L’editoriale
La donna, questo essere fantastico in grado generare
nuovi esseri umani, è un universo tutto da scoprire.
Non voglio cadere in un’arida differenziazione tra uomini e donne.
Preferisco piuttosto descrivere le cose che più mi piacciono e
colpiscono nelle donne.
In gioventù la bellezza, maternità e delicatezza erano gli aspetti che
più mi colpivano quando incontravo una donna.
Quasi tutta la letteratura, per lo più di mano maschile, soprattutto
nelle origini, ha avuto un atteggiamento simile al mio. Un esempio per
tutti la donna angelo del ‘Dolce Stil Novo’. Non voglio togliere spazi
al collega Fanti; ma anche tutta l’iconografia, sin dalle origini ha
ritratto la donna da questo punto di vista.
Intorno ai vent’anni ho capito che la parità reclamata dalle donne, in
particolare tra gli anni ’60, ’70, era un diritto dovuto.
Ora il mio punto di vista è cambiato. Amo conoscere e scoprire la loro
personalità. La capacità di fare più cose contemporaneamente, che è una
cosa fantastica.
Qui purtroppo un paragone mi ci scappa. Io faccio fatica a fare una
cosa per volta, spesso mi distraggo. Mentre le donne riescono a
cucinare mentre curano il bambino, rispondono al telefono e nello
stesso momento leggono il giornale.
La sensibilità, senso dell’ordine e della pulizia mi affascinano.
Purtroppo per troppo tempo la figura della donna, nel pieno delle
potenzialità appena descritte, è stata ai margini della politica. Sì,
la pulizia, intesa politicamente come l’opposto della corruzione e del
malaffare, è un aspetto della nostra Repubblica che è sostanzialmente
mancato.
Cleopatra, Maria de Medici, Lucrezia Borgia, Giovanna D’arco,
Elisabetta Tudor sono le figure politiche che per prime mi vengono in
mente, nell’arco, però, di più di duemila anni.
Se non mi sbaglio ora il parlamento italiano è, per fortuna, formato
per circa il quaranta per cento da donne. Questo, grazie al diritto di
voto, che si è materializzato la prima volta per le donne in Italia il
2 giugno 1946, con il referendum per scegliere tra Repubblica e
Monarchia ed è stato sancito poi con gli articoli 56, 58 e 75 della
nostra bellissima costituzione.
La crisi economica che sta strangolando il nostro paese è molto
complicata da risolvere. Spero che le donne possano dare un contributo
in più per risolvere la situazione contingente. Perché vedo difficile
per il nostro paese, soprattutto dal profilo di una donna l’avere uno o
più figli. Sia che essa sia imprenditrice o sia dipendente, i soldi non
ci sono. L’importante però è che rimaniate donne così come siete e non
vogliate diventare egoiste come noi uomini una volta raggiunto il
potere.
Come canta Roberto Vecchioni in Voglio una donna: “Viene via dal
meeting sola come un uomo, stronza come un uomo”. Siete la nostra parte
complementare, non il nostro opposto. Scopriamo, sia uomini che donne,
nuovi aspetti dell’universo femminile, come sempre leggendo alla luce
de Il Faro.
Fabio Tolomelli
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Francisco Goya: ‘La maya desnuda’ e ‘La maya vestida’ –
1790-1800
La “Maya desnuda” è dipinta con
sottile erotismo e
sensibile realismo. Goya pare qui teso a rendere l’immagine quale
apparizione di un’immediatezza espressiva, quale rivelazione di una
realtà ‘normale’. È cioè il ritratto ‘puntiglioso’ di una donna nuda
sdraiata tra lenzuola stropicciate; il volto è affilato, gli occhi
senza trucco ma vivaci, i capelli morbidi e arricciati, il corpo
ostentato con orgoglio. La desnuda sembra brillare di luce propria,
come sospesa nello spazio oscuro che la circonda.
La “Maya vestida” è quasi altrettanto sensuale, nel velo bianco che
avvolge la figura, disegnato con l’unico scopo di far risaltare le
forme. Goya ha dipinto con pennellate mosse e leggere; a differenza
dell’altra: tocchi poco rifiniti e colori più accesi. Purtroppo della
naturalezza della ‘desnuda’, rimane flebile traccia solo nel volto. I
due dipinti erano posti uno sotto l’altro: pare che la ‘vestida’
servisse a celare la ‘desnuda’, con un meccanismo di svelamento assai
efficace.
Piergiorgio Fanti
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La donna
La donna per secoli è stata ritenuta una ‘cosa’, simile
agli animali o ai mobili di una casa, e perciò senza anima e senza Dio.
Dopo
l’avvento della religione cristiana ha assunto importanza la maternità,
ma solo per le patrizie; le altre donne quasi sempre sono state
diseredate, rese schiave, fatte lavorare gratis, prese in giro,
operaie, pezzi di rame, uteri in vendita, tube in prestito.
Il cervello della donna si diceva essere grande come quello di una
gallina, la carne femminile era il diavolo, la colpa era una bella
donna.
“La donna è mobile qual piuma al vento…”
Ave Manservisi
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Riflessioni
"La donne … ? ... e io cosa ne so ?”
‘Comprendere’ è la prima arte del sapere.
Matteo Bosinelli
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La donna
"Il pericolo numero 1: la donna!" (canzonetta degli
anni '40/50)
"Donne, donne, eterni dei!" (operetta,'800)
"La donna è una malattia necessaria" (aforisma contemporaneo)
Sembrerebbe quindi che la creazione della donna sia stata il male
dell'uomo, o quanto meno la ‘castrazione’(se mi passate il termine) del
suo esplicitarsi, delle sue fantasie, delle sue ambizioni e
intraprendenze.....ma è veramente così?
Ho anche sentito dire: "L'uomo nasce da una donna, quindi sarà sempre a
lei inferiore"... È così? Non siamo quindi che dei ‘Katanga’ che non
aspettano altro che di trovare una che li comandi a bacchetta finché
morte non li separi?
Ma c'è anche l'altro lato della medaglia: poeti immensi che l'hanno
celebrata come fine ultimo della vita, l'hanno angelicata ponendola
come tramite tra l'uomo e Dio (l'Islam infatti la pone proprio in
questa posizione): un uomo innamorato diventa stupido, fragile, allenta
le difese, non pensa che all'oggetto del suo amore... Nel gioco
dell'amore è sempre lei, salvo rari casi, a dire l'ultima parola...
Aah, che bello!!!
E ALLORA PERCHÈ ci sono ragazze sfigurate con l'acido, figlie bastonate
dai padri perché si vestono in un certo modo, schiave-in-casa che hanno
rinunciato a tutto per risciacquare piatti e pulire squadre di calcio
di marmocchi, che sfornano in continuazione come coniglie? Perché geni
come Rita Levi Montalcini, Emily Dickinson, le sorelle Brontë sono
dovuto rimanere nubili per diventare famose? Senza parlare di Edith
Piaf o Mia Martini - due donne che hanno avuto MOLTI più punti in
comune di quanto si pensi - per tutta la loro breve vita innamorate
follemente di un uomo che non fu mai del tutto loro? Perché in certe
culture la donna vale meno di una capra e i futuri mariti le comprano
(e non in senso metaforico)? Il primo viso che vedi è quello di una
donna, il primo posto dove mangi è il seno di una donna, per tutta la
vita penserai che la vista più bella è quella del corpo nudo di una
donna, come ben sapevano i grandi artisti figurativi.
Quando hai paura cosa gridi? “Mamma!". È questa maledetta cultura
dell'Homo Sapiens che misura il valore solo con la forza... Ma ci sono
anche state donne come Erszebet Bathory, che torturava sadicamente
tutte le giovani che entravano nel suo castello, Aileen Wuornos,
autrice di almeno otto omicidi di uomini di mezza età; Leonarda
Cianciulli, che faceva sapone delle sue migliori amiche... E Rina Fort,
che per avere un uomo ne massacrò l'intera famiglia... Proprio oggi una
donna ha gettato i suoi due figli dalla finestra...
La donna è diversa sì dall'uomo: l'uomo è sintetico, abituato a
risolvere i problemi in tempo reale, perché non ci può essere tempo...
La donna è analitica, ha più tempo per pensare, ecco perché l'uomo
guida meglio l'auto (ovviamente ci sono le relative eccezioni); se ti
arriva un camion addosso l'uomo scarta, la donna si mette le mani sul
viso (ripeto, ci sono le eccezioni)... Ma se un bambino piange, la
donna lo fa smettere in un decimo di secondo, l'uomo chiamerebbe aiuto,
terrorizzando così ulteriormente il piccolo. Il miglior lavatore di
pavimenti sarà sempre surclassato dalla prima donna che passa. Con
questo non voglio dire che esistano lavori maschili e lavori femminili,
però... in musica la donna sarebbe più adatta a scrivere il testo di
una canzone, e l’uomo la musica. Ciononostante esistono illustri esempi
del contrario (Carole King, Joni Mitchell, Mariella Nava).
E allora, dopo questo lungo discorso, che c'è da dire? Che se Dio ci ha
creati diversi un motivo senz'altro c'è, e allora gestiamoci con
intelligenza...W le donne.
Max Trentini
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Massima
Aaaah le donne... la più scarsa è stupenda.
Fabrizio Avosani
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Storia Zen Kōan*
Una mamma, dopo aver messo alla luce il suo bambino,
cominciò a
portarlo in giro… Ed ella di lui si era fatta una coscienza… E tutti
nel vederlo esprimevano quello che pensavano… Non essendo però
soddisfatta, come se avesse su di lui un dubbio, ella pensò di andare a
far visita a un maestro zen col bambino… Quando furono da lui egli li
guardò e disse di ripassare dopo cinque anni… La madre annotò. Dopo
cinque anni ritornò dal monaco maestro zen… Quando furono da lui egli
li guardò e disse di tornare dopo cinque anni…
Luigi Zen
* Questo termine indica lo strumento di una pratica
meditativa
consistente in una affermazione paradossale o in un racconto usato per
aiutare la meditazione e quindi "risvegliare" una profonda
consapevolezza. Di solito narra l'incontro tra un maestro e il suo
discepolo nel quale viene rivelata la natura ultima della realtà (da
Wikipedia)
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A voi, miei piccoli
La nostra fine è il deserto che si allarga.
Intorno casa non cresce un filo d’erba.
E io ogni sera vado sempre più lontana.
Che cosa porterò ai miei piccoli per cena?
Andrò sempre un po’ più in là,
e un giorno mi accadrà
che non potrò tornare più.
Guardo sempre intorno a me
se c’è il vuoto o se non c’è
ma non posso aver paura.
Io, a sfamarvi penso io
perché è compito mio,
e non avrò paura.
I loro denti che biancheggiano nel buio,
e un filo d’erba è un ago in un pagliaio.
E io al ritorno corro sempre più veloce.
Saranno i loro denti a darmi, poi, la pace.
Sì, li vedrò sopra di me
e saprò per certo che
io non dovrò scappare più.
Il mio sangue inonderà
la mia gola, che urlerà,
ma non s’udrà alcun grido.
E a voi, miei piccoli, a voi,
a voi
chi penserà?
Mel Ancony
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La mia donna
Di ogni specie sei la più bella,
i tuoi occhi languidi e i tuoi capelli
sono lunghi riccioli d'oro.
I tuoi turgidi seni sembrano
due melograni e le tue gambe
sfilate mi mozzano il fiato
ma ciò che più mi fai bramare
è la tua bocca baciare.
Anonimo
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Donna è danno
Sorridi anche
stasera
guardandomi attentamente!
Tu sei una donna ormai
il tempo passa,
si cresce
fino a rendersi conto
che si matura...
Un fiore cade dai tuoi capelli
una corona di margherite
li circonda
dandoti quell'aria
di ingenuità
che ti fa respirare
con profondi sospiri.
Cammina con i tuoi amici
al fianco
dando pace e serenità.
Donna è danno?
Sicuramente nel mondo
ci sono
molte donne
che danno molto
a chi gli sta intorno
e senza le quali
difficilmente
si riuscirebbe
ad andare avanti!
Le donne rispetto
all'uomo sono più sensibili,
capaci di districarsi
fra molti problemi,
maggiore cura per i figli,
una capacità d'adattarsi
maggiore...
Donna è danno
era un antico detto
che può considerarsi
superato o
mai avverato.
Le donne sono un grande amore
che ci riempie
ogni attimo della giornata...
Le donne danno molto!
Loopa Sonivree
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Riflessioni
Pensiero che si sofferma
su cose banali
da cui raramente
mi voglio separare:
con voi vorrei raggiungere
il volo della mente;
con la penna e gli occhiali.
Saluto il sole
che il sette di giugno
è finalmente arrivato.
Stammi vicino sole,
ma non bruciare
i miei piccoli pensieri
se non raggiungono
l’ala della poesia.
Sono una donna
di 65 anni e tutto
intorno a me
è insicurezza.
Daniela Mariotti
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Meditazione
Angeli mi avvolgono
nel loro volo con
un sapore squisito
di albicocche.
Non è particolarmente
conseguente, ma
questo è oggi.
dubbi atterrano
sotto forma di
nuvole e il terreno
diventa soffice e
incomprensibile
fine della meditazione
volendo, rileggere.
Daniela Mariotti
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Un attimo
Sole radioso, scaldi con tepore l’anima!
Penombra tenera,
come una piccola foglia grassa
del deserto fiore!
Ecco all’istante ricordo
un mazzo di indache viole!
Giovanna Giusti
|
Il re della strada
Tu mi guardi divertita...
credi sia Babbo Natale?
Bevo un sorso alla tua giovane vita
e a tua madre che... mi guarda male.
Sono solo come un cane,
la mia sola compagnia
l’avevo in tasca, uno scorpione.
Ma anche lui è corso via.
Una volta
c’era qualcuno dietro quella porta
che mi aspettava,
non mi lasciava in mezzo a una strada.
Mi rinchiudevo, impaurito, in casa mia…
Ricorderò per sempre quella vita dura.
Ma adesso no, hanno tutti paura:
appena arrivo, scappano via...!
Si son tutti allontanati,
sembro il capo dei pirati...
tutto intorno non echeggiano grida:
io mi sento il re della strada.
Una volta
c’era qualcuno dietro quella porta
che mi ascoltava
fra un film e un rebus, un “sì” o una scenata.
Qualche volta c’era anche mia cognata.
Pensavo: un giorno, chissà, l’avrei sposata!
Roba lontana, non ricordo un gran che…
E quella casa? Chissà dov’è!
Tutta roba ormai lontana.
Una buccia di banana…
me la lecco come una fica di donna,
o una pistola con un colpo in canna.
Una volta
c’era qualcuno che mi aspettava
dietro una porta...
ma adesso sono il re della strada.
Mel Ancony
|
Se fai il bravo
Tu, babbo, non mi puoi sopportare.
Lo so, non mi vuoi come figlio.
Ma so cucinare e stirare
forse anche meglio
di quanto tu sappia scopare.
Tu, mamma, mi telefoni spesso
badando a non farti sentire.
Mi dici: “Figlio mio, non adesso,
sai che non posso,
tuo padre potrebbe tornare”.
E il tuo tè delle cinque me lo offri alle sei,
a quell’ora lui va dalla sua amante.
Ho un ricordo di cosa accadeva fra noi:
è una nenia che ancora mi annebbia la mente.
“Fai la nanna per benino.
A chi vendo questo bambino
Se fai il bravo non ti vendo a nessuno,
se fai il bravo sarai tutto per me”.
E voialtri che cosa mi dite?
Che parlo di cose passate,
di cose oramai accadute
e quasi mi avete
convinto a metà.
Ma io sento ancora quelle parole,
quella nenia che mi fa ancora male,
quella nenia che ancora non vuole tacere
e piano mi uccide cantando così.
“Fai la nanna per benino.
A chi vendo questo bambino?
Se fai il bravo non ti vendo a nessuno,
se fai il bravo sarai tutto per me”.
Mel Ancony
|
A Laura
Ti guardo come so,
e non dirmi che ti guardo male.
C'è tristezza nei miei occhi, lo so,
e non ti chiedo di capire,
amore.
Matteo Bosinelli
|
Ricordo
È sera, sono giovane,
assaporo tutto della vita.
Mi trovo in un bosco:
lo scrosciare di un ruscello.
Ormai è buio ma non è oscuro !!!
Tutto intorno è rallegrato da piccole luci.
Sono le straordinarie amiche lucciole.
Non quelle ai bordi delle strade
delle odierne città,
ma quegli animati fantastici puntini gialli,
che forse ormai sono scomparsi!!!
Giovanna Giusti
|
La donna, la mamma e la sua bambina
Quando si dipinse il cielo d’azzurro
io ti conobbi e senza disperazione
ti presi tra le mani
e ti innalzai fortemente
tra le braccia di tuo padre,
chiamandoti “la mia bambina”.
Ma poi capii di iniziare a sbagliare
proprio con te e solo e sempre con te,
per interrompere un grande amore
che era nato nel mio cuore per te
ma che atrocemente
vedendoti crescere
stava diventando odio
e profondamente in calore, in odore
rancore.
Feci la donna ammalata,
ma eri pur sempre mia:
mia figlia.
La donna, la mamma e la sua bambina.
Paola Scatola
|
Occhi bagnati
Ho gli occhi
bagnati di gocce
di rugiada
del tuo fiore
di campo
ma ho il cuore
trafitto da
un pianto.
Ho per te il massimo
calore
ma ho guardato
solo un passo
d’amore.
Paola Scatola
|
Fu un successo
Fu un successo immediato
dirti che t’ho dato,
che lei ti ama.
Ma per pensarlo tu,
ci devo essere anch’io
ed il come e il perché
va buttato via,
lontano come noi siamo.
Paola Scatola
|
Dove il suo braccio
Dove il suo braccio
d’una luce radente che la
consuma, che ci consuma
in amore a basso prezzo
l’eterno del suo limite introvabile
ed è il segno d’amore
del suo viso inviolabile.
Le vorrei cantare il ricolmo
di che lui dorme i mortali
perché io di più non posso farle
né darle ancora luce che sia
sabbia riposata a lei riposare.
Lui andandosene se ne andò
Via tu mi lasciassi, il tuo corpo:
ora che a passo di danza
sei arrivata.
Ma io cercavo, lamentavo
d’un’inquietudine di quando ragazzo
lo volevo.
Paola Scatola
|
Se ti osservo
Se ti osservo
ti vedo cambiare:
ma mi specchio
così – penso
d’avermi amato tanto.
Se mi osservo
ti vedo piangere:
forse è per
questo che non ho
mai buttato
Paola Scatola
|
Come posso io
Come posso io
dirti addio
se mi mangio
le unghie…
oh! Mio Dio
Paola Scatola
|
Sono mia
Sono mia
quando ti guardo
dritto negli occhi
specchiandomi.
Sono mia
quando mi prendo
anche troppo sul serio
per poi sorridere.
Sono mia
quando parto e non sono ancora partita
e sono mia quando parto e arrivo.
Sono mia
anche dal macellaio, cara signora.
Sono mia
dietro casa
con la polizia
in una casa occupata.
Sono mia
per strada a elemosinare pietà.
Sono mia
a lavorare in fabbrica.
Sono mia
a rivendicare rispetto.
Sono mia
se per rivendicarlo sbatto la porta e sei... fuori.
E' mia
questa mano che scrive
questa coscia che cammina
questa bocca che si confida.
Sono mie le speranze,
le lotte crude e cotte.
Sono mia per mio padre lontano, immigrato in Francia.
Sono mia per mia madre che aspettava.
Sono mia e nulla più.
Mi basta.
Ti deve bastare.
Marcella Colaci
|
Caro e cara, 1 giugno 2013
Caro e cara
ho bisogno di credere che non sia tutto qui,
che non sia finita,
che il buio nasconda ancora
una stella cadente per un desiderio
e che la luna ritorni.
Divieni così desiderio
di questi miei cinquantun’anni.
Prendimi fra queste mani secche al sole
come di corteccia di vite con le sue foglie
e riccioli sorridenti d’uva
di questo primo giugno settembrino.
Caro e cara
il cielo si apre
e la poesia mi cerca
come io cerco te.
Grazie di esistere:
questa sarà la mia dichiarazione
d’amore a te,
l’estasi di un’amicizia
che di attimi s’inebria
come di mosto di buona annata.
Marcella Colaci
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Ferita
Nell'orgoglio una rosa piange,
rossa nel giardino nacque.
Ricordo di un fruscio
di quando l'amore arrivava
e il frastuono
di quando l'amore andava via.
Da piccola mi colsero
e senz'acqua rimasi nuda
ad aspettare un bacio d'addio.
Così, ferita.
Marcella Colaci
|
Creature indifese
Creature son tutte
attorno ad un tavolo tondo
che vivono sole
cercando calore.
Illusi noi siamo
che fonti e sorgenti
bastavano a noi
che siamo credenti.
La terra ricolma
di anime perse
di gelide storie
di povera gente.
Ma noi poi chi siamo
se nulla al tramonto
ci tiene per mano
e tutto era un sogno.
Marcella Colaci
|
Donna Italia
(per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia) - 17
Marzo 2011
Come maestosa
sia
la scia di terra
in mare fra le onde
così
donna fiera appari
tesa da battaglie
impari.
Madre di sano orgoglio
madre-patria
di albe garibaldine
vinci
e fai di te
matria-terra-umana-Italia.
Oggi ancora
dopo trenta lustri
vivi.
Marcella Colaci
|
Di sole scolpita
Bella divampa
d'estate fiorita
come una dea
sogna la vita.
Bello il suo corpo
di giovane forza
tutto appartiene
veloce è la corsa
verso un amante
lontano prestante
bello di luna
aspetta sognante.
Lei è già pronta
di sole scolpita
lui la corteggia
lontano la invita
a sciogliere il capo
dai lunghi capelli
belli d'ambrato
come stormo d'uccelli.
Bella lei vola
di gioia infinita
bella di sole
di sole scolpita.
Marcella Colaci
|
Lettera Zen sulle donne
Sapendo che al mondo ce ne sono forse tre miliardi e
mezzo, non si sa
da dove cominciare… Allora per semplificare al massimo… È stato scritto
sulle donne nella Bibbia: le donne sono tutte uguali, ma ce ne sono di
quelle che sono più giudiziose… E penso: esse dovranno saper gestire le
tre immagini delle madonne rappresentate nell’arte, pitture o sculture.
Ossia: la donna può essere ‘piena di grazia o bellezza’, per attrarre a
sé l’uomo e diventare la donna, o ‘madonna col bambino in braccio’, e
quindi la terza madonna, o donna alla quale muore il figlio, Gesù,
quando ella è ancora in vita, ‘le madonne addolorate’…
E quell’altra frase… che “Dio ha creato l’uomo a sua immagine e
somiglianza”? Allora si dovrebbe pensare che , se l’uomo sbaglia, se è
possibile dovrà trovare un rimedio e se non lo trova, allora si
potrebbe pensare che anche Dio sbaglia… e se il rimedio non lo trova…
che decisione prenderà rispetto agli uomini…
E se una donna diventa mamma, dovrà badare al bambino e se ha dei
gemelli dovrà raddoppiare per due tutti i suoi gesti… E se una ragna in
gravidanza fa nascere settanta - ottanta ragni, chissà come farà a
contarli, a nutrirli, che magari non stanno nemmeno fermi, pensando che
i suoi cuccioli hanno numero 80 × 8 = 640 gambe che si muovono…
Allorché le mamme e le nonne legano nei divani e fanno tacere i
bambini, quando gli rifilano un cartone da guardare…
Luigi Zen
|
La donna
Le gambe delle donne sono dei
compassi
che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni,
donandogli il suo equilibrio e la sua armonia.
(François Truffaut, L’uomo che amava le donne)
Dovete perdonare la mia bizzarria, ma il mio presente articolo sulla
‘donna’ verterà sul motivo per cui non è assolutamente possibile che io
scriva un articolo sulla ‘donna’.
Come per gli altri numeri de Il Faro, mi accingevo a scrivere qualche
castroneria sull’argomento, ma niente, assolutamente niente di sensato
(si fa per dire) mi veniva da scrivere. Sinché, sollecitato perché
fornissi -come era giusto- il mio contributo, mi son messo a riflettere
sul motivo per cui incontravo tante difficoltà. Ed ho così compreso che
il motivo era il più banale ed elementare che ci si potesse aspettare:
io non ho mai ritenuto che la ‘donna’ esistesse!
Ho indagato, risalendo sin alla mia più tenera fanciullezza, se mai
avessi elaborato una qualche teoria sulla ‘donna’ (e coloro che mi
seguono sanno -a proprie spese- quanto io sia propenso ad elaborare
teorie su ogni cosa possibile e immaginabile). Ebbene, nei miei ricordi
non v’era traccia di una tale teoria.
In definitiva ho realizzato che in vita mia non avevo mai pensato alla
‘donna’. Ho pensato a Livia e a Francesca, a Valentina e a Irene, a
Lucia e a Fabiana, a Nastya e a Tanya e, più che ad ogni altra, ad Ave,
ma mai alla ‘donna’. Trovavo che vi fossero molte più cose che
accomunavano Livia ad Enrico, di quante ve ne fossero ad accomunare
Livia con Ludovica ed Enrichetta e Leopoldina e…
È forse per questo che provo un vago senso di fastidio quando sento una
donna (ma l’identica cosa avviene anche tra uomini) che parla delle
altre donne come se costituissero una sorta di unità, dicendo: “noi
donne siamo così o siamo colà…” E davvero trovo poche altre cose
squallide come le congreghe di donne che si riuniscono tra loro per
parlare degli ‘uomini’, e le congreghe di uomini che si riuniscono tra
loro per parlare delle ‘donne’.
Sento di essere molto più affine a tante donne di quanto lo sia a tanti
uomini, e per me non c’è alcuna differenza né quantitativa né
qualitativa tra l’amicizia che posso provare per un uomo e quella che
posso provare per una donna. Si parla tanto di emancipazione femminile,
ma le donne non potranno mai emanciparsi, e men che meno gli uomini,
finché ci sarà un ‘noi’ da preservare e proteggere che sia diverso dal
‘noi’ dell’intero genere umano.
Vorrei citare un esempio personale per avvalorare quanto dico: quando
in passato, nello scrivere qualche racconto, sentivo il bisogno di
trovare un personaggio a cui mettere in bocca le mie convinzioni, un
personaggio autobiografico, talvolta lo individuavo in un personaggio
maschile, ma, altrettanto frequentemente, in un personaggio femminile.
Il primo racconto (o forse era un dramma, oramai non ricordo più) che
cercai vanamente di scrivere a tredici o quattordici anni, trattava
della prigionia di Giovanna d’Arco e delle sue schermaglie col vescovo
Cauchon, suo carceriere. Ebbene, Jeannette ero io!
D’altro canto (sperando che il romanziere francese non si rivolti nella
tomba per l’accostamento) non diceva forse anche Gustave Flaubert, a
proposito della protagonista femminile di uno dei suoi più noti
romanzi: “Madame Bovary c’est moi!”.
Ed ora mi scuserete, ma per essere un argomento di cui è per me
assolutamente impossibile scrivere, mi sembra di aver scritto anche
troppo.
E questo mi dà il destro per infliggervi un’ultima citazione. Scriveva
il filosofo Ludwig Wittgenstein: “Su ciò di cui non si è in
grado di parlare, si deve tacere.”
Antonio Marco Serra
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Le donne, le donnine, le donnacce della mia vita
Nella mia vita ho incontrato donne, donnine e donnacce.
Tutte loro
hanno lasciato un segno, una traccia, una cicatrice; sono state esempi
da imitare, da condannare, da dimenticare.
Molte di loro, se le incontrassi oggi, mi vedrebbero certamente diversa
nelle mie reazioni e nel mio modo di affrontare i loro comportamenti.
Quello che è sicuro, è che anche se alcune di loro mi hanno fatto
seriamente male e mi hanno causato non pochi problemi, mi hanno resa
più forte, più combattiva e più brava nel riconoscere le vere amiche e
le persone positive da frequentare.
Mia nonna materna: aveva sempre il sorriso sulle labbra, si arrabbiava
solo con mio nonno, che spesso e volentieri metteva il suo nasone
ovunque, anche nelle sue cose. E allora lei lo mandava a ‘pestare il
soffritto’ (ragù) e lo chiamava ‘avvocato delle ciliegie’ in dialetto
(non lo so né dire né scrivere). Era davvero divertente sentirla
litigare con lui!
Mia mamma: un essere meraviglioso, morta a cinquantasei anni di ictus
cerebrale, era una persona affettuosa e generosa con chiunque e tutti
l’adoravano. Capiva tutti… Rendeva le persone speciali e sapeva
ascoltare in un modo tutto suo: una cosa semplice diventava
straordinaria. Un viaggio, raccontato a lei, diventava unico e
irripetibile. Dopo la sua morte, tornare da un viaggio o una vacanza
era una tristezza, perché non c’era più lei ad ascoltare le mie
descrizioni. Quando entrava in una stanza, questa si illuminava. Lei
brillava di luce propria, ma se vi erano accanto a lei delle persone,
anche loro si illuminavano. Da quando è morta nulla è più come prima.
Io non mi rendevo conto di quanto fosse importante per me la sua
persona e anche se ripeteva che i figli devono farsi la loro vita, la
sua morte ha lasciato un tale vuoto che nessun lavoro o viaggio o
esperienza potrà mai riempire.
Mia sorella: l’ho sempre vista grande, forte, brava in tutto (a scuola,
nel lavoro, nel matrimonio, con i figli eccetera) ed io mi sono sempre
sentita rispetto a lei la pecora nera della famiglia, perché non ero
brava come lei, perché non mi ero inserita subito nel lavoro dopo gli
studi, perché non mi ero sposata e non avevo fatto figli. Per diventare
brava come lei, spesso ho trascurato mia mamma, ho seguito (anche se a
malincuore) delle sue indicazioni, ho fatto cose che non volevo fare.
Per me non è sempre stata un esempio positivo, ma il fatto di vederla
così forte, grande e brava mi ha sempre resa orgogliosa di averla come
sorella maggiore.
Il mio magistrato: una vera forza della natura. Le ho fatto da
assistente per cinque anni e anche se in certi momenti il suo
caratterino mi metteva in grande soggezione, ero molto contenta di
lavorare per lei e con lei, perché era in gamba, una gran lavoratrice,
perché era preparata e non delegava a me le cose che doveva fare lei
(come facevano altri magistrati con le loro assistenti) e questo mi
dava grande sicurezza.
La mia terapeuta: mi ha seguita per circa due anni durante un periodo
critico. Era una persona solare e molte cose che le raccontavo la
facevano divertire molto. Mi giudicava intelligente, ironica e
simpatica e questo, in un periodo in cui mi sentivo molto giù, mi ha
aiutata molto. Nei miei confronti è stata anche molto generosa: in un
certo periodo in cui avevo delle difficoltà economiche non mi faceva
pagare le sedute e quando nel 2004 sono stata truffata dalla croata mi
ha fatto un prestito notevole. Senza il suo aiuto non so proprio come
avrei fatto. Ancora oggi, ogni tanto, ci sentiamo e vediamo.
Per ‘donnine’ io penso alle bimbe che ho accudito quando facevo la baby
sitter, o le ragazzine che ho conosciuto a scuola quando insegnavo. Ne
ricordo diverse, perché erano divertenti, intelligenti, responsabili
con i fratellini o le sorelline se ne avevano.
Ilaria a cinque anni sapeva come nascono i bambini, adorava gli animali
e aveva una collezione di peluche della Trudi con la quale giocava al
veterinario. Era figlia unica, ma era molto affettuosa con le compagne
di scuola, con la cuginetta e con me. Da grande voleva fare il
veterinario, ma poi è diventata medico, come il padre, perché non
voleva occuparsi solo di cani, gatti e criceti, ma di animali grandi.
Amelia: la prima di cinque figlie di due medici. Quando l’ho conosciuta
aveva sette anni ed era già giudiziosa e responsabile. Giocava con le
sorelle, sapeva vestire e svestire le più piccole e se la loro mamma le
diceva di stare con loro, lei sapeva sempre cosa fare. Oggi è diventata
un’oculista. Il loro padre aveva casa e terre in Calabria, quindi loro
a un certo punto si sono trasferite in quella regione, ma hanno
mantenuto un appartamento a Bologna. Quando ogni tanto, per motivi di
studio o altro venivano a Bologna, rivederle o sentirle era sempre per
me molto bello. Sono stata alla laurea di una delle sue sorelle e
rivederle tutte insieme grandi e belle è stata per me una gioia
immensa.
Valeria: aveva otto anni e sono stata al mare per un mese con lei e la
sorella di due anni più grande. In acqua giocavamo, lei mi teneva in
braccio e a volte mi chiamava mamma. La grande la guardava malissimo e
allora io per sdrammatizzare le dicevo “Sì, sì, sono la tua mammina,
sì, sì!”.
Le donnacce: Simona, Silvia, Romana, e Giuliana (la croata). Con le
prime tre ho abitato quando studiavo all’università o quando ho
iniziato a fare dei lavoretti dopo la laurea, perché volevo restare a
vivere a Bologna. Le considero delle donnacce, perché si sono
comportate malissimo nei miei confronti: facevano quello che volevano
come se io non abitassi con loro. Giuliana (la croata) mi ha ridotta
sul lastrico raccontandomi una balla colossale e approfittando di un
mio momento critico. Per farla breve, mi è costata qualcosa come circa
15.000 €, perché mi ha raccontato che dovevano operare un suo nipote al
cervello e io le ho dato tutto quello che avevo, dopo di che è sparita
e io sono rimasta senza un soldo. Il mio psichiatra mi disse che in
Croazia sono poveri, ma dispongono delle nostre stesse strutture,
quindi avevo subito una truffa e basta. Non sapevo se piangere per i
soldi o per l’affronto subito. Avevo lavorato quattro anni in tribunale
e cinque anni in procura con un pubblico ministero e non ero stata in
grado di riconoscere una truffatrice. Non solo: le avevo aperto le
porte della mia casa e anche le mie braccia. Per riprendermi
economicamente sono stati necessari degli anni e sono stata aiutata da
tante persone che hanno compreso la mia situazione; alcune di loro mi
hanno dato il loro appoggio senza che io chiedessi nulla.
Tina Gualandi
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L’unghia del toro
Giovedì sera mi sono recata al gruppo come al solito,
io, donna con
il mio bagaglietto sulle spalle, pieno di vissuto sconfitto, di
fallimento e delusioni di vita, da quando sono stata generata sino a
oggi, con la speranza di intraprendere un futuro più sereno e di
ricevere un attimo di attenzione e di amore, per poi finalmente poter
accantonare l’attacco di difesa con la mia fiondina… per cui… Arrivo al
gruppo, ci salutiamo e Lucia (la fondatrice del gruppo), in base ad
alcuni argomenti che ci eccitavano, dice: “Il prossimo tema sul
giornalino sarà la donna”. Nel momento io ho recepito una sensazione di
vuoto e disperazione come donna, poi mi sono soffermata ed ho
esclamato: “La mia nonna mi diceva che se la donna vuole, può far
saltare l’unghia al toro!”.
La mia nonna, di nome Lucia come me, la mamma della mia mamma… Mi piace
di più dire ‘mamma della mia mamma’, che dire ‘nonna materna’, come
dire sangue del suo sangue succhiato amaro sacrificato alla luce...
Me?! Donne!!!
Lucia (la fondatrice del gruppo) si avvicina a me e mi allunga un
fogliettino, con un suo bel sorrisino che mi è riaffiorato tutta la
notte. La sua esclamazione: “Tieni, questa è la frase che hai detto
della tua nonna, scrivila, che poi la mettiamo sul giornalino”. Io,
perplessa, ho risposto: “Ma oltre quello, non ho da elaborare
nient’altro, perché non ricordo il contesto, ero piccolina”. E poi mi
sentivo depressa, con quella pronuncia… DONNA, come dire ‘Chi dice
donna dice danno’!!! Ma è proprio certo, definitivo… Le ore trascorse
di questa notte mi riaffiorava il suo sorriso, di Lucia, e tanto mi
mandava in discussione l’argomento che lei mi diceva di elaborare e
tanto mi rincuorava il suo dolce sorriso: non siamo così dannose alla
società, noi donne… Sì, abbiamo vari aspetti pieni di danno, ma
umilmente spietatamente sappiamo versare un amore universale.
Io ho queste quattro donne come un grande esempio di vita saggia ed
esemplare… Una è stata la mia mamma (ma in questo momento non voglio
citare nessun esempio, altrimenti non riuscirò più a concludere questo
tema sulla donna).
L’altra è la mia nonna, che me la ricordo molto patita e sofferente per
le sue patologie, ma era di una dolcezza molto saggia e amorevole e
riusciva sempre con i suoi proverbi a far sfociare delle risate
gioiose. Ora mi spiego: lei ha generato sedici figli, sette sono morti.
Andava al lavoro sino all’ultimo giorno di gravidanza, da sola, e poi
se ne ritornava, più leggera come pancia ma… le braccia… più pesante,
con un altro figlioletto, da imboccare e seguire nel suo percorso. Poi,
avendo nove figli, col tempo si sono moltiplicati intorno a lei, fra
figli e nipoti, più quelli acquisiti perché, come la natura voleva, in
un modo evolutivo e sano, i nipoti si fidanzavano. E lei, mia nonna,
diceva ai suoi figli: “Non preoccupatevi, che voi non vedete l’ora che
crescano, i vostri figli, perché sono molto vivaci e impegnativi” … E
con uno dei suoi proverbi aggiungeva : “Ora che sono piccoli sono
chiodini, quando saranno grandi, saranno dei bei chiodi”. Negli ultimi
anni della sua vita si ritrovava intorno a sé tanti ma tanti nipoti e
pronipoti, i cui schiamazzi e diverbi la circondavano. Ma nel momento
in cui lei esclamava, sorgeva un silenzio. Poi ci si rideva con tanta
gioia, grazie a lei.
Dopo c’è la mia zia, che anch’essa, come esempio di donna… Questa zia
era la sorella della mia nonna. Lei non aveva avuto tanti figli, ma
solo una, però, dopo che il marito emigrò e per vent’anni non si fece
più vivo, lei ha dovuto tribolare. Oltre all’abbandono del marito, e
con questa figlia, fame, miseria, in più un tumore che la fece tanto
patire e non so come ha fatto a sopravvivere, che parliamo degli anni
Quaranta! Comunque lei è riuscita a vivere e a sfamare la figlia, con
tanta umiltà e riservatezza del suo dolore. Piena di sofferenza, sia
per la patologia che per l’abbandono, senza avere più notizie del
marito. Il morale di questa donna che riuscendo ad adattarsi fra
preghiere e cucito, lavorando orecchiette e casarecci…le veniva dato
qualche soldino, o altro. E altre cose che lei si ingegnava a fare,
pian pianino lei riuscì a tirarsi su da sola, con quel brutto male. E
in più, la figlia, la sposò, donandole anche alcune camerette
riscattate sempre con i suoi forti sacrifici, con onestà e saggezza. E
all’arrivo della sua vecchiaia, si presentò il suo dolce maritino,
bello fresco fresco, con un passato vissuto dalla sua gioventù in
Argentina, senza far sapere più notizie e pronto per trascorrere la
vecchiaia con mia zia. Lei fu all’altezza di accoglierlo, di perdonarlo
per il bene della sua figlia più il nipotino. E in più lei ha dovuto
anche sostenerlo economicamente, perché la pensione rimaneva in
Argentina, perché lui là si era risposato! Questo gesto della mia zia
fece discutere varie persone, ma io oggi – perché all’epoca ero solo
una bambina – l’ammiro molto come donna, moglie, ammalata e
abbandonata, religiosa ed esemplare con le sue preghiere, che ha saputo
perdonare col suo dolore.
Poi c’è la quarta donna, che ho conosciuto negli anni Novanta, in uno
dei miei periodi più drammatici, devastati di vita, che mi ha saputo
stendere la mano e col suo silenzio e qualche pronuncia ha saputo
aiutarmi in tutti i sensi, immedesimandosi nella mia forte precaria
situazione e fra un gradino e l’altro mi ha sollevata.
Ecco, dico ora… Donne… donne in cerca di guai… per chi se li vuol
cercare.
E con le sue forti doti universali che ha la donna, ci può investire
realmente, creando delle forti rotture affettive sia familiari che
sociali. Che anche se è vero, noi abbiamo più incarichi di vita in
confronto all’uomo, ma perché, secondo me, avendo più capacità di forza
interiore, esteriore, bellezza… come vogliamo ce la gestiamo per far
diventare l’uomo babbeo. Di cui dico, donne, è vero che delle volte,
più in passato, siamo state dei forti ‘zerbini’, ma senza che facciamo
emergere il vittimismo, le ambizioni, lo stress… Impariamo a saper
anche essere più umili fra di noi donne, senza calpestarci e
disprezzarci. Perché, se vogliamo, con questa ombra di queste donne,
tanto sappiamo essere superbe, come mi disse una volta mio nipote
Angelo, anni sette: “ Ma se Eva con la sua superbia non avesse fatto
mangiare la mela ad Adamo, il mondo sarebbe stato realmente più bello?”
… “Chi lo può dire come sarebbe stato il mondo…”, ho risposto a mio
nipote. Guardate le riflessioni di questo bambino sulla donna, sul
peccato e sul perdono? Per me, ho provato vergogna verso questa piccola
creatura.
Però, tornando agli esempi precedenti, delle donne di un tempo e del
detto della mia nonna, che se la donna vuole fa saltare l’unghia al
toro, il finale è che la donna può andare da due estremità: il
tradimento, la superbia (come dice mio nipote) che ha tratto in inganno
l’uomo, o da una grande umiltà: per chi la venera come me, la Madonna,
che anch’essa fu messa alla prova e lei con grande amore misericordioso
e umiltà accettò l’annuncio dell’angelo.
Voglio concludere dicendo: donne, cerchiamo di essere meno civette,
crudeli fra di noi, e di essere un bell’esempio per le nostre - o non
nostre - creature. Non dico di essere come la Madonna o Eva, ma una via
di mezzo, per poter respirare meglio…
Lucia Monaco
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Grazie di cuore, Franca!
Care amiche e amici del Faro, quest'inverno mi sono
appassionata ad
un programma televisivo serale di RAI STORIA, esattamente SOGGETTO
DONNA, di cui avevano parlato anche i giornali per la vastità di
argomenti riguardanti il mondo femminile (donne e politica, donne nella
letteratura, donne nella scienza, donne nella storia ecc.). Una donna
mi ha colpito molto e la sua storia. La storia di Franca Viola. E ora
ve la racconto.
Franca era una ragazzina siciliana di diciassette anni negli anni ‘60,
quando un giorno venne rapita da un ragazzo balordo, che con i suoi
amici mafiosi la tenne prigioniera una settimana in un casolare e la
violentò. Poi le disse: ora sei mia e devi sposarmi. Ma Franca disse
no: non voglio sposare l'uomo che mi ha stuprata, voglio sposare un
uomo che amo. Pensate che in quegli anni la legge italiana era dalla
parte dell'uomo. Il famoso ‘matrimonio riparatore’ cancellava per
l'uomo i reati di sequestro di persona e di stupro. Il documentario di
SOGGETTO DONNA informava che fino al 1981(!!!), se un uomo rapiva e
violentava una donna e poi le proponeva il matrimonio, davanti alla
legge era salvo.
Come se il matrimonio, anche da un punto di vista legislativo,
compensasse tutto quello che c'è dietro a una violenza ad una donna,
tutta la bestialità e l'oscenità.
Ritornando alla storia di questa ragazza, che come dicevo viveva in un
piccolo paese della Sicilia di cinquant’anni fa, quindi in un mondo
arcaico, nel documentario televisivo ho visto anche interviste a
uomini, compaesani di Franca, a cui veniva chiesto se, dopo il fatto
accaduto, l'avrebbero sposata. Tutti dicevano di no, condizionati dalla
loro cultura. I giornali e la televisione parlarono molto di questa
ribellione clamorosa, che era una svolta nella storia delle donne.
Franca, appoggiata anche dalla famiglia che le dava ragione, incurante
degli sguardi e delle parole della gente del suo paese, ha poi trovato
l'amore. Lei e un ragazzo dolcissimo si sono sposati: lei era
bellissima quel giorno con l'abito bianco simbolo di purezza.
L'amore vince sempre. L'amore vince i pregiudizi. Questa è stata una
delle prime battaglie vinte da una donna. Grazie di cuore, Franca!
M. Cristina Sinibaldi – CSM Vergato
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Bilancio
Lucia
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Il tesoro di Rose Mary
Rose Mary è una anziana signora. Ha il viso sfilato e
bianchi
capelli che tiene ben raccolti dietro la nuca, i suoi lineamenti sono
velati da un leggero trucco che le dona una dolce espressione, sulle
labbra affiora un dolce sorriso, ma gli occhi nascondono un grande
dolore. Rose Mary è gravemente ammalata, è affetta da una grave forma
di leucemia, sa che ha poco tempo da vivere, ma vuole rivivere un po'
del suo passato. Per molti anni è stata educatrice d'infanzia e con la
sua professione ha acquisito molti affetti, ma ora che è ammalata, è
rimasta sola, però non ha dimenticato il piccolo edificio in periferia
circondato da un grande prato che ospitava i suoi piccoli amici. Così
un giorno decide di lasciare la sua casa per andare a rivedere quel
piccolo edificio che per tanti anni ha rallegrato le sue giornate. Al
suo arrivo è accolta da bimbi che cortesemente le corrono incontro e la
festeggiano. Sono visi nuovi, non sono i bambini che lei ha
frequentato, ma hanno lo stesso tipo di dolcezza. “Ora posso morire
tranquillamente - pensa - perché posso portare con me il mio grande
tesoro”.
ll ruolo di madre può essere ammirevole, ma anche quello
dell'educatrice, soprattutto quella psichiatrica non è da meno. Può
renderti felice con il suo amore, soprattutto quando ti aiuta nel
momento del bisogno. Questo la rende, nel suo ruolo, una donna di
grande valore!
Anonimo
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L’infermiera
Oh dolce bionda infermiera che col tuo viso dolce dagli
occhi
celesti porti qua dolcezza e amore, tu qua solo sei vera poesia
suadente.
L’educatrice
Signorile educatrice, che per prima capisti il mio
sentire e il cui
cuore spalanchi a tutti noi, parole tu sai donare con speranza di vita
nuova ad anime tristi e inermi. Possa accarezzarti un’eterna felicità.
Roberto Ramosi
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LO SFOGATOIO
Lo sfogatoio è uno spazio illuminato dal faro
in quella che è la nostra interiorità.
Attraverso
la luce del faro si è guidati alla scoperta di pensieri che ci fanno
male o danno fastidio e che nel fluire della scrittura vengono dati
alla luce su carta, smettendo di logorarci dentro. Lo scrittore dello
sfogatoio può scrivere quello che vuole pur che non esca dal decoro o
si orienti ad offesa di persone o istituzioni. Si possono scrivere
parole che non hanno necessariamente un ordine logico o semantico. Non
è necessario attenersi al tema proposto dal numero della rivista. Il
vocabolario Zingarelli definisce lo sfogo, in senso figurato, come
libera manifestazione di stati d’animo, sentimenti e passioni.
Questo è. Scateniamo le penne!
Le donne
Le donne sono tutte belle. In modo particolare mia
madre e la mia fidanzata Cristina.
Nel precedente editoriale accennavo al fatto che ho appreso più dalle
donne che dagli uomini.
Mio padre mi ha dato molto. Sono molto felice di quello che sono. Per
questo lo ringrazio senza fine. Tuttavia ho sempre avuto la sensazione
che lui mi volesse a sua immagine e somiglianza. Purtroppo questo suo
desiderio non riuscivo a realizzarlo. Quando in gioventù ci ho provato
non sono né piaciuto a me stesso, né piaciuto agli altri. Troppo
severo, autoritario ed aggressivo per quello che sono e per quello che
mi piace essere.
Paradossalmente durante l’adolescenza e il periodo immediatamente
successivo ho conosciuto persone straordinarie: Giuseppe Fornasier,
Bruno Gaiba, gli amici della Croara. Tutti potenzialmente da imitare.
Però tutti troppo buoni per essere utilizzati come modello rispetto a
ciò che pensavo in quel periodo. E così, visto che non volevo
identificarmi in loro, la mia personalità si è strutturata in funzione
di persone che sotto il profilo morale non si possono definire
esemplari. La mia personalità è andata plasmandosi in funzione delle
esperienze dirette maturate assieme a donne.
Leonardo Sciascia categorizza le persone di sesso maschile in:
‘uomini’, ‘mezzi uomini’, ‘ominicchi’ e ‘quacquaracquà’. C’è poi chi
dice che o sei uomo a sedici anni o non lo diventerai più, c’è chi dice
che ci sono persone che non potranno mai diventarlo. Io, purtroppo sono
stato un ‘quacquaracquà’ fino al mio incontro con Federica. Grazie su
cui far crescere la mia personalità, anche se ho la veneranda età di
quarantaquattro anni.
In passato il mio rapporto con le donne era vincolato alle reazioni che
avevano in funzione dei miei comportamenti. Il riuscire a strappare un
sorriso, un gesto di attenzione o affetto, o addirittura una conquista,
erano gli elementi che scolpivano i miei comportamenti. Il problema è
che a forza di scolpirmi sempre più forte alla fine mi davo picconate e
della mia personalità restavano solo pochi calcinacci sparsi in qua e
in là.
La donna in qualche attimo è capace di farti volare altissimo e
immediatamente dopo farti abbattere al suolo.
Ricordo un episodio. Avevo quindici anni. Invaghito di una ragazzina
che aveva più o meno la mia età, confidai ad un amico che la conosceva
il sentimento che provavo per lei. Quel giorno ero al capolinea delle
corriere di Castel San Pietro. Ero seduto sul bus e attraverso il
finestrino la guardavo. Riuscivo solo a guardarla e non avevo il
coraggio di avvicinarla. Era in piedi, se non ricordo male aveva i
capelli scuri, non tanto lunghi, forse erano a caschetto. Le si
avvicinò il mio amico e le parlò. Io non riuscii a capire quello che
diceva. Però lei si girò verso di me e si mise a ridere. Io lì per lì
non riuscii a decifrare la situazione. Il giorno dopo a scuola imparai
dal mio amico cosa aveva detto la ragazza a seguito della risata: che
ero un povero sciancato. In effetti non aveva tutti i torti, camminavo
dondolandomi un po’. Si può facilmente immaginare cosa provai in quel
momento: un sogno spezzato, il tradimento di un amico e la mia
autostima, già bassissima, finì sotto terra.
Approfitto di questo spazio per salutare un’amica che da trent’anni non
c’è più. Si chiamava Severina. Viveva nello stesso stabile dei miei
nonni dove d’estate trascorrevo le vacanze. Per lei provai il primo
sentimento d’amore che fu del tutto platonico. Non posso dimenticare il
suo farmi sentire come un cavaliere azzurro senza macchia e senza
paura.
Vorrei ringraziare Cristina Lasagni, che mi ha trasmesso implicitamente
una grande lezione: è più rispettoso un no sincero che un falso sì.
Anche se il sì è fatto per venire incontro alle aspettative delle
persone.
Ricollegandomi al tema del precedente numero, che trattava l’argomento
dell’ignoranza, mi vengono a galla pensieri e parole che ho fatto e
detto in passato a ragazze. Ora mi fanno sentire triste e cattivo.
Un pomeriggio estivo della mia infanzia ero in compagnia di un gruppo
di piccoli amici all’ombra del portico del palazzo in cui vivevo. C’era
una bambina sui dodici anni che girava nel piazzale di fronte a noi.
Era carina e felice di presentare i primi lineamenti di donna che
stavano maturando. Io, perfido, intonai: “ma dove vai bruttezza in
bicicletta”. E di seguito gli amici mi seguirono in coro. Credo di
averle fatto malissimo perché in giardino non la vidi più.
Per molto tempo mi feci condizionare da adulti che dal profilo della
relazione tra uomo e donna valevano poco. Mi trasmisero che per
conquistare una donna e farne cadere le difese la si doveva inebriare
con cocktail di alcool e aspirina. Io che da giovane ero facilmente
influenzabile e terrorizzato dall’essere incapace, o non all’altezza di
un rapporto affettivo, feci bere l’intruglio ad un’amica che poi stette
molto male. Sì, purtroppo tra i diciassette e i diciannove anni, quando
incontrai Federica cercai nelle donne soprattutto il piacere fisico.
Inteso sia come piacere corporeo che come bellezza estetica.
Alternai diverse ragazze con un unico scopo che si può facilmente
immaginare. Ho fatto soffrire molte ragazze e ne chiedo umilmente
perdono. Ora, come sempre quando ci penso sto molto male. È però la mia
storia. La mia vita. Con il senno di poi certi errori non li
commetterei più. Ero come un mulo con il paraocchi. Dove il paraocchi
era come una specie di super io. Non potevo guardarmi attorno, girare
lo sguardo indietro, mi era impossibile perché altrimenti scattava un
forte senso di colpa. Dovevo essere sempre in movimento, sempre di
fretta, dovevo andare avanti per non sentire. Guardare sempre avanti
per non pensare, e capire di avere il bisogno di stare sempre solo con
me stesso. Mi sentivo inesistente, invisibile alla società. Per questo
diedi luogo a comportamenti inidonei volti a concentrare l’attenzione
su di me. Comunque dopo la mia promozione ad ‘ominicchio’ feci grossi
passi avanti in tutti i sensi.
Soprattutto per quanto riguarda la sensibilità affettiva e culturale.
Da ‘ominicchio’ cominciai a sentire il dolore che si
provocava negli altri in seguito ai miei comportamenti. Mi ci volle
tempo, ma da una certa data che ora non ricordo,
cominciai a soffrire il senso di vuoto che si prova quando si viene
lasciati. Incredibile ma vero, soffrii per l’essere lasciato
solo. La solitudine e soprattutto quella che nasce quando si soffre di
una malattia psichica viene centuplicata dalla paura
che lo stigma ti impedisca di essere amato da una nuova compagna.
Così ho imparato che non bisogna avere fretta. Argomento del prossimo
numero.
Fabio Tolomelli
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Il bullo di paese
Giuseppina voleva sposarsi, come tutte le ragazze del
suo paese, perché
rimanere zitelle era considerato un disonore. L’occasione la trovò
verso i trentacinque anni, e quel matrimonio la sollevò dall’incubo di
rimanere da sola.
Il marito era un muratore, che lavorava nei vari cantieri edili della
loro zona; lei aveva sempre fatto la casalinga e l’estate faceva la
stagione negli alberghi come lavapiatti o tuttofare.
Si sposarono nella chiesa del paese di lei, con gli invitati al pranzo,
l’abito bianco della sposa, il riso dopo la cerimonia e “bacio,
bacio!!” gridato durante il banchetto.
Giuseppina era felice, aveva gli occhi sempre umidi di pianto per la
commozione che sentiva continuamente montarle dentro come un’onda
inarrestabile.
Ora anche lei viveva il suo giorno speciale come aveva visto tante
volte nei matrimoni delle sue conoscenti e che quasi quasi non credeva
più possibile le potesse accadere e si guardava la mano sinistra con la
fede nuziale nuova e luccicante a riprova che anche lei si era sposata
ed era finalmente una moglie.
Sergio le aveva fatto una corte discreta, le aveva chiesto subito di
sposarsi: lui era rimasto senza la mamma e non aveva più nessuno che
gli facesse da mangiare e che lo tenesse in ordine. Giuseppina lo sposò
dopo tre mesi che si erano conosciuti.
I primi mesi furono belli: Giuseppina preparava per il marito pranzi e
cene abbondanti. Mangiavano senza parlare e poi
stavano davanti alla televisione finché veniva ora di andare a letto.
Dopo sei mesi era incinta. Nacque una bambina che chiamarono Alba,
perché venne alla luce al sorgere del giorno.
Sergio accettò un lavoro lontano da casa: rientrava solo il fine
settimana e Giuseppina lo aspettava ansiosa di sapere come avesse
trascorso il tempo lontano da lei e dalla loro bambina.
Alba non aveva nemmeno un anno quando Giuseppina rimase nuovamente
incinta e questa volta di un maschietto che nacque all’ottavo mese di
gestazione: tutto si risolse bene, ma la nuova gravidanza l’aveva
fiaccata e provata.
Sergio tornava il fine settimana col sacco della biancheria sporca da
lavare e con sempre meno voglia di parlare e di stare in casa: trovava
conferma della sua virilità nello squallore di tante avventure, che non
si preoccupava nemmeno di nascondere.
Giuseppina aveva paura di chiedere, cercava di accontentare il marito
in ogni senso, ma lui sembrava sempre insoddisfatto: il cibo non era
più buono come una volta, i bambini facevano troppo rumore e lei era
sempre trasandata come una vecchia barbona. Ogni volta che cercava di
avvicinarsi al marito lui la allontanava con disprezzo e con fastidio.
Giuseppina cadde in una depressione grave, ogni piccola cosa da fare
diventava un’impresa quasi impossibile. Nel frattempo erano passati
alcuni anni e i bambini, per fortuna, frequentavano la scuola materna.
In paese tutti vedevano la situazione dolorosa di Giuseppina, ma
nessuno poteva fare qualche cosa per aiutarla. Lei era convinta che il
‘suo’ Sergio si era allontanato perché lei non era più cosi efficiente
in casa come i primi anni di matrimonio. Si sentiva una donna inutile e
una madre inadeguata. Il medico di famiglia cercava di spronarla ad un
contatto con qualche associazione che si occupasse di famiglie in
difficoltà; ma questa ipotesi la terrorizzava, perché l’idea che il
‘suo’ Sergio potesse chiedere la separazione la buttava ancor più nella
disperazione.
Sergio tornava a casa solo per cambiarsi, e per litigare e insultare
Giuseppina. Lei piangeva e pregava che le cose cambiassero e tornassero
i bei tempi davanti al televisore alla sera prima di coricarsi.
Fu quando comparvero sul viso di Giuseppina delle ecchimosi violacee
che i parenti si mossero: Sergio la picchiava regolarmente quando lei
tentava di impedirgli di uscire alla sera, profumato e col vestito
della festa. “Perché non stai a casa con me e i bambini?” chiedeva
piangendo Giuseppina. “Perché mi fai schifo” rispondeva Sergio senza
pensarci tanto.
Vennero informati i Servizi Sociali e i bambini vennero allontanati da
quella famiglia oramai allo sbando.
Giuseppina era in balia dell’ansia e dell’angoscia: non faceva altro
che piangere tutto il giorno e sentirsi responsabile del
fallimento del suo matrimonio.
Sergio se ne andò a lavorare all’estero, lontano dai bambini che tanto
lo infastidivano e lontano da quella moglie piagnucolosa. L’abbandono
di Sergio fu per Giuseppina una mazzata: “…ma io sono sua moglie, lui
tornerà da me…” ripeteva ossessivamente a tutti quelli che incontrava.
La ricoverarono in ospedale: lo psichiatra che la prese in cura capì
fin da subito quali erano davvero i problemi profondi di questa donna
minuta e fragile, vittima di un uomo ignorante e cattivo, che le aveva
rubato ogni giorno un pezzetto di dignità fino a ridurla una schiava,
totalmente dipendente da lui.
Ci vollero anni di psicoterapia e di buona volontà per riuscire a dare
a Giuseppina quella forza per rialzare la testa e per
determinare la propria vita e quella dei suoi figli senza l’incubo di
un marito e di un padre arrogante e malvagio.
Ora viveva in un altro paese, con i suoi figli che nel frattempo erano
cresciuti; lavorava come aiuto cuoca nella scuola materna e aveva anche
fatto la patente per l’automobile.
Giuseppina viveva la sua vita apparentemente serena, anche se nel suo
cuore il ricordo di Sergio non era mai morto e ricordava, per fortuna,
solo le poche cose belle che c’erano state fra loro.
Sergio non si fece più vivo, nemmeno coi figli, i quali avevano del
loro padre solo i pochi ricordi che Giuseppina cercava di tener vivi e
qualche fotografia scattata nei rari giorni di festa.
Seppero solo dopo tanti anni che Sergio era finito male, molto male, ma
questo non sollevò Giuseppina dal suo profondo rimpianto per quell’uomo
che aveva amato più della sua vita, fino quasi a morirne.
Giliola Galvagni
(da Racconti inventati di storie vere, Edito da
Grafiche Futura)
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E a un certo punto
... e a un certo punto qualcuno disse: “c'è chi parla
di donne, e c'è chi parla con le donne”.
Una
ragazza in gamba allora mi disse: “perché mi hai lasciato ... ?” “non
c'è più dialogo fra noi , I. , ... e ho cercato di essere delicato”.
Si alzò di scatto, mi disse commossa: “l' Amore, l' Amore”... e scappò
via.
Non la vidi più, ma lei mi rimase dentro. Nel cuore. Per sempre.
In una estate calda e afosa
... in una estate calda e afosa, incontrai una donna,
piccola,
intelligente e forse ancora un po' ragazzina, che soprannominavamo
"Topino".
Eravamo in un cerchio di amici, e ad un certo punto una amica di
Topino, F., si sporse, mi lanciò una occhiata sorridente e mi disse:
"ciao Matteo ! ".
Mi sporsi anch' io, la guardai, lei si mise di fronte a me, sempre con
un bel sorriso abbagliante.
Ed io? Semplicemente la ‘divorai’ ...
Matteo Bosinelli
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Il femminismo
«Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun
destino biologico,
psichico, economico definisce l'aspetto che riveste in seno alla
società la femmina dell'uomo: è l'insieme della storia e della civiltà
a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che
chiamiamo donna»
(Simone de Beauvoir, Il Secondo Sesso)
Femminismo - movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili
e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che
criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove
relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione
sociale in quella pubblica.
Spesso si pensa che la lotta per la conquista della parità dei sessi
sia iniziata e si sia conclusa nel secolo scorso. In verità le cose non
stanno affatto così, dal momento che lotta femminista è figlia della
rivoluzione francese e dunque risale almeno a tre secoli fa. Il primo
diritto rivendicato dalle donne fu quello dell'istruzione. Non sarebbe
mai stato loro possibile, infatti, uscire dalle mura domestiche,
trovare un lavoro esterno, accedere ai diritti politici e di
cittadinanza, se non avessero avuto accesso alla scuola pubblica. Il
secondo diritto è quello di voto, di partecipazione alla vita pubblica.
La lotta fu portata avanti soprattutto dalle suffragette britanniche,
che scesero in strada per rivendicare questo diritto, che fu concesso
per la prima volta in Nuova Zelanda, nel 1893. In Europa a votare per
prime furono le donne finlandesi. Grazie ad una Legge del 1906 esse
divennero ufficialmente eleggibili ed elettrici. Nelle altre parti
d'Europa il diritto di voto per le donne fu ottenuto solo dopo la prima
guerra mondiale, fra il 1918 ed il 1919, anche come riconoscimento del
loro valore, per essere rimaste a presidiare i luoghi di lavoro e le
loro famiglie, mentre i mariti erano in guerra e per essersi prestate
come crocerossine nei campi di battaglia. Le francesi e le italiane
dovettero attendere la fine della seconda guerra mondiale per ottenere
il diritto di voto. La relativa legge italiana è infatti del 1946.
Infine, il diritto al lavoro. Le donne lavoravano già da tempo
nell'industria, ma erano sottopagate rispetto ai loro colleghi maschi e
per questo hanno lottato per avere parità di opportunità e di salario
(parità che, sotto questo aspetto, non è ancora stata raggiunta nella
maggior parte dei Paesi del mondo).
Negli anni Cinquanta e Sessanta l’analisi della condizione femminile
mise a fuoco la difficoltà, per una donna, di essere sé stessa: si
sottolineava che le identità proposte dalla cultura ufficiale,
coincidenti con i ruoli sociali, erano alienanti, mortificanti. Nel
1968 nacque la nuova ondata del femminismo: le donne volevano
riprendersi il dominio del proprio corpo. Le lotte riguardavano il
diritto di contraccezione e di aborto e l'uguaglianza all'interno della
coppia. «Il privato è politico» affermavano le femministe, invitando le
donne ad affrancarsi dai rapporti di potere che il patriarcato
rappresentava, attraverso un atavico sistema di oppressione sulle
donne. « Lavoratori di tutto il mondo, chi vi lava i calzini? »
scandivano per le strade di Parigi le manifestanti negli anni Settanta.
Il 1975 fu dichiarato dalle Nazioni Unite «l'anno della donna» e fu
organizzata in Messico la prima conferenza mondiale dedicata al
problema femminile.
In Italia, grazie anche alle lotte femministe, negli anni Settanta
venne istituito il divorzio (1970), fu modificato il diritto di
famiglia (1975), furono istituiti i consultori familiari, promulgata la
legge sulle pari opportunità, liberata la vendita e il consumo di
contraccettivi, approvata la legge che regola l'aborto (1978),
costituiti i Centri antiviolenza e le Case delle donne, per accogliere
le donne maltrattate.
Negli anni Ottanta e Novanta il femminismo, come movimento, si è
praticamente spento, ma le vittorie delle donne restano tuttavia ancora
incomplete e dall'avvenire incerto, come possiamo leggere nella cronaca
degli ultimi anni e mesi.
L. L. (da siti internet)
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A tutte le donne
Durante il laboratorio di Narrativa e scrittura
creativa abbiamo
affrontato il tema della figura della donna attraverso il componimento
“A tutte le donne” della scrittrice Alda Merini, che sentiamo a noi
particolarmente vicina.
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d'amore.
Alda Merini
I partecipanti hanno così commentato:
Gianluca:
“Credo che la donna sia una figura necessaria ,
ma trovo che nelrivendicare i diritti all’uguaglianza possa a volte
creare situazioni poco piacevoli”.
Rossella:
“Non è possibile generalizzare, ogni donna è fatta a modo suo, tutti
siamo uguali davanti alla legge e a Dio”.
Massimiliano:
“Trovo che la donna descritta sia nel contempo forte ma anche
sensibile, sembra credere molto nelle proprie forze”.
Maya:
“Le donne sono stupende in quanto tali, ma ogni donna ed ogni uomo ha
la propria personalità”.
Laboratorio di Narrativa e scrittura creativa-
R.T.P. Casa M. D. Mantovani
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Uomini che odiano le donne
“Tu sei mia! Solo mia. Non puoi essere di nessun altro.
Sei di mia
proprietà. Come la mia casa, la mia macchina e il mio cane. Devi fare
solo quello che ti dico io. Di cosa ti lamenti? Devi solo farmi da
mangiare quando torno dal lavoro, sistemare la casa, lavarmi i calzini
sporchi e andare a prendere i bambini a scuola, perché io lavoro. Lo
capisci che lavoro?! Chi porta a casa i soldi per mangiare? E ricordati
che facciamo sesso quando lo dico io, anche se non ti va. Perché a me
sta bene così. E se non ti va bene quella è la porta! - Non finisce
nemmeno la frase che le molla uno schiaffone che la ribalta per terra!
– Scusami… non volevo, io ti amo!”
La donna ancora con il segno dello schiaffo in faccia, perdona il
compagno, perché lo ama, gli crede e pensa che un giorno cambierà.
Nella migliore delle ipotesi quella donna sarà infelice e sottomessa al
volere di un uomo che dice di amarla.
Nella peggiore delle ipotesi un bel giorno, in preda all’ennesima
scenata di gelosia del compagno, la loro foto comparirà in prima pagina
sul giornale.
Uomini che rispettano le donne
“Al di là delle vicissitudini che avremo, io ti amerò
per sempre. -
Questo glielo dice porgendole una rosa – Ti abbraccio e ti bacio,
perché ti voglio bene. Se vuoi una mano, io sarò pronto a coglierla.
Faremo le cose insieme e condivideremo la vita insieme. Ti tratterò con
rispetto e ascolterò quello che hai da dirmi anche alla sera, quando
torno stanco dal lavoro. Ognuno di noi due avrà diritto ai propri
spazi, come quando si vuole uscire con i propri amici in libertà. I
nostri figli li cresceremo insieme e decideremo l’educazione migliore,
scegliendo entrambi la strada da percorrere. Se sei triste, io ci sarò
sempre. Giorno per giorno, la vecchiaia sarà il nostro traguardo.”
Nella peggiore delle ipotesi, la donna sorriderà un po’ per l’imbarazzo
ed un po’ perché il sorriso le uscirà da solo.
Nella migliore delle ipotesi, la donna sarà felice e contenta. Vita
natural durante.
Gruppo rassegna stampa del Centro Diurno di Casalecchio
di Reno
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Sapori di tempi lontani
Sapori di tempi lontani riaffiorano lentamente nella
mente tua. Dipinti
medievali e immagini colorite, con letterato di verde vestito con occhi
neri e luccicanti e penna di pregio alla mano. Variopinti paesaggi e
cavalieri valorosi e poi supine donne, di punto vestite con abiti
succinti e setosi, che uomini avranno come culto in sé poesia.
Santificate donne che siete dell’uomo e che spiritualità a lui donate,
mutevole sarà la vostra immagine e renderete pienezza a coloro che vi
guarderanno. Luce nuova del secolo a venire sarete, piacere la vostra
compagnia sarà.
Specchio del creato che il Signore nel tempo vi ha integrato. Lotta fra
sessi non vi sarà più, ma unione di intenti. Rifiorirà nuova cultura
che luce donerà ai fraterni saggi uomini.
Roberto Ramosi
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Cristicchi ha letto anche per te
Poiché questo numero de Il Faro ha come argomento ‘la
donna’ voglio
parlare di un personaggio femminile in cui mi sono sempre immedesimata,
perché è a lei che avrei voluto assomigliare. Si tratta di Lucia
Mondella de I Promessi Sposi. Di questo personaggio mi piacciono
diversi aspetti, ad esempio la modestia. Virtù che nelle ragazze di
oggi non è impossibile ma molto difficile trovare. Wikipedia dice che
in lei vi è una modestia un po’ guerresca, tipica delle contadine.
Questo mi fa pensare che Lucia Mondella aveva un certo modo di
affrontare il mondo, un certo coraggio, che io vorrei avere. Un altro
aspetto che mi piace tanto del suo carattere è il suo sentimento
religioso. Il suo accostarsi con fiducia alla divina provvidenza. In
ogni avvenimento, anche il più terribile. Lucia per consolare Renzo
dice una frase bellissima: “Il Signore c’è anche per i poveri”.
L’aspetto che mi ha colpito del romanzo è stato quando Lucia, rapita
dall’Innominato, mantiene la sua fede.
È fondamentale il ruolo della donna. Nel romanzo, Lucia, forse più di
qualsiasi altro personaggio, è fondamentale nel dare un senso, un
messaggio ai lettori: che attraverso la fede, il buon senso e la
provvidenza, anche i problemi apparentemente più oscuri e complicati
possono essere risolti e superati per dare linfa a nuova vita. Così
l’Innominato, per opera delle parole della giovane Lucia: “Dio perdona
tante cose per opera di misericordia”, dopo una notte di pensieri e
riflessioni, si trasforma e si converte al cattolicesimo.
Per questo penso che sia una risorsa essere donne, non solo
formalmente, ma anche materialmente. Perché a migliorare la società non
deve essere l’arroganza e la violenza. Bastano alcune semplici
sussurrate parole frutto della fede e del buon senso.
Un invito a leggere o rileggere I Promessi sposi e al prossimo numero.
Cristina Cavicchi
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Recensione del libro di Marcella Colaci: Poetica
vitale a colori
Una premessa sulla forma: volume intenso e corposo, che
raccoglie
poesie e disegni a colori dal 1976 al 2003, stupisce subito per le
dimensioni e la ricchezza della stampa (a colori su carta pesante e
liscia). Non hanno badato a spese. Anche questa è un’originalità, tutti
i libretti di poesie sono tendenzialmente scarni e leggeri (di peso,
intendo) questo è proprio un bel libro ‘pesante’. Esauriti gli aspetti
formali constatando anche i ben definiti titoli (sia delle poesie che
delle figure) dal relativo testo o figura, si passa all’analisi del
contenuto.
La parola che viene in mente leggendo i testi e guardando
contemporaneamente le figure, è näif, ma non è un näif puro, per certi
versi già visto, soprattutto nei quadri, no, è proprio nel testo che
traspare il carattere näif. Cosa significa? Che vuol dire näif? Qui
ognuno può dire la sua, ma ‘la mia’ è che questo testo, finalmente, non
è scritto dal solito professore universitario di qualche materia
letteraria che vuol dimostrare che ha letto gli autori moderni, tutti
ovviamente in lingua originale, italiani, francesi (soprattutto),
americani o anche, che ne so, russi (questi ultimi, di solito, letti
‘non’ in lingua originale)… E che ha letto Chomsky, Jakobson, Queneau
(i famosi Esercizi di Stile ), Keats, e ovviamente
Pasolini, Moravia, la Morante, (soprattutto il tomo supremo e
pesantissimo che è La storia) e poi Vittorio
Sereni, tutte le opere del Gruppo 63… e così via, di citazione in
citazione.
Qui no, non c’è per fortuna narcisismo del poeta, c’è il candore dei
sentimenti, espressi senza una lente deviatrice che trasformi il testo
in un esercizio di enigmistica. Una volta un famoso artista e critico
letterario disse che la poesia nasce dal cuore poi passa per il
cervello, e per chi legge il cammino è inverso: deve passare dal
cervello al cuore (sempre che ci arrivi). È il fondamento dell’arte
moderna, dall’informale, nella pittura del secondo Novecento, al
post-ermetismo o alla poesia dei segni (tanto cara ad Anceschi) nella
letteratura. Chi ha voluto cimentarsi con queste forme d’arte (poesia
e/o pittura), per avere poi il consenso dei critici non poteva non
tenerne conto. Invece io sostengo anche (e preferibilmente) la poesia
delle emozioni - come quella della Colaci – quella, tanto vilipesa dai
critici, che ci ri-racconta la nostra vita, ci fa ri-vivere le nostre
emozioni e pensare che anche altri le hanno provate e che hanno provato
i dolori (soprattutto quelli), come noi.
Dicono che il dolore isoli, e questo è vero, tuttavia se si ha il
coraggio, come la Colaci, di esprimerlo in versi liberi (o meno liberi:
alle volte compaiono rime ma raramente si inanellano in un canto
completo) il dolore unisce. Si dice anche che l’esperienza umana non si
comprende appieno se non si passa attraverso il dolore. Vero, non vero,
chissà. Ho conosciuto persone che hanno vissuto una vita piena e anche
spiritualmente profonda pur senza l’esperienza di un dolore devastante.
Alda Merini è la rappresentante per eccellenza della poesia del dolore
e con il suo canto ha ‘dragato’ (termine marinaresco che significa
scavare nella profondità del mare) la psiche delle persone. Alda
Merini, Dino Campana, Antonio Ligabue sono tutti artisti näif, che sono
entrati con le loro opere, più di tanti accademici ossequiosi delle
mode, nella storia della letteratura e dell’arte italiana.
A loro si rispecchia, con umiltà, coraggio, tensione, ispirazione, la
poesia della Colaci. Ci auguriamo che continui, e che continui anche a
dipingere.
Andrea Villa
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Recensione del film: “Mrs Doubtfire – Mammo per sempre”
Ciò che mi ha colpito in questo film è la spiccata
amorevolezza che un
padre ha per i propri figli. Egli deve combattere il suo allontanamento
affettivo, perciò, grazie a suo fratello che lo maschera da graziosa,
simpatica e anziana signora, si fa assumere per badare ai suoi figli
(che ovviamente in quel momento pensano sia una badante; quindi lui
sembrerà esser come la loro seconda mamma... Da qui il titolo... hiii
hiii hiiiiiiiiiii !!!).
Quando poi i figli vengono a scoprire che la badante in realtà è il
loro papà, questo legame non viene meno e anzi si fortifica. A lui
sembra di essere sempre innamorato della sua ex moglie, nonostante
l'abbia cacciato di casa.
Infine, quando anche sua moglie durante un incontro in un ristorante
scopre la sua identità, in un primo momento si infuria, ma poi, vedendo
suo marito truccato da anziana e gentile signora in un programma TV,
capisce come lui invece sia una persona estremamente dolce.
Questo film, secondo me, insegna come bisogna guardare attentamente
dentro il cuore di ognuno di noi (aspetto fisico a parte - e questo lo
sottolineo), perché è il tesoro più importante dal quale può nascere
un'amicizia e/o un amore. In questo caso, cioè nel film, il
protagonista ha fatto capire alla moglie che anche lui è effettivamente
una persona responsabile, generosa, affettuosa e pronta a star dietro
ai suoi figli.
Darietto
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Recensione del film: “Al di là dei sogni”
Questo film mi ha particolarmente colpito per tre
aspetti
fondamentali: per l'amore che c'è tra moglie e marito, ma anche perché
contiene molti riferimenti allegorici alla Divina Commedia di Dante
Alighieri e al mito greco di Orfeo ed Euridice.
L'amore tra i due protagonisti sboccia casualmente in una bellissima
regione della Svizzera: lui e lei si sposano e hanno due figli. Un
brutto giorno, però, i figli muoiono in un incidente stradale e quattro
anni dopo pure il marito muore.
Quando lui diventa un'anima, si attacca alla moglie nel mondo reale,
perché vede che lei cade in depressione e cerca di starle vicino: un
angelo (che poi lui scoprirà essere uno dei suoi figli) gli dice che
non può stare lì, non è il suo posto naturale, ma deve entrare in
Paradiso. Qui incontra un'altra guida (anche questa si rivelerà essere
l’altro figlio) che gli fa conoscere il Paradiso e i suoi abitanti, ma
quando viene a sapere che sua moglie si è uccisa ed è destinata a
cadere nell'Inferno, lui s'incollerisce e cerca disperatamente di
poterla recuperare. Gli ostacoli sono immensi, ma quando la riesce a
trovare, guidato dalla sua prorompente energia d'Amore, in quel
tripudio di caos che è l'Inferno, in un grande gesto d'Amore, riesce a
farla staccare dalla pena inflittale e a portarsela nel grande Paradiso
Celeste, insieme ai loro amati figli. La moglie infatti fa un gesto
molto tenero nella casa dell'Inferno e riesce a connettersi con suo
marito per evitare che possa essere risucchiato come lei nelle viscere
tenebrose del Male, e questo la salva. La loro felicità raggiunge il
culmine e dopo un po', decidono di potersi reincarnare e tornare a
incontrarsi in una vita nuova sulla Terra, felici e contenti.
La morale, secondo me, è che la potenza dell'Amore, può sconfiggere il
Male, qualunque esso sia.
Darietto
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Il volo del grifone
Cari, carissimi Stelle di Roccia,
non mi andava di esporre una serie di informazioni in forma di
reportage e perciò ho pensato di scrivervi una lettera aperta, così
come si fa con gli amici più cari.
Sono tornata a casa con lo zaino pieno di emozioni: voglio assaporarle
tutte, ad una ad una.
Ho tante immagini dentro di me, tanti suoni, tante situazioni e devo
domare la voglia di buttarle a raffica. Voglio provare ad esporre in
modo ordinato questi tre giorni insieme.
Sono partita da Trento venerdì all’alba, carica di curiosità. Che gioia
ritrovarvi tutti a Bologna. Vi ho guardato bene, e ho visto in voi la
stessa mia voglia di andare, di sperimentare, di esserci.
Egidio e Rita li conosco dal treno per Pechino, Andrea, Stefano e
Franco dal trekking di Palagano, Chiara e Irene dalla camminata lungo
il mare e Concetta (detta Concy) la conosco ora ed è amore a prima
vista.
Il pullman che ci porta in Abruzzo è confortevole e le ore scorrono via
chiacchierando, ascoltando e soprattutto guardando il paesaggio che si
srotola.
Per me, che vivo con i monti addosso, questo paesaggio largo di dolci
colline mi suscita un senso di tenerezza: qualche cosa che ha a che
fare con la nostalgia.
Ad Avezzano si cambia: i nostri bagagli sono ammucchiati nella piccola
autostazione mentre andiamo a fare la spesa. Non so voi, ma a me
l’insieme di valigie, borse e zaini che stanno ammassati gli uni sugli
altri ha sempre dato un senso di calore. Qualcosa di personale che si
scambia e si mescola, qualcosa che prende e che dà.
Siamo a casa di Concy, a Rosciolo, proprio nella sua casa natale,
quella che ha visto la sua famiglia formarsi. Mi sento quasi
imbarazzata, per fortuna l’accoglienza di questa piccola grande donna è
così spontanea e diretta che l’imbarazzo dura poco e ho netta la
sensazione di essere arrivata a casa.
Si formano gli equipaggi: Egidio e Giliola, Chiara e Irene giocano in
coppia, Franco, Andrea e Stefano formano un trio perfetto, Rita e Concy
da sole.
Sapete che mi sono addormentata nel mio sacco a pelo di piuma, sazia
del buon cibo mangiato alla Locanda dell’Arco, mentre rivedevo nella
memoria l’immagine del monte Velino visto dal pullman?
Aspetto con trepidazione la prima uscita: eccoli i nostri due
accompagnatori, soci CAI, amici di Concy che si sono messi a nostra
disposizione. Antonio e Francesco ci aspettano in piazza per
accompagnarci in un giro ampio attraverso i boschi e i prati a nord del
paese. Ci regalano la loro conoscenza con l’orgoglio di chi ama la
propria terra.
Si sale, passando da un’antica fonte restaurata e ci inoltriamo nel
bosco che porta alla cima del Monte Carce. Vi guardavo nella luce
abbagliante e sapevo che la stessa fatica ci avrebbe incollato gli uni
agli altri. Anche mangiare una pesca insieme, o bere un goccio d’acqua
sono gesti che portano in sé una confidenza che si fa affetto.
Amo da sempre i prati in fiore: hanno una varietà di colori, di forme
di profumi straordinari e passarci attraverso è stato bellissimo.
Sapete che mi sono informata sulle origini della stupefacente chiesa di
Santa Maria in Valle Porclaneta. Già come abbiamo visto arrivando da
sopra, il colpo d’occhio è stato impressionante. L’architettura di
tutto il manufatto è perfettamente in equilibrio con il territorio.
Pensate che il tipo di scrittura che è stata trovata su alcuni
capitelli, propria della dominazione beneventana nella Marsica, farebbe
risalire la fondazione dell’abbazia alla fine del VII o VIII secolo.
Comunque per non farvela troppo lunga questo posto ha una storia
davvero straordinaria, che vale la pena conoscere. Ci hanno detto che
qui vengono a sposarsi da lontano.
E anche per noi questo è il posto bello dove fermarsi a riposare, a
rinfrescarci con la fredda acqua della fonte e a mangiare.
Le nostre guide ci lasciano, per oggi, li ritroveremo domani per un
altro giro. Scendendo a valle, troviamo la monumentale pianta di
roverella, che vanta un’età pari alla vicina abbazia, intorno all’anno
mille ed è censita tra gli alberi monumentali d’Italia.
Ritroviamo Concy e Irene in paese ed è tutto un raccontare, un
miscuglio di frasi che si mescolano perché il bisogno di sentirci tutti
partecipi a questa avventura è davvero grande.
Io non vedo l’ora di andare nuovamente alla Locanda dell’Arco: stasera
ci sarà con noi anche Anna, cugina di Concy, una dolcissima creatura
che entra immediatamente in sintonia con tutti noi. E il dopo cena poi?
Vi ricordate che risate, non riuscivamo a vedere il documentario che
avevo portato da Trento, quello sul trekking con gli asini attraverso
la catena del Lagorai. Per fortuna la parentela di Concy è infinita ed
efficiente: finalmente dopo tre tentativi siamo riusciti a vederlo e
l’allegria che tutti questi disguidi ha provocato in noi si è
prolungata a lungo, fin dentro i nostri letti.
Che giornata ragazzi!!! Domenica un cielo cristallino e terso ci
accompagnerà nella nostra seconda uscita. Antonio ci aspetta in piazza
e partiamo in direzione della chiesa di San Barnaba, qui lasciamo le
nostre cibarie in custodia a Irene e Andrea che ci aspetteranno per
pranzare tutti insieme.
Il paesaggio è diverso rispetto a ieri: questo è più esposto, più
aperto verso la valle e sale alle pendici del Velino con una
vegetazione rada. I colori sono bellissimi, esaltati dalla luce
accecante del sole. Tra i bassi cespugli di ginepro piante di fiori
punteggiano il prato con azzurri e rossi e gialli e tante altre
sfumature e forme che meriterebbero ore di osservazione.
Continuo a guardare la cima del Velino, come un’innamorata guarda il
suo amato. Mi riprometto di andarci. Intanto mi accontento di guardare
le sue rocce chiare che svettano contro il blu e mentre riposiamo al
fontanile del Cretaro vediamo planare il grifone: mi piace pensare che
il suo volo circolare è stata una sorta di danza in nostro onore.
Rimane in quota, alto sopra le rocce, dove, forse, avrà un nido da
difendere. Io sono emozionata, come sempre mi accade quando qualche
animale selvatico mi premia, permettendomi di osservarlo. Seguo il suo
volo e mi batte forte il cuore. Col pensiero lo ringrazio per essersi
fatto vedere.
Ne abbiamo di cose da raccontare a Irene e Andrea che ci aspettano. Ci
concediamo un pomeriggio di riposo, di chiacchiere, di sole, di
riflessioni, di passeggiate. Qualcuno dorme della grossa, qualcuno
sonnecchia, qualcuno si perde dentro i propri pensieri e arriviamo a
sera aspettando le delizie della Locanda dell’Arco. È l’ultima notte:
domani mattina ripartiamo per Bologna.
L’ultima colazione insieme, gustando un dolce fatto da uno zio di
Concy. Fare i bagagli, non dimenticare nulla, o sperare di dimenticare
qualcosa per poter tornare.
Salutiamo Francesco, salutiamo le signore che si affacciano alla
piazza, come fosse il salotto di casa. Arriva l’autobus che ci porterà
ad Avezzano: siamo silenziosi, quasi rassegnati. A questo punto
sappiamo che il viaggio di ritorno sarà più triste, poi il tempo ci
mette del suo con un temporale e una
grandinata impressionante. Però, cari amici quello che ci siamo dati
rimarrà per tanti giorni vivo dentro il ricordo e basterà tornarci col
pensiero per
ritrovare la stessa magia.
Voglio lasciarvi con un regalo.
Egidio, non serve dire tanto. Ci conosciamo e ci vogliamo bene: una
fratellanza speciale che mi tengo ben stretta. In questo momento sono
alla mia scrivania e guardo dalla finestra il castello illuminato dalla
luce calda del tramonto. Il tuo castello.
Andrea, voglio regalarti una scatola magica. Una scatola di latta
dipinta di rosso. Dentro ci trovi la tua bontà e la tua dolcezza.
Stefano, ti regalo le ali del grifone, affinché tu possa sempre volare
con la tua fantasia.
Irene, ti regalo un pettirosso. Il più coraggioso tra gli uccelli.
Franco, ti regalo sette note e la magia del loro linguaggio.
Chiara, ti regalo un arcobaleno.
Rita, ti regalo una pietra di turchese, antica e saggia memoria delle
nostre origini.
Concy, ti regalo il sole.
Sono stata bene con tutti voi e con me stessa.
Un abbraccio infinito.
Giliola Galvagni
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Gita a Torino
Siamo partiti verso le 7.30 con il treno, stranamente
puntuale, e dopo
un viaggio abbastanza lungo siamo arrivati in una stazione grandissima
chiamata ‘Porta Nuova’. In stazione ci aspettava un'amica di Marta,
Gloria, che ci ha fatto da guida turistica. Appena usciti dalla
stazione, abbiamo iniziato la visita della città visitando Piazza CNL
dove ci sono due fontane monumentali che raffigurano il Po e la Dora, i
due fiumi che attraversano Torino. Proseguendo abbiamo visitato Piazza
San Carlo, che ci ha ricordato Piazza del Popolo a Roma per le due
chiese quasi gemelle. Per fare una pausa caffè siamo entrati in uno dei
bar più antichi e storici di Torino e alcuni di noi hanno preso una
bevanda chiamata Bicerin, che è una crema di latte cioccolato e caffè.
Ad alcuni è piaciuta molto, a Susanna un po' meno. La visita è
proseguita per Piazza Castello, una delle piazze più importanti di
Torino dove risiedevano i Savoia e poi Piazza Carignano dove abbiamo
visto il palazzo dove è nato Vittorio Emanuele Secondo, primo Re
d'Italia. È quindi arrivata l'ora di andare a mangiare. Siamo stati in
una trattoria e abbiamo mangiato piatti tipici torinesi come il vitel
tonné, tomini con salsine verdi e rosse ed infine un primo tipico
piemontese, i plin al sugo di arrosto. Susanna che è una ghiottona ha
preso anche il crème caramel. Infine tutti insieme il caffè. Nel
pomeriggio abbiamo visto il Po e tutta la collina torinese per poi
andare a visitare il Museo del Cinema situato all'interno della Mole
Antonelliana. Il museo inizia con un excursus storico su come è nato il
cinema. Abbiamo visto le macchine che utilizzavano per fare i primi
film. C'erano molti giochi interattivi per vedere come venivano fatti
gli effetti speciali. A tutti è piaciuto molto potersi sdraiare su dei
lettini e vedere degli estratti di alcuni film famosi. Mentre tornavamo
alla stazione per tornare a Bologna è stato divertente incontrare un ex
compagno di scuola di Marta che suonava e ci ha cantato una canzone!
Molti di noi gli hanno lasciato una monetina nel cappello. La città ci
è piaciuta molto e ci piacerebbe tornare a Torino, magari per visitare
l'interno dei palazzi e soprattutto il Museo Egizio. La gita è stata
molto bella, il gruppo era affiatato, siamo stati bene divertendoci e
scherzando.
Andrea Capuzzi, Susanna, Marta
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Sabato 1 giugno, visita a Torino
e anche festa della Repubblica
Io e Cristian ci troviamo sul trenino delle 6.36.
Dobbiamo essere
alla stazione di Bologna prima delle 7.30. A poco a poco ci ritroviamo
con le nostre assistenti, che sono la Concetta e la Marta, al binario 7
e prendiamo il treno verso Torino. Partiamo e ci mettiamo nei vagoni a
noi assegnati; il nostro treno fa qualche fermata e dopo tre o quattro
ore arriviamo alla meta. Appena arrivato mi è parso tutto grandissimo,
a cominciare dalla piazza dei Partigiani. Le strade erano diverse da
quelle di Bologna, i monumenti di marmo erano bellissimi e sorvegliati
dalla polizia. Prima di andare a mangiare abbiamo fatto un percorso per
farci conoscere le tappe più… diciamo così… direi quasi immancabili e
un tipo di caffè lavorato in una certa maniera. Dopo avere visitato
qualche altra piazza e qualche altra chiesa, ci troviamo all’ora di
mangiare in un bistrot molto caratteristico, dove si poteva ritrovare
il mestiere del cameriere. Il menù era composto da due antipasti e da
un tipo di tortellino di cui non mi ricordo il nome.
Dopo avere pagato il conto (neanche tanto caro) ci siamo di nuovo
incamminati per le vie del centro. Visto il tempo limitato siamo
arrivati alla Mole Antonelliana e abbiamo visto il museo del cinema.
Appena siamo entrati si è aperto un mondo quasi ritrovato, non so bene
il perché: era come un déjà vu. Nel suo genere, tipo le cose che hanno
sperimentato i fratelli Lumière.
Durante una ripresa avevo anche un cappello e l’ho perso (ma non è più
cosa da discutere, se tornassi indietro lo riperderei volentieri).
Il tempo non ci dà tregua, tante sono le opere d’arte che avremmo
potuto guardare. Addirittura Marta trova un amico che suona la
chitarra, accompagnato da un basso. Rimontiamo in treno: questa volta è
un Frecciarossa, così in fretta abbiamo viaggiato fino alla velocità di
300 km. orari e siamo tornati stanchi alla meta. Non so se tornerò
ancora a Torino, ma davvero mi piacerebbe visitare anche il museo degli
Egizi, che è secondo solo a quello del Cairo. Arrivati in stazione a
Bologna vediamo, Cristian ed io, il trenino che ci doveva portare a
casa sfumarci davanti! Poco male: telefono a un amico che ci viene a
prendere e poi un barbecue e a letto subito.
Michele
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Cinque animali e una teiera Zen
Luigi Zen
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La posta
Buongiorno, siccome si parla di ignoranza e cultura vi
dico la mia:
1-
oggi in Italia si usa la parola cultura in maniera errata,
sovrapponendo al significato inglese-sociologico (usi, costumi e
comportamenti) in sé oggettivo-neutro (senza valore), al significato
italiano ‘sapere’ che è un ‘valore’ attribuendo così un ‘valore’ agli
‘usi e costumi e comportamenti’
2- ignoranza è non ‘sapere’
3- ambedue, ignoranza e sapere, sono relativi: cioè non sono mai
‘assoluti’: una persona sa alcune cose ma ne ignora altre (un
apicultore esperto saprà tutto delle api, ma può ignorare tutto delle
verze (da cui il detto "ofelé fa' el to' misté", "salumaio fai il tuo
mestiere, ciascuno faccia bene ciò che conosce)
4- la nostra lingua ha un vocabolario limitato, di conseguenza diamo a
molte parole significati doppi o tripli: alcuni finiscono per
attribuire alla stessa parola tutti i significati insieme, con il
risultato di avere idee confuse
5- se vogliamo essere precisi sul tema utilizziamo i criteri distintivi
della lingua inglese (cultura/sapere = knowledge, saper fare = know
how, usi-costumi-comportamenti) o del latino, evitando così di fornire
interpretazioni assolute di ciò che è relativo: ignoranza può essere
ignorare cosa è stata la guerra dei trent'anni (mancanza di knowledge),
non saper piallare il legno (mancanza di know-how).................e
così via.
Cordiali saluti a tutti
Luciano Prando
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