Editoriale
Sono passati cinque anni da quando Cristina Cavicchi ed
io abbiamo ideato il giornalino. Ora come allora, quasi per gioco,
siamo tornati assieme e assieme abbiamo pensato di scrivere
l’editoriale.
Il gioco fa tornare in mente l’infanzia, quando giocando si faceva
“finta di…”. Per i bambini: guardie e ladri, il dottore, i cow boy, gli
astronauti; per le femminucce: la mamma e il bambolotto, la
principessa, la dottoressa… Questo “far finta di…” permette di imparare
le prime regole sociali.
I nostri ricordi: Fabio: pensando al gioco, la mente va a quando ero
dai nonni, insieme al mio amico Maurizio si giocava agli indiani e cow
boy. Sempre dai nonni con tutta la famiglia si giocava con le carte a
“bestia”, usando i tappi da bottiglia come fiches. Questo ricordo mi
riempie il cuore di gioia, per l’effetto focolare, ma anche perché ci
si sentiva grandi dovendo amministrare il proprio gruzzoletto di tappi.
Qualcosa di simile a “monopoli”. O quando alla sera assieme agli amici
del palazzo si giocava a nascondino.
Poi, crescendo, è stata la volta degli sport, che vivevo come un gioco:
prima l’atletica leggera, poi il ciclismo e infine il calcio. Ricordo
che ero molto felice, non mi sarei mai fermato. Felicissime erano poi
le serate spese insieme a mio padre al gioco degli scacchi: quando
vincevo diceva che ero fortunato (cosa che nel gioco degli scacchi non
esiste) o che il mio successo era il frutto di sue piccole sviste;
mentre quando vinceva lui era tutto merito suo.
Cristina: quando ero piccola giocavo con i “ciappetti” colorati, quelli
per stendere la biancheria. Creavo storie fantastiche. Mi divertivo
perché i personaggi di fantasia diventavano amici sempre nuovi. Molto
divertente era giocare con le amichette alla luna o all’elastico.
Cresciuta giocavo a pallavolo in cortile con amici del palazzo. Ora il
gioco più divertente è di prendere la vita come un gioco.
Anche da adulti giochiamo, ma senza un valore strettamente cognitivo,
ossia, veniamo coinvolti emotivamente, ma non apprendiamo tante
conoscenze come quando siamo piccoli.
In prima approssimazione, il gioco è un divertimento. Spesso è
associato a uno sport, come il gioco del calcio che si pratica su uno
spazio aperto, oppure può essere più sedentario come il gioco degli
scacchi, l’enigmistica o i video giochi.
I giochi si possono far da soli o in gruppo: generalmente sono più
divertenti quelli di gruppo, perché tra giocatori ci si trasmettono
emozioni, si entra in competizione. Anche il pubblico condiziona
emotivamente l’andamento del gioco: pensiamo alle tifoserie negli
stadi.
La parola gioco prende anche altri significati all’interno di
particolari locuzioni.. Pensiamo a una presa in giro o a uno scherzo
quando diciamo che “una persona si è presa gioco di…”; “fare il doppio
gioco” è agire ipocritamente su due fronti opposti e fra loro in
contrasto; “far buon viso a cattivo gioco” è mostrarsi indifferenti a
una difficoltà; “fare il gioco di…” è quando si aiuta una persona,
mentre “prestarsi al gioco” è quando accondiscendiamo a scopi altrui;
“essere in gioco” si dice quando c’è qualcosa in palio e “mettersi in
gioco” è impegnare sé stessi e la propria reputazione.
Gli adulti hanno perso un po’ il valore, l’importanza e il divertimento
del gioco dei piccoli, al punto di fare giochi d’azzardo e scommesse
sul gioco.
Concludiamo con una massima di Antoine de Saint-Exupéry: “Tutti i
grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne
ricordano)”.
Cristicchi e Fabio Tolomelli
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Gaetano Chierici: ‘Le beffe al
gatto’ (olio)
Gaetano Chierici (Reggio Emilia 1838-1920) dopo i primi studi a Reggio
Emilia frequentò l’accademia di Bologna e dal 1858 continuò i suoi
studi a Firenze, dove risedette per venti anni.
I dipinti di Gaetano Chierici, caposcuola dei cosiddetti “pittori della
realtà”, spesso rappresentano aneddoti di vita rurale e delle classi
meno abbienti. Abitazioni modeste, interni con una miriade di oggetti
sullo sfondo, spesso animati dal gioco di bambini, come in questo caso.
Una fanciullezza allegra e scanzonata, vissuta assieme ad animali
domestici con cui praticamente dividere l’abitazione.
Chierici ritrae un mondo ristretto, ma colmo di umanità; per dipingere
quel mondo l’artista si vale di una pittura veristica, nitida, che
segue con minuzia lenticolare le forme, i particolari.
Il compito che si è dato è quello di descrivere, e la descrizione
comporta che ogni cosa sia perfettamente riconoscibile.
Del resto l’episodio, nella pittura di Chierici, è solo apparentemente
il vero tema. Se si riesce a deviare l’attenzione dall’episodio, a non
vedere in esso la parte più riduttiva, più semplice, non i personaggi,
che pure in quella scena vivono, ma i loro rapporti e i loro atti,
allora si potrà amare ed apprezzare veramente questi quadri, che sono
ricchi di grande virtuosismo tecnico-coloristico e piacevolezza.
Piergiorgio Fanti
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Giochi senza frontiere
sottotitolo: quando il gioco si
fa duro…
a) i duri incominciano a giocare
b) lascio giocare i duri
c) e mi prendo un buon caffè!
Fai il tuo gioco
Gioco con amici, gioco da solo, giochiamo oggi, giochiamo domani, non
si gioca con i sentimenti, giochi di ruolo, giochi di coppia, gioco ai
videopoker, per gioco e burla, ti prendi gioco di me?, la vita non è un
gioco, per alcuni sì purtroppo, il diligente: ora studio e poi gioco,
il somaro: ora gioco e poi studio (forse), meglio un gioco oggi che una
gallina domani, fare buon viso a cattivo gioco, fare il doppio gioco,
fare buon gioco, stare al gioco, essere fuori dai giochi, essere in
fuori gioco, rientrare in gioco, giocattolo, scarica-barile, cavallina,
mosca cieca (ndr non è un gioco solo per non vedenti), giostra, luna
park, nascondino, toccaferro, acchiapparello, gioco della campana, del
tocca-fondo, della passatella, della morra, dello scassa-quindici,
dello scarica-casino, scommettere, roulette, svelare il proprio gioco,
fiche (francesismo), croupier, biscazzieri, puntare, giocare su
qualcuno, speculare, flirtare, balocco, trastullo, burattino, ninnolo
(ottavo nano), giocattolaio, giocoliere, gioco di note, giochi di luce,
gioco di specchi, giochi d’acqua, gioco del destino (crudele e/o
anomalo), gioco o son desto? (il sogno in fondo non è un gioco?!),
giocare con la neve (potrebbe capitare, soprattutto in questo periodo,
non solo per gioco!), sala giochi, gioco di sguardi, giocare
seriamente, gioco del cazzo (tipo questo?), giochi o sei serio?,
libro-game, giocare di fantasia, gioco di nuvole, toys, divertimento,
giocare in modo discontinuo e distratto, giocare contro-voglia, giocare
senza impegnarsi, giocherellare, giochicchiare, giocare su invito,
giochi di potere, gioco-forza, scambio di giochi, presta o regala i
tuoi giochi (il bambino possessivo: “neanche morto!”), il gioco fa
crescere (tutti), gioco con i trampoli, giochi pericolosi, baloccarsi,
giocare con i balocchi, giocare senza regole, gioca tu che gioco
anch’io, il gioco non vale la candela, fare il doppio gioco (molto
frequente in certi campi della vita), una bambina ad un soldato.
Cambiamo gioco: giochiamo alla pace?, giocare correndo spensierati
(ruzzare), giocare correndo per le colline (ruzzolare), gioco
disperato, gioco di Sperato (Sperato = nome di persona), ucciso per
gioco, tutto fa gioco, giochi da tavolo, gioco e mistero, gioco antico,
gioco superato, gioco trascurato, gioco lasciato in cantina, gioco
impolverato (etciù…e gli altri “salute!”), gioco dell’impiccato, gioco
degli animali, il gioco non finisce qui, ridere per gioco, amare per
gioco, giocare ad amare, giochi erotici, scherzo, bluff (inglesismo),
jocus (dal latino, però vuol dire “scherzo”, mentre il gioco è ludus),
gioco del calcio, ATTENZIONE QUESTO SACCHETTO DI PLASTICA NON È UN
GIOCO, giochi matematici, rompi-capo, giochi di parole, è in gioco la
sua felicità, pensare solo al gioco, dipendenza da gioco, nel fenomeno
entrano in gioco vari fattori, Peter Pan (il bambino che non vuole
crescere… e non crescerà.), giocare con la vita, la vita è un gioco,
venni vidi vinsi, vincere, perdere, pareggiare, stasera c’è
Milan-Juventus partita di Coppa Italia, nota del giorno dopo: ha vinto
la Juve 2 a 1 (porca miseriaccia!), giocare d’astuzia, giocarsi il
tutto per tutto, giocarsi l’ultima carta, ho ancora un asso nella
manica, gioco per grandi e piccini, giocarsi la camicia (peggio le
mutande!), volevano solo giocare… so’ ragazzi, bravata, gioco adatto ai
minori, gioco vietato ai minori, gioco vietato ai grandi, oltre i
limiti del gioco, 1 gioco + 1 gioco = 2 giochi, game, game over, to
play, play-boy (inglesismi), jeu, jouer (francesismi), len (gioco in
tailandese), Spiel, spielen (gioco, giocare in tedesco), jongleur,
juggler, Gaukler (giocoliere), l’importante non è vincere, ma
partecipare (non per tutti). L’importante è giocare.
Gioca responsabilmente.
Gruppo Rassegna Stampa del Cernto Diurno di Casalecchio
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Il gioco consiste in una attività
umana
Il gioco essendo una attività, un applicarsi con la
mente e con il corpo, è una necessità umana. Quasi al pari del
dissetarsi, dello sfamarsi, del riposarsi, del lavorare. Beninteso che
queste attività si svolgano ognuna a suo tempo. Tuttavia il gioco è
finalizzato principalmente al rilassarsi. Al distrarsi.
Anonimo
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Il gioco
Il gioco è la formulazione sintetica degli interessi
concreti e delle fantasie. L'intersecazione tra questi e gli altri.
Giocare insegna l'educazione e a divertirsi, vivendo insieme agli altri.
Giocare aiuta a socializzare e a fare amicizia. Il gioco insegna a
ragionare e a lavorare. Se non altro toglie la noia che hai sulle dita
flaccide.
Ave Manservisi
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Giocare!!
Giocare!!! la prima attività dei bambini.
Il "lasciarsi andare" degli adulti. Lo smettere di pensare allo studio,
ai compiti da fare, al lavoro la mattina dopo, alle prime delusioni
amorose...
Giocare in compagnia, anche solo cantare o ballare (chi se ne frega se
qualcuno è stonato...). Cito Claudio Baglioni:"I maschietti con i
fucili, le femminucce con le bambole".
Per un adulto il ritorno al gioco è un momento meraviglioso. Zecchino
d'Oro 1963: "Papà ritorna bambino, inventa favole e giochi per me".
Per i giovani genitori un figlio è un ritorno all'infanzia che apre il
cuore. Quanti giochi con mia figlia Claudia (l'ho avuta a trent'anni,
quindi i margini c'erano...).
Ma il gioco ha anche i suoi lati negativi. Gente che si è rovinata,
arrivando addirittura al suicidio o a peggio... per un"Gratta e vinci"
o un numero al Lotto... Gente che ha perso ricchezze incalcolabili,
casa, famiglia, per una pallina stupida o cinque piccole carte... gente
che rovina la bellezza di giochi bellissimi per una stupida scommessa...
E quale gioco più bello del fare l'amore? Quello candido ed esplorativo
degli adolescenti, quello tenero e allo stesso tempo violento di due
innamorati, e anche quello lento e altruista di noi cinquantenni???
Il gioco è un sogno da svegli.
Max Trentini
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Il gioco del calcio
A chi appartiene quell’attimo magico chiamato “goal”!
All’atleta che lo realizza o al pubblico che dagli spalti lo sospira e
lo invoca con ansiosa speranza? Ho già avuto occasione per dire che,
per me giocatore, il goal è un gesto di forza, ma va detto che esso
vale e soddisfa l’atleta soprattutto perché scatena la gioia, per la
stoccata fatale del goal. Il goal ferma l’evento nel suo preciso
scoccare per la gioia degli occhi e del cuore. Il ricamo dell’azione
calcistica, il fervore della circostanza, l’escalation dell’entusiasmo
e dell’ardore in campo e fuori. Ci sono vecchi e recentissimi goal: fa
bene rivederli, un po’ perché la nostalgia ha gran parte nella leggenda
sportiva (lo scriveva Pier Paolo Pasolini).
Come giocatore e portiere della squadra dei “Diavoli Rossi” non posso
che chiedere ai miei compagni di squadra e a me stesso di ricordare che
il gioco del calcio significa fervore agonistico, cameratismo e
fratellanza. Ma soprattutto speranza: la più bella delle speranze.
Giovanni Gruppioni
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Il gioco è bello
Il gioco è bello e agonistico è bello, va bene e mi
piace anche l’informatico.
Specifico: bello non da serie A Bologna.
Agonismo, ragazzi ragazze.
… basket, football… bello.
Marco B. (Diavoli Rossi)
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A partire da una vita che stressa…
A partire da una vita che stressa perché solo chiede e
pretende ciò che serve, e quindi la conseguente depressione, io trovo
il gioco come una delle più buone alternative per risolvere questo male
sociale, ma anche come una essenza positiva di arricchimento della
persona, bambino o adulto che sia.
Il gioco diventa distrazione da sé, dai legacci di una vita fatta di
orari e produzione.
Allontanarsi da sé per scoprire un'altro sé, e il prossimo. Diventa,
seguendo la Montessori, addirittura conoscenza.
Giocando comunque lo spirito si riscalda, entra in un movimento libero.
Si piega verso nuove forme e si rivitalizza, e l'Io viene a conoscersi
in modi diversi, e conoscere anche il fuori da noi.
Luca Montesi
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Giochi con la palla, giochi di
spiaggia…
Chi scrive può dire di aver sempre giocato, da sola o
con altri bambini, in città, in vacanza, in acqua o sulla sabbia.
Credo che la palla fosse la mia preferita, perché con essa si potevano
fare tanti giochi, in pochi o in molti; se poi c’era una corda o un
muro, le possibilità aumentavano.
A vent’anni giocavo a pallavolo: in acqua vi erano diverse possibilità,
su un prato idem. Durante un periodo a scuola l’aula delle mie allieve
si affacciava su un prato e spesso, durante l’intervallo, giocavamo a
pallavolo.
Vi sono poi tutti i giochi in riva al mare: beach volley, racchettoni
su sabbia, bocce, tamburelli…
Quest’estate sono stata sei giorni a Viserba con ragazzi che facevano
parte di un programma di integrazione. Tra questi gli amici di “Non
andremo mai in TV”. Molti hanno giocato, altri hanno fatto vita di
mare, altri ancora hanno partecipato alle varie attività. È stata una
bella esperienza e va detto che lo sport unisce, supera barriere e
paletti, rinsalda amicizie, ne fa nascere nuove. Questa esperienza per
me era nuova: conoscevo alcuni ragazzi e un paio di operatori, ma non
sapevo come sarebbe andato tutto l’ambaradàn. Devo dire che sono stati
sei giorni pieni e siamo tornati a casa stanchi,
ma contenti.
Tina
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Il gioco
L.L.
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I giochi di Dioniso
L'uomo gioca unicamente quando è
uomo nel senso pieno della parola,
ed è pienamente uomo unicamente quando gioca"
(Friedrich Schiller)
La 'serietà' cerca di escludere 'il gioco',
ma 'il gioco' può benissimo includere la serietà.
(Johan Huizinga)
Parlare in generale del gioco, è compito arduo: troppe cose ricadono
sotto questa definizione.
È difficile vedere cosa possano avere in comune (ammesso che lo
abbiano) un giocatore d’azzardo compulsivo ed un bimbo che si trastulla
coi suoi ninnoli nella culla. E oltre a ciò il gioco sembra presentare
aspetti apparentemente inconciliabili, ad esempio per ciò che riguarda
la sua importanza. Se da un canto per lungo tempo il mondo adulto ha
sminuito l’ambito ludico, opponendolo alle “cose serie”, d'altro canto
la metafora del gioco ha spesso affascinato anche il mondo degli adulti
al punto da assumere valenze cosmogoniche: in diverse mitologie il
mondo ha origine da un gioco (ad esempio una partita a dadi) tra dèi, e
l’universo stesso può essere visto come il campo di gioco dove
immortali e mortali si sfidano. Ed anche all’alba nella nostra cultura
Occidentale, Eraclito poteva scrivere: "La vita è un fanciullo che
gioca, spostando i pezzi sulla scacchiera: di un fanciullo è il regno".
Un altro aspetto contraddittorio è quello che riguarda il potere
trasgressivo del gioco: da un lato si pensa al gioco come sinonimo di
totale libertà, una condizione in cui ci si può affrancare dalla
pesantezza della vita reale, dall’altro molti giochi, anche tra quelli
dei bambini, sono dotati di rigide regole, la cui infrazione fa perdere
al gioco qualunque interesse (“allora non gioco più!”).
Vorrei allora limitare le mie considerazioni al gioco nella prima
infanzia. Questa ‘proprietà’, accomuna molti animali, tra cui tutti i
mammiferi, come sa chiunque abbia osservato una cucciolata di micini. A
questo proposito si può fare un’osservazione che mi pare interessante:
all’inizio del loro periodo ludico, il gioco dei mici sembra sprovvisto
di qualunque intenzionalità, salvo quella di inseguire qualunque cosa
si pari dinnanzi ai loro occhi, un gatto inizia a inseguire un proprio
fratellino, ma basta che con la coda dell’occhio ne scorga un terzo,
per lasciare il primo ed inseguire quest’ultimo, e così via, tanto che
chi volesse seguire tutti i movimenti dell’intera cucciolata, dovrebbe
dotarsi di pastiglie contro il mal di mare, tali e tanti sono i
repentini cambiamenti di direzione. Ma solo dopo qualche settimana ecco
che il gioco diviene molto più mirato: una volta che il micio ha
‘puntato’ un suo fratellino, non lo molla fintanto che non lo ha
catturato. Lascio ai lettori le conclusioni che ne vogliano trarre.
Il fatto che il gioco infantile sia non solo utile, ma indispensabile,
mi pare oggi una convinzione ampiamente condivisa; per il bambino
piccolo il gioco è la modalità primaria con cui si interfaccia col
mondo circostante, con cui costruisce se stesso in relazione al mondo o
-se si preferisce- costruisce il mondo in relazione a se stesso. E in
questo senso il gioco è, come rivendicava il Romanticismo, attività
creatrice. E questa costruzione non è limitata al solo aspetto
conoscitivo, ma ingloba anche gli aspetti estetici ed etici, anche se
in una fase in cui sono le stesse coordinate di riferimento del bambino
ad essere sotto costruzione, distinguere cosa attenga all’uno o
all’altro aspetto è impresa improba, forse addirittura destituita di
senso. Ma certo si apre un ampio campo d’indagine per comprendere, a
partire proprio da qui, che cosa siano realmente per l’uomo la
conoscenza, l’estetica, l’etica.
Altro discorso è se possa esistere un'efficace pedagogia del gioco
(stabilire la qualità e la quantità del gioco che potrebbe essere più
utile per i bambini delle varie età etc. etc.) E su questo nutro
qualche dubbio. Il fatto è che la realtà fisica che sottostà a questi
fatti, sostanzialmente l’evolversi delle sinapsi neuronali, è
presumibilmente retta da una matematica altamente non lineare, vale a
dire che piccole, a volte impercettibili, variazioni delle condizioni
di partenza, possono portare a esiti finali estremamente diversi tra
loro e che esistono dei punti di biforcazione, trovandosi nei quali una
minima perturbazione può far prendere una o l’altra direzione,
direzioni che poi divergono sempre più accentuatamente, portando a
risultati finali estremamente distanti. Ciò significa che potrebbe
risultare estremamente problematico predire in qual modo un intervento
degli adulti per normare (ovviamente con le migliori intenzioni) il
mondo ludico del bambino, potrebbe influire sullo sviluppo futuro dello
stesso.
Io non mi trovo d’accordo con chi pensa che l’azione ludica non porti a
conseguenze reali, che il gioco ri-inizi ogni volta, aprendo sempre
un’infinita gamma di possibilità. È vero, si gioca con le possibilità,
ma in questo stesso giocare si scelgono delle possibilità scartandone
inevitabilmente delle altre; e questa scelta, almeno in certa misura, è
per sempre.
È infatti pressoché unanime il consenso sul fatto che i primi anni di
vita abbiano un’importanza fondamentale su tutto lo sviluppo successivo
della vita umana. In questo senso, parafrasando Montaigne, potremmo
dire che il gioco è una cosa estremamente seria. Rifacendoci
all’aspetto biologico potremmo dire: connettere i neuroni in una certa
maniera implica di non connetterli in un'altra maniera, sia pur
teoricamente possibile, e connessioni effettuate negli anni infantili
avranno influenza su tutte le nuove connessioni che si realizzeranno di
lì in avanti.
Mi piace allora scorgere una metafora di quanto appena scritto, nel
mito di Dioniso fanciullo: i Titani per poterlo squartare impunemente,
lo distraggono donandogli una serie di giochi infantili: la trottola,
la palla, le bambole pieghevoli, lo specchio, i dadi etc. (come si vede
col passare del tempo molti giocattoli sono rimasti gli stessi). Dunque
-ecco la metafora- col gioco si ha la divisione (lo squartamento): si
passa dalla totipotenzialità(1) infantile, ad una ben precisa e
determinata individualità adulta, che esclude tutte le altre, che pure
sarebbero state possibili.
Mi si consenta allora di concludere l’articolo con un’idea un po’
balzana. Secondo la teoria platonica della reminiscenza, il nostro
sapere è un ricordare quelle forme eterne (idee) che la nostra anima,
quando non era incatenata al corpo, ha potuto contemplare
nell’Iperuranio. Potremmo invece sostenere che questa reminiscenza non
sia il ricordo di qualcosa che siamo stati, ma -al contrario- di ciò
che non siamo mai stati, la traccia di ciò che avrebbe potuto essere e
non si è realizzato. Giocando, nell’infanzia, abbiamo ‘scelto’ un certo
percorso, trascurando -di necessità- tutti gli altri, ma i
cammini non intrapresi, per sottrazione hanno lasciato in noi una tenue
traccia. Ogni volta che abbiamo mappato il mondo in una certa maniera,
“sapevamo” (del tutto inconsciamente) che avremmo potuto mapparlo in un
altro modo, ed è di questa cartografia mai tracciata che sentiamo
struggente nostalgia.
E forse il nostro desiderio segreto è quello, come una medusa
immortale(2), di tornare allo stadio iniziale per potere scegliere quei
bivi che allora avevamo scartato, di vivere una nuova vita, e ancora, e
ancora, avanti e indietro, sino ad aver percorso ogni possibile
traiettoria che i nostri geni possono consentire. E tutto ciò invano,
perché ogni nuovo percorso avrebbe cancellato ogni ricordo dei vecchi,
se non per questa insopprimibile nostalgia di essi.
NOTE
(1) In biologia la totipotenza è quella proprietà che
hanno alcune cellule di dare origine a tutte le cellule che
costituiscono un organismo vivente.
In senso lato indica una condizione che può evolversi in una
molteplicità di situazioni differenti.
(2) La medusa turritopsis nutricula, detta anche medusa immortale, è
l’unico animale a noi finora noto ad avere la capacità di invertire il
proprio
ciclo vitale, regredendo dallo stadio adulto ad uno stadio immaturo, un
numero teoricamente indefinito di volte.
Antonio Marco Serra
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Devo pormi o
non pormi
il problema della mia
assenza
in presenza di altri
Erika R. Reviglio
dalla rivista "Muffin" Anno II - N. 1 - dicembre 2011
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"Il gioco" dipinto di Fly
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Cronache da Villa Bianconi:
i giochi della nostra infanzia
Durante le varie attività espressive che conduco a
Villa Bianconi, il giovedì pomeriggio è dedicato al GIORNALINO,
un’attività in cui ci si racconta con l’aiuto di immagini, frasi
estrapolate da testi e poesie. In particolare i contenuti qui descritti
sono il risultato di un’intervista che ha coinvolto il gruppo che di
solito partecipa in modo attivo all’attività. I racconti sono stati
fluidi, hanno acceso l’attenzione e le emozioni, ricordando a ciascuno
la sua infanzia. Il contatto con la parte bambina ha risvegliato
emozioni positive sulla propria infanzia che ha accomunato ciascuno,
ricco di sogni e fantasie, speranze e desideri. Ecco i loro racconti
uno per uno.
“IL CICCA”: Il gioco che ricordo di più è il gioco
della fionda, che mi ha insegnato a costruire mio fratello. Mi
divertivo a cacciare fagiani, uccelli, lepri e qualche volta riuscivo
veramente a prenderli. Avevo circa 10-12 anni e mi ricordo ancora
quanto mi divertisse. Un altro gioco ricorrente era il “gioco del
cucco” in cui ci si nascondeva a turno facendo la conta fino a 10 e
c’era chi ci liberava e salvava.
“IL TENERONE”: Il mio gioco preferito quando avevo 8-9 anni era il
gioco dei soldatini nella sabbia. Si costruiva una torre di sabbia su
cui venivano adagiati i soldatini. A turno, uno alla volta si tirava al
soldatino. Vinceva chi tirava giù a terra più soldatini. Per me il
gioco è stato importantissimo perché mi permetteva di stare insieme ai
miei coetanei ed esprimere il meglio di me. Ma la cosa che più
apprezzavo è che nel gioco non esisteva la differenza delle classi
sociali e spesso mi dicevano che ero intelligente .
“ARSENIO LUPIN”: Ho dovuto iniziare a lavorare presto per cui ho
ricordi molto lontani sul gioco. Mi ricordo i giochi che facevo a
scuola, con le macchinine da corsa. E lo scambio delle figurine Panini
durante l’ora della ricreazione.
“DEVIL” : Il gioco preferito da bambino era “guardie e ladri”, da
quando avevo 6 anni. Per me il gioco era uno sfogo e mi dava un gran
senso di libertà. Ne facevo di tutti i colori e me li ricordo come
momenti belli pieni di felicità. Il gioco di squadra mi piaceva molto
ed ero pronto a liberare e salvare sempre gli altri.
“L’APOSTOLO” : Il gioco per me, è uno strumento per raggiungere
obiettivi importanti per far crescere la persona: in particolare le
regole insite nel gioco insegnano alla persona a stare con gli altri e
la preparano alla vita comunitaria. In particolare io ho l’esperienza
dell’animazione parrocchiale in cui spesso avevo potuto constatare come
osservando i bambini nel gioco si capisca moltissimo del loro carattere
e della loro personalità. Giocare significa prima di tutto dare la
possibilità alla persona di crescere stando con gli altri. Per me da
bambino il gioco era un modo per impegnare il tempo, è conoscere. In
particolare ricordo il gioco della gara di velocità della lucertola,
che facevamo correre in una pista di sabbia. Vinceva chi aveva la
lucertola più veloce a scalare la montagna di sabbia. Altro ricordo
felice erano le “OLIMPIADI DI VIA GHINI”, nella mia via, in cui
organizzavamo le gare di calcio, salto in lungo, pallavolo e basket.
“ER BORGATARO” : Verso i 10-11 anni giocavo ai soldatini con i miei
amici del quartiere, gioco durante cui ricostruivamo con un plastico
strade e montagne usando il giornale bagnato e la colla. Poi il
plastico veniva usato per metterci i soldatini come in una
ricostruzione storica attinente al vero.
“POMODORINO”: Io sono cresciuto giocando con i miei vicini di fronte a
casa mia, al mio gioco preferito con i soldatini, che mettevamo in fila
per poi far cadere a terra con le biglie colorate. A 7 anni mio padre
mi regalò una macchinina rossa a pedali con cui riuscii a scappare
finendo a Borgo Panigale.
“LA PROFESSORESSA” : Il gioco per me è stato fonte di allegria e
spensieratezza, giocavo con le bambole, le lavavo, le vestivo e un bel
giorno come regalo mi arrivò la casa delle bambole in metallo tutta
arredata. Era la casetta dei miei sogni infantili. Ma ho anche un
ricordo molto triste del gioco: alla scuola materna la maestra chiudeva
tutte le femmine in un rettangolo a giocare con la cucina e tutti i
maschietti invece li lasciava liberi di correre.
Da parte mia è stato bellissimo intervistare ciascuno
di loro e condividere con ciascuno l’esperienza emotiva del gioco. Mi
hanno regalato la loro parte bambina ricca di felicità e
spensieratezza. Ci ha unito e ci ha rinforzato nel nostro riconoscerci
e conoscerci insieme.
dott.ssa Assunta Pischedda
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Laboratorio di Narrativa e
Scrittura Creativa
RTP Casa M.D. Mantovani
La parola gioco, nella sua accezione più netta, mi ha
sempre fatto impazzire di gioia. Forse perché da piccoli si usava molto
spesso per definire qualsiasi gadget o oggetto con il quale poi ci si
divertiva in compagnia. Con l’avvento dei videogiochi poi, questa
parola per me ha assunto un significato onnicomprensivo e, cioè,
qualsiasi forma di divertimento elettronico con il quale mi posso
intrattenere e spesso da solo perché si può giocare in maniera
interattiva con la TV.
Proprio bello… d’altronde chi di noi non ha mai chiesto alla propria
madre di comprare questo o quel giochetto??
Aruma Sebastian Yanez
Il Niente.
Il Gioco del Silenzio…
Roberto Fabbri
Il gioco aiuta le persone a farsi compagnia e
divertirsi, sia con i giochi all’aperto sia con i giochi di società al
tavolo. È bello anche giocare in ricevitoria al lotto o al “gratta e
vinci”, l’importante è non giocare grosse cifre e non diventarne
schiavi!
Claudia B.
Mi ricordo che durante la ricreazione alle elementari,
con alcuni amici avevamo fondato una sorta di club esclusivo. Ognuno
aveva scelto un animale di riferimento. I soci del club erano molti:
c’era la rana, l’oca, il lupo, il gatto, il topo e il cane che ero io.
Nel club si allevavano vermi e lumache, si faceva la danza della
pioggia e del sole, si cantavano filastrocche e altri giochi come:
“quattro cantoni”, “un due tre stella” eccetera…
Non vedevamo l’ora che venisse la ricreazione per andare dai nostri
animali (le lumache riuscivamo a distinguerle con dei diversi punti
colorati sul dorso del guscio e per i vermi inventavamo ogni volta un
nome). Il capo fondatore del club era la mia migliore amica Nicole (la
lupa). Quanto era divertente giocare nel club degli animali!
Margherita Vollaro
I giochi che preferisco sono il nascondino (un balzo
nell’infanzia in compagnia del mio cane e delle mie cugine gemelle
diverse), gli scacchi e le rincorse con il mio cane. In generale
adoravo i giochi con il mio cane.
Anonimo
Il gioco è sempre esistito. Soddisfa la nostra
componente ludica e al tempo stesso soddisfa la nostra parte
competitiva. È come un istinto innato, che l’allenamento e
l’applicazione ingigantiscono o rimpiccioliscono. È qualcosa che è
dentro di noi.
Anonimo
È da qualche settimana che ho questa frase in testa che
prima o poi avrei voluto postare su Facebook: “Ringrazio tutti coloro
che fanno che la mia vita sia un gioco di ruolo dove posso interpretare
il personaggio che mi pare”. Spero possa essere d’aiuto a tutti.
C.
Prendere la vita come un gioco può essere molto d’aiuto
per chi vive come me in una situazione non molto piacevole. Può servire
per sdrammatizzare momenti per niente sereni e aspettarne di migliori.
Pensare che come nel “Monopoli” si può ripassare sempre prima o poi dal
via e si riavranno sempre le 20.000 £ indipendentemente dagli
imprevisti e dalle “prigionie” in cui si può finire. Penso che si debba
ragionare sempre sul fatto che quando ci si trova in una brutta
situazione, si può solo migliorare e che si debba costruire il proprio
futuro poco per volta e con fatica e costanza… come nel “Monopoli” si
costruiscono case e alberghi.
Anonimo
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Ricordi marsicani
La “mazzocchetta roscia”
Questo tema mi smuove ricordi d'infanzia legati
al gioco nella tradizione contadina della mia zona.
Dopo la raccolta, il granturco veniva lasciato ad asciugare per qualche
giorno, nei fienili o nei granai, per poi procedere alla "sfrusciatura
delle mazzocche", ovvero alla rimozione delle foglie dalle pannocchie.
Quest'evento era atteso con ansia dai ragazzi e dai giovani (uomini e
donne) alle prese con le prime cotte amorose. Il perché è presto detto:
se a qualcuno dei presenti capitava di sfrusciare la "mazzocchetta
roscia" (non era frequente, ma capitava che nel mucchio ci fossero
piccole pannocchie dalla colorazione rosso fuoco) il ragazzo o la
ragazza erano legittimati a baciare colei o colui che in quel momento
stava facendo palpitare il loro cuore.
Se si pensa al contesto e al fatto che queste cose risalgono a
quarantacinque e più anni, si può capire l'importanza che questa
attività ludico - lavorativa ricopriva per la gioventù di allora.
Questi, di fatto, passavano da un granaio all'altro per cogliere
l'opportunità di esternare i propri sentimenti senza essere “castigati”.
Le foglie delle pannocchie, una volta essiccate, erano usate per
riempire i pagliericci,materassi salutari e morbidi anche se un po’
fruscianti.
Concetta
La filastrocca della mamma
Questa era una delle canzoncine che la mia mamma
usava cantare per addormentare i miei fratelli, i miei nipoti e la
sottoscritta, andando avanti e indietro con la seggiola con un ritmo
regolare:
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Cicchiti cicchiti anni
La pappa a San Giuanni
I porcegli non sò revenuti
Se gli sono magnati gl'upi
Gl'upi erano vecchi
Non sapeano refà i letti
La iatta scamiciata
Se’lla fece na' bella risata.
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Traduzione:
Cicchiti cicchiti anni
la pappa a san Giovanni,
i porci non sono tornati,
li hanno mangiati i lupi,
i lupi erano vecchi
non sapevano rifare i letti,
la gatta senza camicia,
si fece una bella risata.
|
Concetta
La neve
Purtroppo, invece, la neve non mi smuove bei
ricordi.
Dopo le scuole elementari frequentate nel mio paese (Rosciolo de'
Marsi), per le medie e il liceo, che erano ad Avezzano, ho dovuto
spostarmi in corriera; più che una corriera si trattava di una
diligenza (sporca, vetri mal funzionanti, sedili ondulanti dalla
tappezzeria lisa e/o macchiata, calda e polverosa d'estate e gelida e
umida in inverno).
Ogni anno - sì, perché in quegli anni la neve era un appuntamento fisso
- la diligenza si piantava regolarmente all'altezza del cimitero, punto
dal quale la salita tira di brutto, per cui tutti i passeggeri, per lo
più studenti, dovevamo scendere e, libri in spalla, percorrevamo tre km
circa, arrivando a casa
bagnati, affamati e infreddoliti (in casa mia c'era soltanto il camino
in cucina).
Credo che quanto detto basti a giustificare la mia avversione per
questo elemento, giustamente apprezzato e amato da molti…
Concetta
|
|
Giochi?
Faceva un gran caldo, quel caldo umido che si addensa
persino in riva al mare, quando non c’è nemmeno un po’ di brezza. Anche
a sedici anni si può indulgere alla pigrizia, quando sono le due del
pomeriggio e fa così caldo e tu sei mollemente adagiata su una sedia a
sdraio sotto l’ombrellone. Se poi sei in vacanza con la famiglia in un
luogo nuovo, non particolarmente entusiasmante, e la noia si è già
impadronita dei tuoi riflessi…
Da un po’ di tempo sentivo frullare nella testa un certo spleen. La
vitalità giovanile si scontrava con il senso di impotenza di chi ancora
non è pienamente padrone delle sue decisioni e il pessimismo cosmico
lavorava nel profondo, acuito da vicende dolorose e dagli studi
letterari.
“È l’età”, mi dicevano gli adulti. Che fastidio! Che osservazione
banale… Cosa mai credono di capire gli altri del tuo stato d’animo, del
tuo mondo interiore, della tua individualità.
“Giochi?” Una ragazzina bruna, magrina, con un gran sorriso, si faceva
avanti con un pallone tra le mani.
Giocare a pallavolo, a quell’ora, con quel caldo… Non ne avevo nessuna
voglia, ma compresi con folgorante rapidità che quella era un’offerta
di amicizia, un’opportunità per spezzare il cerchio della solitudine,
forse anche della noia.
Un’occasione che magari, se avessi declinato l’invito, poteva non
ripetersi. Ci volle un piccolo sforzo. Mi alzai.
Gioia, si chiamava, quella ragazzina. Veniva da Prato e aveva una
bellissima numerosa famiglia: una mamma serena, tre fratellini, un
nonno dagli occhi azzurri che suonava il violino e un papà pieno di
vitalità, che arrivava ad ogni fine settimana, metteva in acqua il
gommone e portava al largo allegramente la sua ciurma di ragazzini.
Cominciò un sodalizio che si rinnovò felicemente per anni, d’estate al
mare, d’inverno sulla neve.
Finché giovinezza ci ha dato la gioia di giocare insieme.
Lucia
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L’amicizia vien ballando
Sabato 18 Febbraio: per strada è rimasto il ghiaccio
postumo alla nevicata che rimarrà famosa come quella del 2012.
Tengo per mano Cristina, che mi stringe per paura di cadere; la sua
presa calda e vigorosa riscalda il mio cuore; il ritmo della musica
proveniente dallo spazio del Centro Sociale di Via Canonica, sede del
progetto "La Trottola", via via che ci si avvicina, è sempre più nitido
e forte. All'ingresso incontriamo Giuseppe dei “Diavoli Rossi” che fuma
una sigaretta.
Salutato l'amico saliamo al secondo piano della struttura che un tempo
doveva essere una scuola, lo si evince dall'architettura, tipica degli
edifici scolastici degli anni 70/8. Il colore giallo della facciata
quasi risplende alla luce riflessa della neve, promettendo qualcosa di
coinvolgente; infatti all'ingresso della sala, Concetta ci viene
incontro affettuosamente. Tutti sono allegri e sereni, ballando insieme
lasciamo fuori dall'uscio del nostro conscio quei problemi che ci
avevano accompagnato fino alla soglia dell'entrata. Io non sono un
ballerino, ma Cristina si diverte e questo mi fa un gran piacere. Nel
gruppo c'è la Franca, che è un po’ la mamma adottiva, il maestro
Adriano, che senza sosta insegna a ballare all'allegra combriccola,
Marco B. segue con interesse la lezione. Poi ci sono: Giorgia, Rita,
Mariangela, Floriano, Gianni, Roberto, Gregorio, Moses, Andrea, Angela
e la sua operatrice, la tirocinante rappresentante dell'AITSAM, due
operatrici e tre ragazzi della stanza vicina richiamati dai ritmi
frenetici dei pezzi musicali dai ritmi coinvolgenti. I balli,
soprattutto di gruppo, con delle belle coreografie sono stati
apprezzati dalla maggioranza. Ritengo che il vero senso di queste
iniziative è quello di integrarsi rapidamente e stringere in allegria
delle nuove amicizie.
RALLEGRATEVI AMICI....ci si rivede tra due settimane.
Fabio Tolomelli
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Gli scacchi, “gioia e
disperazione,
e qualche soddisfazione”…
BOSINELLI - ... (BOLOGNA 1982. Il mio avversario non è
nominato, per privacy, ma anche perché è un ottimo amico)
e4 - c5
d4 - cxd
c3 - Cf6
e5 - Cd5
cxd - d6
Ac4 - Cb6
e6 !?
(mossa originale, ma... esiste la confutazione! : ... CxA ; Da4+ Cc6 ;
exf7+ Rxf7; DxC4+ d5 ! ; Dd3 e il bianco, lentamente, perde la partita)
- Axe6 ?
AxA - fxAe6
Cf3 - Cc6
Cc3 - Dd7
Cg5 - g6
d5 - Cd8 ? (mossa un po’ troppo passiva...)
Db3 - e5
Ce6 - CxC
dxC - Dc6
Ae3! - Dxg2
Cb5!! - Tc8 ! (ottima difesa !)
Cxa7 - DxTh1 +
Re2 - Dd5! (sempre una difesa ottima)
CxTc8 - Dc4+
Re1 ! - DxCc8
Db5+ - Dc6
Tc1!! - DxDb5
Tc8 scacco matto.
Viva la modestia...!
Matteo Bosinelli
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Zirudela del Burraco
(a casa di Graziella per gli
auguri di Natale)
Zirudela ban o mel
As truvàn què par Nadel
A zughèr e in gran letizia
Rinsaldèr quast’amicizia
Nata sì con la Canasta,
Ma siccom che a noi non basta,
Sul Burraco abbiam girato
L’interesse del passato.
Amicizia, as fa par dir,
Parchè spass al va a finir
Ch’as litiga par da ban
Pr’un inezia o pr’un marron
Che l’ha fat in tlà partida
Propri la migliaur amiga!
Parchè quasta l’è una sfida
Dove la furtauna (o sfiga),
Set, l’an guerda in faza a inciòn
Seppan trest oppur d’chì bon!
Non hai Matte, né Giolloni?
Come girano i coglioni!
Vai al volo e chiudi in mano?
Può sembrare un fatto strano,
Mo al vein fora un tèl rusèri
Pein d’nsult, con un fraseri
Da fer vgnir drett i cavì,
Càl strev mei int’un ustarì,
Brisa in bacca ad una Dama:
“Brutta figlia di puttana,
Troia, Vacca, Va a Cagare,
Che non sai neanche giocare!
Un sedér che fa provincia!”
...e poi via si ricomincia.
Così vanno le serate
Fra Tornei e bischerate
Fra un Burraco e una Canasta
“què as zuga” punto e basta.
Chi da casa o a Rastignano
Al Natale e a Noi, brindiamo!
Ed un grazie a te, Graziela!
Toc e dai la Zirudela
Giuliana Facchini
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Il gioco del Burraco
Questo gioco a carte, che assomiglia al “pinnacolo” ben
noto, è giunto in Italia verso gli anni ottanta, ma deve la sua origine
all’Uruguay, dove è stato inventato negli anni quaranta. Nel 1994 è
nata la Federazione Italiana del Burraco, FIBUR, che detta le regole
severissime del gioco e controlla lo svolgimento dei tantissimi tornei
che si tengono su tutto il territorio nazionale.
Non voglio dettagliare lo svolgimento del gioco, si trovano in
commercio varie pubblicazioni oppure si può vedere su internet, ma
vorrei trasmettere il fascino che ha per coloro che lo praticano più o
meno regolarmente.
Intanto è un gioco a carte che sviluppa attenzione, velocità di
decisione, memoria. Quindi è una sfida prima che con gli altri, gli
avversari, con se stessi. Inoltre bisogna sviluppare un buon
affiatamento con il proprio compagno della partita per “distruggere”
insieme la coppia avversaria.
Il meccanismo diventa infernale per la velocità che bisogna rispettare,
a costo di penalità che un severissimo arbitro, sempre presente,
infligge. Si creano alleanze e rivalità che vengono di continuo rimesse
in gioco. Nei tornei si incontrano persone nuove, si allargano le
conoscenze, perché prima, durante o dopo la partita ci si ferma a
parlare. È un’occasione per stare insieme, divertendosi o.. litigando,
ha quindi una valenza anche sociale.
Ecco, secondo me, queste sono le componenti che affascinano, più del
premio finale (in denaro o altro) e dell’ambitissima graduatoria che la
FIBUR tiene a livello regionale e nazionale.
Per la diffusione che ha avuto in pochi anni, il Burraco è diventato
anche un veicolo di “ buone azioni”. Spesso, infatti, vengono
organizzati tornei per raccogliere fondi a sostegno di associazioni che
operano nel sociale. Ed anche noi de “Il Ventaglio di O.R.A.V.” siamo
stati beneficiati da tornei organizzati per sostenere le nostre
finalità.
Quindi: EVVIVA IL BURRACO!!
Carla Facchini
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Sei...
Sei un pessimo cielo
La nube e il terremoto
Sei l'ironia della sorte
Presa per strada, calpestata
Sei il demone dell'odio e dell'invidia
Angelo nero
Sei un'apparizione distorta
Una gamba mutilata
Sei la paura della guerra
La forza handicappata
Sei la meschinità scaltra
La rabbia rivelatrice
Sei ramo secco, vecchio, inerme, stolto
Sei la falsità pigra e ignorante
Sei malsano, curvo
Sei il silenzio buio delle viscere della terra
Sei l'amarezza della fame
Sei nulla di nuovo, incompiuto
Sei antico amore arreso
Fantasma del passato
Scheletro morto del presente
Eppur sei stato nel tempo amato
E per fortuna perduto.
Marcella Colaci
Giochiamo
La strada è sempre in salita
per noi che non abbiamo niente
per noi solitari cuori
senza un quattrino
alla ricerca di un senso.
L'importanza del gioco
è fatale,
trascinarci non solo ai bordi
ma comparire lieti
per non solo sopravvivere.
Giochiamo,
liberiamoci,
spingiamo l'ottimismo
forse solo così
il giorno apparirà vivo.
Dentro questo gioco
scopriamo il bello
scommettiamo
riduciamo al minimo
sofferenze planetarie
avvolgiamoci
in un girotondo
e cantiamo al cielo.
Giochiamo
amico mio,
forse così
riscopriremo
l'amore
semplice e puro.
Marcella Colaci
|
Il gioco
Se all’inizio non sai che fare
e la carta ti suona male,
avanza di grado giocandone un’altra:
ma ci vuole attenzione
nel giocare d’azzardo,
ci vuole discrezione.
L’asso esce di scena
appena nasce l’amore.
Tanto io valgo te
quanto tu ne vali di me.
Il gioco dell’amore - o forse -
il gioco della vita.
Paola Scatola
La mia divisa è azzurra ed ha il
basco blu
Il mio coraggio
è ancora in te
pistola alla mano,
una divisa e via
per ciò che mi fu raccontato
per ciò che conobbi
per ciò che ho imparato.
Quasi per caso
-un caso proprio fu che
mi hai speso
per il mondo,
anima di Dio,
anima che vorrei io
solo per me:
“Sì, giuro, ero io
con quello sciame,
sì, giuro, Presidente,
ero io; punitemi,
fatelo ancora.
Oggi è più buio
di domani
oggi è oggi.
Paola Scatola
|
Ho chiesto al mio Dio
Ho chiesto al mio Dio e Signore
"Come posso giocare,
se non ho occhi per vedere,
se non ho orecchi per sentire,
se non ho lingua per parlare,
se non ho mani per lavorare,
se non ho piedi per camminare,
se nulla posso fare?
Sai come mi ha risposto:
"Gioca con la fantasia che quella
nessuno te la porta via"
Mary
|
Filastrocca d’amore
La realtà
non si fa
con le cose
troppo costose;
non con smeraldi
con diamanti
o con zaffìri
conquisterò il tuo cuore
ma forse,
solo con dei sorrisi
Matteo Bosinelli
|
Giochiamo assieme?
Vuoi giocare con me?
Che gioco vuoi fare?
Basta starti vicino
per rendermi
il tempo trascorso
piacevole.
Possiamo fare
tanti giochi...
Voglio proprio
che ci divertiamo assieme!
Ci sono giochi di carte,
fatti da regole,
da carte diverse
un mondo particolare
al quale
ci si può affezionare fortemente.
Possiamo giocare
ad uno di quei giochi
in scatola
dove
perdersi nell'atmosfera,
per poi ritrovarsi
a conclusione.
Nei giochi c'è sempre
un vincitore
e un perdente...
Questo però non conta!
Ci sono giochi sportivi
dove
ognuno può praticare
quello che a lui
si adatta maggiormente.
C'è grande abilità
fisica
che aiuta
a seconda del gioco.
L'importante è giocare
per rimanere
bambini
senza sentirsi vecchi,
ma amando
i piacevoli passatempi!
Loopa Sonivree
L’arte del biliardo
Il biliardo è un gioco…
A me piace molto
perché può rappresentare
il gioco dell’esistenza!
C’è un tavolo verde,
sei buche,
la stecca,
quindici palle colorate,
una palla bianca...
E' una questione di strategia,
Devi pensare per imbucare...
Devi pensare per vincere...
Devi pensare se non vuoi perdere...
Che palle.... Tutte colorate
vanno imbucate tutte quante
dalla prima all'ultima senza pause,
con classe e strategia!
Corri pallina bianca sul tavolo verde,
la voglio colpire indietro,
avanti,
con effetto a destra o a sinistra.
Ma che fatica restare concentrato,
ma allo stesso tempo rilassato,
senza farsi sopraffare dalle emozioni,
ma riuscire a trasmettere ai colpi,classe,
per ottenere sicurezza
e una trama di gioco
può condurre a esaltanti vittorie...
Gioca se puoi...
solo allora ti renderai conto che
un battito accelerato può innervosirti,
il sangue freddo ti porterà colpi più precisi e
stilisticamente belli!
Solo se crederai profondamente in te stesso
riuscirei a dare il meglio di te
ama questo stupido e infantile passatempo...
Allora potrai dire di vivere appieno
ogni attimo felice...
Loopa Sonivree
|
La casa a scacchi
Ho lasciato
la casa a scacchi
rossa e bianca,
vigorosa estensione
dell'anima amata,
bella casa
ricavata da singhiozzi
d'immigrata solitudine.
Ho lasciato
la casa a scacchi
privandomi delle risa,
rossa e bianca
come la mia, la tua bocca,
come una bandiera.
Le ho ridato vita
scrostando miseria.
Bevo succo d'uva ad inaugurare
il via libera ad ore liete,
senza spettri ne violenza.
Ho lasciato
la casa a scacchi
per ricordarti di me,
dai mille sogni,
carezzata dalla brezza marina
da rivivere nel rifugio.
Riaprendo la porta giocherò
e le radici sapranno di bello.
Marcella Colaci
Il gioco di prestigio sociale
Il senso lo riscopro
in quei momenti
che con te gioco,
la vita appare
meno avvolta dal mistero
e lo scorrere delle ore
è un soffio.
Il gioco mi sottrae
dal grigio torpore
ravvivando il percorso
così il nulla scompare
sollevando l'animo.
Vorrei incontrarti
ogni mattina,
rincorrere la palla
srotolando concetti,
liberando amore.
Piccoli soli riscaldano,
avvicinano parole
allietando il da farsi.
Tutto è da inventare,
tutto è frantumato
ma da ricomporre
in un gioco di prestigio,
in un prato da coltivare,
con l'animo di bimba,
con una ruga da salvare.
Marcella Colaci
|
Una notte col mio compagno
Attendo.
Aspetto.
Mi corico.
Ti immagino accanto.
Poi mi appoggio sul tuo petto
profumato, liscio, protettivo.
Sento il tuo battito calmo,
il battito del tuo cuore.
E mentre mi accarezzi i capelli,
serenità mi prende
e mi addormento dolcemente.
Giovanna Giusti
|
Dedicato a mio padre
Babbo ti sono stata vicina nel momento della tua
dipartita.
Tu, che mi dicevi sempre che la vita è bella come la libertà.
Tu, e questo mi consola, sei stato uno spirito libero.
Libero di amare, di sbagliare, ma anche di imparare sempre dai tuoi
errori.
Adesso che non fai più parte della nostra esistenza ritaglierò i
ricordi migliori a formare tante piccole stelle. Stelle che ora ti
circondano insieme ai nostri cari.
Ora sei andato - così mi ha detto un tuo grande amico e collega - a
fare il commesso giudiziario in Cielo. Prima sicuramente passerai dal
bar del Paradiso*.
Ciao babbo. Fai parte di me, come quando eri in vita. Sarai sempre nel
mio cuore!
(*) mio padre amava andare tutte le mattine a fare
colazione al bar e ha prestato servizio lodevole in Tribunale fino a
diventare capo commesso.
Giovanna Giusti
|
Lettera alla mia ex-insegnante di
Lettere
Frequento la mia ex-insegnante di Lettere della medie
che mi è sempre vicina. Questa è una lettera per lei.
Carissima Marcella,
ieri c'è stato l'ultimo saluto al mio babbo.
Ultimamente era anche molto più dolce, ed è così che lo voglio
ricordare.
Mi diceva sempre che la vita è bella, così come la libertà, ed io,
vivendo, voglio adoperarmi per dimostrare il bene che voglio alle
persone a me più care, e tu sei tra queste!
Ti riscrivo la mia poesia di allora che ci ricorda il meraviglioso
periodo di quando eri nostra insegnante nella sezione C.
Ti ho ammirata
ti ho seguita
sgranando gli occhi
con entusiasmo e amore
e col piacere del sapere
che col senno di poi
ho capito con amore!
Ero piccola,
ignara
delle difficoltà della vita,
che ancora non ho capito.
La tua semplicità
nello spiegare il tuo sapere
per insegnare nella tua C
noi facevamo il tifo... ma per chi?
Per te,
che eri la nostra musa,
infinitamente
bella e fine.
Ti ho conosciuta poi
moglie, donna
madre e nonna
dolcissima
e ho compreso il dono
che sei stata per me
e per tutti noi.
Giovanna Giusti
|
Pensieri
Tu, mamma
Tu, mamma, che mi hai messo al mondo, mi hai regalato la vita e la
felicità. Ti dico grazie di esistere.
* * * * *
La neve
Tu, neve, che cadi al suolo e ti appoggi come una piuma sul cuscino e
scendi giù come un sogno e fai sognare, tu con il tuo
splendore incanti tutti e tutto.
* * * * *
Noi
Noi speriamo e pensiamo, noi siamo qualcosa di unico, noi siamo un
regalo che ci viene dato e non si può distruggere,
altrimenti è un peccato e…
* * * * *
Il coraggio
La galassia è enorme, ma l’amore è di più. E la vita è l’infinito e il
coraggio di vivere è tutto.
Francesco (Olmetola)
|
Indovinello di Luigi Zen
Lo stuzzichino di Luigi Zen
Lui è di colore, lei bianca.
Che a lei sia comodo, per farsi portare il rusco nei bidoni
differenziati, o per portare la macchina al lavaggio…
Ma non pretenda che lui abbia la pazienza di aspettarla quando vanno al
mare e lei si vuole abbronzare…
|
La ragazza dal ciuffo ribelle
C'era una volta una ragazza dal ciuffo ribelle, che per
aver mangiato troppe ciambelle, divenne odiosa perché troppo obesa.
Davanti allo specchio fingeva di amarsi, ma in realtà era quel corpo
così grasso,che le rubava la felicità.
Spesso ripeteva: “Mi voglion due letti per coricarmi, altrimenti non
posso girarmi” e si lagnava che a pranzo, una grande ruola di pizza non
le bastava!
Un giorno di buon mattino incontrò un ragazzino che però era magro come
un grissino! Lo guardò fisso negli occhi che sebben fossero ribelli
eran tremendamente belli!
"Dove vai solo soletto?" gli domandò "Vado a bagnarmi, qui nel vicino
laghetto.
"Vengo con te, mi vuoi per favore?" “No no, se mi vedon con te io perdo
l'onore!
"Che posso fare allora per piacerti?” "Dovresti andare dal parrucchiere
e farti tagliare quello strano ciuffo che hai sulla testa".
"No ti prego, non chiedermi questo, è tutto quello che di bello mi è
rimasto" "Non voglio scuse né lamentele, se non lo fai non ti voglio
più vedere".
"Ascolta ti prego, farò tutto quel che mi chiedi, finché tu mi lasci il
mio ciuffo ribelle".
“Hai detto che farai tutto quel che ti chiedo? Allora mettiti in
ginocchio e giura che da ora in poi mangerai solo finocchio!"
“Ma, ma… Non potresti concedermi almeno due bomboloni per la prima
colazione?” "Ho detto finocchio, solo finocchio mi hai colpito! Così
potrai finalmente liberarti di tutta quella ciccia che ti porti
addosso”.
"Se è proprio questo quel che mi chiedi, lo farò, lo giuro ai tuoi
piedi"
Così finisce la storia della ragazza dal ciuffo ribelle.
Naturalmente caro lettore con questa storiella abbiamo esagerato un
po’, semplicemente per divertirci, insomma abbiamo giocato.
Questo per mostrare che nella vita può essere utile riservare un po’ di
spazio per il gioco, perché troppa serietà intristisce gli animi,
mentre un po’ di divertimento li rende più felici.
Mary
|
Tre fantasie
Ersilia racconta
… Tre volte si slanciò, avido
d’ammazzarlo …
Ersilia era appassionata dei classici. In quel periodo stava leggendo
l’Iliade e un giorno aprì il libro a caso e lesse: “Tre volte si
slanciò, avido d’ammazzarlo”. Subito la sua mente si sbizzarrì. Chi
poteva essere l’eroe che si slanciò tre volte e chi poteva essere la
preda? La donna si ritagliava spazi nelle sue giornate in cui faceva
solo attività rilassanti, come quella di leggere. Duilio l’assecondava
e anche i suoi figli. Spesso le capitava di isolarsi in un angolo
tranquillo e si lasciava andare ai suoi pensieri. Ricordava con
angoscia i momenti in cui la sua mente si fissava su un verso e non
andava avanti. La sua malattia negli anni passati non le aveva dato
tregua e le giornate passavano senza che lei si accorgesse. Si
crogiolava su un verso e fantasticava. Ettore e Achille erano ormai
suoi amici, come gli altri personaggi del poema. Le capitava di passare
ore in loro compagnia, senza il rimorso di accantonare i suoi impegni
di donna di casa. I suoi figli le andavano incontro, facendosi carico
delle faccende domestiche che lei non riusciva più a portare avanti.
Giulio e Michela erano straordinari, la gestione della casa era ormai
nelle loro mani, sostituivano la madre in modo irreprensibile. La loro
abitazione era ordinatissima. La cucina era esemplare, le stoviglie e i
tegami erano riposti in ordine nei mobili e i ragazzi preparavano con
cura gustosi manicaretti, leggendo le ricette della madre.
Ersilia era una donna provata dalla malattia e in un certo senso
spezzata, come abbiamo già avuto occasione di dire, ma aveva molte
risorse che le consentivano di non lasciarsi fagocitare dal male.
Durante i ricoveri a cui era stata sottoposta aveva assecondato sempre
i medici e seguito i loro consigli per riuscire a superare il male
oscuro che l’opprimeva. Prendeva i farmaci con regolarità e seguiva
senza ritrosia i ritmi regolari che scandivano la sua giornate. I pasti
erano senza eccezioni alle otto del mattino, a mezzogiorno e alle
diciotto.
Ersilia collaborava attivamente con gli altri pazienti nel tener dietro
agli impegni quotidiani, quali lo sparecchiare, lavare i piatti, pulire
gli ambienti… Le ore notturne erano a volte angoscianti, per il flusso
inesorabile dei pensieri, ma a volte anche rilassanti e ristoratrici. I
sogni, come abbiamo già avuto occasione di dire, erano fonte di
sbizzarrimento per la sua fantasia. Il mostro marino le aveva fatto
compagnia per molto tempo e si era man mano ridimensionato.
Duilio collaborava attivamente, le teneva compagnia e l’ascoltava, come
anche i suoi figli. La famiglia Albani, simbolo per la comunità in cui
viveva, aveva attraversato momenti oscuri ma ne era uscita sempre
vincente. Ora le giornate scorrevano tranquille e la vita era
incanalata sui solidi binari. Ersilia e Duilio erano una coppia rodata,
di esempio agli altri per la forza che aveva dimostrato in tanti
momenti.
Voi che leggete, che ne dite?
* * * * *
Fantasia di Ersilia
… nudo, che l’armi le ha Ettore
elmo lucente …
Ersilia quel giorno si era fermata a leggere un verso dell’Iliade che
faceva più o meno così: “nudo, che l’armi le ha Ettore elmo lucente”.
La sua mente subito focalizzò l’elmo lucente di Ettore, che era come
abbiamo già detto un suo amico, vista la perseveranza della donna nel
leggere il poema. Le faccende domestiche a cui era dedita erano nelle
mani dei suoi figli, Giulio e Michela, che portavano avanti la casa in
modo esemplare.
Ersilia come sempre lasciò che la sua mente si sbizzarrisse: cosa
voleva mai dire quel “nudo”? Quelle armi in mano di Ettore la colpirono
e subito immaginò una battaglia tra Troiani e Greci… Le conoscenze
della donna erano lacunose, aveva frequentato la scuola dell’obbligo,
poi si era iscritta alle superiori senza però portarle a termine. Aveva
conosciuto a sedici anni Duilio, che poi, a diciotto anni, sarebbe
diventato suo marito. I suoi figli sarebbero nati dopo due anni il
primo e dopo altri due la seconda.
La sua mente malata partorì una battaglia tra Greci e Troiani. Era uno
scontro incredibile: gli uomini combattevano alacremente e i morti e i
feriti non si contavano. Gli scudi, gli elmi e le lance brillavano
senza posa nei combattimenti. La donna era felice di ritagliarsi quei
momenti di solitudine e di pace in cui leggeva il poema.
In quel periodo stava particolarmente bene, la malattia che
l’opprimeva non le dava la preoccupazione di un ricovero, a cui voleva
sottrarsi. I sogni riempivano le sue notti, che erano a volte
ristoratrici, a volte angoscianti. Quella notte ad esempio non aveva
quasi chiuso occhio e aveva aspettato con ansia l’alba per potersi
mettere in moto e svolgere le sue mansioni di donna di casa, che in
quel periodo le costavano molta fatica. Con molta pazienza si vestì e
uscì di casa, per recarsi in chiesa ad ascoltare la messa. Come sempre
le parole del parroco l’aiutavano a superare il suo smarrimento.
Pregava, pregava che non la ricoverassero nuovamente. Prendeva con
regolarità la terapia che le era stata data e aveva fiducia di superare
quel male oscuro che la opprimeva da tanti anni e che l’aveva spezzata.
Ma la donna ne era sempre uscita vincente e ne era
fiera.
Voi che leggete che ne dite?
* * * * *
Il viaggio di Ersilia
… tornato da Lemno; ma al
dodicesimo ancora…
Ersilia passava molto tempo da sola e lasciava scorrere i suoi
pensieri, ma a volte ne era ossessionata. L’Iliade era il suo libro
preferito in quel momento. Quel giorno la donna lesse casualmente un
verso, per la precisione questo: “tornato da Lemno, ma al dodicesimo
ancora”. Subito la sua mente partì per un percorso angosciante. Cosa
poteva dire quella frase, cos’era quel “dodicesimo”?
Ersilia era malata da molti anni e spesso si inchiodava su un’immagine
e partoriva una serie di figure a volte rassicuranti, a volte meno. La
sua famiglia, composta da Duilio, suo marito, e dai suoi due figli,
Giulio e Michela, era per lei fonte di sicurezza. Sapeva che da loro
era accettata malgrado la sua malattia. I ricoveri che aveva dovuto
subire erano per lei un ricordo assai scomodo.
Un flusso inarrestabile di pensieri l’aggredì e la inchiodò sulle
parole “tornato da Lemno”. Cosa volevano dire e a chi si riferivano? Il
poema non finiva mai di stupirla e le gesta di Ettore e Achille erano
per lei fonte di sbizzarrimento per la sua fantasia malata e lacerante.
Il tempo passava inesorabilmente, le giornate scorrevano velocemente.
La vecchiaia era per la donna fonte di preoccupazione. Sentiva la morte
avvicinarsi e ne aveva paura. A volte percepiva di avere i giorni
contati e questo l’angosciava. Aveva realizzato molte cose nella sua
vita, era circondata da affetti, da persone che le volevano bene e la
rendevano felice. Questo in fondo era il senso della vita.
Voi che leggete, che ne dite?
Chiara Reitani
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La bambina è sempre lì
La bambina è sempre lì, guarda, osserva, trema, è
insicura. Pensa, riflette, ascolta i rumori, ha paura, guarda un corvo
che se ne va. Non dice niente, vede nel cielo tante piccole grandi cose
nere volare, sente come quando il freddo la trafigge, come tanti
piccoli pungiglioni.
Di fianco a lei c’è un boschetto, lo guarda attentamente, sente dei
rumori, è molto spaventata, non riesce a dire niente. Sotto ad un
albero dove le foglie si sono staccate, lei pensa e ripensa, è confusa,
non sa più cosa dire, ha freddo e ha paura, rimane lì ferma come un
pezzo di ghiaccio, come un albero che non può più parlare, non può più
esprimersi. Come un cane quando non c’è più, come un pezzo di legno il
quale prima invece urlava, si esprimeva e adesso invece è come se non
ci fosse più. È lì, ferma…
Ogni volta da allora, per la bambina, varcare la soglia di quel
cancello… le dava un senso di inquietudine. Vedere gli alberi spogli,
l’erba secca, il cancello arrugginito.
In fondo alla strada c’era una casetta vecchia, fatta di legno morto.
Quel legno era stato ferito da una sega, pensava la bambina, era vivo…
e le pareva di sentire la sua voce, le sue urla, le sue grida, il suo
profumo. La bambina era confusa, perché sentiva queste cose, come
un’anima in fin di vita che chiede aiuto.
A quel punto, lei comprese che il senso di inquietudine non è altro che
tristezza, che è uguale all’oscurità, al malessere, uguale alla
tristezza, uguale all’inquietudine. C’era un’anima in pena, che
chiedeva di essere aiutata.
Facendo attenzione la bambina si avvicina alla casa, sente che la
richiesta di aiuto viene da uno sgabello con il gambaletto rotto, quasi
staccato, ormai, dal piano d’appoggio. Capisce che è necessario
prendersi cura dello sgabello con gentilezza e affetto, allora decide
di accarezzarlo dal basso verso l’alto, piano, per non danneggiarlo…
La bambina è sempre lì, ferma, terrorizzata, trema ed ha sempre freddo,
non riesce più a connettere, più a far nulla. Ma ad certo punto vede
uscire fuori dalla boscaglia che è di fianco a lei una cosa nera e
silenziosa. La bambina terrorizzata sta lì, ferma a guardarlo negli
occhi. La figura silenziosa la osserva, sono tutti e due colpiti l’uno
dall’altro. Come se non si fossero mai visti prima di oggi. Poi ad un
certo punto il primo passo lo fa la bambina (perché , come vi ho già
detto, è molto curiosa), ma lui poi se ne va, ma lei rimane lì tutta
sola soletta. Lei si spaventa perché quell’essere che non aveva mai
visto fece uno scatto e scomparve nel nulla…
Allora la bambina si avvicina alla casetta e vede una cosa. Fece per
allungarsi, per toccarla, ma poi si punse ed allora si spaventò molto
perché vide uscire dal suo dito una cosa strana che lei prima d’ora non
aveva mai visto, e cioè il sangue.
E allora rimase lì, ferma, a vedere quello che le stava accadendo,
senza dir nulla, come fosse in uno spazio molto molto strano, come se
sognasse e cioè assente, che è uguale a terrorizzata. Allora lei decise
di riprovare ad ascoltare stando attenta, con molta calma e
tranquillità, lo sgabello di legno col gambaletto rotto. Poi lei decise
di rimetterlo a posto, ma in quel preciso momento quella cosa nera che
le aveva portato via la sua anima si posò sullo sgabello e disse con
voce molto rauca: “Se tu saprai rimettere a posto questo sgabello, ti
ridarò la tua anima”. E lei gli chiese: “Sì, ma… come posso aiutarti?”
. Il corvo rispose. “Semplice, se tu mi rimetterai a posto lo sgabello
io ti ridarò la tua anima”. E lei disse di sì! …
Allora si mette al lavoro e incomincia a guardarlo. Quando lo ha
guardato con cura incomincia a provare ad aggiustarlo, prima con uno
spago, poi prova con un filo, riprova riprova e le viene in mente di
tirare fuori quella strana cosa che le aveva punto il dito dentro alla
casetta. Decise di chiamarlo “punta di ferro”. Lo infilò con sicurezza,
gentilezza, nel piano che era alla base dello sgabello.
Anche se era molto confusa, chiese al becco nero: “come ti chiami? E
che cos’è un’anima?”. E lui rispose: “ Innanzi tutto io non mi chiamo
becco nero, ma corvo! L’anima, secondo me, è... Be’, non lo so!”, disse
il corvo “Ma ti dirò una cosa: se tu mi aiuterai, io ti ridarò la tua
anima”. Allora lei, tutta terrorizzata, come se fosse la prima volta
che si trovava in quel posto di fianco allo sgabello, disse di sì. E
riuscì a farcela. Il corvo disse alla bambina: “Brava, congratulazioni,
adesso il mio sgabello è salvo e la tua anima è tua”.
La bambina, quando aveva avuto di nuovo la sua anima disse al corvo:
“Perché tanta importanza per uno sgabello?” E il corvo disse: “Lo
sgabello era il mio punto di appoggio, ma si era rotto e non potevo più
appoggiarmi, perché avevo paura che, appoggiandomi ancora di più, si
sarebbe rotto del tutto”.
Allora la bambina se ne ritornò a casa felice e contenta perché sapeva
che ogni volta che voleva ritornare lì poteva andarci, per vedere il
suo
amico corvo (oppure becco nero)…
La morale della storia è che lo sgabello rappresenta la spiritualità di
una persona, che non bisogna sovraccaricarla troppo, se no si spezza.
La bambina è colei che, pur essendo confusa, riesce ad aiutare lo
sgabello, con l’aiuto delle sue capacità di immaginare tutto, e cioè,
il corvo, il boschetto, il gatto, il chiodo ecc. ecc. Tutte queste cose
se noi le prendiamo e le analizziamo: il boschetto, uguale a tutta la
sua fantasia; il gatto, uguale alle sue paure; il chiodo, uguale alle
sue speranze e così via. Quindi ciascuno di questi elementi può sempre
aiutare una persona confusa ecc. ecc.
Francesco (Olmetola)
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UmanaMente
“Quadro fuori quadro”
Lunedì 21 Novembre 2011 l'associazione UmanaMente ha
organizzato una visita alla mostra “Quadri fuori quadro”, esito di un
gruppo di ricerca coordinato dalla dott. Sara Ugolini del Dipartimento
Arti Visive Università di Bologna.
I destinatari dell'iniziativa sono stati i partecipanti del laboratorio
di scrittura creativa tenuto dall'associazione. La mostra comprendeva
materiali visivi (opere di grafica, pittura, ceramica, terracotta e
assemblages) realizzati dai pazienti che parteciparono alla “Scuola
d'arte” dell'ospedale psichiatrico provinciale “Francesco Roncati” e
del “Luigi Lolli” di Imola.
Queste opere sono state successivamente raccolte e conservate dal Fondo
dell'Istituzione Gian Franco Minguzzi, fino a quando la professoressa
Sara Ugolini ha deciso di revisionare l'intero materiale e farne una
selezione, destinata alla mostra in questione. L'esito di questa
selezione è stato, a nostro parere, molto interessante e ricco di
spunti di riflessione sulla condizione degli ospedali psichiatrici e
sull'arte in genere. Abbiamo, quindi, deciso di scegliere due autori
che ci hanno particolarmente affascinato e di integrare le relative
schede, prodotte dal gruppo di ricerca, con nostre riflessioni e
interpretazioni personali.
Il primo artista che abbiamo esaminato è Giovanni P.
Trovarsi dinnanzi ad un suo quadro costituisce un'esperienza molto
particolare: la nostra mente si è persa spontaneamente tra le trame
geometriche che l'autore sapientemente ha costruito, affascinata dalla
complessità e dalla precisione del disegno.
Giovanni frequentò l'atelier di
pittura presso l'Ospedale Psichiatrico Roncati di Bologna, prima sotto
la supervisione del maestro Oliviero Bovi e successivamente, dal 1980,
con Gildo Monaco. Della vasta produzione dell'artista il fondo Minguzzi
ha conservato novantuno opere realizzate su carta di medio-piccolo
formato, utilizzando matite colorate e penne a sfera. Lo stile dei
disegni è grafico ed è realizzato con un segno fermo e molto preciso,
mentre forme e colori sono distribuiti in maniera omogenea e complessa
nello spazio del foglio. Dai suoi quadri traspare una ricerca della
perfezione, che si esplica nelle forme geometriche pulite e ben
delimitate. Scarseggiano, infatti, le linee che conducono a spazi
aperti o, in ogni caso, privi di confini; tutto sembra essere fisso e
premeditato. Questa rigidità viene compensata, tuttavia, dalla
moltitudine astratta e variegata delle forme che in alcune opere
assumono un carattere psichedelico o fantascientifico. Non a caso
qualcuno di noi ha ricordato le atmosfere eteree di “2001 odissea nello
spazio” del regista Stanley Kubrik o ha sottolineato che questi quadri
potrebbero essere accostati fruttuosamente al poema sinfonico Also
sprach Zarathustra di Richard Strauss. La solenne grandiosità delle
prime note dell'opera ci ha ricordato, infatti, le forme geometriche
perfette dell'artista, quasi bloccate nel tempo, in un momento di
stupore. E il tempo, o meglio una sua assenza, ci è sembrata proprio
essere una caratteristica distintiva delle opere di Giovanni P., in
quanto i suoi disegni sembrano ritrarre dei momenti cristallizzati e il
tema frequente del cerchio ci ricorda la fissità di una snowball (palla
di vetro con neve) o la calibrata precisione di una meridiana.
Abbiamo individuato poi il vero protagonista nell'occhio. Chiara
Mazzoli, una delle curatrici della mostra "Quadri Fuori Quadro", scrive:
“L'occhio compare come elemento riconoscibile e
autonomo, come un organo ciclopico, oppure subisce mutazioni insolite,
e ancora, in altri casi, si dota di lunghi tentacoli vibratili simili a
muscoli, mescolandosi a forme geometriche e formando labirinti,
mappature, costellazioni di astri, strutture ben delineate e sempre
diverse”.
L'occhio, in Giovanni P.,
osserva e la sua capacità di visione è sottolineata in alcuni quadri da
fini raggi che si irradiano dalla pupilla. Tuttavia, quando il bulbo
oculare è ben riconoscibile, essa non è mai rivolta a chi disegna,
piuttosto traccia traiettorie visive laterali, oblique o verso il
basso. Perciò abbiamo ipotizzato che l'autore abbia reso quest'occhio
innocuo e parte di quel senso di sicurezza immobile e senza tempo che
l'autore conferisce alle sue opere. Esso, quindi, può servire a
guardare, comprendere, controllare il mondo e a scorgere le sue forme
astratte mischiate a quelle naturali, un'integrazione che ricorda il
movimento artistico del “biomorfismo”: “Anche in Giovanni P. il mondo
del vetrino biologico è abilmente simulato, quasi a rendere evidenti i
micro-movimenti della vita cellulare”, afferma la Mazzoli. Non si può
fare a meno di notare una certa somiglianza con le opere di artisti
come Kandinskij, Joan Mirò o Roberto Matta, che hanno mischiato la vita
naturale nelle sue forme più semplici alla vita astratta della mente.
Nei loro quadri abbiamo riscoperto delle sottili tracce, comuni alle
opere di Giovanni P., che rimangono, però, sempre fantasiose e prive di
elementi che rechino emozioni di minaccia, paura o angoscia. Ci
sentiamo di sottolineare alcuni elementi, emersi dal ragionamento,
razionale ed emotivo, su queste opere, che a nostro avviso sono
importanti per comprendere l'artista: l'equilibrio, la perfezione, la
fissità, l'assenza di tempo, il vedere e la protezione sono tutti
aspetti che emergono entrando in relazione profonda con questi quadri.
Non sappiamo se, effettivamente, essi appartenevano all'uomo Giovanni
P., tuttavia possiamo affermare che essi appartengono un po' anche a
noi, esseri umani come lui.
L'altro artista che abbiamo deciso di analizzare è Maria Cristina G.
L'incontro con le sue opere è stato peculiare e ricco di suggestioni:
da una parte, i suoi lavori, estremamente originali e creativi, hanno
suscitato numerosi apprezzamenti da parte del gruppo di lavoro,
dall'altra, il fatto di aver conosciuto o intravisto l'artista tra le
vie della città bolognese, ha reso concreto e interessante l'accostarsi
a questi disegni.
Cristina G. ha realizzato questi
quadri durante il suo periodo di degenza al Roncati,
approssimativamente tra il 1960 e il 1993. I disegni sono su carta
bianca di formato A3 e A4, usando la matita, la penna biro e le matite
colorate.
Dopo aver letto la scheda curata da Chiara Mazzoli, che accompagna le
opere di Cristina nella mostra “Quadri fuori quadro”, abbiamo cercato
di ricavare degli elementi di interpretazione e, successivamente,
vedere se questi corrispondevano alle informazioni pervenuteci sulla
sua vita.
L'aspetto certamente più curioso e interessante è la scelta dei
soggetti dei disegni: sono principalmente donne avvenenti, dagli abiti
elaborati e piene di accessori. Ad alcuni, il particolare interessante
delle labbra, disegnate come due cerchietti sovrapposti, è sembrato un
voler rappresentare questo elemento anatomico come qualcosa di
esageratamente pronunciato, quasi siliconato. Ci siamo domandati quindi
cosa poteva aver spinto l'autrice a rendere la bocca in questo modo:
una preferenza per le labbra carnose? Una rappresentazione sensuale
oppure un vero e proprio grido, come ipotizzava la Mazzoli? Un
tentativo di seduzione o un'espressione liberatoria del proprio
disagio? Non siamo riusciti a darci una risposta definitiva e siamo
passati oltre per considerare nuovi elementi: gli abiti, ad esempio.
Essi sono molto eleganti e spicca su tutto la presenza di vistosi
accessori che rendono più raffinato e quasi provocante l'aspetto delle
giovani donne rappresentate. Ragazze che sembrano modelle di una
rivista di moda e che rispecchiano un desiderio personale della
Cristina G.: siamo venuti a conoscenza, infatti, del suo desiderio
giovanile di diventare indossatrice di abiti.
Lo sguardo è spesso diretto, a volte leggermente inclinato verso il
basso, e l'impressione che ne hanno ricavato alcuni è quella di una
donna fortemente seduttrice che, tuttavia, mantiene una certa
alterigia: le piace esser vista e riconosciuta nella sua stravaganza,
ma forse non nella sua sessualità.
In ogni caso, portando i quadri all'interno della nostra esperienza e
chiedendoci (in modo particolare la parte maschile del gruppo) se le
donne ritratte sarebbero effettivamente attraenti, abbiamo concluso che
probabilmente una donna così “creativamente imponente” appartiene ad un
concetto di femminilità forse estraneo all'ambito maschile. La
femminilità dei soggetti non si discute, tuttavia queste donne hanno un
modo di presentarla più consono al genere femminile: la donna deve
piacere, ma piacere prima di tutto a sé stessa, o, al limite, ad altre
donne. La seduzione è presente in maniera tanto preponderante ed
eccessiva da far pensare che non vi sia un vero e proprio riscontro
nell'universo maschile quanto un'affermazione della propria
indipendenza e della propria libertà. Questa è, innanzi tutto, un'idea
rivoluzionaria per il tempo in cui i quadri sono stati realizzati.
E questa sfacciata indipendenza porta con sé anche una certa
pericolosità: i capelli ondulati e sinuosi, realizzati con singoli
tratti ben delineati, ricordano i capelli di Medusa, una delle Gorgoni,
punita da Atena per essere stata sedotta da Poseidone quando era ancora
una bellissima fanciulla, e trasformata in un orribile mostro dagli
occhi che mutavano in pietra chiunque la guardasse e dalla cute
ricoperta di serpenti. Sono soggetti femminili che si lasciano guardare
ma non troppo, minacciando una certa pericolosità. Forse, il maschio
che queste donne vogliono attirare, è in realtà costituito
dalla parte maschile dell'autrice stessa, un sintomo, anche questo, di
estrema indipendenza, autosufficienza e forza.
Non si può, quindi, non associare a questi personaggi il fascino
ambiguo di Lady Oscar, celebrità dei cartoni apparsa solo dopo i
disegni della Cristina G.
I temi della sensualità, del disagio, dell'indipendenza, della
pericolosità e della forza ci hanno impegnato a lungo fino a permeare
la traccia di un racconto, un embrione di pièce teatrale, che è stato
elaborato collettivamente riunendo diverse storie inventate da ogni
partecipante al gruppo. Le storie nascevano dalla creatività,
risuonante nel mondo interno di ognuno, con l’arte di Cristina G e le
sue poliedriche figure femminili. Ogni disegno è un personaggio che si
può raccontare e che abbiamo voluto raccontarci per farlo vivere anche
se solo nello spazio di un laboratorio dandogli voce.
In conclusione, l'incontro con la mostra è stato una splendida
occasione di misurarci col tema dell'arte che cresce e si sviluppa in
un contesto peculiare come l'ospedale psichiatrico, confrontandoci, al
tempo stesso, con il nostro vissuto personale, che si rispecchia nei
quadri esaminati.
Andrea M. (laureando in Psicologia Università di Padova,
tirocinante dell’Ass. UmanaMente),
Maya, Mario, Stefano, Silvia, Oriano, Giovanna, Elena (soci
dell'associazione)
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Il Faro segnala
Fara editore in collaborazione con il Dipartimento di
Salute Mentale di Rimini indice il concorso letterario “Insanamente”,
per opere a tema libero in qualche modo legate alla scrittura come
terapia, come elaborazione del disagio, come espressione dialogante,
ludica ed anche ironica di affrontare le difficoltà.
Si può concorrere con opere in lingua italiana, inedite, originali e
mai premiate, a una delle due sezioni seguenti:
A) Da una a dieci poesie per un numero massimo di 300 versi.
B) Un racconto brevissimo o breve, per un massimo 9.000 battute.
Per l’iscrizione è richiesta una tassa di 15 € che dà diritto a
ricevere due libri di Fara editore.
L’opera va inviata a info@faraeditore. it entro il 15.4.2012, insieme a
una scheda contenente dati anagrafici, recapiti e biografia dell’autore
(10 righe).
Il primo classificato di ogni sezione riceverà una medaglia.
I primi cinque di ogni sezione riceveranno tre copie della
pubblicazione contenente le opere vincenti, curata da Fara editore con
il contributo del Lions Club di Cattolica.
La premiazione è prevista a fine agosto-primi di settembre a Viserba,
nell’ambito della manifestazione eSportiamoci. I vincitori saranno
ospitati a cura della redazione.
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La posta
Ho ricevuto copia on line del Faro e, dopo i
meritatissimi complimenti che intendo farvi, spero di fare cosa gradita
ad inviarvi copia dell’analogo giornalino dell’asl di Cuneo 1, Muffin,
ove compare una riflessione di mia figlia Erika, in carico da qualche
tempo presso quel servizio, ma, a parte quello, può diventare
un’interessante e, auguro, proficua occasione di confronto … tra
l’altro, troverete in calce l’esplicito invito per eventuali
collaborazioni e invii, nonché il sito web utile a ciò.
Auguri a tutti e … “continuate così’’!
Una mamma del Gruppo Speranza di Casalecchio di Reno,
nonché associata AITSAM
Rita Brunetti
Grazie mille per la segnalazione e per i complimenti.
Abbiamo proprio intenzione di creare una rete di contatti con altre
redazioni come la nostra, qualcuna la conosciamo già. Ci stiamo
organizzando per mettere i link sul sito ilfaroinsieme.blogspot.com. La
riflessione di Erika è molto suggestiva e come vedrai, l’abbiamo “fatta
nostra”.
Cari saluti e auguri a te e a lei.
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Un saluto a Lucio Dalla
In questa famosissima canzone, in cui si parla, sebbene
con tocco lieve, di una non facile vita, la parola “gioco” compare
molte volte. Una parola “chiave”, che apre a pensieri di amore e di
speranza.
L’immagine di quella mammina sedicenne, sola e coraggiosa, che “giocava
a far la donna con il bimbo da fasciare”, ci mostra una via per uscire
dal buio del dolore e affrontare le prove della vita.
Caro Lucio, grazie.
Noi, in qualche modo “gente del porto”, ti salutiamo con affetto dal
nostro "Faro".
4/3/1943
Dice che era un bell'uomo e veniva
veniva dal mare
parlava un'altra lingua
però sapeva amare
e quel giorno lui prese a mia madre
sopra un bel prato
l'ora più dolce prima di essere ammazzato.
Così lei restò sola nella stanza
la stanza sul porto
con l'unico vestito ogni giorno più corto
e benché non sapesse il nome
e neppure il paese
mi aspettò come un dono d'amore fino dal primo mese.
Compiva sedici anni quel giorno la mia mamma
le strofe di taverna
le cantò a ninna nanna
e stringendomi al petto che sapeva
sapeva di mare
giocava a far la donna con il bimbo da fasciare.
E forse fu per gioco o forse per amore
che mi volle chiamare come nostro Signore
della sua breve vita il ricordo
il ricordo più grosso
è tutto in questo nome
che io mi porto addosso.
E ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesù bambino…
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Una raccomandazione...
Fate giocare i bimbi con gli
animali, ma spiegando che sono esseri viventi degni di rispetto… Che
non sono peluche…
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Soluzione dell’indovinello di
Luigi Zen
Quanto basta perché nel ruotarlo
la bocca arrivi a terra, altrimenti il cavallo morirebbe di fame e di
sete.
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Errata Corrige e una precisazione
Dal numero su “Angeli, demoni e fantasmi” per un
svista è rimasta esclusa la bellissima poesia di Marcella intitolata
“Sei”, che si adattava molto bene al tema proposto. Ci scusiamo con
l’autrice e la pubblichiamo in questo numero.
Nell’inserto è stata aggiunta, a corredo dell’articolo di Mariana
Parera, una foto di repertorio che non ha alcun rapporto con la persona
dell’autrice.
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