L’ignoranza
La parola Ignoranza, dalle più consultate ricerche
etimologiche, è la
condizione di colui che ignora, appunto dell'ignorante. Che non è solo
di chi non è a conoscenza di una data teoria, ma più in generale di chi
conosce poche e insufficienti nozioni del sapere esteso. Ignoranza può
essere definita anche come una visione personale e distorta di una data
realtà. L’analisi del termine, partendo dal greco gnor - izein
(conoscere), diventa poi in latino ignorare (in - gnarus, che non sa).
Facendo un uso spropositato appunto di tale termine, è divenuto un
aggettivo (ignorante) che in senso dispregiativo denota chi ha poca
educazione o cultura.
Quindi, senza dubbio alcuno, per combatterla occorre anzitutto
riconoscerla, riconoscere in noi carenze e dubbi, insufficienze e
difetti, per colmarli prima di additare gli altri. Che altro non sono
che il nostro specchio. L’ignoranza è il punto di vista che manca agli
uomini di cultura (cit. di Pino Caruso, Ho dei pensieri che non
condivido, 2009), quindi tentare di combattere l’ignoranza fuori di
noi, oltre noi, oltre i nostri confini, oltre il nostro Paese, oltre il
nostro Continente, è pura follia. Ciascuno può donare solo ciò di cui è
ebbro, pieno, strabordante; e nelle parole Pace, Amore, Libertà di cui
fa largo uso ma nessun consumo, affiorano come scogli le assenze di cui
abitualmente tentiamo di nutrirci.
Ma torniamo all’Ignoranza e facciamo tutti, se ci è possibile, un passo
indietro: cerchiamo di intravedere l’ombra che stiamo riflettendo. Se è
corta, è perché è mattino presto, non necessariamente perché non siamo
in grado di farci ascoltare.
Viceversa, se la vediamo allungarsi rispetto alla nostra naturale
altezza, non sentiamoci infallibili e grandi, possono essere
semplicemente ombre della sera. Compiamo allora due passi indietro,
davvero, e con umiltà poniamoci una domanda che se ascoltata, accolta,
e tenuta con noi, potrebbe da sola, colmarci per aiutare a colmare:
come posso riempire le voragini che dentro me lavorano e divengono
IGNORANZA? Come posso, velocemente, essermi di aiuto, placare il rumore
sordo che provoca la mancanza, riempirmi per saturare aiutando anche
altri, dopo di me?
<< Io sono. Dal mio benessere dipende il tuo. Io mi
prendo cura
della mia persona e ascolto, leggo, ti osservo, studio, mi aggiorno, mi
confronto. >>
L’idea di un’intervista è proposta da Lucia Luminasi, redattrice di un
giornalino molto particolare, Il Faro. Mi dice poche cose per
convincermi, io parto già dopo due parole, vago con la mente, vago su
libri ipotetici, vago sul tempo e a ritroso di esso…
L’intervista
Facciamolo insieme e il percorso è già avviato…
Faccio una corsa a perdifiato. Corro corro corro, invento anche qualche
saltello, un balzo più lungo di quelli che abitualmente compio: questa
è stata la mia ricerca sull’Ignoranza. E ora mi sento così bene,
magnificamente bene. Mi sono arricchita, ornata, piena. È un’ analisi
precisa, fuori e dentro me, che mi ha stimolata a voler trovare un
senso a questa parola. E poi mi sono sentita come esortata nel doverla
prima circoscrivere per poi cancellarla per sempre. Eh ?! Sarebbe
bello!
Le domande ho cercato di ridurle, renderle dense, condensarle: soltanto
tre.
- Io comincio la frase, e tu la completi: l’Ignoranza è …
- Parlavo dell’ Ignoranza interiore personale, perché e dove ci si
sente ignoranti, cosa ignori, quali strumenti tuoi emotivi e
caratteriali non ti sono sufficienti ?
- L’alfabetizzazione è uno strumento basilare per contrastarla, ma più
di ogni altro mezzo pensi che si debba combattere
l’Ignoranza con …
Le risposte lascio che siano impresse dall’inchiostro riportandole così
come mi sono state elargite, regalate; io le ho accolte tutte come doni
preziosissimi.
Ho intervistato un manager, che è anche un formatore, che è anche un
padre e marito, e che è anche un mio amico: Sebastiano Zanolli.
L’ignoranza è non sapere che puoi essere più di quello
che sei già.
Io ignoro quello che provano gli altri, la mia lotta con me stesso
riguarda questo, capire il prossimo. Più lo capisco e più comprendo me.
Poi naturalmente ci sono altre cose da sapere: conoscenze fattive. Ma
quelle si imparano facilmente se si ha veramente voglia di scoprire.
Occorrono la fiducia e la responsabilizzazione per combatterla. Io
credo in te e nelle tue capacità di trovare risorse. Non mi deludere.
Non deludere il meglio di te. Siamo qui solo per questo.
Ti ringrazio Sebastiano, le tue parole sono insegnamenti preziosi, come
quel tuo suggerimento che conservo sempre nei miei pensieri “costruite
ogni giorno collegamenti, siate come dei ponti”.
Molto preparata e molto disponibile nell’ospitare la mia richiesta di
essere intervistata, si considera bilingue, grazie a Pina
Piccolo
che mi ha dato un parere multiculturale, come ama definirsi lei stessa.
Formatasi come italianista all'Università di Berkeley, italo-americana,
insegna, traduce e si occupa di progetti per l’integrazione. Appoggia
subito qualcosa che prende molto posto enunciando
Non sono in accordo con l’affermazione che l’ignoranza
sia una
mancanza di cultura. In Italia nel periodo fascista, soltanto dodici
tra i docenti universitari (uomini di cultura per eccellenza) si
rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà al regime. Altra cosa che
mi disturba del concetto di cultura è che certi saperi, certi insiemi
di conoscenze, filosofie e pratiche non appartenenti al ceto dominante
vengono classificati come “non culture”; basti pensare alle culture
contadine, ai saperi delle donne, a come vengano sottovalutate le
culture di paesi colonizzati, etc. Spesso la cultura o la sua mancanza
vengono utilizzate come alibi per sopraffare. Infatti sovente nelle
persone con alto livello di scolarizzazione vi è una maggiore
vulnerabilità a cadere nei tranelli delle cosiddette autorità, siano
esse scientifiche o letterarie, e perciò vissute come una specie di
identificazione con chi sta in alto. Sono d’accordo che bisogna colmare
le lacune che abbiamo dentro eppure, anche se può sembrare paradossale,
ritengo si debba difendere una sana dose di indignazione e non
soccorrere affatto la mancanza di rassegnazione, per aiutare il nostro
Paese in questo delicato momento. L’alfabetizzazione, secondo me, è in
grado di aprire la porta a certi saperi ma non ad altri; basti pensare,
per riportare un esempio, alla sopraffazione del linguaggio medico per
cui eventi naturali come la gravidanza o il parto vengono considerati
fenomeni patologici che necessitano di interventi da parte delle
autorità. Forse questo lavoro sul sé al quale ti riferisci si può fare
non tanto sull’ignoranza, ma sul rendere esplicite le paure che sono
alla base del nostro immobilismo sociale (che credo sia il più grosso
problema di questa epoca).
Incuriosita, ho digitato sulla raccolta immagini di Google immobilismo
sociale, e sbalordita ho guardato le prime icone rappresentative: un
cartello stradale con scritto “Povertà”, un ammasso di rifiuti, un uomo
incatenato e carcerati robotizzati.
La mia esplorazione nei meandri dell’ignoranza, verso la sua conoscenza
e nelle sue sfumature è proseguita con il contributo di un altro caro
amico, Felice Tagliaferri.
Lui condivide le sue esperienze personali come formatore presso alcune
aziende, collabora con diversi insegnanti su come trattare l’handicap e
infine, cioè in principio, è uno scultore. Mi piace sempre raccontare
di quando nel 2008 si è recato con un gruppo di non vedenti a Napoli, e
proprio all’interno della cappella in San Severo, lì dinnanzi a loro,
si sono trovati l’opera “il Cristo velato” (Giuseppe Sanmartino 1753).
Ebbene, con quanto gli è stato messo a disposizione dal Creatore, hanno
guardato l’opera, cioè toccandola. Ma purtroppo si sono trovati messi
alla porta, anche in malo modo, poiché non è permesso toccare statue,
opere, capolavori cosiddetti Arte. Il Colosseo, Stonehenge, la Muraglia
Cinese, l’Arena di Verona, i portici di Bologna, tanto per portare
pochi esempi, vivono da secoli alle intemperie e alcuni di essi sono
toccati continuamente, senza per questo aver perduto il valore
artistico ad essi attribuito. Felice Tagliaferri mi ha detto che più
conosce, più incontra ignoranza, e solo toccandoci per abbracciarci
possiamo contrastare l’ignoranza. Perché con la voce, con la mimica e
la gestualità possiamo mentire, ma toccando le persone mentre parliamo
scorre da noi a loro quello che proviamo nel profondo, e vibriamo nelle
corde proprio come sussultano i pensieri dentro noi. Per questo ha
riprodotto un’opera uguale, se non addirittura più incantevole, a
quella statua dalla quale sono stati fatti allontanare. Poco più di due
anni dopo ha presentato al pubblico “il Cristo RI-velato”, il cui
doppio significato sta per "velato per la seconda volta" e "svelato ai
non vedenti".
Felice sostiene che l'arte è patrimonio universale e come tale deve
essere accessibile a tutti secondo le proprie possibilità; perciò ha
pensato di proporre una sua versione dell'opera che sia disponibile
alla fruizione tattile. Quando vado a trovarlo, per mostrarmi ogni sua
nuova opera, mi fa sempre chiudere gli occhi, poiché solo col buio di
noi stessi sentiamo sotto le mani cosa stiamo davvero toccando. Ah!
quasi dimenticavo di scriverlo, perché per me è completamente
irrilevante: Felice è un maestro scultore non vedente. Gli domando al
volo, prima di salutarlo, come si può contrastare secondo lui
l’ignoranza. Lui cerca il contatto con Tobia, il suo fedelissimo
cane-guida, e mi tocca il braccio mentre risponde a quest’ultima
domanda: “non possiamo fare niente se non adoperare il cuore
come strumento catalizzatore”.
A questo punto so che farete un sospiro, che vi vorrete prendere una
pausa, perché mettere tutto insieme (l’ignoranza, i non vedenti felici
di nome e di fatto, l’immobilismo sociale, l’amore per noi stessi) ha
bisogno anche di dolcezza, come se gocce di melassa e lavanda unite
potessero in qualche modo soccorrerci per schiarirci la gola.
L’ignoranza. Da combattere quindi o da imparare ad amare per unirla
alla sapienza? Da mettere al muro o da prendercene cura cosicché magari
possa guarire? La rinneghiamo e fingiamo che nulla sia, o meglio
umilmente, come Ercole fece nelle sue più grandi fatiche per combattere
Idra, ci possiamo abbassare al suo cospetto?
Umiltà. Umiltà per ammainare quelle vele che altrimenti non ci
consentono di avere stima di noi stessi, conditio sine qua non per
accorgersi e vederla anche negli altri.
– Vieni da noi Daniela, vieni al centro sociale 2 Agosto! – mi ha
proposto Lucia.
Mi accompagna Manuela, che si occupa di blog, di web, e si occupa di me
come cara amica. Ad aspettarmi trovo già Mario Amadei, l'anfitrione dei
ritrovi pomeridiani, che pronto con il proiettore mi aiuta con i
collegamenti video-casse acusticheluci: è tutto perfettamente
funzionante. C’è un gran vociare mentre arrivano, guardo bene e sono
tutte bambine, qualcuna più piccola, qualcuna meno, ma sono bambine,
sorridono con gli occhi come bambine, sono educate come bambine, si
scambiano regali o giochi come le bambine. Ci saranno si e no uno o due
maschietti. Io mi sono preparata, vedrò di esprimermi con una
dialettica comprensibile a tutte, magari parlo lentamente, può andare?
Tutte si passano voce, in fondo sono pur sempre un’intrusa, e si stanno
domandando chi sono, cosa faccio, cosa voglio, perché sono lì, se
tornerò.
Lucia apre il pomeriggio ringraziando per l’ospitalità il
Centro-Sociale-2-Agosto e per la disponibilità di tutti e tutte le
componenti di Il-Ventaglio-di-ORAV e di Andare-a-Veglia, quali
promotori di questa e molte altre iniziative; grazie per aver fatto
parte di questa nostra complessa ricerca perché, fondamentalmente…
l’ignoranza, sappiamo cos’è?
Una voce dalle prime file con la mano alzata snocciola un “l’ignoranza
è l’antitesi dell’onniscienza”.
Deglutisco e guardo meglio, forse non sono tutte bambine in età da
asilo come credevo, qualcuna magari frequenta il centro come
doposcuola; sì, certamente per asserire con tale padronanza una
riflessione del genere l’età è almeno scolare.
Ora che la discussione entra nel vivo osservo meglio attorno a me,
potrebbero avere otto, chi dieci, qualcuna sei anni. Mentre pongo la
prima domanda inizia un ordinato quanto più affascinante salotto.
Vengono suggerite le tre scimmie non vedo non sento non parlo, come
immagine da raffigurare dentro di sé per richiamare l’ignoranza
- L’ignoranza non è una brutta parola, è ammettere che non sappiamo.
- E’ dire “a me la politica non interessa per niente”.
- Eravamo più ignoranti nel passato o lo siamo di più adesso, in questo
presente evoluto?
- Non saper chiedere aiuto.
- È il contrario della consapevolezza: la consapevolezza dell’ignoranza
è il motore del cammino che ci guida verso l’illuminazione. L’ignoranza
dell’ignoranza ci acceca completamente.
Con quali strumenti emotivi e caratteriali –
incalzo io - si possono colmare le nostre singole lacune che generano
l’Ignoranza?
- Chiedendosi sempre il perché delle cose. C’è sempre una ragione se la
cerchiamo
- Avere curiosità
- Andare a dormire ogni sera coricandoci con una domanda: cosa ho
imparato di nuovo oggi?
- Mettersi nei panni dell’altro
- Prestando il nostro tempo al volontariato, dove sia noi che chi viene
soccorso si possa trarre beneficio diminuendo le distanze, cercando la
possibile integrazione.
Non sto traendo conclusioni certo, sono qui da un po’ ormai e
l’atmosfera la percepisco colma di educazione, di cultura, di storia;
qualcuno parla di Cuba e dei bambini che non chiedono la carità perché
vanno a scuola. Altri difendono la tv: non trasmette solo negativismo
ma, per esempio in certi anni come quelli che hanno preceduto il boom
economico, molti hanno appreso la lingua italiana correggendo e
addirittura abbandonando i dialetti; attraverso la scatola con quel
vetro dinnanzi era come se ci si recasse a scuola; le notizie fino ad
allora tenute segrete per mantenere ignorante la gente finalmente
invece facevano capolino nelle case e diventava realtà, diventava “l’ha
detto la tv, allora è proprio vero!” .
Il tempo trascorre velocissimo quando c’è armonia come oggi pomeriggio.
Per la terza e ultima domanda:
Oltre all’alfabetizzazione anzitutto come pensi
si debba combattere l’Ignoranza?
chiedo loro di darmi in risposta soltanto una parola, ciascuna dirà una
parola … magica..
<< Curiosità, informazione, approfondimento, relazione,
dialogo,
impegno, umiltà, ragione, educazione, emozione, scelta, volontà di
conoscere, considerare l’altro una risorsa >>.
Non posso quindi non strizzare gli occhi come se stessi osservando con
un binocolo: ma allora queste bimbe sono adolescenti? Come sanno far
uso di questi vocaboli? E poi ciascuna vuol dire la sua, non ci stanno
ad ascoltare e basta.
Non vorrei che fossero donne dalle sembianze giovanili ma tutte magari
già con famiglia. Può essere, sono stata tratta in inganno. Mi ero
detta “vado in un centro sociale, sarà un asilo, un dopo-scuola, classi
di recupero”. Queste persone alla fine sono simili a me, come è facile
incespicare negli stereotipi: vecchi, bambini, centro sociale,
pensionato. Sono donne alla ricerca della verità come me; che stanno
tentando di colmare lacune e deficit, come me. Siamo unite così nel
nostre essere femmine, come la luna, come la Terra, come la gioia, come
la croce, come la pace, come l’uguaglianza.
Ho preparato un video col desiderio che rimanesse con tutte loro il più
a lungo possibile, e come accompagnamento musicale ho scelto note
giapponesi, rilassanti, molto rilassanti. Sulle immagini scorrono anche
parole, e sono queste:
Contrari della parola ignoranza: Avvertenza, capacità,
competenza,
conoscenza, coscienza, cultura, dimestichezza, educazione, erudizione,
familiarità, abilità, esperienza, consapevolezza, civiltà, progresso,
osservanza, popolarità, sapienza, sicurezza.
“Guarire” l’ignoranza. Se ci lasciamo mutare allora sconfiggeremo ogni
male. Cominciamo da noi stessi, imparando ad amarci SIAMO MUTEVOLI:
Siamo le uniche creature sulla superficie terrestre capaci di
trasformare la nostra biologia per mezzo di quello che pensiamo e
sentiamo.
Le nostre cellule osservano costantemente i nostri pensieri e vengono
modificate da loro. L’ allegria e l’ attività equilibrata ci mantengono
sani e ci prolungano la vita. Il ricordo di una situazione negativa o
triste, libera i medesimi ormoni e sostanze biologiche distruttive
dello stress. Le nostre cellule stanno costantemente esaminando tutte
le nostre esperienze e le elaborano secondo i punti di vista personali.
Quando li si interiorizza, ci si trasforma. Chi è depresso proietta la
tristezza in ogni parte del corpo: il ciclo del sonno viene interrotto,
i recettori delle cellule della pelle si modificano, le piastrine del
sangue diventano più viscose e maggiormente inclini a formare coaguli;
perfino le lacrime contengono caratteristiche chimiche differenti da
quelle delle lacrime dovute all’allegria. Questi fatti confermano la
grande necessità di usare la nostra consapevolezza per creare il corpo
di cui realmente abbiamo bisogno. Il processo di invecchiamento può
essere neutralizzato ogni giorno. Shakespeare non faceva il metaforico
quando attraverso il suo personaggio Próspero diceva: “Noi siamo fatti
della stessa materia dei sogni ”.
Vuoi sapere come sta il tuo corpo oggi? Allora ricorda quello che hai
pensato e percepito ieri. Vuoi sapere come starà il tuo corpo domani?
Osserva i tuoi pensieri e le tue emozioni oggi! Ricorda che aprire
cuore e mente porterà doni molto preziosi alla tua crescita personale.
La malattia (e l’ignoranza) provengono da te stessa/o e non te ne rendi
conto. La medicina (e la cura) stanno in te e non le usi... Trova tu la
giusta guarigione, cercala nella tua anima (H. Ali, medico indiano). Se
ci uniamo, e ognuno è disposto ad assumersi la propria responsabilità,
cultura e pace, civiltà e progresso avranno il sopravvento
sull’ignoranza. Cultura e pace. Se CULTURA e PACE dimorano in noi
allora CULTURA E PACE NEL MONDO saranno. Siate Mutevoli… Flessibili,
Disponibili. Prima con voi stessi e poi con tutti gli altri. Gli altri
e il mondo non sono che lo specchio di noi stessi.
PACE, CULTURA = VITA !!! .
Le stesse domande che mi rimescolano emulsionando idee vecchie e nuove,
e che come impeti sbucano all’improvviso, le ho rivolte qui al centro a
loro, che mi hanno aiutata a chiarire e chiarirmi, a interrogare e
interrogarmi. Sono Maria Luisa Stanzani, Anna Fiorini e Adriana
Saragoni, da anni impegnate in ambito sociale, culturale e didattico.
Ma non solo. Sono anzitutto donne, mamme, nonne e figlie. Perché come
dico in uno dei miei libri “Qualcuno tra noi è genitore ma tutti,
indistintamente, siamo figli”.
Queste donne mi somigliano ma sono migliori di me, perché sono tutte
più adulte, loro si definiscono anziane, ma è un termine giustificato
solo dalla fascia di età. Alle donne che mi precedono e che mi hanno
preceduta sono infinitamente riconoscente perché hanno combattuto, al
posto mio, affinché io ora possieda tutto quello che ho. Anna, Luisa,
Adriana, e a tutte voi di cui non conosco i nomi, che mi avete
ascoltata questo pomeriggio e accolta, e ringraziata, grazie, sono io
che ringrazio voi per la vita che posso condurre, per le gioie che
posso provare.
A tutti voi che leggete questo articolo dedico le mie riflessioni
conclusive di questa analisi interiore e condivisa.
L’ignoranza è inconfutabilmente una condizione dell’Essere. Come la
fame, come il bisogno di affetto, come la barbarie,
come i sogni, come l’avarizia. In noi dimorano il giudice e il
delinquente, l’impostore e l’onesto, l’affamato e il persecutore,
l’inganno e la lealtà, ce lo insegna anche Sigmund Freud. Sta in noi,
stabilmente e con presenza, scegliere la libertà: amare
noi stessi nel rispetto di noi e dell’altro. E come per il surfista che
non raggiunge mai l’equilibrio ma cerca costantemente di
mantenerlo sull’onda, così è il nostro compito: difenderci da questa
limitazione. “Né dentro l’onda, né fuori dall’onda: in”.
Assumerci la responsabilità (non la colpa) di ciò che ci accade ogni
giorno e sentire così che noi, siamo proprio noi, a
contribuire alla pace. Non possiamo liberarci per sempre
dell’ignoranza, nostro alter ego e gemello. Però possiamo
scegliere di nutrire solo la parte di noi che è fratellanza, rispetto,
cultura, pace, amore … e vita!
L’articolo, le interviste e anzitutto gli incontri, sono stati
possibili grazie a:
- Il Faro, www.ilfaroinsieme.blogspot.com
- Il Ventaglio di ORAV www.ilventagliodiorav.eu
- Andare a Veglia www.andareaveglia.it
- il Centro Sociale 2 Agosto1980 di Bologna
www3.iperbole.bologna.it/centro2agosto
- Manuela Cappelli www.manuelacappelli.com
e alle persone che hanno accolto la proposta di essere intervistate:
- Sebastiano Zanolli www.sebastianozanolli.com
- Pina Piccolo, http://interculturale.net/profile/PinaPiccolo
- Felice Tagliaferri www.chiesadellarte.it/ )
- Maria Luisa Stanzani, Anna Fiorini, Adriana Saragoni
- Mario Amadei e tutte le frequentatrici e i frequentatori
dell’Appuntamento del venerdì.
Daniela Montanari (www.danielamontanari.com)
|
Le parole sono importanti!
Il gruppo del laboratorio di scrittura di UmanaMente ha
lavorato sul
tema dell’ignoranza utilizzando il metodo del brainstorming. In seguito
ha scelto di approfondire, tra i temi emersi, il legame tra l’ignoranza
e il linguaggio inerente alla salute mentale, sulla scia delle
riflessioni a seguito della conferenza stampa: “Ma come parli?
Chi parla male pensa male. Incontro con i politici sul linguaggio le
parole e le cose”, tenutasi a Bologna presso l’Ordine dei
giornalisti il 12 febbraio 2013.
Elaborazione e primo approfondimento: l’ignoranza
sull’utilizzo delle parole inerenti la malattia mentale; la Carta di
Trieste.
L’ignoranza si è stabilito essere di tutti coloro che ignorano e tante
sono state dette essere le cose che gli uomini ignorano e che potrebbe
essere utile che conoscessero.
È però fondamentale una conoscenza quando si utilizzano certi termini
che possono avere una grande rilevanza emotiva e un impatto sociale e
culturale. Questo il caso dei termini inerenti la malattia mentale.
Si è così aperta una riflessione di gruppo sull’ignoranza delle persone
in merito alla sofferenza psichica e ai modi meno opportuni di
parlarne.
Si è condivisa la lettera aperta rivolta ai giornalisti e firmata da
molte associazioni del CUFO compresa UmanaMente, si è letta e discussa
la Carta di Trieste.
La carta di Trieste è una proposta per un codice etico per i
giornalisti e gli operatori dell’informazione per l’utilizzo di termini
su notizie concernenti cittadini con disturbo mentale e questioni
legate alla salute mentale in generale.
Il gruppo ritiene che questa Carta sia importante per regolamentare
l’utilizzo del linguaggio inerente la malattia mentale e che dovrebbe
essere presa da esempio anche da tutti coloro che a vario titolo si
esprimono su questi temi.
Si è osservato come nel corso del tempo le parole subiscano
naturalmente un cambiamento di significato e vengano ‘volgarizzate’,
per cui M porta l’esempio di stoico e idealista
che sono divenuti di uso comune e hanno perso il significato
originario. Oggi molti termini di ambito psicologico e psichiatrico
vengono comunemente utilizzati e stanno subendo il medesimo processo.
Sappiamo benissimo che la notizia informativa più è clamorosa più fa
scalpore. Pertanto quando ascoltiamo per esempio schizofrenico uccide
la moglie implicitamente stiamo attribuendo la responsabilità del reato
alla malattia mentale.
Il gruppo si chiedeva: è davvero così? È sempre così? Sono emerse tante
perplessità riguardo ciò. Il disturbo potrebbe esserci o meno, ma è la
causa vera che incide sull’atto? È inoltre rilevante ai fini della
completezza dell’informazione precisare che il cittadino è
schizofrenico? Oppure, nel caso il giornalista voglia precisare questo,
dovrebbe aggiungere di non essere in grado di precisare quanto la
diagnosi di schizofrenia sia in relazione con la violenza.
L’informazione completa dovrebbe prevedere non solo la diagnosi, ma
anche informazioni sulla famiglia, eventuali pregressi atti di violenza
ed altri fatti rilevanti che possano essere in relazione con il fatto e
comunque, come evidenziato anche nella Carta di Trieste, è importante
il modo in cui una notizia va presentata.
Coloro che nel gruppo soffrono di problemi psichici hanno espresso
sentimenti e pareri diversi rispetto a notizie che hanno per
protagonisti persone con disagi psichici.
Alcuni si sentono offesi e presi in giro quando sentono certi termini
nei media poiché si percepiscono coinvolti come categoria, altri
ritengono anche che certi termini siano fastidiosi di per sé quando
usati per creare scalpore, anche se non si percepiscono affatto
appartenenti alla categoria a cui si fa riferimento (esempio:
psicopatico, demente).
Qual è il modo allora migliore per definire una persona che ha simili
problemi? Disabile mentale? Disabile e basta? Persona con disagio
psichico? Persona con disagio? Ma quale disagio, poi? Nessuna di questa
definizioni è stata ritenuta soddisfacente. Si afferma: “Non vorrei che
ci sentissimo in colpa per il fatto di essere portatori di malattia
mentale. Stiamo portando avanti il discorso della salute mentale.
Vogliamo che la salute mentale venga conosciuta in un ambito sociale
più allargato, per aiutare i pazienti a capire.”
Importante è stato anche il voler riuscire a capire allora come è
possibile fare notizia: quale è il modo giusto per fare notizia? E poi
esiste davvero un modo che non permetta all’ascoltatore in questione di
sentirsi offeso? Il gruppo ha ritenuto giusto non evidenziare troppo
l’etichetta e a stare attenti a come poter raccontare un fatto e a
definire la persona coinvolta, in quanto si potrebbero creare falsi
significati di massa nel momento in cui utilizzi un determinato tipo di
linguaggio.
È emerso però, dall’altra parte, anche il fatto che indipendentemente
da come si utilizzano certi termini, se colui che soffre si identifica
troppo con la malattia, rischia di offendersi per ogni cosa che
ascolta, di essere troppo soggetto al parere degli altri.
Alla fine di tutto, sembra emergere l’importanza di non definire un
comportamento, in particolare quelli violenti, tramite una diagnosi.
Sappiamo infatti che chi soffre di schizofrenia statisticamente non ha
più possibilità di altri di manifestare un comportamento violento.
Il gruppo è concorde nel ritenere non semplice l’utilizzo delle parole
per definire le persone e certi problemi, ma anche nel proclamare la
necessità di superare il pregiudizio verso coloro che soffrono di
problemi psichici.
Risulta fondamentale, a questo fine, utilizzare l’ignoranza come una
spinta a voler sapere, a confrontarsi, a entrare in contatto con le
persone che effettivamente soffrono di disagi mentali e a documentarsi
maggiormente sul tema, prima di parlare di cose che si ignorano.
Lettera aperta:
A tutti i candidati alle prossime elezioni politiche, ai giornalisti,
ai mezzi di comunicazione.
Carissimi,
Forse non lo ricordate, ma i manicomi sono stati chiusi in Italia a
seguito della legge 180 del 1978, perché servivano ad escludere più che
a curare.
Tuttavia, nel vostro linguaggio quotidiano, specialmente in televisione
fate ancora e spesso riferimento per squalificare un vostro avversario
a frasi come “Ma qui, siamo proprio in manicomio”, “Questa proposta è
schizofrenica”, “Bisogna legarli tutti”, “Questo è proprio da
rinchiudere” ,”Questa politica è autistica”, ecc …
Perché continuate ad usare questi termini per squalificare e
disprezzare chi non la pensa come voi?
Dovete essere consapevoli che i malati mentali e le loro famiglie sono
tanti (almeno 700.000 persone sono in cura ogni anno presso i Centri di
Salute Mentale in Italia) e guardano anche loro la TV e leggono i
giornali.
Dovete sapere che sono persone ipersensibili, intelligenti, con un
carico enorme di sofferenza sulle spalle. E sapete quali e quanti
sforzi fanno le associazioni dei pazienti e dei familiari, gli
operatori dei servizi di salute mentale perché si sentano accolti ed
“integrati” nella società, come tutti gli altri?
Sapete come si sente un portatore di un disagio psichico di fronte al
vostro linguaggio violento e superbo, che utilizza la malattia mentale
come paragone per la persona più “sbagliata” di questa società?
Avete provato a mettervi nei panni di chi, sofferente psichico, guarda
le vostre trasmissioni? Mi rendo conto che il disagio mentale è una
cosa “estranea” per chi non vive a diretto contatto con essa.
Questa non è una critica “di parte”. Lo fate tutti: politici di destra,
politici di sinistra, politici di centro, politici dell’anti-politica,
conduttori televisivi, giornalisti, comici…
Credete veramente che “mandare qualcuno in manicomio” sia
un’espressione come un’altra, solo un modo di dire?
Con il vostro “solo modo di dire”, fate molto male e ferite
ulteriormente tante persone vulnerabili che soffrono di disturbi
mentali, e che non si meritano, in più, la vostra derisione.
Siamo ormai in campagna elettorale e le parole forti rischiano di
volare più di prima. Pensateci.
Cercate di dimostrare civiltà e vera attenzione a chi soffre. Non usate
terminologie del passato per difendere le vostre idee, perché le vostre
idee, i cittadini, anche i vostri avversari politici, gli ascoltatori
dei programmi televisivi e i lettori dei giornali meritano di più,
meritano rispetto.
Cercate di dimostrare di essere degni di rappresentare l’intera
comunità che comprende le tante persone che soffrono di un disturbo
mentale e le loro famiglie.
Ve ne siamo grati in anticipo.
Firmata da:
Angelo Fioritti – Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e
Dipendenze Patologiche Azienda USL Bologna;
Marie- Françoise Delatour per l’ Ass. “CERCARE OLTRE – sinergie per
la Salute Mentale”;
Giuseppina Amalfitano per l’Associazione “IN CAMMINO VERSO”; Liana
Baroni per l’Associazione “ANGSA”;
Mirella Coiro per l’Associazione “AITSAM”;
Giusi Di Giunta per l’Associazione “IL VENTAGLIO DI ORAV”;
Franca Pietri e M.Cristina PESCI per l’Associazione “ AIAS”;
Annamaria Frazzoni per l’Associazione “SPAZIO E AMICIZIA”;
Carlo Hanau per le Associazioni “ANGSA-BO” e “APRI”;
Luisa Mazzeo per l’Associazione “AGFA/FIADDA”;
Antonella Misuraca per l’Associazione “GRDCAD”;
Susanna Moruzzi per le Associazioni “E.N.S.” e “COMUNICHIAMO”;
Elena Pasquali per l’Associazione “UMANAMENTE”;
Franca Pastorelli per l’Associazione “I DIAVOLI ROSSI”;
Antonella Pini per l’Associazione “UILDM”;
Aldo Raffaelli per l’Associazione “L’ALBERO INSIEME SI PUO’”;
Danilo Rasia per l’Associazione “PASSO PASSO”;
Simonetta Rizzo per l’Associazione “AGFA”;
Maurizio Sgarzi per l’Associazione “C.E.P.S.”
CARTA DI TRIESTE
(stralcio dalla bozza in lavoro del 23-06-2010)
Proposta per un codice etico/protocollo deontologico per giornalisti e
operatori dell’informazione che trattano notizie concernenti cittadini
con disturbo mentale e questioni legate alla salute mentale in generale
Con il presente protocollo, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei
Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, cogliendo
l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a sostenere, anche
con l’informazione, la lotta ai pregiudizi, allo stigma e
all’esclusione sociale di cui tuttora sono vittime le persone con
disturbo mentale e le loro famiglie e che ricadono sulla società
compromettendone la buona salute e la qualità della vita, invitano, in
base al criterio deontologico fondamentale del «rispetto della verità
sostanziale dei fatti osservati» contenuto nell’articolo 2 della Legge
istitutiva dell’Ordine, i giornalisti italiani a:
osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni
concernenti i cittadini con disturbo mentale in particolare a:
a) usare termini appropriati, non lesivi della dignità umana, o
stigmatizzanti, o pregiudizievoli, per definire sia il cittadino con
disturbo mentale qualora oggetto di cronaca, sia il disturbo di cui è
affetto, sia il comportamento che gli si attribuisce, onde non
alimentare il già forte carico di tensione e preoccupazione che il
disturbo mentale comporta, o indurre forme di identificazione,
sentimenti o reazioni che potrebbero risultare destabilizzanti o
dannosi per la persona, i suoi familiari e la comunità nell’insieme;
[vedi Allegato 1]
b) usare termini giuridici pertinenti, non approssimativi o allusivi a
luoghi comuni di sorta nel caso il cittadino con disturbo mentale si
fosse reso autore di un reato di qualsivoglia entità, tenendo presente
che è un cittadino come gli altri, uguale di fronte alla legge; [vedi
Allegato 2]
c) non interpretare il fatto in un’ottica pietistica, decolpevolizzando
il cittadino per il solo motivo che soffre di un disturbo mentale né,
al contrario, attribuire le cause e/o l’eventuale efferatezza del reato
al disturbo mentale;
d) considerare sempre che il cittadino con disturbo mentale è un
potenziale interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, tenendo
presente che può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere
quindi in grado di valutare tutte le conseguenze e gli eventuali rischi
dell’esposizione attraverso i media;
e) tutelare il cittadino con disturbo mentale che sceglie di parlare
con i giornalisti, adoperandosi perché il cittadino non sia
identificato con il suo problema di salute mentale;
f) garantire al cittadino con disturbo mentale il diritto di replica;
g) interpellare e consultare esperti in materia, sia gli operatori
della salute mentale, i servizi, le associazioni e altri attori e
soggetti coinvolti, sia gli operatori della giustizia, delle forze
dell’ordine e dei servizi sociali, per poter fornire l’informazione in
un contesto congruo e veritiero, il più possibile chiaro, approfondito
e completo. Fornire laddove possibile dati attendibili e aggiornati che
permettano un confronto tra l’andamento dei reati commessi da altre
persone con, e senza disturbo mentale;
h) compiere lo sforzo di integrare, ogni qualvolta ciò sia possibile,
la notizia con una precisa e dettagliata informazione sui servizi,
strumenti, trattamenti, cure che possono essere di aiuto e sostegno
nelle singole realtà locali; [vedi Allegato 3]
i) promuovere la diffusione di storie di guarigione e/o di esempi di
esperienze positive improntate alla speranza e alla possibilità;
l) limitare l’uso improprio di termini relativi alla psichiatria in
notizie che non riguardano questioni di salute mentale (per esempio:
“una politica schizofrenica”, “una partita schizofrenica”) al fine di
non incrementare il pregiudizio che un determinato disturbo mentale è
sinonimo di incoerenza, inaffidabilità, imprevedibilità e simile.
www.associazioneumanamente.org
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