maggio 2013 - anno VII  n. 2 – L’ignoranza

INSERTO


sommario

Daniela Montanari

L’ignoranza

Ass. UmanaMente (a cura di)

Le parole sono importanti!

 

L’ignoranza


La parola Ignoranza, dalle più consultate ricerche etimologiche, è la condizione di colui che ignora, appunto dell'ignorante. Che non è solo di chi non è a conoscenza di una data teoria, ma più in generale di chi conosce poche e insufficienti nozioni del sapere esteso. Ignoranza può essere definita anche come una visione personale e distorta di una data realtà. L’analisi del termine, partendo dal greco gnor - izein (conoscere), diventa poi in latino ignorare (in - gnarus, che non sa).
Facendo un uso spropositato appunto di tale termine, è divenuto un aggettivo (ignorante) che in senso dispregiativo denota chi ha poca educazione o cultura.
Quindi, senza dubbio alcuno, per combatterla occorre anzitutto riconoscerla, riconoscere in noi carenze e dubbi, insufficienze e difetti, per colmarli prima di additare gli altri. Che altro non sono che il nostro specchio. L’ignoranza è il punto di vista che manca agli uomini di cultura (cit. di Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009), quindi tentare di combattere l’ignoranza fuori di noi, oltre noi, oltre i nostri confini, oltre il nostro Paese, oltre il nostro Continente, è pura follia. Ciascuno può donare solo ciò di cui è ebbro, pieno, strabordante; e nelle parole Pace, Amore, Libertà di cui fa largo uso ma nessun consumo, affiorano come scogli le assenze di cui abitualmente tentiamo di nutrirci.
Ma torniamo all’Ignoranza e facciamo tutti, se ci è possibile, un passo indietro: cerchiamo di intravedere l’ombra che stiamo riflettendo. Se è corta, è perché è mattino presto, non necessariamente perché non siamo in grado di farci ascoltare.
Viceversa, se la vediamo allungarsi rispetto alla nostra naturale altezza, non sentiamoci infallibili e grandi, possono essere semplicemente ombre della sera. Compiamo allora due passi indietro, davvero, e con umiltà poniamoci una domanda che se ascoltata, accolta, e tenuta con noi, potrebbe da sola, colmarci per aiutare a colmare: come posso riempire le voragini che dentro me lavorano e divengono IGNORANZA? Come posso, velocemente, essermi di aiuto, placare il rumore sordo che provoca la mancanza, riempirmi per saturare aiutando anche altri, dopo di me?
<< Io sono. Dal mio benessere dipende il tuo. Io mi prendo cura della mia persona e ascolto, leggo, ti osservo, studio, mi aggiorno, mi confronto. >> L’idea di un’intervista è proposta da Lucia Luminasi, redattrice di un giornalino molto particolare, Il Faro. Mi dice poche cose per convincermi, io parto già dopo due parole, vago con la mente, vago su libri ipotetici, vago sul tempo e a ritroso di esso…


L’intervista


Facciamolo insieme e il percorso è già avviato…


Faccio una corsa a perdifiato. Corro corro corro, invento anche qualche saltello, un balzo più lungo di quelli che abitualmente compio: questa è stata la mia ricerca sull’Ignoranza. E ora mi sento così bene, magnificamente bene. Mi sono arricchita, ornata, piena. È un’ analisi precisa, fuori e dentro me, che mi ha stimolata a voler trovare un senso a questa parola. E poi mi sono sentita come esortata nel doverla prima circoscrivere per poi cancellarla per sempre. Eh ?! Sarebbe bello!

Le domande ho cercato di ridurle, renderle dense, condensarle: soltanto tre.

- Io comincio la frase, e tu la completi: l’Ignoranza è …
- Parlavo dell’ Ignoranza interiore personale, perché e dove ci si sente ignoranti, cosa ignori, quali strumenti tuoi emotivi e caratteriali non ti sono sufficienti ?
- L’alfabetizzazione è uno strumento basilare per contrastarla, ma più di ogni altro mezzo pensi che si debba combattere l’Ignoranza con …

Le risposte lascio che siano impresse dall’inchiostro riportandole così come mi sono state elargite, regalate; io le ho accolte tutte come doni preziosissimi.
Ho intervistato un manager, che è anche un formatore, che è anche un padre e marito, e che è anche un mio amico: Sebastiano Zanolli.
L’ignoranza è non sapere che puoi essere più di quello che sei già. Io ignoro quello che provano gli altri, la mia lotta con me stesso riguarda questo, capire il prossimo. Più lo capisco e più comprendo me. Poi naturalmente ci sono altre cose da sapere: conoscenze fattive. Ma quelle si imparano facilmente se si ha veramente voglia di scoprire. Occorrono la fiducia e la responsabilizzazione per combatterla. Io credo in te e nelle tue capacità di trovare risorse. Non mi deludere. Non deludere il meglio di te. Siamo qui solo per questo. Ti ringrazio Sebastiano, le tue parole sono insegnamenti preziosi, come quel tuo suggerimento che conservo sempre nei miei pensieri “costruite ogni giorno collegamenti, siate come dei ponti”.

Molto preparata e molto disponibile nell’ospitare la mia richiesta di essere intervistata, si considera bilingue, grazie a Pina Piccolo che mi ha dato un parere multiculturale, come ama definirsi lei stessa. Formatasi come italianista all'Università di Berkeley, italo-americana, insegna, traduce e si occupa di progetti per l’integrazione. Appoggia subito qualcosa che prende molto posto enunciando
Non sono in accordo con l’affermazione che l’ignoranza sia una mancanza di cultura. In Italia nel periodo fascista, soltanto dodici tra i docenti universitari (uomini di cultura per eccellenza) si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà al regime. Altra cosa che mi disturba del concetto di cultura è che certi saperi, certi insiemi di conoscenze, filosofie e pratiche non appartenenti al ceto dominante vengono classificati come “non culture”; basti pensare alle culture contadine, ai saperi delle donne, a come vengano sottovalutate le culture di paesi colonizzati, etc. Spesso la cultura o la sua mancanza vengono utilizzate come alibi per sopraffare. Infatti sovente nelle persone con alto livello di scolarizzazione vi è una maggiore vulnerabilità a cadere nei tranelli delle cosiddette autorità, siano esse scientifiche o letterarie, e perciò vissute come una specie di identificazione con chi sta in alto. Sono d’accordo che bisogna colmare le lacune che abbiamo dentro eppure, anche se può sembrare paradossale, ritengo si debba difendere una sana dose di indignazione e non soccorrere affatto la mancanza di rassegnazione, per aiutare il nostro Paese in questo delicato momento. L’alfabetizzazione, secondo me, è in grado di aprire la porta a certi saperi ma non ad altri; basti pensare, per riportare un esempio, alla sopraffazione del linguaggio medico per cui eventi naturali come la gravidanza o il parto vengono considerati fenomeni patologici che necessitano di interventi da parte delle autorità. Forse questo lavoro sul sé al quale ti riferisci si può fare non tanto sull’ignoranza, ma sul rendere esplicite le paure che sono alla base del nostro immobilismo sociale (che credo sia il più grosso problema di questa epoca).

Incuriosita, ho digitato sulla raccolta immagini di Google immobilismo sociale, e sbalordita ho guardato le prime icone rappresentative: un cartello stradale con scritto “Povertà”, un ammasso di rifiuti, un uomo incatenato e carcerati robotizzati.

La mia esplorazione nei meandri dell’ignoranza, verso la sua conoscenza e nelle sue sfumature è proseguita con il contributo di un altro caro amico, Felice Tagliaferri. Lui condivide le sue esperienze personali come formatore presso alcune aziende, collabora con diversi insegnanti su come trattare l’handicap e infine, cioè in principio, è uno scultore. Mi piace sempre raccontare di quando nel 2008 si è recato con un gruppo di non vedenti a Napoli, e proprio all’interno della cappella in San Severo, lì dinnanzi a loro, si sono trovati l’opera “il Cristo velato” (Giuseppe Sanmartino 1753). Ebbene, con quanto gli è stato messo a disposizione dal Creatore, hanno guardato l’opera, cioè toccandola. Ma purtroppo si sono trovati messi alla porta, anche in malo modo, poiché non è permesso toccare statue, opere, capolavori cosiddetti Arte. Il Colosseo, Stonehenge, la Muraglia Cinese, l’Arena di Verona, i portici di Bologna, tanto per portare pochi esempi, vivono da secoli alle intemperie e alcuni di essi sono toccati continuamente, senza per questo aver perduto il valore artistico ad essi attribuito. Felice Tagliaferri mi ha detto che più conosce, più incontra ignoranza, e solo toccandoci per abbracciarci possiamo contrastare l’ignoranza. Perché con la voce, con la mimica e la gestualità possiamo mentire, ma toccando le persone mentre parliamo scorre da noi a loro quello che proviamo nel profondo, e vibriamo nelle corde proprio come sussultano i pensieri dentro noi. Per questo ha riprodotto un’opera uguale, se non addirittura più incantevole, a quella statua dalla quale sono stati fatti allontanare. Poco più di due anni dopo ha presentato al pubblico “il Cristo RI-velato”, il cui doppio significato sta per "velato per la seconda volta" e "svelato ai non vedenti".
Felice sostiene che l'arte è patrimonio universale e come tale deve essere accessibile a tutti secondo le proprie possibilità; perciò ha pensato di proporre una sua versione dell'opera che sia disponibile alla fruizione tattile. Quando vado a trovarlo, per mostrarmi ogni sua nuova opera, mi fa sempre chiudere gli occhi, poiché solo col buio di noi stessi sentiamo sotto le mani cosa stiamo davvero toccando. Ah! quasi dimenticavo di scriverlo, perché per me è completamente irrilevante: Felice è un maestro scultore non vedente. Gli domando al volo, prima di salutarlo, come si può contrastare secondo lui l’ignoranza. Lui cerca il contatto con Tobia, il suo fedelissimo cane-guida, e mi tocca il braccio mentre risponde a quest’ultima domanda: “non possiamo fare niente se non adoperare il cuore come strumento catalizzatore”.

A questo punto so che farete un sospiro, che vi vorrete prendere una pausa, perché mettere tutto insieme (l’ignoranza, i non vedenti felici di nome e di fatto, l’immobilismo sociale, l’amore per noi stessi) ha bisogno anche di dolcezza, come se gocce di melassa e lavanda unite potessero in qualche modo soccorrerci per schiarirci la gola.
L’ignoranza. Da combattere quindi o da imparare ad amare per unirla alla sapienza? Da mettere al muro o da prendercene cura cosicché magari possa guarire? La rinneghiamo e fingiamo che nulla sia, o meglio umilmente, come Ercole fece nelle sue più grandi fatiche per combattere Idra, ci possiamo abbassare al suo cospetto?
Umiltà. Umiltà per ammainare quelle vele che altrimenti non ci consentono di avere stima di noi stessi, conditio sine qua non per accorgersi e vederla anche negli altri.

– Vieni da noi Daniela, vieni al centro sociale 2 Agosto! – mi ha proposto Lucia.
Mi accompagna Manuela, che si occupa di blog, di web, e si occupa di me come cara amica. Ad aspettarmi trovo già Mario Amadei, l'anfitrione dei ritrovi pomeridiani, che pronto con il proiettore mi aiuta con i collegamenti video-casse acusticheluci: è tutto perfettamente funzionante. C’è un gran vociare mentre arrivano, guardo bene e sono tutte bambine, qualcuna più piccola, qualcuna meno, ma sono bambine, sorridono con gli occhi come bambine, sono educate come bambine, si scambiano regali o giochi come le bambine. Ci saranno si e no uno o due maschietti. Io mi sono preparata, vedrò di esprimermi con una dialettica comprensibile a tutte, magari parlo lentamente, può andare? Tutte si passano voce, in fondo sono pur sempre un’intrusa, e si stanno domandando chi sono, cosa faccio, cosa voglio, perché sono lì, se tornerò.
Lucia apre il pomeriggio ringraziando per l’ospitalità il Centro-Sociale-2-Agosto e per la disponibilità di tutti e tutte le componenti di Il-Ventaglio-di-ORAV e di Andare-a-Veglia, quali promotori di questa e molte altre iniziative; grazie per aver fatto parte di questa nostra complessa ricerca perché, fondamentalmente…


l’ignoranza, sappiamo cos’è? Una voce dalle prime file con la mano alzata snocciola un “l’ignoranza è l’antitesi dell’onniscienza”. Deglutisco e guardo meglio, forse non sono tutte bambine in età da asilo come credevo, qualcuna magari frequenta il centro come doposcuola; sì, certamente per asserire con tale padronanza una riflessione del genere l’età è almeno scolare. Ora che la discussione entra nel vivo osservo meglio attorno a me, potrebbero avere otto, chi dieci, qualcuna sei anni. Mentre pongo la prima domanda inizia un ordinato quanto più affascinante salotto. Vengono suggerite le tre scimmie non vedo non sento non parlo, come immagine da raffigurare dentro di sé per richiamare l’ignoranza

- L’ignoranza non è una brutta parola, è ammettere che non sappiamo.
- E’ dire “a me la politica non interessa per niente”.
- Eravamo più ignoranti nel passato o lo siamo di più adesso, in questo presente evoluto?
- Non saper chiedere aiuto.
- È il contrario della consapevolezza: la consapevolezza dell’ignoranza è il motore del cammino che ci guida verso l’illuminazione. L’ignoranza dell’ignoranza ci acceca completamente.

Con quali strumenti emotivi e caratteriali – incalzo io - si possono colmare le nostre singole lacune che generano l’Ignoranza?
- Chiedendosi sempre il perché delle cose. C’è sempre una ragione se la cerchiamo
- Avere curiosità
- Andare a dormire ogni sera coricandoci con una domanda: cosa ho imparato di nuovo oggi?
- Mettersi nei panni dell’altro
- Prestando il nostro tempo al volontariato, dove sia noi che chi viene soccorso si possa trarre beneficio diminuendo le distanze, cercando la possibile integrazione.

Non sto traendo conclusioni certo, sono qui da un po’ ormai e l’atmosfera la percepisco colma di educazione, di cultura, di storia; qualcuno parla di Cuba e dei bambini che non chiedono la carità perché vanno a scuola. Altri difendono la tv: non trasmette solo negativismo ma, per esempio in certi anni come quelli che hanno preceduto il boom economico, molti hanno appreso la lingua italiana correggendo e addirittura abbandonando i dialetti; attraverso la scatola con quel vetro dinnanzi era come se ci si recasse a scuola; le notizie fino ad allora tenute segrete per mantenere ignorante la gente finalmente invece facevano capolino nelle case e diventava realtà, diventava “l’ha detto la tv, allora è proprio vero!” .

Il tempo trascorre velocissimo quando c’è armonia come oggi pomeriggio. Per la terza e ultima domanda:
Oltre all’alfabetizzazione anzitutto come pensi si debba combattere l’Ignoranza?
chiedo loro di darmi in risposta soltanto una parola, ciascuna dirà una parola … magica..
<< Curiosità, informazione, approfondimento, relazione, dialogo, impegno, umiltà, ragione, educazione, emozione, scelta, volontà di conoscere, considerare l’altro una risorsa >>. Non posso quindi non strizzare gli occhi come se stessi osservando con un binocolo: ma allora queste bimbe sono adolescenti? Come sanno far uso di questi vocaboli? E poi ciascuna vuol dire la sua, non ci stanno ad ascoltare e basta. Non vorrei che fossero donne dalle sembianze giovanili ma tutte magari già con famiglia. Può essere, sono stata tratta in inganno. Mi ero detta “vado in un centro sociale, sarà un asilo, un dopo-scuola, classi di recupero”. Queste persone alla fine sono simili a me, come è facile incespicare negli stereotipi: vecchi, bambini, centro sociale, pensionato. Sono donne alla ricerca della verità come me; che stanno tentando di colmare lacune e deficit, come me. Siamo unite così nel nostre essere femmine, come la luna, come la Terra, come la gioia, come la croce, come la pace, come l’uguaglianza. Ho preparato un video col desiderio che rimanesse con tutte loro il più a lungo possibile, e come accompagnamento musicale ho scelto note giapponesi, rilassanti, molto rilassanti. Sulle immagini scorrono anche parole, e sono queste: Contrari della parola ignoranza: Avvertenza, capacità, competenza, conoscenza, coscienza, cultura, dimestichezza, educazione, erudizione, familiarità, abilità, esperienza, consapevolezza, civiltà, progresso, osservanza, popolarità, sapienza, sicurezza.
“Guarire” l’ignoranza. Se ci lasciamo mutare allora sconfiggeremo ogni male. Cominciamo da noi stessi, imparando ad amarci SIAMO MUTEVOLI: Siamo le uniche creature sulla superficie terrestre capaci di trasformare la nostra biologia per mezzo di quello che pensiamo e sentiamo.
Le nostre cellule osservano costantemente i nostri pensieri e vengono modificate da loro. L’ allegria e l’ attività equilibrata ci mantengono sani e ci prolungano la vita. Il ricordo di una situazione negativa o triste, libera i medesimi ormoni e sostanze biologiche distruttive dello stress. Le nostre cellule stanno costantemente esaminando tutte le nostre esperienze e le elaborano secondo i punti di vista personali. Quando li si interiorizza, ci si trasforma. Chi è depresso proietta la tristezza in ogni parte del corpo: il ciclo del sonno viene interrotto, i recettori delle cellule della pelle si modificano, le piastrine del sangue diventano più viscose e maggiormente inclini a formare coaguli; perfino le lacrime contengono caratteristiche chimiche differenti da quelle delle lacrime dovute all’allegria. Questi fatti confermano la grande necessità di usare la nostra consapevolezza per creare il corpo di cui realmente abbiamo bisogno. Il processo di invecchiamento può essere neutralizzato ogni giorno. Shakespeare non faceva il metaforico quando attraverso il suo personaggio Próspero diceva: “Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni ”.
Vuoi sapere come sta il tuo corpo oggi? Allora ricorda quello che hai pensato e percepito ieri. Vuoi sapere come starà il tuo corpo domani? Osserva i tuoi pensieri e le tue emozioni oggi! Ricorda che aprire cuore e mente porterà doni molto preziosi alla tua crescita personale. La malattia (e l’ignoranza) provengono da te stessa/o e non te ne rendi conto. La medicina (e la cura) stanno in te e non le usi... Trova tu la giusta guarigione, cercala nella tua anima (H. Ali, medico indiano). Se ci uniamo, e ognuno è disposto ad assumersi la propria responsabilità, cultura e pace, civiltà e progresso avranno il sopravvento sull’ignoranza. Cultura e pace. Se CULTURA e PACE dimorano in noi allora CULTURA E PACE NEL MONDO saranno. Siate Mutevoli… Flessibili, Disponibili. Prima con voi stessi e poi con tutti gli altri. Gli altri e il mondo non sono che lo specchio di noi stessi.
PACE, CULTURA = VITA !!! .


Le stesse domande che mi rimescolano emulsionando idee vecchie e nuove, e che come impeti sbucano all’improvviso, le ho rivolte qui al centro a loro, che mi hanno aiutata a chiarire e chiarirmi, a interrogare e interrogarmi. Sono Maria Luisa Stanzani, Anna Fiorini e Adriana Saragoni, da anni impegnate in ambito sociale, culturale e didattico. Ma non solo. Sono anzitutto donne, mamme, nonne e figlie. Perché come dico in uno dei miei libri “Qualcuno tra noi è genitore ma tutti, indistintamente, siamo figli”. Queste donne mi somigliano ma sono migliori di me, perché sono tutte più adulte, loro si definiscono anziane, ma è un termine giustificato solo dalla fascia di età. Alle donne che mi precedono e che mi hanno preceduta sono infinitamente riconoscente perché hanno combattuto, al posto mio, affinché io ora possieda tutto quello che ho. Anna, Luisa, Adriana, e a tutte voi di cui non conosco i nomi, che mi avete ascoltata questo pomeriggio e accolta, e ringraziata, grazie, sono io che ringrazio voi per la vita che posso condurre, per le gioie che posso provare. A tutti voi che leggete questo articolo dedico le mie riflessioni conclusive di questa analisi interiore e condivisa. L’ignoranza è inconfutabilmente una condizione dell’Essere. Come la fame, come il bisogno di affetto, come la barbarie, come i sogni, come l’avarizia. In noi dimorano il giudice e il delinquente, l’impostore e l’onesto, l’affamato e il persecutore, l’inganno e la lealtà, ce lo insegna anche Sigmund Freud. Sta in noi, stabilmente e con presenza, scegliere la libertà: amare noi stessi nel rispetto di noi e dell’altro. E come per il surfista che non raggiunge mai l’equilibrio ma cerca costantemente di mantenerlo sull’onda, così è il nostro compito: difenderci da questa limitazione. “Né dentro l’onda, né fuori dall’onda: in”. Assumerci la responsabilità (non la colpa) di ciò che ci accade ogni giorno e sentire così che noi, siamo proprio noi, a contribuire alla pace. Non possiamo liberarci per sempre dell’ignoranza, nostro alter ego e gemello. Però possiamo scegliere di nutrire solo la parte di noi che è fratellanza, rispetto, cultura, pace, amore … e vita!

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L’articolo, le interviste e anzitutto gli incontri, sono stati possibili grazie a:
- Il Faro, www.ilfaroinsieme.blogspot.com
- Il Ventaglio di ORAV www.ilventagliodiorav.eu
- Andare a Veglia www.andareaveglia.it
- il Centro Sociale 2 Agosto1980 di Bologna www3.iperbole.bologna.it/centro2agosto
- Manuela Cappelli www.manuelacappelli.com
e alle persone che hanno accolto la proposta di essere intervistate:
- Sebastiano Zanolli www.sebastianozanolli.com
- Pina Piccolo, http://interculturale.net/profile/PinaPiccolo
- Felice Tagliaferri www.chiesadellarte.it/ )
- Maria Luisa Stanzani, Anna Fiorini, Adriana Saragoni
- Mario Amadei e tutte le frequentatrici e i frequentatori dell’Appuntamento del venerdì.

Daniela Montanari (www.danielamontanari.com)


Le parole sono importanti!


Il gruppo del laboratorio di scrittura di UmanaMente ha lavorato sul tema dell’ignoranza utilizzando il metodo del brainstorming. In seguito ha scelto di approfondire, tra i temi emersi, il legame tra l’ignoranza e il linguaggio inerente alla salute mentale, sulla scia delle riflessioni a seguito della conferenza stampa: “Ma come parli? Chi parla male pensa male. Incontro con i politici sul linguaggio le parole e le cose”, tenutasi a Bologna presso l’Ordine dei giornalisti il 12 febbraio 2013.

Elaborazione e primo approfondimento: l’ignoranza sull’utilizzo delle parole inerenti la malattia mentale; la Carta di Trieste.

L’ignoranza si è stabilito essere di tutti coloro che ignorano e tante sono state dette essere le cose che gli uomini ignorano e che potrebbe essere utile che conoscessero.
È però fondamentale una conoscenza quando si utilizzano certi termini che possono avere una grande rilevanza emotiva e un impatto sociale e culturale. Questo il caso dei termini inerenti la malattia mentale.
Si è così aperta una riflessione di gruppo sull’ignoranza delle persone in merito alla sofferenza psichica e ai modi meno opportuni di parlarne.
Si è condivisa la lettera aperta rivolta ai giornalisti e firmata da molte associazioni del CUFO compresa UmanaMente, si è letta e discussa la Carta di Trieste.
La carta di Trieste è una proposta per un codice etico per i giornalisti e gli operatori dell’informazione per l’utilizzo di termini su notizie concernenti cittadini con disturbo mentale e questioni legate alla salute mentale in generale.
Il gruppo ritiene che questa Carta sia importante per regolamentare l’utilizzo del linguaggio inerente la malattia mentale e che dovrebbe essere presa da esempio anche da tutti coloro che a vario titolo si esprimono su questi temi.
Si è osservato come nel corso del tempo le parole subiscano naturalmente un cambiamento di significato e vengano ‘volgarizzate’, per cui M porta l’esempio di stoico e idealista che sono divenuti di uso comune e hanno perso il significato originario. Oggi molti termini di ambito psicologico e psichiatrico vengono comunemente utilizzati e stanno subendo il medesimo processo.
Sappiamo benissimo che la notizia informativa più è clamorosa più fa scalpore. Pertanto quando ascoltiamo per esempio schizofrenico uccide la moglie implicitamente stiamo attribuendo la responsabilità del reato alla malattia mentale.
Il gruppo si chiedeva: è davvero così? È sempre così? Sono emerse tante perplessità riguardo ciò. Il disturbo potrebbe esserci o meno, ma è la causa vera che incide sull’atto? È inoltre rilevante ai fini della completezza dell’informazione precisare che il cittadino è schizofrenico? Oppure, nel caso il giornalista voglia precisare questo, dovrebbe aggiungere di non essere in grado di precisare quanto la diagnosi di schizofrenia sia in relazione con la violenza.
L’informazione completa dovrebbe prevedere non solo la diagnosi, ma anche informazioni sulla famiglia, eventuali pregressi atti di violenza ed altri fatti rilevanti che possano essere in relazione con il fatto e comunque, come evidenziato anche nella Carta di Trieste, è importante il modo in cui una notizia va presentata.
Coloro che nel gruppo soffrono di problemi psichici hanno espresso sentimenti e pareri diversi rispetto a notizie che hanno per protagonisti persone con disagi psichici.
Alcuni si sentono offesi e presi in giro quando sentono certi termini nei media poiché si percepiscono coinvolti come categoria, altri ritengono anche che certi termini siano fastidiosi di per sé quando usati per creare scalpore, anche se non si percepiscono affatto appartenenti alla categoria a cui si fa riferimento (esempio: psicopatico, demente).
Qual è il modo allora migliore per definire una persona che ha simili problemi? Disabile mentale? Disabile e basta? Persona con disagio psichico? Persona con disagio? Ma quale disagio, poi? Nessuna di questa definizioni è stata ritenuta soddisfacente. Si afferma: “Non vorrei che ci sentissimo in colpa per il fatto di essere portatori di malattia mentale. Stiamo portando avanti il discorso della salute mentale. Vogliamo che la salute mentale venga conosciuta in un ambito sociale più allargato, per aiutare i pazienti a capire.”
Importante è stato anche il voler riuscire a capire allora come è possibile fare notizia: quale è il modo giusto per fare notizia? E poi esiste davvero un modo che non permetta all’ascoltatore in questione di sentirsi offeso? Il gruppo ha ritenuto giusto non evidenziare troppo l’etichetta e a stare attenti a come poter raccontare un fatto e a definire la persona coinvolta, in quanto si potrebbero creare falsi significati di massa nel momento in cui utilizzi un determinato tipo di linguaggio.
È emerso però, dall’altra parte, anche il fatto che indipendentemente da come si utilizzano certi termini, se colui che soffre si identifica troppo con la malattia, rischia di offendersi per ogni cosa che ascolta, di essere troppo soggetto al parere degli altri.
Alla fine di tutto, sembra emergere l’importanza di non definire un comportamento, in particolare quelli violenti, tramite una diagnosi. Sappiamo infatti che chi soffre di schizofrenia statisticamente non ha più possibilità di altri di manifestare un comportamento violento.
Il gruppo è concorde nel ritenere non semplice l’utilizzo delle parole per definire le persone e certi problemi, ma anche nel proclamare la necessità di superare il pregiudizio verso coloro che soffrono di problemi psichici.
Risulta fondamentale, a questo fine, utilizzare l’ignoranza come una spinta a voler sapere, a confrontarsi, a entrare in contatto con le persone che effettivamente soffrono di disagi mentali e a documentarsi maggiormente sul tema, prima di parlare di cose che si ignorano.


Lettera aperta:
A tutti i candidati alle prossime elezioni politiche, ai giornalisti, ai mezzi di comunicazione.

Carissimi,
Forse non lo ricordate, ma i manicomi sono stati chiusi in Italia a seguito della legge 180 del 1978, perché servivano ad escludere più che a curare. Tuttavia, nel vostro linguaggio quotidiano, specialmente in televisione fate ancora e spesso riferimento per squalificare un vostro avversario a frasi come “Ma qui, siamo proprio in manicomio”, “Questa proposta è schizofrenica”, “Bisogna legarli tutti”, “Questo è proprio da rinchiudere” ,”Questa politica è autistica”, ecc …
Perché continuate ad usare questi termini per squalificare e disprezzare chi non la pensa come voi?
Dovete essere consapevoli che i malati mentali e le loro famiglie sono tanti (almeno 700.000 persone sono in cura ogni anno presso i Centri di Salute Mentale in Italia) e guardano anche loro la TV e leggono i giornali.
Dovete sapere che sono persone ipersensibili, intelligenti, con un carico enorme di sofferenza sulle spalle. E sapete quali e quanti sforzi fanno le associazioni dei pazienti e dei familiari, gli operatori dei servizi di salute mentale perché si sentano accolti ed “integrati” nella società, come tutti gli altri? Sapete come si sente un portatore di un disagio psichico di fronte al vostro linguaggio violento e superbo, che utilizza la malattia mentale come paragone per la persona più “sbagliata” di questa società?
Avete provato a mettervi nei panni di chi, sofferente psichico, guarda le vostre trasmissioni? Mi rendo conto che il disagio mentale è una cosa “estranea” per chi non vive a diretto contatto con essa.
Questa non è una critica “di parte”. Lo fate tutti: politici di destra, politici di sinistra, politici di centro, politici dell’anti-politica, conduttori televisivi, giornalisti, comici…
Credete veramente che “mandare qualcuno in manicomio” sia un’espressione come un’altra, solo un modo di dire? Con il vostro “solo modo di dire”, fate molto male e ferite ulteriormente tante persone vulnerabili che soffrono di disturbi mentali, e che non si meritano, in più, la vostra derisione.
Siamo ormai in campagna elettorale e le parole forti rischiano di volare più di prima. Pensateci.
Cercate di dimostrare civiltà e vera attenzione a chi soffre. Non usate terminologie del passato per difendere le vostre idee, perché le vostre idee, i cittadini, anche i vostri avversari politici, gli ascoltatori dei programmi televisivi e i lettori dei giornali meritano di più, meritano rispetto.
Cercate di dimostrare di essere degni di rappresentare l’intera comunità che comprende le tante persone che soffrono di un disturbo mentale e le loro famiglie.
Ve ne siamo grati in anticipo.


Firmata da:

Angelo Fioritti – Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Azienda USL Bologna;
Marie- Françoise Delatour per l’ Ass. “CERCARE OLTRE – sinergie per
la Salute Mentale”;
Giuseppina Amalfitano per l’Associazione “IN CAMMINO VERSO”; Liana Baroni per l’Associazione “ANGSA”;
Mirella Coiro per l’Associazione “AITSAM”;
Giusi Di Giunta per l’Associazione “IL VENTAGLIO DI ORAV”;
Franca Pietri e M.Cristina PESCI per l’Associazione “ AIAS”;
Annamaria Frazzoni per l’Associazione “SPAZIO E AMICIZIA”;
Carlo Hanau per le Associazioni “ANGSA-BO” e “APRI”;
Luisa Mazzeo per l’Associazione “AGFA/FIADDA”;
Antonella Misuraca per l’Associazione “GRDCAD”;
Susanna Moruzzi per le Associazioni “E.N.S.” e “COMUNICHIAMO”;
Elena Pasquali per l’Associazione “UMANAMENTE”;
Franca Pastorelli per l’Associazione “I DIAVOLI ROSSI”;
Antonella Pini per l’Associazione “UILDM”;
Aldo Raffaelli per l’Associazione “L’ALBERO INSIEME SI PUO’”;
Danilo Rasia per l’Associazione “PASSO PASSO”;
Simonetta Rizzo per l’Associazione “AGFA”;
Maurizio Sgarzi per l’Associazione “C.E.P.S.”



CARTA DI TRIESTE



(stralcio dalla bozza in lavoro del 23-06-2010)
Proposta per un codice etico/protocollo deontologico per giornalisti e operatori dell’informazione che trattano notizie concernenti cittadini con disturbo mentale e questioni legate alla salute mentale in generale
Con il presente protocollo, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, cogliendo l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a sostenere, anche con l’informazione, la lotta ai pregiudizi, allo stigma e all’esclusione sociale di cui tuttora sono vittime le persone con disturbo mentale e le loro famiglie e che ricadono sulla società compromettendone la buona salute e la qualità della vita, invitano, in base al criterio deontologico fondamentale del «rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati» contenuto nell’articolo 2 della Legge istitutiva dell’Ordine, i giornalisti italiani a:
osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i cittadini con disturbo mentale in particolare a:
a) usare termini appropriati, non lesivi della dignità umana, o stigmatizzanti, o pregiudizievoli, per definire sia il cittadino con disturbo mentale qualora oggetto di cronaca, sia il disturbo di cui è affetto, sia il comportamento che gli si attribuisce, onde non alimentare il già forte carico di tensione e preoccupazione che il disturbo mentale comporta, o indurre forme di identificazione, sentimenti o reazioni che potrebbero risultare destabilizzanti o dannosi per la persona, i suoi familiari e la comunità nell’insieme; [vedi Allegato 1]
b) usare termini giuridici pertinenti, non approssimativi o allusivi a luoghi comuni di sorta nel caso il cittadino con disturbo mentale si fosse reso autore di un reato di qualsivoglia entità, tenendo presente che è un cittadino come gli altri, uguale di fronte alla legge; [vedi Allegato 2]
c) non interpretare il fatto in un’ottica pietistica, decolpevolizzando il cittadino per il solo motivo che soffre di un disturbo mentale né, al contrario, attribuire le cause e/o l’eventuale efferatezza del reato al disturbo mentale;
d) considerare sempre che il cittadino con disturbo mentale è un potenziale interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, tenendo presente che può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze e gli eventuali rischi dell’esposizione attraverso i media;
e) tutelare il cittadino con disturbo mentale che sceglie di parlare con i giornalisti, adoperandosi perché il cittadino non sia identificato con il suo problema di salute mentale;
f) garantire al cittadino con disturbo mentale il diritto di replica;
g) interpellare e consultare esperti in materia, sia gli operatori della salute mentale, i servizi, le associazioni e altri attori e soggetti coinvolti, sia gli operatori della giustizia, delle forze dell’ordine e dei servizi sociali, per poter fornire l’informazione in un contesto congruo e veritiero, il più possibile chiaro, approfondito e completo. Fornire laddove possibile dati attendibili e aggiornati che permettano un confronto tra l’andamento dei reati commessi da altre persone con, e senza disturbo mentale;
h) compiere lo sforzo di integrare, ogni qualvolta ciò sia possibile, la notizia con una precisa e dettagliata informazione sui servizi, strumenti, trattamenti, cure che possono essere di aiuto e sostegno nelle singole realtà locali; [vedi Allegato 3]
i) promuovere la diffusione di storie di guarigione e/o di esempi di esperienze positive improntate alla speranza e alla possibilità;
l) limitare l’uso improprio di termini relativi alla psichiatria in notizie che non riguardano questioni di salute mentale (per esempio: “una politica schizofrenica”, “una partita schizofrenica”) al fine di non incrementare il pregiudizio che un determinato disturbo mentale è sinonimo di incoerenza, inaffidabilità, imprevedibilità e simile.


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