate forme di esclusione sociale ? Come può una diagnosi funzionale che garantisce, a tutela del lavoratore disabile e della controparte, le capacità lavorative e poi non essere riconosciute da un'istituzione come la provincia di una regione?
Mia figlia ha presentato ugualmente domanda. Qualcuno dovrà risponderle. Io non so proprio farlo. Cordialmente.


Mirella Coiro (1 ottobre 2011)




Cara Mirella, l’11 ottobre scorso si è tenuto un seminario molto interessante dal titolo “La nostra idea di inserimento lavorativo nel DSM-DP”. Anche al convegno che si terrà il 27 di ottobre su “Presa in carico e riabilitazione psichiatrica: modelli a confronto” si parlerà certamente delle problematiche di cui ci parli. Resta in contatto con noi
Un abbraccio e molti auguri per tua figlia e per te.